Il rischio di liquidità
Il rischio di liquidità
Per lungo tempo questo rischio è stato visto insieme a quello di credito come l’espressione per eccellenza dei problemi di gestione degli intermediari e in particolare delle banche
La liquidità di una azienda viene definita come la capacità di far fronte tempestivamente ed economicamente alle uscite di cassa. Per qualsiasi azienda la liquidità è un aspetto fondamentale dell’equilibrio di gestione, ma per le banche assume un rilievo quasi vitale.
Il funzionamento della banca è, infatti, strettamente dipendente dalla sistematica accettazione delle sue passività da parte delle aziende non bancarie e dall’aspettativa dei creditori che gli adempimenti trovino sempre una puntuale conferma
D’altra parte, in un regime di riserva frazionaria, la capacità della banca di essere liquida e di garantire la liquidità dei singoli operatori economici è legata a sua volta al grado di fiducia di questi ultimi nei confronti della singola banca e dell’intero sistema
Gli intermediari presentano tipicamente una differenza media (mismatching) fra durata media dell’attivo e durata media del passivo, essendo quest’ultima normalmente più breve
Le banche sono in generale esposte al rischio di liquidità in modo particolare perché, da un lato una parte fondamentale della loro attività (i prestiti) non è negoziabile in mercati secondari, e dall’altro perché il loro passivo a vista, che rappresenta la componente fondamentale della moneta a disposizione del pubblico, è per definizione soggetto al rischio di prelievo
Inoltre, nello svolgimento della funzione
monetaria e di quella creditizia, la banca
emette passività e sottoscrive attività
finanziarie che possono dar luogo ad un
flusso di cassa incerto nell’ammontare e
nei tempi di realizzazione.
Tali condizioni di incertezza rendono
difficile la programmazione dei flussi di
cassa in entrata e in uscita dalla banca e
determinano quindi un rischio di liquidità.
Il fabbisogno di liquidità di una banca dipende, oltre che dalle differenti caratteristiche delle attività e delle passività in bilancio, anche dalle condizioni sottostanti alla domanda di credito e all’offerta dei depositi da parte della clientela, che possono portare ad una differenza nei volumi di fondi impiegati rispetto a quelli raccolti.
Nel caso in cui gli scostamenti tra i fabbisogni previsti e quelli effettivi risultassero di modesta entità, la
banca potrebbe ottenere, in modo tempestivo e senza particolari
aggravi di costi, la liquidità necessaria per far fronte agli impegni
imprevisti.
Nel caso invece gli scostamenti risultassero di notevole entità, la banca si
troverebbe nella situazione di dover recuperare un ammontare consistente di risorse liquide in un tempo molto limitato;
ciò potrebbe dar luogo ad una crisi di liquidità con conseguenze
particolarmente negative per l’equilibrio della banca stessa
La possibilità per le banche di incorrere in situazioni di crisi di liquidità e al limite di incrinare il rapporto di fiducia con i propri creditori, in particolare con i depositanti e,
quindi, di generare condizioni di insolvenza che si possono estendere all’intero sistema bancario, ha spinto le banche centrali all’adozione di interventi e misure
specifiche volti a prevenire l’insorgere di crisi di liquidità.
Un primo insieme di interventi riguarda la disponibilità, da parte della banca centrale, a prestare riserve di base monetaria alle banche che necessitano dei fondi per fronteggiare i fabbisogni improvvisi di liquidità, che possono riguardare singoli istituti o il sistema bancario nel suo complesso.
Dal punto di vista gestionale, la banca può ridurre i rischi di liquidità intervenendo sulla composizione delle proprie attività e delle proprie fonti di raccolta.
In una prospettiva statica, il mantenimento di adeguate
condizioni di liquidità può essere ottenuto solamente attraverso la costituzione di scorte di moneta
legale ad un livello tale da soddisfare i fabbisogni non previsti
di liquidità
In un contesto dinamico la banca può conseguire la liquidità necessaria con specifiche operazioni di vendita delle attività finanziarie detenute in bilancio
oppure mediante il ricorso a nuove forme di indebitamento (convenienza e
opportunità di modificare rapidamente ed economicamente la composizione quali-quantitativa dell’attivo e del passivo di
bilancio
Ne discende che il grado di liquidità di una banca non dipende solo
dall’ammontare delle sue scorte di base monetaria, ma da un ampio insieme di
fattori tra cui:
la contrapposizione dinamica delle entrate e delle uscite di base monetaria
generate dalla gestione corrente (il bilanciamento delle entrate e uscite monetarie
deve essere assicurato dalla gestione corrente, senza alterare l’equilibrio
economico e patrimoniale: corrispondenza tendenziale)
la possibilità di conseguire l’ammontare di risorse monetarie necessarie con
operazioni di vendita di attività in bilancio (funzioni del portafoglio titoli)
la possibilità di accrescere ulteriormente l’indebitamento sul mercato (grado di
inserimento e di intensità di presenza nel mercato monetario)
il ricorso al finanziamento dalla banca centrale.
Una prima misurazione del grado di liquidità di una banca e quindi del rischio ad
esso connesso è quella ottenuta dalla semplice contrapposizione delle
caratteristiche finanziarie delle attività e delle passività.
In particolare, le poste di bilancio sono classificate in funzione del loro grado di liquidità effettiva:
Le attività vengono distinte in:
Attività liquide
Attività illiquide
Le fonti dei fondi vengono distinte in:
stabili
variabili
La differenza tra le attività liquide e le fonti variabili è
definita come gap di liquidità: se le attività liquide
superano le fonti variabili, il gap di liquidità assume valori
positivi, mentre al contrario assume valori negativi quando le
fonti variabili superano le attività liquide.
Le strategie di gestione della liquidità sono analoghe a quelle connesse al rischio di tasso di interesse. In
particolare si possono identificare:
a) una strategia di sincronizzazione delle scadenze, orientata al
bilanciamento delle scadenze delle attività e delle passività con l’obiettivo di
equilibrare i flussi di liquidità in entrata e in uscita;
b) una strategia di asset management, rivolta alle scelte di composizione del
portafoglio di attività della banca con l’obiettivo di “immagazzinarvi” la liquidità
sufficiente a fronteggiare i fabbisogni improvvisi;
c) una strategia di liability management, che cerca di acquisire la liquidità
necessaria emettendo nuove forme di debito sul mercato;
d) una strategia di asset-liability management, che gestisce la posizione di
liquidità mediante strategie di gestione integrata dell’attivo e del passivo.
Strategie di asset management
Le strategie di asset management si pongono come obiettivo quello di assicurare la liquidità complessiva della banca grazie alla disponibilità di liquidità che possono essere facilmente convertite, all’occorrenza, in moneta.
L’idea sottostante a tale strategia è quella della «trasferibilità» delle attività che rende possibile ottenere fondi liquidi dalla vendita o dal prestito delle proprie attività (operazione di vendita a pronti e riacquisto a termine).
La banca cioè ha la possibilità di convertire in moneta le proprie attività, in modo discrezionale, senza attendere la scadenza delle stesse. Tale possibilità, ampliata dallo sviluppo dei mercati secondari dei titoli e dall’introduzione delle operazioni di cartolarizzazione, ha contribuito in misura rilevante a migliorare la gestione della liquidità della banca.
La possibilità di anticipare i flussi di liquidità in entrata delle attività, attraverso un azione discrezionale di vendita o di prestito delle stesse, espone tuttavia la banca ad un prezzo inferiore al proprio valore nominale o a quello a cui tali attività sono state acquistate.
Per questa ragione le banche scelgono di acquistare attività che presentano la caratteristica di rendere minimo questo rischio e quindi possono efficacemente svolgere la funzione interna di liquidità.
Sono in genere definite liquide quelle attività che possono essere
trasformate in moneta rapidamente, a bassi costi di transazione e
senza intercorrere in perdite in conto capitale.
Tali attività devono, quindi, presentare caratteristiche di elevata
qualità, di negoziabilità in mercati ampi ed efficienti nei quali
transazioni anche di elevato livello importo non modificano
significativamente il prezzo di mercato e presentare probabilità di
perdita molto contenute.
Tuttavia nel decidere l’ammontare di attività liquide da detenere in
portafoglio, la banca deve tener conto del fatto che tali attività
offrono un rendimento atteso inferiore alle altre attività in bilancio
come i prestiti , i titoli non negoziabili e quelli negoziabili a tasso
fisso ma a più lunga scadenza.
Queste ultime offrono in genere rendimenti più elevati per
compensare il minor grado di negoziabilità e il maggior rischio (sia
di credito sia di mercato).
Di conseguenza la scelta della banca di mantenere attività
finanziarie a breve termine e negoziati in mercati secondari ampi ed
efficienti, se da un lato riduce il rischio di liquidità, dall’altro
diminuisce anche il rendimento atteso dell’attivo, con la
conseguente diminuzione nel profitto atteso della banca.
Tuttavia la detenzione di attività negoziabili non elimina
completamente il rischio di liquidità, soprattutto al verificarsi di
specifiche situazioni di crisi dei mercati finanziari.
Con lo sviluppo del mercato dei fondi interbancari e
quello dei certificati di deposito, le banche hanno iniziato
a considerare la possibilità di acquisire su tali mercati la
liquidità necessaria per fronteggiare sia i fabbisogni
improvvisi di liquidità, sia la possibilità di finanziare
permanentemente l’espansione del proprio bilancio.
Strategie di liability management possono riguardare
anche la composizione delle passività in modo da ridurre
il rischio di liquidità, soprattutto quello che origina
dall’improvvisa conversione dei depositi in moneta.
Strategie di liabilty management
Aumentando la quota delle passività a scadenza, come i certificati di
deposito o le obbligazioni, la banca riduce la probabilità di incorrere
in deflussi imprevisti di fondi per iniziativa della propria clientela.
Anche in questo caso, come per le scelte di allocazione dell’attivo, le
decisioni di composizione del passivo devono tener conto di un trade
off tra rendimento e rischio. Infatti, se da un lato la raccolta dei fondi
ottenuti dall’emissione dei fondi mediante strumenti diversi dai
depositi a vista consente di ridurre la probabilità dei deflussi
improvvisi dei fondi, dall’altro il loro costo è in genere superiore a
quello dei fondi ottenuti dall’emissione dei depositi a vista.
Le strategie di liability management presentano un limite simile a
quello delle corrispondenti strategie di asset management: quando
tutte le banche chiedono simultaneamente i fondi al mercato, il costo
di tali risorse può aumentare molto rapidamente e con esso anche la
probabilità di non trovare la disponibilità completa dei fondi stessi.
Le strategie di gestione integrata dell’attivo e del passivo si pongono l’obiettivo di
gestire, oltre alla esposizione del rischio di liquidità, anche quella al rischio di
interesse.
In un contesto in cui i fabbisogni di liquidità della banca sono generati da un insieme
composito di fattori che vanno dalla diversa manifestazione temporale dei flussi di
cassa contrattualmente previsti dalle attività e dalle passività in essere, al
comportamento della clientela in merito all’utilizzo dei conti di deposito e di impiego a
vista, alle differenze nei flussi di nuovi depositi e di nuovi crediti, le scelte di gestione
della liquidità non possono che essere adottate nell’ambito di una gestione finanziaria
integrata di tutto l’attivo e il passivo della banca.
Il compito assegnato all’asset-liability management è duplice: in primo luogo quello di
quantificare gli effetti di una variazione dei tassi di interesse sulla redditività attesa e,
in secondo luogo, indicare alla banca le azioni da intraprendere per neutralizzare tale
impatto e mantenere il livello dell’esposizione al rischio di interesse nell’intorno dei
livelli desiderati.
Strategie di asset-liabilty management
La gestione della tesoreria e della liquidità
La gestione della tesoreria nasce dall’esigenza di sistemare prontamente ed
economicamente gli squilibri tra entrate e uscite, riequilibrando
nell’immediato la dinamica monetaria.
Sotto questo profilo, la banca tende a ricercare quelle soluzioni che non
alterino in modo significativo la posizione di liquidità desiderata ed espressa
dal livello delle riserve primarie e secondarie, nonché dalla potenziale
capacità di indebitamento
L’obiettivo prioritario della tesoreria è quindi da ricercarsi nella
minimizzazione dei costi di aggiustamento, in accordo con le finalità di non
breve periodo (per esempio gli obiettivi in termini di prestiti), con i vincoli
procedurali e quantitativi del conto di riserva, o del conto di deposito e
anticipazione, con la situazione di liquidità dei mercati e con le aspettative
del management della banca
Le problematiche affrontate in precedenza sono comuni a tutte le banche,
indipendentemente dalla filosofia di approccio ai problemi gestionali di breve
periodo. Tale filosofia può, infatti, presentarsi differenziata da banca a
banca in ragione del ruolo che ciascuna azienda attribuisce, nell’economia
della gestione complessiva di breve periodo, agli aggiustamenti della
liquidità
Le funzioni assegnate alla gestione di breve periodo concorrono così ad
identificare il modello gestionale di riferimento per la definizione della
politica della tesoreria, intesa come l’insieme degli orientamenti di fatto
seguiti nell’allocazione e nella acquisizione della liquidità supplementare
I modelli gestionali di tesoreria sono infatti definibili in relazione ai criteri di
gestione delle fondi e degli usi della liquidità supplementare. Questi modelli
si presentano diversi da banca a banca in quanto riflettono l’eterogeneità
delle condizioni strutturali, la varietà delle finalità perseguite e le diverse
scelte operative
Il primo modello di riferimento, qualificabile come amministrativo-
tradizionale, tende a porre l’accento sulla gestione degli scompensi
giornalieri originati dalla successione delle operazioni bancarie, piuttosto
che su una gestione orientata alla redditività e, quindi, anche all’assunzione
del rischio d’interesse. L’obiettivo preminente è quello di compensare gli
eventuali squilibri tra entrate e uscite, nel rispetto del vincolo di economicità
degli aggiustamenti al margine della liquidità aziendale.
Il secondo modello, qualificabile come dinamico-speculativo, senza
trascurare l’importanza della sistemazione degli squilibri giornalieri, tende
invece a dare particolare rilievo al profilo reddituale della gestione delle fonti
e degli usi della liquidità supplementare e, quindi, a trarre vantaggio dalle
opportunità operative. La sistemazione degli squilibri giornalieri e il rispetto
delle regole di movimentazione della riserva, assumono tuttavia più la
natura di vincoli operativi che non quella di obiettivi della tesoreria
Nell’ambito del primo modello di riferimento, la sistemazione degli scompensi
giornalieri e l’ordinato equilibrio dei flussi sono gli obiettivi da conseguire in via
prioritaria, ricercando la minimizzazione degli oneri di aggiustamento nel quadro dei
vincoli di movimentazione della riserva nel corso del periodo di mantenimento.
Il perseguimento di tali obiettivi è pressochè esclusivo dal momento che trascura, o
quantomeno relega in secondo piano, la ricerca e lo sfruttamento delle opportunità di
reddito derivanti dalle operazioni di bilanciamento temporale dei flussi di liquidità,
dirette ad anticipare i movimenti monetari e/o la dinamica dei saggi d’interesse,
anche con l’assunzione di posizioni di rischio aperte.
La bassa propensione al rischio del management che caratterizza questo approccio
operativo, oltre a limitare la sostituibilità intertemporale fra le fonti di liquidità interne
(riserva di mobilizzazione) ed esterne (mercato monetario) e, quindi, un ampio e
intenso utilizzo della fascia di mobilizzazione, si riflette anche nella gestione della
liquidità supplementare, orientata principalmente a prevenire la formazione degli
squilibri finanziari. A ciò si accompagna, in genere, anche una limitata responsabilità
e autonomia decisionale in merito alle scelte di allocazione temporale della liquidità
Considerata sotto il profilo dell’amministrazione degli scompensi giornalieri,
quindi, la gestione della tesoreria si esprime, essenzialmente, su un
orizzonte temporale molto breve, la cui unità di misura significativa è di
pochi giorni e, quindi, con collegamenti scarsi o nulli con la gestione della
liquidità aziendale di medio periodo.
Le previsioni o, meglio, i preavvisi e le decisioni riflettono esigenze
circoscritte al rispetto dei vincoli di media e di movimentazione del conto di
riserva e/o all’impiego di eccedenze temporanee o strutturali di attività
liquide.
Da rilevare tuttavia che, fermo restando l’obiettivo/vincolo di rispetto delle
disposizioni regolamentari, il regime di mobilizzazione della riserva agisce
nel senso di stimolare la tesoreria a un allungamento dell’orizzonte
temporale delle decisioni e all’adozione di comportamenti caratterizzati da
maggiore dinamicità
Nell’ambito del modello dinamico-speculativo, le decisioni di acquisizione
e allocazione delle risorse, oltre a essere dirette a sistemare gli squilibri
dovuti ad adempimenti ricorrenti, a scadenze tecniche e a eccedenze
strutturali di liquidità, sono prese in sintonia con:
a) gli andamenti ciclici e stagionali dei prestiti e dei depositi;
b) la dinamica degli investimenti in titoli e della posizione in cambi. In
particolare, con l’attività di trading nel mercato in contropartita di clientela
bancaria e non bancaria (per esempio, intermediazione in titoli sul
mercato secondario in conto proprio, sottoscrizione e distribuzione di titoli
in emissione, partecipazione ad aste di assegnazione di titoli pubblici
ecc..);
c) le aspettative sul livello e sulla struttura dei tassi d’interesse interni ed
esteri e dei tassi di cambio.
Per realizzare un effettivo collegamento tra gestione di breve e di medio periodo
della liquidità, la gestione della tesoreria, pur restando entro il limite del breve
termine e agendo su variabili tipiche, deve prevenire non solo la formazione degli
squilibri finanziari ma deve anche, e soprattutto, essere guidata da previsioni dirette
ad anticipare gli interventi correttivi della liquidità aziendale, del suo
posizionamento temporale e i comportamenti del mercato
Gli interventi non possono essere di natura compensativa e residuale ma, al
contrario, devono anticipare, correggere e indirizzare in via preventiva i flussi
monetari originati da scadenze tecniche e da fenomeni di natura ciclica e
stagionale
Sotto questo profilo, l’azione compensativa ex post della tesoreria dovrebbe essere
limitata al solo riequilibrio degli sfasamenti non prevedibili. Il carattere anticipatorio
della gestione sui soli flussi non è tuttavia sufficiente, poiché la dinamica dei
movimenti monetari è collegata a quella dei tassi di interesse. Pertanto, una
efficace gestione anticipatoria non può prescindere dalla configurazione prospettica
degli stessi. Ciò anche al fine di offrire un valido supporto alle esigenze di trading e
di governo degli investimenti in titoli
I flussi di cassa e i flussi finanziari sono generati da
variazioni nelle poste patrimoniali attive e passive
(impieghi e raccolta di fonti) e dalle componenti di costo
e di ricavo del conto economico (interessi, commissioni,
spese e costi operativi).
I flussi in entrata si manifestano in corrispondenza di
un aumento dei fondi raccolti, del rientro di un credito
erogato in precedenza, della vendita di attività in
portafoglio.
Analogamente, i flussi in uscita si verificano a fronte di
nuove erogazioni di credito, di rimborso di fondi in
precedenza raccolti, di un prelievo da parte della
clientela da un conto di deposito.
Il rischio di mercato
I rischi di mercato I rischi di mercato sono da ricondurre alla sfera dei rischi speculativi
in senso stretto, che comportano la possibilità di alimentare
alternativamente utili o perdite per l’operatore che ne decida
l’assunzione.
In generale i rischi di mercato sono legati all’andamento non
prevedibile e non governabile delle variabili di scenario,
andamento che può incidere sugli assetti di bilancio delle banche (in
funzione della relativa composizione) e in particolare sul segno,
sulla dimensione e sulla variabilità dei loro risultati economici.
E’ del tutto evidente che all’aumento del grado di volatilità delle
macrovariabili aumenta, data una determinata struttura di bilancio, il
livello del rischio assunto.
Il rischio di mercato riguarda tutte le attività finanziarie negoziabili
detenute dalla banca.
In particolare, per i motivi che vedremo in seguito, soggetto ai rischi
di mercato è soprattutto l’insieme degli impieghi effettuati con finalità
di negoziazione (portafoglio di trading), che sono esposti ad un
rischio di posizione o rischio di mercato, inteso come il rischio che si
possano verificare, per effetto di variazioni nelle condizioni di
mercato (tassi di interesse, tassi di cambio, quotazioni azionarie e
livello della volatilità), deviazioni avverse nel valore di mercato del
portafoglio di trading durante il periodo richiesto per liquidare le
posizioni.
Nonostante il periodo di liquidazione sia breve, le variazioni di
valore possono essere significative, soprattutto in condizioni di
mercato altamente instabili.
Pertanto, per rischio di mercato si intende generalmente:
l’ammontare che può essere perduto da una posizione in bilancio o in
strumenti derivati quando intervengono cambiamenti nelle condizioni di
mercato, come ad esempio una variazione nei tassi di interesse, nei
tassi di cambio, nelle condizioni dei mercati azionari e delle merci.
Tuttavia, come detto, nella prassi operativa i rischi di mercato tendono ad
essere identificati con quelli del portafoglio di attività finanziarie e di strumenti
derivati detenuti dalle banche per gli scopi di negoziazione.
Ciò è principalmente dovuto all’applicazione a tali posizioni di un criterio di
contabilizzazione ai valori di mercato in luogo di quello della contabilità storica
applicato alle restanti poste attive e passive
La quantificazione del rischio di mercato richiede allora, in primo luogo, di
individuare i principali fattori di rischio che generano variazioni nei valori delle
posizioni in bilancio e negli strumenti derivati
Una classificazione diffusa tra gli operatori e le autorità di vigilanza riconduce l’esposizione al rischio di mercato alle seguenti fonti di variazioni e nei valori delle posizioni in portafoglio:
Tassi di interesse
Tassi di cambio
Quotazioni azionarie
Prezzi delle merci
Volatilità nei tassi (di interesse e di cambio) e nelle quotazioni (azioni e merci)
Misurazione e controllo del rischio di mercato
Una prima metodologia di misurazione dei rischi del portafoglio di negoziazione è quella del valore a rischio (VAR), che consente di stimare, per ogni singola posizione e per l’intero portafoglio di strumenti finanziari, l’ammontare che con una certa probabilità può essere perduto nell’arco di uno specifico orizzonte di investimento.
Esso quantifica l’ammontare massimo di perdite potenziali nel valore di mercato di un determinato strumento finanziario o portafoglio di titoli negoziabili che può essere conseguito, con un determinato livello di probabilità, se la posizione è mantenuta per un certo periodo di tempo.
Si consideri ad esempio una posizione in un titolo
azionario per il valore di 1.000 euro;
la banca è esposta al rischio di riduzioni di valore nella
posizione per effetto di una diminuzione nella quotazione
di mercato del titolo.
Misurato con riferimento ad un orizzonte di investimento
di un giorno, e con un livello di probabilità del 99%, un
VaR pari a 50 segnala che, per ogni 100 giorni di
negoziazione, in 99 giorni l’ammontare delle perdite
giornaliere potrà al massimo risultare pari a 50, mentre
solo in un giorno su 100 la perdita potrà risultare
superiore a quella definita dal VaR (pari a 50).
La durata del periodo è in genere riferita al periodo necessario per liquidare la posizione al verificarsi di condizioni avverse di mercato.
Ovviamente maggiore è il periodo necessario alla liquidazione della posizione maggiore è il livello di rischio. Infatti, l’applicazione dell’approccio del valore a rischio impone che tutte le posizioni in portafoglio siano valutate secondo criteri contabili a valore di mercato.
Una volta valutate tutte le posizioni a valore di mercato, la quantificazione delle perdite potenziali secondo l’approccio del valore a rischio richiede di definire una stima della distribuzione delle variazioni nel valore delle singole posizioni e del portafoglio complessivo.
Due sono i percorsi metodologici utilizzati per conseguire una stima della distribuzione delle variazioni nei valori delle posizioni: uno di tipo parametrico e uno di simulazione
E’ opportuno precisare che, a prescindere dall’approccio Var utilizzato, il calcolo della perdita massima sostenibili al verificarsi del worst case scenario si basa su un’ipotesi probabilistica connessa alla stima della volatilità futura. La scelta della “variazione tipica” del valore di mercato dell’attività considerata deriva, infatti, dalla combinazione di tre fattori: la scelta dell’orizzonte temporale di riferimento, il calcolo della volatilità storica e la scelta del livello di protezione desiderato.
E’ opportuno ricordare, peraltro, che quando si ragiona in termini di portafoglio e non di singola posizione è necessario stimare anche le correlazioni esistenti tra la volatilità dei prezzi dei diversi strumenti
La regolamentazione dei rischi di mercato
Lo sviluppo da parte delle banche dell’attività di negoziazione sui mercati mobiliari e negli strumenti derivati, e i rischi ad essa associati, hanno indotto nelle autorità di vigilanza una crescente preoccupazione sugli effetti che il verificarsi di condizioni avverse nei mercati finanziari può generare sulle condizioni di stabilità delle singole istituzioni finanziarie e del sistema finanziario nel suo complesso.
Il Nuovo Accordo sul capitale (Basilea II) non modifica, di fatto, le scelte già adottate nel 1996. Si conferma da un lato il vincolo di un capitale minimo per fronteggiare i rischi di mercato e, dall’altro, la possibilità di calcolare tale requisito sulla base di un approccio standardizzato (i cui criteri sono stabiliti dall’autorità di vigilanza) oppure mediante l’utilizzo di un proprio modello interno di quantificazione del valore a rischio, quest’ultimo ovviamente soggetto a validazione da parte dell’autorità di vigilanza
Il rischio di interesse
Il rischio di interesse
Questo tipo di rischi è collegato al fatto che il valore di mercato di un
credito può diminuire per effetto di aumenti del tasso di interesse.
Tale rischio prescinde dalle condizioni di solvibilità del debitore ed è
legato alla trasformazione delle scadenze attuata dalla banca e
dagli intermediari in generale: se tutte le passività fossero
fronteggiate da attività aventi la stessa scadenza, il valore netto
della banca rimarrebbe invariato per qualunque variazione dei tassi
di interesse
Mentre nel caso di rischio di liquidità si fa riferimento a un
mismatching di scadenze, quando si parla di rischio di tasso il
mismatching è relativo ai tempi diversi in cui le nuove condizioni di
tasso vengono applicate agli strumenti in portafoglio e quindi alla
diversa sensibilità delle varie poste a variazioni dei tassi di mercato
Via via che i mercati, e in particolare quello monetario,
diventano più efficienti, l’attenzione si sposta
gradualmente dal rischio di liquidità (rischio di non poter
rifinanziare un’attività che viene a scadenza, cioè di non
potere mantenere invariato il volume complessivo del
passivo) a quello che in un certo senso è l’aspetto
economico del rischio, cioè la possibilità che vari la
relazione (iniziale) fra il tasso delle attività e quello delle
passività
Per sua natura il rischio di interesse può essere coperto
con opportune operazioni a termine e nei mercati dei
derivati (futures e opzioni).
Il problema del rischio di interesse non è indipendente dalle forme di
mercato in cui opera la banca
Se tutte le attività e le passività della banca fossero trattate in
mercati perfettamente concorrenziali, in cui la banca agisce da price
taker, l’esposizione al rischio di interesse sarebbe semplicemente
misurata dalla durata (espressa in termini finanziari, dunque di
duration) dell’attivo e del passivo stessi
La banca è però in grado di agire come price maker in alcuni
mercati (in particolare proprio quelli tipici come quello dei depositi e
dei prestiti), e quindi l’esposizione al rischio di interesse dipende
dall’effetto congiunto della durata dell’attivo e del passivo e dalla
diversa elasticità dei tassi bancari al variare dei tassi di mercato
Il rischio di interesse può essere scomposto in due parti:
Rischio di prezzo Rischio di reinvestimento
riguarda la possibilità che alla fine
del periodo il tasso sia maggiore
(minore) rispetto al periodo
iniziale, determinando una
diminuzione (aumento) di prezzo
del titolo
si collega al fatto che i tassi a cui
saranno investiti i flussi di cassa
percepiti nel corso della vita dell’attività
finanziaria possono essere maggiori
(minori) di quelli impliciti nel tasso di
rendimento a scadenza, causando un
rendimento di periodo maggiore
(minore) di quello calcolato ex ante.
Il rischio di prezzo fa si che il valore di mercato di un’attività finanziaria
muti nel corso del tempo in relazione alla dinamica dei tassi di interesse:
ciò comporta una differenza tra valore di mercato e valore al quale
quell’attività è entrata nel bilancio dell’intermediario finanziario.
Ciò genera potenziali plus o minusvalenze che devono essere
contabilizzate ogni volta che le norme di bilancio o settoriali richiedono il
cosiddetto mark-to-market, cioè la valutazione delle attività possedute ai
valori di mercato.
Il rischio di reinvestimento si manifesta invece sotto forma di maggiori
(o minori) utili collegati al reinvestimento dei flussi di cassa.
Se i tassi di interesse aumentano, ad esempio, le cedole di un titolo
potranno essere reinvestite ad un tasso di interesse superiore a quello
previsto (e implicito nel calcolo del rendimento ex ante).
Il rischio di prezzo e il rischio di reinvestimento hanno effetti opposti sul valore del portafoglio.
Dal punto di vista di un intermediario, la sensibilità al rischio di interesse delle singole attività finanziarie serve per capire la dimensione elementare del problema.
Quello che più interessa, naturalmente, è il rischio relativo al portafoglio nel suo complesso ed in particolare ad un portafoglio composto da attività e passività finanziarie.
Indubbiamente l’assunzione del rischio di interesse rappresenta una condizione normale dell’attività bancaria e una importante fonte di redditività e di creazione di valore.
Tuttavia, qualora l’esposizione risulti eccessiva, variazioni nei tassi di
interesse di mercato possono avere effetti negativi sia sul livello corrente dei
profitti, sia nel valore di capitale della banca.
Variazioni nei tassi di interesse influenzano il livello corrente dei profitti
attraverso variazioni nel flusso netto degli interessi (margine di interesse) e
nelle altre componenti di ricavo e costo sensibili al livello dei tassi di
mercato.
Cambiamenti nei tassi di interesse influenzano anche il valore delle attività,
passività e degli strumenti fuori bilancio, in quanto il valore attuale dei cash
flow (ed in alcuni casi anche i cash flow stessi) cambia al variare dei tassi di
interesse.
Posto che variazioni nei tassi di interesse possono dar luogo a effetti
negativi sia sul livello corrente dei profitti della banca sia sul suo valore
economico la gestione del rischio di interesse può seguire criteri diversi.
Ciò ha portato ad analizzare l’esposizione al rischio di interesse secondo due prospettive, tra loro complementari:
La prospettiva degli utili correnti
La prospettiva del valore economico
Nella prospettiva degli utili correnti l’attenzione è rivolta all’impatto che le
variazioni nei tassi di interesse generano sugli utili contabili correnti. All’interno di
questa prospettiva di valutazione, l’attenzione è stata in gran parte rivolta al
margine di interesse, identificato come l’indicatore principale attraverso cui le
variazioni dei tassi di interesse di mercato manifestano i propri effetti sul conto
economico della banca. Tuttavia con il processo di diversificazione dell’attività di
intermediazione verso l’erogazione di servizi è cresciuta anche la quota di ricavi
netti generata da commissioni riducendo la dipendenza dei profitti correnti dal
solo margine di interesse.
La prospettiva del valore economico
Una variazione nei tassi di mercato può manifestare i propri effetti negativi non
solo sul livello atteso di profitto nel breve periodo, ma anche sul valore
economico delle attività, passività e degli strumenti fuori bilancio. La prospettiva
del valore economico considera l’impatto dei tassi di interesse sul valore attuale
di tutti i flussi futuri di cassa: ciò comporta una valutazione degli effetti di medio-
lungo periodo indotti dalla variazione nei tassi, rispetto ad una valutazione di
breve periodo fornita dalla prospettiva degli utili correnti.
Due sono le principali tecniche di misurazione di
gestione del rischio di interesse che hanno trovato
applicazione nella prassi operativa delle banche.
La prima, definita come maturity gap analysis, affronta il
problema dell’esposizione al rischio di interesse
analizzando le differenze nei tempi di revisione dei tassi
di interesse delle poste attive e passive di bilancio e ne
valuta gli effetti sulla variabilità dei profitti nel breve
periodo (prospettiva degli utili correnti).
L’attenzione è concentrata sulla variabilità del margine di interesse
in un orizzonte temporale di breve periodo, generalmente l’esercizio
corrente e quello successivo.
La seconda, definita duration gap analysis, analizza invece le
differenze nella distribuzione temporale dei flussi di cassa generati
dalle attività e passività in bilancio con l’obiettivo di quantificare gli
effetti di variazione nei tassi di interesse sul valore economico del
patrimonio netto (prospettiva del valore economico).
Maturity gapIn base alle caratteristiche di revisione dei tassi di interesse di ciascuna
attività e passività è possibile riaggregare tutte le poste di bilancio in
quattro gruppi:
Attività sensibili alle variazioni dei tassi di interesse
Attività non sensibili alle variazioni dei tassi di interesse
Passività sensibili alle variazioni dei tassi di interesse
Passività non sensibili alle variazioni dei tassi di interesse
La classificazione tra poste sensibili e insensibili alle variazioni dei tassi richiede in primo luogo di individuare l’orizzonte temporale, o anche periodo di gap (gapping period) a cui riferire la misurazione dell’esposizione al rischio. Ne consegue che la definizione di rate sensitive può cambiare in funzione dei
diversi orizzonti decisionali.
Il modello di base del gap management generalmente
classifica le attività e le passività con riferimento ad un
orizzonte temporale di un anno
Tutte le poste attive o passive che scadono o subiscono
una revisione contrattuale del tasso di interesse entro
l’anno sono classificate come sensibili, mentre tutte le
poste che scadono o subiscono un riprezzamento nei
periodi successivi sono classificate come insensibili.
La riaggregazione delle poste secondo il criterio della
sensibilità alle variazioni dei tassi consente di individuare
alcuni indicatori sintetici di esposizione al rischio della
banca.
Un primo indicatore (funds gap), il più semplice, è ottenuto
dalla differenza tra il valore nominale delle attività sensibili
e quello delle passività sensibili, rispettivamente As e Ps:
G = As – Ps
Dal valore della posizione del gap si individuano tre possibili situazioni per l’intermediario
Posizione di gap positivo
Il valore delle attività sensibili è superiore a quello delle passività sensibili
In questo caso l’intermediario è esposto alle variazioni dei tassi di interesse dal lato dell’attivo (asset sensitive), in quanto una parte delle attività sensibili, pari al valore del gap, è finanziata da passività non sensibili, e quindi, nel caso di una variazione dei tassi di interesse, solamente le attività subiranno un riprezzamento alle nuove condizioni dei tassi di mercato
Il flusso netto di interessi aumenterà a fronte di una variazione positiva nei tassi di mercato, mentre si ridurrà nel caso di una variazione negativa.
Una banca con una posizione di gap positiva potrà attendersi un miglioramento del margine di interesse nel caso di una variazione attesa positiva del tasso di mercato, mentre subirà un peggioramento nel margine di interesse a fronte di una riduzione attesa dei tassi.
Posizione di gap negativo
Il valore delle attività sensibili è inferiore a quello delle passività sensibili
In questo caso l’intermediario è esposto alle variazioni dei tassi di interesse dal
lato del passivo (liabilities sensitive), in quanto una parte delle passività sensibili,
pari al valore del gap, finanzia attività non sensibili. Il flusso netto di interessi
aumenterà a fronte di una variazione negativa nei tassi di mercato, mentre si
ridurrà nel caso di una variazione positiva
E’ superfluo osservare che in caso di gap nullo (caso più scolastico
che reale) il valore delle attività sensibili è esattamente uguale a
quello delle passività sensibili. Variazioni positive o negative dei
tassi di mercato non provocano variazioni nel flusso netto di
interessi
Una banca potrebbe gestire in modo attivo la propria posizione di
gap mediante strategie di mismatching volte ad anticipare
l’evoluzione dei tassi di interesse nelle varie fasi del ciclo
economico.
Durante la fase di ripresa potrebbe attuare strategie volte ad
anticipare l’aumento dei tassi di interesse mediante un aumento
della quota di attività sensibili, rinunciando ad impieghi a tasso fisso
ed allo stesso tempo accrescendo la raccolta di fondi a tasso fisso.
Tuttavia, le strategie di gap management prescelte non
dipendono solo dalla variazione della direzione attesa
dei tassi di interesse, ma anche dal grado di incertezza
nell’evoluzione futura dei tassi di interesse.
La banca, quando non è in grado di intervenire in tempi
rapidi sulla composizione delle attività e passività in
bilancio per poter conseguire la copertura desiderata al
rischio di interesse, può ricorrere a strategia di copertura
con strumenti derivati.
Un primo insieme di strategie di copertura è rappresentato
dall’assunzione di specifiche posizioni negli strumenti derivati a
rischio simmetrico, come i futures, i FRA e gli swap, mediante i quali
è possibile compensare le variazioni nel margine di interesse che
originano dalle fluttuazioni nei tassi di mercato.
Ad esempio, un banca asset sensitive, che presenta cioè un volume
di attività sensibili alle variazioni dei tassi di interesse superiore a
quello delle passività sensibili (gap > 0), potrà proteggere il margine
di interesse dalle eventuali diminuzioni dei tassi di mercato
acquisendo posizioni sul mercato future, su quello dei forward rate
agreements o dei contratti swap in modo tale da conseguire un
flusso di reddito positivo sufficiente a compensare quello negativo
generato dalle posizioni in bilancio, nel caso in cui si realizzi la
variazione negativa nei tassi di interesse di mercato.
In questo modo la banca neutralizza le perdite derivanti dalla sua
posizione asset sensitive rinunciando ai benefici che tale posizione
avrebbe generato a fronte di un aumento dei tassi di interesse.
Nel caso, invece, le banche intendano proteggersi dalle variazioni
avverse dei tassi di interesse, negative per quelle asset sensitive e
positive per quelle liability sensitive, ma allo stesso tempo
mantenere i benefici delle variazioni favorevoli, dovranno allora
perseguire strategie di copertura con strumenti di natura
asimmetrica acquisendo posizioni in opzioni su titoli o in specifici
contratti come quelli di cap e di floor.
Obiettivo di questa strategia di copertura è quello di difendere la
variazione del margine di interesse contro le sole fluttuazioni
negative.
Duration gap
Se da un lato la gestione delle posizioni di gap tra le scadenze e i
periodi di revisione dei tassi di interesse può consentire di
minimizzare l’impatto delle fluttuazioni nei tassi di mercato sul
margine di interesse nel breve periodo, dall’altro ciò non impedisce
che la banca possa subire perdite, anche consistenti, derivanti da
riduzioni dei flussi netti di interesse che percepirà in futuro e che si
riflettono in una diminuzione immediata del valore economico del
proprio patrimonio.
L’attenzione a questo ulteriore aspetto del rischio di interesse ha
richiesto l’applicazione, nelle valutazioni e nelle scelte di
composizione delle attività e delle passività delle banche, di criteri e
indicatori più propriamente finanziari, già sviluppati nell’ambito della
gestione dei portafogli di titoli a reddito fisso.
Il riferimento è all’insieme dei criteri di valutazione delle attività
finanziarie, alla valorizzazione corrente dei flussi futuri di cassa
generati da ciascuna attività e passività finanziaria nel portafoglio e
agli indicatori di rischio sviluppati nell’ambito dell’analisi della durata
finanziaria (duration).
L’applicazione degli indicatori di duration all’insieme delle attività e
delle passività nel bilancio delle banche ha permesso di quantificare
anche gli effetti che le variazioni inattese nei tassi di mercato
generano sul valore economico del proprio patrimonio netto.
La variabile oggetto di controllo della gap analysis è stata sinora il
margine di interesse, grandezza che risulta economicamente di
indubbia rilevanza ma che, al tempo stesso, è rappresentativa delle
condizioni di equilibrio economico esclusivamente delle attività
fruttifere di interesse e delle passività onerose.
In altri termini, la gap analysis se da un lato aiuta a misurare – e in seconda battuta a
gestire – l’impatto degli shock dei tassi di mercato sul margine di interesse nel
periodo preso a riferimento, dall’altro ignora completamente l’impatto patrimoniale
derivante dalla stessa variazione delle condizioni di mercato
Posto che la duration modificata è un indicatore di sensibilità del prezzo di una attività
(o di una passività) finanziaria al variare dei tassi di interesse, di conseguenza,
tenendo sotto controllo il duration gap – ossia la differenza tra la duration modificata
dell’attivo e la duration modificata del passivo – si ha modo di quantificare l’impatto di
istantanee variazioni dei tassi di mercato sul valore del patrimonio netto di una banca
Tanto più ampio è il duration gap, tanto più sensibile risulterà il valore del patrimonio
netto della banca alle variazioni esogene delle condizioni di mercato. Più
precisamente, se il duration gap è positivo, ciò comporta che la duration modificata
dell’attivo risulta maggiore di quella del passivo per cui lo stato patrimoniale della
banca viene definito asset sensitive; all’aumentare dei tassi, quindi, il valore
dell’attivo scende di più del valore del passivo per cui il valore del patrimonio netto si
riduce. Il fenomeno contrario si registra in uno scenario opposto di tassi al ribasso
I valori delle attività e delle passività, nel caso di strumenti finanziari
negoziati, sono ottenuti dalle quotazioni di equilibrio tra la domanda e
l’offerta sul mercato, che rappresentano rispettivamente il valore di
liquidazione per le attività e di riacquisto per le passività.
In mercati secondari efficienti, le quotazioni di equilibrio sono
equivalenti all’attualizzazione dei flussi di cassa al tasso di mercato
Per gli strumenti finanziari non negoziati sui mercati secondari il
valore è ottenuto direttamente dall’applicazione del modello di
attualizzazione dei flussi di cassa al tasso di interesse.
L’impatto di una variazione nei tassi di rendimento di mercato sul
valore netto del portafoglio (E), definito dalla differenza nel
valore delle attività e delle passività, è stimato dalla seguente
relazione:
rrLDADE LA 1/
che esposta nella seguente forma:
rrAALDDE LA 1/)/(
consente di evidenziare i principali fattori che determinano l’esposizione della banca al rischio di tasso di interesse
Gli effetti di una variazione nei tassi di interesse di mercato sul valore
economico del patrimonio netto dipendono da tre elementi:
1) dalla differenza tra la duration delle attività e delle passività, e
quindi dalla duration gap (DG = DA – DL(L/A));
2) dalla dimensione dell’attività di intermediazione (A);
3) dall’entità dello shock nei tassi di interesse (Δr / (1 + r)).
L’ultima formula esposta, evidenzia anche le principali condizioni di
immunizzazione del valore del patrimonio netto al variare dei tassi di interesse.
Nel caso di un valore netto iniziale nullo (E = A - L = 0), il portafoglio risulterà
immunizzato dalle variazioni del tasso di interesse quando la sensibilità dei
valori delle attività è uguale a quella delle passività (DA = DL).
Nel caso in cui il valore delle attività sia superiore a quello delle
passività (A > L), e quindi il valore del portafoglio netto sia positivo
(E > 0), la condizione di immunizzazione richiede che risulti
soddisfatta la relazione DA = DLL/A (DG = 0) e quindi che la
duration delle passività sia superiore a quella delle attività (DL > DA).
Per una banca che presenta DA > DLL/A (DG > 0) le attività
risulteranno maggiormente influenzate dalla variazione dei tassi di
interesse rispetto alle passività e quindi il valore netto aumenterà a
fronte di una diminuzione dei tassi, mentre diminuirà nella
situazione opposta di aumento dei tassi di interesse.
Il contrario avverrà nel caso di DA < DLL/A (DG < 0).
Esempio: ipotizziamo una situazione di attività e di passività di questo tipo
In tale situazione, se DL fosse uguale a DA le variazioni nel tasso di interesse determinerebbero una identica variazione (percentuale) nel valore della attività ed in quello delle passività (es: -1 % del valore delle attività (1000) e - 1% del valore delle passività (500) se i aumenta).
In termini assoluti ciò implicherebbe inevitabilmente una variazione più consistente del valore delle attività (-10) rispetto a quello delle passività (-5), con l’effetto di modificare anche il valore del portafoglio netto (-5).
Detto valore potrebbe al contrario rimanere inalterato soltanto in presenza di passività, che sebbene inferiori quanto a volume, risultino fortemente più sensibili alle variazioni del tasso di interesse rispetto alle attività (DL > DA).
Se la banca non è però in grado di realizzare tale condizione di immunizzazione, ma si trova ad esempio ad operare con un duration gap positivo (quindi DL = DA nell’esempio precedente), potrebbe comunque ridurre la sua esposizione al rischio ricorrendo agli strumenti derivati.
1.000 500
Nel caso appena visto, risultando penalizzata da un eventuale
aumento dei tassi di interesse, la banca potrebbe realizzare le seguenti
operazioni:
vendere un contratto future (l’operatore si avvantaggia dall’aumento
dei tassi di interesse).
effettuare una operazione di Swap che consenta di passare da una
posizione di tasso fisso a una di tasso variabile, dato che si ipotizza
una variazione positiva dei tassi di interesse (vendo tassi fissi, acquisto
tassi variabili).
acquistare una opzione put su obbligazioni (se i tassi aumentano la
banca beneficia della riduzione del prezzo dei titoli sottostanti).