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5 - 2017 Crescono i successi terapeutici ma ... Il chiaroscuro della lotta al cancro in Italia GOVERNANCE FARMACEUTICA ANCORA LONTANA RESISTERE ALLE RESISTENZE BATTERICHE UN SISTEMA SANITARIO NON PROPRIO IN SALUTE IL PRESIDENTE DI FARMINDUSTRA SU INNOVAZIONE E SOSTENIBILITÀ

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5 - 2017

Crescono i successi terapeutici ma ...Il chiaroscuro della lotta al cancro in Italia

• GOVERNANCE FARMACEUTICA ANCORA LONTANA • RESISTERE ALLE RESISTENZE BATTERICHE• UN SISTEMA SANITARIO NON PROPRIO IN SALUTE• IL PRESIDENTE DI FARMINDUSTRA SU INNOVAZIONE E SOSTENIBILITÀ

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In copertina:La simbolica immagine di una difficile fase della vita: l’ospedale e le cure sono alle spalle, si ritorna agli affetti e alla quotidianità

Illustrazione a cura di Marco Olivari

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Anno III - N°5 2017

EditoreALTIS Omnia Pharma Service S.r.l.Viale Sarca 22320126 MilanoTelefono +39 02 49538300Fax +39 02 [email protected]

Direttore ResponsabileMarcello PortesiVicedirettoreStefano Del MissierRapporti istituzionaliMarco PolcariComitato editorialeVincenzo Atella Emanuela BaioStefano Del MissierFederico MeretaDaniele PallottaMarcello PortesiMario SensiniKetty Vaccaro

Autorizzazione Tribunale di Milano n. 318 del 17 novembre 2015.Numero di iscrizione al RoC 26499

Stampato a Milano nel mese di Dicembre 2017.

ISSN 2532-1625

IL PUNTOLa legge di bilancio e il ripiano della spesaGovernance farmaceutica ancora lontana

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Milano perde l’EMA, non la faccia 5TENDENZE E SCENARIUn sistema sanitario non proprio in salute 6RISORSE E SALUTEOncologia italiana, un primato a metà 9Resistere alle resistenze batteriche 13POLITICA & ISTITUZIONILa sanità e un anno di governo Gentiloni – Lorenzin 16INNOVAZIONEA colloquio con il presidente di Farmindustria su innovazione e sostenibilità 19NON SOLO CURAPipì a letto, un disturbo ancora “sommerso” 22IL MONDO ADVOCACYLe sindromi mielodisplastiche: l’Italia in primo pianoper contrastarle 25

PILLOLE REGIONALI 27

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ia libera all’Agenzia Italiana per il Far-maco alla chiusura degli accordi tran-sattivi con le imprese farmaceutiche sul

rimborso degli sforamenti di spesa degli anni passati. La Legge di Bilancio 2018 punta alla soluzione dell’enorme contenzioso del passato, ma rinuncia alla definizione di un nuovo meccanismo di governance della spesa farmaceutica. Mentre i tetti alla spesa regionale per i medicinali continuano ad essere abbondantemente superati, riproponendo il problema in chiave futura. Entro il 31 gennaio, secondo le nuove disposizioni, l’Aifa dovrebbe adottare le decisioni sul ripiano della spesa farmaceutica eccessiva del 2016, consentendo il versamento delle

somme spettanti alle Regioni per il cosiddetto payback, il meccanismo di rimborso che è in parte a carico delle imprese. Somme che, per inciso, oggi sono “sospese”, perché non sono scontate né nei bilanci delle Regioni, né nei dati di contabilità

LA LEGGE DI BILANCIO E IL RIPIANO DELLA SPESA

Governance farmaceuticaancora lontana

* Giornalista de Il Corriere della Sera

La nuova legge di bilancio prevede la chiusura del contenzioso passato sui rimborsi per lo

sforamento dei tetti di spesa Per il 2016 l’onere per le imprese potrebbe essere di 800 milioni

di euro. Nel 2017, dice però la Corte dei Conti, la spesa resta fuori controllo Per gli innovativi

via al monitoraggio sul costo complessivo del percorso terapeutico La maggioranza vuole

abbattere il superticket per diagnostica e specialistica, ma mancano le risorse

di Mario Sensini*

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IL PUNTO

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Rinviata al futuro la definizione di una nuova governance per la farmaceutica

nazionale. Entro la fine di giugno, poi, l’Aifa dovrebbe concludere le transazioni avviate con le aziende farmaceutiche relativi ai contenziosi insorti dal 2013 e ancora pendenti. Per il 2013-2015 l’Aifa aveva inizialmente calcolato un contributo a carico delle imprese di 1,4 miliardi di euro. Molte di queste hanno pagato, versando in tutto 880 milioni, ma quasi tutte hanno fatto nello stesso momento un ricorso al Tar, che ha accolto parzialmente le loro ragioni rinviando la decisione di merito a fine anno. L’Avvocatura dello Stato, nel frattempo, ha segnato al governo il rischio consistente di perdere quelle cause, e ha suggerito la transazione che è ora prevista dalla Legge di Bilancio. Prima, tuttavia, verranno rideterminati gli importi, non più 1,4 miliardi, ma 930 milioni. Meno di quelli chiesti inizialmente, un po’ di più di quelli versati.Per evitare che i contenziosi si ripropongano, la norma proposta dal governo nella Legge di Bilancio stabilisce che gli accordi transattivi sul passato siano stipulati solo con le aziende che abbiano regolarmente versato la loro quota di ripiano del 2016. Per l’anno scorso, secondo la Corte dei Conti, si può immaginare uno sforamento di 200 milioni della spesa farmaceutica territoriale, e di ben 1,5 miliardi per quella ospedaliera. Se questi importi fossero confermati, dice la Corte dei Conti, la bolletta 2016 a carico delle imprese sarebbe di circa 800 milioni di euro. Lo sbilancio si riproporrebbe anche per quest’anno. Sempre secondo i magistrati contabili, “il monitoraggio del primo semestre dell’anno non sembra indicare miglioramenti significativi in merito all’efficacia dei tetti”.

Se la spesa farmaceutica convenzionata ha toccato 4,4 miliardi, inferiore di 45 milioni al tetto previsto, quella per gli acquisiti diretti, al netto dei payback vigenti e dei fondi per i

farmaci innovativi, evidenzia un maggior disavanzo di circa un miliardo di euro rispetto al previsto. “Non sembra che la riforma ab-bia ancora risolto il problema dello sfondamento della spesa per gli acquisti diretti” conclu-de quindi la Corte dei Conti. Le vecchie norme prevedevano

una verifica del sistema alla fine di quest’anno, un check-up complessivo dei meccanismi di gestione della spesa farmaceutica. Ma il Governo sembra essersene dimenticato, perché nelle norme presen-tate al Senato di governance non si parla proprio. Non è escluso, tuttavia, che qualche ritocco alla norma possa arrivare nel corso dell’esame della Legge alla Camera. Nella Legge, invece, entra una nuova forma di monitoraggio dei costi dei farmaci innovativi finanziati da fondi specifici, come quel-

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COLLOQUIO CON L’A.D. DI AMGEN ANDRÉ T. DAHINDEN“l’Italia può essere più competitiva: servono stabilità e regole certe”

“Una nuova Governace del comparto, potrebbe rappresentare la grande occasione per l’Italia”. Andrè T. Dahinden, amministratore delegato di Amgen Italia, azienda del gruppo biotecnologico americano, non sembra molto soddisfatto. Le grandi multinazionali farmaceutiche desiderano continuare a investire nel nostro paese, ma non hanno certezze sulle regole. Oggi il caso è quello della compartecipazione delle imprese al ripiano degli sfondamenti della spesa farmaceutica, ma da sempre la grande industria chiede la stabilizzazione del quadro normativo e regolamentare italiano. “Il settore farmaceutico continua a rappresentare un comparto economico molto importante per l’Italia. Gli investimenti e l’occupazione sono in crescita, ma il comparto necessita di regole certe, trasparenti e che consentano una programmazione a medio e lungo termine”, dice Dahinden.“C’è delusione per il rinvio della nuova governance” ammette l’amministratore delegato di Amgen Italia, “ma c’è comunque la speranza che qualche segnale arrivi dalla discussione della Legge di Bilancio alla Camera dei Deputati”. Se non una riforma, almeno una semplificazione del sistema, che preveda ad esempio “la compensazione fra i tetti” e “il superamento del budget di prodotto”.Anche la soluzione individuata per la chiusura dei vecchi contenziosi sugli sfondamenti della spesa avrebbe potuto, secondo Dahinden, essere articolata in maniera differente. “Il segnale di inserire nella legge di Bilancio il tentativo di risolvere la questione del pay back pregresso è positivo. Ma per avere la certezza di risolvere almeno quello relativo al 2013-2015, bisognerebbe evitare di legarlo al 2016” dice Dahinden. La norma in discussione prevede che la transazione sul passato (930 milioni a carico delle imprese invece di 1,4 miliardi) sia consentita solo con le imprese che aderiscono al payback del 2016. Ma c’è una novità sicuramente positiva: quella sul monitoraggio dei farmaci innovativi. “La verifica dell’impatto delle risorse destinate agli innovativi attraverso la misurazione del valore dell’intero percorso di cura - dice Dahinden - rappresenta un modo nuovo e moderno, da parte delle istituzioni, di affrontare il grande tema della valutazione delle terapie”.

M. Sen.

A.D. AmgenAndré T. Dahinden

IL PUNTO

li oncologici. Per il trien-nio 2018-2020 si prevede infatti l’avvio sperimenta-le, da parte del Ministero della salute di concerto con il MEF, di un monito-raggio degli effetti dell’u-tilizzo di questi farmaci

sul costo del “percorso terapeutico assistenziale complessivo”.

Sempre a Montecitorio governo e maggioranza potrebbero intervenire nuovamente sul superticket per la diagnostica e la specialistica, dopo che il Senato ha introdotto un’esenzione parziale per le fasce più deboli della popolazione. Sul piatto, per gli sgravi destinati soprattutto agli anziani, ci sono però appena 60 milioni di euro. Poca cosa rispetto al costo del superticket regionale, stimato tra 600 e 800 milioni di euro l’anno.

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a un po’ sorridere lo psicodramma col-lettivo vissuto dal Paese con l’assegna-zione della nuova sede dell’Agenzia eu-ropea per i farmaci ad Amsterdam.

La candidatura di Milano, che aveva salito tutti i gradini della demenziale procedura di selezione tra le diciannove città, è stata battuta solo al sor-teggio. Un finale grottesco e beffardo che ha fatto scattare in molti l’antico sentimento dell’autofla-gellazione. Non ce la facciamo perché non siamo squadra, perché non abbiamo potere in Europa, non abbiamo le persone nei posti chiave, non par-

liamo l’inglese, e così via…A ben vedere ha perso l’Europa, più che Mila-no. Giocarsi a pari e dispari una partita del gene-re, senza alcuna trasparenza, è ridicolo. Pare che decisivo, alla fine, sia stato il parere dei mille di-pendenti dell’Ema, oggi di stanza a Londra, che da Amsterdam, dove tutti parlano inglese, è a un tiro di schioppo. Peccato perché non aveva molto senso, allora, lavorare mesi e mesi per preparare dossier, la documentazione tecnica alla base della prima fase delle selezioni, poi le visite, attivare la diplomazia, e quant’altro. Milano l’ha fatto e va bene così. Non è un lavo-ro perso. La città, che ha vinto tra lo scetticismo anche la difficilissima partita dell’Expo, ha dimo-strato ancora una volta di saper reagire, e bene, alle sfide. È stata l’unica grande città europea a proporsi per la gara, a superare tutti i confronti fin-chè sono stati tecnici e fattuali. Poi se ha perso a testa o croce è solo sfortuna, e per quella non deve portare la croce.

Milano perde l’Ema, non la faccia

Fdi Mario Sensini*

A.D. AmgenAndré T. Dahinden

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a 13a edizione del Rapporto Sanità delinea elementi di grande interesse non solo per gli studiosi e gli addetti ai lavori, ma anche per la gente comune, dato che ne descrive

comportamenti e difficoltà nella loro vita quoti-diana alle prese con uno dei capisaldi del nostro esistere, ovvero lo stato di salute.E la salute degli italiani passa inevitabilmente dalla salute del nostro servizio sanitario nazionale, un mondo sempre più complesso e intrecciato che, da qualche tempo, mostra anche lui segni di invecchia-mento e di cronicità nella malattia.

Il focus del Rapporto resta sempre centrato sul settore sanitario “allargato”, in quanto alla parte della cosid-detta Sanità, si affianca la parte delle prestazioni più di carattere sociale che sono strettamente correlate a quelle malattie che conducono alla non-autosufficien-za e alla disabilità: in altri termini, il Rapporto CREA è impostato integrando la parte sanitaria con l’area della cosiddetta LTC (Long Term Care).Il documento si divide in 4 parti:- la descrizione del contesto del settore socio-sani-

tario italiano: gli aspetti socio-economici e demo-grafici, il finanziamento pubblico, la spesa e alcune possibili misure di risultato;

- le specifiche analisi di settore, una per ogni area assistenziale (prevenzione, assistenza ospedaliera,

residenziale, specialistica, farmaceutica, primaria, domiciliare, provvidenze in denaro);

- una lettura della Sanità sul piano macroeconomico, osservandola in quanto settore industriale;

- le analisi “trasversali” per patologia, tecnologia o processo.

Inoltre, fattore di grande interesse per chi scrive, il Rapporto si chiude con un riepilogo regionale, che permette di osservare le varie aree analizzate nei capitoli precedenti all’interno di ogni singola regione.

Nella grande disponibilità di informazioni e di spunti offerti dal Rapporto CREA, ci vogliamo soffermare su tre elementi a nostro modo di vedere essenziali per capire lo stato di salute del sistema sanitario: l’anzia-nità degli italiani, le risorse a disposizione, i risultati a livello regionale.

UN PAESE DI VECCHIIl dato di fondo ormai noto ai più è che l’Italia è tra i paesi con il più alto tasso di anziani: oggi ci sono più di 13 milioni e mezzo di persone che superano i 65 anni, una percentuale considerevole (22,3%) sul totale della popolazione. Abbiamo un’aspettati-va di vita alla nascita di 85 anni per le donne e 80,6 anni per gli uomini: pochi come noi.L’essere stati capaci di allungare la vita, però, non va

Un sistema sanitario non proprio in salute

di Stefano Del Missier

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LO SCENARIO RACCONTATO DAL 13° RAPPORTO CREA DELL’UNIVERSITÀ TOR VERGATA DI ROMA

Una lettura della sanità fatta anche dal punto di vista sociale Uno scenario incompatibile con le attuali e superate politiche sanitarie Per la sanità privata si spende meno della media europea e con forti differenze tra nord e sud Un forte disomogeneità tra le diverse regioni nell’accesso all’innovazione

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di pari passo con la qualità con cui la viviamo: alla nascita, abbiamo una vita mediamente in salute fino a 58,2 anni. Per gli over-65, la speranza di vita in salute è di 7,8 (per gli uomini) e 7,5 (per le donne) anni: un po’ poco rispetto ai 9,4 anni della media europea.

Anche per gli over-75, con problemi di salute e/o patologie di lunga durata, le distanze tra le perfor-mance italiane e quelle medie europee sono marcate: un anziano su due ha almeno una malattia cronica e, per gli over-80, il 59% ha almeno una malattia cronica e il 64% è multi-cronico.Tutto quanto sopra dovrebbe bastare a far intuire che le politiche sanitarie perseguite fino ad ora non reggono più il nuovo scenario del fabbi-sogno di salute che si è venuto a generare, e che è indispensabile modifi-care in modo incisivo la politica sanitaria per il futuro.

QUESTIONI DI SOLDI (SCARSI)Si consolida il trend di curarsi sempre meno in ospedale e sempre più nelle strutture sul territorio o, meglio, a casa propria.La stessa popolazione anziana, facendo una verifica sulle principali patologie (ictus, infarto, frattura del femore, diabete), è ricorsa molto meno all’ospeda-le di quanto ci si attendesse: la differenza è di oltre 500.000 ricoveri in meno dal 2003 al 2015.Ci si cura mediamente meno in ospedale, c’è minore mortalità ospedaliera e si verificano dimissioni verso situazioni di cura più coerenti con la malattia (struttu-re a bassa intensità di assistenza e, come detto, domi-cilio). Inoltre, viene sottolineato il ruolo della preven-zione, per cui le malattie prese in tempo si curano meglio, e una migliore organizzazione dei servizi.

Tutto quanto sopra significa sicuramente un più appropriato utilizzo delle risorse economiche. Ma queste rimangono un po’ troppo scarse. Soprattutto se ci confrontiamo con gli altri paesi dell’Unione Europea. Sul piano della spesa pubblica per la sanità, spendiamo un terzo in meno della parte occidentale dell’Europa, nonostante all’interno di questa porzione

di paesi ci siano Grecia e Gran Bretagna che hanno praticamente ridotto al lumicino il finanziamento pubblico della sanità; e la spesa dei paesi della parte orientale dell’Europa, in modo incessante, si sta alli-neando a quella italiana.Va detto che abbiamo vissuto anni in cui molte regioni sono state chiamate al “rientro” del loro deficit: infatti, il rapporto tra il disavanzo sanitario e il finanziamento effettivo della sanità è passato dal 6,5% del 2006 allo 0,9% del 2016. II disavanzo si è ridotto di quasi l’80% per effetto dei piani di rientro delle “regioni-canaglia”, con un ritmo pazzesco del 16% medio annuo.

Anche sul piano della spesa privata spendia-mo meno della media europea: nel 2016 oltre 36 miliardi di euro, quasi 600 euro a testa, quasi tutto (92,6%) dalle nostre tasche rispetto a quanto intermediato da assicu-razioni e fondi vari. Va altresì sottolineato che c’è un certo disagio economi-co per le spese sanitarie che ormai riguarda il 5,7% delle famiglie italiane, con una sostanziale differenza tra sud (8,4% delle fami-

glie), centro (4,8%) e nord (4,4%).In generale, privatamente spendiamo meno che in Europa, ma con un tasso di crescita annuo pratica-mente identico: 4,5% in Italia e nell’Europa occidenta-le, 4,6 nell’Europa orientale.Certo è che la spesa privata riflette un fattore di diffe-renza ormai drammatico tra le diverse aree del paese: in Val d’Aosta la spesa media è di 827 euro, mentre in Campania è di 361,8… Questo significa che in molte aree del paese non si hanno le stesse possibilità di spendere per la propria salute rispetto ad altre aree.

E se poi aggiun-giamo che il livello quali-quantitativo dei servizi offerti non è altrettanto lo stesso, ci possiamo fare un’idea dello stato di salute del sistema sanitario.

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Fig.A - LA COMPOSIZIONE DEL SETTORE SOCIO-SANITARIO

REGIONE CHE VAI…Il Rapporto mostra due interessanti capitoli per la valu-tazione di quanto la regionalizzazione della sanità in Italia possa rappresen-tare uno strumen-to di confronto e di stimolo al migliora-mento oppure, piut-tosto, un ostacolo allo sviluppo con pesanti ricadute in termini di diritti e di libertà/possibilità di accesso ai servizi.È il caso eclatante, per fare un esempio, dell’accesso ai farmaci di nuova generazione, i cosiddetti “farmaci innovativi”, con differenze enormi tra la loro disponi-bilità in alcune regioni rispetto ad altre; così come per le differenze di tecniche chirurgiche utilizzate su parti-colari patologie per cui, nel caso (ad esempio) della chirurgia laparoscopica mininvasiva, nelle regioni del nord questa tecnica sia molto più utilizzata con conseguenti maggiori risultati in termini di efficien-za organizzativa (riduzione giornate di degenza) e di appropriatezza professionale (programmazione dei ricoveri).

Il Rapporto, nell’ultimo capitolo, rappresenta dei grafici, Regione per Regione, in cui vengono rappre-sentati una ventina degli indicatori proposti nei capi-toli precedenti, scelti in base alla loro rilevanza e confrontabilità: dalla speranza di vita alla nascita alla quota di famiglie impoverite; dai risultati di esercizio alla spesa farmaceutica territoriale e ospedaliera; dalla copertura vaccinale alla quota di anziani curati a domicilio.Il solo impatto grafico dice molto sullo stato di salute e sulla diversa possibilità di essere sostenuto a seconda delle regioni in cui si vive.

Pur partendo da una considerazione del tutto perso-nale per la quale è alla regionalizzazione della sanità decisa ad inizio degli anni novanta che dobbiamo i buoni risultati di performance e di equilibrio comples-sivo del nostro sistema sanitario, è evidente che, dentro questo sistema regionalizzato, qualcosa non va.In altri termini, dal 13° Rapporto CREA si evince che non possiamo più vivere di “rendita”, che le differen-ze tra cittadini nell’accesso al sistema di tutela della salute sono eccessive, e che per mantenere i buoni risultati fin qui ottenuti si debba decisamente inno-vare nelle policy sanitarie: un testimone che probabil-mente, volente o nolente, verrà messo sul tavolo della prossima Legislatura.

Fonte: eleborazione @ C.R.E.A. Sanità

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a tradizione ha il suo peso. Magari può sembrare una faccenda impalpabile, ma c’è di certo un legame tra il primato dell’I-talia che è in cima alle classifiche mondia-

li per sopravvivenza al cancro e la solida scuola italiana di oncologia. Questa scienza è nata in Italia come negli Stati Uniti e in Francia. Siamo stati leader nel mondo e ancora abbiamo il fior fiore di oncologi di grande reputazione internazionale. Ma, per quanto ci piaccia pensare alla forza della nostra cultura medi-co-scientifica, è ovvio che il merito del primato va ascritto in massima parte al Servizio sanitario nazio-nale che prende in carico tutti i malati di cancro e li

cura al meglio per anni e anni. E così accade che il 63 per cento di tutte le donne che si ammalano, e il 54 degli uomini, sono vivi cinque anni dopo la diagnosi, contro il 57 per cento delle donne europee e il 49 per cento degli uomini. Non è poco. E chi storcesse il naso

pensando che l’Europa è anche quella dei nuovi venuti dell’est, forse ancora un po’ male in arnese, badi che se la cavano peggio di noi persino gli inglesi (53 per cento delle donne e 49 degli uomini sono vivi 5 anni dopo la diagnosi) e gli scandinavi (59 per cento e 49).Insomma, sono cose che accadono quando si tiene ben stretto un servizio sanitario universale che riesce, nonostante tutto, a intervenire chirurgicamente sulle neoplasie in tempi ragionevoli, che riesce a dare a tutti i farmaci utili. Tutt’oro quel che riluce? No. Perché ci sono disfunzioni del sistema che impattano diretta-mente sulla probabilità di sopravvivere un malato di cancro, prime tra tutte le liste d’attesa in chirurgia e la disparità regionale (primariamente tra nord e sud)

Ldi Daniela Minerva

IL RAPPORTO IN CHIAROSCURO DEL MINISTERO DELLA SALUTE

Il merito dei molti risultati positivi è certamente dell’universalità del Servizio Sanitario Nazionale, ma l’altra faccia della medaglia è la disparità tra le diverse regioni Gli indicatori più significativi Divari ancora intollerabili, specie tra nord e sud, nell’accesso alla diagnosi precoce Troppo tempo tra un accertamento diagnostico e l’inizio delle terapie

Disomogeneità nel rapporto tra strutture e popolazione

Oncologia italiana,un primato a metà

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in quanto alla disponibilità di impianti di radioterapia. La fotografia oggi registra che in Toscana e in Umbria, per esempio, si superano le 4 strutture per milione di abitanti, in Lombardia ed Emilia-Romagna sono 3, mentre in Campania, Basilicata e Sardegna non si toccano le 2 strutture per milione. Ma è uno scatto recente perché fino a una decina di anni fa il divario era più marcato e comun-que Lombardia, Emilia Romagna e Marche possiedono attrezzature molto avanzate, mentre nel meridione le tecniche più moderne restano appannaggio di poche realtà concentrate soprattutto in Campania e Sicilia.Non solo. La nota dolente che disegna con grande precisione come non ci sia un unico servizio sanitario nazionale per tutti gli italiani è la disparità di accesso alla diagnosi precoce, il vero salvavita. Perché chi si libera della malattia riesce a farlo soltanto grazie alla diagnosi precoce, unita a un rapido intervento chirur-gico cui si associa il più delle volte la radioterapia, l’or-monoterapia e/o la chemioterapia adiuvante. Quindi, come ormai ben si sa, l’unico modo per sconfiggere davvero un tumore è scovarlo nelle sue fasi iniziali: alla diagnosi precoce si devono, infatti, le altissime percen-tuali di sopravvivenza al tumore della mammella. Ma anche i tassi di sopravvivenza in crescita degli altri big

killer (polmone, prostata, colon-retto, neoplasie gine-cologiche) o di malattie meno diffuse (come il mela-noma). Insomma la differenza tra la vita e la malat-tia - nella migliore delle ipotesi - cronica per un certo numero di anni, o la morte è in mano agli screening e ai piani diagnostici.Eppure: mentre ben oltre il 90 per cento delle donne (praticamente tutte) che vivono nel nord del paese ha potuto godere del beneficio degli screening mammo-grafici, al sud la percentuale sta sotto il 60. È comun-que in aumento, dice il rapporto annuale del ministero della Salute. Sarà ma resta che 4 donne su 10 (poco meno della metà!) non si controlla, e, se ha il tumore, se ne accorge solo quando è troppo tardi per poterlo sconfiggere. Perché? Sono le donne che ricevono la cartolina di chiamata allo screening e la buttano nella carta da riciclare? O provano ad accedere alle mammo-grafie ma non ci riescono? Il fatto è che tanto più

lunghe sono le liste d’attesa, tanto più farraginosi sono i sistemi d’accesso e tanto minore è l’adesione agli screening. Non solo: è utopico pensare che tutte le donne sappiano valutare l’importanza del control-lo mammografico e della chiamata che ricevono. Una fetta consistente della popolazione femminile deve

essere accompagnata in questo processo. E chi deve farlo sono i medici di medicina generale.Andando poi a vedere cosa accade a valle della mammografia il rapporto del ministero ha valutato degli indicatori che danno conto di cosa accade dopo un eventuale esito negativo del controllo radiologico, ovvero il richiamo per gli approfondimenti necessari (esami strumentali, biopsie) e i tempi dell’intervento chirurgico. Com’è ovvio è questa fase che fa la diffe-renza: una volta scoperto con la mammografia che c’è qualcosa che non va, quanto tempo passa prima che inizi l’iter terapeutico? Troppo, in particolare nel centro-sud. E, in sintesi, si legge nell’ultimo rapporto del ministero: “Al nord e al centro l’adesione sembra in lieve crescita degli ultimi due anni, mentre al sud si registra una costante flessione, con valori che non riescono mai a raggiungere la soglia di accettabilità”.

Ancora peggio per quanto riguarda lo screening colon-rettale: copertura quasi totale al nord (più del 90 per cento) un misero 40 per cento al sud: ben più della metà dei cittadini non riescono ad accedere alla diagnosi precoce per uno dei tumori più pericolosi. Anche in questo caso al centro siamo

Un ruolo centrale spetta alla medicina generale

Manca un piano nazionale per la diagnostica precoce

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attorno all’80 per cento. Ma la definizione di Centro è un po’ vaga perché compren-de aree, come la Toscana e l’Emilia-Romagna, dove l’accesso agli screening è totale e altre come il Lazio che hanno le stesse percen-tuali d’accesso delle regioni meridionali.A costo di ripetermi apro una finestra sullo screening cervicale: quasi il 100% al nord, circa il 70 al centro e il 65 al sud. E questi dati sconcertanti meritano un supplemento di riflessione perché da qualche anno lo screening per il tumore della cervice si fa andando a cercare il Dna del papilloma virus. Ovvero una procedura semplice, certa e che si può ripetere anche solo ogni tre / cinque anni.Sono questi numeri la vergogna del nostro paese. Siamo bravi, abbiamo oncologi e chirurghi che ci invi-diano nel mondo, mettiamo persino a disposizione i farmaci più costosi e innovativi. Ma quasi la metà degli italiani non ha accesso alla misura numero uno della guerra al cancro: la diagnosi precoce. E i dati, poi, non fotografano tutte le neoplasie. Abbiamo parlato degli screening per i tumori del seno, del colon-retto e della cervice. Poi c’è da fare la diagnosi precoce del cancro della prostata, del melanoma, dei carcinomi gastrici...

Quel pezzo d’Italia che non ce la fa, ce la farà sempre meno, man mano che aumentano costi e complessità delle tecnologie e degli strumenti capaci di identificare una neoplasia al suo inizio. Non va bene.Serve un piano nazionale per la diagnostica precoce che impegni tutte le regioni e il mistero con obiettivi precisi ancorchè ambiziosi. A voler essere cinici, più soldi si spendono per la diagnosi precoce, meno, molti meno, se ne spendono per farmaci e secondi o terzi interventi. E molta più gente se va a casa sulle proprie gambe..

SUCCESSI TERAPEUTICI: i dati regione per regione

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EMILIA ROMAGNA

TOSCANA

VENETO

PIEMONTE

UMBRIA

FRIULI VENEZI GIULIA

TRENTINO ALTO ADIGE

LOMBARDIA

LIGURIA

PUGLIA

SICILIA

SARDEGNA

CAMPANIA

62,4%

62,2%

61,5%

60,7%

60,7%

60,5%

60,5%

60,4%

59,0%

57,8%

57,6%

56,0%

55,0%

ESCLUSE1. Marche

2. Lazio

3. Calabriacopertura<30%

4. Basilicata

5. Valle d’Aostaaccreditati di recente

6. Abruzzo

7. Molisenon accreditati

Colloquio con Oscar BertettoDIRETTORE DIPARTIMENTO RETE ONCOLOGICA PIEMONTE | VALLE D’AOSTA

Quali sono i numeri dell’emato-oncologia nella Regione? Quanti sono i centri d’eccellenza e come sono posizionati?

In Piemonte e Valle d’Aosta, attraverso una Delibera di Giunta Regionale del novermbre 2015, è stata fatta la scelta di individuare, patologia per patologia, i centri di riferimento.Sono diversi, per numero, a seconda del tipo di tumore (i più frequenti hanno più punti di riferimento, i tumori rari ne hanno uno solo).

Quattro i parametri scelti, oltre a quello epidemiolo-gico:- numero di interventi fatti, ovvero il volume di attività

del centro;- esperienza degli operatori;- tecnologie indispensabili presenti;- modello organizzativo (per esempio, la presenza di

un Centro accoglienza servizi).Senza queste caratteristiche, non si può essere centro di riferimento.Facendo degli esempi per tradurre le cose in numeri,

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per la mammella abbiamo 16 centri, per il polmone 6, per l’esofago 3 per i sarcomi 1.

Il trend di crescita dei cancer survivor è stato valu-tato nella misura del 3 per cento. Questo vale anche per il Piemonte?

I dati sono presi dai registri tumori e, in questo, il trend del Piemonte colloca la sopravvivenza tra le migliori fasce europee: per alcune patologie siamo in fascia alta, in altre medio-alta.In tutte le patologie siamo sopra la media europea, media che però si è abbassata con gli ultimi ingressi dei paesi dell’Est.

La rete oncologia della sua regione può considerarsi ormai a regime o necessita ancora di messe a punto signif cative?

La rete è a regime per tre cose:- Sono stati istituiti i gruppi interdisciplinari con i rela-

tivi responsabili per tutte le patologie.- Si sono organizzati i centri di Accoglienza e servizi

con i responsabili.- Sono stati scritti i PDTA per tutte le patologie,

f rmate da tutti i componenti responsabili.Non siamo ancora a regime per quanto riguarda il trattamento dei pazienti nei centri di riferimento: ad esempio, per i tumori del colon retto, andrebbe fatto lo spostamento di circa 800 pazienti che sono trattati ancora in ospedali che hanno un numero di interventi sotto il volume previsto.

Quale approccio avete scelto in termini organizzativi per la gestione delle reti oncologiche?

In termini organizzativi, la rete oncologica è diven-tata un dipartimento funzionale interaziendale che comprende tutte le aziende del Piemonte e della VDA. Io sono il direttore del Dipartimento e sono aff ancato da un consiglio di dipartimento. Per la rete oncologica c’è un’unità di coordinamento della rete in cui ci sono presenti i responsabili delle varie aree in cui è artico-lata la programmazione regionale, con rappresentanti dell’università e dell’assessorato, con il compito di scri-vere il piano di attività annuale che viene approvato dalle due Giunte regionali per divenire cogente per i DG delle aziende.Il modello, quindi, riesce abbastanza a dirigere i percor-si di cura, mentre con più diff coltà riesce ad individua-re con chiarezza i servizi centralizzati (la biologia mole-colare, i modelli informatici, i modelli di ricerca sono esempi di quanto ancora i deve fare).

Negli ultimi anni si sta assistendo ad una maggior cautela/selettività nella prescrizione del mix degli esami necessari alla ricerca di eventuali recidive o di altre complicanze?

C’è maggiore attenzione e obiettività nel prescrivere, ma c’è ancora un’inappropriatezza prescrittiva (più per

eccesso che per difetto, a dire il vero).In ambito stadiativo qualche inappropriatezza per difetto, mentre in ambito di follow-up c’è molta inap-propriatezza per eccesso.Si cercano complessivamente maggiori evidenze scientif che, rispetto al passato, a capire se veramente giova l’esame per anticipare una recidiva: ci si chiede quanti falsi positivi abbiamo e quindi quanti rischi di creare problemi al paziente quando il rischio di ricadu-ta è veramente basso.

Come si estrinseca il percorso del paziente tra ospe-dale e territorio?

Stiamo mettendo a punto il percorso in questi anni.Inizialmente la rete era per percorsi di cura soprattutto fra specialisti ospedalieri: più un ruolo di individuazione di H&S, di individuazione di chi fa cosa, coinvolgendo IRCCS e Università, ma senza coinvolgere il territorio.Negli ultimi anni c’è stato un maggior coinvolgimento dei MMG f n dal loro percorso formativo (come indivi-duare i centri accoglienza come interlocutori cui fare riferimento e come programmare l’uscita dei pazienti dalla rete per fare i follow-up e la riabilitazione coinvol-gendo gli stessi MMG). Da un anno in qua, poi, sono coinvolti anche i medici di continuità assistenziale e gli specialisti ambulatoriali territoriali, e facciamo incontri di aggiornamento con tutti i direttori di distretto delle due regioni.

Quali sistemi avete messo a punto nella regione per assicurare l’accesso ai farmaci innovativi e l’appropria-tezza prescrittiva?

Abbiamo una commissione della rete che, ad ogni uscita di nuovo farmaco, fa valutazioni non orientate alla limitazione della prescrivibilità: non c’è l’obiettivo di fare un prontuario regionale più restrittivo di quanto reso prescrivibile dalle indicazioni AIFA.Per ogni farmaco facciamo una pubblicazione che viene inviata a tutti i clinici per aiutare una loro valu-tazione critica sull’utilizzo del farmaco e rendere migliore l’appropriatezza prescrittiva anche in termini di costo-eff cacia: mettiamo a disposizione le varie valutazioni di HTA e di costo-eff cacia fatte dalle varie agenzie internazionali e segnaliamo i possibili byers o i limiti presenti nella pubblicazione (ad esempio, si invita alla cautela se le popolazioni dello studio sono diverse dal paziente di fronte al medico). Una forma di moral suasion, quindi, e non di interventi restrittivi.Individuiamo, poi, i centri di riferimento dove è possi-bile fare le prescrizioni (scoraggiamo le prescrizio-ni fatte fuori) e invitiamo a discutere le prescrizioni oncologiche nel gruppo interdisciplinare cure, perché magari possono essere trovate soluzioni alternative al farmaco, magari dal radioterapista o dal palliativista, per avere una migliore appropriatezza per la selezione della popolazione da sottoporre alle terapie con i nuovi farmaci.

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Resistere alle resistenze batteriche

NCAR. Segniamoci questo acronimo, perché potreb-be diventare un’arma fondamentale per fron-

teggiare l’avanzare delle resisten-ze batteriche. Il piano nazionale di contrasto all’antibiotico resistenza, questa la definizione dell’acronimo, punta su sei ambiti di intervento ed è il frutto del lavoro coordina-to dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute (DGPREV), a cui hanno partecipato gli esperti delle altre Direzioni generali, l’AIFA, l’Istituto Superiore di Sanità, il Laboratorio Nazionale di Riferimento dell’An-tibiotico-Resistenza e i rappre-sentanti delle Regioni e di alcune Società scientifiche. Sei gli ambiti di intervento individuati: sorveglian-za, prevenzione e controllo delle infezioni, uso corretto degli anti-biotici - compresa Antimicrobial

Stewardship, formazione, comu-nicazione e informazione, ricerca e innovazione. Il Piano prevede diversi piani di sviluppo, sia a livello centrale che regionale, compren-dendo anche un’opera di moni-toraggio. Esiste però un aspetto da non sottovalutare. Chi dovrà sostenere i costi di un’iniziativa destinata ad andare avanti fino al 2020 con un impegno economico significativo? Su questo aspetto non ci sono ancora dati certi. « ll programma PNCAR indica una serie di direttive per ridurre l’in-cidenza delle infezioni da batteri multiresistenti negli ospedali, per ridurre il consumo degli antibiotici negli ospedali e fuori, che è la prin-cipale causa di aumento delle resi-stenze agli antibiotici, e anche per usare correttamente gli antibioti-ci in veterinaria – spiega Claudio Viscoli, direttore della Clinica di

Malattie Infettive dell’Università di Genova e Presidente della Società Italiana Terapia Antinfettiva (SITA). L’Italia è maglia nera in Europa per l’incidenza di infezioni da germi multiresistenti o meno sensibili agli antibiotici: quindi, anche a seguito di richiami molto pesanti che ci sono arrivati dall’Europa, questo progetto cerca di porre un argine a tale fenomeno per migliorare le prospettive di trattamento dei pazienti ricoverati in ospedale e di noi tutti. Il programma PNCAR è sicuramente un passo in avanti, anche se rimane il problema di come finanziare le attività che il PNCAR ritiene si debbano al più presto implementare. Il progetto suggerisce delle tempistiche per raggiungere obiettivi molto precisi e ambiziosi, senza specificare le modalità economiche per otte-nerli. Non è chiaro, almeno a me,

di Federico Mereta

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VARATO UN PIANO NAZIONALE DI CONTRASTO

Il piano si svilupperà su sei direttrici principali È stato concepito su scala nazionale e regionale Incertezze su chi e come ne sosterrà i costi Una risposta anche ai richiami dell’Europa Infezioni nosocomiali: passare da un tasso del 15 per cento al 5

L’importanza di rivedere i criteri di durata delle terapie Le resistenze non sono più un problema solo ospedaliero La situazione delle case di riposo e delle infezioni non ospedaliere

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se questo sia demandato o no alle Regioni, se cioè spetti a queste ultime finanziare il Piano»

Il punto chiave, in ogni caso, è vedere non solo se e come possa essere finanziato un piano così ambizioso, ma anche decodifica-re una situazione che vede l’Ita-lia a macchia di leopardo non solo per la resistenza agli anti-biotici ma anche per le strategie messe in atto, in particolare per le infezioni nosocomiali.A fianco di realtà avanzate esisto-no infatti situazioni più complesse. «Ci sono centri, come il nostro di Udine o il Policlinico San Martino di Genova, in cui sono stati svilup-pati processi che consentono di ridurre al minimo il rischio di infe-zioni, che comunque non sarà mai pari a zero, fa sapere Matteo Bassetti, Direttore della Clinica di Malattie Infettive, Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine. Questo va sempre tenuto presen-te: assestarsi su valori “accetta-bili” significa contrarre intorno al 5 per cento il tasso di infezioni nosocomiali. Quando si viaggia intorno al 15 per cento la situa-zione è ovviamente più comples-sa». In diverse aree della penisola, quindi, si stanno valutando sistemi in grado di migliorare la situazio-ne, soprattutto a livello regionale al fine di migliorare l’appropria-tezza prescrittiva. «Per quanto riguarda l’appropriatezza, secondo le norme AIFA le nuove molecole devono essere prescritte solo dagli specialisti infettivologi, ma questo

può essere un ostacolo perché gli infettivologi non sono presenti in tutti gli ospedali – fa sempre notare Viscoli - Sarebbe auspicabile isti-tuire un sistema di consulenza da parte degli infettivologi dei grandi ospedali a beneficio degli ospedali di più piccole dimensioni (“hub & spoke”) o per gli ospedali dove non è prevista la figura dell’infettivolo-go. Consulenza che, in alcuni casi, potrebbe avvenire anche solo per via telematica. In ogni caso devono essere studiati dei sistemi che consentano agli esperti e speciali-sti del settore di intervenire un po’ più capillarmente di come avviene adesso» ”.

PIÙ ATTENZIONE AL TERRITORIOTra le strategie che a livello regio-nale occorre mettere in atto, a detta degli esperti, c’è quella di integrare al meglio per questo aspetto ospedale e territorio. «Esiste un gap che riguarda non soltanto la gestione delle malattie infettive ma un po’ tutta la gestione dei rapporti tra ospedale e territo-rio, allo scopo di garantire la conti-nuità assistenziale: il gap è quello tra medici d’ospedale e medici del territorio – puntualizza Viscoli.

Per ciò che riguarda la terapia anti-biotica, penso che in ospedale si debbano rivedere i criteri di durata delle terapie e dimettere possibil-mente i pazienti senza terapia anti-biotica, con eccezione, ovviamente, dei casi, rari ma esistenti, di infe-zioni che richiedono terapie molto prolungate. In generale, i dati scien-tifici dimostrano che molte malat-tie infettive batteriche potrebbero essere trattate per meno giorni di quanto si pensasse in passato. Di fatto, ci si sta accorgendo che è maggiore il danno collaterale di dare antibiotici più a lungo inutil-mente, rispetto al rischio di darne troppo pochi ».Sicuramente il problema delle antibiotico-resistenze non è più confinato agli ambienti ospeda-lieri, come molti pensano, ma sta sempre più diventando un proble-ma anche extra-ospedaliero. Bisogna distinguere nettamente due diverse situazioni per quanto riguarda l’extra-ospedale: la situa-zione delle case di riposo o delle cosiddette strutture per lungode-genti dalla comunità vera e propria. Un conto è l’anziano che acquisisce un’infezione urinaria in una casa di riposo, un altro è la giovane donna che a 30 anni contrae un’infezione delle vie urinarie a casa propria. «Purtroppo, nella prima situazione stiamo vedendo numeri impres-sionanti di germi resistenti perché in quelle strutture si crea l’habitat perfetto per la resistenza micro-bica: tanto affollamento, tanto uso di antibiotici (perché questi pazienti spesso portano cateteri, hanno problemi respiratori…) e bassa soglia di igiene, cioè scarso infection control – commenta Bassetti - E, infatti, all’interno di questi setting abbiamo dati che ci dicono come questi pazienti siano portatori di germi resistenti in oltre il 50 per cento dei casi. Parliamo

Situazioni molto difformi tra le diverse regioni

Il problema dell’appropriatezza prescrittiva

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tradizionalmente di germi tipo ESBL, cioè enterobatteri produttori di queste betalattamasi ad ampio spettro, che inattivano in pratica tutte le penicilline, MRSA stafilo-cocco aureus meticillino resistente e anche enterococco vancomici-no-resistente, oltre ad altri micror-ganismi resistenti. Quindi, il setting delle case di riposo rappresenta un’importante minaccia per le persone ospitate. Poi c’è anche il problema completamente esterno ad ogni tipo di situazione ospe-daliera, rappresentato da tutte quelle infezioni che si verificano nei soggetti anche senza fattori di rischio per un germe resistente. Per esempio, in Italia vi è una prevalen-za tra il 10 e il 15 per cento di ESBL negli enterobatteri che causano infezioni urinarie. Una donna su dieci che ha una cistite, una delle infezioni più frequenti in assoluto, la potrebbe potenzialmente acqui-sire da un germe resistente sul quale i comuni antibiotici che noi utilizziamo per curare queste infe-zioni non funzionano più. Quindi, il paradosso è che in una donna che ha una cistite o un uomo che ha una prostatite o un soggetto che ha un problema respiratorio magari ricorrente, si corre il rischio che nel 15 per cento dei casi si possa trat-tare di infezioni da germi resistenti, e quindi potrebbero necessitare di essere ricoverati in ospedale solo per poter fare una terapia antibio-tica per via endovenosa, perché gli antibiotici in compresse comu-nemente utilizzati per queste infe-zioni non funzionano più. Tutto ciò ha un impatto veramente molto importante perché cambia comple-tamente il modo di gestire queste infezioni. Intanto c’è ansia da parte del paziente, perché in questo caso la persona non può più andare dal medico di base o in farmacia per farsi prescrivere l’antibiotico e

prenderlo tranquillamente a casa: deve recarsi da uno specialista, farsi ricoverare in ospedale, fare una terapia per via endovenosa e

ANTARCTICA: l’Alleanza europea contro le antibiotico-resistenze

nelle terapie intensive

In occasione della Giornata Europea degli Antibiotici, le due più importanti società scientifiche europee nell’ambito delle malattie infettive e della terapia intensiva l’ESCMID (European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases) e l’ESICM (European Society of Intensive Medicine), si sono unite nell’Alleanza ANTARCTICA (ANTimicrobiAl Resistance CriTIcal CAre) per contrastare la resistenza antimicrobica nelle unità di terapia intensiva.L’obiettivo di ANTARCTICA è mettere a punto un manifesto per sensibilizzare tutte le persone che operano nell’ambito delle terapie intensive, dove c’è un uso importante di antibiotici e dove i pazienti sono più suscettibili ad essere colpiti da germi resistenti.L’antibiotico resistenza rappresenta un pericolo per tutti i pazienti e, in misura maggiore,per quelli ricoverati in terapia intensiva a causa dell’intensità dei trattamenti, dell’uso di strumenti invasivi e dell’esposizione continuativa all’uso di antibiotici. Nonostante esistano prove scientifiche sui benefici derivanti dalla diminuzione dell’uso di antibiotici, una riduzione viene applicata solo nel 20-50 per cento dei casi dei pazienti ricoverati in terapia intensiva.Alcuni studi dimostrano che ogni anno circa 25.000 pazienti contraggono infezioni antibiotico resistenti. Il numero è destinato a crescere e, da qui al 2050, i superbatteri saranno responsabili di almeno 10 milioni di decessi annui, di cui 390.000 in Europa (in particolare l’Europa Meridionale sembra sia più esposta alla proliferazione di patogeni resistenti).Nonostante queste premesse, ANTARCTICA ritiene possibile vincere la battaglia contro l’antibiotico resistenza per una serie di ragioni:• si conoscono i meccanismi alla base dello sviluppo e della diffusione del

fenomeno di antibiotico resistenza;• sono disponibili tecnologie che permettono di diagnosticare rapidamente

le infezioni e accertare il coinvolgimento di patogeni antibiotico resistenti;• sono all’orizzonte nuovi antibiotici specificamente mirati contro i germi

resistenti e molti altri sono in fase di studio; allo stesso tempo, sono in fase di sviluppo anche strategie non farmacologiche per trattare le infezioni gravi;

• infine, sono in aumento i programmi di prevenzione e controllo della diffusione di infezioni resistenti.

L’Alleanza ANTARCTICA ha messo a punto un vero e proprio piano strategico, articolato in quattro ambiti, che ha per obiettivi la promozione di un migliore uso degli antibiotici, un affinamento delle tecniche di diagnosi e cura, l’aumento degli studi clinici sui nuovi antibiotici all’interno delle terapie intensive e la semplificazione della raccolta dei dati europei di sorveglianza così da consentire di conoscere quali e quanti germi resistenti circolano negli ospedali e nelle terapie intensive.

magari assumere una terapia di combinazione che mette insieme più antibiotici ».

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UN BILANCIO IN SANITÀ

La sanità e un anno di governo Gentiloni – Lorenzin

n anno dopo l’insedia-mento, il 12 dicembre 2016 il premier Paolo Gentiloni presentava

infatti la sua squadra all’Italia del dopo Renzi subito dopo aver prestato giuramento davanti al Capo dello Stato Sergio Mattarella, è tempo di bilanci anche per la sanità di casa nostra. Il dicastero della Salute, affidato per il terzo mandato consecutivo al ministro Beatrice Lorenzin, ha introdotto impor-tanti novità negli ultimi dodici mesi accendendo, ad esempio, il semaforo verde sui Lea, i livelli essenziali di assistenza, ma anche sui nuovi vaccini gratuiti, diventa-ti obbligatori per legge, e licen-ziando un nuovo testo chiamato

a disciplinare le responsabilità dei professionisti sanitari.I Lea, tanto per fornire la portata di certe decisioni, erano attesi da quindici anni. Ma con l’ok ai nuovi livelli è stato aggiornato anche il nomenclatore della speciali-stica ambulatoriale, dopo venti anni, e pure quello dell’assisten-za protesica, dopo diciassette anni. Ampliato pure l’elenco delle malattie rare, con l’introduzione di ben centodieci nuove entità tra singole malattie rare e gruppi di malattie. Ed è stato aggiorna-to anche l’elenco delle malattie croniche, con l’inserimento di patologie che erano già consi-derate rare nel lungo elenco che accompagna questa seconda lista.

Molti dei meriti delle riforme in atto e delle novità introdot-te si devono, ovviamente, alla Lorenzin. Già ministro della Salute dall’aprile 2013 al febbraio 2014 col Governo Letta, nonostante sia stata travolta dai casi dei vaccini, del controverso metodo Stamina e da altre argomentazioni, la Lorenzin ha mantenuto il proprio incarico che è stato infatti rinno-vato, nel febbraio 2014, anche dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. Nel suo secondo mandato si ricordano, così, il via libera alla produzione della cannabis terapeutica su suolo italiano e la fecondazione eterologa dopo la pronuncia di incostituzionalità del divieto operato dalla legge 40. Sul tema della fecondazione la

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Tanti i passaggi che hanno tenuto la politica con il fiato sospeso ma che hanno visto in particolare il ministro Lorenzin impegnata nella definizione dei nuovi Lea, nell’introduzione dei vaccini obbligatori a scuola, nell’elaborare una legge chiamata a disciplinare la responsabilità dei professionisti sanitari. Un politico che si è dimostrato di lungo corso. Un politico che si è dimostrato di lungo corso: tre mandati consecutivi al Ministero di Lungotevere Ripa 1

di Daniele Pallotta

Ministro della Salute Beatrice Lorenzin

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UN BILANCIO IN SANITÀ

La sanità e un anno di governo Gentiloni – Lorenzin

Lorenzin ha mostrato più volte una certa chiusura quasi al pari della sua contrarietà all’esten-sione del diritto al matrimonio in favore delle coppie dello stesso sesso e alla possibilità di adot-tare dei figli. Da sempre, infatti, ha escluso la possibilità di avere accesso alle pratiche di fecon-dazione assistita. E questo le ha procurato, evidentemente, diversi nemici. Sul tema è stata lei ad aggiornare le linee guida del 2008 dando il via libera all’ac-cesso all’eterologa e rendendo possibile la doppia donazione sia di ovociti che di seme.Con la riconferma nel ruolo di ministro della Salute nel governo guidato da Paolo Gentiloni, la Lorenzin è divenuta l’esponente politico che più a lungo ha rico-perto la carica di responsabile del dicastero di viale Giorgio Ribotta. A poche settimane dall’ultima riconferma, meno di un mese dal giuramento, il ministro ha dovuto fin da subito affrontare un primo vero allarme: quello del paventato ritorno della menin-gite e del reperimento dei vaccini nel Paese. Una situazione descritta come emergenziale da molte testate giornalisti-che ma che, secondo la Lorenzin, emergenziale in realtà non è mai stata.A proposito di vaccini più in generale, va detto che il tema ha sicuramente accompagnato l’ultimo anno d’at-tività del ministro e del Governo nazionale fin dall’annuncio, a gennaio 2017, di una legge nazio-nale sulla obbligatorietà delle vaccinazioni ai fini dell’accesso ai percorsi scolastici.Il testo della legge, datata alfine 31 luglio, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 agosto ed ha

definitivamente stabilito che per i minori di età compresa tra 0 e 16 anni e per i minori stranieri non accompagnati sono obbligatorie e gratuite le seguenti vaccinazio-ni: anti-poliomielitica, anti-difte-rica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse, anti-Haemophi-lus influenzae tipo b, anti-mor-billo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-varicella. L’obbligatorietà per le ultime quattro (anti-morbillo, a n t i - r o s o l i a , anti-parotite, anti-varicella) sarà sogget-ta a revisione ogni tre anni in base ai dati epidemiologici e delle coper-ture vaccinali raggiunte.Le vaccinazio-ni obbligatorie sono gratuite e dovranno tutte essere sommi-nistrate ai nati dal 2017. Alle dieci vaccinazioni obbligatorie previ-ste se ne aggiungono quattro

fortemente raccomandate che il decreto prevede ad offerta attiva e gratuita, ma senza obbligo, da parte di Regioni e Province autonome: anti-meningococ-cica B, anti-meningococcica C, anti-pneumococcica, anti-rotavi-rus.Imperativa la posizione della legge: la mancata sommini-

strazione dei vaccini obbligato-ri preclude l’iscrizione agli asili nido e alle scuole materne. Per il mancato rispetto dell’obbligo da parte di bambini e ragazzi più grandi è stata invece prevista una multa.Ma vaccini a parte, anche altri sono stati i temi “caldi” del 2017 per la salute nazionale. Come l’approvazione della legge sulla responsabilità professionale dei

medici, un importante passo in avanti per il sistema sanitario del nostro Paese. Un provvedimento che garantisce da un lato il diritto

del cittadino ad essere risarcito in caso di errore medico e dall’altro tutela maggiormente i profes-sionisti della sanità ridu-cendo il ricorso alla medi-cina difensiva, un tema al quale il Ministero della Salute ha prestato sempre grande attenzione.Nel secondo semestre

dell’anno alla lista di leggi, decreti e carte varie si è aggiunto poi qualcosa di molto più concre-to: l’elenco dei finanziamenti per gli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese con la destinazione di ben 287 milioni di euro per quindici interventi su edilizia sanitaria e ricerca fra cui quelli riguardanti l’ampliamento,

Dodici mesi dopo l’insediamento - era il 12 dicembre 2016 - è tempo di esami e bilanci per il premier e per la sua squadra di governo. Anche in materia di sanità.

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la riqualificazione, l’adeguamen-to e la messa a norma di quattro ospedali collocati nella Regione Lazio e dell’Irccs “Bonino Pulejo” di Messina. Con riferimento alla ricerca sanitaria, la quota assegnata al Ministero della Salute, pari a 23 milioni di euro, ha visto finanziare progetti per il disturbo di spettro autistico, per la costituzione di una Rete nazionale di ricerca per la gestione clinica in modalità integrata delle patologie infettive in Italia, per il miglioramento delle strategie integrate per lo studio dei determinanti delle malattie cardiovascolari e per l’identifica-zione di biomarcatori delle stesse.

Altri fondi sono andati per uno studio per la valutazione dell’uti-lità e dell’efficacia della piattafor-ma genomica e proteomica nelle malattie neurodegenerative, per uno studio finalizzato alla messa a punto e al collaudo del network italiano di neuroteleriabilitazione, per le analisi genomiche per l’in-quadramento dei pazienti pedia-trici orfani di diagnosi.Infine, ma non da ultimo per importanza, l’approvazione - dopo un quarto di secolo in questo caso - della nuova tariffa nazionale per la vendita al pubbli-co dei medicinali. Con il decreto, firmato anche in questo caso dalla Lorenzin, si è stabilito che

non è consentito quotare una sostanza a un prezzo diverso da quello indicato nella “Tabella dei prezzi delle sostanze”, anche quando sia stata impiegata una sostanza contraddistinta da marchio registrato. Una novità non da poco per un sistema sani-tario, quello italiano che come dice l’Ocse è ormai “l’ultimo al mondo con copertura universale, con costi bassi e in un quadro di forti vincoli di bilancio”. Come dire che della salute del Paese Italia non ci si deve preoc-cupare più di tanto. E questo, ad oggi, fa ben sperare.

Premio Changing Diabetes per l’editoria 2017

Un importante riconoscimento per l’impegno editoriale quello consegnato dalla Federazione Nazionale Diabete Giovanile ad ALTIS nel mese di ottobre 2017, in occasione del Changing Diabetes Day, tenutosi presso la Camera dei Deputati.

Il Presidente di ALTIS, Marco Polcari, ha ritira-to il premio della Federazione dalle mani della Senatrice Laura Bianconi, Membro della XII Commissione permanente Igiene e sanità del Senato, con la seguente motivazione:

Grande è sempre stata l’attenzione dedicata dalle pubblicazioni ALTIS - Public Health and Health Policy, Italian Health Policy Brief e Regional Health + - alle complesse problemati-che di politica sanitaria derivanti dalla patolo-gia diabetica e delle sue complicanze. Anche per il futuro, con il proprio

contributo, ALTIS si impegnerà a contribuire ed a stimolare l’adozione di nuove scelte organizza-tive, oltre che l’emanazione di adeguati provve-dimenti necessari per offrire adeguate risposte alle crescenti istanze sanitarie che la patologia diabetica porta con sé.

La Federazione Nazionale Diabete Giovanile è un’organizzazione di volontariato fondata nel 1981 che riunisce le associazioni di 13 regioni italiane. L’obiettivo che si pone è prevalentemente quello di migliorare le condizioni socio-sanitarie dei

bambini e dei giovani con diabete mellito di tipo I (controllare se si dice uno in lettere o 1 in numero ma non credo così:I). Un compito, questo, di grande rile-vanza poiché in Italia l’incidenza diabeto-logica è in crescente aumento, in particolare nei giovani al di sotto dei 15 anni.Nella foto, il momento della premiazione.

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Nella foto, il momento della premiazione.

icerca, outcome, misurazione, risparmio, investimento, digitale, cambiamento, cultura, salute, diritto: sono solo alcuni dei temi all’interno di questa intervista

con il Presidente di Farmindustria, in cui abbiamo cercato di avere una visione possibile del rapporto tra innovazione e sostenibilità all’interno del nostro Servizio Sanitario Nazionale.Ci offre spunti interessanti, perché non solo riesce a coniugare una lettura del passato e una visione del futuro in modo unitario e non ideologico, ma riesce anche a tratteggiare uno scenario possibile, concretamente fattibile, della convivenza e della coesistenza di innovazione e sostenibilità, ovvero il nostro obiettivo di dibattere e capire come rendere possibile tale coesistenza, perché sappiamo che senza innovazione non c’è risposta alle domande crescenti di salute e senza sostenibilità qualsiasi innovazione può far saltare il difficile equilibrio su cui si regge l’intero sistema di tutela della salute stessa.Lo scenario che viene tratteggiato è possibile ma, come in tutte le fasi di grande trasformazione, richiede una grande capacità di cambiamento, sia di conoscenza che di competenza. Abbiamo bisogno di paradigmi diversi e di diversi strumenti per governare tale trasformazione, perché non si tratta di un grande processo di “aggiustamento”, ma di un radicale “ridisegno” del sistema di welfare, probabilmente a partire da una rivisitazione dello stesso contenuto da assegnare al termine “diritto alla salute” così come alla modalità di correspon-sabilità a farvi fronte in un nuovo patto tra Stato e cittadini.Massimo Scaccabarozzi ci propone alcune riflessio-ni interessanti per iniziare un confronto nuovo sui concetti di innovazione e sostenibilità, proponen-do discontinuità rispetto ad una modalità, quella

attuale, che troviamo ormai francamente noiosa e superata.

Da dove nasce l’innovazione? L’innovazione va di pari passo con la ricerca e, in questi anni, la ricerca farmaceutica ha dimostrato di essere una ricerca profondamente innovativa. Tutti i farmaci, le biotecnologie arrivano dalle infor-mazioni straordinarie generate dalla ricerca farma-ceutica dalla scoperta del genoma in poi.L’innovazione è un concetto che deve essere ogget-tivo e oggettivabile: è un fattore che va certificato sulla base dei risultati che sono stati storicamente prodotti.L’innovazione farmaceutica è tale, quindi, non perché lo dicono le industrie del farmaco, ma lo è perché, per esempio, in dieci anni la mortalità si è ridotta mediamente del 23% grazie ai nuovi farmaci. In aree specifiche, quali il cardiovascolare e il respiratorio, si hanno percentuali di riduzione della mortalità superiori al 30%.I farmaci dell’HIV sono innovativi? Si può discutere, ma è oggettivo che trent’anni fa non c’era speranza per un malato di AIDS, mentre oggi, se paragono un malato di AIDS con un malato di diabete, il primo ha un’aspettativa di vita superiore al secondo.Gli esempi sono tantissimi e per ciascuno di essi non si può dire che non sia stata l’innovazione.

Quindi consideriamo tale l’innovazione solo se genera risultati?Il modo di fare ricerca nel mondo del farmaco, modo che è cambiato nel corso degli anni, ha dato un impulso all’innovazione che è straordina-rio. Un’innovazione che va misurata su criteri di outcome.A partire da questa considerazione, si può afferma-re che non solo ciò che è nuovo porta innovazione:

Presidente di FarmindustriaMassimo Scaccabarozzi

di Stefano Del Missier

Innovazione e sostenibilità

COLLOQUIO CON MASSIMO SCACCABAROZZI, PRESIDENTE DI FARMINDUSTRIA

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infatti, spesso sono innovativi anche alcuni farmaci più semplici (quindi: non genomica, non biotech, non terapia personalizzate/avanzate, non malattie rare), di sintesi chimica, come gli inibitori di pompa protonica.Come si fa a dire che non sono innovativi? Grazie a questi farmaci sono state chiuse unità di chirurgia.L’innovazione è tale se genera risultati apprezzabili e, per questo fatto stesso di produrre risultati, non può mai essere messa in discussione, associandola, per esempio, ad altri elementi quali la sostenibilità. Il farmaco è innova-tivo o meno sulla base dei risultati di salute che genera, sul beneficio arrecato al paziente, e non in base alla sostenibilità economica dello stesso. Una volta sancita la presenza dell’in-novazione, allora si parla di sosteni-bilità, di prezzi, etc.L’esempio più eclatante di quanto si va dicendo è dato sicuramente dai farmaci per l’epatite C. Oggi, con i nuovi farmaci, si guarisce dall’epatite C, mentre fino ad oggi non solo non si guariva, ma si spen-deva un miliardo per la cura dei malati di epatite C, per curare le cirrosi, i carcinomi, fare i trapian-ti; e vengono meno i soldi spesi per le pensioni di invalidità, perché i pazienti possono fare una vita normale, da persone sane.Oggi tutta questa spesa pubblica non c’è più perché sono disponibili e in circolazione i nuovi farmaci.

Qual è, in tutto questo, il ruolo delle tecno-logie dell’informazione? Ricerca e risultati sono stati resi possibili dalla capa-cità di rendere fruibili tutte le informazioni create nel corso degli anni, con un’accelerazione potente e una crescita esponenziale resa possibili dalla rivolu-zione digitale, che ha generato un potenziale infor-mativo come mai in passato, dando vita ad un vero e proprio “diluvio” di informazioni, per dirla con Pierre Levy. Questo diluvio ha creato uno tsunami positivo sulla ricerca: stanno arrivando 14.000 nuovi farmaci, di cui 7.000 in fase clinica. É un diluvio che va gestito: non c’è mente umana che possa gestire tale quantità di informazioni.Gli healthcare disrupter hanno ormai un ruolo universalmente riconosciuto nelle scienze mediche, nelle scienze della vita e lo avranno sempre di più in futuro. Sono anni che si parla di innovazione

in ambito medico tra ingegneri, fisici, matematici: non solo medici, chimici, biologi e farmacologi, che hanno competenze che va messa in relazione alla nuova tecnologia.

Non crede che ci sia bisogno di innovare anche nella politica sanitaria? In un mondo così affamato e produttore di innova-zione, circola ancora una certa dose di superficiali-tà nel produrre contenuti per una policy sanitaria

innovativa, così come continua ad esistere una dose di pregiudizio e strumentalizzazione nei confronti dell’industria del farmaco, sottopo-sta nel corso degli anni ad una serie di tagli significativi, a volte giustifi-cati, a volte gratuiti.C’è bisogno di una “buona” gover-nance più che di una “nuova” gover-nance, una governance che consen-ta la sostenibilità della tutela della salute dei cittadini italiani, di cui l’industria del farmaco è una parte.

Molte istituzioni hanno consapevolezza di tutto questo, ed è giunto il momento di cominciare alla salute in modo trasversale e non più “a silos”. Tenere separati la farmaceutica dall’ospedale, come la chirurgia dai device, è operazione senza senso, trattandosi di percorsi che vanno integrati.Governo e Ministro hanno capito bene questo concetto, dando spazio e ruolo alla programmazio-ne sanitaria.Si deve passare da qui, e attraverso la program-mazione capire cosa sta accadendo in termini di outcome sanitari: solo così si potranno allocare meglio le risorse, fossero le stesse stabili e non incrementali, allocandole dove producono maggiori outcome e togliendole dove non servono più.

Parliamo dunque di sostenibilità: dove si trovano le risorse? Buona analisi degli outcome, migliore allocazione delle risorse e decisione di investire per la salute sono le basi per una reale e duratura sostenibi-lità del sistema. Non è accettabile fare scelte di budget che non assecondino i risultati di salute del cittadino. Non ha quindi più ragione di esiste-re, per esempio, il tetto alla farmaceutica ospeda-liera: questo, nel tempo, distorce l’appropriatezza dei percorsi di cura. Non servono, quindi, risorse addizionali al sistema sanitario nel suo comples-

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so, anche se siamo il paese che spende meno, in percentuale sul PIL, sulla salute.L’industria del farmaco ha fatto la sua parte per la sostenibilità del sistema, e non solo tramite la messa a disposizione di un’innovazione che ha generato oggettivi risultati di salute.La buona governance non si fa aggiustando i tetti di spesa, aggiustando le proporzioni di payback: questi sono sistemi vecchi propri di mancanza di idee.Le istituzioni serie sono convinte di provare a fare qualcosa di nuovo, così come lo sono le industrie del farmaco, magari attraverso dei test pilota su alcune aree terapeutiche.

Non trova che la sostenibilità oggi sia messa a dura prova anche dalla globalizza-zione, con le grandi migrazioni che portano con sé problemi di salute e problemi di inte-grazione?Viviamo un mondo globale, in cui i sistemi sono interconnessi tra loro e spesso subiscono compor-tamenti non prevedibili e non facilmente governa-bili.Il fenomeno dell’immigrazione, ad esempio, fa riemergere di malattie “antiche” che pensavamo di aver debellato; così come il fenomeno della mobi-lità sanitaria sposta in modo sensibile gli equilibri economici e la stessa disponibilità o meno di un farmaco salvavita, in un mondo globale, porta le persone a muoversi alla ricerca della migliore rispo-sta alla propria domanda di salute.Siamo un paese straordinario e, di conseguenza, se l’AIFA approva un farmaco innovativo questo deve essere disponibile a tutti, a prescindere da dove si è residenti, e nello stesso tempo, evitando le dispo-nibilità chi a 50 chi a 500 giorni. Tempi all’interno dei quali non solo si guadagna vita, ma si guadagna anche il tempo per una ricerca che può portare ad ulteriore vita.Se non si affrontano i problemi nell’ottica della sostenibilità, l’insorgere di nuove/vecchie malattie, quali la peste o la malaria, a causa dei fenomeni globali cui stiamo assistendo, si genera una cultura del “tutti contro tutti” che non aiuta nessuno.Pensiamo, in questo, al tema dei vaccini, per le quali non ci siamo mai esposti all’interno di una puerile polemica: se fossimo veramente cinici, come tanti vogliono far credere, saremmo i primi No-Vax al mondo, dato che per ogni euro che lo Stato spende in vaccini ci sono 24 euro di cure non spese.

La sostenibilità non è anche difficile per via della crisi? Credo ci voglia un grande cambiamento: un cambiamento di persone, un cambiamento cultu-rale, un cambiamento di approccio dei problemi e della stessa realtà. Dobbiamo cambiare, allon-tanando un grave pregiudizio e vedere il male da tutte le parti: ci vuole un cambiamento innanzitutto nella testa delle persone, di modo che affrontino le problematiche cercando il positivo che il progresso propone. Anche perché il progresso non si ferma, avanza inesorabilmente.L’aderenza alla terapia può far fronte alla sostenibi-lità di costi straordinari del sistema: cosa facciamo per generare questo cambiamento nelle persone? Cosa facciamo per evitare i costi di ripetuti ricoveri ospedalieri, di esami diagnostici inutili?L’innovazione ci aiuta anche in questo. Per esempio: stiamo studiando la realizzazione di blister intelligenti, che mandano segnali ad alcune app che permettono ai medici di vedere se i pazien-ti assumono il farmaco; stiamo studiando terapie che, tramite un’iniezione, permettono di tenere il malato sotto controllo per 3-4 mesi in terapia; si stanno realizzando robot che potranno supportare le famiglie ed evitare i costi sociali del trattamento domiciliare.

Il SSN in Italia può quindi rimanere soste-nibile anche assorbendo quanto ci viene proposto dall’innovazione?Sono un cittadino italiano che guarda con positività al proprio paese, alle sue potenzialità e alla forza che può mettere in campo per superare le sfide di oggi e di domani, e dico che innovazione e sostenibilità sono due cardini del sistema sanitario, e sono imprescindi-bili. L’innovazione a cui si deve guardare non può che essere quella che genera outcome positivi di salute; la sostenibilità è possibile quando la misurazione degli outcome e la conseguente allocazione delle risorse si alimentano mutualmente all’interno di un circolo virtuoso. Continuare ad intervenire sui farmaci perché le altre voci di spesa sono costi fissi incomprimibili è sbagliato ed è frutto di una visione falsa, rigida, frutto di una incapacità di governare le sfide di oggi. L’innovazione sostenibile nel nostro sistema sanitario nasce innanzitutto nella mentalità delle persone, una mentalità che oggi ancora ci manca. E, come capita nelle aziende sane, se le persone non hanno il corag-gio o non sono adeguate al cambiamento necessario, si cambiano le persone.

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el disturbo dell’enu-resi notturna – così viene chiamata quella forma di incontinenza

urinaria che riguarda bambini e giovani in una fascia di età compresa tra i 5 e i 20 anni – se ne parla e se ne scrive fin dal 2500 a.C. ma, incredibile a dirsi, solo nel 1985 si è cominciato ad affrontare questo proble-ma in maniera scientifica e sistematica. Inoltre, solo dieci anni fa la ricerca ha cambiato in modo radicale le conoscen-ze, le modalità di contrasto e, in parte, anche i preconcetti che caratterizzavano questo disturbo.Secondo i più recenti studi di tipo epidemiologico, in Italia ne soffro-no un milione e duecento mila bambini e adolescenti nella fascia di età tra i 5 e i 14 anni (prima del compimento dei 5 anni di età non si può parlare di enuresi), senza

contare gli altri 700mila adulti che sono colpiti dallo stesso proble-ma in gran parte proprio perché, a suo tempo, non furono presi in

carico dai pediatri quando l’in-sorgenza del disturbo avrebbe potuto essere contrastata in modo efficace.

D

L’ importanza di superare la ri luttanza dei genitori a parlarne con i pediatri I l pericolo dell ’attendismo dei genitori e dell ’ inerzia nel contrastare i l disturbo Le iniziative di sensibil izzazione promosse dalla SIPPS

di Marcello Portesi

L’ENURESI NOTTURNA NEI BAMBINI, LA DIAGNOSI TEMPESTIVA È FONDAMENTALE

Pipì a letto, un disturboancora “sommerso”

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La necessità di arginare il dilaga-re di questo disturbo ha spinto la Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) a promuovere una serie di iniziative di informazione e sensibilizzazio-ne che sono state illustrate recen-temente nel corso di una confe-renza stampa tenutasi al Senato. Una occasione nella quale sono state anche messe in evidenza le ragioni alla base del fatto che «… quello dell’enuresi notturna è un disturbo ancora non adegua-tamente compreso e riconosciu-to – come ha dichiarato il Dott. Giuseppe Di Mauro, presidente della SIPPS – che, nonostante una diffusione elevata, è sottostima-to e sottotrattato: basti pensare

che ben due bambini su tre non vengono correttamente diagno-sticati e, di conseguenza, curati».Ma quali sono le ragioni di questo inadeguato contrasto all’enuresi, così da farlo apparire come un disturbo “sommerso” in tutti i sensi? Le cause sono molteplici. Anzitutto, una carenza di informa-zione dalla quale deriva spesso la mancata consapevolezza dei genitori che spesso sottovaluta-no il problema o, ancor peggio, tendono a non dichiararlo per un ingiustificato senso di vergogna o per il fatto di considerarlo errone-amente un disturbo di tipo psico-

logico, destinato a risolversi in maniera del tutto spontanea con il passare del tempo. Un atteggia-mento attendista, questo, dele-terio se si pensa che il mancato contrasto del disturbo in età pediatrica, oltre ad essere causa preminente, come si è già detto, di incontinenza urinaria, in età adulta può anche essere motivo di importanti disturbi della sfera sessuale. «Sono comportamenti preoccupanti questi dei genitori – ha dichiarato la Professoressa Maria Laura Chiozza, urologa pediatra del Dipartimento di Pediatria all’Università degli Studi di Padova – che trovano conferma in alcuni studi recenti secondo i quali risulta che il 60 per cento dei bambini con enuresi non viene sottoposto a visita pediatrica: un dato che, tradotto in cifre, vuol dire che oltre 700mila bambini in Italia non sono presi in carico per risolvere il loro problema; al contrario, contrastare il disturbo precocemente consentirebbe di superare il disagio e l’imbarazzo di chi ne soffre, perché si tratta

di un fenomeno che compromet-te seriamente l’autostima del bambino, oltre ad essere motivo di frustrazione in ambito familia-re».Naturalmente, insieme al ruolo delle famiglie centrale è anche quello del pediatra che, con un’ac-cresciuta sensibilità al fenomeno, dopo il compimento del quinto anno di età, alla prima occasio-ne di una visita o del cosiddetto bilancio di salute, con poche e semplici domande potrebbe e dovrebbe verificare se il bambino bagna il letto e, quindi, necessita di adeguati e urgenti interventi di tipo sanitario. Oggi, contra-riamente che in passato, con un approccio corretto è possibile risolvere l’enuresi. La cura è sia farmacologica, mirata a ridurre la produzione di urina e, in abbi-namento a opportuni esercizi, ad aumentare la capacità della vescica, sia comportamentale e, tutto questo, dovrebbe spingere familiari e pediatri ad agire con tempestività e in sinergia.Come si è detto, l’informazione

Alla scuola competerebbe un ruolo importante per creare nuove consapevolezze nelle famiglie e per trasferire informazioni

Un momento della conferenza stampa sull’enuresi notturna del bambino tenutasi recentemente in Senato.

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ENURESI: diagnosi, forme e gestioneL’enuresi notturna può essere monosinto-matica e non monosintomatica, quando cioè è legata a una vescica iperattiva, all’in-continenza, all’urgenza impellente e alla diff coltà a emettere o trattenere l’urina. Per prevalenza, rappresenta il secondo problema sanitario in età pediatrica.Le cause possono essere numero-se: dalla predisposizione familiare alla ridotta produzione dell’ormone antidiu-retico di notte, alla diff coltà di control-lo della contrazione della vescica, che tende a svuotarsi in modo automatico. Erroneamente, però, l’82 per cento dei genitori ritiene che il sonno profondo o la pigrizia siano le maggiori cause dell’enure-si nei propri bambini.Il disturbo produce serie ripercussioni sul piano psicologico, riducendo il grado di autostima del bambino in modo molto più incisivo di altre malattie croniche invali-danti e limitando pesantemente la cresci-ta identitaria e le autonomie.Per affrontare l’enuresi l’approccio si può semplif care in tre fasi:

1. togliere innanzitutto al bambino ogni senso di colpa;

2. spiegare che si tratta di una condizione frequente;

3. esprimere comprensione nei confronti del disagio del bambino parlandone al più presto con il pediatra.

La valutazione del bambino con enuresi notturna nell’ambulatorio del pedia-tra prevede la raccolta di un’anamne-si completa e l’esame obiettivo e rapida serie di domande di screening potrebbe concorrere a inquadrare con precisione la maggior parte dei bambini affetti, carat-terizzandone la tipologia e orientando il successivo trattamento. L’enuresi monosintomatica e, in generale, i casi non complicati devono essere trattati sul territorio, ossia dal pediatra di famiglia, senza banalizzarla ma, al tempo stesso, evitando di drammatizzarla e considerarla un problema cronico e privo di soluzione. In altri termini, soltanto i casi complessi dovrebbero giungere all’attenzione dello specialista (urologo pediatra).

in questa materia è centrale per creare consapevolezza e la SIPPS guarda con attenzione al mondo della scuola come uno dei canali privilegiati mediante i quali è possibile parlare ai bambini e soprattutto ai loro familiari. Allo scopo ha realizzato un opuscolo informativo che sarà distribuito, oltre che negli studi pediatrici, nell’ambito di alcuni progetti-pilo-

ta che si appresta a varare inizial-mente in contesti scolastici più circoscritti e, successivamente, si spera, su scala più ampia. Ma le attività di informazione si stanno concretizzando anche in altre forme, come nell’organizzazione di momenti pubblici di confronto realizzati in collaborazione con organi di informazione ad alta diffusione locale, come recente-

mente avvenuto a Bologna dove, in partnership con il Resto del Carlino e con il patrocinio dell’am-ministrazione comunale, è stata organizzata una tavola rotonda aperta ai cittadini sul tema “L’enuresi notturna nel bambino: non dormiamoci sopra”. Un titolo che suona giustamente come un appello.

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COLPISCONO OGNI ANNO 3MILA ITALIANI OVER 70

Le sindromi mielodisplastiche:l’Italia in primo pianoper contrastarle

a sindrome mielodispla-stica è una patologia rara ma in preoccupante crescita. Si tratta di una

malattia causata dall’alterazione delle cellule staminali del midollo osseo, dalla quale deriva una carenza di globuli rossi, bianchi e/o piastrine e che, in alcuni casi, può evolvere in leucemia mieloi-de acuta.

“Le manifestazioni più rilevan-ti che caratterizzano l’esordio della malattia - spiega il Prof. Matteo Della Porta, professore di ematologia presso Humanitas University e Humanitas Cancer Center di Milano – sono l’ane-mia, la piastrinopenia, che causa emorragie e le ricorrenti infezio-

ni dovute alla neutropenia, che provoca un abbassamento delle difese immunitarie”.Come ha sottolineato l’ematolo-go, fondamentale è la possibilità per i pazienti di accedere in tempi brevi ad una diagnosi accurata: “Non tutti ricevono un adeguato inquadramento diagnostico ed una caratterizzazione certa della malattia e, per quanto riguarda le terapie, le strategie dipendo-no dalle caratteristiche di ogni paziente”.

Della malattia e delle sue compli-canze, se ne è parlato lo scorso 25 ottobre presso l’Istituto Superiore di Sanità che, in occasione della Giornata Mondiale della consapevolezza sulle Sindromi

Mileodisplastiche, ha ospitato un primo, importante incontro tra esperti, pazienti e rappresentanti delle istituzioni. Un momento di informazione e confronto orga-nizzato, grazie alla collaborazione e al contributo non condizionato di Celgene, dall’ AIPaSIM Onlus l’ Associazione Italiana dei Pazienti con Sindrome Mielodisplastica, riferimento nel nostro Paese della MDS-Alliance, l’organismo internazionale che ha lo scopo di operare come sostegno e riferi-mento per i pazienti colpiti dalla malattia: persone vittime spesso della solitudine, non sempre in grado di affrontare i problemi generati dalla malattia, bisogno-se di consigli e informazioni sulle nuove cure. ”Proprio per rispon-

L

Una rete europea per lo scambio delle informazioni sulle best practice I l problema delle diagnosi troppo spesso tardive I l r ischio che la

malattia possa evolvere in leucemia acuta Nuove armi per ral lentare l ’evoluzione della malattia I l ruolo di AIPaSIM come riferimento e sostegno per i pazienti

di Francesca Portesi

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dere a queste istanze santarie AIPaSIM è stata costituita da poco più di un anno - ha sottolineato l’Avv. Paolo Pasini, presidente dell’associazione - anche nella certezza che lo scambio di espe-rienze per una migliore gestione della patologia e per contenerne l’impatto nella vita quotidiana è fondamentale perché ci aiuta a non sentirci soli”.

Nel corso dei lavori del conve-gno è stato messo in evidenza il segnale positivo e incoraggiante emerso negli ultimi mesi, grazie

a l l ’ agg iornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), secondo i quali, oggi, le mielodisplasie sono riconosciute fra le malattie rare esenti da ticket.

Di rilievo è il ruolo che l’Italia sta giocando sul fonte scientifico per contrastare la patolo-gia collaborando con l’ European Reference Networks (ERN): un’en-tità creata dalla Commissione Europea per la gestione e il coor-dinamento delle cure nell’ambito dell’UE per le malattie rare.“In questo ambito la struttura di riferimento è EuroBloodNet, a fortissima componente italiana - come sottolinea con soddisfa-zione sempre il Prof. Della Porta

- del quale alcuni istituti italiani, come l’Humanitas, sono stati i soci fondatori. Si tratta di una rete diagnostica e assistenziale molto capillare sul territorio europeo, in grado di offrire ai pazienti con malattie ematologiche rare degli standard di diagnosi e cura adeguati alle esigenze specifiche dei pazienti”.

Il ruolo di AIPaSIM come riferimento e sostegno per i pazienti

Convegno all’Istituto Superiore di Sanità: nella foto Enrica Morra, Coordinatore Scientifico della Rete Ematologica della Regione Lombardia, Maria Rita Montebelli, giornalista medico scientifica e l’Avvocato Paolo Pasini, Presidente di AIPaSiM Onlus.

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Veneto

ASSESSORE COLETTO

SCRIVE AL MINISTRO SUI

CRITERI PER DEFINIZIONE

BENCHMARK

L’assessore alla Sanità del Vene-

to, Luca Coletto, ha inviato una

circostanziata missiva al ministro

della Salute, Beatrice Lorenzin, e

al Coordinamento degli assessori

alla Sanità delle Regioni italiane,

contenente numerose osserva-

zioni e critiche ai criteri utilizzati

per individuare “le cinque Regio-

ni nel cui ambito scegliere le tre

Regioni di riferimento ai fini della

definizione dei costi e dei fabbi-

sogni standard regionali”.

Nella lettera, Coletto pone l’ac-

cento sulle modalità di applica-

zione della delibera del Consiglio

dei Ministri dell’11 dicembre

2012 per la formulazione della

graduatoria ma anche sulle scel-

te metodologiche e le modalità

di calcolo dei ricoveri e sulla ne-

cessità di un aggiornamento degli

indicatori utilizzati per la formu-

lazione di una graduatoria, “che

non danno atto dello sforzo orga-

nizzativo attuato negli ultimi anni

dalle Regioni”.

In questo contesto, la Regione

Veneto chiede anche che per

la definizione della graduatoria

delle Regioni vengano utilizzati i

dati relativi al 2015 (ultimo anno

disponibile) e non precedenti e

definisce non rimandabile un ag-

giornamento della delibera del

Consiglio dei Ministri che ormai

risale a cinque anni fa.

Um

bria

AVVIATO PERCORSO

CHE PORTERÀ AL PIANO

SANITARIO 2018-2020

La Regione Umbria ha avviato

il percorso che porterà alla ste-

sura del Piano sanitario 2018-

2020: “Sarà un piano sanitario

non calato dall’alto, ma condiviso

attraverso un confronto diretto

con la comunità e che risponda

ai criteri di universalità, equità,

accessibilità e qualità, con un oc-

chio attento all’innovazione” – ha

assicurato l’assessore alla Salute,

Coesione sociale e Welfare, Luca

Barberini. Alla stesura del Piano

parteciperanno operatori sanita-

ri, rappresentanti del mondo del

volontariato, delle organizzazio-

ni sindacali, del Forum del Terzo

Settore, di associazioni di utenti,

pazienti e dei loro familiari, di-

pendenti delle Asl e rappresen-

tanti delle istituzioni.

“La vera sfida culturale che dob-

biamo affrontare – ha aggiunto

Barberini – è quella dell’innova-

zione. Penso, in particolare, al

potenziamento dello screening

per le diagnosi precoci per il qua-

le la Regione Umbria ha investito

tanto e continuerà ad investire,

evitando accertamenti inutili con

un notevole risparmio di risorse”.

Tra gli obiettivi del nuovo Piano

per l’assessore c’è anche la ridu-

zione dei tempi d’attesa per le

prestazioni e, “in particolare per

i soggetti con grandi fragilità,

come anziani, bambini, pazienti

oncologici, l’obiettivo è garantire

le prestazioni senza affrontare

eccessive distanze, quindi grazie

alla realizzazione di una sanità di

prossimità. Infine, occorre dare

risposte più efficaci alla cronicità

che oggi assorbe il 70 per cento

delle risorse del Fondo sanitario

nazionale. Tutto ciò, ed è qui l’al-

tra novità, si potrà realizzare an-

che con una stretta sinergia con

quanto previsto dal Piano regio-

nale per la prevenzione e dal Pia-

no sociale regionale già approvati

PILLOLE REGIONALI A cura di Daniele Pallotta

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Abruzzo

BOLLINO ROSA DI SALUTE

DONNA PER OTTO OSPEDALI

L’Osservatorio nazionale Salute

Donna ha assegnato il “Bollino

Rosa” agli ospedali di Chieti, Pe-

scara, L’Aquila, Teramo, Lancia-

no, Ortona, Sant’Omero e alla

Casa di cura privata Di Lorenzo di

Avezzano. Il riconoscimento va a

quei presidi particolarmente at-

tenti all’offerta di servizi dedicati

alla prevenzione, alla diagnosi e

alla cura delle principali malattie

femminili. Sono 306 le strutture

ospedaliere italiane premiate.

Un’apposita commissione multi-

disciplinare, presieduta da Wal-

ter Ricciardi, presidente dell’I-

stituto Superiore di Sanità, ha

validato i bollini conseguiti dagli

ospedali nella candidatura consi-

derando gli elementi qualitativi di

particolare rilevanza e il risultato

ottenuto nelle diverse aree spe-

cialistiche presentate. Tre i criteri

di valutazione con cui sono stati

giudicati gli ospedali candidati:

la presenza di aree specialistiche

di maggior rilievo clinico ed epi-

demiologico per la popolazione

femminile, l’appropriatezza dei

percorsi diagnostico-terapeutici

e l’offerta di servizi rivolti all’ac-

coglienza e alla presa in carico

della paziente, come la telemedi-

cina, la mediazione culturale, l’as-

sistenza sociale.

Lo

mbardia

ETEROLOGA, LA REGIONE

SI MUOVE D’ANTICIPO

La regione Lombardia ha deciso di

muoversi d’anticipo senza aspet-

tare i decreti ministeriali che defi-

niranno le tariffe delle prestazioni

collegate alla fecondazione ete-

rologa: “Dato che questi ancora

non sono stati ancora emessi - ha

spiegato l’assessore al Welfare,

Giulio Gallera - abbiamo pensato

di portare in Giunta la delibera

regionale che lo consentirà. Per il

momento applicheremo la tariffa

unica convenzionale approvata

dalla Conferenza delle Regioni e

delle Province autonome”.

Le tariffe saranno le seguenti: fe-

condazione eterologa con seme

da donatore con inseminazione

intrauterina 1.500 euro (com-

presi 500 euro per i farmaci); fe-

condazione eterologa con seme

da donatore in vitro 3.500 euro

(compresi 500 euro per i farma-

ci); fecondazione eterologa con

ovociti da donatrice: 4.000 euro

(compresi 500 euro per i farmaci).

Sardegna

DELOGU ALLA DIREZIONE

SANITARIA DELL’AZIENDA

PER L’EMERGENZA URGENZA

Piero Delogu, 59 anni, attualmen-

te responsabile della centrale

operativa del “118” del Nord Sar-

degna è stato nominato diretto-

re sanitario dell’Areus, l’Azienda

per l’emergenza urgenza che è

diretta da Giorgio Lenzotti. Il su-

per manager ha anche nominato

Piero Delogu direttore sanitario.

Della direzione Amministrativa

si occuperà, infine, Angelo Maria

Serusi, attuale responsabile della

programmazione e controllo di

gestione della Assl di Nuoro e, ad

interim, del Servizio affari gene-

rali e comunicazione della Assl di

Sassari e della Direzione dell’Ats.

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onte

SALDO NEGATIVO PER LA

MOBILITÀ MA C’È UNA

SPERANZA

“Come coordinatore della Com-

missione salute della Conferen-

za delle Regioni sto lavorando a

un’intesa nazionale che stabilisca,

in ogni regione italiana, un tetto

al budget del privato che, è noto,

specie in alcune realtà svolge una

forte azione di aggressività sulle

attività a bassa complessità.

Al contrario, nei recenti accordi

stipulati con il privato accredi-

tato piemontese, abbiamo rico-

nosciuto una quota premiale per

l’erogazione delle prestazioni a

maggiore mobilità passiva”.

Lo ha sottolineato l’assessore

regionale alla Sanità del Piemon-

te, Antonio Saitta, presentando i

dati della mobilità interregionale

relativi agli anni 2014 e 2015 che

confermano il saldo negativo fra

mobilità attiva e mobilità passiva.

“Ricordo però che come Giun-

ta regionale abbiamo ereditato

una situazione che vedeva fin dal

2010 il blocco delle assunzioni, la

diminuzione di medici, infermieri

e Oss e la contrazione del volume

dell’attività sanitaria, proprio a

causa del piano di rientro da cui

siamo usciti a marzo del 2017.

Soltanto a partire dalla seconda

metà del 2016 la Regione ha po-

tuto riprendere ad assumere per

sostituire il personale andato in

pensione e solamente in quest’ul-

timo periodo, inoltre, abbiamo

potuto riprendere gli investimen-

ti sulle nostre strutture ospeda-

liere. Gli effetti di queste misure,

dunque, si potranno vedere a par-

tire dal prossimo anno, con parti-

colare riferimento alle aziende

sanitarie di Alessandria e Novara

che nel 2017 hanno investito in

tecnologie e qualità dei servizi

per la cura delle patologie dove

si registra la maggiore mobilità. I

direttori generali delle due Asl in

questione hanno rilevato come in

questi ultimi mesi ci sia già stata

una prima riduzione della mobili-

tà passiva”.

Lazio

ZINGARETTI

ANNUNCIA USCITA DAL

COMMISSARIAMENTO

E PROROGA DI UN ANNO

I CONTRATTI A TEMPO

Il Commissario ad acta alla Sanità

della Regione Lazio, Nicola Zinga-

retti, facendo ricorso a un proprio

decreto ha deciso di prorogare

al 31 dicembre 2018 i contratti

a termine in scadenza alla fine

dell’anno in corso per il personale

in servizio nel sistema sanitario

regionale. Attualmente sono in

svolgimento 271 concorsi in quo-

ta al processo di stabilizzazione

per 1.400 figure professionali

precarie. Si tratta della più gran-

de operazione di stabilizzazione

mai fatta per eliminare il lavoro

precario nella sanità del Lazio.

Zingaretti ha annunciato conti

a posto e “fine del commissaria-

mento”. Lo ha fatto con un post

su Twitter scrivendo: “Una data

storica per i nostri concittadini,

dopo quasi 10 anni la sanità del

#Lazio si avvia alla fine del com-

missariamento straordinario da

parte del Governo”. Zingaretti ha

poi fatto seguire il post da una de-

dica: “Dedichiamo questo risul-

tato in primo luogo ai lavoratori

della sanità pubblica e privata del

Lazio, ai malati, a chi ha sofferto

la tragedia dei dieci anni di com-

missariamento. Poi lo dedichiamo

all’Italia perché avere la seconda

Regione italiana per Pil con i conti

in rosso era un problema non solo

regionale ma anche nazionale”.

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Marc

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PROTOCOLLO CONTRO

LA VIOLENZA DI GENERE,

FIRMANO TUTTI

Risposta corale per dire “no” alla

violenza di genere. È quella che

è arrivata da ben 65 enti istitu-

zionali marchigiani alla richiesta

di ratifica del protocollo d’intesa

presentato dall’assessora alle

Pari opportunità, Manuela Bora,

in qualità di presidente del Forum

permanente contro le molestie e

le violenza di genere. A metterci

firma e faccia i rappresentanti di

Anci, Uncem, Comuni capofila

degli Ambiti territoriali sociali,

Preture, Procura Generale del-

la Repubblica, Corte di appello

delle Marche e Magistrature,

Carabinieri, Polizia di Stato, Asur

Marche, Ufficio scolastico regio-

nale, organizzazioni sindacali e

datoriali, Commissione regionale

pari opportunità, Ombudsman

Marche, Corecom Marche, Col-

legio degli infermieri e gli Ordine

dei medici, degli psicologi, degli

assistenti sociali, degli avvocati,

dei giornalisti. Un progetto che,

per la prima volta, individua una

governance regionale nelle azio-

ni di contrasto al fenomeno, allo

scopo di creare un sistema arti-

colato di interventi, equilibrato

e omogeneo sul territorio, e che

attribuisce agli Ambiti sociali la

responsabilità della gestione ter-

ritoriale.

Con la firma del protocollo i sog-

getti istituzionali si impegnano a

cooperare per contrastare la vio-

lenza di genere, aiutare le vittime,

promuovere la prevenzione, mo-

nitorare il fenomeno, realizzare

campagne di informazione e sen-

sibilizzazione attraverso i media

e i social media. L’intesa rafforza

le attività della Rete antiviolenza

delle Marche che opera attraver-

so articolazioni regionali e terri-

toriali.

Il Rapporto annuale sul fenome-

no della violenza di genere nel-

la regione Marche, curato dalla

Giunta regionale, nel 2016 ha vi-

sto 417 donne rivolgersi ai cinque

Centri antiviolenza marchigiani.

Si stima che siano solo il 10% del-

le vittime: quelle che hanno avuto

il coraggio di segnalare la propria

situazione per chieder un aiuto.

Obiettivo è far emergere, anche

grazie a questa iniziativa, il dolo-

roso sommerso.

Puglia

UN NUOVO OSPEDALE

PER IL SUD DEL SALENTO

Attivate dalla Regione Puglia

tutte le procedure amministra-

tive relative alla realizzazione di

un nuovo ospedale a servizio del

sud Salento. Per la localizzazione

dello stesso è stata scelta un’area

al confine dei Comuni di Maglie e

Melpignano. “A breve - spiegano

dall’assessorato alla Sanità - si

darà avvio ad analogo procedi-

mento relativo all’ospedale di

Andria”.

“La rete ospedaliera regionale

comincia a delinearsi in manie-

ra chiara e distinta. Il percorso

avviato con l’approvazione del

piano di riordino trova nella pro-

grammazione ed attuazione della

nuova rete ospedaliera il suo na-

turale completamento e confer-

ma l’obiettivo di dotare la Puglia

di infrastrutture moderne” - ha

dichiarato il presidente della Re-

gione, Michele Emiliano.

Bolza

no

CURE PALLIATIVE,

SI VA INCONTRO

ANCHE AI MINORI

Cinque alloggi in grado di ospi-

tare i pazienti e le loro famiglie,

oltre a locali per fisioterapia, psi-

coterapia e altre attività tra cui

la ginnastica, la danzaterapia, ma

anche la preghiera e la medita-

zione. Poi una piscina e un’area

all’aperto dove ospitare pure

alcuni animali utili non solo per

attività ricreative, ma anche tera-

peutiche. Questa la nuova edilizia

pensata per venire incontro ai mi-

nori che seguono percorsi di cure

palliative approvata dalla provin-

cia autonoma di Bolzano che ha

previsto day-hospital dedicati a

bambini e ragazzi.

Il settore delle cure palliative è un

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settore che riguarda non solo an-

ziani e adulti, ma anche bambini e

ragazzi. L’area dove sorgerà il mini

complesso è ancora da individua-

re, i costi stimati ammontano a

poco meno di 5,2 milioni di euro,

ma fin d’ora non si esclude la pos-

sibilità di utilizzare un edificio già

esistente per ridurre proprio i

costi.

Lo

mbardia

FONDO REGIONALE PER

AMPLIARE L’ESENZIONE

DEL SUPERTICKET

La Regione Lombardia, già nella

passata legge di bilancio, aveva

dimezzato i superticket, por-

tando da 30 a 15 euro la somma

massima che i pazienti avrebbe-

ro dovuto pagare su alcune. Poi,

però, c’era stato l’intervento del

Governo che aveva impugnato e

bloccato il provvedimento, mal-

grado la Regione avesse i conti

in ordine per sostenere appieno

questa operazione. Adesso ci ri-

prova: “Torniamo a mettere al

centro della discussione politi-

ca il tema della diminuzione dei

superticket – spiega l’assessore

all’Economia, alla Crescita e alla

Semplificazione, Massimo Gara-

vaglia, che sottolinea - Su questa

partita come Regione abbiamo

deciso di mettere a bilancio un

fondo significativo di circa 60 mi-

lioni di euro, che è la stessa cifra

del Governo nazionale”.Em

ilia-Romagna

SCAMBIO

DELLE PRESTAZIONI

CON SAN MARINO

Semaforo verde allo scambio di

prestazioni sanitarie, ambulato-

riali e di ricovero tra l’Emilia-Ro-

magna e la Repubblica di San

Marino. Questo l’obiettivo del

Protocollo operativo siglato nella

sede di palazzo Begni, a San Ma-

rino, dal presidente della Regione

Emilia - Romagna, Stefano Bonac-

cini, e dal segretario di Stato alla

Sanità della Repubblica di San

Marino, Franco Santi. L’intesa,

che avrà durata quinquennale, ma

che sarà rinnovabile ovviamente,

consentirà lo scambio e la forni-

tura di prestazioni per garantire

un sistema integrato di servizi in

molteplici ambiti tra cui ricoveri,

visite e prestazioni ambulatoriali,

attività amministrative, iniziative

sulla sicurezza alimentare, razio-

nalizzazione della spesa, forma-

zione del personale.

Piem

onte

PIEMONTE

CASE DELLA SALUTE,

IL PIANO REGIONALE

VA AVANTI

Trenta strutture a Torino e pro-

vincia, 11 nelle due Asl del Cune-

ese, 7 a Novara, 6 per ognuna del-

le Asl di Asti, Alessandria, Biella e

nella provincia del Verbano - Cu-

sio - Ossola, 5 in quella di Vercel-

li. La costruzione della rete delle

Case della Salute piemontesi va

avanti e si amplia ulteriormente:

sono in tutto 77 i centri previsti

dal Piano della Giunta regiona-

le, attivati o potenziati nel corso

degli ultimi mesi o da realizzare

nel 2018. Il Piano, varato alla fine

dello scorso anno, ha già portato

nel 2017 all’apertura di 44 Case

della Salute in tutto il Piemonte,

31 di queste attraverso il poten-

ziamento o la riconversione di

strutture esistenti, 13 con l’atti-

vazione di nuove realtà.

“Incomincia a prendere corpo

il progetto di creare una rete di

punti di riferimento fuori dagli

ospedali per i malati cronici, i

pazienti non gravi, i cittadini che

hanno necessità di una prestazio-

ne sanitaria o assistenziale che

non richiede l’accesso al pronto

soccorso” spiega l’assessore re-

gionale alla Sanità, Antonio Sait-

ta. “Entro il 2018 - precisa - riu-

sciremo ad aprire altre 33 nuove

strutture, fra 13 potenziamenti e

riconversioni e 20 nuove attiva-

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zioni”. Alla fine di marzo l’asses-

sorato regionale alla Sanità effet-

tuerà un primo monitoraggio dei

risultati ottenuti.

Friul

i Venezia Giulia

NUMERO DEI DONATORI

DA RECORD

I friulani sono secondi in Italia per

numero di donatori in rapporto

al numero di abitanti. È quanto

emerso in occasione della Giorna-

ta della riconoscenza, organizza-

ta dall’Associazione donatori or-

gani - Fvg (Ado), in collaborazione

con il Centro regionale trapianti e

la Prefettura di Udine. Ben 300 i

donatori effettivi dell’anno 2016,

che con il loro “sì” hanno accon-

sentito a dare speranza ad altre

vite. La percentuale di donazioni,

56,5 per milione di abitanti, pone

la regione del Friuli Venezia Giu-

lia ai vertici nazionali e interna-

zionali per generosità. Nel 2016

sono stati registrati 109 trapianti

di organi (rene, fegato e cuore)

e 130 di cornea; il solo centro

trapianti di cornea dell’ospedale

Santa Maria degli Angeli di Por-

denone chiuderà il 2017 con ol-

tre 80 interventi. La Regione si

distingue anche per avere già un

centinaio di Comuni che rilascia-

no la carta d’identità elettronica,

inclusiva dell’espressione di vo-

lontà a donare.

Calabria

ANCHE I SINDACI AL FIANCO

DEL PRESIDENTE OLIVERIO

Molti i sindaci calabresi, un cen-

tinaio in tutto, che hanno deciso

di sostenere il presidente della

Regione, Mario Oliverio, e le ra-

gioni della sanità regionale in un

incontro con il ministro della Sa-

lute, Beatrice Lorezin, nel corso

del quale il governatore ha chie-

sto due cose: la rinegoziazione

del Piano di rientro del debito

sanitario e la fine del commissa-

riamento. “Un sfida - queste le

parole di Oliverio - da far tremare

le vene ai polsi”. Unanime il coro

degli amministratori locali, con in

testa il presidente dell’Anci Ca-

labria, i presidenti di Provincia, i

rappresentanti degli Ordini pro-

fessionali di medici, infermieri e

farmacisti: “Siamo tutti con te

presidente, come sindaci e come

cittadini, senza differenziazione

di appartenenza politica, chiama-

ti a badare alla salute dei calabre-

si stanchi di partire con le valigie

piene di cartelle sanitarie, stan-

chi di una sanità commissariata,

chiusa a riccio che non vuole co-

noscere la realtà che vive quoti-

dianamente la gente di Calabria.

La sanità va discussa con chi è al

fianco degli ammalati e della po-

polazione”.

Marc

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PIÙ POSTI LETTO PER ACUTI

E POST ACUTI NELLA RETE

OSPEDALIERA

Le Marche potenziano la rete

ospedaliera marchigiana aumen-

tando di 140 i posti letto per acuti

e post acuti. Si passa così dal 3,61

posti letto ogni mille abitanti a

3,70 che è il massimo previsto

dalla normativa. La quota è stata

implementata fino a raggiungere

il numero massimo stabilito dal

livello nazionale per l’utilizzo ot-

timale della rete ospedaliera tra-

mite sinergie che consentano di

implementare i percorsi diagno-

stico-terapeutico-assistenziali,

economie di scala, efficienza ed

appropriatezza dei ricoveri, e re-

cuperare la mobilità passiva.

“Continuiamo ad investire per la

salute dei cittadini - ha commen-

tato il presidente della Regione,

Luca Ceriscioli, sottolineando –

L’ultima revisione dei posti letto

era del 2013. Questo è un parame-

tro che deve essere assolutamente

rispettato per la garanzia degli

standard assistenziali ottimali”.

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2017

5numero