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PONTIFICIA FACOLTA‘ TEOLOGICA DELL’ITALIA MERIDIONALE
Istituto Superiore Interdiocesano di Scienze Religiose „G. Duns Scoto“ Nola – Acerra
(ISSR)
Didattica Generale a cura del prof. Michele Montella
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Didattica generale
3^ lezione Venerdì 26 ottobre, giovedì 8 novembre
La metacognizione Note sugli stili e le strategie di apprendimento
La scuola, casa del domani. Pensare la scuola come un organismo che sente il bisogno di
indicare una meta a chi la abita, di disegnare orizzonti per il territorio in cui agisce, di
sviluppare processi educativi condivisi e democratici e, infine, di migliorare il mondo che la
circonda, usando il suo proprio che è l’apprendimento e null’altro che esso, vuol dire applicarsi
a proposte concrete di politica scolastica, a scelte coraggiose in ordine alla sua articolazione e,
infine, vuol dire impostare la sua ordinaria e quotidiana attività guardando ad un modello di
alunno in grado di costruirsi da sé la propria identità culturale e il proprio bagaglio di
competenze. L’alunno che conosce bene ciò che dice il docente, che sa a menadito ciò che è
scritto nel libro non è un alunno in grado di partecipare ai movimenti sociali della sua realtà,
non riesce ad elaborare con spirito critico gli eventi, i pensieri, le decisioni che circolano intorno
a lui. Egli sa solo omologarsi a qualcuno che pensa prima di lui e gli dice cosa deve fare.
L’alunno invece che utilizza le sue conoscenze e la sua preparazione per comprendere cosa
succede intorno a lui, quello che è motivato dalla curiosità e dalla voglia di intraprendere un
cammino autonomo di indagine e di ricerca, l’alunno che non si ferma davanti al libro e vuole
confrontare più testi fra loro, quello che interagisce con il docente, senza paura, ma anche con
l’umiltà di chi comprende che bisogna prima informarsi e poi discutere, l’alunno che utilizza
l’apprendimento per migliorarsi e per migliorare il territorio in cui vive ogni giorno, questi è un
alunno che pensa e che agisce in una scuola che è una casa del domani.
Per realizzare un disegno così arduo e rispondere ad una sfida così alta c’è bisogno di una
progettualità diffusa in tutti gli ambiti scolastici, che riesca a sviluppare strade che si
interconnettano fra loro, attraversando l’operatività di tutti gli attori scolastici e in particolare i
docenti. Tale collocazione funzionale può avvenire attraverso varie opzioni didattiche; fra tutti
le più importanti riguardano l’organizzazione dell’apprendimento intorno alle due dimensioni
proprie di una comunità educante; la cooperativa e la metacognitiva. In questa dispensa ci
occuperemo di quella metacognitiva.
L’apprendimento come fatto sociale. Come abbiamo studiato nelle lezioni precedenti
l’apprendimento è un processo dinamico che, seguendo cammini non lineari, mette in moto una
serie notevole di elementi strutturali di natura psicologica, cognitiva, affettiva, comportamentale
che interagiscono fra loro mediante processi di adeguamento, composizione, costruzione,
risoluzione dei problemi. Ora se pensiamo al funzionamento di questi elementi ci rendiamo
conto che per lo più si tratta di avviare e portare a sistema, con una didattica ben applicata,
strategie cognitive, stili di apprendimento, riflessioni sulle esperienze personali o sociali, stimoli
che ci provengono dall’ambiente e dalla realtà esterna e perfino lo sterminato campo delle
comunicazioni sociali e degli strumenti utilizzati per veicolarle.
Quando apprende l’essere umano compie un’operazione di interazione con il mondo che lo
circonda e con gli altri esseri umani; in tal modo costruisce, a volte consapevolmente, altre volte
senza un diretto coinvolgimento della coscienza, una serie di significati che gli permettono di
controllare il suo operato, di selezionare le scelte più adatte, di rappresentarsi la situazione che
sta vivendo, di verificare l’esattezza o l’adeguatezza delle sue cognizioni, insomma di
sviluppare un sistema di ricerca che gli permette di esistere e di scambiare le proprie
articolazioni progettuali con quelle degli altri. Tali scambi non riguardano solo i suoi
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contemporanei e le situazioni sociali che analizza nel suo presente, lontane o vicine che siano,
ma hanno a che fare anche con i mondi lontani nel tempo e con le rappresentazioni sociali di
epoche passate, perché ha bisogno di darsi ragione anche della Storia, in quanto quest’ultima gli
fornisce elementi per conoscere il suo tempo o per comprendere le motivazioni di un percorso
evolutivo. La sua esistenza inoltre lo induce a confrontarsi con il mondo naturale e cosmico, con
gli esseri animali, viventi come lui, dai quali apprende altri significati e con i quali costruisce
sistemi di senso. Queste operazioni presuppongono la capacità del soggetto di conoscere i
processi mentali che sovrintendono all’acquisizione di competenze, come la memorizzazione
delle informazioni, la pianificazione dello studio e della ricerca, il controllo del processo, le
strategie per risolvere i problemi, le verifiche circa il proprio apprendimento. Sono operazioni
che abbiamo elencato per comodità descrittiva, ma esse agiscono contemporaneamente nel
soggetto maturo e metacognitivo e diventano un habitus mentale e comportamentale che fa parte
integrante della cultura personale e dei saperi immagazzinati. La scuola dovrebbe avere come
principale compito proprio questa pianificazione dei processi mentali che costituiscono la sua
fondamentale funzione educativa, in quanto in questa maniera rende il soggetto autonomo e
pronto per elaborare la sua presenza critica nel mondo. Per offrire interventi educativi su questi
aspetti è necessario che l’insegnante abbia fiducia che un alunno flessibile e in grado di
pianificare le sue strategie cognitive sia migliore di un alunno che padroneggi solo le proprie
conoscenze. La metacognizione infatti non è altro che questo: la riflessione sui propri processi
di apprendimento al fine di sviluppare flessibilità e creatività nell’utilizzare le proprie
competenze per agire nel presente e nel futuro della sua realtà sociale e della sua vita personale.
Nell’approccio didattico ad un tale tipo di progettazione l’attenzione è fissata
sull’autoriflessione dei meccanismi del pensiero.
Le tematiche che stiamo affrontando sono state ampiamente dibattute nei contesti europei in
riferimento all’impatto, nella società della conoscenza, dell’azione del soggetto che ha acquisito
una padronanza strategica nel suo modo di acquisire competenza. “Imparare ad imparare è
l’abilità di perseverare nell’apprendimento, di organizzare il proprio apprendimento anche
mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni, sia a livello individuale che di
gruppo. Questa competenza comprende la consapevolezza del proprio processo di
apprendimento”1.
Le motivazioni alla base della metacognizione. Quando si parla di apprendimento si fa
riferimento non solo alle conoscenze e alle competenze apprese, ma anche alle modalità con cui
si apprende. Le neuroscienze oggi danno per acquisito che l’intelligenza dipenda sia dal
patrimonio genetico e familiare, sia dai fattori sociali, culturali e ambientali nei quali il soggetto
vive. Ciò ha come conseguenza che il livello di comprensione della realtà e i meccanismi
cognitivi con cui si agisce in maniera coerente e articolata nelle situazioni reali possono essere
modificabili e quindi appresi.
Quest’ultimo aspetto assume un’importanza decisiva se si pensa alla quantità di informazioni
che ci vengono dal mondo della rete o dallo scambio costante delle conoscenze, che caratterizza
il nostro mondo. In altre parole l’educazione cognitiva, che ha come sfondo unitario lo studio
dello sviluppo dell’intelligenza al fine di comprendere la complessità del mondo circostante,
non è da intendersi solo come un’attività volta ad insegnare a risolvere in maniera episodica
1 Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006
(2006/962/CE)
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singoli problemi, ma piuttosto come una forma strutturata di intervento in grado di sviluppare i
processi di apprendimento e di pensiero.
In questa prospettiva possiamo affermare che alle procedure volte alla formazione
scientifica della mente, e quindi ai curricoli della conoscenza, è fruttuoso abbinare gli
itinerari per formare i curricoli di controllo e di revisione critica dell’approccio
all’esperienza della conoscenza stessa. Per questo motivo diventa necessario fornire agli
alunni la capacità di riflettere sui processi conoscitivi, in maniera da impadronirsi dei
processi mentali che sono alla base dell’apprendimento.
Ora raramente nelle nostre scuole si aiuta il soggetto a percepirsi come soggetto pensante, cioè
capace non solo di apprendere e di memorizzare l’apprendimento, ma anche di autoregolare,
selezionare, di cogliere relazioni, di collocare su uno sfondo integratore, di generalizzare, di
comunicare, insomma di compiere le operazioni che servono a sviluppare il proprio potenziale
intellettivo e a utilizzarlo per il miglioramento del contesto socio – territoriale di appartenenza.
Eppure tale percezione di sé come essere pensante è precocissima e possiamo già collocarla
nella scuola dell’infanzia. La stessa socializzazione non è un fenomeno spontaneo e automatico,
ma un processo lento e graduale che inizia con la conoscenza di sé ancor prima della coscienza
di ciò che si sa. L’elaborazione del pensiero ha origine proprio nella coniugazione di ciò che si
sa fare con ciò di cui si è consapevoli, delle potenzialità cognitiva e del loro uso con la
padronanza degli strumenti che servono per apprendere. Senza questi due aspetti con grande
difficoltà la mente dell’alunno sarà veramente utile e funzionale alla costruzione della persona,
obiettivo a cui tende tutta l’educazione.
I primi studi metacognitivi: la metamemoria. In questa prospettiva nella seconda metà del
Novecento sono emerse nuove esigenze rispetto allo studio della psicologia cognitiva in un
contesto pedagogico e, in particolare sono fioriti studi sulla apprendimento come
processualità. Il settore originario di interesse è stato quello della metamemoria, che può essere
definita come l’insieme delle conoscenze che si acquisiscono intorno alla propria memoria e
delle strategie che si mettono in atto per memorizzare.
Quando svolgiamo un’attività utilizziamo una serie di funzioni mentali che, interagendo fra
loro, ci permettono di orientarci nell’ambiente e padroneggiare le operazioni che servono per
svolgere l’attività stessa: l’attenzione, la concentrazione, la memoria, la selezione delle
informazioni. Tali interazioni vengono immagazzinate nella memoria ed utilizzate al momento
opportuno. Nel corso dell’uso spesso raffiniamo e modifichiamo ciò che abbiamo appreso al
fine di renderlo sempre più adeguato al compito; questa operazione vene resa possibile dal
principio di modificabilità e di migliorabilità delle operazioni cognitive. La metamemoria si
caratterizza, dunque, per le conoscenze che il soggetto possiede su se stesso, sulle caratteristiche
del compito, sulle strategie da impiegare. Se tali conoscenze diventano abilità e sono messe a
sistema, rendono il soggetto padrone dei processi che hanno per scopo il conseguimento di
risultati di efficacia nell’apprendimento. Le abilità mnestiche sono tra le prime abilità ad essere
individuate quando parliamo di funzionamento cognitivo della mente e ciò fa capire come ogni
soggetto per evolversi ha bisogno di comprendere quali strategie di metamemoria attiva per
migliorare il proprio apprendimento, come può apprendere più facilmente se imparerà a
padroneggiare il funzionamento della memoria.
La principale modalità di sviluppo della memoria è la capacità di codificare le informazioni
che ci vengono dalle percezioni esperienziali oppure dalla studio. Codificare vuol dire riuscire a
formalizzare le informazioni, a collegarle ad altre che già abbiamo o, ancora, ad operare
sequenze di elementi logicamente connessi. L’attività di memorizzazione viene così facilitata
dalla capacità di ordinare e di articolare le informazioni. La memoria cosiddetta a breve termine
raccoglie le notizie e le percezioni per poi depositarle, codificate nella memoria a lungo termine,
che a sua volta le usa quando si presenta un contesto finalizzato alla risoluzione di un problema.
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Ora più la codifica della memoria a breve termine è dettagliata e completa, meglio funziona la
memoria a lungo termine, perché utilizzerà informazioni per formalizzate. La didattica della
metamemoria può aiutare questi meccanismi se utilizzata costantemente in classe. Per esempio
l’addestramento all’uso delle slide diventa importante per gli alunni e per gli studenti quando
devono presentare un argomento all’interno di una lezione frontale. Slide che copiano
semplicemente brani di parole servono a poco, in quanto non sono elaborate da una codifica; se
invece s’insegna all’alunno come estrapolare i contenuti più importanti e come dare loro una
veste grafica e una descrizione verbale immediata e simpatica, permette non solo agli ascoltatori
di comprendere e memorizzare meglio l’argomento, ma forniscono al cosiddetto vocalizzatore
uno strumento per la stratificazioni a lungo temine delle sue cognizioni che difficilmente fallirà.
Le slide attivano i meccanismi di abbinamento parole – immagini, ma ci sono anche altre
strumentalità che possono essere usate, per attivare i canali verbali, come per esempio la
produzione di acronimi, che favoriscono il ricordo verbale dei concetti; se voglio ricordare per
esempio le fasi di un percorso che comprende la lettura, la sottolineatura della parola chiave e,
infine, la spiegazione del concetto, darò a ciascuna di esse una lettera che è l’iniziale del
concetto più importante e questo mi aiuterà a ricordare il percorso: L(ettura) P(arola- chiave)
S(piegazione).
Con le parole si possono adottare anche altre mnemotecniche, funzionali alla capacità di
inventarsi una frase, che richiamino attraverso ciascuna parola una serie di nomi in sequenza.
Tali esercizi ci rimandano ad antiche memorie scolastiche, che se da un lato accrescevano l’idea
di trasmissività del sapere, dall’altro consentivano, se ben usate, di attivare meccanismi di
ricordo. I più vecchi infatti, ancora ricordano, la frase Ma con gran pena le reca giù, utilizzata
dalle maestre delle elementari di una volta per ricordare i nomi delle Alpi, seguendo le varie
catene da occidente ad oriente: Ma: Marittime / con: Cozie / gran: Graie / pena: Pennine /
le: Lepontine / re-ca: Retiche e Carniche / giù: Giulie
Anche le tecniche visive attivano la capacità di codifica utilizzando le immagini o addirittura
percorsi all’interno di un contesto ambientale (tecnica dei loci, che sembra sia attribuibile a
Cicerone). Infatti se introduco gli elementi che devo ricordare in un paesaggio e a ciascuno di
essi dò la forma di una stazione, di un luogo, riuscirò a descrivere i concetti, richiamando alla
memoria il percorso ed utilizzando le parole – chiave.
L’importanza di questi meccanismi consiste nell’attivare più canali sensoriali che vanno in aiuto
dei processi mentali di ricordo e creano una funzionalità efficace nella socializzazione e nelle
operazioni di scioglimento della situazione o del problema.
Riferimenti teorici. Il termine metacognizione, sebbene sia stato usato per la prima volta da
John Flavell nel 1976, nel contesto degli studi sulla memoria dei bambini e del concetto di
metameoria, che si dispiega come la conoscenza e il controllo dei propri processi di
memorizzazione, ha caratterizzato di sé buona parte delle scienze umane del Novecento.
Se vogliamo, la prospettiva metacognitiva attraversa tutta la storia del pensiero. Il dialogo
socratico, durante il quale il filosofo conduceva alla verità attraverso la sollecitazione delle
capacità di osservazione e di ragionamento logico dell’interlocutore, non rappresenta altro che il
primo e più importante aspetto della metacognizione. Il cogito ergo sum di Cartesio non è forse
la centratura delle operazioni conoscitive e di coscientizzazione sulle operazioni del pensiero?
L’insistenza degli Illuministi sulla pratica disciplinare, sull’importanza per i processi conoscitivi
dell’acquisizione dei repertori di calcolo, di statistica, di meccanica non è forse la
valorizzazione delle strategie applicative con cui l’educando si approccia ai saperi? La lettura
della storia come dialettica degli idealisti ottocenteschi non è forse l’idea che l’interpretazione
di una realtà si costruisce padroneggiando sistemi conoscitivi?
Questi rapidi cenni storici ci permettono di capire che l’esigenza di essere consapevole della
propria capacità di creare cultura e di ampliare l’apprendimento è stata sempre presente nel
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pensiero umano, come aspetto fondamentale, che connota la stessa umanità del soggetto
pensante.
La metacognizione, così come la intendiamo oggi, è stata elaborata grazie agli studi di alcuni
psicologici e pedagogisti, che ne hanno individuato ora l’uno, ora l’altro dei suoi aspetti, spesso
senza voler stendere le basi di una teoria, ma occupandosi semplicemente, all’interno dello
sviluppo dei loro studi, di un elemento che solo successivamente è stato coniugato in una
collocazione più articolata e sistematica.
Le funzioni metacognitive. Accanto alle funzioni cognitive, la mente si avvale di altre funzioni
più complesse che sovrintendono ai meccanismi relativi ai modi di apprendere e alla
consapevolezza che noi abbiamo di essi; chiamiamo tali aspetti funzioni metacognitive. La
metacognizione abbraccia così un ruolo di maggiore complessità nella promozione delle
competenze applicative e di studio che hanno bisogno di essere maturate e apprese per diventare
efficaci.
Gli studi di Piaget ci ricordano che il bambino, per un certo periodo, vive in un completo stato
di egocentrismo, incapace di distinguere il suo punto di vista da quello dell'altro: la mente
dell'altro sembra non esistere e inizia ad ottenere attenzione solo successivamente. Quando il
bambino comincia ad immagazzinare alcune percezioni dovute ai suoi scambi sociali, ai
successi o agli insuccessi dei suoi tentativi di soluzione dei problemi, quella che chiamiamo
memoria si attiva, diventando rievocazione dei dati e delle informazioni finalizzate ad acquisire
una serie di strategie che gli permettono di intervenire nelle situazioni. Da questa prospettiva
dunque Piaget è consapevole che la conoscenza delle proprie funzioni cognitive e del modo in
cui sono utilizzate conduce a comprendere, di fronte ad un problema, quale soluzione è più
idonea al raggiungimento di un obiettivo e quale strategia permette di raggiungerlo in maniera
più efficiente.
La costruzione piagetana dello sviluppo cognitivo inerente al funzionamento dei meccanismi
innescati dal bambino per eseguire un compito è in linea con gli interventi didattici per rendere
funzionale il controllo della pianificazione delle strategie di studio. L’idea che l’intelligenza
trovi in se stessa le fonti per elaborarsi dimostra che l’assunto metacognitivo circa la riflessione
del soggetto sui propri principi conoscitivi era presente in maniera chiara negli studi sullo
sviluppo dell’intelligenza. Piaget scrive: “L’intelligenza si elabora da sé e soltanto le sue leggi
funzionali sono implicate nell’organizzazione e nell’assimilazione organiche.”2 E’ come se
l’intelligenza spiegasse se stessa, come attività strutturata e grazia a questa operatività il
soggetto può progettare la sua conoscenza.
Anche la visione dei costruttivisti come Vygotskij ha illuminato alcuni aspetti della scienza
metacognitiva. I suoi studi sul linguaggio individuano alcuni passaggi chiave della scienza
metacognitiva, in particolare quando l’autore in relazione alla formazione di un concetto
afferma che il segno o la parola “sono i mezzi con cui dirigiamo le nostre operazioni mentali,
controlliamo il loro corso e le incanaliamo verso la soluzione del problema che ci sta dinanzi”3.
L’autonomia del bambino si sviluppa quando egli comincia ad autoregolare il funzionamento
della sua intelligenza in occasione di un graduale processo di interiorizzazione in occasione
delle sue esperienze sociali e nella misura in cui i problemi non si risolvono più con l’aiuto degli
adulti (zona prossimale di sviluppo), ma da soli.
2 Jean Piaget, La nascita dell’intelligenza nel bambino, Firenze 1977, p. 407
3 L. S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, Firenze 1976 p.81-82
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Gli iniziatori: dagli anni Settanta del Novecento ad oggi. Gli studiosi che abbiamo citato
hanno in qualche modo anticipato aspetti e tipologie della Metacognizione, ma non ne hanno
formalizzato le caratteristiche. Il primo modello esplicativo in questa direzione è stato quello di
John Flavell4 che introdusse negli anni Settanta il termine di metacognizione. Flavell partiva
dalla individuazione di come attribuire le capacità del soggetto agli scopi del compito
(attribuzione delle capacità); per sviluppare tale capacità c’è però bisogno di individuare bene
come il compito si svolgerà, quali sono gli scopi, gli elementi che lo caratterizzano
(caratteristiche del compito). A questo punto egli spiegava che interviene la scelta delle strategie
cognitive, a partire dai propri stili, in grado di applicarsi al compito e di intervenire su di esso
(strategie da impiegare). Infine bisogna descrivere con chiarezza le condizioni in cui il compito
(problema, comprensione di un argomento, ricerca, confronto) sarà realizzato. In questa maniera
lo studioso formalizzava quattro fasi di un percorso che se formalizzate e controllate avrebbero
condotto il soggetto a padroneggiare le modalità apprenditive.
Flavell (come poi la Brown) osservò che le difficoltà di memoria in bambini di età prescolare e
scolare dipendevano dal fatto che i bambini non sanno che è possibile fare alcune cose per
ricordare. Non erano stati aiutati cioè a innescare meccanismi grazie ai quali si attivano i
processi di memoria e che si possono apprendere anche con metodiche ludiche. Anche a tre anni
quindi si possono acquisire, con un processo educativo formale, alcune strategie efficaci e
diventare competenti nel mettere in relazione il tipo di compito con la strategia ad esso più
adeguata.
In particolare, l’interesse dei ricercatori si è ampliato dalla semplice analisi dei processi
cognitivi necessari per ottenere determinati apprendimenti, allo studio delle modalità che
portano alla consapevolezza, da parte del soggetto, delle processualità cognitive e dei percorsi
grazie ai quali l’alunno diventa gradualmente competente nell’utilizzo delle potenzialità
cognitive, metodologiche e pratiche di studiare.
Secondo Ann Brown5, Flavell ha ragione quando ritiene che alla conoscenza del proprio
funzionamento cognitivo, segue la capacità di eseguirne le operazioni e di controllarne gli esiti,
ma bisogna valorizzare maggiormente le capacità umane del soggetto che apprende, per
esempio la sua capacità di prevedere come dovrà essere la prestazione o di pianificare con
maggiore consapevolezza i percorsi di controllo, insomma insiste sugli aspetti che sviluppano la
capacità di stare nel problema, di vederne i vari aspetti e di essere consapevoli delle varie
possibilità di intervenire, valutandone l’efficacia.
Lo studio delle capacità cognitive infantili le permisero di scoprire che le difficoltà di
concentrazione e di recupero delle informazioni in questa fascia di età spesso dipendono da uno
scadente percorso di condivisione delle attività metacognitive; cioè con i bambini, anche quelli
disabili, la qualità delle cognizioni è proporzionale ad un piano di istruzione sui meccanismi che
si devono implementare per renderli autonomi nel comprendere una storia o una sequenza di
operazioni. Analizzando le difficoltà che i bambini hanno nell’apprendere un concetto ha
4 John Flavell, americano (1928) è un esperto di psicologia dell’età evolutiva e specializzato
nello sviluppo cognitivo del bambino. I suoi studi sulla metacognizione sono stati fondamentali
per analizzare come i bambini sviluppano la distinzione tra apparenza e realtà. I bambini
possono riconoscere le qualità di un certo oggetto, pur valutando che l’oggetto della loro
conoscenza sembri un'altra cosa o che un particolare materiale è di un certo colore, ma in alcuni
contesti sembra essere caratterizzato da un altro colore.
5 Ann Leslie Brown (1943-1999) è stata una psicologa dell'educazione; moglie di Joseph
Campione, con il quale ha portato avanti le sue ricerche più importanti. I suoi lavori si sono
occupati dei problemi di apprendimento nei bambini.
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potuto rendersi conto che spesso esse derivano dalla scarsa attenzione alla consapevolezza e alla
capacità di gestire i processi cognitivi. Insieme a Flavell, con cui ha lavorato, ha così pensato di
sviluppare percorsi sull’organizzazione delle strategie di apprendimento, in maniera da
promuovere l’uso della riflessione. E’ stata antesignana per quanto riguarda l’ambito di studio
delle cosiddette Comunità di Apprendimento, proponendo per questi studi una collocazione
costruttivista e di ricerca cooperativa. Di particolare interesse è il concetto della natura dialogica
dell’acquisizione delle conoscenze, che fa eco al concetto delle zone multiple di sviluppo
prossimale di Vygotskij.
Sugli aspetti più motivazionali e di consapevolezza della visione di Ann Brown ha lavorato il
gruppo di ricercatori intorno alle intuizioni di altri due importanti studiosi: John Borkowski e
Nithi Muthukrishna, ormai vicinissimi a noi nel tempo (1994). Il saggio “Didattica
metacognitiva”, a cui accenneremo in maniera più diffusa nel prossimo paragrafo di questa
dispensa, pone l’accento, rispetto al pensiero degli studiosi citati, sui risultati che gli studenti
possono ottenere quando si rendono consapevoli dei loro processi di apprendimento. In questa
maniera l’asse degli studi viene spostato sui modelli6 operativi che i docenti dovrebbero mettere
a punto per offrire dinamicità allo studio dei loro allievi e migliorare i loro stessi programmi
d’insegnamento. Se lo studente ottiene risultati scadenti ciò può dipendere dall’inefficacia dello
studio, per cui diventa fondamentale acquisire tutti gli elementi formali per affrontare le
metodiche di studio. Nel processo metacognitivo gli aspetti che agiscono sono molti e di vario
tipo: esperienziale, motivazionale, attributivo, soggettivo, perfino emotivo e non solo di tipo
mentale, per cui si può parlare di vero e proprio sistema di apprendimento. Ovviamente perché
abbiano effetto i modelli devono essere interiorizzati e personalizzati da parte dell’insegnante.
La possibilità di agire su un modello deriva dall’idea che c’è bisogno, nella ricerca sulla
metacognizione, di affrontare tutte le dimensioni umane, in quanto le operazioni di controllo
investono la globalità della persona, proprio perché quando si studia per risolvere un problema
viene coinvolto l’organismo completo, il dentro e il fuori dell’individuo, le idee che ha su di sé e
quelle che ha sul mondo, la visione che ha della sua azione nel sociale e la riflessione sulla
formazione dei modi di approccio al sociale. La metacognizione, nel senso inteso da Borkowski,
si avvicina per questi aspetti all’idea base del service learning, che consiste appunto nell’aiutare
gli studenti a raggiungere un apprendimento sociale, che intervenga nell’ambito sociale dello
studente.
Borkowski, mettendosi dalla prospettiva di un bambino strategicamente evoluto, descrive una
serie di caratteristiche principali del processo metacognitivo: il possesso di molteplici e concrete
immagini di possibili “sé” sia desiderati sia temuti relativi al futuro prossimo e remoto, la
conoscenza di un ampio numero di strategie di apprendimento, la comprensione dei contesti e
dei tempi nei quali attivare una strategia, la selezione delle strategie da utilizzare, la motivazione
derivante dalla fiducia nella possibilità di accrescere ed applicare con attenzione e
consapevolezza le capacità mentali possedute, l’orientamento e l’attenzione fissata sugli
obiettivi di padronanza.
In Italia lo studioso che maggiormente ha individuato i processi cognitivi, partendo dal ruolo
della motivazione nell’apprendimento è il prof. Cesare Cornoldi, che ha svolto ricerche sul
rapporto tra processi cognitivi di base e gli aspetti che inducono dal punto di vista motivazionale
un soggetto all’apprendimento, nei suoi tre aspetti fondamentali: la socializzazione, la
6 “Il sostantivo ‘modello’ implica una costruzione personale e attiva delle proprie teorie come
pure il loro inevitabile cambiamento di contenuto e di funzioni in virtù dell’esperienza.
L’insegnante perciò ha padronanza di un modello quando quest’ultimo è stato accuratamente
forgiato, rimodellato ed è passato attraverso successi e fallimenti.” Borkowski, Muthukrishna,
Didattica metacognitiva, Come insegnare strategie efficaci di apprendimento, Trento 2011,
p.17
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metacognizione e le emozioni. L’Università di Padova, grazie al gruppo di Cornoldi (Chiara
Meneghetti, Angelica Moè, Claudia Zamperiln), in questo ambito di studi, è diventata il centro
propulsore di una serie di rapporti con le scuole e con altri gruppi di ricerca in Italia grazie ai
quali si diffonde sempre di più la consapevolezza della necessità di imprendere una didattica
della metacognizione nelle comunità scolastiche. Un aspetto interessante degli studi è quello che
analizza i problemi di percorso scolastico nell’apprendimento. Spesso i docenti non sanno
distinguere tra disturbi generici, che possono essere trattati con programmi personalizzati da
disturbi specifici che richiedono un intervento specialistico. In generale le difficoltà nascono dal
fatto che spesso i disturbi sono di tipo non verbale, ma hanno una forte ricaduta sulla capacità di
raggiungere conoscenza e quindi sono più difficili da formalizzare e da trattare; per esempio le
difficoltà nella comprensione testuale, i disturbi di attenzione e di iperattività, la scarsa capacità
di organizzarsi nello studio. L’indagine si sviluppa dall’analisi degli incroci tra quello che il
soggetto sa del suo funzionamento mentale e i comportamenti che ne conseguono; più la
conoscenza dei meccanismi di pensiero è forte, maggiore è la manifestazione di comportamenti
regolativi e di controllo nell’approccio apprenditivo.
I concetti di base. Il termine metacognizione porta con sé almeno tre insiemi di significato,
uno afferisce alla conoscenza che ciascuno di noi ha del proprio funzionamento cognitivo, un
altro afferisce alle strategie di controllo e di regolazione che impariamo ad attivare per un
efficace funzionamento ed un terzo riguarda la prospettiva in cui il soggetto guarda al suo
atteggiamento nei confronti della metacognizione e cioè alla consapevolezza interiore ed
emotiva dell’uso personale delle strategie metacognitive.
Sono stati elaborati vari modelli esplicativi, attraverso i quali si sono cercate di evidenziare le
diverse variabili cognitive, motivazionali, personali e situazionali che intervengono a
condizionare la riflessione sui processi di apprendimento.
Il concetto di metacognizione ha assunto progressivamente un significato più ampio, finendo
per far riferimento sia alla consapevolezza del soggetto rispetto ai propri processi cognitivi
(conoscenza metacognitiva), che all’attività di controllo esercitata su questi stessi processi
(processi metacognitivi di controllo).
Cesare Cornoldi7, ipotizza una conoscenza metacognitiva che il soggetto acquisisce quando
impara come funziona la sua mente in occasione delle percezioni sensoriali circa un fenomeno o
una sua personale esperienza o in relazione alle sue interazioni sociali. Successivamente a
questa fase il soggetto coscientizza alcuni meccanismi riguardanti la memoria, le difficoltà che
prova nel comprendere alcuni problemi, ma anche le tecniche per padroneggiare le strategie di
apprendimento.
Oltre alla conoscenza abbiamo poi i processi, cioè i modi di attivare i percorsi per sovrintendere
alla conoscenza, per controllarne le fasi di sviluppo, per verificarne gli esiti, monitorarne le
tipologie acquisitive e valutare l’efficacia delle acquisizioni. Questa capacità, che potremmo
chiamare di controllo, colloca tutte queste operazioni in un quadro di operatività, legato ai piani
metodologici per utilizzare al meglio le procedure di risoluzione del compito o di analisi dei
problemi, fino a quelli più complessi di comprensione delle interconnessioni fra più strategie.
Per affrontare un discorso sistematico sui concetti base della Metacognizione è bene partire
dallo studio degli stili cognitivi che contraddistinguono l’approccio all’apprendimento e delle
conseguenziali strategie cognitive, che ci permettono di affrontare in maniera efficace la
situazione che può riguardare lo studio, un contesto di problem solving, una ricerca,
l’interpretazione di alcune condizioni reali, ecc. Successivamente conviene soffermarci sulle
attività mentali strategiche che generiamo in presenza delle stesse situazioni. Gli stili cognitivi
7 Cesare Cornoldi, Metacognizione e apprendimento, il Mulino, Bologna, 1995 (2006)
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sono i presupposti per attivare una serie di operazioni metacognitive, ma non sono ancora
metacognizione, che è rappresentata invece da quelle strategie che utilizziamo per controllare e
supervisionare l’apprendimento.
L’apprendimento e i suoi stili. Nella realtà dell’apprendimento i vari momenti che si stanno
analizzando sono concatenati e sincronici, talché la mente apprende all’interno di una globalità
strumentale e operativa. In questa prospettiva l’educazione all’apprendimento, serve a orientare
lo studente nell’interpretazione culturale del suo mondo, in quanto dal modo in cui conosce e
poi comprende e applica dipende la sua partecipazione allo stesso processo di significazione e
dunque di socializzazione. Allo stesso modo dalle particolari procedure a causa delle quali il
soggetto analizza o sintetizza e infine valuta dipende il livello della sua interazione sociale e, in
fin dei conti, del suo ruolo nel miglioramento del benessere etico e ambientale.
Per questi motivi essenziali è necessario che la didattica si applichi agli studi sugli stili di
apprendimento che segnalano la questione di quali siano le caratteristiche stilistiche grazie alle
quali apprendiamo.
Pensiero convergente e Pensiero divergente. Le teorie sugli stili di apprendimento, così varie
e diversificate in una prospettiva di studio, possono però trovare una comune collocazione se
analizziamo le caratteristiche del pensiero e in particolare le attività del pensiero quando si trova
in una situazione problematica. Quali sono le modalità adottate per il problem solving? Lo
statunitense Joy Paul Guilford8 occupandosi del funzionamento dell’intelligenza, si convinse
che non sempre riusciamo a collegare come soggetti in apprendimento due dimensioni
complementari del nostro approccio ai problemi e, in generale, alle situazioni di vita: la
convergenza e la divergenza. Nella stragrande maggioranza delle volte utilizziamo la prima in
quanto il nostro sistema culturale occidentale tende a concepire la soluzione di un problema
come risposta definita, mentre dà meno importanza a quelle tipologie di problema non ben
definite per le quali non c’è una sola soluzione. Per esempio se chiediamo ad un alunno di
spiegarci Qual è l’uso dell’imperfetto nelle proposizioni complesse oppure Come si calcola la
superficie di un triangolo, l’alunno avrà poche opzioni di risposta, in quanto i quesiti sono
strutturati in maniera rigida e lineare; ma se noi gli chiediamo Come possiamo abbassare il
livello di conflitto nella classe, l’alunno avrà a disposizione una serie di opzioni dipendenti da
molte variabili: i sentimenti, il contesto culturale d’appartenenza, il livello di gravità percepito
ecc. La prima modalità di pensiero è chiusa, ammette poche risposte ed esige un adeguamento
alle conoscenze prescritte, la seconda modalità è aperta, ammette più risposte e non esige un
adeguamento alle conoscenze.
Il pensiero divergente è all’origine della creatività. Lo stesso Guiford, sostiene che il pensiero
convergente ci permette di ripetere un certo iter conoscitivo consolidato e verificato per
risolvere una serie di problemi; si presenta quindi connotato da forte linearità e logica deduttiva
o algoritmica, come afferma anche Bruner. Il pensiero divergente è invece più flessibile,
8 Guilford, Joy Paul. - Psicologo statunitense (n. 1897 - m. 1987); prof. nelle Università
dell'Illinois, del Kansas, del Nebraska e, infine, della California (fino al 1959). Si occupò
dapprima di psicofisica, per poi dedicarsi al testing mentale, ai problemi della misurazione delle
abilità mentali e dei tratti di personalità, sviluppando una utile serie di strumenti statistici e di
metodi di ricerca (particolarmente importanti le sue applicazioni dell'analisi fattoriale). Notevoli
le ricerche sulla capacità di percezione spaziale, sul ragionamento e sulla creatività. Ha
elaborato inoltre un modello della struttura dell'intelligenza basato sull'introduzione
di 150 fattori. Da ricordare i suoi studî su problemi di tassonomia dei tratti di personalità e sul
concetto di estroversione-introversione. Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/joy-paul-
guilford/ (al 10.11.2018)
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interessato a più soluzioni e meno agli schemi, come sostiene Bruner esso è di tipo olistico,
sistemico cioè, legato alla globalità degli elementi che lo costituiscono.
Nel passato si attribuiva al primo tipo di logica la primarietà, ritenendolo più adatto alla scienza;
successivamente, nel secolo scorso, grazie anche al cambiamento radicale avvenuto nella storia
dell’educazione con l’avvento delle pedagogie attivistiche, si è valorizzato il secondo. Le due
tipologie di pensiero non sono fra loro contrapposte, delineano, però, due diversi atteggiamenti
nei confronti della questione – creatività. Infatti, mentre la prima, la convergente, tende a
valorizzare la sequenzialità e quindi lo sforzo di seguire una traccia, la seconda valorizza la
creatività e quindi quegli aspetti dell’intelletto e dell’approccio alla realtà più legate
all’originalità di vedute.
In entrambi i casi sviluppare l’abitudine ad interrogarsi, a chiedersi se i risultati raggiunti
possono essere guardati anche da altri punti di vista vuol dire esprimere l’innata propensione a
porsi domande, ad evitare le banalità, a potenziare la disposizione, essenziale della mente
umana, ad esprimere se stessi, meta ultima a cui tutto il nostro lavoro di docenti tende.
La creatività ha infine un privilegiato rapporto non solo con la metacognizione, ma anche con
l’attività cooperativa e quindi anche da questo punto di vista rappresenta un argomento
importante per la Didattica, in quanto essa si occupa di creare le condizioni per lo sviluppo
creativo.
L’essere umano non è mai depositario di una verità inamovibile, e quando ciò è successo,
abbiamo dovuto vivere tragedie come i nazionalismi e i totalitarismi. Anche lì dove parliamo di
geni, come Einstein o Michelangelo, non possiamo tacere che la loro intelligenza fuori dal
comune è stata preparata da un contesto favorevole e motivante. In generale le più grandi idee e
le risposte originali agli interrogativi più complessi nascono da un lavorio quotidiano di ricerca,
ma anche di confronto, di dialogo, di sperimentazione condivisa e coinvolgente, a tal punto che
si può ben parlare di creatività collettiva. Nel 2013 tra le prove scritte per l’esame di Stato, c’era
la proposta di redigere un saggio breve su queste parole di Fritjof Capra, che bene esprimono
questo nesso. L’autore afferma: “Tutti gli organismi macroscopici, compresi noi stessi, sono
prove viventi del fatto che le pratiche distruttive a lungo andare falliscono. Alla fine gli
aggressori distruggono sempre se stessi, lasciando il posto ad altri individui che sanno come
cooperare e progredire. La vita non è quindi solo una lotta di competizione, ma anche un
trionfo di cooperazione e creatività. Di fatto, dalla creazione delle prime cellule nucleate,
l’evoluzione ha proceduto attraverso accordi di cooperazione e di coevoluzione sempre più
intricati”. Il pensiero dello scrittore si snoda sulla teoria sistemica secondo cui l’isolamento
dell’individuo è un fatto banale, mentre l’interdipendenza rappresenta una realtà complessa, che
si misura con tutte le più importanti innovazioni nel mondo della natura e che può essere
raccontata come una metafora, esprimente la necessità delle relazioni e la prefigurazione di una
realtà definita come rete della vita (Fritjof Capra, La rete della vita, Rizzoli, Milano 1997).
Creatività e fantasia. Nel testo celebre Grammatica della fantasia Gianni Rodari tratta, per
ultimo, il tema della fantasia e della creatività, sostenendo che l’immaginazione è una leva per il
cambiamento di una scuola in crisi (già allora lo era e siamo agli inizi degli anni Settanta). E’ un
capitolo assai interessante sia per la chiarezza espositiva sia per l’acume profetico di cui è
pervaso e presenta molti suggerimenti per imprendere attività didattica sul pensiero divergente.
Per lunghi secoli abbiamo creduto che la fantasia fosse l’unica dote della creatività e per questo
solo le arti e le lettere avessero il diritto di abitare nei territori della creatività. Oggi, grazie ad un
cambiamento culturale prodottosi lentamente, possiamo dire che la capacità immaginativa,
consistente nel pensare ad aspetti inconsueti della realtà, non immediatamente esistenti (ars
fingendi, nel senso di dare figura a frammenti di reale ricomposti), è solo una parte di quella che
diciamo creatività, la quale consiste in un vero e proprio pensiero, che abbraccia tutti gli ambiti
umani e tutti gli aspetti del reale, che presenta una formalizzazione non lontana dalla logica
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matematica o dai meccanismi di costruzione tecnica. L’immaginazione è un modo di operare
della mente e in quanto tale appartiene a tutti gli uomini e si proietta su tutte le attività umane.
Le stesse attività di gioco, molto vicine alla creatività, sono rielaborazioni di impressioni, che
costruiscono nuove realtà non meno evidenti di quelle percepite con i sensi. Secondo Rodari una
civiltà che esige solo uomini produttivi, cioè disponibili esclusivamente al profitto, è destinata
alla putrefazione, come sta avvenendo alla scuola. Abbiamo invece bisogno di uomini creativi,
capaci di “rompere continuamente gli schemi dell’esperienza. E’ creativa una mente sempre al
lavoro, sempre a far domande, a scoprire problemi dove gli altri trovano risposte soddisfacenti,
a suo agio nelle situazioni fluide, nelle quali gli altri fiutano solo pericoli, capace di giudizi
autonomi e indipendenti (anche dal padre, dal professore e dalla società) che rifiuta il
codificato, che rimanipola oggetti e concetti senza lasciarsi inibire dai conformismi. Tutte
queste qualità si manifestano nel processo creativo.”9
Gli stili di apprendimento. Con stili di apprendimento intendiamo dire la modalità con cui un
essere umano organizza la propria conoscenza ai fini dell’apprendimento del mondo passato e
del mondo presente, della situazione sociale che vive, delle interazioni e delle comunicazioni e,
in particolare del suo personale ed originale modo di tessere significati per la sua esistenza. Tali
modalità sono innate non nel senso che definiscono dalla nascita un particolare modo di
apprendere, ma nel senso che si sono costruite nella prima fase della vita, attraverso le personali
attitudini, le esperienze affettive, psicologiche, culturali della comunità di appartenenza, e
mediante le elaborazioni dei sistemi simbolici umani nei quali è cresciuto.
E’ chiaro che tale predisposizione viene, con l’educazione, orientata e arricchita, in maniera da
consentirgli un ampio ventaglio di usi apprenditivi, che si trasformano con il tempo e l’esercizio
in stili codificati e formalizzati.
Gli stili di apprendimento non ingabbiano l’essere umano in una particolare modalità
conoscitiva, ma anzi ne valorizzano la complessità e lo conducono lungo un cammino di
costante articolazione dinamica, di flessibilità e di capacità di gestione delle proprie potenzialità
conoscitive. Essi sono caratterizzati dalla estrema duttilità nell’elaborare le informazioni e si
adeguano alle particolari impostazioni del modo di comunicare e di esprimere le conoscenze.
Per esempio se il sistema di conoscenze proposto all’alunno è relativo all’articolazione di una
sequenza di concetti, l’elaborazione potrà essere di tipo analitico; se il sistema di conoscenze è
invece relativo allo sguardo d’insieme di una serie di parti conoscitive allora l’elaborazione sarà
di tipo globale oppure sintetica e così via.
Cornoldi ha proposto10 una particolare impostazione delle caratteristiche degli stili cognitivi in
riferimento a tre parametri: la percezione, la memoria e il ragionamento.
Parametro della percezione. Sono gli stili afferenti alle modalità di un apprendimento come
insieme di parti, quasi come un campo nel quale si dispongono i vari elementi conoscitivi. Essi
dipendono dai canali sensoriali che veicolano la percezione dei fenomeni. Abbiamo così lo stile
analitico, che insiste sulla percezione delle parti, e lo stile globale, che insiste sulla percezione
dell’insieme.
Parametro della memoria. Nella memoria depositiamo gli apprendimenti che si dispiegano
attraverso le parole o le immagini. Ciascuno di noi ha la tendenza ad una particolare modalità di
9Rodari G., Grammatica della fantasia, Introduzione all’arte di inventare storie, Torino,
Einaudi, 1973 pp. 173 – 174
10 Cesare Cornoldi, Rossana De Beni, Imparare a studiare. Strategie, stili cognitivi, meta
cognizione e atteggiamento nello studio, Trento 2015
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organizzarsi durante lo studio o in una particolare situazione problematica: si può decidere di
ripetere ciò che si sa ad alta voce e verificare autonomamente e in tempo reali il livello di
descrizione delle conoscenze oppure si decide di fissare alcuni elementi – chiave di un
argomento o di una situazione tracciando mappe, schemi, percorsi. Del secondo parametro
fanno parte, quindi, lo stile visuale, che preferisce l’immagine, l’icona, il codice spaziale, e lo
stile verbale che memorizza attraverso la parola, preferendo il codice linguistico.
Parametro del ragionamento. Gli stili afferenti alla sequenzialità logica, alla capacità generale
di procedere per passaggi coerenti e senza salti, anche quando si tratta di scegliere una soluzione
alternativa, un’opzione più creativa, un’attività particolare. Le procedure razionali possono
dipendere da particolari preferenze attitudinali, come per esempio capita a chi trova proficuo
partire da una modalità sistematica di affrontare l’argomento oppure come sceglie il soggetto
quando collega più idee fra loro e in maniera puntuale coglie il centro concettuale
dell’argomento. Del terzo parametro fanno parte, dunque, lo stile sistematico, che evidenzia una
tendenza a procedere per dettagli e per passaggi logici e sequenziali, e lo stile intuitivo che fa
perno sostanzialmente su intuizioni e ipotesi globali e sulla capacità di interrelare più elementi e
più variabili. Il ragionamento inoltre può essere, secondo Cornoldi, impulsivo, quando sviluppa
decisioni nel breve termine, e riflessivo quando valuta le decisioni con tempi più lunghi.
Tali stili si adeguano alle varie situazioni spesso incrociandosi e completandosi secondo un
tipico procedimento olistico che non consente di isolare, se non per comodità di studio, uno stile
dall’altro. La fruibilità di uno stile inoltre è legata alla capacità di usare bene particolari forme e
tipologie nella situazione di apprendimento adatta a quell’uso. L’insegnante che volesse
analizzare un testo o spiegare un teorema imposterà la sua lezione in maniera da valorizzare uno
stile analitico, magari utilizzando la memoria visuale e il ragionamento analitico. Allo stesso
modo un insegnante che avesse bisogno di sintetizzare un periodo storico o un sistema
filosofico utilizzerà uno stile globale – sintetico, magari valorizzando schemi e mappe.
L’apprendimento e le sue strategie. Lo stile cognitivo presenta poi una serie di operazioni
mentali e di codici formali di regole, ritmi, percorsi che chiamiamo strategie. Queste ultime
indicano la capacità di padroneggiare uno stile, attraverso particolari meccanismi di uso e di
applicazione, grazie ai quali riusciamo a coniugare le conoscenze con le competenze, cioè a
sviluppare raffronti e a impadronirci delle correlazioni tra i contenuti e la loro espressione in
sistemi codificati di utilizzazione. In parole semplici una strategia è una procedura che mettiamo
in campo consapevolmente per risolvere un problema di apprendimento oppure per ricordare ed
imparare una sequenza di concetti e di regole.
Non si tratta di mera bravura nell’uso di procedure tecniche, ma di capacità metacognitiva e
quindi di piena coscienza degli strumenti più adatti ad interagire con le forme espressive e con
le rappresentazioni del mondo e a verificarne le leggi, i meccanismi, i dati, i processi, i
significati, i modelli etici.
In un quadro didattico relativo all’ambito della problematizzazione delle situazioni di
apprendimento, la conoscenza degli stili e soprattutto la capacità di controllare, di selezionare e
di scegliere le strategie cognitive più adatte ad integrarsi con il clima di apprendimento sono
argomenti fondamentali per agire in maniera adattiva e produttiva nel contesto classe.
Le domande, le congetture, i procedimenti euristici, le ipotesi di soluzioni sono fasi
fondamentali per educare il soggetto, soprattutto se minore e in età scolastica, ad esplorare gli
elementi conoscitivi dell’universo culturale che lo circonda e di cui è parte sostanziale.
Le strategie vengono attivate in seguito alla capacità del soggetto di sapere quando deve usare
una particolare procedura, di individuare subito quale delle strategie selezionare e come
implementarle per ottenere risultati efficaci. In questa maniera il compito viene affrontato
secondo un particolare metodo che struttura e articola coerentemente una serie di strategie per
raggiungere l’obiettivo previsto.
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Tra le strategie più comuni, da cui discende una didattica di uso, ricordiamo la capacità di
scegliere le informazioni funzionali alla risoluzione del problema (selezione), la capacità di
connettere le informazioni fra loro in maniera logica, affinché l’apprendimento possa essere
coerente (organizzazione), l’analisi degli incroci e dei richiami tra ciò che si è appreso e ciò che
già si sapeva, attraverso l’elaborazione delle informazioni (elaborazione), la capacità di iterare
le informazioni stratificandole (memorizzazione o ripetizione). Ciascuna di queste strategie va
appresa a sua volta, attraverso un piano didattico che può realizzarsi in due modi. Un modo
funzionalistico, relativo alla trasversalità dell’insegnamento e alla proposta ai ragazzi di
tecniche non formalizzate, ma, per così dire, agite e sperimentate in situazione, in base all’idea
che gli alunni devono diventare esperti degli strumenti, ma non per forza della loro origine e
della loro struttura; un modo sistematico e formalizzato relativo ad un alfabetizzazione alla
metacognizione che può realizzarsi in corsi appositi.
Se le strategie orientano e individuano i modi per attivare un particolare stile cognitivo, allora
esse fanno riferimento, nell’ambito di un primo livello, all’organizzazione e alla elaborazione
delle informazioni e si avvalgono di meccanismi di ripetizione per sedimentare le informazioni
apprese.
Le strategie, che potremmo chiamare di secondo livello, sono invece attinenti alle funzioni di
pianificazione, di controllo e di regolazione dei sistemi conoscitivi, in maniera da fornire allo
studente la possibilità di sapere in anticipo come comportarsi in una situazione di
apprendimento e di attivare i canali di programmazione e di selezione mentale per inserirsi nel
clima di apprendimento adatto.
Descrizione dei processi metacognitivi. L’aspetto più caratteristico dell’attività metacognitiva
è l’orientamento nella situazione, la capacità cioè di comprendere quali sono i punti più
importanti di un processo, di un problema e, a partire, da loro, individuare ipotesi di gestione, di
soluzione o di organizzazione. Tale capacità si coniuga con quella della comprensione degli
aspetti del problema e quindi della definizione – descrizione della situazione che lo circonda e
nella quale il problema o il compito agisce. In generale quando diventano chiari gli elementi di
cui è composto il compito o il problema, emergono dalla stessa analisi le conoscenze e le
previsioni, che servono per affrontare la situazione, spesso incrociate con tutte quelle altre
informazioni, che approfondiscono la visione del campo e permettono di avviare un percorso
ragionato di ipotesi per cercare le soluzioni: difficoltà, alternative, prospettive.
A questo punto il processo metacognitivo è segnato dalla scelta del piano, dalla sua gestione, dai
possibili aggiustamenti e dalla marginalizzazione di tutte le altre ipotizzabili decisioni. A fronte
poi del piano realizzato si avvia un processo finale di monitoraggio e di autovalutazione, che
comprende al suo interno il bilancio dei punti critici e dei punti di forza, al fine di replicare la
sequenza di gestione oppure di interromperla ad un certo punto, rivalutando le parti poco
efficaci.
Altro aspetto fondamentale dei processi metacognitivi, come già accennato, sono e attribuzioni
personale di autoefficacia. Già il bambino, intorno ai quattro anni, manifesta la capacità di
comprendere una teoria della mente, cioè sa definire come pensa ad un certo evento e da che
cosa dipende il suo pensiero, se da un’analisi della realtà oppure da una sua credenza. Tale
capacità, sviluppatasi nel tempo, è alla base della consapevolezza di quali sono gli elementi
autentici che spiegano il suo comportamento mentale, quello che si chiama locus of control, un
insieme di parole latine che ci rimandano all’idea del luogo, locus, in cui l’attribuzione avviene
ed inglese, control, che ci rimanda invece alla capacità strategica metacognitiva. L’attribuzione
di autoefficacia più matura è quella che riporta il luogo del controllo dentro se stessi e spiega
con l’impegno personale profuso il successo o l’insuccesso dell’apprendimento. Sviluppare tale
dimensione offre allo studente la motivazione a procedere nello studio, perché si convince che
basti selezionare con cura e controllare i suoi processi perché si riesca ad ottenere risultati
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positivi. Il processo dell’attribuzione mobilita una serie di condizioni emotive, psicologiche e
affettive tali da coinvolgere nei processi metacognitivi tutto l’essere umano e da configurare una
personalità forte e flessibile, in grado di prendere decisioni e di compensare eventuali sensi di
colpa o delusioni o anche sentimenti di rabbia e di rivalsa. Da questo punto di vista portare al
centro dell’apprendimento la metacognizione vuol dire preparare la strada alla cooperazione e
alla socializzazione positiva dello studente, visto come componente di un gruppo sociale, ma
anche di promuovere nel singolo il senso dell’autostima, trampolino di lancio di qualsiasi
responsabilità personale.
L’importanza della didattica metacognitiva. La metacognizione valorizza l’idea che il
raggiungimento reale delle competenze si ottiene solo quando si realizza la padronanza nel
gestire il processo della conoscenza. Ciò vuol dire che tutti gli obiettivi di competenza
dovrebbero essere formulati con un occhio all’ambito metacognitivo. Spesso si sentono dai
ragazzi frasi del tipo: “Non ho buona memoria per i nomi”, oppure: «Non sono tagliato per la
matematica”, “Mi piace la letteratura latina, ma non riesco nelle traduzioni”. Tali enunciati si
basano su conoscenze o su precomprensioni di tipo metacognitivo. Infatti, il soggetto che dice:
“Non ho buona memoria per i nomi”, non solo ha la capacità di memorizzare un nome, ma è
anche consapevole di non aver acquisito una competenza in questo campo. Imparare che è
necessario leggere e ripetere la lezione due volte, per esempio, al fine di superare
l’interrogazione è una consapevolezza metacognitiva. I processi mentali incaricati di
supervisionare il funzionamento cognitivo ci avvisano se, in una certa operazione di studio, ci
sono delle difficoltà nell’avviare l’attività. Per esempio quando ci accorgiamo, mentre si legge
un testo, di non capirlo bene, cerchiamo di trovare una strategia, perché ci possa essere più
chiaro: rileggiamo con maggiore lentezza, sottolineiamo una parola poco chiara e andiamo a
ricercarne il significato in un dizionario, proviamo a rileggere il contesto nel quale è presente
ciò che non abbiamo capito ecc.
Il processo di supervisione, chiamato anche di regolazione e controllo, comporta a sua volta
attività di pianificazione del compito da svolgere e di monitoraggio. Quando i ragazzi eseguono
un compito, se hanno esperienza di una corretta applicazione, controllo e uso delle loro abilità
cognitive, attribuiranno il successo o l’insuccesso ad esse e non al caso o alla sfortuna. L’uso
corretto di strategie porta, infatti, al piacere dell’apprendere e a un positivo e gratificante senso
di autoefficacia. Questo, a sua volta, porta ad affinare forme sempre più avanzate di controllo
metacognitivo con ricadute generali decisamente positive per l’apprendimento.
Come si vede dunque lo sviluppo applicativo estremamente interessante degli studi
metacognitivi ha riguardato l’ambito didattico, perché è stato riconosciuto il ruolo fondamentale
delle componenti metacognitive come variabili in grado di condizionare le modalità con le quali
un individuo apprende. L’efficacia della didattica metacognitiva è stata verificata in svariati
campi, quali le prestazioni di memoria, la lettura e la comprensione del testo, la matematica, la
scrittura, l’iperattività con disturbi di attenzione, le difficoltà d’apprendimento ed il ritardo
mentale lieve.
La didattica metacognitiva dunque ha come scopo di sviluppare le abilità di pianificazione di
un compito, il controllo delle operazioni di pianificazione, l’attivazione degli stili e delle
strategie adatte a raggiungere lo scopo in maniera efficace e, infine le abilità di valutazione del
processo. La teoria metacognitivista e i suoi modelli procedurali possono costituire un efficace
snodo di collegamento tra il processo di insegnamento da una parte e la capacità individuale di
fornire prestazioni soddisfacenti dall’altra: un vero e proprio ponte che oggi può poggiare su
alcune basi solide e su alcuni strumenti ben sperimentati che sono in grado di aiutare a
sviluppare nei giovani potenziali cognitivi, motivazione e percorsi originali di apprendimento.
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Le caratteristiche della didattica metacognitiva. L’insegnamento avrà la caratteristiche di
esplicitare le motivazioni, gli obiettivi che si vogliono raggiungere, le operazioni alla base delle
attività che saranno proposte e le strategie che si impiegheranno per raggiungere gli obiettivi.
Inoltre esso sarà intensivo, cioè si svilupperà secondo procedimenti relativi a nuclei essenziali e
fondanti delle discipline e dalla cura pedagogica di organizzare intorno a tali nuclei il processo
di apprendimento e l’impostazione dell’insegnamento, finalizzato alla promozione di una
conoscenza essenziale, unitaria e dinamica. L’insegnamento sarà interattivo e basato su un
approccio costruttivistico in maniera da rendere partecipe l’alunno del procedimento e affidargli
un ruolo da protagonista. E’ necessario spiegare con attenzione e nei dettagli i processi di
apprendimento sottostanti all’esecuzione del compito con delucidazioni approfondite ed esempi.
Inoltre si motiverà l’alunno all’uso di strategie adeguate allo scopo e al tipo di operazione
richieste; successivamente tali strategie si renderanno automatiche attraverso esercitazioni
intensive e prolungate.
L’insegnante metacognitivo. Quali sono le caratteristiche di un insegnante metacognitivo, oltre
a quelle di utilizzare una didattica metacognitiva? La risposa risulta semplice se lo paragoniamo
ad un insegnante comportamentista o cognitivista. I comportamenti di un docente sono sempre
relativi alla didattica a cui si riferisce nell’ordinario, ma attengono anche a comportamenti
personali, all’uso del linguaggio, alle posture, alla qualità relazionale. Non c’è un atteggiamento
migliore dell’altro, perché tutti i modelli – docenti possono avere una ratio all’interno di un
contesto che li giustifica, il danno può avvenire solo in un caso, che si adotti un comportamento
non coerente con la didattica che si sceglie o poco onesto intellettualmente. Inoltre il bravo
insegnante sa che in certi casi è utile utilizzare un modello e in certi altri casi non è utile, può
incrociare i modelli, ma mai sovrapporli, così come li può sequenziare secondo i contenuti e le
metodiche che si appresta ad attivare nel gruppo classe.
Il docente comportamentista è abituato a dar peso alla nozione, a trasmettere una sequenza di
concetti e guida l’alunno all’imitazione del processo, convinto che una buona imitazione possa
aiutare l’alunno a stratificare la conoscenza e ad apprendere. Ripete spesso ad alta voce i
concetti e utilizza le parole – chiave come strumento di ripetizione, per far questo si alza, avanza
verso la classe, richiede attenzione costante ed è il centro della trattazione. Egli quindi si trova
bene quando deve spiegare un argomento o dare istruzioni; sa bene come interrogare e
rimandare alla classe il centro concettuale degli argomenti e ritorna spesso alle tappe della sua
spiegazione, avendo in mente un programma da seguire, una serie di esercizi che possano
promuovere l’interiorizzazione dell’argomento. Il docente comportamentista è impegnato molto
sulle attività di valutazione della classe, ma anche di se stesso, considerando che le lezioni sono
soprattutto incentrate sull’insegnamento, ritiene onesto e corretto passare al vaglio di una
precisa autovalutazione la sua performance e il suo sistema relazionale.
Il docente mentalista, cognitivista è impegnato sui processi mentali, quindi punta sulla
concettualizzazione dell’argomento, utilizzando mappe concettuali, schemi, parole – chiave in
sequenza. Ritiene che la partecipazione dell’alunno sia importante soprattutto nell’attività di
rielaborazione dei contenuti. Anche per lui la imitazione di un concetto è importante, ma solo
quando essa è destinata alla collocazione in una sequenza logica, dalla quale si riesca ad
evincere il collegamento precedente e seguente. Il docente cognitivista segue un programma, ma
lascia spazio alle controdeduzioni della classe; favorisce il dibattito e dopo le verifiche, impiega
molto tempo per la correzione collettiva, utilizzando spesso la tecnica dell’eco per approfondire
gli argomenti e per sollecitare nuove risposte, spesso chiedendo di ridefinire e di ricomporre
quelle già date da un compagno.
Il docente costruttivista a questi comportamenti già descritti abbina anche una sistematica
richiesta di rielaborazione personale; motiva l’alunno ad esprimersi, gli chiede di ridire a parole
i concetti; spessissimo, memore degli studi di Bruner, trasforma la sua lezione in narrazione
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chiede allo studente di fare altrettanto. Questo vuol dire che la lezione diventa partecipata e
dibattuta, a tal punto che si originano concetti nuovi che permettono al docente di portarsi avanti
con il suo percorso con il semplice coinvolgimento nel processo di apprendimento.
Risulta chiaro che con gli ultimi due modelli e, ancor di più con quello metacognitivo, l’asse
della presenza docente è rivolto all’apprendimento, più che all’insegnamento e quindi la
presenza diventa più mobile, manifesta una capacità relazionale attenta allo scambio.
Il docente metacognitivo è in grado di attraversare tutte le modalità descritte, ma quando lo fa
spiega agli alunni ciò che sta facendo. Non vede davanti a sé solo l’alunno che deve imparare,
ma motiva il suo impegno, spiegandogli che durante la lezione sarà lui il protagonista,
accompagnato dall’insegnante, ma mai indotto a svolgere compiti di cui non capisce il
significato. L’insegnante metacognitivo utilizza i libri di testo, lasciando che l’alunno li
padroneggi e li utilizzi non in sequenza, ma secondo il bisogno. E’ attento al problema più che
al sistema, ma interviene a sistematizzare le conoscenze e a collocarle su uno sfondo integratore,
quando avrà compreso che la classe o lo studente è pronto a scoprire da solo le cause e le
conseguenze e il processo logico nel quale includere ciò che ha imparato. Il suo insegnamento è
dunque di tipo ricorsivo, non lineare, abituato com’è a mediare l’apprendimento degli alunni e a
sollecitarne i collegamenti e le infinite relazioni pluridisciplinari. Spesso si dedica alla didattica
cooperativa, formando gruppi di alunni e consentendo, come il docente costruttivista, ai vari
gruppi di scambiarsi dati, opinioni, teorie. Per far questo imposta la lezione riducendo al
minimo i suoi interventi, ampliando molto gli spazi di riflessione e di silenzio, convinto che essi
non sono una perdita di tempo, ma un’occasione per prendere tempo ai fini dell’articolazione
dei concetti e del possesso profondo del ragionamento grazie al quale si sono prodotti i concetti.
Porsi problemi. Una delle dimensioni didattiche più importanti nell’avviare la metacognizione
consiste nella capacità di porsi problemi e di rendere problematiche le situazioni, di rendersi
conto per esempio della necessità di intervenire o di trovare una soluzione. Anche la predizione
dei processi che per una certa operazione si devono mettere in campo, relativa alla conoscenza
delle nostre capacità diviene fondamentale per anticipare possibili difficoltà e per riuscire a
pianificare la propria azione, organizzando le informazioni in relazione al tipo di compito da
svolgere. Questa organizzazione permette di avere sempre chiare le mete alle quali si deve
arrivare; consente, inoltre, di avere un quadro generale del lavoro che si deve affrontare e di
come organizzarlo.
L’ultimo aspetto didattico è rappresentato dalla capacità di effettuare un monitoraggio, di
cogliere i feedback della prestazione e dell’ambiente (compagni, insegnanti, genitori, ecc.), di
adattare il proprio comportamento a seconda dell’andamento dell’esecuzione e dei fini ai quali
si intende pervenire.