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«I MALAVOGLIA» DI GIOVANNI VERGA di Alberto Asor Rosa Letteratura italiana Einaudi 1

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  • 5/26/2018 Critica - Alberto Asor Rosa - I Malavoglia Di Verga

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    I MALAVOGLIADI GIOVANNI VERGA

    diAlberto Asor Rosa

    Letteratura italiana Einaudi 1

  • 5/26/2018 Critica - Alberto Asor Rosa - I Malavoglia Di Verga

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    In:Letteratura Italiana Einaudi. Le OpereVol. III, a cura di Alberto Asor Rosa,Einaudi, Torino 1995

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    Sommario

    I. GENESI E STORIA. 5

    1. Una lunga gestazione. 5

    2. Cronistoria di un evento. 8

    3. Avventure e disavventure di unedizione (che non c). 14

    4. Il punto di vista dellottica verghiana. 17

    4.1. Naturalismo e positivismo, e il loro contrario. 194.2. La Sicilia come ritorno. 244.3. I princip dellottica verghiana. 37

    4.4. Le condizioni dellottica verghiana. 474.5. Le conseguenze dellottica verghiana: distacco e immedesimazione. 50

    II. STRUTTURA E TITOLI. 52

    1. Una questione di titoli. 52

    1.1. Disposizione e misura della materia. 54

    2. Circolarit e ciclicit del racconto. 57

    3. Lorganizzazione narrativa della materia. 59

    4. Tempi e cronologia. 64

    4.1. Traslazioni logico-temporali. 69

    5. Il microcosmo di Trezza. 73

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    III. TEMATICHE. 78

    1. Letica del pugno chiuso. 78

    1.1. Dovere, onore, orgoglio e vergogna. 80

    2. Gli oggetti simbolici del racconto. 83

    3. Contro chi si battono i Malavoglia. 85

    3.1. Leconomico. 863.2. Il paese cattivo. 883.3. Limplacabile alternanza dei casi umani. 943.4. Chi la vuol cotta e chi la vuol cruda. 97

    4. La sconfitta. 99

    5. Come rinasce lumile speranza malavogliesca. 100

    IV. MODELLI E FONTI. 101

    1. Lintreccio dei rinvii interni. 101

    2. Il racconto rusticale o del populismo romantico. 103

    3. Protesta e ribellismo sociale. 105

    4. I grandi maestri della natura. 108

    5. Manzonismo. 112

    V. UN ROMANZO NON ROMANZO. 117

    1. Il problema stilistico dei Malavoglia. 117

    2. Piani del racconto e erlebte Rede. 1183. Il teatrino di Aci Trezza. 125

    4. Il meccanismo delle ripetizioni. 135

    5. Scritto e parlato. 139

    5.1. Perch il motto degli antichi mai ment. 1425.2. Espressionismo popolare. 1445.3. Trasmutazione semantica di soggetti e oggetti del racconto. 148

    6. La struttura del non detto. 154

    7. La poeticit come punto di arrivo dellintero percorso stilistico verghiano. 157

    8. Lacrymae rerum. 158

    VI. NOTA BIBLIOGRAFICA. 160

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    I Malavoglia di Giovanni Verga - Alberto Asor Rosa

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    I. GENESI E STORIA.

    1. Una lunga gestazione.

    Quando si presenta per la prima volta alla sua mente un incerto, approssimativoabbozzo di quellopera che sarebbe poi diventataI Malavoglia, Giovanni Verga (na-to a Catania nel 1840, di famiglia benestante e di origine nobile) era ormai da moltianni in giro per il mondo. Gi nel 1865 si era trasferito dalla citt natale a Firenze,alla ricerca di contatti meno provinciali e soffocanti di quelli che lambiente origi-nario poteva consentirgli; ma alla fine del novembre 72 aveva preferito alla pacifi-

    ca e quieta, ma fin troppo attardata e benpensante Firenze, ormai decaduta anchedal breve ruolo prestigioso di capitale della Nuova Italia, la tumultuosa e vibranteMilano, centro intellettuale in piena espansione. Giovanni Verga inaugura dunque,insieme con la tradizione della grande narrativa siciliana moderna, e in compagniadellamico Luigi Capuana, ma con maggior determinazione e lucidit di lui, la pra-tica di una emigrazione intellettuale, che caratterizzer quasi tutti gli scrittori suc-cessivi nati nella sua regione (Pirandello, Vittorini, Brancati, Sciascia, ecc.) . Non fa-

    rei cenno di questa pur importante particolarit biografica, se essa, almeno per Ver-ga, non avesse uninfluenza radicale sulla genesi della sua ricerca e della sua opera.Come vedremo meglio pi avanti, le coppie ideative lontananza-vicinanza, adesio-ne-distacco, partecipazione sentimentale e sofferto travaglio intellettuale (il quale,certo, non avrebbe potuto prender coscienza di s senza il contatto con le punteavanzate della ricerca letteraria italiana, che soltanto a Milano in quel momento siaveva la concreta possibilit di avvicinare e di conoscere), sono fondamentali per ilparticolarissimo mondo creativo di Giovanni Verga, in cui nulla lineare e regola-

    to, come invece si potrebbe pensare ad unosservazione molto superficiale.In modo del tutto analogo si potrebbe osservare che in Verga la scelta, com-

    piuta proprio a Milano (e non nellisola natale, voglio dire) di fare del mondo si-ciliano uno degli oggetti principali della sua contemplazione letteraria, non elimi-na mai del tutto la sua pi antica ambizione di collocarsi nellambito della ricercaletteraria contemporanea come scrittore borghese di ambienti e atmosfere bor-ghesi. Uno sguardo alle date ce lo conferma ampiamente (anche prescindendo

    dalle primissime opere, cos incredibilmente ingenue e dilettantesche): a CataniaVerga aveva scritto e poi pubblicato a Torino Una peccatrice (1866); a Firenzeaveva scritto e poi pubblicato a Milano per intercessione di Francesco DallOnga-roStoria di una capinera (1871); nei primi anni milanesi, fecondissimi, troviamoluna accanto allaltra opere tanto diverse come Eva (1873), Nedda (1874), Tigrereale (1875), Eros (1875), Primavera e altri racconti (1876). Anche negli anni suc-cessivi, quando, verso la fine del decennio 70, sinfittiscono i tentativi narrativi in

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    senso veristico, sia in direzione romanzesca sia in direzione novellistica (quasi tut-ti apparsi nel 1880, e cioJeli il pastore,Rosso Malpelo, Cavalleria rusticana,La lu-

    pa ed altri, sono i testi che compongono la raccolta Vita dei campi, del medesimoanno), Verga non smette di cercare anche nella direzione opposta: seI Malavoglia,infatti, sono dell81 e le Novelle rusticane dell83,Il Marito di Elena dell82, leraccolte Per le vie,Drammi intimie Vagabondaggio, che, pur non essendo unifor-memente riducibili al clichdel racconto borghese, testimoniano il perdurante la-vorio di Verga verso ipotesi diverse da quella costituita dallazione schiettamentesiciliana, sono rispettivamente dell82, dell84 e dell87.

    La rilevazione di questo intreccio tra esperimenti siciliani ed esperimenti

    borghesi (che riemerger in maniera prepotente anche dopo la comparsa diMastro-don Gesualdo (1889), conI ricordi del capitano di Arce (1891) eDon Can-deloro e compagni, 1894) strettamente connessa con una persuasione molto pre-cisa, che riguarda lintera impostazione estetica del Verga nella fase culminantedella sua ricerca. Negli anni fiorentini, e ancor pi in quelli milanesi, Verga entrain contatto con una serie di scrittori Ferdinando Mattini, Felice Cameroni, i duefratelli Boito, Emilio Praga, Salvatore Farina, Tullo Massarani, Giuseppe Giacosa

    in cui le nuove esigenze di realismo e di verit si mescolavano a non pochi resi-dui tardo-romantici e a qualche stentata anticipazione decadente. In questo am-biente la ricerca del nuovo non poteva coincidere con ladesione incondizionataad una poetica stretta e rigorosa, che in area italiana tendeva invece ad assumere,come sovente accaduto nella nostra cultura, un volto pi prudente e moderato:e ci a prescindere dallammirazione verso i numi tutelari della rivoluzione natu-ralistica, in particolare Flaubert e Zola, che in Verga, ad esempio, era grandissima.Ci giustifica, mi pare, giudizi come questo del 74 di Verga su di un libro straor-dinario comeMadame Bovary, che rasentano lincomprensione:

    Il libro del Flaubert bello, almeno per la gente del mestiere, ch gli altri hanno arric-ciato il naso. Ci son dettagli, e una certa bravura di mano maestra da cui c molto daimparare. Ma ti confesso che non mi va; non perch mi urti il soverchio realismo, maperch del realismo non c che quello dei sensi, anzi il peggiore, e le passioni di queipersonaggi durano la durata di una sensazione. Forse questa la ragione che non ti faaffezionare ai personaggi del dramma, malgrado il drammatico degli avvenimenti sceltocon parsimonia maestra. Ma il libro scritto da scettico, anche riguardo alle passioni

    che descrive, o da uomo che non ha principi ben stabiliti, il che peggio []1.

    Chi pensa che si possa leggere lopera veristica di Verga, e in particolareIMalavoglia, prescindendo dallalto pathos morale, che tutti li pervade, dovrebbe

    1 G. VERGA, Lettera a Luigi Capuana del 14 gennaio 1874, in G. RAYA, Carteggio Verga-Capuana, Roma 1898 (daquesto momento in poi: Carteggio), p. 29.

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    tener pi conto di questo suo disdegno per lo scrittore, anzi per luomo che nonha principi ben stabiliti, di questo rifiuto per uno scetticismo, che riduce il reali-smo ad una pura manifestazione e rappresentazione dei sensi o peggio, per dirlacon Verga, delle sensazioni.

    Tale ricerca della verit e questo laspetto pi interessante della posizioneverghiana si presenta del resto in lui come un atteggiamento morale e al tempostesso come una vera e propria inclinazione estetica, non contrastante, mi pare,con il clima dominante nellambiente da lui in quegli anni frequentato. ormaiunovviet, senza dubbio, ma tuttavia non si pu fare a meno di rammentare chelaccostamento alla materia siciliana non comporta per Verga nessuna adesione al

    convincimento che alla base della creazione letteraria si ponga un principio dor-dine scientifico. Questa svagatezza teorica porta Verga a formulazioni che potreb-bero apparire e forse sono scarsamente rigorose, ma in cui si manifesta con chia-rezza, accanto al netto rifiuto di ogni caratterizzazione scolastica, lidea di una ri-cerca che mira costantemente alla sostanza del vero anche quando le soluzioniestetiche appaiono diverse: Ho cercato sempre di essere vero, senza essere nrealista, n idealista, n romantico, n altro, e se ho sbagliato, o non sono riuscito,

    mio danno, ma ne ho avuto sempre lintenzione, nellEva, nellEros, in Tigre rea-le2. Pressappoco nello stesso volgere di mesi mesi decisivi, come vedremo aveva scritto nellimportantissima lettera del 21 aprile 1878 allamico SalvatorePaola Verdura: E realismo, io, lintendo cos, come la schietta ed evidente mani-festazione dellosservazione coscienziosa [...]3, parole che riecheggiano nelle pri-me battute dellintroduzione edita ai Malavoglia: Questo racconto lo studiosincero e spassionato [...]4 (si osservi come, in ambedue i casi, la terminologiaverghiana tenda ad accoppiare inconsapevolmente situazioni e concetti dordine

    estetico, schietta, evidente, spassionato ad altri, coscienziosa, sin-cero pertinenti piuttosto ad un atteggiamento di ordine morale, ad un princi-pio di responsabilit dellautore di fronte allobbligo della verit). Del resto, ilmedesimo rapporto non antagonistico, che si potrebbe stabilire nella prospettivacosciente dello scrittore fra produzione siciliana e produzione borghese, luistesso lo stabiliva organicamente allinterno del Ciclo dei vinti tra le opere di ar-

    2 N. CAPPELLANI, Vita di G. Verga, Firenze 1939, p. 194.3 G. VERGA, Lettera a Salvatore Paola Verdura del 21 aprile 1878, in ID.,Lettere sparse, a cura di G. Finocchiaro

    Chimirri, Roma 1980 (da questo momento in poi:Lettere sparse), p. 80.4 ID., Prefazione a I Malavoglia, in Opere di Giovanni Verga, a cura di G. Tellini, Milano 1988 (da questo momento

    in poi: Opere), p. 409. Ledizione di Gino Tellini, in assenza di unedizione propriamente critica, riproduce il pi fe-delinente possibile ledizione Treves del 1881, in parte accogliendo e in parte no le correzioni congetturali delledizio-ne contenuta in ID.,I grandi romanzi, prefazione di R. Bacchelli, testo e note a cura di F. Cecco e C. Riccardi, Milano1983. Da questo momento in poi, le citazioni dai Malavoglia saranno riportate nel corpo del testo, con lindicazionedel capitolo e della pagina relativi; c.n. sta per corsivo nostro.

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    gomento basso e quelle di argomento via via sempre pi raffinato ed elevato, se-condo la formula usata nella medesima lettera allamico Paola: Ciascun romanzo

    [del ciclo] avr una fisionomia speciale, resa con mezzi adatti

    5

    . Questa teoria deilivelli sociologico-espressivi per cui un risultato letterario sar tanto pi vero eriuscito quanto pi riuscir ad adattarsi alla diversit delle situazioni e degli am-bienti pu apparire ingenua alla luce di una pi matura ideazione estetica, ma esattamente quella che Verga mette alla base di tutta la sua ricerca degli anni Set-tanta-Ottanta e che gli consente, senza forzature, di tornare a guardare con oc-chio libero ed originale ad una materia come quella siciliana, che avrebbe potutoassai facilmente soggiacere ad una prospettiva folkloristica o puramente docu-

    mentaria, o, come accade in altri casi, di mera denuncia politica e sociale.La difficolt, ben nota agli storici della letteratura italiana moderna e con-

    temporanea, di mettere in sincronia gli svolgimenti della nostra cultura nazionale(e del gusto, che in arte le si intreccia e la sostiene) con quelli della cultura euro-pea contemporanea, particolarmente evidente per il periodo che riguarda la fa-se evolutiva di Giovanni Verga, alla quale abbiamo accennato. Attentissimi, e am-mirati, a quanto accadeva oltralpe, e particolarmente a Parigi, i nostri scrittori ri-

    luttano tuttavia ad adottare quei princip, che, senza ovviamente esaurirle, si pon-gono alla base di quelle implacabili macchine narrative, che sono, ad esempio, iromanzi di Emile Zola. Complici anche una critica e una teoria letteraria, che an-ch'esse in quegli anni, attardatamente, esprimono lesigenza di un rapporto tra laforma e la cosa non riducibile ad uno schema sistematico (De Sanctis e, nella suascia, lo stesso Capuana), la nostra letteratura concepisce il rinnovamento in termi-ni di faticosa, travagliata deposizione del paludato camice romantico, con il quale

    ancora molti nel decennio 70 guardano allarte, ma non certo come adozione diun sistema pseudo-scientifico dellagire letterario, n come abbandono serio e to-tale di quel principio morale, che ciascun buon romantico avrebbe voluto collo-care alla base della sua ricerca. Verga uno di quelli che vivono m maniera pichiara, e sulla propria pelle, questo passaggio, che per lui anche un passaggiodalla provincia pi lontana allItalia e un ritorno da questa alla provincia.I Mala-voglia rappresentano il frutto pi singolare di questo singolare percorso.

    2. Cronistoria di un evento.

    Sepolta fino a qualche tempo fa sotto la grande confusione editoriale delle carteVerga, possibile fare ora una cronistoria minuziosa e precisa della nascita del ca-

    5Lettere sparse cit., p. 80.

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    I Malavoglia di Giovanni Verga - Alberto Asor Rosa

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    polavoro, quasi giorno per giorno in certe fasi, utilizzando le numerose edizioni diepistolari, non sempre sistematici e rigorosi ma complessivamente esaurienti, chesi sono succedute negli ultimi anni6.

    Come abbiamo gi accennato, nel 1874, esce presso leditore milanese Brigo-la Nedda, bozzetto siciliano. Il sottotitolo dello scrittore, e allude probabil-mente ad una precisa delimitazione dellesperimento da parte sua, come si puanche ricavare dal fatto che nelle lettere alla famiglia dei mesi successivi Verganon solo dimostra stupore per il successo inaspettato del breve scritto (attribuibi-le, probabilmente, alla novit del tema e al messaggio populistico, cui esso nonera del tutto estraneo), ma si affanna a convincere i suoi lontani interlocutori che

    si tratta di una cosettina da nulla7, una vera miseria8, un lavoro che buttaigi alla meglio ed al quale non tenevo gran fatto9.

    Questa carica autodenigratoria, insolita in un autore come Verga, apparente-mente modesto ma anche molto fermo nel difendere le ragioni del proprio lavoroe della propria opera, si spiega soltanto pensando che a Verga in quel momentolesperimento siciliano dovesse sembrare qualcosa di episodico e di passeggero,dopo il quale tornare alle predilette avventure borghesi, su cui proiettare con

    limmaginazione, se mai, il frutto dellimmeritato successo di Nedda: la Nedda[] ha avuto un miglior successo di quel che si meriti. Se la va cos anche pel ro-manzo []10: doveva trattarsi, in quel momento, o di Eros (apparso verso la finedel 74, ma con la data del 75) o di Tigre reale (che vedr la luce nel giugno 75).

    La prima idea deiMalavoglia sarebbe apparsa in una lettera alleditore Trevesdel 21 settembre 1875 in questa forma: Vi mander presto Un sogno per lIll. eUn.e e in seguito Padron Ntoni, il bozzetto marinaresco di cui conoscete il prin-cipio, per ilMuseo d. Fam. e. Avrei potuto finirlo e mandarvelo anche prima, mavi confesso che rileggendolo mi parso dilavato, e ho cominciato a rifarlo di sanapianta, e vorrei riuscire pi semplice, breve ed efficace11. Non chiaro se il com-mento finale si riferisca a Un sogno o al bozzetto denominato Padron Ntoni: sa-rei portato a ritenere pi fondata la prima ipotesi: infatti, mentre Padron Ntoni,di qualsiasi cosa si tratti (non sappiamo se unanticipazione di Fantasticheria op-

    6 Oltre alle gi citate raccolte a cura del Raya (Carteggio) e della Finocchiaro Chimirri (Lettere sparse), che riassor-bono molte delle edizioni precedenti, sono importanti: ID., Lettere al suo traduttore [Edouard Rod], a cura di F.Chiappelli, Firenze 1954; ID.,Lettere a Dina, testo integrale a cura di G. Raya, Roma 1962, poi in ID.,Lettere damo-re, a cura di G. Raya, Roma 1971; G. RAYA, Verga e i Treves, Roma 1986; cfr. anche G. FINOCCHIARO CHIMIR-RI,Regesto delle lettere a stampa di Giovanni Verga, Catania 1977.

    7 G. VERGA, Lettera alla famiglia del 21 giugno 1874, inLettere sparse cit., p. 64.8 ID., Lettera alla famiglia del 25 giugno 1874, ibid., p. 65.9 ID., Lettera alla famiglia del 18 giugno 1874, ibid., p. 63.10 ID., Lettera alla famiglia del 25 giugno 1874, ibid., p. 65.11 ID., Lettera a Emilio Treves del 21 settembre 1875, ibid., p. 76.

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    pure un UrtextdeiMalavoglia), verr sottoposto ad un processo di rielaborazionedestinato a durare qualche anno, Un sogno, cambiando titolo (senza dubbio sitratta, nella versione definitiva, della novella La coda del diavolo), entrer di l apoco nella raccolta Primavera, destinata ad uscire, ma per i tipi del Brigola, nel1876 (e infatti, sempre al Treves, il 13 ottobre 1875: Sabato prossimo far mette-re alla posta laltro racconto che cercherei di battezzare altrimenti giacch di so-gni ne avete abbastanza)12.

    In questa prima comparsa del tema dei Malavoglia ci sono alcune cose inte-ressanti: innanzi tutto, lidea, come si vede, compare fortemente personalizzata at-traverso la figura di Padron Ntoni, alla maniera delle grandi novelle contempora-

    nee comeJeli il pastore eRosso Malpelo, e questo durer poi fin quasi alla pubbli-cazione del romanzo, come vedremo meglio pi avanti; in secondo luogo, si vedebene come il ritorno alla materia siciliana si configuri ancora per Verga nel genereassolutamente tipico e ben identificabile del bozzetto, siciliano per quel cheriguarda Nedda, marinaresco nel caso di Padron Ntoni. Per uno scrittore abi-tuato a ragionare secondo gli schemi narrativi del tempo (quadrettino di genereegli definisce, ad esempio, il racconto Una Principessa, destinato a diventare, mu-tato anchesso il titolo, il testo introduttivo ed eponimo della raccolta Primavera),questa classificazione doveva risultare importante sia dal punto di vista del valoreattribuito a tali testi sia dal punto di vista delle tecniche narrative utilizzate13.

    Nella intensissima e quasi furibonda produzione letteraria, che corrispondeai primi anni del suo soggiorno milanese, motivata molto probabilmente anche daun forte desiderio di affermazione mondana e persino di guadagno, si nota a que-sto punto una pausa (1877-78?): doveva esser iniziato infatti il lungo e faticoso la-voro preparatorio, da cui sarebbero sbocciati, tra la fine degli anni Settanta e il

    1881, le novelle di Vita dei campie il grande romanzo marinaresco. Primo frut-to di questa riflessione il progetto del Ciclo dei vinti, come compare per la pri-ma volta sotto il titolo complessivo dellaMarea in una lettera allamico Salvato-re Paola Verdura del 21 aprile 1878:

    Ho in mente un lavoro, che mi sembra bello e grande, una specie di fantasmagoriadella lotta per la vita, che si estende dal cenciaiuolo al ministro e allartista, e assumetutte le forme, dalla ambizione allavidit del guadagno, e si presta a mille rappresenta-zioni del gran grottesco umano; lotta provvidenziale che guida lumanit, per mezzo eattraverso tutti gli appetiti alti e bassi, alla conquista della verit. Insomma cogliere il la-to drammatico, o ridicolo, o comico di tutte le fisionomie sociali, ognuna colla sua ca-ratteristica, negli sforzi che fanno per andare avanti in mezzo a questonda immensa che

    12 ID., Lettera a Emilio Treves del 13 ottobre 1875, ibid.13 [...] Padron Ntoni, della quale vi avevo anche mandato la prima parte, [...] non mi piace pi e intendo rifar[la].

    Potete annunziarla pel prossimo numero dellIll.e (ID., Lettera a Emilio Treves del 29 ottobre 1876, ibid., p. 78).

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    spinta dai bisogni pi volgari o dallavidit della scienza ad andare avanti, incessante-mente, pena la caduta e la vita, pei deboli e i maldestri.

    Mi accorgo che quando avrai letto questa lunga filastrocca, sar riuscito a dirtene

    ancora niente e ne saprai meno di prima. Il primo racconto della serie, che pubblicherfra breve, ti spiegher meglio il mio concetto, se ci riesco. Per adescarti dir che i rac-conti saranno cinque, tutti sotto il titolo complessivo dellaMarea e saranno: 1 PadronNtoni; 2 Mastro don Gesualdo; 3 La Duchessa delle Gargantas; 4 LOn.Scipioni; 5Luomo di lusso.

    Ciascun romanzo avr una fisionomia speciale, resa con mezzi adatti. Il realismo,io, lintendo cos, come la schietta ed evidente manifestazione dellosservazione co-scienziosa; la sincerit dellarte, in una parola, potr prendere un lato della fisionomiadella vita italiana moderna, a partire dalle classi infime, dove la lotta limitata al panequotidiano, come nel Padron Ntoni, e a finire nelle varie aspirazioni, nelle ideali aviditdeLuomo di lusso (un segreto), passando per le avidit basse, alle vanit delMastro donGesualdo, rappresentante della vita di provincia, allambizione di un deputato14.

    Di questa lunga e appassionata premessa al suo lavoro futuro, sembranointeressanti soprattutto questi aspetti. Il quadro della ricerca appare ormai a que-sto punto sostanzialmente definito: non a caso, parecchi elementi di questa letteraritornano chiaramente nelle due introduzioni (edita e inedita) ai Malavoglia (per

    esempio, il concetto di una lotta provvidenziale ma beffardamente provviden-ziale che spinge lumanit ad una piuttosto indeterminata conquista di verit,il cui esito sostanziale, e anchesso paradossale, per il rischio della caduta e laperdita della vita). Naturalmente, tuttaltro che irrilevante osservare che lideadei singoli romanzi si sia presentata alla mente di Verga gi composta dentro quel-la pi complessiva del ciclo narrativo: se si combina questa prospettiva conquella dei livelli sociologico-espressivi, qui chiaramente gi delineata e destinata a

    ripresentarsi in forma pi matura nelle introduzioni ai Malavoglia prospettivaper cui ad ogni materia corrisponde una fisionomia stilistica e linguistica spe-ciale non si possono nutrire dubbi sul fatto che Verga adotti qui uno schema in-terpretativo di tipo evoluzionistico (anche se poi in pratica non ce ne sar una ne-gazione pi efficace della sua). Le singole storie nascono o dovrebbero nascere organizzate dentro tale schema: per quanto ci non sia affatto vero come si sa,il potente afflato ispirativo deiMalavoglia e diMastro-don Gesualdo sar destinatoa isterilirsi non appena Verga cercher di varcare per la seconda volta, ma questa

    volta nella direzione opposta, il confine che separava la materia popolare e sicilia-na da quella colta, nobiliare e borghese non va tuttavia escluso che il concepi-mento in grande dellintero ciclo abbia svolto una funzione maieutica positiva an-che nei confronti dei gradini pi bassi di esso, aiutando Verga a liberarsi da quella

    14 ID., Lettera a Salvatore Paola Verdura del 21 aprile 1878 cit., p. 80.

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    concezione meramente bozzettistica della materia siciliana che in precedenzaera sua. Inserendola dentro il vasto quadro del ciclo, egli, infatti, le riconoscevauna dignit umana ed artistica, che, presa a frammenti, non sarebbe forse mai riu-scito a raggiungere (si affacciava persino lidea, storicistica e civile, come abbiamovisto, che linsieme dellopera potesse contribuire a dare un affresco potente ecompleto della vita italiana moderna); e, al tempo stesso, attribuendo unim-portanza somma alla ricerca dei mezzi adatti a rendere la fisionomia specialedi ciascuno di quei mondi, si preparava ad una ricerca linguistica e stilistica diidentit ben al di l del folklorismo populistico del racconto campagnolo allaPercoto o alla DellOngaro (che erano tuttavia, non bisogna dimenticarlo, gli an-

    tecedenti italiani pi immediati di esperienze di tal fatta; cfr. il IV. 2).Di sommo interesse dal punto di vista della storia della composizione del libro,e della prospettiva ideale dentro la quale lautore la collocava, sono alcune letteredel Verga al Capuana tra la met del 78 e la met del 79. In quella del 17 maggio1878 compare per la prima volta il nome dei Malavoglia, accanto alla confessioneesplicita che, per andare avanti nel suo lavoro, Verga aveva dovuto far fuori drasti-camente la vecchia idea del bozzetto marinaresco: Io son contento del mio sa-crificio incruento, che mi lascia meglio soddisfatto del mio lavoro e mi fa sperareche riesca quale lho vagheggiato in immaginazione. A proposito, mi hai trovato unangiuria che si adatti al mio titolo? Che ti sembra diI Malavoglia?15 (per ngiuriasintende, sicilianamente, soprannome). Prosegue Verga: Potresti indicarmi unaraccolta di Proverbi e modi di dire siciliani?16. Questo tema dei proverbi ritorna an-che nelle lettere a Capuana del 10 e 20 aprile 1879, e rivela laccanimento e laccu-ratezza con cui Verga cerca di documentare questo punto, forse lunico, della sua ri-cerca di sicilianit. Il testo che il Verga ebbe modo quasi esclusivamente di consul-

    tare fu quello del Pitr, apparso molto opportunamente per lui nel 188017.In queste lettere a Capuana riemerge con grande chiarezza anche il tema deltravagliato rapporto tra osservazione diretta e lontananza, tra esigenza di verit ericostruzione eminentemente fantastica e intellettuale18. Facciamo un passo indie-

    15 ID., Lettera a Luigi Capuana del 17 maggio 1878, in Carteggio cit., p. 61.16Ibid.17 Lopera costituisce il volume VIII della Biblioteca delle Tradizioni popolari siciliane, col titolo Proverbi sicilia-

    ni, raccolti e confrontati con quelli degli altri dialetti da G. Pitr con discorso preliminare,glossario [], 4 voll., Palermo1880. Di questo testo il Verga compil degli estratti (297 proverbi), contenuti in quattro fogli non numerati di carta diprotocollo (agegati al manoscritto deiMalavoglia, che era servito per la stampa: cfr. il successivo), di cui si serv am-piamente per la stesura deiMalavoglia. Laltro testo, che il Verga avrebbe ambito consultare, ma che non sappiamo siariuscito a fare, laRaccolta di proverbi siciliani ridotti in canzoni di lAbbati Santu Rapisarda, pubblicata in quattro vo-lumi a Catania, rispettivamente nel 1824, 27, 28 e 42. Cfr. F. CECCO, Contributo allo studio dei proverbi nei Mala-voglia, in AA.VV.,Studi di letteratura italiana offerti a Dante Isella, Napoli 1983, pp. 371-90.

    18 Su questo punto si vedano anche le osservazioni che dedichiamo pi avanti ( 1-4.1) alla lettera dedicatoria al-lamico Salvatore Farina, che precede la novellaLamante di Gramigna della raccolta Vita dei campi.

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    tro. Allinizio del suo soggiorno milanese Verga aveva colto in pieno leffetto po-tentemente liberatorio, anzi quasi dirompente, che il vivere in una grande cittcome Milano pu produrre su scrittori venuti da lontano, pieni di estro e di fan-tasie ma come ancora avviluppati nel loro originario bozzolo provinciale, comeerano lui stesso e Capuana. Nella stessa lettera del 13 marzo 1874, in cui gli an-nuncia la composizione di Nedda, da lui definita significativamente in questa oc-casione uno schizzo di costumi siciliani19, Verga scrive allamico:

    Verrai finalmente? Non credere che sia egoismo damico il mio desiderio daverti qui, oalmeno che non sia soltanto ci. Tu hai bisogno di vivere alla grandaria, come me, e pernoi altri infermi di menti e di nervi la grandaria la vita di una grande citt, le continue

    emozioni, il movimento, le lotte con s e con gli altri, se vuoi pur cos. Tutto quello chesenti ribollire dentro di te irromper improvviso, vigoroso, fecondo appena sarai inmezzo ai combattenti di tutte le passioni e di tutti i partiti. Cost tu ti atrofizzi [...]20.

    Pu sembrar strano che lo stesso autore dei grandi paesaggi solari e luminosi,degli en plein airdeiMalavoglia e diMastro-don Gesualdo collochi la grandariasopra i tetti fuligginosi, le ciminiere fumanti e la penombra dei salotti della metro-poli nordica: invece il discorso stupendamente chiaro. Solo collocandosi in quelcentro lontano, la liberazione dai ceppi mentali e visuali dellatrofizzante con-dizione originaria avrebbe potuto verificarsi. Negli anni del concepimento e dellastesura deiMalavoglia il problema doveva ancor pi concretamente riproporsi an-che nella scelta di determinate tecniche di osservazione e di composizione, e il fattoche egli lo ripresenti quasi ossessivamente significa che esso non era risolto per luin in modo pacifico n una volta per sempre. Nelle lettere a Capuana del 17 maggio187821 e del 14 marzo 187922 lesigenza di un distanziamento estetico dallogget-to rappresentato assume una tale chiarezza da consentirmi di parlare, in termini di

    ottica verghiana, di un vero e proprio principio di lontananza (cfr. il 1.4.3.1).A partire dai primi mesi dell80 le notizie sulla stesura del romanzo sinfitti-scono. Il 25 aprile 1880 comunica al Treves: Eccovi i primi capitoli del romanzo.Io preferisco tagliar via tutta la prima parte sino a pagina 42 e cominciare subitocolla pagina 1 dellaltro brano di manoscritto che vi mando. Rinunzio forse ad unamaggiore evidenza di paesaggio, di personaggi e di ambiente, ma ci guadagno diefficacia e di interesse. Ad ogni modo vorrei anche a vostro parere perch sonoperplesso su ci23 (sugli interessanti particolari compostivi forniti da Verga ritor-ner pi avanti). Al fratello Mario il 27 giugno 1880: Io sto bene, ed ho finito pro-

    19 G. VERGA, Lettera a Luigi Capuana del 13 marzo 1874, in Carteggio cit., p. 30.20Ibid.21Ibid., p. 61.22Ibid., pp. 79-80.23 ID., Lettera a Emilio Treves del 25 aprile 1880, in Lettere sparse cit., pp. 88-89.

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    prio il 23 il romanzo, ci vorranno ancora una ventina di giorni per ritoccarlo[]24: la previsione tuttavia risulter ottimistica, il travaglio correttivo durer an-cora alcuni mesi, anche se il 2 luglio Verga confermer a Capuana pressoch neglistessi termini la conclusione del lavoro grosso: Io ho lavorato sul serio, ed hocondotto a fine il romanzo. Ci vorr ancora qualche ritocco []25. Ma a met lu-glio chiede una dilazione alleditore: Quanto al ms. deiMalavoglia datemi ancorauna settimana o due, e ci guadagneremo tutti []26 (ne approfitta intanto peresporre a Treves il quadro dellaMarea, in termini non dissimili da quelli della let-tera a Paola di due anni prima). Alla fine di luglio si trasferisce alla Madonna delMonte, sopra Varese, per poter lavorare al fresco e in tranquillit. Al fratello Mario

    il 29 luglio 1880: Fra due settimane avr consegnato il manoscritto per la stampa[]27 (come sempre in Verga il desiderio della gloria saccompagna al calcoloeconomico: Se il romanzo riesce come desidero, ogni cosa assicurata []28).

    Il 9 agosto 1880 invia a Treves la prima met del manoscritto del romanzo sinoalla pagina 202 e comunica: in questa settimana riceverete laltra. Lannoso dub-bio sul titolo finalmente sciolto: Pel titolo resta adottatoI Malavoglia invece di Pa-dron Ntoni. Informa inoltre: Colla seconda parte vi mando pure due righe di pre-fazione []29 (in realt, la questione dellintroduzione al romanzo fu risolta, comevedremo, solo allultimo momento). Comincia la difficile e lunga correzione dellebozze, che costituir un altro importante capitolo del processo di revisione del testo.Al fratello Mario il 26 settembre 1880: Sono occupatissimo colla stampa deiMala-voglia []30; e infine allo stesso il 15 novembre 1880: Sto correggendo le stampedeiMalavoglia, ed esciranno in gennaio []31 (angustiato per i ritardi del Trevesnel versargli i promessi anticipi, si conforta citando uno dei proverbi di padron Nto-ni: Buon tempo e mal tempo non dura tutto il tempo). Il 1 gennaio 1881 compa-

    re sulla Nuova Antologia il bozzetto Poveri pescatori (lepisodio della tempestatratto dal romanzo di imminente pubblicazione). Il romanzo appare a febbraio.

    3. Avventure e disavventure di unedizione (che non c).

    La storia editoriale delle opere di Verga, e in particolare deiMalavoglia, stata, al-meno fino a qualche anno fa, particolarmente sfortunata. Dopo la morte dello

    24 ID., Lettera al fratello Mario del 27 giugno 1880, ibid., p. 90.25 ID., Lettera a Luigi Capuana del 2 luglio 1880, in Carteggio cit., p. 92.26 ID., Lettera a Emilio Treves del 19 luglio 1880, in Lettere sparse cit., pp. 93-94.27 ID., Lettera al fratello Mario del 29 luglio 1880, ibid., p. 95.28Ibid.29 ID., Lettera a Emilio Treves del 9 agosto 1880, ibid., p. 96.30 ID., Lettera al fratello Mario del 26 settembre 1880, ibid., pp. 99-100.31 ID., Lettera al fratello Mario del 15 novembre 1880, ibid., pp. 102-3.

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    scrittore le sue carte furono affidate ai fratelli Lina e Vito Perroni, che, pur pre-sentando alcune interessanti anticipazioni di materiali e lavori preparatori, nonpervennero per a nessun risultato concreto e definitivo32. La confluenza del pa-trimonio di manoscritti verghiani di propriet Mondadori (erede a sua volta deiTreves) e di quelli conservati presso la Biblioteca Regionale Universitaria di Cata-nia, agevolata, soprattutto, dalla costituzione della Fondazione Verga, ha senzadubbio favorito lo studio approfondito delle tematiche relative. In un saggioestremamente circostanziato Francesco Branciforti ha descritto anni or sono lostato della questione33: tuttavia, mentre nel frattempo sono apparse le edizionicritiche di Vita dei campie diMastro don Gesualdo34, quella deiMalavoglia, affi-

    data allo stesso Branciforti, si attende ancora, e ci si pu soltanto augurare che lo-pera meritoria venga al pi presto compiuta.

    La questione editoriale dei Malavoglia appare al tempo stesso semplice ecomplicata. Semplice, perch ci troviamo di fronte ad un solo autografo (regalatodal Verga allamico Capuana, e da questi a sua moglie), che anche sicuramentequello che and in tipografia (questo consente di ricostruire al millesimo, attra-verso una minuziosa opera di colazione, le intenzioni dellautore fino allultimo

    momento prima della stampa); complicata, non solo perch mancano del tutto te-stimoni anteriori e posteriori, ma anche perch le bozze corrette, sulle quali inter-venne molto lautore ma forse anche il proto, non esistono pi, impedendo unconfronto fino in fondo tra il manoscritto e il testo a stampa. Cos riassume il pro-blema il Branciforti:

    Il manoscritto si presenta omogeneo e con caratteristiche singolari nella storia della tra-dizione di un testo letterario: [] raro trovarsi di fronte ad un autografo che nel di-segno definitivo dellopera rappresenti da solo il primo e lultimo manoscritto, cio la

    prima pagina scritta e lultima pagina aggiunta della fine, siglata con la parola fine allavigilia dellinvio in tipografia []35.

    Il pacco di manoscritti cui si riferisce la descrizione del Branciforti compren-de pi esattamente: 1) autografo del romanzo (scritto su fogli di carta di proto-collo numerati dallautore da 1 a 379 e riempiti di solito soltanto sul recto), rilega-to in cartone, con la costa in pelle; 2) sedici fogli sciolti, compilati in tempi diver-si durante la elaborazione del romanzo, e contenenti a loro volta: a) la rubrica dei

    32 Cfr. soprattutto: L. PERRONI, I manoscritti di Giovanni Verga, 1. Preparazione de I Malavoglia, inStudi ver-ghiani, a cura di Lina Perroni, 1.Saggi critici testi documenti inediti, Palermo 1929, pp. 109-25; V. PERRONI,Sul-la genesi dei Malavoglia, in Le Ragioni critiche, VI (1972), pp. 471-526.

    33 F. BRANCIFORTI,Lautografo dei Malavoglia, in AA.VV.,I Malavoglia.Atti del Congresso Internazionale diStudi, Catania, 26-28 novembre 1981, 2 voll., Catania 1982, II, pp. 515-62.

    34 G. VERGA,Mastro-don Gesualdo, edizione critica a cura di C. Riccardi, Milano 1979.35 F. BRANCIFORTI,Lautografo dei Malavoglia cit., p. 520.

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    Proverbi, catalogati secondo la categoria e la fonte, e tratti quasi tutti, come ab-biamo gi detto, dalla raccolta del Pitr (4 ff.); b) uno schema del romanzo secon-do una scansione cronologica sotto la rubrica I MALAVOGLIA svolgimentodellazione (2 ff.); c) un elenco dei personaggi del romanzo, a cominciare da Pa-dron Ntoni per finire con Vanni Pizzuto, sotto la rubrica I MALAVOGLIA Personaggi, carattere fisico e principali azioni (2 ff.; sia lo svolgimento della-zione sia la caratterizzazione e la storia dei personaggi presentano non pochedifformit rispetto al testo a stampa)36; d) una prima redazione dellIntroduzioneal romanzo, datata Milano, 19 gennaio 1881 (2 ff.); e) una seconda redazionedellIntroduzione, datata Milano, 22 gennaio 1881 (6 ff.).

    Per quanto riguarda lautografo, direi che le cose pi interessanti da osserva-re sono le seguenti:

    1) Secondo il Branciforti il manoscritto sino ad un certo punto, diciamoper i primi quattro capitoli con lestensione di una settantina di pagine,appare il rifacimento di una prima stesura, almeno come scansione delracconto in capitoli: questo momento, tuttavia, credo che in definitivapossa riferirsi alla preistoria del testo, a quellarea cio di preparazione,

    che s definita degli abbozzi, al presente difficilmente praticabile e tut-tavia biograficamente abbastanza identificabile []37. Rammenter amia volta che, come si evidenzia da una lettera al Treves gi citata38, lin-certezza sul modo di cominciare il romanzo dur a lungo in Verga, il qua-le ipotizz probabilmente di cominciare gi in medias res con quello che lattuale capitolo III del romanzo, rinunciando ai primi due capitoli, piut-tosto descrittivi e ambientali (ma non per questo, come vedremo, meno

    essenziali). Prosegue il Branciforti: A questa stesura A s sovrappostauna sostanziale revisione, che s chiamata per comodit stesura B, che hasconvolto lordinamento della cornice, ha accresciuto la narrazione conlinserimento di brani di notevole estensione, ed infine ha rifatto il testo inmisura massiccia []39. Infine: A considerare lultima scansione deicapitoli, la stampa rispetto al manoscritto non presenta diversit alcuna:evidentemente in fase B lopera aveva raggiunto la definitiva orditura del-la sua trama40, con ununica ma rilevantissima eccezione: nellautografola parola Fine collocata dopo le ultime battute di congedo di Ntoni dai

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    36Ibid., pp. 516-19.37Ibid., p. 325.38 Cfr. il precedente 2, nota 18.39 F. BRANCIFORTI,Lautografo dei Malavoglia cit., p. 536.40Ibid.

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    famigliari: Addio, ripet Ntoni. Vedi che avevo ragione dandarmene,qui non posso starci. Addio perdonatemi tutti (xv, p. 598). Sulle bozze stata aggiunta dunque niente meno che tutta lattuale, poeticissima chiu-sa del racconto che sposta decisamente lattenzione del lettore dallango-scia individuale del protagonista alla contemplazione dolorosa del desti-no umano in generale.

    2) Un altro forte elemento di differenziazione tra lautografo e il testo astampa pu essere individuato nella revisione linguistica, che va dallin-tervento sulla punteggiatura allattenuazione dellincidenza dialettale, ini-zialmente pi forte. Ma in mancanza delle bozze corrette dallautore

    difficile seguire questo processo nei suoi meccanismi fino in fondo, talchil Branciforti si sente autorizzato ad avanzare la supposizione che buonaparte del lavoro di uniformazione e normalizzazione sia stata opera delproto.

    3) Gli interventi modificatori sulla trama del racconto sono numerosi, ma discarso rilievo, ad eccezione di uno solo: nella prima stesura era Mena aperdersi e non Lia. La sostituzione di Mena con la sorella minore avvie-ne a livello della seconda stesura e comincia con il primo episodio della-descamento di don Michele; da quel punto in poi il mutamento del dise-gno viene attuato coerentemente e puntualmente, comportando una seriedi aggiustamenti assai interessanti []41. Anche questo particolare la di-ce lunga sul modo di lavorare di Verga e sulla logica che presiede alle suescelte narrative: sostituendo Mena con Lia non soltanto rende pi coe-rente il rapporto tra i caratteri dei due personaggi e le loro rispettive sto-rie ma fa di Mena uno dei grandi numi tutelari del racconto, una specie

    dinvolontaria, semplice sacerdotessa del culto della famiglia, che, senzaforzature, saffianca alla figura del grande patriarca, il nonno Ntoni.

    4. Il punto di vista dellottica verghiana.

    Verga arriva alla stesura del romanzo in un vero stato di esaltazione e di benesse-re fisico e intellettuale, quello che si prova quando sappiamo che le nostre impre-se pi significative stanno riuscendo bene. A Capuana:

    Caro Luigi ho un mondo di cose da dirti, e ti assicuro che mai, quando avevo ventan-ni, ho sentita tanta esuberanza di vita quanto adesso che ho lavorato tutti i giorni sinoalle 71/4 della sera, per vegliare poi la notte sino alle 4 del mattino. Se ne risentir poi illibro, o la mia salute? o luna e laltra insieme? In questo momento ti confesso che non

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    41Ibid., p. 560.

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    me ne importa, il libro mi pare riescito come lo volevo, e dallaltro canto non so dirti al-tro che la vie est belle et je laime: ecco il mio stato42.

    A questa spinta vitale complessiva corrisponde anche un chiarimento degliorizzonti della sua ricerca, quale non si era mai avuto in precedenza e quale non siavr mai pi in futuro. Ci avviene tuttavia in forme singolarissime, non facil-mente riducibili ad una vera e propria ideologia letteraria, come invece andavamolto di moda ai suoi tempi. Ho avuto modo di dire gi in numerose altre occa-sioni che in Verga il sistema puramente ideale e concettuale non in grado di sop-piantare laffinamento di tutta una serie di strumenti di osservazione e di rappre-sentazione, che io definisco nel loro complesso lottica verghiana43. Questo sen-za dubbio accentua molto il lato estetico, peculiarmente letterario, dellesperien-za di Verga, ma ci corrisponde bene allo spirito del suo lavoro, che volle esseresempre di scrittore, non di polemista o tanto meno di ideologo e di teorico, rele-gando in secondo piano o addirittura respingendo con fastidio tutti i tentativi didarne una lettura anche sociale. In questo quadro vanno collocati anche i suoirapporti con il positivismo e il naturalismo, che sarebbe difficile negare, ma sonoda considerare come al tempo stesso frutto non di una semplice adesione bens diun rapporto quanto mai complesso e travagliato.

    Questo lavorio della mente, che accompagna e talvolta precede la sua pro-duzione pi schiettamente creativa, sfocia anchesso in una serie di scritti, tuttidella fine degli anni Settanta inizio degli Ottanta, che sono: la lettera dedica-toria allamico Salvatore Farina della novellaLamante di Gramigna (apparsa coltitoloLamante di Raya nel fascicolo del febbraio 1880 della milanese Rivistaminima, diretta dallo stesso Farina, poi raccolta in Vita dei Campi); il raccontoFantasticheria, una via di mezzo tra il manifesto programmatico e il cartonepreparatorio del romanzo (apparso nel Fanfulla della Domenica il 24 agosto1879, ma composto probabilmente tra il dicembre 1877 e il gennaio 1878, edentrato poi nelledizione di Vita dei Campidel 1897); le due introduzioni aiMa-lavoglia, di cui s gi parlato a proposito dellautografo (giover qui precisareche, nonostante il parere contrario del Treves, Verga decider alla fine di pub-blicare la prima delle due, quella scritta il 19 gennaio 1881); numerose lettere

    scritte dopo la comparsa deiMalavoglia, in particolare a Luigi Capuana e FeliceCameroni.

    42 G. VERGA, Lettera a Luigi Capuana del 2 luglio 1880, in Carteggio cit., p. 92.43 Ho esposto queste posizioni in A. ASOR ROSA,Il punto di vista dellottica verghiana , in AA.VV.,Letteratura e

    critica.Studi in onore di Natalino Sapegno, II, Roma 1975 pp. 721-76. Molte di quelle riflessioni sono riprese nelle pa-gine successive.

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    4.1.Naturalismo e positivismo, e il loro contrario.

    A proposito della poetica verghiana (se la si vuol chiamare un po impropriamen-

    te cos), la prima cosa da dire che, ragionando in termini puramente teorici, lasua adesione al naturalismo e al positivismo non pu essere minimamente negata.Nella dedicatoria allamico Salvatore Farina della novellaLamante di Gramignatroviamo lesposizione pi fedele di questo particolare naturalismo verghiano.Qui, infatti, Verga parla del racconto forse per lunica volta con questa chiarezzae convinzione, come di un documento umano, interessante [...] per tutti colo-ro che studiano nel gran libro del cuore44, e gli attribuisce a merito dessere sto-rico, cio daver messo il lettore faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senzastare a cercare fra le linee del libro, attraverso la lente dello scrittore45. Significa-tiva anche la rivendicazione del valore del semplice fatto umano, il qualefar pensare sempre e avr sempre lefficacia dellessere stato, sicch lanali-si moderna non dovr far altro che seguire con scrupolo scientifico (anchequesta unespressione quasi mai usata altrove dal Verga) il misterioso proces-so delle passioni umane senza violentare in alcun modo il vero che in tal modo sidisegna.

    Limpersonalit (o forse sarebbe meglio dire, per quanto lo riguarda, la sper-sonalizzazione) connota in questo senso la spinta verghiana a guardare con at-tenzione e con rispetto (forse pi che con distacco) lo svolgersi degli avvenimentiumani e sincontra, sul piano estetico non meno che su quello morale, con il prin-cipio dellosservazione coscienziosa, cui abbiamo gi accennato46. Ma si capi-sce al tempo stesso come, fin dai fondamenti concettuali profondi di questa poe-tica, il punto di vista verghiano non possa in nessun modo coincidere con quello

    di un freddo notomista della storia. Del resto, gi nelle sue posizioni di quel tem-po c qualcosa che sarebbe vano cercare di ridurre a termini strettamente natu-ralistici, e cio il rifiuto, che si direbbe quasi fobico, dellAuctor stesso e il sognodi una regressione alle fonti originarie della storia, dove parola dinvenzione e fat-to umano praticamente coincidono:

    Noi rifacciamo il processo artistico al quale dobbiamo tanti monumenti gloriosi,con metodo diverso, pi minuzioso e pi intimo; sacrifichiamo volentieri leffetto della

    catastrofe, del risultato psicologico, intravvisto con intuizione quasi divina dai grandi

    44 ID., Lettera dedicatoria allamico Salvatore Farina della novellaLamante di Gramigna, in ID., Vita dei campi, inOpere cit., p. 389.

    45Ibid.46 il concetto che emerge anche nella lettera del 21 aprile 1878 allamico Salvatore Paola Verdura, documento di

    poetica assai vicino nelle date non meno che nelle posizioni sostenute alla dedicatoria a Farina, di cui stiamo parlando(cfr. qui 1.1, nota 3).

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    artisti del passato, allo sviluppo logico, necessario di esso, ridotto meno imprevisto, me-no drammatico, ma non meno fatale; siamo pi modesti, se non pi umili; ma le con-quiste che facciamo delle verit psicologiche non saranno un fatto meno utile allarte

    dellavvenire. Si arriver mai a tal perfezionamento nello studio delle passioni, che di-venter inutile il proseguire in cotesto studio delluomo interiore? La scienza del cuoreumano, che sar il frutto della nuova arte, svilupper talmente e cos generalmente tut-te le risorse dellimmaginazione che nellavvenire i soli romanzi che si scriveranno sa-ranno ifatti diversi?

    Intanto io credo che il trionfo del romanzo, la pi completa e la pi umana delleopere darte, si raggiunger allorch laffinit e la coesione di ogni sua parte sar coscompleta che il processo della creazione rimarr un mistero, come lo svolgersi dellepassioni umane; e che larmonia delle sue forme sar cos perfetta, la sincerit della sua

    realt cos evidente, il suo modo e la sua ragione di essere cos necessarie, che la manodellartista rimarr assolutamente invisibile, e il romanzo avr limpronta dellavveni-mento reale, e lopera darte sembrer essersi fatta da s, aver maturato ed esser sortaspontanea come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore;che essa non serbi nelle sue forme viventi alcuna impronta della mente in cui germogli,alcuna ombra dellocchio che la intravvide, alcuna traccia delle labbra che ne mormo-rarono le prime parole come ilfiatcreatore; chessa stia per ragion propria, pel solo fat-to che come devessere, ed necessario che sia, palpitante di vita ed immutabile al pa-

    ri di una statua di bronzo, di cui lautore abbia avuto il coraggio divino di eclissarsi esparire nella sua opera immortale47.

    Si chiarisce cos che limpersonalit per lui non tanto il rispetto di una pre-tesa oggettivit del reale, a cui lo scrittore debba inchinarsi, quanto la sospensio-ne del giudizio che si rivela necessaria quando lo spettacolo contemplato o rap-presentato esorbita troppo le nostre forze e rimane dunque avvolto nel miste-ro proprio delle passioni umane. Nella chiusa dellintroduzione edita ai Mala-voglia Verga ritorner con grande chiarezza su questo problema: Chi osservaquesto spettacolo non ha diritto di giudicarlo [affermazione, come si vede, cheriproduce la consueta commistione fra terminologia estetica e terminologia eti-ca]; di gi molto se riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per stu-diarla senza passione, e rendere la vista nettamente, coi colori adatti, tale da da-re la rappresentazione della realt com stata, o come avrebbe dovuto essere (Introduzione, p. 410, c.n.; dove appare singolare anche la problematicit dellaconclusione, che, probabilmente senza volerlo, ripropone il problema della di-

    stinzione tra realt e invenzione, fra ci che e ci che, invece, semplice-mente, potrebbe essere).

    Considerazioni analoghe si potrebbero fare a proposito di una sua possibileadesione ad una concezione evoluzionistica della storia. Non c dubbio che

    47 ID., Lettera dedicatoria allamico Salvatore Farina cit., pp. 389-90.

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    questa adesione, in termini molto generali, ci sia stata: come gi ho detto, la stes-sa idea del Ciclo dei vinti (o Marea che dir si voglia) nasce da una visione del ge-nere. Ma dellevoluzionismo Verga mostra di non condividere forse senza

    neanche accorgersene la parte pi sostanziale e autentica, e cio lidea che ilcammino dellumanit, in quanto evolutivo, anche progressivo: di fatto, inve-ce nellimpostazione mentale del Verga accadeva il contrario. Se ne ha una con-troprova inconfutabile in alcune delle parti fondamentali dellintroduzione editaaiMalavoglia:

    II capoverso:

    Il movente dellattivit umana che produce la fiumana del progresso preso qui al-

    le sue sorgenti, nelle proporzioni pi modeste e materiali. Il meccanismo delle passioniche la determinano in quelle basse sfere meno complicato, e potr quindi osservarsicon maggior precisione. Basta lasciare al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e ilsuo disegno semplice. Man mano che cotesta ricerca del meglio di cui luomo trava-gliato cresce e si dilata, tende anche ad elevarsi, segue il suo moto ascendente nelle clas-si sociali [...]. (Introduzione, p. 409).

    III capoverso,I parte:

    Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue lumanit perraggiungere la conquista del progresso, grandioso nel suo risultato, visto nellinsieme,da lontano. Nella luce gloriosa che laccompagna dileguansi le irrequietudini, le avidit,legoismo, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virt, tutte le debolezze cheaiutano limmane lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce dellaverit. Il risultato umanitario copre quanto c di meschino negli interessi particolariche lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare lattivit dellin-dividuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto lavorio uni-versale, dalla ricerca del benessere materiale, alle pi elevate ambizioni, legittimato

    dal solo fatto della sua opportunit a raggiungere lo scopo del movimento incessante: equando si conosce dove vada questa immensa corrente dellattivit umana, non si do-manda al certo come ci va. (Introduzione, p. 410).

    III capoverso,II parte:

    Solo losservatore, travolto anchesso dalla fiumana, guardandosi attorno, ha il diritto diinteressarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dallondaper finire pi presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto ilpiede brutale dei sopravvegnenti, i vincitori doggi, affrettati anchessi, avidi anchessi

    darrivare, e che saranno sorpassati domani. (ibid.).III capoverso,I parte. Qui Verga ci mette di fronte ad una visione dellevolu-

    zione storico-sociale nel suo insieme, con caratteri anche esplicitamente program-matici. Il quadro appare complessivamente positivo: come nella lettera a Salvato-re Paola si era parlato di conquista della verit, qui si parla di moto ascenden-te, conquista del progresso; di luce gloriosa; di luce della verit; di risul-

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    tato umanitario; di individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. veroper che anche allinterno di questa dichiarazione di fede positivistica, non pochisono gli elementi contraddittori, le ambiguit di formulazione, che svelano pieghe

    profonde di resistenza e di perplessit di fronte ai propri stessi enunciati e tendo-no quindi, forse inconsciamente, a correggerli, a smussarli, a inserirli in un conte-sto profondamente diverso, che finisce per modificarne il significato. Laggettiva-zione, ad esempio, di certe formule, per cui ben singolare, a guardar bene, cheil cammino che segue lumanit per raggiungere la conquista del progressodebba esser definito fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile, quasi che nel-la mente dello scrittore lo spettacolo dei lutti e dei dolori da esso prodotti sovra-

    sti di gran lunga (e fin dallinizio, fin dalla radice) quello del suo fine luminoso; olincertezza, o la frettolosit, anche questa forse inconscia, con cui si delinea loscopo di questo processo, come l dove si scrive che quando si conosce dove va-da questa immensa corrente dellattivit umana, non si domanda al certo come civa, che un bel modo per non dire dove essa va o per non confessare che non sisa dove va. Vista nel suo insieme, da lontano, levoluzione delluomo forse gran-diosa, ma certamente inesplicabile. E comunque soltanto da lontano (la solita

    terminologia ottica) se ne pu cogliere leventuale elemento positivo.II capoverso. Poich non si pu certo pensare che certe parole o espressionivengano usate a caso, occorre riflettere sul particolare significato che assume inVerga la costante metamorfosi dellidea di progresso nellimmagine di qualcosa divorticoso e di inesorabilmente travolgente, che si pu collegare alla parola onda oa qualcuno dei suoi derivati. Qui, ad esempio, fiumana del progresso; in capo-verso II,I parte, ultime righe: immensa corrente dellattivit umana; in capover-so II, prima riga: fiumana. Nella lettera a Salvatore Paola: onda immensa

    (non a caso, rammentiamolo, i Vintiavrebbero dovuto intitolarsiLa Marea). Conunimmagine diversa, ma con lo stesso scopo di suscitare questimpressione dine-sorabile, vorticosa, fatalit, nellintroduzione inedita aiMalavoglia il fine ultimodellintero processo (la conquista della verit?) viene identificato in un oscuro,indefinito punto solo, verso cui quella folla nera, che popola le vie buie, cam-mina, cammina tutta [...] pigiandosi accalcandosi, sorpassandosi, brutalmen-te48. Attraverso questa serie di ritocchi, di sfumature, di correzioni, limmagine

    del progresso, anche se vista da lontano, nel suo insieme, da grandiosa ed inespli-cabile qualera, si fa sempre pi terribile, anzi paurosa. Tale impressione aumen-ter e diventer dominante, quanto pi lo sguardo dellartista limiter il proprioorizzonte, precisando, particolarizzando loggetto su cui appuntarsi.

    48 G. TELLINI, Nota al testo deiMalavoglia, in Opere cit., pp. 1492-93.

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    III capoverso,II parte (da cui isoliamo provvisoriamente lespressione travol-to anchesso dalla fiumana). Nel rapporto che lega immediatamente questo bra-no a quello che lo precede, ci che taciuto non mi sembra meno importante di

    quello che viene detto. Apparentemente manca almeno un passaggio logico: per-ch losservatore (non diciamo ora solo losservatore, espressione su cui torne-remo, ma perch anche losservatore, se si vuole) volge lo sguardo a preferenza su-gli effetti immediati, singolari, individuali dellevoluzione storico-sociale e non,appunto, sul suo fine ultimo, sulla sua grandiosit complessiva? Forse perch lar-te, in quanto osservazione schietta e coscienziosa, pu guardare solo nel parti-colare e da vicino, mai nellinsieme, da lontano? Questa pu essere una rispo-

    sta che fa capo, come si vede, ad un principio estetico. Ma resta comunque dachiarire perch, vista nel particolare e da vicino, levoluzione umana non produceche figure e storie di vinti, di disperati, di sconfitti, se vero, come Verga crede,che ogni vincitore di oggi non sar che lo sconfitto di domani. Qui il principio difede positivistica veramente si altera e lascia il posto al suo contrario. La lotta perlesistenza e il miglioramento destinata a produrre senza dubbio la sconfitta deipi deboli. Ma Verga allarga questa nozione fino a comprendervi lumanit inte-ra. La positivistica selezione della specie, dalla quale ci si aspetta il senso piprofondo del progresso, si trasforma in una legge fatale che investe la specie in-tera e non lascia scampo. E quella che in una mentalit positivistica normale lamolla stessa del progresso cio linquietudine per il benessere, il desiderio distar meglio si trasforma, paradossalmente, in una condanna inesorabile perchiunque tenti di applicarla. E si capisce ora il perch. Verga accetta in astratto li-dea del progresso, ma concretamente si ritrae disgustato, anzi inorridito, dallastorica attuazione che proprio ai suoi tempi se ne veniva compiendo. Il suo ideale

    era regressivo, impermeabile a quanto di nuovo anche da parte borghese si an-dava in quei decenni affermando. Tutto ci che si muoveva, doveva perci sem-brargli votato inesorabilmente alla sconfitta, pur accettando il punto di vista posi-tivistico che il movimento fosse necessario e perci, alla fin fine, inevitabile. Maproprio questa fedelt al principio, una volta che fosse sconvolto e negato il qua-dro ideologico dinsieme nel quale esso coerentemente si collocava, doveva ren-dere pi evidente linanit di ogni sforzo individuale al miglioramento: non solo,infatti, Verga vuol dimostrare quanto sia difficile e periglioso trasformarsi perchiunque in un vincitore; ma anche che ogni vincitore destinato a trasformarsiin vinto, porta in slineluttabile destino del vinto. In queste condizioni un prin-cipio che pretendeva dessere scientifico come levoluzionismo si svela essere lasemplice sistemazione razionale (non perci puramente esteriore ed appiccicata,come spero di aver dimostrato) di un punto di vista in cui domina il senso dellanecessit, ci che, romanticamente, potrebbe esser definito sentimento del fato.

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    Che questo si debba ad uninclinazione profonda dello scrittore oppure ad unacrisi storica della sua concezione positivistica, messa di fronte, in Italia, ad una ne-gazione oggettiva troppo clamorosa del suo ottimistico razionalismo, abbastan-

    za indifferente di fronte al fatto incontestabile che latteggiamento si produsse eimpront di s tutta lottica verghiana nella fase della maturit.

    Componendo ora una sintesi dei vari strumenti di osservazione e di rappre-sentazione e dei diversi punti di vista verghiani, come li ho raccolti e illustrati fi-nora (la schietta ed evidente manifestazione dellosservazione coscienziosa, lateoria dei livelli sociologico-espressivi, ladozione del formulario positivistico, cheper non nasconde la crisi di ogni ottimismo borghese, la scelta di unattitudine

    pi probabilistica che scientista nei confronti della realt circostante, il rifiuto delprogresso come chiave interpretativa fondamentale dellevoluzione, ecc.), nericaviamo n pi n meno che il vero argomento deiMalavoglia:

    Questo racconto lo studio sincero e spassionato del comeprobabilmente devono nasce-re e svilupparsi nelle pi umili condizioni, le prime irrequietudini pel benessere; e qualeperturbazione debba arrecare in una famigliuola vissuta sino ad allora relativamente fe-lice, la vaga bramosia dellignoto, laccorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe starmeglio. (Introduzione, p. 409, c.n.).

    Come si vede, tornano alcune delle clausole pi consistenti e pi ricorrentidella posizione verghiana: lattitudine etica, oltre che estetica, alla verit (Lo stu-dio sincero e spassionato), la prudente correzione di ogni troppo rigida visionescientifica del reale (probabilmente devono), la constatazione che, sin dai livel-li inferiori della societ, la ricerca del mutamento e del miglioramento destinataa produrre perturbazioni profonde (Le prime irrequietudini pel benessere,laccorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio) la persuasione carica in Verga di valenze politiche conservatrici o addirittura reazionarie ma, aquesta altezza della sua esperienza, da leggere e interpretare soprattutto dentrouna dimensione squisitamente esistenziale che il desiderio di conoscere al di ldel gi noto costituisce di per s una pericolosa infrazione alla sovrana legge (qua-si un valore) della fedelt al proprio passato (La vaga bramosia dellignoto).

    4.2.La Sicilia come ritorno.

    Naturalmente, di capitale importanza cercare di capire sia perch Verga riesca adare il meglio di questa sua peculiare impostazione nei racconti e nei romanzi diargomento siciliano, sia perch, dopo aver attinto il vertice dei suoi risultati inquesta fase, non sia poi riuscito a salire i gradini alti del Ciclo dei vinti, dimo-strando che quella che ho chiamato teoria dei livelli sociologico-espressivi nonera un grimaldello adatto a tutti gli usi, ma doveva, per funzionare, combinarsi

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    con altri ben pi possenti fattori di ispirazione. Si potrebbe anche dire, come gistato fatto ma anche un po sommariamente e approssimativamente , che inquesto punto decisivo era destinata a convergere tutta la storia passata di Verga,

    secondo una gradazione di sfumature, che va dalla collocazione volutamente mar-ginale e distratta del bozzetto Nedda alla piena, orgogliosa coscienza della novitdella strada intrapresa con le novelle di Vita dei campie conI Malavoglia. Possia-mo dire, innanzi tutto, che nella riscoperta del mondo popolare siciliano non cmai in Verga unesplicita polemica sociale (fatto, peraltro, abbastanza ovvio); eche fatto invece assai pi importante la tematica siciliana assume in lui la for-ma chiarissima e decisiva di un ritorno, di una riscoperta che segue ad un ini-

    ziale rifiuto e ad una successiva disillusione. Ci sono indubbiamente, alla radice diquesto ritorno, una certa dose di disincanto esistenziale, lincapacit a reggere ilconfronto con la societ contemporanea nei modi propri del grande scrittore bor-ghese contemporaneo alla mile Zola, una certa frustrazione psicologica e mora-le, un rifiuto crescente del costume e dei comportamenti dominanti nel suo tem-po (di cui testimonianza eloquente e precoce la nota introduttiva al romanzoEva, la cui composizione va collocata fra il 1869 e il 1873)49. Ma ci sono soprat-tutto, in perfetta coerenza con la sua peculiare visione dellesperienza verista ita-liana, una motivazione di ordine squisitamente estetico e, ancor pi in profondit,la suggestione di una mise en abme di tutta la propriastruttura esistenziale e psi-cologica, che un fatto assolutamente fuori del comune, anzi del tutto ecceziona-le, nella letteratura italiana fra Otto e Novecento.

    4.2.1.Linteresse estetico. Verga, insomma, scopre ad un certo punto dellasua ricerca che il rinchiudersi, come aveva fatto fino a quel momento, nella gabbia

    delle storie borghesi di eros, passioni, tradimenti e depravazioni, costituiva un li-mite grave per la sua arte e che esisteva, invece, un mondo vergine e lontano, pergiunta ancora scarsamente praticato dai suoi micidiali concorrenti doltralpe, e a

    49 G. VERGA,Introduzione a Eva, ibid., p. 83: Eccovi una narrazione sogno o storia poco importa ma vera,com stata o come potrebbe essere, senza rettorica e senza ipocrisie. Voi ci troverete qualche cosa che vi appartiene,ch il frutto delle vostre passioni, e se sentite di dover chiudere il libro allorch si avvicina vostra figlia voi che nonosate scoprirvi il seno dinanzi a lei se non alla presenza di duemila spettatori e alla luce del gas, o voi che, pur lace-

    rando i guanti nellapplaudire le ballerine, avete il buon senso di supporre che ella non scorga scintillare lardore deivostri desideri nelle lenti del vostro occhialetto tanto meglio per voi, che rispettate ancora qualche cosa. Per nonmaledite larte ch la manifestazione dei vostri gusti. I greci innamorati ci lasciarono la statua di Venere; noi lascere-mo il can-can litografato sugli scatolini da fiammiferi. Non discutiamo nemmeno sulle proporzioni; larte allora erauna civilt, oggi un lusso: anzi un lusso da scioperati. La civilt il benessere, e in fondo ad esso, quand esclusivocome oggi, non ci troverete altro, se avete il coraggio e la buona fede di seguire la logica, che il godimento materiale.In tutta la seriet di cui siamo invasi, e nellantipatia per tutto ci che non positivo mettiamo pure larte scioperata non c infine che la tavola e la donna. Viviamo in unatmosfera di Banche e di Imprese industriali, e la febbre deipiaceri la esuberanza di tal vita.

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    lui invece ben noto (assai pi noto di quello borghese continentale), il qualeavrebbe potuto allargare e al tempo stesso evidenziare e radicare le sue pi origi-nali tematiche di rappresentazione. Ci, tuttavia, si pu soltanto supporre, perch

    Verga, sempre avaro di confessioni autobiografiche e letterarie, non ha certo la-sciato indicazioni precise sulle varie fasi di questo cos importante passaggio, semai insistendo sempre a sottolineare i rapporti e le analogie esistenti secondo luifra i diversi tentativi della sua ricerca in nome del comune credo, appunto, di unaverit fondamentalmente estetica. Non si possono invece aver dubbi sul fatto che,a posteriori, Verga abbia giudicato il significato e il valore di tale ritorno fonda-mentalmente in questi termini.

    Cos parla Verga della sua opera allamico Capuana in una importante letteradel 25 febbraio 1881, a pubblicazione appena avvenuta:

    Avevo un bel dirmi che quella semplicit di linee, quelluniformit di toni, quellacerta fusione dellinsieme che doveva servirmi a dare nel risultato leffetto pi vigorosoche potessi, quella tal cura di smussare gli angoli, di dissimulare quasi il dramma sotto gliavvenimenti pi umani, erano tutte cose che avevo volute e cercate apposta e non eranocerto fatte per destare linteresse ad ogni pagina del racconto, ma linteresse doveva ri-sultare dallinsieme, a libro chiuso, quando tutti quei personaggi si fossero affermati s

    schiettamente da riapparirvi come persone conosciute, ciascuno nella sua azione50

    .Non c qui un solo apprezzamento che non sia riservato alla forma (seb-

    bene, si potrebbe aggiungere, intesa in senso desanctisianamente concreto) del-lopera. Linsistenza su certi particolari di questo mondo estetico rimanda, del re-sto, allidea tipicamente verghiana secondo cui ogni livello sociale ha bisogno peressere rappresentato di una sua propria soluzione stilistica e formale; idea, che,come si legge nellintroduzione edita aiMalavoglia, pu anche prendere la forma

    ingenua secondo cui ci che primitivo e socialmente basso pu essere espressopi semplicemente (e forse pi facilmente):

    A misura che la sfera dellazione umana si allarga, il congegno delle passioni vacomplicandosi; i tipi si disegnano certamente meno originali, ma pi curiosi, per la sot-tile influenza che esercita sui caratteri leducazione, ed anche tutto quello che ci pu es-sere di artificiale nella civilt. Persino il linguaggio tende ad individualizzarsi, ad arric-chirsi di tutte le mezze tinte dei mezzi sentimenti, di tutti gli artifici della parola ondedar rilievo allidea, in unepoca che impone come regola di buon gusto un eguale for-malismo per mascherare ununiformit di sentimenti e didee. Perch la riproduzioneartistica di cotesti quadri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di questaanalisi; esser sinceri per dimostrare la verit, giacch la forma cos inerente al sogget-to, quanto ogni parte del soggetto stesso necessaria alla spiegazione dellargomentogenerale. (Introduzione, p. 409).

    50 ID., Lettera a Luigi Capuana del 25 febbraio 1881, in Carteggio cit., p. 108.

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    Quale che sia la fondatezza teorica di tale ragionamento scarsa, suppongo,visto che n la prosa deiMalavoglia costituisce certo una soluzione stilistica sem-plice n ci sarebbe mai stata quella dellOnorevole Scipionie dellUomo di lusso a

    rivelarci cosa Verga intendesse effettivamente con termini come complicazione eindividualizzazione del linguaggio resta per il fatto che lo scrittore insiste acca-nitamente, per non dire esclusivamente, sul valore estetico e stilistico del suoesperimento: per lui il ritorno alla natia Sicilia si misura esclusivamente in ter-mini di risultato artistico, e su questa base soltanto vuol essere giudicato e si di-fende51.

    4.2.2.Limmaginazione regressiva. La cosa pi straordinaria di questo ritor-no consiste per, senza ombra di dubbio, nel fatto che esso non assume affatton connotazioni folkloristiche o documentarie n motivazioni politiche o sociali,ma tende a presentarsi come unoperazione regressiva vera e propria, che investele strutture profonde, psicologiche, conoscitive ed esistenziali dello scrittore stes-so. Non intendo naturalmente riferirmi ad alcun processo di mimetismo verso ilbasso, cui al contrario Verga del tutto estraneo: ma, al contrario e qui sta vera-mente la genialit di questa operazione , in una serie molto complessa di opera-

    zioni prima psichiche e ottiche, e in seguito stilistiche e formali, mediante le qua-li lo scrittore si mette in condizione di sentire, vedere, provare (per poi rappre-sentare) alla stessa maniera dei suoi personaggi pi umili.

    Questo esperimento era gi stato tentato, con eccellenti risultati, in alcune delleprincipali novelle di Vita dei campi, in particolareRosso Malpelo e Jeli il pastore, men-

    51 Analoghe posizioni avrebbe espresso lamico Capuana, di cui si legga con attenzione questa pagina, che di una

    evidenza perfino un po smaccata: I nostri predecessori, i nostri maestri stranieri, quando noi ci mettevamo allope-ra, avean gi fatto molto anche per quel che riguarda losservazione, il contenuto dellopera darte. Da gente abile, spe-rimentata, rotta al mestiere, si erano sbrancati qua e l, non avevano, si pu dire, lasciato un pollice del cuore umanoda dissodare, da lavorare; avean messo tutto sossopra. Sul punto dimitarli, ci trovammo da questo lato in un grandeimbroglio. La civilt, questa inesorabile livellatrice, ci faceva apparire pi imitatori di quel che non eravamo in realt.Un torinese, un milanese, un fiorentino, un napoletano, un palermitano dellalta classe e della borghesia differiva,esteriormente e interiormente, cos poco da un parigino delle stesse classi che il coglierne la vera caratteristica presen-tava una difficolt quasi insuperabile, almeno a prima vista. Allora, per ripiego, rivolgemmo la nostra attenzione aglistrati pi bassi della societ dove il livellamento non ancora arrivato a rendere sensibili i suoi effetti; e vi demmo ilromanzo, la novella provinciale (pi questa che quello)per farci la mano, per addestrarci a dipinger dal vero, perpro-varcia rendere il colore, il sapore delle cose, le sensazioni precise, i sentimenti particolari, la vita di una cittaduzza, di

    un paesetto, di una famiglia... (L. CAPUANA, Per larte, Catania 1885, pp. 1 sgg., c.n.; si pu leggere ora in Verga eDAnnunzio, a cura di M. Pomilio, Bologna 1972, p. 97). Questo si chiama parlar chiaro. Tutti i motivi, che Capuanaadduce per giustificare regionalismo e meridionalismo, sono di natura tecnica ed estetica. La citazione interessante,anche perch rivela nel Capuana la stessa difficolt che c in Verga a salire nella rappresentazione al di l dei gradiniinferiori della scala sociale (problema di ordine generale, dunque, su cui bisogner ritornare). La teoria dei livelli so-ciologico-espressivi, e lidea di un ciclo, che muove dal basso e non dallalto, perch li la rappresentazione pi faci-le, nascono in Verga dal tentativo di superare proprio queste difficolt, che del resto lo stesso Capuana, riconducen-dole a ragioni di carattere quasi esclusivamente tecnico, pensa di poter affrontare pi tardi, ripiegando intanto peresercizio sulla materia inferiore offerta dalla provincia meridionale.

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    tre in altre della stessa raccolta e questa duplicit di orientamenti dimostra come ilquadro concettuale non si fosse fino ad una certa altezza temporale del tutto solidifi-cato in Verga lo scrittore adotta con analoga disinvoltura modi veristico-documen-tari (La lupa, Cavalleria rusticana)52. Ma si approfondisce e si definisce in maniera in-comparabilmente pi raffinata in prossimit della fase ideativa deiMalavoglia.

    La riscoperta della sicilianit assume dunque, in questa direzione, la forma diun fantastico viaggio compiuto allindietro verso le origini del mondo e dei rapportiumani, per soddisfare un bisogno, che allinizio era probabilmente indeterminato,ma poi sempre pi si chiar. Lo slancio inizile di questo salto al passato doveva esse-re stato cos forte, che Verga non si ferm neanche alla prima stazione di questa sua

    patria ideale riscoperta nel sogno, ma, per trovare le immagini adatte ad esprimerequesta realt originaria cosa che, a pensarci bene, nelle condizioni culturali e psi-cologiche di un intellettuale italiano del secondo Ottocento doveva presentarsi diffi-cilissimo , passa persino attraverso tutta la storia umana in ogni suo stadio, ivi com-preso quello estremo dellimmobilit primitiva, e arriva a scoprire il fascino di unainsuperabile costanza e persistenza animali, ultima forma possibile di questo al-lontanamento dalla storia, che la spinta regressiva aveva mosso e andava cercando.

    La novella Fantasticheria53, primo cartone deiMalavoglia, mostra bene questacontrapposizione tra una vita borghese intesa come volubilit, dissipatezza, inco-stanza (di cui sono simboli allo stesso modo la ferrovia e gli atteggiamenti capric-ciosi della bella signora ospite dello scrittore) e una vita popolare intesa come im-mobilit, persistenza, durata (di cui simbolo la vita sul mare, che condiziona le-sistenza di tutti gli abitanti di Aci Trezza). Le due leggi fondamentali che rego-lano i rapporti interni a questo mondo popolare e il suo destino complessivo so-no la necessit e il caso. La necessit e il caso sono la forma concreta della nega-

    zione del principio dellevoluzione, quando questa sia concepita, come abbiamogi detto, come storia e progresso. In questo ambito la ripetizione un va-lore assai pi importante del cambiamento (e questo avr persino degli effettiestetici, oltre che strutturali, sulla macchina narrativa del racconto). Limitiamociper ora a descrivere come essi si presentino dal punto di vista del meccanismo, ri-mandando a pi avanti un atteggiamento valutativo.

    4.2.3. La necessit. Domanda la bella signora ingenuamente, dopo averpassato ad Aci Trezza appena poche ore: Non capisco come si possa vivere quitutta la vita. Risponde il personaggio-scrittore:

    52 Ho sostenuto queste tesi in A. ASOR ROSA, Il primo e lultimo uomo del mondo (1968), inIl caso Verga, a curadi A. Asor Rosa, Palermo 1987, pp. 9-85.

    53 Fantasticheria raccolto in Opere cit., pp. 337-42.

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    Eppure, vedete, la cosa pi facile che non sembri: basta non possedere centomila liredi entrata, prima di tutto; e in compenso patire un po di tutti gli stenti fra quegli scogligiganteschi, incastonati nellazzurro, che vi facevan batter le mani per lammirazione54.

    Va sottolineata la precisione con cui Verga individua nel fattore economicolelemento di distinzione pi radicale tra borghesia e popolo, anzi, per essere piesatti, tra proprietari e nullatenenti, che (spero lo si noti) formulazione molto di-versa da quella precedente. Posso appena accennare a questo tema, che impor-tantissimo in Verga, ma almeno vorrei precisare, per la completezza di questo di-scorso, che nello scrittore siciliano non compare mai una nozione di attivit eco-nomica di tipo produttivistico-borghese, cio, in altri termini, modernamente ca-

    pitalistico: la nozione di ricchezza alla quale egli si ispira si ferma alla fase dellac-cumulazione primitiva, o, pi esattamente anche in questo caso, allaccumulo dipropriet generalmente immobili, non reinvestibili, in cui si fissa socialmentequella brama di miglioramento, che anchessa, in questa forma, assume pi il ca-rattere di una difesa dalla miseria che non di un vero e proprio meccanismo eco-nomico, il quale vale soprattutto in quanto i beni che lo costituiscono sono a lorovolta produttivi di altri beni. singolare osservare, ad esempio, come in quelledue figure eccezionali di arricchiti, che sono Mazzar e Mastro-don Gesualdo, la

    paura della fame, tante volte da essi provata, agisca da incentivo formidabile allacreazione di un patrimonio cos grande da essere inattaccabile dalla volubilit delcaso, da non consentire una ricaduta nella condizione originaria (sebbene ancheper loro il meccanismo del caso, beninteso, funzioni potentemente, dal mo-mento che, non potendo attaccarli nel patrimonio, li attacca nella persona e negliaffetti: stato poco notato che, da questo punto di vista, le loro vicende assumo-no un inequivocabile significato parabolico); e come, laddove ad esempio nella

    Roba, si parli con toni magari grandiosi della gran quantit di prodotti agricoliusciti dalle terre di questi arricchiti, ci sia visto sempre con locchio del protago-nista, che si bea per sdello spettacolo dellimmenso benessere acquistato, nonmai dal punto di vista della destinazione e del consumo sociale di questi beni, iquali perci acquistano una veste tanto pi astratta e irreale quanto pi circo-scritta e materializzata dallo sguardo speciale del protagonista.

    Ai due estremi della scala sociale, la casa del nespolo e la roba di Mazzarsono due simboli economici diversi per entit ma di egual natura, nel senso esat-tamente che fissano nel materiale possesso di un bene, la cui virt suprema des-sere inalienabile (tant vero che lo si pu perdere solo per disgrazia o per mortee che ogni sua diminuzione o alienazione rappresenta una sventura), il confine su-premo tra un benessere tangibile, per quanto talune volte limitato e precario, e la

    54Ibid., p. 337.

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    I M l li di Gi i V Alb A R

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    miseria pi nera. Una differenza importante, certo, che presso i pescatori diFantasticheria (e poi deiMalavoglia) laccumulazione dei beni si arresta ad un li-vello talmente basso da apparire addirittura immobile, riducendosi piuttosto alla

    conservazione come che sia di quellunico bene che consente di erigere lultimobaluardo alla caduta nella penuria estrema: sicch, spingendo lo sguardo fin doveesso pu giungere nella serie eterna delle generazioni, sia verso il passato sia ver-so il futuro, non si riesce a cogliere altro che unidentica assenza di volont di ac-crescimento, cio un sempre uguale tenore di vita, uno sforzo inesausto di con-servarsi in quel precario equilibrio che sta fra la completa rovina e la prima sogliadella sopravvivenza, una perenne identificazione dei valori vitali in alcuni elemen-

    tari strumenti di coesione e di vita (la casa, la barca, la famiglia); mentre in Maz-zar e in Mastro-don Gesualdo quel bene originario viene per cos dire frenetica-mente moltiplicato (pi che trasformato o mutato), allo scopo, indubbiamente, diprodurre in chi se ne giova anche un mutamento di destino sociale.

    Ma il sogno di ricchezza (o la paura della fame), da cui questi personaggi so-no disperatamente animati, non consiste, appunto, nellimboccare la strada diunattivit economica diversa da quelle pi arcaiche ed eternamente ripetitive,bens nel replicare allinfinito, nellammucchiare luno accanto allaltro i simboli e

    gli strumenti tradizionali della ricchezza (quelli che essi, gli arricchiti, hanno incomune con i diseredati e i miserabili della loro terra): tanti piccoli campi, fino afare un grande campo, tanti piccoli agrumeti, fino a fare un grande agrumeto, tan-te piccole case, fino ad avere una grande casa. Prova ne sia che, in questo quadro,il denaro ha gi una validit assai pi limitata, sia come simbolo di prestigio socia-le sia come elemento di soddisfazione, in s e per s considerato, di quella sete diroba, di cui pure il frutto: non un caso che, non appena esso si realizza co-

    me effetto o del lavoro o della compravendita, venga fatto scomparire, con unarapidit che ha dellesorcistico, inghiottito nellacquisto di una realt morta (laterra o, a seconda dei casi, la barca o la casa), alla cui esistenza si rivela stretta-mente funzionale (tant vero che, per s, il nuovo ricco pu continuare a viverecon la sobriet e lassoluto spirito di sacrificio di un povero). Mazzar, infatti, di-ceva che il denaro non roba; e padron Ntoni, neiMalavoglia, attribuisce valoreal denaro, soltanto in quanto pu consentirgli di tornare in possesso della casa delnespolo o della Provvidenza.

    Occorre dunque capire che il livello popolare, individuato per la prima voltain Fantasticheria con questa sicurezza, non contraddistinto da leggi economichespeciali rispetto a questo ambiente sociale circostante, di cui condivide, in formaancor pi esasperata, se si vuole, le nozioni di propriet e di benessere che abbia-mo descritto; ma ha questo di particolare, che in esso lestrema precariet deimezzi di sussistenza acutizza fino alla tragedia ogni sia pure impercettibile sposta-

    Letteratura italiana Einaudi 30

    I Malavoglia di Giovanni Verga - Alberto Asor Rosa

    I Malavoglia di Giovanni Verga Alberto Asor Rosa

  • 5/26/2018 Critica - Alberto Asor Rosa - I Malavoglia Di Verga

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    mento della sorte e fa del possesso di ogni piccolo bene un grande valore (mentrenegli arricchiti la molla del miglioramento, messa in movimento frenetico, ha gidistrutto questa tensione elementare dellesistenza, pur producendone ovviamen-

    te delle altre pi complicate). Solo l dove la necessit economica si esprime conquesta inarrivabile tensione, ci che si chiama romanticamente fato, ed sempli-cemente il caso, il fortuito convergere di talune circostanze della sorte, apparen-temente impercettibili secondo un metro di misura pi largo ma anche pi astrat-to, pu svolgere un ruolo altrettanto decisivo.

    4.2.4.Il caso. Aggiunge infatti Verga: Di tanto in tanto il tifo, il colera, la

    malannata, la burrasca, vengono a dare una buona spazzata in quel brulicame, ilquale si crederebbe che non dovesse desiderar di meglio che esser spazzato, escomparire55.

    Il mondo popolare di Verga dunque soggetto organicamente ad una infinitdi possibili sconvolgimento: in quanto la struttura economica e sociale ridotta alminimo, basta un nonnulla per sovvertirla. Sebbene la casistica appaia vasta, essa sipresenta nellessenza ridotta ad un fattore fondamentale. Infatti, dei fenomeni chequi vengono elencati, due sono catalogabili nel senso stretto del termine fra le ma-

    lattie o morbi (il tifo e il colera), un altro fra gli eventi di carattere economico (lamalannata, o carestia), laltro, direttamente, fra le manifestazion