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13 A EDIZIONE A CURA DI / CURATED BY ANTONIO GRULLI CRITICAL COLLECTING FABIO AGOVINO / MARIANNA AGLIOTTONE Critical Collecting: dieci collezionisti italiani raccontati da dieci giovani critici d’arte indipendenti. Un modo per riportare al centro del sistema una figura, quella del critico, fondamentale per il corretto e sano funzionamento del mondo dell’arte, e troppo spesso messa da parte in questi anni di pratiche curatoriali imperanti. ArtVerona con questo progetto vuole tentare di scardinare il classico e ormai prevedibile abbinamento di collezionisti e artisti che si crea nel contesto fieristico. Critical Collecting è un progetto che cerca di ridefinire la sfera d’azione stessa di un collezionismo troppo spesso legato al semplice momento dell’acquisto di opere d’arte intese in senso classico, suggerendo in maniera implicita e sperimentale la possibilità di trovare nuove nicchie di mercato. In anni in cui gli artisti stessi hanno allargato i confini del concetto di opera d’arte a qualsiasi forma di oggetto o concetto non necessariamente limitato entro i suoi aspetti materiali, perché non possiamo pensare a dei collezionisti che acquisiscano testi critici per la (e sulla) propria collezione? FABIO AGOVINO Nato nel 1971 a Torre del Greco (Napoli). Laureato in Economia e Commercio, attualmente lavora come consulente finanziario per Banca Widiba (Mps). È sposato con Sara, da cui ha avuto due figlie, Rebecca di cinque anni, e Emma di due anni. La sua collezione ha sede nell’appartamento dove vive con la sua famiglia, nello storico Palazzo Sessa al centro di Napoli. Dal 2016 è membro del Comitato d’Onore di Miart. Promotore dell’apertura della sede partenopea di Widiba all’arte e di un progetto inedito che prende avvio quest’anno fatto di mostre e un ciclo di incontri specifici sul collezionismo, che si svolgeranno in tutta Italia, mirando a contaminare con l’arte contemporanea i luoghi e i servizi della banca. MARIANNA AGLIOTTONE Curatrice, saggista, studiosa dei fenomeni del collezionismo e del mercato dell’arte. È autrice del saggio Pratiche collezionistiche contemporanee in Italia. Tra canali di vendita tradizionali, social network e mercato multimediale dell’arte (Nuvole di Ardesia Edizioni, collana Quaderni Universitari, 2015). È tra gli autori di L’art advisory nel private banking. Opportunità e rischi dell’investimento in arte (Editrice AIPB Associazione Italiana Private Banking, 2015). È coautrice di Il piacere dell’arte. Pratica e fenomenologia del collezionismo contemporaneo in Italia (Johan & Levi editore, 2012). È stata consulente editoriale e vicedirettore della piattaforma editoriale Exibart (portale, cartaceo e tv). Attualmente collabora alla sezione Plus24-ArtEconomy24 de Il Sole 24 ORE. Dal 2015 è componente del CdA del Conservatorio di Musica Egidio Romualdo Duni di Matera. Già collaboratore dell’ Art Report, la pubblicazione di Economia dell’Arte dell’Area Research e Investor Relations della Banca Monte dei Paschi di Siena, è ideatrice del ciclo di incontri Il piacere dell’arte e del collezionismo per Banca Widiba (Mps) che, a partire da quest’anno, si svolgeranno su tutto il territorio nazionale. 1. Fabio, quale è stato lo stimolo, la scossa iniziale, che ti ha fao avvicinare all’ae e a decidere di dare vita ad una tua raccolta? La mia prima visita al Museo di Van Gogh ad Amsterdam, a diciassee anni. Ne rimasi talmente affascinato e colpito che non potevo fermarmi lì. Iniziai a visitare mostre e musei dell’ae d’avanguardia che diventarono tappe obbligate dei miei viaggi estivi araverso l’Europa e il mondo. Mi misi poi a leggere, studiare, fino a comprendere che esisteva un sistema dell’ae, delle gallerie dove si potevano acquisire opere ancora più streamente contemporanee. A ventoo anni comprai il primo pezzo, un Paesaggio anemico di Mario Schifano del 1970, presso la Galleria de’ Foscherari di Bologna. In realtà, inizialmente non ero nemmeno ben cosciente che stavo inaugurando un nuovo percorso di vita, dell’idea di poter realizzare qualcosa che fosse un progeo di ricerca, di selezione, di dare vita cioè ad una mia raccolta. Continuai poi comprando aisti come Salvatore Emblema, Mimmo Rotella, opere che aualmente non ho più poiché rispeo al primissimo nucleo, più «storico» e distante da me, oggi seguo aisti molto più contemporanei, della mia stessa generazione oppure di quella successiva alla mia, aisti con cui posso parlare fino a diventarci amico, con cui posso condividere scelte e la loro crescita, dando così un sapore diverso e più gratificante a tuo. 2. Condividere le scelte di un aista, per un collezionista, può significare anche contribuire a sostenere con i propri mezzi le spese di una paicolare creazione e, dunque, non solo raccoglierne le opere? Assolutamente, nel mio caso ad esempio, sì. Ho sostenuto sia progei site-specific che pubblicazioni di alcuni degli aisti che amo. Ho contribuito alla realizzazione dell’installazione Negative Space: A Scenario Generator for Clandestine Building in Africa di James Becke al padiglione Belgio della Biennale di Venezia del 2015, poi la pubblicazione del catalogo Road Back To Relevance di Dan Rees, edito da Mousse, un anno fa, e il catalogo della mostra personale presso la Parasol Unit/Foundation for Contemporary A a Londra di Tschabalala Self, considerata tra i «Top Emerging Aists» del 2016 secondo la piaaforma digitale Asy. 3. Quante e quali opere ci sono aualmente nella tua raccolta? Posseggo più di centocinquanta lavori, tra opere di Giorgio Andreoa Calò, Francesco Arena, Lutz Bacher, Luca Beolo, Michael Dean, Lorenzo Scoo di Luzio, Helen Maen, Runo Lagomarsino, David Maljković, Seth Price, Andres Serrano, Kiki Smith, Michael E. Smith. Tra gli ultimissimi aisti entrati in collezione c’è Giulia Cenci e Paolo Puddu. 4. Secondo te come vive un giovane collezionista le fiere d’ae, che tipo di difficoltà e semplificazioni può avere rispeo all’acquistare in galleria? Posso dire che, rispeo a quando ho cominciato io a collezionare, quasi venti anni fa, oggi tra i giovani c’è più curiosità verso le ai visive contemporanee, e a ciò ha ceamente contribuito internet, i social, e le fiere che oggi sono veri e propri eventi mondani, oltre che aistici e culturali, capaci di ararre un pubblico trasversale, spesso fao di professionisti giovani, rampanti, interessati all’ae per iniziativa personale più che per tradizione familiare. Le fiere, specie quelle più impoanti, danno la possibilità di guardare, dal vivo, in pochi giorni, il meglio dell’ae internazionale e di instaurare contai con relativi autori e gallerie di riferimento. Sono fermamente convinto, infai, che al di là di internet e dei social, per un collezionista e gli interessati alle opere d’ae sia fondamentale vedere di persona i pezzi, imparare ad affinare e ad avere fiducia nel proprio sentire davanti ad un opera, e le fiere danno questa possibilità su scala vasta e internazionale. Ma proprio perché ogni fiera dura solo qualche giorno e gli stimoli visivi diventano tantissimi, io trovo utile affrontare questi eventi con un minimo di studio di base e idee chiare sui nomi e le opere che si troveranno. 5. Fabio, sei consulente finanziario, ruolo che hai svolto prima in Unicredit, poi in Fineco, e aualmente in Widiba, la Banca online del Monte dei Paschi di Siena. Quali sono i motivi che ti hanno spinto ad essere promotore altresì dell’apeura della sede paenopea di Widiba all’ae e che ruolo auspichi svolgerà Widiba in tale direzione? Widiba ha debuato sul mercato nel seembre 2014, è una staup, votata all’innovazione, dei servizi e dei processi, una banca del presente e orientata al futuro per cui il link con l’ae contemporanea pare quasi qualcosa che fa pae del proprio Dna. La mia aspirazione è far appassionare i clienti di Widiba, non solo quelli paenopei ma di tua Italia, agli aisti, alle opere, al collezionismo, considerando l’ae asset alternativo nei nostri poafogli. 6. Ad oggi, araverso quali aività sei riuscito a creare connessioni tra Banca Widiba e l’ae contemporanea e quali saranno i prossimi step? Il primo coinvolgimento c’è stato nel 2016 con la mostra Giorni di un futuro passato di Adrian Tranquilli al MANN - Museo Archeologico Nazionale di Napoli, di cui Widiba è stata sponsor. Ha continuato con la sponsorizzazione della mostra Frammenti di Paradiso presso la chiesa seicentesca, sconsacrata, di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, sempre a Napoli, nella quale un bel gruppo di opere della mia collezione ha dialogato con i marmi, le increspature delle pareti e le ombre delle nicchie della chiesa. Proprio in questi giorni poi abbiamo avviato un progeo inedito e significativo che, prendendo il via da Napoli, mira a si svolgersi a livello nazionale, e a contaminare con l’ae contemporanea i luoghi e i servizi della Banca. Si traa di mostre e un ciclo di incontri specifici sul collezionismo che offriranno una finestra ai nostri clienti, aprendo loro lo sguardo sul valore del piacere dell’ae e dell’ae come investimento.

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Page 1: CRITICAL COLLECTING FABIO AGOVINO / MARIANNA ......FABIO AGOVINO Nato nel 1971 a Torre del Greco (Napoli). Laureato in Economia e Commercio, attualmente lavora come consulente finanziario

13A EDIZIONE A CURA DI / CURATED BYANTONIO GRULLI

CRITICALCOLLECTINGFABIO AGOVINO / MARIANNA

AGLIOTTONECritical Collecting: dieci collezionisti italiani raccontati da dieci giovani critici d’arte indipendenti. Un modo per riportare al centro del sistema una figura, quella del critico, fondamentale per il corretto e sano funzionamento del mondo dell’arte, e troppo spesso messa da parte in questi anni di pratiche curatoriali imperanti. ArtVerona con questo progetto vuole tentare di scardinare il classico e ormai prevedibile abbinamento di collezionisti e artisti che si crea nel contesto fieristico.

Critical Collecting è un progetto che cerca di ridefinire la sfera d’azione stessa di un collezionismo troppo spesso legato al semplice momento dell’acquisto di opere d’arte intese in senso classico, suggerendo in maniera implicita e sperimentale la possibilità di trovare nuove nicchie di mercato. In anni in cui gli artisti stessi hanno allargato i confini del concetto di opera d’arte a qualsiasi forma di oggetto o concetto non necessariamente limitato entro i suoi aspetti materiali, perché non possiamo pensare a dei collezionisti che acquisiscano testi critici per la (e sulla) propria collezione?

FABIO AGOVINONato nel 1971 a Torre del Greco (Napoli). Laureato in Economia e Commercio, attualmente lavora come consulente finanziario per Banca Widiba (Mps). È sposato con Sara, da cui ha avuto due figlie, Rebecca di cinque anni, e Emma di due anni. La sua collezione ha sede nell’appartamento dove vive con la sua famiglia, nello storico Palazzo Sessa al centro di Napoli. Dal 2016 è membro del Comitato d’Onore di Miart. Promotore dell’apertura della sede partenopea di Widiba all’arte e di un progetto inedito che prende avvio quest’anno fatto di mostre e un ciclo di incontri specifici sul collezionismo, che si svolgeranno in tutta Italia, mirando a contaminare con l’arte contemporanea i luoghi e i servizi della banca.

MARIANNA AGLIOTTONECuratrice, saggista, studiosa dei fenomeni del collezionismo e del mercato dell’arte. È autrice del saggio Pratiche collezionistiche contemporanee in Italia. Tra canali di vendita tradizionali, social network e mercato multimediale dell’arte (Nuvole di Ardesia Edizioni, collana Quaderni Universitari, 2015). È tra gli autori di L’art advisory nel private banking. Opportunità e rischi dell’investimento in arte (Editrice AIPB Associazione Italiana Private Banking, 2015). È coautrice di Il piacere dell’arte. Pratica e fenomenologia del collezionismo contemporaneo in Italia (Johan & Levi editore, 2012). È stata consulente editoriale e vicedirettore della piattaforma editoriale Exibart (portale, cartaceo e tv). Attualmente collabora alla sezione Plus24-ArtEconomy24 de Il Sole 24 ORE. Dal 2015 è componente del CdA del Conservatorio di Musica Egidio Romualdo Duni di Matera. Già collaboratore dell’Art Report, la pubblicazione di Economia dell’Arte dell’Area Research e Investor Relations della Banca Monte dei Paschi di Siena, è ideatrice del ciclo di incontriIl piacere dell’arte e del collezionismo per Banca Widiba (Mps) che, a partire da quest’anno, si svolgeranno su tutto il territorio nazionale.

1. Fabio, quale è stato lo stimolo, la scossa iniziale, che ti ha fatto avvicinare all’arte e a decidere di dare vita ad una tua raccolta? La mia prima visita al Museo di Van Gogh ad Amsterdam, a diciassette anni. Ne rimasi talmente affascinato e colpito che non potevo fermarmi lì. Iniziai a visitare mostre e musei dell’arte d’avanguardia che diventarono tappe obbligate dei miei viaggi estivi attraverso l’Europa e il mondo. Mi misi poi a leggere, studiare, fino a comprendere che esisteva un sistema dell’arte, delle gallerie dove si potevano acquisire opere ancora più strettamente contemporanee. A ventotto anni comprai il primo pezzo, un Paesaggio anemico di Mario Schifano del 1970, presso la Galleria de’ Foscherari di Bologna. In realtà, inizialmente non ero nemmeno ben cosciente che stavo inaugurando un nuovo percorso di vita, dell’idea di poter realizzare qualcosa che fosse un progetto di ricerca, di selezione, di dare vita cioè ad una mia raccolta. Continuai poi comprando artisti come Salvatore Emblema, Mimmo Rotella, opere che attualmente non ho più poiché rispetto al primissimo nucleo, più «storico» e distante da me, oggi seguo artisti molto più contemporanei, della mia stessa generazione oppure di quella successiva alla mia, artisti con cui posso parlare fino a diventarci amico, con cui posso condividere scelte e la loro crescita, dando così un sapore diverso e più gratificante a tutto.

2. Condividere le scelte di un artista, per un collezionista, può significare anche

contribuire a sostenere con i propri mezzi le spese di una particolare creazione e, dunque, non solo raccoglierne le opere? Assolutamente, nel mio caso ad esempio, sì. Ho sostenuto sia progetti site-specific che pubblicazioni di alcuni degli artisti che amo. Ho contribuito alla realizzazione dell’installazione Negative Space: A Scenario Generator for Clandestine Building in Africa di James Beckett al padiglione Belgio della Biennale di Venezia del 2015, poi la pubblicazione del catalogo Road Back To Relevance di Dan Rees, edito da Mousse, un anno fa, e il catalogo della mostra personale presso la Parasol Unit/Foundation for Contemporary Art a Londra di Tschabalala Self, considerata tra i «Top Emerging Artists» del 2016 secondo la piattaforma digitale Artsy.

3. Quante e quali opere ci sono attualmente nella tua raccolta?Posseggo più di centocinquanta lavori, tra opere di Giorgio Andreotta Calò, Francesco Arena, Lutz Bacher, Luca Bertolo, Michael Dean, Lorenzo Scotto di Luzio, Helen Marten, Runo Lagomarsino, David Maljković, Seth Price, Andres Serrano, Kiki Smith, Michael E. Smith. Tra gli ultimissimi artisti entrati in collezione c’è Giulia Cenci e Paolo Puddu.

4. Secondo te come vive un giovane collezionista le fiere d’arte, che tipo di difficoltà e semplificazioni può avere rispetto all’acquistare in galleria? Posso dire che, rispetto a quando ho cominciato io a collezionare, quasi venti anni fa, oggi tra i giovani c’è più curiosità verso

le arti visive contemporanee, e a ciò ha certamente contribuito internet, i social, e le fiere che oggi sono veri e propri eventi mondani, oltre che artistici e culturali, capaci di attrarre un pubblico trasversale, spesso fatto di professionisti giovani, rampanti, interessati all’arte per iniziativa personale più che per tradizione familiare. Le fiere, specie quelle più importanti, danno la possibilità di guardare, dal vivo, in pochi giorni, il meglio dell’arte internazionale e di instaurare contatti con relativi autori e gallerie di riferimento. Sono fermamente convinto, infatti, che al di là di internet e dei social, per un collezionista e gli interessati alle opere d’arte sia fondamentale vedere di persona i pezzi, imparare ad affinare e ad avere fiducia nel proprio sentire davanti ad un opera, e le fiere danno questa possibilità su scala vasta e internazionale. Ma proprio perché ogni fiera dura solo qualche giorno e gli stimoli visivi diventano tantissimi, io trovo utile affrontare questi eventi con un minimo di studio di base e idee chiare sui nomi e le opere che si troveranno.

5. Fabio, sei consulente finanziario, ruolo che hai svolto prima in Unicredit, poi in Fineco, e attualmente in Widiba, la Banca online del Monte dei Paschi di Siena. Quali sono i motivi che ti hanno spinto ad essere promotore altresì dell’apertura della sede partenopea di Widiba all’arte e che ruolo auspichi svolgerà Widiba in tale direzione? Widiba ha debuttato sul mercato nel

settembre 2014, è una startup, votata all’innovazione, dei servizi e dei processi, una banca del presente e orientata al futuro per cui il link con l’arte contemporanea pare quasi qualcosa che fa parte del proprio Dna. La mia aspirazione è far appassionare i clienti di Widiba, non solo quelli partenopei ma di tutta Italia, agli artisti, alle opere, al collezionismo, considerando l’arte asset alternativo nei nostri portafogli.

6. Ad oggi, attraverso quali attività sei riuscito a creare connessioni tra Banca Widiba e l’arte contemporanea e quali saranno i prossimi step?Il primo coinvolgimento c’è stato nel 2016 con la mostra Giorni di un futuro passato di Adrian Tranquilli al MANN - Museo Archeologico Nazionale di Napoli, di cui Widiba è stata sponsor. Ha continuato con la sponsorizzazione della mostra Frammenti di Paradiso presso la chiesa seicentesca, sconsacrata, di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, sempre a Napoli, nella quale un bel gruppo di opere della mia collezione ha dialogato con i marmi, le increspature delle pareti e le ombre delle nicchie della chiesa. Proprio in questi giorni poi abbiamo avviato un progetto inedito e significativo che, prendendo il via da Napoli, mira a si svolgersi a livello nazionale, e a contaminare con l’arte contemporanea i luoghi e i servizi della Banca. Si tratta di mostre e un ciclo di incontri specifici sul collezionismo che offriranno una finestra ai nostri clienti, aprendo loro lo sguardo sul valore del piacere dell’arte e dell’arte come investimento.

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13A EDIZIONE A CURA DI / CURATED BYANTONIO GRULLI

CRITICALCOLLECTINGMASSIMO ANTICHI / CAROLINA

GESTRICritical Collecting: dieci collezionisti italiani raccontati da dieci giovani critici d’arte indipendenti. Un modo per riportare al centro del sistema una figura, quella del critico, fondamentale per il corretto e sano funzionamento del mondo dell’arte, e troppo spesso messa da parte in questi anni di pratiche curatoriali imperanti. ArtVerona con questo progetto vuole tentare di scardinare il classico e ormai prevedibile abbinamento di collezionisti e artisti che si crea nel contesto fieristico.

Critical Collecting è un progetto che cerca di ridefinire la sfera d’azione stessa di un collezionismo troppo spesso legato al semplice momento dell’acquisto di opere d’arte intese in senso classico, suggerendo in maniera implicita e sperimentale la possibilità di trovare nuove nicchie di mercato. In anni in cui gli artisti stessi hanno allargato i confini del concetto di opera d’arte a qualsiasi forma di oggetto o concetto non necessariamente limitato entro i suoi aspetti materiali, perché non possiamo pensare a dei collezionisti che acquisiscano testi critici per la (e sulla) propria collezione?

MASSIMO ANTICHIMassimo Antichi è nato a Modena nel 1962, dove vive e lavora come imprenditore nel settore dei metalli.

CAROLINA GESTRICarolina Gestri (Firenze, 1989) è storica dell’arte e curatrice. Dal 2015 lavora come coordinatrice di VISIO – European Programme on Artists’ Moving Images, un programma formativo promosso dallo Schermo dell’arte Film Festival strutturato in una mostra e una serie di seminari. È co-fondatrice di KABUL magazine, associazione culturale e rivista online che si pone l’obiettivo di tracciare un quadro lucido e approfondito sulle principali teorie che animano il dibattito contemporaneo e delle sue ripercussioni nella produzione artistica.

«Ci vuole impegno, pio sforzo, per vedere cosa stai guardando. Era incantato da tutto questo, dalle profondità che si schiudevano nel movimento rallentato, le cose che c’erano da vedere, le profondità delle cose che così facilmente vanno perse nella superficiale abitudine a vedere». (Don DeLillo, Punto omega)

Massimo Antichi è da sempre appassionato di quell’arte che oggi definisce «descrittiva e retinale»: l’arte del passato. Mentre parliamo mi confessa che fino al 1998 si era avvicinato alla produzione contemporanea con diffidenza, passeggiando tra le sale dei musei pensando «lo potevo fare anch’io». «L’uomo per sua natura è curioso», mi dice citando Seneca, e dunque, complice una visita alla Galleria Il Capricorno a Venezia e un’opera che ha fatto compagnia a lui e alla moglie durante una cena a Modena, adesso è diventato un attento e premuroso collezionista, un amante dell’arte e degli artisti. Tanto da adibire un’intera ala della sua azienda alla messa in mostra delle proprie opere.La «molla» che porta a una nuova acquisizione non è mai collegata al risvolto economico. «Naturalmente se nel corso degli anni acquisisce valore io sono contento eh!», ammette Antichi. La sua collezione è composta da opere che parlano della sua vita, dei suoi desideri, passati presenti e futuri: video in slow motion che raccontano passioni cinematografiche (Masbedo, July 30 2007, 2016 - omaggio a Ingmar Bergman

e Michelangelo Antonioni), fotografie in cui ritrova ciò che lo emoziona nella quotidianità (Goran Trbuljak, Sketch for sculpture, 2013), frasi che rappresentano un piacevole ricordo personale nonostante non siano state scritte di suo pugno (Joseph Kosuth, Text for Nothing Samuel Beckett, in play, 2010). Direi che la collezione ha un’attitudine appropriazionista. All’entrata della collezione, si è accolti da una citazione di Lea Vergine, autrice di alcuni dei testi fondamentali dedicati alla performance e alla body art, tra cui Body art e storie simili. Il corpo come linguaggio (1974). Una frase in cui Antichi si riconosce. Nelle opere di cui si circonda ricerca la genuinità dell’artista, rifugge dalle «immagini manifesto» preferendo storie semplici e dirette. Ha un debole per il corpo, della donna in particolar modo, per la sua perfezione ma anche per le sue sofferenze, i suoi cambiamenti dovuti all’incedere del tempo, per la sua capacità di trasmettere la precarietà della vita e la presenza della morte senza bisogno di intermediari. Ana Mendieta, Nan Goldin, Gina Pane, Natalia LL, Marina Abramovic, Regina José Galindo, Shirin Neshat, Valie Export sono solo alcune delle figure femminili che hanno conquistato la sua attenzione. Un’opera tra tutte mi ha colpito in particolare, non tanto per il lavoro in sé, quanto per come Antichi sia riuscito a metterlo in luce grazie a un suo ricordo d’infanzia, è unitxt mirrored (2010) di Carsten Nicolai. L’artista tedesco restituisce visivamente le proprie composizioni

musicali attraverso paesaggi di onde sonore. Questi video inducono il pubblico a rimanere all’interno di un’architettura costruita da suoni per poi perdersi in un orizzonte fatto di geometrie colorate. Antichi per unitxt mirrored ha creato una black box su misura, ponendo uno schermo sulla parete principale e due specchi su quelle laterali, creando un gioco di riflessi che dà vita a una successione infinita di immagini. Questo espediente allestitivo, visto alla Galleria Lorcan O’Neill di Roma dove l’opera era in mostra, emozionò il collezionista riaccendendo in lui il ricordo di quando da piccolo si specchiava nella vetrinetta dei genitori osservando affascinato il proprio volto moltiplicarsi. Da qui l’esigenza di regalare all’opera un ambiente tutto suo, intimo, ovattato, dove ci si possa sentire a proprio agio con la stessa spontaneità di un bambino. La stanza buia, isolata dal resto della collezione da una tenda da cinema, è irradiata di luci e colori. Stesi sulla moquette o seduti sul pouf è possibile abbandonarsi completamente alla visione e all’ascolto.Antichi si riflette anche nelle sculture e nei dipinti di artisti nati negli anni Ottanta, come Petrit Halilaj e Guglielmo Castelli, o negli oggetti di alcuni degli esponenti della YBAs, come Sarah Lucas e Tracey Emin. Due vincitori del Turner Prize hanno toccato l’emotività del collezionista «uno per essere riuscito a riempire una stanza con la sola presenza della luce [Martin

Creed], e una per esserci riuscita con il suono [Susan Philipsz]».Ogni scelta espositiva è il risultato del dialogo che si viene a creare tra il collezionista e l’artista, o tra la storia del lavoro acquisito e il vissuto di Antichi. La cura dello spazio è maniacale: niente cavi, niente luce naturale. Niente deve distrarre dalla fruizione delle opere. Per far questo, si avvale del meglio della strumentazione per luci, audio e video, e della consulenza delle relative maestranze.Nonostante le opere vengano spesso accompagnate da citazioni degli autori, da una documentazione sonora/scritta per dare un’idea completa del lavoro e sia messa a disposizione una piccola libreria “a scaffale aperto” con almeno un catalogo dedicato a ogni artista presente, la collezione non è aperta al pubblico. Non esiste un sito dedicato. Antichi non ama la sovraesposizione, preferisce il passaparola, un sistema di comunicazione che gli permette di stabilire un legame più intimo con tutti coloro che entrano in contatto con le sue opere. Molte opere della collezione sono state concesse in prestito a importanti istituzioni artistiche per prestigiose mostre internazionali, figurando sempre in maniera discreta, seguendo l’anonima dicitura “proveniente da collezione privata”. Proprio per trasmettere al meglio questa riservatezza, il testo che avete letto non è stato accompagnato da fotografie.

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13A EDIZIONE A CURA DI / CURATED BYANTONIO GRULLI

CRITICALCOLLECTINGMARCO BARBIERI/ MASSIMO

MARCHETTICritical Collecting: dieci collezionisti italiani raccontati da dieci giovani critici d’arte indipendenti. Un modo per riportare al centro del sistema una figura, quella del critico, fondamentale per il corretto e sano funzionamento del mondo dell’arte, e troppo spesso messa da parte in questi anni di pratiche curatoriali imperanti. ArtVerona con questo progetto vuole tentare di scardinare il classico e ormai prevedibile abbinamento di collezionisti e artisti che si crea nel contesto fieristico.

Critical Collecting è un progetto che cerca di ridefinire la sfera d’azione stessa di un collezionismo troppo spesso legato al semplice momento dell’acquisto di opere d’arte intese in senso classico, suggerendo in maniera implicita e sperimentale la possibilità di trovare nuove nicchie di mercato. In anni in cui gli artisti stessi hanno allargato i confini del concetto di opera d’arte a qualsiasi forma di oggetto o concetto non necessariamente limitato entro i suoi aspetti materiali, perché non possiamo pensare a dei collezionisti che acquisiscano testi critici per la (e sulla) propria collezione?

MARCO BARBIERIMarco Barbieri (1965) è avvocato e vive a Pistoia. Il suo primo acquisto risale al 1997, un’opera grafica. Da allora, ha acquistato opere d’arte perché lo fanno stare bene, e hanno un effetto terapeutico, appagandolo come un bicchiere di acqua fresca quando si ha la gola secca per l’arsura.

MASSIMO MARCHETTIMassimo Marchetti è nato a Ferrara nel 1971, dove vive e lavora. Ha collaborato con lo spazio Casabianca di Bologna e con il sito UnDo.net. Dal 2009 al 2012 è stato direttore del Musée de l’OHM di Chiara Pergola. L’ultimo progetto realizzato è la mostra “Tirarsi fuori”, curata con Lelio Aiello presso la galleria P420 di Bologna. Si occupa in particolare del tema del museo come oggetto di pratiche artistiche.

Il critico letterario protagonista de La cifra nel tappeto di Henry James inizia un’indagine sull’opera di uno scrittore dopo che questi gli ha rivelato come tutti i suoi romanzi, all’apparenza assai diversi fra loro, siano in realtà perfettamente consequenziali in ragione di un disegno segreto. Questa “cifra” che dovrebbe rivelare, qualora scoperta, il senso di tutta una carriera sarebbe però talmente palese da sfuggire a occhi troppo distratti. Naturalmente il protagonista, destinato al fallimento, potrebbe anche essere un critico d’arte alle prese con l’allestimento di una collezione. Il collezionista che affida al proprio gusto la funzione di bussola esclusiva si trova ad agire inevitabilmente, e magari inconsapevolmente, alla stregua di un autore che dissemina la propria personalità e le proprie motivazioni nell’insieme delle opere che individua, conquista e associa tra di loro.Marco Barbieri è un appassionato collezionista pistoiese che da un ventennio raccoglie e, se necessario, insegue con caparbietà le opere che lo interessano. Il tempo dedicato a questa sua attività – che si affianca alla professione di avvocato – è divisa tra la frequentazione degli studi degli artisti e le fasi di un dialogo intrecciato nel corso degli anni con il suo gallerista di fiducia. La folgorazione scaturisce nel 1997 da un’opera di Arman e da quel momento Barbieri inizia ad assommare, senza una precisa intenzionalità, un corpus di opere

a questo punto significativo del quale lui stesso afferma di non aver ancora colto il leitmotiv, la “cifra nel tappeto”. Non è un problema, in fin dei conti: dal suo punto di vista la cosa importante è il senso di arricchimento e di benessere quasi fisico che queste opere sono in grado di offrirgli, tanto da spingerlo ad attribuire loro una qualità “terapeutica” che già da sola giustificherebbe l’impegno profuso. Stiamo parlando di una raccolta le cui opere appartengono a un arco di tempo che va dalla fine degli anni Sessanta ai giorni nostri, costellata di molti nomi di rango internazionale e che dimostra personalità anche per il fatto di aver evitato facili cedimenti mondani o dipendenze dai suggerimenti del mercato. Ciò gli rende giustizia dimostrando di aver operato scelte meditate che evidentemente stanno nel suo gusto senza bisogno di inseguire dettami altrui. Se si considera Arman, del quale possiede diversi lavori tra cui un’importante Poubelle del 1972, una presenza a sé stante per il suo ruolo “originario”, nella collezione di Barbieri possono essere individuati tre percorsi che disegnano una spirale centrifuga: il primo riguarda il rapporto con il territorio ed è rappresentato dalle opere di Fernando Melani, Aldo Frosini, Gianni Ruffi, Umberto Buscioni e Roberto Barni. Il secondo segna poi l’apertura all’esterno e a interpreti riconosciuti tra i quali spiccano protagonisti della scuola romana come Carla Accardi,

Schifano, Festa, Angeli e Ceroli, tutti presenti con opere datate anni Sessanta e Settanta, ma anche figure della successiva generazione quali Bianchi, Ceccobelli, Nunzio e Tirelli con opere degli anni Novanta; qui troviamo anche Gilardi, Ontani e una sezione di pittura analitica, con tre Griffa degli anni Settanta e poi Nigro e Olivieri. Infine, un terzo segmento nel quale si registra un’attenzione verso le ricerche attuali sia a livello nazionale, come con Favelli, Bertolo e Camoni, sia internazionale, con lavori di Esther Klas, Robert Kusmirowski e Dina Danish, siglando in alcuni casi – Salvadori, Moscardini, Carone e Cenci – un rinnovato collegamento con le radici toscane. Lo spettro delle poetiche e delle correnti rappresentate è decisamente ampio, come si può osservare, ma riguardo alla “cifra nel tappeto” emergono alcuni possibili indizi. Innanzitutto la predilezione manifesta per l’oggetto, praticamente un fil rouge inteso non solo come sguardo mirato per la scultura, ma anche come interesse a sporgersi, insomma condividere il superamento delle tradizionali categorie linguistiche, dunque nel caso della pittura la pura bidimensionalità, così come professato in particolare dalle neo-avanguardie: emblematico quindi Arman – un vero imprimatur al quale si accostano un paio di Spoerri – ma anche le tele lasche di Griffa, gli origami di piombo di Salvadori, la teca di Georges Adèagbo e per quanto riguarda gli

artisti più giovani i segnali di Luca Bertolo, i fogli di plastica trasparente di Giulia Cenci (che dialogano con la Accardi) e quello “accartocciato” di cemento di Arcangelo Sassolino. L’impressione che il rapporto tra fragilità e complessità sia un richiamo particolarmente avvertito si rafforza quando si posa lo sguardo sulle delicate asticelle di Alice Cattaneo, sulla superficie friabile di Calzolari, sui frammenti di Adriano Amaral, come se il collezionista fosse colui che ha la fortuna di poter assistere allo smontaggio di un meccanismo estremamente raffinato. Se lo stimolo più forte a collezionare viene dalla necessità di soddisfare il nostro senso del possesso, Marco Barbieri declina questa spinta in una forma di rispetto e generosità nei confronti delle opere che si rivela nel rapporto quotidiano che cerca di instaurare con un allestimento a rotazione nella propria abitazione. L’interesse è quello di vivere quotidianamente il rapporto con l’opera e di verificarlo in una dimensione domestica al di là delle lusinghe dell’auto-rappresentazione a favore dello sguardo altrui. Il desiderio, niente affatto scontato, di integrare realmente nella vita domestica lavori complessi e delicati come quelli di Margherita Moscardini e Chiara Camoni che scompaginano gli spazi di una casa, è quasi una dichiarazione di poetica. Il che non esclude, però, l’auspicio di poter vedere in futuro questa collezione in una sistemazione aperta al pubblico.

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13A EDIZIONE A CURA DI / CURATED BYANTONIO GRULLI

CRITICALCOLLECTINGVALTER CASSANDRO / ROBERTA

MANSUETOCritical Collecting: dieci collezionisti italiani raccontati da dieci giovani critici d’arte indipendenti. Un modo per riportare al centro del sistema una figura, quella del critico, fondamentale per il corretto e sano funzionamento del mondo dell’arte, e troppo spesso messa da parte in questi anni di pratiche curatoriali imperanti. ArtVerona con questo progetto vuole tentare di scardinare il classico e ormai prevedibile abbinamento di collezionisti e artisti che si crea nel contesto fieristico.

Critical Collecting è un progetto che cerca di ridefinire la sfera d’azione stessa di un collezionismo troppo spesso legato al semplice momento dell’acquisto di opere d’arte intese in senso classico, suggerendo in maniera implicita e sperimentale la possibilità di trovare nuove nicchie di mercato. In anni in cui gli artisti stessi hanno allargato i confini del concetto di opera d’arte a qualsiasi forma di oggetto o concetto non necessariamente limitato entro i suoi aspetti materiali, perché non possiamo pensare a dei collezionisti che acquisiscano testi critici per la (e sulla) propria collezione?

VALTER CASSANDRONato nel 1961 a Volpago del Montello (TV), vive e lavora a Montebelluna (TV). Manager reparto vendite presso una multinazionale di beni di largo consumo, è appassionato di calcio, del buon vino e della cucina di qualità. Colleziona prevalentemente opere di artisti emergenti a livello internazionale.

ROBERTA MANSUETONata a Bari nel 1988 vive e lavora tra Bari e Milano. Critica d’arte e curatrice indipendente dal 2014 è co-fondatrice di Tile project space e ideatrice del progetto editoriale takecare.

Se volessimo considerare la collezione come un organismo complesso, tutte le sue parti diverrebbero fondamentali, seppur differenti e autonome, ma è nell’insieme delle sue connessioni e degli agenti esterni incidenti, che essa può diventare imprevedibile. Come per tutti i sistemi in vita, prende posto su quel margine - edge of the chaos – in quello spazio che alterna stati di ordine e caos.

Ma è proprio nel ronzio del caos che si genera il nuovo: nessun sistema può essere stabile, vi sarà sempre uno scambio di calore, d’informazione o di materia con l’ambiente circostante. L’arte stessa è stata definita entro un sistema, ma esso stesso è diventato una protesi del fare arte. Qui la figura del collezionista può avere un ruolo importante:

egli può diventare un attrattore, il caos troverebbe una direzione, un ordine pensato. Tutto può nascere da una passione per il design e ritrovarsi agli inizi degli anni 90, per curiosità e sotto il suggerimento di un amico, a comprare opere di artisti italiani e frequentare gallerie in Veneto e qualche asta. Valter Cassandro inizia così il suo avvicinamento all’arte: suggerito e istintivo. Ma gli incontri successivi probabilmente ne hanno dato una nuova direzione: incontra Stefano Fumagalli, gallerista bergamasco scomparso prematuramente, “lui mi ha aperto un orizzonte di visibilità artistica molto più ampio; era un genio nell’individuare gli artisti che poi avrebbero avuto successo anche a livello internazionale”, al quale si aggiunge il collezionista Mino Mazzocato, che arricchirà il percorso di ricerca di Cassandro guardando al contesto internazionale. “Milano è forse la città che mi ha ispirato maggiormente, che ho frequentato e che continuo a frequentare appena posso. E lì, la mia “musa ispiratrice” ha un solo nome: Paolo Zani (galleria Zero), per il quale nutro grande ammirazione, tanto affetto e con cui ho lavorato moltissimo… Eravamo insieme a Londra il giorno dell’attentato nella metro. Il programma era quello di andare ad una mostra di giovani artisti seguiti da Paolo. Restammo bloccati tutto il giorno in

aeroporto a Stansted: discutemmo di arte per più di otto ore… Per me, quel giorno fu come partecipare al miglior Master di arte contemporanea! È noto che l’entropia dei sistemi, come il sistema aperto dell’arte, sviluppa incessantemente e disperde energia producendone di nuova, “In un mondo sempre più complesso, competitivo e non facile, i giovani artisti vanno supportati, anche perché senza di loro non c’è evoluzione, nuova ricerca, progresso”. Investire sugli artisti emergenti è anche un modo per arricchire la propria collezione ed è un po’ una scommessa seguirne il percorso di successo, spiega Cassandro. Acquistare opere d’arte negli anni è stato “fonte di nuove e a volte curiose esperienze. Mi piace ricordare quella relativa a una scultura (una splendida croce) di Robert Mapplethorpe; la vidi un pomeriggio, nello scantinato (!) di una galleria di Londra, assieme ad altri due pezzi simili dell’artista. Me ne innamorai alla follia”. Scrupolosa e ricercata oggi è la sua collezione: attualmente segue gli artisti italiani Giorgio Andreotta Calò, Patrizio Di Massimo, Andrea Kvas, Valerio Nicolai, Pietro Roccasalva e tra gli stranieri Michael E. Smith, Tschabalala Self, Jana Schröder, Buck Ellison, Morgan Keil, Darja Bajagic, Erica Mahinay, Aliza Nisenbaum, Jonathan Monk, Puppies Puppies, Michael Dean, K.r.m. Mooney, Thomas Houseago, Ryan Gander.

K.r.m. MooneyCircadian Tackle II, 2015steel cable, silver-plated mechanisms, organic compound, aluminum, liver of sulfurcourtesy K.r.m. Mooney

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13A EDIZIONE A CURA DI / CURATED BYANTONIO GRULLI

CRITICALCOLLECTINGALBERTO FERRARI/ DAVIDE

GIANNELLACritical Collecting: dieci collezionisti italiani raccontati da dieci giovani critici d’arte indipendenti. Un modo per riportare al centro del sistema una figura, quella del critico, fondamentale per il corretto e sano funzionamento del mondo dell’arte, e troppo spesso messa da parte in questi anni di pratiche curatoriali imperanti. ArtVerona con questo progetto vuole tentare di scardinare il classico e ormai prevedibile abbinamento di collezionisti e artisti che si crea nel contesto fieristico.

Critical Collecting è un progetto che cerca di ridefinire la sfera d’azione stessa di un collezionismo troppo spesso legato al semplice momento dell’acquisto di opere d’arte intese in senso classico, suggerendo in maniera implicita e sperimentale la possibilità di trovare nuove nicchie di mercato. In anni in cui gli artisti stessi hanno allargato i confini del concetto di opera d’arte a qualsiasi forma di oggetto o concetto non necessariamente limitato entro i suoi aspetti materiali, perché non possiamo pensare a dei collezionisti che acquisiscano testi critici per la (e sulla) propria collezione?

ALBERTO FERRARIAlberto Ferrari nato a bologna nel 1969. Residente a Sasso Marconi, dal 1990 lavora in Banca di Bologna di cui al momento è direttore generale. Dal 2016 con la Banca di Bologna hanno iniziato a realizzare progetti dedicati all’arte contemporanea in occasione di Artefiera. Ha acquistato la sua prima opera nel 2000.

DAVIDE GIANNELLADavide Giannella (1980) è curatore indipendente. La sua ricerca è incentrata principalmente sulle possibili relazioni tra il sistema dell’arte e i differenti ambiti dell’orizzonte culturale contemporaneo (cinema, design, musica, editoria) così come sulla traduzione e declinazione, in contesti e piattaforme differenti, di progetti e contenuti artistici. Ha lavorato parimenti per istituzioni pubbliche come la Triennale di Milano, il Museo Marino Marini, il PAC di Milano. Dal 2016 cura la programmazione dello spazio espositivo indipendente MEGA a Milano. È membro del comitato scientifico del Teatro dell’Arte di Triennale Milano e docente presso la NABA Milano.

DUE MINUTI, OGNI SERA.

Quando hai iniziato a collezionare? Erano i primi anni duemila e stavo accompagnando un amico, già appassionato, nella casa di un anziano collezionista di Bertinoro, in Romagna. Si trattava di una villa enorme e la cosa che mi colpiva maggiormente era la mancanza di spazio al suo interno. Alle pareti come per tutto il resto della casa c’erano opere d’arte, come se tutto lo spazio disponibile fosse stato dedicato a quella passione e vi avessero ritagliato giusto il minimo indispensabile per viverci. Fu un’esperienza davvero bizzarra - quel signore aveva addirittura un taglio di Fontana custodito sotto il letto - ma che in qualche maniera mi ha impressionato e probabilmente ha fatto scattare in me qualcosa.

Beh in effetti molto spesso il collezionismo è legato anche a delle esperienze particolari, a dei momenti specifici, che vanno anche al di là del valore dell’opera. Sì, molto spesso sono le situazioni e le persone che un acquisto o una ricerca ci portano ad incontrare ad essere molto arricchenti. In quell’occasione, lì a Bertinoro, mi affascinava tutto il contesto così come l’entusiasmo del padrone di casa per le opere che conservava. In quella prima volta ho agito di impulso e ho acquistato la mia prima opera, un dipinto di Schifano che misurava 130x160, una dimensione che non trovava spazio all’interno della mia auto dell’epoca. Per questo motivo ho deciso, complice il mio amico Marco Ghigi, di fissare la tela sul tetto dell’auto e di rientrare a Bologna in questo modo. Pensando all’attenzione che rivolgerei oggi al trasporto di un’opera, potrebbe apparire anche a me un gesto folle, ma quell’esperienza –pur nella sua assurdità- credo rimarrà per sempre indelebile nella mia memoria. È un ricordo felice che riesco a rivivere ogni volta che, a casa, incrocio con lo sguardo quell’opera di Schifano.

Questo primo approccio sembra essere stato dettato in buona parte anche dall’istinto;

come è proseguita poi la costruzione della collezione? Hai seguito dei filoni particolari, delle scuole? Sai, inevitabilmente, ma anche perché è un piacere, inizi a studiare e ad approfondire il campo di qualcosa che ti affascina. Comunque possiamo dire che mi sono appassionato soprattutto a lavori della seconda metà del Novecento ma non ho nemmeno impostato i miei acquisti secondo una logica troppo rigida in questo senso. Inoltre sono stati di particolare influenza per me operatori e figure del sistema che stimo particolarmente. Ad esempio, Stefano Fumagalli, che ha sempre avuto uno sguardo analitico e di anticipo rispetto anche ad alcuni andamenti, mi ha avvicinato alla scena del gruppo Forma 1 ed in quel periodo ad esempio ho acquistato un’opera di Griffa. Poco dopo mi sono interessato all’arte analitica acquistando lavori che reputo tuttora di nicchia e quindi di scarso mercato, ma ho fatto di tutto per poterlo acquisire. Altrettanto ho fatto con un artista come Uncini, della scuola romana di fine anni Cinquanta, ma del tutto fuori dalle tendenze POP che poi sono esplose poco dopo. Mi sono anche appassionato di fotografia, acquistando gli scatti di autori italiani come Ghirri, Giacomelli, Francesca Woodman o Iodice. Ma non direi mai di avere una collezione di fotografia.

Mi sembra di intendere che comunque a guidarti nelle scelte ci sia ancora una forte componente di personale o, meglio, sembrerebbe che non ci siano particolari calcoli dietro alle tue scelte. Come in ogni altra realtà, anche ogni operazione d’acquisto è una questione di equilibrio tra il proprio gusto e le proprie possibilità finanziarie. Tra innamoramento e portafoglio dico spesso. Nel periodo in cui iniziavo a collezionare c’erano ad esempio dei bellissimi lavori di Castellani che costavano circa 70.000 euro. Una sciocchezza, verrebbe da dire, rispetto alle attuali quotazioni dello stesso artista. Semplicemente però, in quel periodo per me non era un investimento pensabile. Se devo seguire una logica quindi, è quella

dell’equilibrio. Non mi reputo un collezionista bulimico, la mia collezione è composta da circa quaranta pezzi, e per ognuno di questi mi sono sempre posto un tetto massimo di spesa. Darsi delle regole è necessario a mio modo di vedere. Poi in generale mi preoccupo anche molto poco delle quotazioni. Non vorrei sembrare romantico, ma non si può ridurre tutto ad una semplice questione finanziaria.

Dove conservi le opere che acquisti? Sono tutte tra casa e ufficio. Non riuscirei mai a custodirle all’interno di una cassa o di un caveau in attesa di capire lo sviluppo delle quotazioni. Sento il bisogno di esporle ed è per questo che spesso mi rendo conto di avere sempre più bisogno di spazi liberi e pareti da coprire.

Credo sia un’ottima attitudine la tua, un atteggiamento che permette alle opere e ai temi in esse contenuti di continuare a circolare, in maniera esponenziale. Guarda, io sono convinto che un’opera vada vissuta nel quotidiano. Spesso con altri amici, che hanno sicuramente più opere di me, si parla di operazioni e investimenti. Ci sta in parte, davvero non voglio passare per un paladino dell’arte, ma non si può incentrare tutto su quello. L’arte fa davvero bene, io ne sono convinto. Io torno a casa dal lavoro piuttosto tardi, ma alle opere della collezione dedico sempre qualche minuto prima di andare a dormire. Mi danno piacere, migliorano la mia giornata. In più esponendo i lavori, stai concorrendo alla crescita di un artista e quindi, in generale, di un sistema. Poi è altrettanto evidente che se so che Fabio Mauri, di cui ho un’opera, è ora da Hauser and Wirth mi riconosco di aver fatto un buon acquisto anche sul piano finanziario, così come se vedo Griffa esposto al fianco di Fontana alla Tate di Londra. Sono soddisfazioni, perché si vedono riconosciute anche da altri alcune tue intuizioni libere dal calcolo prettamente economico.

Ti ho chiesto del tuo approccio al

collezionismo, quali sono invece le ultime opere che hai acquisito? Tra le ultime ci sono tre foto di Paolo Gioli degli anni settanta. Vedi, anche in questo caso potevo forse far ricadere le mie scelte su dei lavori degli anni ottanta di Gioli, che per molti versi hanno già un loro mercato e una loro riconoscibilità. Però ho preferito acquistare le opere che più mi piacevano. Voglio dire, un artista come Gioli era grande negli anni settanta, negli ottanta, e sempre lo sarà. Tutto il resto, vedi gli andamenti e le quotazioni, sono questioni che oscillano di continuo e hanno meno a che vedere con il piacere che ricerco io nel rapporto con un’opera.

Oltre ad essere un collezionista però sei anche diventato un produttore di mostre a Bologna. Mi puoi raccontare di questa ulteriore esperienza?È una storia che va di pari passo con il mio percorso professionale e quello di appassionato d’arte. Io ho iniziato a lavorare per la Banca di Bologna negli anni novanta e progressivamente ne sono diventato direttore generale circa quattro anni fa. La mia idea di fondo era quella di associare il nome della banca ad un contesto vitale come quello dell’arte contemporanea. Trovo che sia fondamentale provare anche a produrre e promuovere della cultura e poterla condividere con il pubblico della città che non è del tutto avvezzo al contemporaneo. Di qui -con molto tatto perché una cosa è usare i propri fondi e tutt’altra quelli di altri- ho proposto questa mia idea al consiglio di amministrazione della banca che ha sposato con favore questa iniziativa. Poi, grazie anche alla galleria P420 di Bologna, sono entrato in contatto con Simone Menegoi che già stimavo per l’approccio indipendente da mode e tendenze nel suo lavoro di curatore. Siamo arrivati a produrre due mostre, calibrate in maniera che potessero essere lette su più piani e potessero così essere avvicinate e approcciate da un pubblico sempre più ampio. Ora stiamo lavorando alla terza, una mostra personale di un artista straniero mai esposto in Italia.

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13A EDIZIONE A CURA DI / CURATED BYANTONIO GRULLI

CRITICALCOLLECTINGMARCOGHIGI/ DAVIDE

FERRICritical Collecting: dieci collezionisti italiani raccontati da dieci giovani critici d’arte indipendenti. Un modo per riportare al centro del sistema una figura, quella del critico, fondamentale per il corretto e sano funzionamento del mondo dell’arte, e troppo spesso messa da parte in questi anni di pratiche curatoriali imperanti. ArtVerona con questo progetto vuole tentare di scardinare il classico e ormai prevedibile abbinamento di collezionisti e artisti che si crea nel contesto fieristico.

Critical Collecting è un progetto che cerca di ridefinire la sfera d’azione stessa di un collezionismo troppo spesso legato al semplice momento dell’acquisto di opere d’arte intese in senso classico, suggerendo in maniera implicita e sperimentale la possibilità di trovare nuove nicchie di mercato. In anni in cui gli artisti stessi hanno allargato i confini del concetto di opera d’arte a qualsiasi forma di oggetto o concetto non necessariamente limitato entro i suoi aspetti materiali, perché non possiamo pensare a dei collezionisti che acquisiscano testi critici per la (e sulla) propria collezione?

MARCO GHIGIMarco Ghigi vive a Bologna, dove è nato nel 1963. Ha due figli ed è farmacista.

DAVIDE FERRIDavide Ferri (Forlì, 1974) vive a Roma ed è critico e curatore indipendente. È docente presso l’Accademia di Belle Arti di Rimini (LABA), l’Accademia di Belle Arti di Bologna e lo IED di Roma. È curatore della sezione arte del festival teatrale Ipercorpo di Forlì. Ha curato diverse mostre e progetti in gallerie e musei d’arte contemporanea, tra i quali, di recente: Material Life, Galleria The Goma, Madrid (2017), Teoria ingenua degli insiemi (con Cecilia Canziani), Galleria P420, Bologna (2016); Afro. Pensieri nella mano , Musei San Domenico di Forlì (2015); La figurazione inevitabile. Una scena della pittura oggi, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato (2013), Sentimiento Nuevo. Incontri sulla nuova critica e scrittura d’arte in Italia (con Antonio Grulli), MAMbo, Bologna (2011).

Marco Ghigi l’avrò conosciuto una quindicina di anni fa o poco più, quando lavoravo al Museo dell’Arredo Contemporaneo, un museo di design ospitato in un edificio di Ettore Sottsass e costruito nella bassa ravennate, dove organizzavo un programma di mostre che includeva soprattutto artisti della mia generazione, era il mio primo lavoro come curatore, e procedeva tra molti entusiasmi e qualche incertezza. Marco arrivava sempre con Marcello Benvenuti, un collezionista di Cesena che veste molto sgargiante e parla a voce altissima in una specie di falsetto continuo; Marco invece sembrava interpretare alla perfezione, vicino a Marcello, il ruolo di spalla o di allievo. In quel museo, dopo la visita alla mostra di turno, si restava a parlare fino a sera, ma io e Marco, come neofiti un po’ timidi, più che altro ascoltavamo Marcello che raccontava fatti della sua vita di collezionista; ridevamo molto e, quando fuori era già buio e tutto coperto di nebbia, il falsetto di Marcello

sembrava risuonare nella campagna circostante. È passato molto tempo, Marcello non invecchia mai e ogni tanto lo incontro alle fiere, Marco invece ho continuato a frequentarlo con una certa assiduità, perché quando due persone si conoscono all’inizio di qualcosa, quando sono fragili e un po’ goffi, è come se condividessero un segreto e difficilmente si perdono di vista. Così di Marco potrei dire molte cose: che ha una farmacia e vive a Ozzano dell’Emilia, cioè in mezzo a un paesaggio tipicamente “ghirriano” – infatti, guarda caso, a Ozzano c’è la villa, fotografata al crepuscolo e illuminata nella semioscurità, di un famoso scatto di Ghirri del 1987; che le foto di Ghirri che ci piacciono io e Marco ce le mandiamo qualche volta via whatsapp, perché vorremmo possederle e anche per rimarcare la nostra comune appartenenza a quel paesaggio; che i nostri incontri possono indifferentemente avvenire, dopo che ci siamo dati appuntamento in farmacia, in

un ristorante nel centro di Bologna o in una trattoria dove tigelle e crescentine si mangiano ai tavoli all’aperto, vicino alle auto e ai camion parcheggiati lungo la via Emilia; che in farmacia puoi sorprenderlo al telefono, molto dopo la chiusura e ancora con il camice indosso, che parla euforico di un’opera o di un artista scoperto di recente; che la sua casa, così stipata di opere, sembra non recare le tracce di una vita alternativa a quella del collezionista (dico un piatto sporco, uno stendino con il bucato ad asciugare, un paio di pantofole, ecc…); che la televisione è incastrata tra un Kounellis, un Carl Andre e un Uncini, e se sei seduto sul divano puoi vedere quel tanto di schermo lasciato libero da una scultura di David Adamo che sta al centro del piccolo salotto, con le schegge di legno sparpagliate sul pavimento; che per diversi anni, oltre che di arte, ha vissuto di pallacanestro, di Fortitudo (l’altra squadra bolognese) - allora a cena, se è in vena, i racconti di rocambolesche trasferte,

claustrofobici palazzetti di provincia e derby (con la Virtus) persi all’ultimo secondo si sovrappongono a quelli delle mostre e delle ultime fiere visitate; che è stato lui ad avermi parlato per primo (cioè diversi anni prima che tutti la celebrassero) della Pittura Analitica, e di artisti come Giorgio Griffa e Claudio Verna (poi, quando in molti hanno iniziato a ricordarsi della Pittura Analitica, di Griffa e di Verna, Marco ha smesso di interessarsi di pittura, e ha cominciato a collezionare solo fotografia); che Marco non è mai noioso, o svuotato di entusiasmo, come so esserlo io qualche volta e molte altre persone del cosiddetto mondo dell’arte, e anche adesso che è diventato un collezionista à la page non smette di sorprendermi, come quando un paio di mesi fa mi ha chiamato per dirmi che il suo ultimo acquisto è stato un dipinto di Arturo Tosi, la veduta di una campagna diafana e poetica che in casa avrà messo vicino a un lavoro di Thea Djordjadze o di Michael Sailstorfer.

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CRITICALCOLLECTINGSIMONA LEIDI & OLIVIERO FALCONI / STEFANO

RAIMONDICritical Collecting: dieci collezionisti italiani raccontati da dieci giovani critici d’arte indipendenti. Un modo per riportare al centro del sistema una figura, quella del critico, fondamentale per il corretto e sano funzionamento del mondo dell’arte, e troppo spesso messa da parte in questi anni di pratiche curatoriali imperanti. ArtVerona con questo progetto vuole tentare di scardinare il classico e ormai prevedibile abbinamento di collezionisti e artisti che si crea nel contesto fieristico.

Critical Collecting è un progetto che cerca di ridefinire la sfera d’azione stessa di un collezionismo troppo spesso legato al semplice momento dell’acquisto di opere d’arte intese in senso classico, suggerendo in maniera implicita e sperimentale la possibilità di trovare nuove nicchie di mercato. In anni in cui gli artisti stessi hanno allargato i confini del concetto di opera d’arte a qualsiasi forma di oggetto o concetto non necessariamente limitato entro i suoi aspetti materiali, perché non possiamo pensare a dei collezionisti che acquisiscano testi critici per la (e sulla) propria collezione?

SIMONA LEIDI & OLIVIERO FALCONINati 52 anni fa, rispettivamente a Bergamo e a Villongo (BG), entrambi appassionati di arte contemporanea. Lei imprenditrice nel campo del pakaging in plastica, lui manager bancario. Risiedono in provincia di Bergamo, sono sposati da 26 anni e hanno due figli. Oliviero ha un trascorso da artista virato al collezionismo; è tra i fondatori della Seven Gravity Collection, collezione privata italiana dedicata alle opere di video artisti contemporanei; fa parte del Consiglio Direttivo (per il 2017-2020) del ClubGAMEC Bergamo.

STEFANO RAIMONDIStefano Raimondi (1981) è curatore d’arte contemporanea. È fondatore e direttore del network culturale The Blank Contemporary Art per il quale ha realizzato Residency, ArtDate, Kitchen e numerose mostre e progetti di artisti come Cory Arcangel, Keren Cytter, Jonathan Monk, Franco Vaccari. E’ curatore alla GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, dove, tra le più recenti, ha realizzato le personali di Pamela Rosenkranz, Rochelle Goldberg, Rashid Johnson e Ryan McGinley. Collabora con diverse riviste, collezionisti e istituzioni internazionali.

Ho sempre pensato che dietro a una collezione “di coppia” ci fossero delle dinamiche e degli equilibri emotivi quasi misteriosi, potete raccontarmi brevemente come è nata la collezione Oliviero Falconi_Simona Leidi e quali sono le dinamiche che regolano il suo sviluppo?Quando è nata, attorno al 2000, la collezione non era di coppia, con alcuni amici mi avvicino al sistema dell’arte e con loro inizia una passione “a contagio reciproco” inizialmente non proprio ben vista e condivisa da Simona. Lei si avvicina al sistema dell’arte solo successivamente, inizialmente “moralmente” obbligata ad accompagnarmi a diverse mostre e inaugurazioni e poi travolta da questa coinvolgente e irrefrenabile passione. Tant’è che mi ha persino perdonato gli acquisti iniziali fatti a sua insaputa. Oggi siamo simbiotici e condividiamo sempre le scelte con partecipazione. Ci divertiamo molto. A ogni collezionista viene chiesto qual è il primo e l’ultimo lavoro comprato o qual è l’opera a cui sono più legati. Io sono sempre più interessato a sapere quello che manca, sia perché volutamente escluso o perché programmato in un successivo sviluppo della collezione. L’opera che manca è quella non ancora realizzata fatta da qualche giovane artista. Il nostro approccio è di lungo respiro, da un lato ci fa raccogliere alcuni lavori di artisti/fotografi dei primi anni sessanta e dall’altro ci caratterizza la giusta curiosità ed interesse nei confronti degli emergenti e della loro sensibilità per come interpretano e rappresentano la socialità contemporanea.

Oliviero so che, prima ancora di collezionare, una delle tue passioni è fare arte, naturalmente in un contesto diverso da quello del tradizionale sistema dell’arte. Mi chiedo se e come questa tua passione si rifletta nella scelta dei lavori e se si traduca in una particolare sensibilità ad andare oltre l’operaUn po’ artista lo sono e di sicuro la mia esperienza influenza le scelte. Ho una conoscenza, almeno parziale, delle dinamiche, ragionamenti e studi che portano a realizzare un certo lavoro e le capacità richieste per padroneggiare le singole tecniche. Fermo restando un interesse di base per l’arte concettuale nel suo complesso, mi piacciono

molto gli artisti che “si sporcano le mani”, che hanno, oltre a contenuti che riverberano una granitica preparazione di base, capacità ed abilità realizzative.Nelle scelte sui giovani sono molto influenzato da questa mia sensibilità. Negli altri casi un iniziale approccio “di pancia” all’opera si sviluppa poi in un approfondimento su altri lavori realizzati dall’artista nel tempo e sulle sue esperienze maturate. Credo che il significato di collezionare e il ruolo di collezionista si siano radicalmente trasformati negli anni. Cosa significa per voi oggi poter conoscere, selezionare e acquistare un lavoro? Quali sono i parametri e gli interessi che vi spingono verso un determinato artista?Sulla definizione di collezionista in diversi hanno speso parole senza modificarne il significato stretto. Collezionista è chi raccoglie e ordina una particolare specie di oggetti di un certo interesse. Da un punto di vista psicologico collezionare significa conservare oggetti che per noi hanno un valore o un significato e che portano un piacere estetico o sensoriale, creando una sorta di area di confort. Freud addirittura si è speso sui contenuti evidenziando un nesso tra il collezionismo ed erotismo, definendo l’oggetto collezionato una sorta di feticcio erotico che ci mette al riparo dall’angoscia. Quello che oggi è cambiato è forse il significato che si dà al collezionismo, più vissuto come una speranza di incremento futuro del valore dell’opera rispetto al prezzo d’acquisto piuttosto che sull’attesa di crescita del valore culturale dell’artista e quindi dell’opera acquistata. Il ruolo del collezionista è oggi centralissimo; senza gli investimenti dei collezionisti il sistema dell’arte, come oggi è conosciuto, non potrebbe esistere. Le motivazioni che ci spingono a collezionare sono esclusivamente quelle di un piacere personale connotato da un forte approccio emotivo, vissuto come stimolo intellettuale. È fondamentale la possibilità di confrontarsi e condividere la propria passione con altre persone che siano altri collezionisti, artisti, galleristi o curatori. Tra i top 100 artisti più venduti nelle aste figurano pochissime donne. Pensate che nell’arte ci sia un problema di rappresentazione del genere? In che proporzione avete collezionato opere di artiste?

Avete notato sostanziali differenze nell’accesso all’acquisto?Nelle scelte per la collezione non abbiamo mai fatto distinguo fra artisti maschi o femmine e onestamente nel contemporaneo non ci pare ci sia un problema di rappresentazione del genere femminile. Certo obbiettivamente fino alla metà del ventesimo secolo non abbiamo riscontro di grandi donne artiste dovuto probabilmente a limiti da convenzione sociale tipici del periodo storico. Bisogna arrivare agli anni Sessanta per avere presenze di artisti al femminile di un certo rilievo. Penso che dagli anni 80 si sia iniziato a valorizzare l’arte al femminile rivedendo anche lavori storicizzati. Oggi il mondo dell’arte è popolato da donne, spesso ci si relaziona con interessanti artiste. Nella nostra collezione ci sono diversi lavori di donne sia storicizzate, tipo Francesca Woodman o Elisabetta Catalano, che giovani contemporanee come Ludovica Carbotta o Elena Mazzi, fino alla giovanissima Irene Fenara.

Nell’acquistare un lavoro per una collezione privata questo viene in qualche modo tolto da una sua intrinseca dimensione pubblica. Qual è a vostro avviso la responsabilità sociale del collezionista? Pensate che sia importante creare dei canali e delle strategie che possano in qualche modo favorire l’accesso alla conoscenza e allo studio delle collezioni private?Fermo restando la sacralità del libero arbitrio di ciascuno, per cui fondamentalmente ogni collezionista è libero di decidere la gestione della propria collezione, anche privando i lavori da una dimensione pubblica, il nostro punto di vista è che le opere di collezioni private debbano essere rese disponibili. A tale proposito proprio quest’anno con una decina di altri collezionisti da tutta Italia abbiamo fondato un’ associazione COLLECTION OF COLLECTIONS (CoC) che ha come obbiettivo la diffusione della conoscenza delle opere che si trovano presso collezioni private. È stato creato un sito con un database digitale interattivo, rivolto a curatori, studiosi e musei con il quale, nel rispetto della privacy e salvaguardando l’individualità e la riservatezza delle singole collezioni, è possibile interagire a vari livelli per conoscere gli artisti presenti con le relative opere disponibili nelle singole collezioni. Tramite l’associazione è

poi possibile chiedere in prestito le singole opere per mostre, a scopi didattici o di ricerca. Il sito è aperto a qualsiasi collezionista che, condividendo i principi dell’associazione, vuole dare visibilità alla propria collezione, previa valutazione da parte di un comitato scientifico interno che verifichi la coerenza della collezione proposte. Anni fa mentre ero in Giappone ho scoperto con grande sorpresa e rammarico, mentre cercavo di trattare (io adoro trattare) il prezzo di un paio di geta, i tradizionali sandali orientali, che chiedere uno sconto, seppur minimo, era un’offesa al valore del prodotto e all’onestà del venditore. A voi è mai capitato di trattare sul prezzo di un’opera? Cosa significa negoziare il prezzo di un’opera d’arte?Ora capiamo perché in un recentissimo acquisto da una galleria giapponese la mail di risposta ad una nostra piccola richiesta di sconto è arrivata solo dopo un paio di settimane. La definizione di un prezzo è molto complessa. Il prezzo può avere natura economico-finanziaria, psicologica; può dipendere da fattori esclusivamente interni –un margine applicato a dei costi vivi – o da fattori esterni dovuti a comportamenti da parte di chi fa domanda. Può anche dipendere da politiche di prezzo da parte di artisti o da parte di gallerie. Pur generalizzando un po’, riteniamo comunque che il prezzo, fermo restando la base tecnica, non è altro che un incontro fra domanda e offerta. Non troviamo scandaloso chiedere sconti, noi lo facciamo sempre; non è poco rispettoso nei confronti delle gallerie. La consapevolezza è che non sono solo le gallerie che investendo sugli artisti che rappresentano sostengono il mondo dell’arte, ma sono soprattutto i collezionisti poiché quando pagano un prezzo per un’opera pagano implicitamente il ristoro dei costi vivi del realizzo, remunerano l’arista, coprono i costi della galleria e la remunerano. È quindi importante che esista un certo grado di complicità fra gallerie e collezionisti che a volte si può anche tradurre in uno sconto più o meno elevato rispetto ad un prezzo proposto per un opera d’arte. Per quanto ci riguarda, parlando di gallerie di qualità con artisti di nostro interesse, torniamo sempre volentieri da chi ci tratta meglio.

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13A EDIZIONE A CURA DI / CURATED BYANTONIO GRULLI

CRITICALCOLLECTINGANTONIO & ANNAMARIAMACCAFERRI / CLAUDIA

SANTERONICritical Collecting: dieci collezionisti italiani raccontati da dieci giovani critici d’arte indipendenti. Un modo per riportare al centro del sistema una figura, quella del critico, fondamentale per il corretto e sano funzionamento del mondo dell’arte, e troppo spesso messa da parte in questi anni di pratiche curatoriali imperanti. ArtVerona con questo progetto vuole tentare di scardinare il classico e ormai prevedibile abbinamento di collezionisti e artisti che si crea nel contesto fieristico.

Critical Collecting è un progetto che cerca di ridefinire la sfera d’azione stessa di un collezionismo troppo spesso legato al semplice momento dell’acquisto di opere d’arte intese in senso classico, suggerendo in maniera implicita e sperimentale la possibilità di trovare nuove nicchie di mercato. In anni in cui gli artisti stessi hanno allargato i confini del concetto di opera d’arte a qualsiasi forma di oggetto o concetto non necessariamente limitato entro i suoi aspetti materiali, perché non possiamo pensare a dei collezionisti che acquisiscano testi critici per la (e sulla) propria collezione?

ANTONIO & ANNAMARIA MACCAFERRIAntonio e Annamaria Maccaferri, vivono a Bologna, la passione per l’arte contemporanea li ha iniziati al collezionismo dai primi anni 2000. Antonio è un imprenditore e con i suoi fratelli guida il Gruppo Industriale Maccaferri che ha sedi in quasi tutto il mondo, una delle attività più conosciute è quella del sigaro Toscano. Annamaria ha alternato la sua attività di artista con quella di imprenditrice nel campo della comunicazione, oggi si occupa di uno spazio espositivo, nel centro di Bologna, dove ha la possibilità di organizzare mostre di artisti da lei selezionati.

CLAUDIA SANTERONIClaudia Santeroni è nata nel 1985 a Roma. Vive a lavora a Bergamo. Laurea magistrale in DAMS (Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo) conseguita presso Alma Mater Studiorum Università di Bologna e laurea specialistica in Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Coordinatrice di The Blank Contemporary Art, manager di OG Studio, curatrice indipendente.

IL VOLO IMPOSSIBILE

In questo progetto in cui i collezionisti vengono associati ai curatori, la collezione di Annamaria e Antonio Maccaferri mi è stata accostata con la consapevolezza che per dei bolognesi avrei scritto più che volentieri, memore del tempo che ho trascorso in città.Bologna e l’arte contemporanea erano le iniziali affinità elettive tra me e questa bella coppia che mi ha ispirato simpatia appena li ho visti. La loro collezione si incentra prevalentemente sulla fotografia, materia in cui sono specializzata, che insegno e inseguo. La loro casa si trova all’interno di un parco, dove troneggia un’apparente enorme voliera, potente scultura di Flavio Favelli realizzata appositamente per questo ambiente. Ho perso l’orientamento durante il tour delle stanze che abbiamo attraversato mentre Annamaria e Antonio mi mostravano la loro collezione: un piano dopo l’altro di spazi pensati per ospitare opere d’arte e mobili di design, una casa costruita per rispondere alle esigenze, ai gusti e alle passioni di chi la dimora, dove nulla è lasciato al caso o all’anonimato. In questo viaggio tra le camere, ce ne sono alcune che mi sono rimaste particolarmente impresse per la profonda coerenza tra lo scopo dell’ambiente e le opere che vi sono state collocate. Una stanza da letto, una stanza da bagno, una scala e un corridoio sono gli ambienti su cui mi concentrerò, innanzitutto perché la descrizione stanza per stanza mi pare indiscreta, un po’ perché non potrei fare altro perché ero smarrita nell’ammirazione di questo susseguirsi di locali, e infine perché,

come quando nella propria abitazione si elegge la poltrona preferita, ho individuato degli ambienti il cui ricordo mi è già caro.

La stanza da bagnoLo specchio domina in questa stanza dove ci si prende cura del proprio corpo e si fanno i conti con la propria immagine, anche perchi le immagini è abituato a sceglierle. Un ambiente a volte sottovalutato, cui si dedica una metratura scarsa, che invece, potendolo fare, va organizzato con precisione e dedizione, perché diventi un ’dove’ sia piacevole stare.È qui che campeggia l’opera di Erwin Olaf, teatrale, complessa, ambigua e drammatica: un bambino in biancheria intima rannicchiato in un angolo, con lo sguardo rivolto al muro, come se si stesse nascondendo o proteggendo, triste o arrabbiato non ci è dato saperlo, ma certamente perso nella dimensione intima suoi pensieri. È approfondendo questo artista che trovo un’interessante lettura di Alasdair Foster che mi pare pertinente alla circostanza, un parallelismo tra Olaf e Oscar Wilde: “We’re a creatures with an interior life that none but we can know. We must judge by appearences because they are all we have – that and the system of symbols and sounds we use for language. We are highly attuned to read appearences, large parts of our brain have evolved to interpret the surface of things and of people. When we meet someone for the first time, almost 90% of how we assess them is based on the judgement of our eyes”. E concordo nel dire che le apparenze sono importanti, così come lo è, per il nostro equilibrio psicofisico, la gestione degli spazi

che dobbiamo vivere quotidianamente. Collezionare è essa stessa una forma d’arte, e la selezione delle immagini di cui ci attorniamo un atto dai risvolti simbolici. Vicino alla fotografia dell’artista olandese troviamo un cavallo nero che, incastonato nell’ombra, ci scruta e sorveglia da un angolo della superficie, opera di Andreas Muhe.

La scala Saliamo una bella scala bianca in vetro e metallo, e ci attornia un’installazione a muro di Francesco Simeti.Sembra di trovarsi tra le pagine di un libro miniato, ma le decorazioni di montagne, nuvole e volatili ci aprono il piano della vertigine: l’insonnia è stata il veicolo per riflettere su questa distorsione sensoriale, emozione romantica che ha determinato diverse acquisizioni nonché la sistemazione di un’ala della villa dedicata all’argomento.

precipitare languido, sgomento,nullo, senza più peso e senza senso.sprofondar d’un millennio ogni momento!di là da ciò che vedo e ciò che penso,non trovar fondo, non trovar mai posa,da spazio immenso ad altro spazio immenso;

Come nella poesia del Pascoli, la vertigine dell’abisso e il mistero dello sconfinato si traducono nella ricerca di un rifugio – la coppia, la casa, la sua collezione. Il poeta si rivolge agli uomini che come lui abitano la Terra sospesi nel vuoto infinito, invitandoli a guardare in quale incredibile posizione essi si trovino: appesi credendosi eretti. Considerando questo, afferma il poeta,

viene quasi spontaneo stringersi a qualcosa per non precipitare nel cielo: l’arte. Ed ecco, subito dopo le porte dell’ascensore, davanti ad uno specchio di Ettore Sottsass, l’immagine di Janne Lehtinen da cui è dipanato tutto questo, il cui poetico titolo Happer – Sacred Bird è stato ulteriore occasione di riflessione per il tema della vertigine.

In un corridoio Incontriamo un altro luogo dell’anima, amato da tanta storia dell’Arte, da David Hockney in poi: una piscina. Marzia Migliora immortala un tuffatore durante un “volo d’angelo” al Foro Italico di Roma, realtà sovrapposta all’immagine dei tuffatori dei mosaici delle pareti.

In una stanza da lettoDue scatti della serie “Fall of man” di Fatma Bucak vigilati da una tigre in porcellana di Marcello Maloberti che, curiosamente, trattiene tra le fauci una targa su cui è incisa la frase “Ci amiamo ancora, giusto? É la cosa che sappiamo fare meglio”. Tra i confusi e rapiti ricordi che ho del mio tour di questa favolosa collezione che si basa sulla fotografia ma si sta aprendo alla pittura, rintraccio l’apparizione di un colossale Thomas Ruff pixelato, una figura di Schinwald che si intrufola tra uno stipite e l’altro, degli occhi di neon di Cuoghi Corsello che cortocircuitano con il loro titolo Lingua, l’immenso spazio interno di una biblioteca della Hofer, delicate e inquietanti immagini di Alessandra Spranzi, una delle quali inserita nel bar realizzato da Flavio Favelli, per chiudere il cerchio vertiginoso da dove l’abbiamo cominciato.

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CRITICALCOLLECTINGPIER LUIGIMETELLI / MARTA

SILVICritical Collecting: dieci collezionisti italiani raccontati da dieci giovani critici d’arte indipendenti. Un modo per riportare al centro del sistema una figura, quella del critico, fondamentale per il corretto e sano funzionamento del mondo dell’arte, e troppo spesso messa da parte in questi anni di pratiche curatoriali imperanti. ArtVerona con questo progetto vuole tentare di scardinare il classico e ormai prevedibile abbinamento di collezionisti e artisti che si crea nel contesto fieristico.

Critical Collecting è un progetto che cerca di ridefinire la sfera d’azione stessa di un collezionismo troppo spesso legato al semplice momento dell’acquisto di opere d’arte intese in senso classico, suggerendo in maniera implicita e sperimentale la possibilità di trovare nuove nicchie di mercato. In anni in cui gli artisti stessi hanno allargato i confini del concetto di opera d’arte a qualsiasi forma di oggetto o concetto non necessariamente limitato entro i suoi aspetti materiali, perché non possiamo pensare a dei collezionisti che acquisiscano testi critici per la (e sulla) propria collezione?

PIER LUIGI METELLIPier Luigi Metelli (1980) vive e lavora a Foligno. È avvocato, ha conseguito un Master in Business Strategy presso la SdA Bocconi. È collezionista e art producer. Ha fondato nel 2004 l’Attack Festival di Foligno portando in città i nomi più noti della Street Art. Nel 2014, sempre con Attack e in collaborazione con il Dancity Festival, ha prodotto una serie di eventi di arte contemporanea, tra cui la mostra On the Tip of My Tongue, Palazzo Trinci, e Lum, un progetto speciale di Nico Vascellari concepito per la chiesa di Santa Maria di Betlem a Foligno. Dal 2014 è Presidente del Young Jazz Festival.

MARTA SILVIMarta Silvi (1980) vive e lavora a Roma. Laureata in Storia dell’Arte Contemporanea presso la “Sapienza” di Roma, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia delle Arti Visive e dello Spettacolo presso l’Università di Pisa. E’ curatrice indipendente e critica d’arte. Regular contributor per Artforum e Flash Art Italia; collabora inoltre con Artribune, ATP Diary, Look Lateral. Tra il 2008 e il 2012 è stata co-direttrice della galleria Monitor a Roma. Dal 2015 è tra i promotori del premio Dancity Open Call. Nel 2016 ha curato la mostra La Solitudine dei Monumenti (Tomaso De Luca, Stefano Emili, Gabriele Porta, Matteo Fato) a Palazzo Candiotti e la personale di Nicola Samorì presso il Museo CIAC di Foligno. Nel 2014 e nel 2017 ha curato la sezione Arti Visive per il Dancity Festival di Foligno, presentando mostre, performance, talk e progetti speciali (Nico Vascellari, Claire Fontaine).

Il collezionista è innanzitutto un amatore, una persona che coltiva e riversa un interesse specifico su oggetti conciliabili sotto medesime categorie tipologiche. L’oggetto del desiderio può assumere varie forme, mentre l’atto del collezionare può esprimersi in diversi modi e rivelare, dunque, le più varie propensioni. Il desiderio risulta, comunque e sempre, il motore primario, primitivo ed essenziale, che alimenta la pulsione. E sebbene spesso incanalato in scelte, più o meno, razionalmente ponderate, esso rimane la scintilla originaria di un incontro, emotivo quanto istintivo, che conduce lo sguardo dove esso sa già di volersi posare. Collezionare è dunque, qui possiamo dirlo, un atto d’amore, rivolto, non solo verso l’oggetto in questione ma anche verso se stessi. È una forma terapeutica che si realizza nella ricerca del benessere spirituale, è una dimensione psico-fisica che, oltre i bisogni contingenti della vita, è indispensabile per evadere e viaggiare con la mente, per studiare e ricercare, per lasciarsi appassionare e stimolare. Questa, credo sia la visione che accompagna da sempre Pier Luigi e la sua famiglia nella loro curiosità verso l’arte.Conosco la Famiglia Metelli, e in particolare Pier Luigi e Valeria, da ormai diversi anni. Abbiamo spesso confrontato le nostre visioni avvicinandoci ad artisti e a lavori di cui condividiamo la ricerca e il piacere estetico. La loro collezione, lontana dalle fredde logiche di mercato, rivela non solo una passione profonda per l’oggetto d’arte, che fruiscono nella quotidianità della propria abitazione e della sede di lavoro, ma anche una curiosità nei confronti della

persona-artista che da semplice autore diventa poi interlocutore e spesso amico. Non è un caso che molti progetti curatoriali tra noi condivisi abbiano coinvolto a Foligno alcuni degli artisti amati e collezionati: Nico Vascellari è stato invitato a raccontare il suo lavoro presso la Calamita Cosmica di Gino De Dominicis, mentre esponeva nella Ex Chiesa S. Maria di Betlem a Foligno il progetto site specific Lum (2014); Nicola Samorì è intervenuto a presentare la sua pratica, in dialogo con me e Pier Luigi, presso il CIAC, Centro Italiano Arte Contemporanea, esponendo una nutrita selezione dei suoi lavori e regalando, inoltre, alla Quintana (competizione e rievocazione storica che si svolge nella città umbra da più di settant’anni) uno dei palii più belli e misteriosi (2016).Scattando una fotografia alla collezione oggi, mi accorgo come la strada percorsa insieme abbia seguito, o meglio generato, sotto-temi e tracce che echeggiano da un lavoro a un altro, da un artista all’altro. Ne ho rintracciati alcuni che fanno da motore di questo viaggio.“Pier Luigi, mi piacerebbe confrontarci qui per associazione di idee, strizzando l’occhio alla pratica del cadavre exquis surrealista, in modo da conservare e trasmettere il carattere istintivo e genuino che la vostra collezione ora (e mi auguro per molto tempo ancora!) possiede. Indicandoti un tema potrai associare i lavori che ritieni più affini, restituendoci la tua visione dell’arte e, perché no, della vita.”

1) MS: DESIDERIO.PLM: Desiderio è un sentimento che

accomuna ogni opera entrata a far parte della mia collezione. Nasce spesso a seguito di una presa di coscienza circa i molteplici elementi che mi avvicinano visceralmente all’artista scelto e alla sua produzione. Posso affermare di aver desiderato ogni singolo lavoro della mia collezione e, cosa sconvolgente, mi accorgo di avere inconsciamente desiderato anche alcuni lavori donati dalle persone a me più vicine. In ogni modo, ciascuna opera, ogni artista, ha quindi della affinità profonde con il mio modo di concepire il circostante e di concepirmi. Per tale ragione, una volta svelato questo legame il desiderio diviene inevitabile.

2) MS: RITO.PLM: La ritualità dei gesti che portano alla determinazione di un’opera da sempre mi affascina. Penso ai nidi, Nest, 2012, di Nico Vascellari, artista e amico, di cui stimo in maniera assoluta il lavoro. La ritualità è un elemento che ritrovo in molti dei lavori di Nico Vascellari in mio possesso. Sia in quelli esposti, sia nelle molteplici parole, nelle suggestioni, scambiate nei nostri incontri. Abbiamo probabilmente respirato nell’infanzia i medesimi odori, anche se in luoghi differenti ma similari. Tornando al tema precedente, “desiderio”, penso di non aver fino ad ora desiderato nulla quanto il lavoro Autoritratto HCVV, 2014, neon, di Nico Vascellari.

3) MS: EREMITAPLM: Sono umbro, vivo circondato da eremi e boschi, dove leggende di anacoreti risuonano, sin dall’infanzia. Non posso

negare di essere legato a questa figura. Tra le opere mi viene in mente il lavoro che ho fatto dipingere in casa mia dall’artista OZMO che raffigura appunto un tarocco della figura dell’eremita. Recentemente in una mostra al MART di Rovereto ho trovato questa didascalia di Anton Zoran Mušič che non riesco a far uscire dai miei pensieri. Recita così: “Ho bisogno di questa solitudine, del silenzio, di restare immobile in questa natura, in mezzo a quest’orizzonte immenso.

4) MS: STRATIFICAZIONEPLM: Nicola Samorì, Lieto fine di un martire, 2015. Sebbene forte nel caso di Samorì, sia anche il rimando alla ritualità, per lo meno parlando e ascoltando da lui come viene concepito ogni suo lavoro. Di Nicola mi ha da subito colpito la profondità della sua formazione che si manifesta, che si palesa, in ogni elemento, in ogni parte di un suo lavoro, come nei molteplici strati applicati e poi decorticati.

5) MS: NOSTALGIAPLM: mi capita spesso di soffermarmi a riflettere sul concetto di Nostalgia. Le vicissitudini della vita mi hanno portato a pensare di avere ben chiaro in mente il reale significato di questo termine e di conseguenza cerco di farne un utilizzo molto morigerato. Ad ogni modo, tra i lavori della mia collezione, pensando a nostalgia, mi viene in mente il lavoro di Rä di Martino Marocc/America, 2011, di Francesco Arena, Cornice storta, 2012 e di Ian Tweedy, Arrangements of Forgotten Stories #72, 2010.

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CRITICALCOLLECTINGMASSIMILIANO RUGGERI/ BRUNO

BARSANTICritical Collecting: dieci collezionisti italiani raccontati da dieci giovani critici d’arte indipendenti. Un modo per riportare al centro del sistema una figura, quella del critico, fondamentale per il corretto e sano funzionamento del mondo dell’arte, e troppo spesso messa da parte in questi anni di pratiche curatoriali imperanti. ArtVerona con questo progetto vuole tentare di scardinare il classico e ormai prevedibile abbinamento di collezionisti e artisti che si crea nel contesto fieristico.

Critical Collecting è un progetto che cerca di ridefinire la sfera d’azione stessa di un collezionismo troppo spesso legato al semplice momento dell’acquisto di opere d’arte intese in senso classico, suggerendo in maniera implicita e sperimentale la possibilità di trovare nuove nicchie di mercato. In anni in cui gli artisti stessi hanno allargato i confini del concetto di opera d’arte a qualsiasi forma di oggetto o concetto non necessariamente limitato entro i suoi aspetti materiali, perché non possiamo pensare a dei collezionisti che acquisiscano testi critici per la (e sulla) propria collezione?

MASSIMILIANO RUGGERIMassimiliano Ruggeri è nato a Venezia nel 1970. Collezionista in erba, ogni opera che ha acquistato è stata dettata dal piacere dell’opera e dalla comunicazione avvenuta con l’artista.

BRUNO BARSANTIBruno Barsanti è nato a Bari nel 1982. Curatore indipendente, ha collaborato con istituzioni e gallerie d’arte contemporanea in Italia e all’estero, affiancando all’attività di curatore quella di coordinamento e produzione di progetti espositivi ed editoriali. A partire dal 2010 ha ideato e curato mostre e progetti d’arte pubblica operando spesso in spazi non convenzionali, quali ad esempio il porto vecchio di Bari (amarelarte, 2011); nel 2013 ha curato la mostra NOISE, evento collaterale della Biennale di Venezia.

IO NON SONO UN COLLEZIONISTA

Una cosa è certa, non comincerò questo testo con l’etimologia del termine “collezione”; l’etimologia è il classico noiosissimo stratagemma di chi non sa come iniziare, o peggio ancora, di chi non ha argomenti. Dunque “Collezione”, lat. Collectionem da colléctus p.p. di colligere – raccogliere (v. Cogliere). - L’atto e più spesso l’effetto del raccogliere. E se raccogliere - sempre per etimologia - è anche ristringere in minore spazio, ecco che in un piccolo gruppo di quadri e fotografie può essere condensata una grande quantità di storie, relazioni, discorsi, bevute, momenti di vita vissuta. Restringere nel materiale ciò che per natura è immateriale. La mia chiacchierata con Massimiliano Ruggeri inizia con un tentativo di sabotaggio: Guarda, ci tengo a dirlo, io non sono un collezionista. Bene. La frase mi coglie alquanto di sorpresa. Bastano poche parole a capire che l’etichetta di collezionista gli interessa ben poco, anzi lo mette quasi a disagio. Mi sento diverso dalla maggior parte

dei collezionisti che ho conosciuto fino ad ora, sono un impulsivo, uno che pensa con la pancia, non ho mai pensato a quali prospettive possa avere un artista in termini di mercato, non mi è mai interessato e non saprei da dove cominciare. Il suo percorso di non-collezionista è iniziato nel 2011 grazie ai consigli di Marina Bastianello, direttrice della Galleria Massimo De Luca e cliente del suo negozio di parrucchiere a Mestre. È molto semplice, avevo dei soldi da investire e ho iniziato a frequentare la galleria di Marina, dove ho avuto modo di entrare in contatto con alcuni artisti e conoscere il loro lavoro. Tutte le opere che ho acquistato sono il frutto della stessa dinamica, strettamente legata alla conoscenza personale degli artisti e al rapporto di amicizia che si è creato con loro. Non ho mai comprato per calcolo o seguendo un ragionamento di convenienza, ma solo ed esclusivamente per l’emozione che un’opera è capace di regalarmi. Il medium d’elezione di Ruggeri è la pittura, anche se ultimamente la sua collezione si è arricchita di alcune fotografie e una scultura/installazione. Nel corso degli

anni ha acquistato opere di Graziano Folata, Elisa Strinna, Paola Angelini, Manuel Scano Larrazàbal, Teresa Cos, Dario Pecoraro, Rebecca Moccia, Barbara Prenka, Melissa Gordon, tutti artisti nati negli anni ‘80 e ‘90. Tutte le opere che ho comprato sono esposte in casa mia, anche se non mi piace fare troppa pubblicità con i miei amici, preferisco che tutto rimanga in una dimensione intima e spontanea. Non mi interessa parlare della mia collezione, non conosco bene le dinamiche del mercato dell’arte, non so quali mostre abbiano fatto i “miei” artisti e in quali musei prestigiosi abbiano esposto i loro lavori. Piuttosto con loro esco la sera, ci divertiamo, passiamo dei bei momenti insieme. Ecco, mi trovo più a mio agio con gli artisti che con i collezionisti, mi sento più simile a loro. Alla base delle scelte di Ruggeri sembra esserci una sorta di riconoscimento reciproco con gli artisti, una forte complicità che fa passare l’acquisto quasi in secondo piano. A volte ci vediamo e neanche sanno che ho appena comprato un loro lavoro, quello che conta di più è il

rapporto d’amicizia; quando ho acquistato Siberia, Graziano (Folata) mi ha abbracciato perché era contento che l’avessi comprata io, non perché una sua opera era stata venduta. Non chiedo mai a Elisa Strinna qual è la sua quotazione odierna, il suo valore di mercato, è più probabile che lei mi chieda un parere sul suo nuovo taglio di capelli. Se penso alle opere che ho comprato, la prima cosa che mi viene in mente sono le serate passate con gli artisti, le sensazioni, le parole, non il prezzo. Tornando all’etimologia, Massimiliano Ruggeri non guarda tanto agli effetti dell’atto del raccogliere, piuttosto è consapevole delle cause: più che un collezionista sono un amante del bello, non sono uno studioso ma un piccolo artigiano che agisce d’impulso e si fa trasportare dai sensi e dalle emozioni; a volte mi convinco che ci vorrebbe più gente che pensa con la pancia e non ha paura di sbagliare. Sbagliare è necessario, io vedo nell’errore la cosa più bella, vivremmo tutti meglio se accettassimo i nostri errori.