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Dicembre 2013 - n. 4 Anno 23º Spedizione in abb. Postale (Poste Italiane) D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1. comma 2. Lo-Co

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Dicembre 2013 - n. 4Anno 23ºSpedizione in abb. Postale (Poste Italiane)D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1. comma 2. Lo-Co

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Dicembre 2013 - Anno 23Registrazione Tribunale di Milanon. 245 dell’11 Aprile 1992BimestraleSpedizione in Abb. Postale (Poste Italiane)D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1. comma 2. Lo-Co

Direttore responsabileRosa Scandella

RedazioneGruppo di lavoro COE

Proprietà Associazione COEResp. Rosa Scandella

Foto Archivio COE

Disegno e impaginazioneAnankeDesign

StampaMolgora Print - Olgiate MolgoraStrada dei Pioppi, 7 - Tel. 039.9910029

COE - Via Milano, 423816 Barzio (LC)Tel 0341.996453 - Fax 0341.910311email: [email protected]

Il mistero di Gesù, che si fa uomo, ci rinnova nell ’animo, ci riporta alla semplicità e ci fa ardenti d’amore. Ci commuove e ci fa più desiderosi e più capaci di fare il bene.

som

mar

io

3456

789

10111213

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19

L’ inverno ha un cuore caldo

Il mistero di Natale / Auguri di Don Giuseppe

Il mandato missionario

Assemblea d’autunno / Papa Francesco e Francis

Una frenata accelerante

Bindu e la calebassa

Ponti oltre i pregiudizi

Omaggio a Giuseppe Viganò

Reparto Pediatria a Tshimbulu

In prigione Cameroun / Poesie dietro le sbarre

Guatemala La forza di lottare

Bangladesh Formazione adolescenti

Cari amici - appello alluvione BGD

Ritorno in Congo

Forti fragili bellezze

Libri / Appuntamenti / Motivi di gioia

Programmi formativi

1415

1718

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l’inverno

di Gigi

Cuoreha un

L’espressione «nel cuore dell’inverno», letta forse casualmente in qualche opera narrativa, non deve aver destato in noi qualche risonanza profonda, non ci ha suggerito nulla di speciale. Si dica “forse”; perché per qualche ragione potrebbe essere accaduto il contrario.Una frase suggestiva, può sembrarci, non altro. Ma l’immagine che quella frase pre-senta alla nostra mente è quella di un be-nefico fuoco che arda a correggere il gelo di una giornata fredda, d’una fiammella che arda e bruci nel suo esiguo calore un invisibile cerchio di brina gelata. Se la consideriamo con attenzione, l’immagine è di quelle delle quali sentiamo il bisogno quando vogliamo consolare il freddo di qualche giornata della nostra vita con una sensazione di tepore che non è della carne ma dello spirito.Che cosa significa, in fin dei conti, l’espres-sione “nel cuore dell’inverno”? Un’indica-zione di luogo, benché di un luogo spe-ciale, poiché al cuore, in senso figurato, cioè alla nostra più gelosa intimità noi affidiamo i pensieri più cari o i crucci più amari, i momenti più ricchi di significati positivi o le svolte drammatiche della nostra esistenza. Il cuore dell’inverno è una sorta di fuoco centrale che arde sotto strati di gelo ma dal centro in cui è col-locato diffonde luce e calore: la luce che aiuta ad orientarsi, il calore che assicura la vita. Ed è anche un’immagine della spe-ranza; poiché ci dice che pur in condizioni

estremamente difficili quel fuoco continua a sostenerci, ci incita ad avere fiducia. L’inverno, sentiamo, ha un cuore caldo. Il luogo segreto dei nostri pensieri e delle nostre azioni, il deposito dei nostri desideri e delle nostre speranze è posto al centro, è il motore che assicura e regola il ritmo dell’esistenza. Attribuire un cuore caldo all’inverno è riconoscere che c’è un an-golo del nostro spirito in cui possiamo rifugiarci per attingervi sempre nuove energie, per accedere ad una ricchezza che, ben custodita, nessuno può sottrarci.C’è di più. Col cuore, tradizionalmente, si indica la somma dei sentimenti e quando giudichiamo col cuore le nostre azioni siamo più propensi alla benevolenza, all’a-pertura solidale con gli altri. In qualche caso non ci fidiamo troppo del cuore, per-ché può sembrare ch’esso voglia ingan-narci. Dobbiamo fidarcene se ne facciamo una stima corretta, se lo consideriamo un consigliere talvolta troppo tenero ma tale da suggerirci scelte di bontà da con-trapporre a decisioni dure e non sempre saggiamente motivate. Nei giorni della nostra vita che possiamo sentire come l’inverno della nostra esistenza il cuore è il

caldo r i f u g i o delle possibi-lità di continuare a costruire i nostri pro-getti. Il cuore è quello che ci aiuta ad al-lungare un braccio e a stringere una mano che ci venga tesa o ad incoraggiare una mano protesa verso di noi a stringere la nostra in un rapporto di fiducia. In que-sto senso sentiamo pulsare il cuore caldo dell’inverno, sentiamo la sua centralità d’anima, la sua segreta bellezza. Il cuore è lo scrigno dei nostri più cari se-greti: quelli che coltiviamo per noi stessi e che ci annunciano eventi da coltivare con la pazienza di una perseverante attesa. Il Vangelo dice che Maria conservava nel suo cuore quello che aveva udito e che per lei doveva realizzarsi. Quello che pareva un sogno e fu realtà nell’inverno di un mondo, come sempre, inquieto.

CALDO

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“Vieni Signore Gesù”: è il grido che sempre si alza dall’umanità e che ci orienta ad accogliere, fissare lo sguardo e incontrare il Figlio di Dio nel suo Natale. In-contrare Lui come bellezza dell’Amore è poter generare attorno a noi comprensione, compassione e solidarietà. In questi tempi di crisi è una sfida a ritrovare e rivivere la speranza, oltre l’oscu-rità e l’incertezza: ancora ci si può incontrare e aiutare in un cammino di ritrovata solidarietà. La felicità del mondo deriva dall’accorgerci degli altri; fare spazio alla loro emer-genza, “vederli” e saper camminare insieme, accogliendo in noi la situazione dei disperati e naufraghi, infelici ed abbandonati. Un Natale senza gli altri, nel cuore e nella condivisione, è spento, è senza Dio. Saremo capaci di offrire valori spirituali che sappiano rigenerare questa nostra povera umanità, talora frustrata, delusa e incerta sulle essenzialità morali? Ci sia di riferi-mento prezioso il Signore che viene.

Preparato dal tempo dell’Avvento, lunga e accorata invocazione alla venuta del Sal-vatore: “Stillate, cieli, dall’alto…”, il Natale di Gesù Cristo viene a noi annunciato dalla g io ia : “ E sulta , Ger usalemme, sfavilla di gioia, perché viene a te il tuo Salvatore”.Le grandi anti-fone “Oh” hanno gridato, con de-siderio e ardore crescente, il loro: “Vieni a salvarci”.È così che viene Gesù: come il Sal-vatore del mondo.Viene come luce per illuminare le tenebre che rico-prono come una coltre la terra ma, dice l’evangelista Gio-vanni: “I suoi non l’hanno accolto”.A chi lo accoglie dona luce e pace.

misteroNatale del

il

Perché Dio si è fatto uomo con l’incarna-zione di Gesù Cristo?“Per noi uomini e per la nostra salvezza - diciamo nel Credo - discese dal cielo,

si è incarnato per opera dello Spirito santo nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”.Si è fatto uomo per-ché noi potessimo essere divinizzati, diventare come Dio. Ma Dio è amore, per cui l’amore è il per-ché ultimo dell’in-carnazione: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unige-nito”.Q u a l e r i s p o s t a

diamo al mistero del Natale?. L’amore. Amare l’Amore e riversarlo su tutti i fratelli e sorelle. Incarnare l’amore, farlo diventare

LA SPERANZA CHE RINASCE

Auguri!

nostra carne e donarlo a piene mani.Un nuovo modo di vivere s’impone: vi-vere la vita nuova portata dalla nascita del Salvatore.La porta di questa grazia è stata aperta, si è manifestata, è apparsa nel mondo nella grotta di Betlemme.La luce del Natale non illumina il mondo solo dall’alto, ma dal di dentro dei nostri cuori, riscattandoli dalle tenebre entro le quali erano avvolti.Spalanchiamoli e adoriamo, nello stupore grato, il Cristo, portatore di salvezza per ogni uomo.“Ecco, oggi è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo Signore”. Amen. Alleluia!Poeticamente il nostro Manzoni così lo esprime nell’inno Il Natale:

“Ecco ci è nato un Pargolo,

ci fu largito un Figlio:

le avverse forze tremano

al mover del suo ciglio:

all’uom la mano Ei porge,

che si ravviva e sorge,

oltre l’antico onor”.

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Un duomo pieno di gente per la consueta Veglia missionaria il 26 ottobre, ma que-sta volta c’era un maggiore interesse per il COE perché due coppie di nostri volontari ricevevano il crocifisso dal cardinal Scola. Un po’ sorpresa Rosangela: “L’avevamo già ricevuta la Croce, una ciascuno, pic-cola per me, un po’più grande per Renzo, in malachite verde: da Don Francesco, il giorno del matrimonio, poco prima della partenza per lo Zambia.E la portavo al collo, bene in vista, chissà che avrebbero chiuso un occhio per l’eccedenza di peso, a questi poveri missionari…Poi è stata riposta tra le cose delicate, sem-pre nel bagaglio appresso, a volte indos-sata, spesso rimirata, sempre oggetto di preghiera e di ricordi significativi.E dopo 25 anni, in un tentativo maldestro di allacciarla al collo, prima una, poi l’altra, sono finite a terra, a pezzettini. E prima che mi decidessi a ricomporle ecco l’invito a ricevere la Croce, in Duomo!“Ancora?” “Un’altra?”E’ la stessa, Renzo, è il Segno che ci accom-pagna, quello per cui partiamo, lasciamo le nostre cose, i nostri affetti, le nostre amici-zie. Non abbiamo paura, Egli è qui con noi!”A Rosangela e Renzo Filippini, già con le valigie pronte per la Papua Nuova Guinea e a Ludovica e Angelo Bocca in partenza per il Cameroun, ben si addice il tema della serata: «Non esistono i lontani, ogni domanda di ogni uomo deve essere la nostra domanda».E Vanimo è veramente lontano, all’estremo della carta geografica; quasi tre giorni di viaggio per raggiungerlo. Mbalmayo non lo è così tanto geogra-ficamente, ma per chi lascia i figli, una nipotina appena nata …andarci è un vero atto di coraggio.

Ed ecco Ludovica e Angelo: “26 ottobre 2013 - Duomo di Milano, ore 21...In Italia da quasi tre settimane, siamo diventati nonni per la prima volta 4 giorni fa e stiamo per ricevere dall’Arcivescovo Scola il crocefisso che, insieme al Mandato, ci accompagnerà per i prossimi 3 anni.Quanti pensieri, emozioni, sentimenti e gioia in una volta sola! Nella magnificenza del Duomo ti senti piccolo, cosi come ti senti piccolo di fronte all’amore di Gesù che ti chiama ad un amore sempre più grande.E il tuo pensiero corre a chi hai lasciato per andare in Cameroun e ai nuovi compagni di cammino che là hai trovato. Ti domandi allora se sarai veramente capace di essere un compagno di strada aperto all’altro, di essere all’altezza della fiducia in te riposta e dei compiti che ti sono stati affidati, di ricordarti sempre che sei straniero, ospite e bianco. Capisci allora che i prossimi 3 anni, seppur non facili, saranno certamente molto ricchi e arricchenti. E affidi al Signore tutto quello

che c’è nella tua m e n t e

e nel

Il mandato missionariotuo cuore in questo momento, perché lo con-servi presso di Sé donandoti la Sua forza e la Sua grazia.Il coro incomincia a cantare, la Veglia Missio-naria 2013 ha inizio”.In tutto 23 sono i partenti, sacerdoti, suore e laici a cui l’Arcivescovo consegna il crocifisso dopo aver spiegato che cosa significa fidei donum, il dono della fede: “I missionari che partono hanno scelto con dedizione e libertà di rispondere al bisogno di tanti fratelli nel mondo che sono nella miseria, esposti alla morte anche da piccolissimi. La loro scelta di partire è adesione allo stile di Gesù che si dona completamente e si mette in gioco in prima persona”.Le parole di Scola sono rivolte non solo ai partenti, ma a tutti i fedeli anche a quelli che restano: “n o n e s i s to n o i lo nt a n i ” s ia m o chiamati a “par-tire senza partire” e “vivere ogni rela-zione nella verità e nella larghezza di orizzonte senza la quale non si può vivere il presente e pensare il futuro”.

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D’AUTUNNOdi Pia Airoldi

assembleaIntanto dalle finestre entra più luce: il sole deve aver fugato la foschia mattu-tina e forse le due Grigne appaiono, come ieri, bellissime sotto la prima neve. Sono passate le 11 e l’assemblea discute sulle modifiche da apportare allo statuto. Gli interventi sono numerosi e alla fine viene proposta una commissione allargata che studi a fondo come arrivare all’autonomia dei gruppi locali accomunati tra loro e con Barzio dallo stesso spirito che ha animato per oltre mezzo secolo il COE.

Non è la bella giornata che ci attendevamo: il cielo è grigio e forse fa freddo fuori ma nell’auditorium del COE a Barzio l’atmo-sfera è calda. Le seggiole predisposte non bastano: alcuni dei partecipanti hanno tro-vato posto sui passaggi laterali. Oggi la grande novità è la presenza del nuovo assi-stente e presidente della fondazione COE, don Angelo Puricelli, un nome e un volto già noto a molti di noi perché da tempo collabora per la parte spirituale ad alcuni momenti quali la mongolfiera, gli incontri delle famiglie aperte, ecc. Don Angelo ha già molti impegni in quel di Lecco, tra cui la non lieve responsabilità del collegio Volta, ma la sua disponibilità e la vicinanza geo-grafica promettono una collaborazione as-sidua e fruttuosa. L’assemblea l’ha accolto con gioia e a lui vanno il benvenuto e gli auguri più vivi per questa nuova missione anche da tutti i soci e volontari collegati dalle diverse parti del mondo.Oggi meditiamo con don Angelo sull’episodio del cieco guarito da Gesù (Gv 9, 1-7) come traccia per il percorso del volontario cristiano. Alla sua riflessione seguono la relazione della presidente e quella di Dario sulla si-tuazione finanziaria e le prospettive per il futuro dell’associazione giacché le an-tiche fonti di sovvenzionamento si sono del tutto esaurite.

Poi eccoci tutti in cappella: il celebrante principale è don Giuseppe Longhi di cui vogliamo ricordare i 50 anni di sacerdozio e con lui sono don Angelo e don Jacques, un giovane sacerdote camerunese venuto a stare per qualche giorno a Barzio. La festa si conclude con un ultimo momento convi-viale: quello del pranzo in cui come sempre le volontarie cuoche hanno dato il meglio. Mentre gustano i cibi, i commensali scam-biano esperienze, opinioni, osservazioni: ci si conosce e si diventa amici …La giornata tende ormai decisamente al grigio, le montagne scompaiono dietro la nuvolaglia, ma il rosso acceso delle foglie del ciliegio giapponese oltre i vetri della fi-nestra fanno pensare alla vita che continua per riprendere un giorno con nuovo vigore.

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una frenata...

La frenata fu piuttosto brusca. Il muso della ”600” già inoltrato nei segni del pas-saggio pedonale, a brevissima distanza dal corpo del ragazzo,che portava in mano delle buste. Entrambi indossavano una divisa: la ve-ste talare nera l’uno ed un abito grigio da commesso l’altro. Quasi istantaneamente si riconobbero: il professore di lettere, al terzo anno del liceo classico seminariale ed uno dei suoi allievi, che rimanevano incantati dalle sue letture di Omero. Erano piuttosto, quelle letture, appassionate interpretazioni, capaci di suscitare par-tecipazione e sentimenti.Erano passati circa due anni, durante i quali molte cose erano cambiate. Il Professore era divenuto rettore del Collegio arcive-scovile di Saronno ma seguiva anche l’av-vio delle prime scuole medie pubbliche in Valsassina. Il giovane aveva collaborato alla grafica dei giornalini di classe realiz-zata con il ciclostile.Nella primavera del 1960, non ancora di-ciassettenne, era entrato nel mondo del lavoro, come commesso alla Banca Popo-lare di Lecco, presso la filiale di Barzio. Per iniziare un percorso di formazione si era

di Lucio Motta

acceleranteiscritto ad un corso specifico per impiegati bancari, tenuto per corrispondenza con l’Istituto Volontà di Roma. Era l’internet di quei tempi. Una via seguita da diversi giovani, nelle condizioni di reddito e di mobilità tipiche di quei tempi, tanto più nelle aree periferiche. Frequentava, inol-tre, un corso serale di inglese, promosso dal Comune. Questi impegni erano stati avviati dopo una fase di incertezza, se non di crisi, seguita all’interruzione degli studi classici, a sua volta connessa, anche, a situazioni familiari.Conosciuta la situazione, il Professore delineò subito una strada alternativa. Il giovane avrebbe potuto prepararsi pri-vatamente all’esame di ammissione alla quarta Ragioneria, per poi completare sino all’ottenimento del diploma. Gli avrebbe mandato lui stesso alcuni libri usati ed il programma ministeriale.Dopo non molto tempo, non senza un po’ di sorpresa, arrivò il pacco. Fu subito integrato dall’acquisto dei testi mancanti, facendo ricorso al risparmio ottenuto tra-mite l’ordine diretto dal grossista ove la-vorava il fratello e dando fondo ai piccoli risparmi provenienti dalle mance ottenute

Francis Kammogne, coordinatore del Centro Sportivo Camerunese, ha incon-trato Papa Francesco in occasione del Seminario Internazionale CREDENTI NEL MONDO DELLO SPORT, che si è tenuto in Vaticano il 21 ottobre 2013. Proposto dal Pontificio Consiglio della Cultura in collaborazione con l’Ufficio Nazionale per la Pastorale del Tempo libero, Turismo e Sport della CEI l’obiet-tivo del Seminario era iniziare una seria riflessione sul ruolo e i linguaggi del mondo dello sport all’interno della cultura contemporanea. Pensiero guida quello di Giovanni Paolo II: “Accanto a uno sport che aiuta la persona, ve n’è un altro che la danneggia: accanto a uno sport che esalta il corpo ce n’è un altro che lo mortifica e lo tradisce; accanto a uno sport che persegue nobili ideali, ce n’è un altro che rincorre il profitto…”. Tuttavia la pratica sportiva va considerata non solo come fonte di benessere fisico, ma “come ideale di vita coraggioso, positivo, ottimista, come mezzo di rinnovamento integrale della persona e della società”.

Educatore attento, don Francesco, era capace di scoprire le qualità nascoste e lanciare nella vita. Lucio Motta, dopo una brillante carriera nel mondo bancario, docente univer-sitario, scrittore…, ne dà testimonianza.

per l’attività di aiuto operatore al cinema-tografo dell’oratorio. Nel tempo libero di fine settimana il ragazzo si sarebbe avvalso anche di lezioni private da studenti univer-sitari o da insegnanti, scendendo a Lecco con la corriera. La sfida era stata lanciata!Nella sessione estiva del 1962, utilizzando le ferie, internatosi per tre settimane presso il Collegio Castelli, il giovane so-stenne positivamente le numerose prove d’esame di tutto un triennio, completando in settembre per tre materie per le quali non aveva potuto avere il tempo materiale di uno studio adeguato. La preparazione, benché intensa, era durata pochi mesi, nel solo tempo libero dal lavoro. Il Professore ebbe a scrivere: ”Sono lieto dei risultati ottenuti in così breve tempo…sono certo che a settembre potrai superare quel poco che ti resta.” La prova, insomma,si poteva considerare superata,ormai.Sarebbe risultata, nel tempo, l’inizio di un percorso professionale e di studio piutto-sto lungo, che non è il caso di ricordare qui.Invece è importante tener vivo il senti-mento di riconoscenza per chi aveva indi-cato la strada, incoraggiando i primi passi.

La frenata brusca sulla striscia pedonale segnò, al contrario, proprio una accelerazione progressiva verso fasi significative di formazione, grazie anche a chi aveva fatto del pro-cesso formativo ed edu-cativo un impegno fonda-mentale della sua vita, con grandi risultati.Il Professore era Don Fran-cesco Pedretti.Il ragazzo ero io,Lucio Motta.

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Hakuna Matata è uno dei progetti di edu-cazione alla mondialità proposti dal COE; la sua specificità è lo scambio di corrispon-denza fra classi di scuole italiane e alcune scuole africane e indiane.Dal 2009 la Scuola Media Majno di Gal-larate corrisponde con la Scuola Angela Andriano di Rungu: i ragazzi si sono scam-biati lettere, disegni, fotografie, informa-zioni. Ogni mese di ottobre alla Majno i ragazzi attendono Antonietta Pastori per conoscere le ultime novità sulla vita del villaggio congolese, ricevere nuove foto, assistere alla proiezione di nuovi filmati; poi per tutto l’anno scolastico noi, come coordinatori del progetto Hakuna Matata, aiutiamo gli insegnanti a inserire nei pro-grammi le attività interculturali.L’anno scorso gli insegnanti di lettere hanno chiesto alle maestre di Rungu di farci conoscere delle favole della tradi-zione congolese, così le favole inviate sono entrate a far parte del programma di let-tura. I ragazzi vi ritrovavano convergenze

con le informazioni ricevute dai coetanei sulla vita a Rungu, e anche rilevavano con stupore somiglianze con le nostre favole: ottimi stimoli per approfondire i temi della diversità e dell’identità culturale.Visto l’interesse dimostrato, l’insegnante di Educazione Artistica proponeva di impe-gnarsi collettivamente per pubblicare una delle favole più apprezzate. Alla votazione finale risultava come favola preferita Bindu et la calebasse, forse perché la zucca-re-cipiente dai poteri magici richiamava la lampada di Aladino.L’entusiasmo era inaspettato e non è stato facile assegnare i ruoli, escludendo neces-sariamente dal lavoro “artistico” molti studenti. Quando entravamo nelle classi, i ragazzi divisi a gruppi lavoravano per la stesura della sceneggiatura e per la scelta delle foto di riferimento; era quasi buffo as-sistere alle discussioni sugli alberi della fo-resta di sfondo, sulla forma delle capanne, sugli abiti e le acconciature dei personaggi. Frequenti le diatribe sull’espressione da

dare a Bindu, il protagonista capofamiglia, o sulla tecnica

per rendere suggestiva, attraverso il disegno, la personalità della zucca magica. Na-

turalmente gli “eroi” del mo-

mento erano i disegnatori; era

prevalso l’in-tento edu-c a t i v o

su quello estetico, per cui ogni pagina era stata assegnata a ragazzi diversi, di classi diverse. A chi faceva notare la diversità di stile, come aspetto negativo, i ragazzi rispondevano che la cosa importante era aver partecipato in tanti. E avevano ra-gione! Il libretto (come lo chiamano gli alunni-autori) è frutto di un lavoro comune, spontaneo e partecipato.Ci hanno quasi commosso le esuberanti manifestazioni di soddisfazione e di orgo-glio di quei ragazzini nel ricevere le prime copie del libretto pubblicato. La dimo-strazione di quanto sentissero “loro” e importante la pubblicazione della favola inviata dalla scuola di Rungu si è avuta nei giorni seguenti, quando i ragazzi, sostenuti dall’infaticabile Prof. di artistica, si sono im-pegnati perfino fuori dall’orario scolastico a pubblicizzare il loro libro, alcuni vincendo la timidezza, altri dimostrando doti im-prevedibili di venditori. E in realtà nel giro di una quindicina di giorni sono arrivati a coprire tutte le spese di pubblicazione.Nella scuola Majno ormai si parla dei ragazzi di Rungu come di amici, lontani ma ben conosciuti; è bello incontrare per strada qualche genitore che ci chiede: come stanno a Rungu? hanno aggiustato le strade? sono arrivati gli stipendi per gli insegnanti? abbiamo sentito alla te-levisione che in Congo c’è un’epidemia di ebola: non sarà arrivata anche a Rungu?! E’ bello perché i figli hanno fatto conoscere agli adulti (di una città se non razzista, certo poco interessata ai problemi del Sud del mondo) i valori di una cultura lontana

e con semplicità hanno svolto un’opera di sensibilizzazione.Non vogliamo enfatizzare, ma ci

sembra realistica una speranza: questi ragazzi, che hanno vissuto

con tanto entusiasmo un’espe-rienza di collaborazione coi

ragazzi di un villaggio afri-cano, non dimenticheranno e saranno un domani citta-dini più aperti al mondo e al valore della diversità.

di Gabriela e Carlo Capello

BINDUcalebassae la

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Al progetto Hakuna Matata hanno partecipato anche classi di studenti di scuole superiori, impegnandosi in un percorso di conoscenza reciproca, di amicizia e di collaborazione che già coinvolge alcune Scuole materne, primarie e secondarie di primo e secondo grado italiane e Scuole di Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina.A questo progetto da qualche anno hanno aderito l’ISIS di Gal-larate e l’Istituto IFA di Mbalmayo (Camerun). Gli studenti hanno svolto un programma di conoscenza reciproca e di collaborazione a vari livelli. Una conoscenza diretta, sia pure a distanza, fra giovani di culture diverse, attraverso lettere, fil-mati, fotografie e testimonianze.L’iniziativa è stata proposta e sostenuta da alcuni volontari dell’As-sociazione COE in collaborazione con alcuni insegnanti e dirigenti delle scuole oggetto dello scambio e con la partecipazione po-sitiva e costruttiva degli studenti.Alla fine dello scorso anno scolastico a conclusione del percorso è stata organizzata, all’ISIS di Gallarate, una mostra che ha presen-tato tutto il lavoro svolto nell’arco dello scambio dalle due scuole.“Ponti oltre i pregiudizi” è stato il significativo titolo della mostra che ha rappresentato lo sforzo degli studenti per superare ste-reotipi e pregiudizi e avviare rapporti di conoscenza e di amicizia tra lontani e diversi di cultura. Certamente i frutti si vedranno in un cambiamento di mentalità e in una maggiore capacità di tolleranza e di accoglienza reciproca. Anche quest’anno è stato ripreso il programma di scambio fra i due istituti inserendo nuove classi e un tema comune “IL LA-VORO” da sviluppare nell’arco dell’anno per permettere una

riflessione e un confronto fra stu-denti in realtà di-

verse.

di Anna e Enrico Mainini

ponti oltre ilIn linea di massima aderiscono al progetto :

per l’ISIS 5 (cinque) classi:• Classe 4BMM - Insegnante di riferimento: Sartori Carla • Classe 4AA - Insegnante di riferimento: Coppa Chiara• Classe 3 ENG - Insegnante di riferimento: Lostaffa Andrea • Classe 3 AB - Insegnante di riferimento: Delle Palme Claudia • Classe 1 B - Insegnante di riferimento: Mocchetti Monica

per l’IFA 8 (otto) classi:• Classe: 4e décor : insegnante di riferimento Bouyé Saturnin• Classe Seconde AF1: insegnante di riferimento Roger Olinga AF2: insegnante di riferimento Collins Dibantchou AF3: insegnante di riferimento Antoine Tchoumga • Classe Première AF1: insegnante di riferimento Roger Olinga AF2: insegnante di riferimento Jean Jacques Kanté AF3: insegnante di riferimento Antoine Tchoumga • Classe Terminale AF: insegnante di riferimento Madeleine Meunje

Coordinatori dello scambio sono Gabriela e Carlo Capello, Anna e Enrico Mainini e Paul Assako.

Nella missione che stiamo compiendo in Cameroun porteremo le lettere dei ragazzi dell’ISIS di Gallarate agli studenti dell’IFA e faremo altrettanto al nostro ritorno per gli studenti dell’ISIS.

pregiudizio

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Chi conosce Giuseppe Viganò, anno 1925, sa che dietro l’apparenza modesta e il sor-riso spiazzante si trova una volontà tenace che non si arrende a nessuna difficoltà e un cuore grande e capace di affrontare l’impossibile per arrivare ai più poveri nel mondo. La sua vocazione missionaria, così intende vivere il suo impegno, è nata in una famiglia dove due fratelli e una sorella hanno scelto di partire per la missione. Giuseppe non ha voluto essere da meno quando ha creato attorno a sé gli Amici di Evangelizzazione e Promozione Umana dell’ospedale di Monza e ha iniziato una campagna di sensibilizzazione sul pro-blema dell’acqua lanciando la Mostra del Presepe e ottenendo dalle autorità citta-dine monzesi di collocarla per diversi anni nel prestigioso palazzo dell’Arengario.Da allora Giuseppe si è fatto umile e in-stancabile pellegrino andando di scuola in scuola per tutta la Brianza a parlare con insegnanti e studenti del grave pro-blema che affligge i bambini più poveri del mondo: la fame e la sete. Sorprendente è stata la risposta di oltre un centinaio di scuole di ogni ordine e grado che ogni

omaggio a

Giuseppe Viganòuomoinfaticabilee a una lodevole iniziativa di Carla Airoldi

anno concorrono a realizzare presepi con le più svariate tecniche e i più svariati ma-teriali, veri capolavori di creatività e di fan-tasia, ispirati al tema educativo e religioso proposto da Giuseppe. Non secondario è il tema della solidarietà che di anno in anno pone l’attenzione ai bisogni e alle emergenze segnalate soprattutto da due associazioni impegnate sul campo: Africa Mission di Piacenza che opera in Uganda e il COE di Barzio.Giuseppe Viganò ha affrontato personal-mente le fatiche di un viaggio in Uganda dove sono stati scavati numerosi pozzi e dove è stata realizzata la Scuola Città di Monza a Lopotuk e poi di viaggi in Came-roun e in Congo dove ha portato apparec-chiature mediche, facendosi accompagnare da medici e paramedici per insegnarne l’utilizzo al personale locale. E’ stato anche in Bangladesh nello sperduto villaggio di Amtola, distrutto dall’alluvione, dove è stato creato un pozzo d’ acqua e sono state costruite trenta case per la gente. E l’instancabile Giuseppe quattro anni fa si è immerso anche nella realtà di Tshim-bulu, richiamato da un sentito appello di Monsignor Antonio Barone, che ha pro-mosso l’ospedale congolese e in una serata di inaugurazione della Mostra, ha fatto presente la situazione drammatica in cui versano moltissimi bambini denutriti per i quali è stato creato un Centro nutrizionale dove sono curati con apposite terapie. I più gravi che hanno bisogno di essere ricoverati in ospedale non trovano però uno spazio adeguato. Giuseppe e i suoi amici, che a Tshimbulu avevano già realizzato un pozzo, tanto ap-prezzato dalla gente del villaggio, hanno promesso di impegnarsi per costruire la Pediatria dell’ospedale. E intanto che mattone su mattone il re-parto sta crescendo, anche la 18^ edi-zione della Mostra del Presepe, che sarà aperta dal 19 al 29 dicembre al Binario 7 di Monza, è dedicata a raccogliere fondi per questa importante realizzazione. Per questa edizione della Mostra Giuseppe Vi-ganò ha scelto un tema bello e intrigante: “Da San Francesco a Papa Francesco. Uno stile di vita”, proponendolo a tutti noi. Grazie Giuseppe perché la tua costanza e la tua generosità sono di grande esem-pio per tutti.

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Valerio Fullin, volontario a Tshimbulu in Congo R.D. con la famiglia, mensilmente aggiorna gli amici con un simpatico Rapporto da cui riprendiamo alcuni spunti

ContainerArrivato in tempi record il container con il nuovo gruppo elettro-geno e il materiale per il laboratorio e il gabinetto ottico.Partito ai primi di agosto dall’Italia, è arrivato a Tshimbulu il 21 ottobre. Questa volta tutto il materiale ha viaggiato per strada da Kinshasa a Tshimbulu in una settimana. Bella comodità per-ché ci ha risparmiato di dover andare a prenderlo a Kananga se fosse venuto via aerea.Nel container c’erano anche i letti per il nuovo padiglione e... qualche aiuto umanitario (pasta, olio, acciughe, capperi...) per i poveri volontari.

Padiglione Pediatria in costruzioneI lavori avanzano velocemente nonostante i fornitori ritardatari. Avremmo già finito di coprire tutto se quello che ci doveva dare le tolle ce le avesse date tutte; invece ne mancano 60 che arri-veranno questa settimana. Comunque si va svelti anche perché Emanuele adesso è aiutato da sua sorella nella direzione dei lavori.In attesa delle tolle sono cominciate le sistemazioni esterne e il fissaggio dei serramenti. Una volta finita la copertura comince-remo con i plafoni e gli impianti.

Attività sanitariaCi siamo, ottobre è il mese nero per la malnutrizione. La pediatria è stata letteralmente invasa dai piccoli malnutriti con un tasso di occupazione letti del 94%. Purtroppo per qualcuno non c’e’ stato nulla da fare. Dall’inizio dell’anno il trend di ospedalizzazioni in pediatria sta aumentando. Per fortuna i lavori al nuovo padiglione stanno avanzando veloci e presto si potrà dare posto a tutti.

Attività Sanitaria Agosto Settembre Ottobre

Consultazioni curative totali 307 256 271

Consultazioni prenatali nuovi casi 53 47 58

Parti 38 41 43

Bimbi a ciclo vaccinale completo 20 26 25

Ricoveri totali 167 153 153

Tasso occupazione letti 56,95% 55,45% 55,8%

Decessi posti 48h 6 5 4

Centro nutrizionale 13 17 19

di Valerio Fullin

Reparto Pediatria a Tshimbulu

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Dopo l’anno di servizio civile Emma è tornata a Garoua: una scelta più ma-tura per un servizio a chi vive il disagio della strada o addirittura della prigione e aiutare le persone a scoprire se stesse per riscattarsi con le proprie risorse.

Quando varco le sbarre di ferro ed entro in prigione, l’aria si fa densa e gli odori più intensi. Subito qualche ragazzo si offre per portarmi la borsa, per gentilezza sicura-mente, ma vedo che i suoi occhi cercano di scorgere se questa volta ho portato i pennelli, i pastelli o semplicemente delle matite. Come una buona notizia, subito il mio arrivo passa di bocca in bocca e non devo aspettare molto prima di veder ar-rivare in gruppo i minori detenuti. Sono circa una cinquantina e ci ritroviamo tutti insieme nella cappella della prigione, l’u-nico posto tranquillo in cui potersi sedere per svolgere le attività. La cappella non ha finestre, la luce è un lusso e l’unico spira-glio da cui entra un po’ di aria è una sgan-gherata porta di ferro, che un guardiano tiene chiusa per evitare di essere disturbati. A volte qualche topo viene a farci visita. Oggi ci guardiamo alla specchio, dico. C’è chi inizia a ridacchiare, altri si agitano, qual-cuno seduto in fondo rimane tranquillo ma chissà cosa sta pensando. Guardare se stessi allo specchio: può sembrare un gesto ridicolo per noi, abituati a spec-chiarci almeno un paio di volte al giorno, ma per loro è tutt’altro. Non si guardano allo specchio da quando hanno messo piede in prigione, e di tempo ne è passato. Alcuni sono in carcere in detenzione provvisoria da più di sei mesi, altri stanno scontando la pena di un anno, i più for-tunati usciranno a breve. Sei mesi senza mai potersi guardare sono tanti, so-prattutto quando si ha 17 anni, ma an-cor di più quando ci si ritrova in un luogo, come la prigione, che ti cambia completamente: si dimagrisce, la pelle viene rovinata dalla scabbia e dai bru-foli, gli occhi si infossano e si spengono. Quando faccio girare gli specchi fra le loro mani consiglio di cominciare a pic-coli passi, di partire da un particolare e

insolo quando se la sentono di guar-darsi interamente riflessi. Ma qual-cuno non ce la fa ad aspettare e gira subito lo specchio. Smor-fie, sguardi fissi nei propri occhi, osservazioni at-tente al partico-lare, lacrime. Un insieme indistinto di sensazioni, il riappropriarsi di una identità che spesso è stata c a l p e s t at a , l a consapevolezza di avere ancora un volto e di non essere solo un numero in f i la per la raz ione giornaliera. Di-scutiamo tanto, sulle emozioni s u s c i t a t e , s u i cambiamenti del volto, sulle paure che stringono in una morsa i loro pensieri. C’è la p a u r a d i n o n us c i re p iù d a l carcere, la paura della morte, la paura di non trovare più amici, i rimorsi, la nostalgia di casa, il desiderio di cambiare, la speranza di un futuro semplicemente più “bello”. Non sempre mi è facile con-durre i colloqui con loro: hanno talmente tante cose da esternare che contenerle tutte diventa arduo. Per questo a volte li faccio disegnare, per aiutarli a prendere un solo pensiero, un’emozione alla volta ed insieme cercare di dare un senso a quello che stanno vivendo. Come dicono loro “la prigione ha un gusto d’inferno ma si deve avanzare fino alla fine del tunnel”.

di Emma Montorfono

in prigioneIn prigioneho visto gente morire a fuoco lentoperché nessuno se ne curava,nessuno c’era in quel luogoa chiuder loro non fosse che gli occhi.In prigioneho visto gente languire di fameperché avevano troppo sofferto,ho visto gente soffrir la seteeppure non erano in un deserto.In prigioneho visto gente in catenecome per andare all’infernoin fila come nelle navi negrieredietro solide porte di ferro.

per me tu seiUn’umile casa di fatica.Sono fuggito da te per paura,molto dopo ho capito il mio erroree il rimpianto ha riempito il mio cuore.Illustre casa di tenacia obbligatatrasforma la mia esistenza,accetta da me gioia e riconoscenza:per sempre vivrò della tua esperienza.O scuola di vita e di saggezza,accetta la mia piccolezza.Io rinuncio al male e alle sue prodezze,tu libera l’anima mia dalla tristezza.Tu, la più temibile delle armi,se colpisci i fuorilegge disarmatiessi chinano gli occhi lacrimanti:o prigione, io ammiro questa meraviglia.

prigione

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la forzaUn altro mese forte ed intenso, profondamente segnato dalla notizia del naufragio di Lampedusa, paradigma della follia di que-sto nostro povero mondo, sempre più drammaticamente diviso tra chi ce la fa e chi disperatamente ci prova. La sensazione di impotenza, apnea, orrore paralizzante mi hanno posseduta per un paio di giorni; come se nulla avesse senso, come se stessi nuo-tando contro una corrente troppo forte, ed a colpirmi e ferirmi ancor più che il fatto in sé, la pochezza dei commenti meschini e razzisti, finché la saggezza indigena mi è venuta incontro un’altra volta e mi ha fatta uscire dalla nebbia.Era un pomeriggio di pioggia di quelli che non si possono imma-ginare finché non si provano, ed anche quando ci si è dentro, si stenta a crederci. Ero a San Marcos, una follia mettersi su una barca per tornare a casa, così sono salita su un tuc tuc. La strada era un fiume, tanto da costringerci a più fermate, per evitare che la corrente ci trascinasse via. Il ragazzino che stava alla guida ha iniziato a chiacchierare, fino ad arrivare a raccontarmi che il suo bebè era morto 10 giorni dopo la nascita. “E’ necessario imparare ad accettare la parte in ombra della vita. Tutto è luce ed ombra, ma guai a perdersi nell’ombra, si deve guardare alla luce, altrimenti ci si perde”. Mi sono sentita rinascere all’ascolto di quelle parole, gridate in uno spagnolo stentato, per vincere il rumore assordante della pioggia; mi sono sentita ancora una volta una bianca privilegiata, con la possibilità di stare a rimuginare, di scoraggiarsi, di vedere nero. “Non c’è tempo per la tristezza, se lasci che ti prenda la vita ti mangia”, mi disse qualche anno fa la mamma di Flavio, il giorno dopo il suo funerale, seduta dietro una catasta di pomodori da vendere al mercato.Ed ancora quella “fuerza luchadora”, me la sono sentita scorrere tra le vene, col dovere di non mollare, di schierarmi ancora, e di lasciare i dubbi ad altri.E a fare lo sforzo di vedere la parte illuminata della luna ci sono tante cose di cui essere felici ed orgogliosi, tutti assieme. La scorsa settimana Centro Maya ha approvato il suo piano stra-

di Mari con Marco Elia e Giulio

tegico triennale; un lavoro, questo, iniziato quasi un anno fa con Marneo, che è stato qui 5 mesi come volontario, ed ha condotto i gruppi di lavoro (genitori, utenti, lavoratori, volontari, finanzia-tori di Centro Maya), per arrivare a costruire un piano di lavoro fatto di obiettivi, attività, risultati ed indicatori di verifica, lavoro quest’ultimo, in cui ho accompagnato il Consiglio di ammini-strazione di Centro Maya in infinite ed estenuanti riunioni fino a tarda sera negli ultimi 4 mesi. L’assemblea che l’ha approvato era composta da genitori, madri e padri, coi loro figlioli “speciali” al seguito, legati alla schiena nella fasce colorate, come si fa qui; piedi scalzi, mani rugose, volti stremati, abiti fradici di pioggia, ad alzare uno ad uno i palmi per approvare all’unanimità.E poi c’è l’attivazione del primo tirocinio esterno: Sergio, 17 anni, sordo, di Santa Clara, sta lavorando due giorni alla settimana in un’associazione locale che produce ortaggi biologici, e piano piano le barriere si abbattono, le persone ci conoscono, ed il pregiudizio lascia spazio alla stima.

di LOTTARE

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“Essere una donna Dalit vuol dire essere un peso: per i tuoi genitori, per tuo marito e per la società intera”: queste sono le parole di una donna appartenente alla minoranza fuori casta dei Dalit. In Bangladesh, la comunità Dalit ha sempre subito grandi discrimina-zioni, tradizionalmente relegata ai margini della società e costretta a svolgere le mansioni più umili. La posizione delle donne Dalit è ancora peggiore, dal momento che esse sono soggette a soprusi e violenze anche per via dell’appartenenza al genere femminile. Quando ho deciso di svolgere un periodo di volontariato presso l’ONG bengalese Dalit, ho avuto l’opportunità di osservare da vicino la situazione femminile, soprattutto nelle zone rurali e nei villaggi dove si svolgono i progetti. Ho conosciuto molte ragazze che sono state costrette dalla famiglia a sposarsi tra gli 11 e i 15 anni, nella completa noncuranza delle leggi vigenti, seguendo la tradizione e con l’aiuto delle autorità locali che chiudono un occhio o si prestano a certificare che spose bambine abbiano 18 anni. Il matrimonio precoce comporta che le ragazze debbano abbandonare i propri studi e dedicarsi interamente alla cura della casa e dei figli; questo impedisce o rende molto difficile che tro-

vino un lavoro, spesso ostacolate dal marito o dalla famiglia che sono

contrari al fatto

di Laura de Matteis

formazione di ragazze adolescenti in Bangladesh

che la donna possa generare un reddito e diventare indipendente. Ma durante il mio soggiorno ho anche avuto il piacere di cono-scere molte donne che stanno lottando per l’emancipazione, come quelle che lavorano presso l’ONG Dalit come maestre o nello staff, o tante altre che, grazie all’azione dell’ONG Dalit e al progetto cofinanziato dalla Fondazione San Zeno e dal COE, hanno potuto svolgere dei corsi professionalizzanti (un corso di informatica con certificato finale riconosciuto dal governo e un corso per disegnare abiti con la tecnica tradizionale del block batik). Le partecipanti avranno la possibilità di usare le abilità e competenze acquisite attraverso i corsi nella ricerca di un impiego, in modo da non essere più considerate un “peso”, come diceva la donna intervistata all’inizio. Inoltre, grazie a un sussidio periodico per le spese scolastiche, possono continuare gli studi e alcune di loro frequentano l’università. Infine, partecipano a seminari di sensibilizzazione su tematiche sociali e diritti umani, durante i quali ricevono informazioni e consigli pratici e vengono coinvolte in prima persona; a tal proposito, una di loro mi dice: “Adesso so che posso parlare, che posso esprimere la mia opinione; durante questi seminari ho la possibilità di parlare davanti a tutti”.Il lavoro dell’ONG Dalit e dei suoi partner e sostenitori è fonda-mentale per dare un futuro a queste ragazze, che attraverso l’istru-

zione e l’acquisizione di abilità pratiche possono riuscire a mettere fine ad una vita di sottomissione e abusi. Tutto

questo ce lo confermano le pa-role di un’altra beneficiaria del progetto: “Da quando conosco il

Dalit vedo una vita diversa, l’as-sociazione mi ha dato coraggio e ispirazione. Prima l’unica cosa che contava era formare una famiglia,

adesso invece mi rendo conto che il mondo è più grande e che posso fare tante cose, posso lavorare.”

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Lino, direttore dell’associazione Dalit con la quale il COE collabora da anni, ci descrive la situazione in cui versa la popolazione di Tala in Bangladesh, i cui villaggi sono da mesi sommersi dall’acqua di una forte alluvione e fa appello alla nostra generosità per continuare a portare aiuti indispensabili.

Durante le piogge monsoniche dei mesi scorsi 68 villaggi della zona di Tala (Satkhira) sono stati colpiti da un forte alluvione e sono rimasti sommersi per quasi tre mesi; poi recentemente ha nuovamente piovuto molto per cui il livello dell’acqua è salito ulteriormente causando grandi danni a persone raccolti, abitazioni, animali ... Il problema maggiore è la mancanza di drenaggi che possano scaricare l’acqua verso i fiumi; inoltre il livello dei fiumi si è alzato a causa del progressivo riempimento con sabbia e detriti causando un ritorno dell’acqua verso i villaggi stessi e peggiorando ancor di più la situazione.Nella zona di Tala la Ong Dalit ha 12 scuole e quindi bambini e studenti hanno difficoltà per andare a scuola ed inoltre le scuole stesse sono sommerse dall’acqua per cui la situazione è tragica.Praticamente ora nei villaggi l’acqua è ferma e anche imputridita ma gli abitanti, non avendo alternative, fanno il bagno in quest’acqua con conseguenti gravi problemi di salute quali diarrea, ameba, dissenteria, epatite e malattie delle pelle.Questa gente ci sta chiedendo aiuto ed anche le autorità governative locali, essendo prive di mezzi, ci chiedono di fare qualcosa in questa zona.Per tutto questo vi chiediamo con un gesto di generosità di contribuire per dare un aiuto economico a questa gente mediante una raccolta straordinaria di fondi che serviranno per organizzare campi medici nei villaggi dove lo staff di medici e paramedici del Dalit può portare cure, medicinali e beni di prima necessità.Faccio presente che per intervenire con un campo medico in un villaggio, occorrono almeno 300 euro con i quali si possono aiutare più o meno 300 malati.Facciamo appello alla vostra generosità per poter dare un aiuto concreto a tante persone sfortunate.

Un caro saluto a tutti voi.

di Lino SwaponCARI AMICI...

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A Barzio, il 17 settembre c’è stata la festa delle tre”giovani” 80enni, nell’ordine di data, GioVanna, Maria e Agnese: festa dolcissima e con grande sorpresa, Maria e io ci siamo viste recapitare due biglietti aerei, dono munifico di Don Antonio Ba-rone, andata e ritorno per Kinshasa al fine di vedere l’evoluzione del Foyer Saint Paul.Arriviamo a Kinshasa di notte, 3 ottobre, accolte da Graziosa e Toubi che ci portano velocemente a casa per una rapida cena e un buon riposo. L’impatto con la “villa”, come qui chiamano il fabbricato “acco-glienza COE”, è grande: nel 2008, quando iniziarono le trattative d’acquisto di uno spazio destinato al foyer universitario, se da un lato lo spazio in esame era molto bello, sulla collina, vicino all’università , con una vista su Kinshasa, incantevole, la “villa”, abbandonata dai suoi proprietari compromessi con il regime Mobutu, era un orrendo rudere, devastata da un’occu-

pazione selvaggia, di persone poverissime, desiderose sol-tanto di potersi riparare sotto un tetto. Oggi la villa che ci accoglie, con la gradita presenza della famiglia Balestra: Giuseppe, Anne Marie e i piccoli Stephan e Letizia, è un posto funzionale, spazioso che in mattinata si mostra pieno di luce, con una bella sala riunione, sala da pranzo, una raccolta cappella, belle stanze per gli ospiti, e accoglienti uffici. Ma accanto c’è un fabbricato tutto nuovo che è il foyer per i giovani universitari, ai quali il progetto offre un soggiorno gratu-ito per tutto il loro periodo scolastico (ov-viamente se si dimostreranno meritevoli di tale opportunità): descrivere questo edifi-cio prenderebbe molto tempo, si pensi che oggi ospita già 50 giovani che dispongono di aule, biblioteca, sala computer, ampie camere da letto, modernissime cucina e lavanderia, un portico ampio per sostare

ritorno indi Giovanna BonviniCongo

durante le giornate calde. Ma c’è anche un bel campo da

football e un orto, coltivato dagli stessi ragazzi, che fornisce le verdure di cui fanno un ampio consumo. Il comprensorio ospita in una piccola casa anche un gruppo di ragazzini di strada, e poco distante, in un altro complesso, sono ospitati dei bambini soldato. I bimbi sono seguiti, oltre che da accompagnatori professionali anche dagli stessi studenti universitari che così si confrontano con le estreme povertà del paese e apprendono la generosità e la gratuità del dare.Vedere questo grande progetto, cresciuto in meno di 5 anni mi ha riempito di com-mozione e una volta di più ho meditato sulla circostanza che mi ha fatto incontrare con tanta abbondanza di dono il COE.Ritornare a Kinshasa per me significava anche rivedere gli amici di un tempo con i quali ho lavorato anno dopo anno

sia pure per pe-riodi frammentati almeno 13 anni . Valère, per tanti anni mio omologo congolese, nei di-versi progetti, mi ha fatto l’improvvisata di incontrare più di una trentina di vecchi animatori: i ricordi si sono snoc-ciolati tutto l’arco del pomeriggio tra gioia e nostalgia e improv visazioni, c o m e a i v e c c h i tempi del glorioso teatro Cenasc. Mi è rimasta la nostalgia di non avere avuto il tempo di rivedere la 3^ strada di Limete dove ho abitato per tanti anni. Una ve-

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Congolocissima mezza giornata è stata dedicata anche alla Ferme Ezechiele, la coltiva-zione del terreno si è estesa, ma ancora restano superfici incolte. Ci sono già dei bei maialini (Graziosa ce ne ha cotto uno buonissimo), un allevamento di galline e uno di conigli. A gruppi successivi, per il progetto “Kicasobu” dove ragazzi giovani, tra i 16 e i 25 anni, vengono formati all’arte agraria: lo spazio della ferme è una bella palestra di esercitazione.Ci sono stati anche altre incontri ricchi di ospitalità e gioia, come la cena nella nuova abitazione di Valerè, la cordiale vi-sita dalle suore di Monganfula, l’edificante visita al progetto “biblioteche” che cresce in una incredibile povertà di José Bau. Ma soprattutto il bell’incontro con Gabriella: mamma a 70 anni di 5 bambini di strada, piena di serenità e di voglia di far crescere nell’amore creature private di tutto.Ma che dire di Kinshasa ? L’eccitazione e la gioia di vedere tante belle novità non sono riuscite a mitigare la tristezza e la rabbia di vedere come la città cade nel disfacimento più totale. Strade impercorribili (3 ore per andare all’aeroporto), percorsi, come quello per andare alla ferme, che mettono in serio pericolo i mezzi di trasporto, ma anche le persone. E poi, sporcizia ovunque a rischio di epidemie. Maria che aveva fatto una breve sosta di passaggio per Rungu negli anni ‘80, non poteva capacitarsi di quanto osservava. Perché tutto questo, perché tanta disattenzione dei governanti? Perché tanta rassegnazione? Perché tanta passività anche da parte dei giovani che per vivendo in una città universitaria, non si confrontano con gli enormi problemi sociali di questa città pur così ricca nel suo sottosuolo minerario?

L’incontro tra il museo di ceramica Giuseppe Gianetti di Saronno con artisti, arte terapeuti, specialisti, intende promuovere e diffondere il concetto del prendersi cura di sé attraverso la “Terapia culturale” per il miglioramento della qualità della vita di tutti. E’ la risposta a un bisogno impellente sul territorio di ritrovare una dimensione di qualità della vita attraverso una relazione più intima con l’arte, nel contesto della quotidianità delle persone, cercando di coinvolgere il pubblico in un percorso di riconoscimento e partecipazione. Attraverso diverse azioni quali mostre, laboratori e incontri sarà realizzato questo progetto sul territorio di Saronno e province attigue per tutto l’arco dell’anno. Forti fragili bellezze è il titolo per raccontare questo incontro tra la bellezza, interna ed esterna e la fragilità, del materiale ceramico ma anche della malattia, e della forza, la tenacia e la continua lotta di queste donne.La storia dell’arte ci dimostra come da sempre l’uomo ami circondarsi di cose belle, dalle opere d’arte all’artigianato, sia esso di nobili origini o realizzato con materiali poveri, e come questo ricreare un luogo “bello” e intimo spesso sia coinciso con un luogo interiore. L’incontro con Sara Russo, arte terapeuta, e Veronica Mazzucchi, artista fibro-mialgica, ci ha dato la possibilità di conoscere un aspetto molto interessante dell’arte, praticata a scopo terapeutico con pazienti seguiti da equipe medica. Da questo incontro è nata la volontà di parlare di una malattia ancora poco conosciuta, che colpisce maggiormente le donne, e di parlarne attraverso un progetto sulla bellezza. A partire dal Convegno DIALOGO TRA MEDICINA E ARTE NELLA CURA DELLA FIBROMIALGIA presso la Villa Gianetti, andremo a sviscerare le varie forme del rapporto tra arte e corpo, con diverse azioni.

• Mostra FERITE. Dialogo tra psiche e soma. Opere di Veronica Mazzucchi (artista fibromialgica) e Sara Russo (artista-arte terapeuta). Una mostra al femminile, dove tema centrale è il corpo e la relazione con esso.

• Autoritrarsi. Percorso di ARTE TERAPIA a cura di S. Russo ed equipe psicote-rapeutica con gruppi di pazienti fibromialgici dell’ospedale di Saronno.

• Laboratori sull’autoritratto e sull’arte per gruppi e scuole. • Laboratori per operatori di settore e volontari

• Performance di Elisa Rossini “Ricamare il dolore” Insieme alla performance e alle opere dell’artista verranno esposti TESSUTI E FILATI dalle varie parti del mondo.

• LE DONNE SI RACCONTANO organizzato in collaborazione con il gruppo GIVIS di Saronno sui rituali per la cura del corpo e del sé nelle altre culture.

• Mostra FORTI FRAGILI BELLEZZE. Ceramiche per la cura di sé nei secoli, a cura di Mara De Fanti, Conservatore mu-seo G. Gianetti. L’allestimento di questa mostra fa il punto sull’uso della ceramica dal Settecento ad oggi in relazione alla cura del proprio corpo. Partendo da tre sezioni verranno presentate agli spettatori i vari usi della ceramica in questo ambito: dalla farmacia alla toilette al rituale del tè.

Il percorso continuerà con altre numerose iniziative che fanno capo al Museo in collaborazione con “La tana delle costruzioni” di Vedano Olona e il Comune di Saronno.

forti fragili bellezze

Responsabile: Mara De Fanti, conservatore del Museo [email protected]

La cura del corpo edel sé nell’arte

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Fiocco Rosa...e Azzurro

La famiglia di Maria Antonietta Pastori è stata rallegrata dalla nascita del nipotino Davide.

Nella grande famiglia di Giusy Compagnoni è arrivato il nipotino Gioele, il terzo di quest’anno dopo Natalie e Chiara.Un testo utile a chi lavora in ambito

sociale per aprire allo spirito solidale e contribuire alla ricerca del bene co-mune. E’ destinato in particolare a

responsabili e operatori di servizi alla persona, volontari, docenti universitari, studenti nelle professioni educative, sociali e sanitarie.L’autore è VITTORE MARIANI, pedagogista, docente di Metodologia della gestione integrata del gruppo presso la Facoltà di Scienze della Formazione, è membro del Comitato Direttivo del Centro Studi e Ricerche sulla Disabilità e Mar-ginalità dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano e autore di moltissime pubblicazioni.Il volume affronta, in maniera essenziale ma senza rinunciare alla profondità della riflessione, la metodologia del lavoro in team nei servizi alla persona, finalizzata alla promozione integrale di quanti ne usufruiscono, nelle diverse condizioni ed età della vita. Il testo si suddivide in due parti. La prima propone un itinerario per maturare e consolidare uno stile di vita comunitario, irrinunciabile per impostare e realizzare un lavoro in team efficace. La seconda offre proficui spunti operativi concretizzabili nei vari servizi alla persona e nei diversi ambiti e relative intersezioni: educativo, scolastico, assistenziale, sociale e sanitario.

LaureaRodrigue Emwolo Enock si è laureato in medicina a Roma.

Nel periodo natalizio:

• Dal 26 dicembre al 29 dicembre• Dal 29 dicembre al 2 gennaio• Dal 2 gennaio al 6 gennaio

a Santa CaterinaValfurva, tutti in pista!

LAVORARE IN TEAMManuale per i servizi alla personaEditrice Elledici€ 16

LibriVittorio Mariani

Nel periodo pasquale:

• Dalla cena della domenica di Pasqua al pranzo del mercoledì seguente .

Il COE propone, a chi vuol trascorre una vacanza educativa sulla neve, un’esperienza di apertura alla mondialità condividendo insieme momenti di crescita e di gioia, incontrando persone ed esperienze di culture lontane. La Casa mette a disposizione nel periodo di soggiorno un servizio di “ Full Ski “ con trattamenti particolari per Skipass, Scuola Sci e noleggio attrezzatura.

Per informazioni e contatti: www.labenedicta.org

A Natale vuoi fare un regalo al COE?

Puoi scegliere • un’adozione a distanza (€200 all’anno) per il

sostegno scolastico a un bambino in Camerun o Congo o Bangladesh.

• un contributo per malati poveri in uno degli ospe-dali (Mbalmayo, Garoua, Rungu, Tshimbulu).

• l’aiuto alle famiglie alluvionate in Bangladesh.

e ricorda di donare il tuo 5 x mille ai progetti del COE (c.f. 92012290133)

Grazie!

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19appuntamenti

percorsi formativiBARZIOPISTE DI NUOVA SOLIDARIETA’Approfondimento delle tematiche legate alla geopolitica e alla cooperazione internazionale. La proposta è rivolta in modo particolare a coloro che desiderano fare un’esperienza di volontariato all’estero. Per gli interessati il percorso proseguirà con un corso di formazione personalizzato.

15 Febbraio 2014 | PeriferiaSergio Marelli Esperto in politiche e relazioni internazionaliPeriferie: luoghi e ambiti delle marginalità

“Andate per i crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete,chiamateli” (Mt:22,9) , riflessione di Don Angelo Puricelli, Rettore Collegio Arcivescovile A. Volta di Lecco

Modulo weekend dal sabato alle h.16.00 alla domenica alle h.14.30. È richiesto un contributo per vitto e alloggio. [email protected]

FAMIGLIE APERTEAlle famiglie è proposto un cammino di formazione e di conoscenza delle attività del COE. Si trovano a Barzio per momenti formativi e di amicizia, progettano e sostengono iniziative di solidarietà e organizzano vacanze comunitarie a Barzio o a Santa Caterina Valfurva nel mese di Agosto e per Capodanno.

Abitare le periferie dell’umano per aprirsi all’incontro con Dio

23 Febbraio 2014La periferia luogo del pregiudizio dove sperimentare l’accoglienza incondizionata Testo Biblico: Lc 5,27-32

25 Maggio 2013La periferia luogo della consapevolezza del peccato dove sperimentare la misericordia Testo Biblico 7, 36-4

L’attività inizia alle h. 10.00, prevede un momento formativo con Don Angelo Puricelli, un incontro organizzativo e la S. [email protected]

IN MONGOLFIERAGiornate, per bambini e ragazzi, per la formazione di una mentalità aperta all’incontro e alla condivisione. Ogni giornata è caratterizzata da momenti di gioco, riflessione, preghiera, attività manuali e creative, conoscenza di popoli e culture altre. Un’equipe di volontari segue i partecipanti all’iniziativa divisi in due gruppi, in rapporto all’età

2 febbraio 2014 | 16 marzo 2014 | 18 maggio 2014 | 12/13/14 giugno 2014 (residenziali)

L’attività inizia alle h.10.00 e termina alle h.16.00 con la S. Messa alla quale sono invitati anche i [email protected]

SPIRITUALITA’I momenti di spiritualità sono momenti di condivisione aperti a soci, collaboratori e amici.

27/29 Dicembre 2013Giornate di silenzio e di preghiera contemplando le icone

17/19 Aprile 2014Triduo Pasquale con la comunità del COE : celebrazioni liturgiche e preghiera personale

29 Agosto / 1 Settembre 2014Esercizi spirituali con Don Giuseppe Longhi – Santa Caterina Valfurva

Gli orari sono differenti da incontro a incontro. Possibilità di alloggio presso la [email protected]

MILANOVOLONTARIAMO?Sabati pomeriggio a porte aperte per conoscere le proposte del COE per i giovani, dal Servizio Civile allo SVE, dal volontariato durante il Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, ai viaggi di conoscenza,attraverso l’incontro con responsabili ed ex volontari.

1 febbraio 2014 | 29 marzo 2014

L’attività inizia alle h. 14.30 e termina alle h.18.30. E’ necessario inviare una mail di adesione per [email protected]

LECCOARTE E FEDEDopo l’evento “Arte e Fede 2012”, con focus didattico e pedagogico, quest’anno il COE si propone di affrontare il tema del binomio tra Arte e Fede con un focus sociale e culturale.

Un binomio che genera cultura12 Dicembre 2013 ore 20,45Sala Conferenze di ConfcommercioPalazzo Falk, Piazza Garibaldi 4 - Lecco

Introduce: Enrico Ripamonti, COE

Saluti istituzionali: Giuseppe Ciresa, Presidente Confcommercio LeccoRosa Scandella, Presidente COE

Tavola rotonda: Julia Krahn, Aachen, 1978, artista; Maria Laura Gelmini, Storica e critica dell’arte, Docente di Arte e Bibbia per il Corso interdisciplinare “Figure e temi biblici nella cultura europea” presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano; Domenico Sguaitamatti, Sacerdote, Ufficio Beni Culturali Arcidiocesi di Milano, Canonico Onorario del Capitolo del Duomo di Milano; Angelo Puricelli, Sacerdote, Rettore Collegio Arcivescovile, Lecco e Presidente Fondazione COE

Modera: Giorgio Freddi, COE, Architetto

Segue drink natalizio presso la Galleria Melesi in Via Mascari, 54 Lecco (a cinque minuti a piedi da Confcommercio)

Dall’1 al 24 dicembre è visibile in galleria la mostra collettiva dal titolo “L’amore ricopre ogni colpa” (orario: tutti i giorni dalle 16 alle 19 o in altri orari su appuntamento)[email protected]

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COME VERSARE IL TUO CONTRIBUTO A SOSTEGNODEI PROGETTI DEL COE:A mezzo bonifico bancario a favore di:Associazione Centro Orientamento Educativopresso Deutsche Bank - BarzioIBAN IT55 B031 0450 9300 0000 0004 400

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