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1 Capitolo I Disturbi di personalità e il corpo traumatizzato tra sé e altro L’intersoggettività è dunque più di un incontro o una comunicazione di cognizioni esplicite. Il campo intersoggettivo co-costruito da due individui include non solo due menti ma due corpi (Schore, 2012, p. 40, trad. mia) Il corpo è per il soggetto il primo tramite essenziale nella relazione Sé-altro. Per Joyce McDougall è il primo “altro” (1982). Nel disturbo di personalità l’asse Sé-altro è quello più problematico, determinando quella che Otto Kernberg chiama la diffusione di identità, primo elemento per fare diagnosi di organizzazione borderline di personalità (Kernberg 1975), asse che oggi viene riconosciuto dalla sezione III del DSM-5. Leggeremo il disturbo di personalità attraverso gli effetti sul corpo, attraverso i vari ambiti della sessualità e della identità di genere, del disturbo alimentare, dell’autolesioni smo fino alla suicidalità (FIGURA 1.1) come attacco a un Sé corporeo (rappresentazione di un Sé negativo internalizzato) che racchiude un oggetto cattivo o un aggressore o persecutore interno (Kernberg 1965; Fonagy e Bateman 2002; Mucci 2014, 2016, 2017a e b; Gazzillo 2013), fino ad accennare agli attraversamenti psicosomatici “tra corpo e mente”, a cui vari autori, da Kernberg (1967) a Green (1991) a Krystal (1997) alla McDougall (1992), alludono all’interno della sintomatologia dei disturbi di personalità. Il corpo, inoltre, sarà visto come il depositario di una rete di trasmissioni intergenerazionali responsabile spesso di innesti traumatici in questi soggetti, a livello di trauma relazionale infantile, (cioè cattiva sintonizzazione tra madre-bambino, nella descrizione di Allan Schore, (Schore, 1997, 2003a e 2003b), a cui mi riferisco come “primo livello di traumatizzazione” per mano umana; oppure di un secondo livello di traumatizzazione (Mucci, 2013, 2014) dovuto a maltrattamento, abuso, incesto e neglect, ovvero grave trascuratezza, quello che ho chiamato secondo livello di traumatizzazione per mano umana, oppure a livello di trauma come evento unico violento (stupro, tortura, tentato omicidio, strage ecc.). Escluderei da questo ambito (di eziopatogenesi per i disturbi di personalità) i traumi sociali massivi, come eccidio, sterminio, genocidio, e così via, traumi sociali che riguardano intere popolazioni, di cui mi sono occupata nei libri precedenti, (Mucci, 2008, Mucci, 2013, 2014), perché non è questo tipo di traumatizzazione, gravissima e talvolta cumulativa verso i disturbi di

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Capitolo I

Disturbi di personalità e il corpo traumatizzato tra sé e altro

L’intersoggettività è dunque più di un incontro o una comunicazione di cognizioni esplicite.

Il campo intersoggettivo co-costruito da due individui include non solo due menti ma due

corpi (Schore, 2012, p. 40, trad. mia)

Il corpo è per il soggetto il primo tramite essenziale nella relazione Sé-altro. Per Joyce McDougall è

il primo “altro” (1982). Nel disturbo di personalità l’asse Sé-altro è quello più problematico,

determinando quella che Otto Kernberg chiama la diffusione di identità, primo elemento per fare

diagnosi di organizzazione borderline di personalità (Kernberg 1975), asse che oggi viene

riconosciuto dalla sezione III del DSM-5.

Leggeremo il disturbo di personalità attraverso gli effetti sul corpo, attraverso i vari ambiti della

sessualità e della identità di genere, del disturbo alimentare, dell’autolesionismo fino alla suicidalità

(FIGURA 1.1) come attacco a un Sé corporeo (rappresentazione di un Sé negativo internalizzato)

che racchiude un oggetto cattivo o un aggressore o persecutore interno (Kernberg 1965; Fonagy e

Bateman 2002; Mucci 2014, 2016, 2017a e b; Gazzillo 2013), fino ad accennare agli

attraversamenti psicosomatici “tra corpo e mente”, a cui vari autori, da Kernberg (1967) a Green

(1991) a Krystal (1997) alla McDougall (1992), alludono all’interno della sintomatologia dei

disturbi di personalità.

Il corpo, inoltre, sarà visto come il depositario di una rete di trasmissioni intergenerazionali

responsabile spesso di innesti traumatici in questi soggetti, a livello di trauma relazionale infantile,

(cioè cattiva sintonizzazione tra madre-bambino, nella descrizione di Allan Schore, (Schore, 1997,

2003a e 2003b), a cui mi riferisco come “primo livello di traumatizzazione” per mano umana;

oppure di un secondo livello di traumatizzazione (Mucci, 2013, 2014) dovuto a maltrattamento,

abuso, incesto e neglect, ovvero grave trascuratezza, quello che ho chiamato secondo livello di

traumatizzazione per mano umana, oppure a livello di trauma come evento unico violento (stupro,

tortura, tentato omicidio, strage ecc.).

Escluderei da questo ambito (di eziopatogenesi per i disturbi di personalità) i traumi sociali

massivi, come eccidio, sterminio, genocidio, e così via, traumi sociali che riguardano intere

popolazioni, di cui mi sono occupata nei libri precedenti, (Mucci, 2008, Mucci, 2013, 2014), perché

non è questo tipo di traumatizzazione, gravissima e talvolta cumulativa verso i disturbi di

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personalità, che definisce la eziopatogenesi del disturbo di personalità, che è legata allo sviluppo

primario del bambino e si manifesta negli anni e a seguito di protratte esperienze di

traumatizzazione primaria (cioè con i caregiver). Nel caso delle traumatizzazioni massive, è

piuttosto nella seconda generazione o nella terza, a mio parere e per quanto posso dedurre dalla mia

esperienza clinica, che si verificano meccanismi trasmissionali tali e distorsioni ripetute e continuate

nella relazione coi genitori, cosicché il disturbo di personalità può formarsi, dovuto, in questi casi,

alla difficoltà che i gravi traumatizzati di prima generazione avrebbero nell'accudimento dei piccoli

(nei casi in cui nella prima generazione vi siano patologie, quindi ritengo questa affermazione non

generalizzabile); varie ricerche hanno mostrato infatti che la seconda generazione non avrebbe

necessariamente difficoltà e patologie, ovvero questo discorso vale solo per i casi clinici che

abbiamo verificato e in cui la patologia si riscontra, cioè non è una questione deterministica, come

la resilienza, con i suoi misteri epigenetici, ci dimostra ripetutamente.

Va ribadito, quindi, che episodi singoli di violenza (come lo stupro ad esempio) o traumi

sociali massivi non sono responsabili di quelle manifestazioni psicopatologiche che chiamiamo

disturbi di personalità, ma possono avere solo un valore cumulativo. Inoltre, queste traumatizzazioni

da mano umana vanno distinte nei loro effetti patogeni dalle traumatizzazioni da cause naturali e

catastrofiche come terremoti, tsunami, inondazioni, ovvero disastri in cui non è implicata la

violenza umana sul proprio simile (uno dei primi elementi che il cosiddetto PTSD, con tutte le sue

revisioni dal 1980 ad oggi, non distingue adeguatamente, indicando aree di sovrapposizione tra

sintomi dei due tipi di traumatizzazioni, mentre, come ben notava Liotti (1999), solo il trauma da

mano umana causa dissociazione).

Figura 1.1.

Rispetto alla terminologia adottata dal DSM-5, (il Manuale Statistico e Diagnostico, 5

edizione), non c’è corrispondenza tra ciò che il DSM definisce Disturbi traumatici e correlati allo

stress (APA 2014), che sostituiscono la categoria di Disturbi Post traumatici da stress delle edizioni

precedenti, e gli eventi traumatici che alla lunga e all’interno di una relazione di abuso possono

causare un disturbo di personalità, che invece andrebbe a costituire il cosiddetto PTSD Complex,

non riconosciuto dal DSM e riconosciuto al momento solo dal PDM-2 (Lingiardi e McWilliams,

2018).

Sulla questione della trasmissione intergenerazionale del trauma massivo del tipo ad

esempio dell’Olocausto (che si dovrebbe a rigore chiamare Shoah, ma che nella letteratura di lingua

inglese viene indicata impropriamente come Olocausto) rimando al terzo capitolo del mio

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precedente lavoro, Trauma e perdono (Mucci, 2014; Mucci, 2013 in inglese). In generale, la

traumatizzazione può essere trasmessa nella forma di attaccamento insicuro o disorganizzato alla

seconda generazione o alla terza (che sembra pagare i conti delle precedenti, in mancanza di

elaborazione nella/e generazione/i precedente/i) (si vedano soprattutto le ricerche di Sagi-Swartz et

al, 2003, 2008). E’ probabile infatti che quando c’è attaccamento insicuro o disorganizzato nella

prima generazione, la seconda o la terza potrebbe sviluppare disturbi di personalità quando altri

fattori epigenetici si combinano a quelli traumatici ereditati intergenerazionalmente (si vedano

Kogan, 1998; 2007; 2012; Luab, 2005; Yehuda er al., 2004; Liotti, 2014). Ricerche di Fonagy,

Steele e Steele hanno infatti confermato che la percentuale della trasmissione dello stile di

attaccamento tra genitori e figli equivale a circa l'80% (Fonagy, Steele. 1991).

FIGURA 1.2 sui Tre livelli di traumatizzazione interpersonale

CORPO E INTERSOGGETTIVITÀ NEUROBIOLOGICA

La neurobiologia interpersonale, l’infant research, le neuroscienze affettive, la psicologia dello

sviluppo e la psicoanalisi relazionale mostrano concordemente come l'individuo si sviluppi come

un sistema complesso corpo-mente-cervello da intendersi come processo dinamico intersoggettivo,

inizialmente diadico, tra bambino e caregiver, poi triadico (con l’introduzione di un terzo termine

tra madre e bambino), con l’intervento di entrambi i caregiver, determinante per il futuro sviluppo

sociale e interpersonale del bambino.

Lo sviluppo di un disturbo grave di personalità, caratterizzata da una serie di difficoltà e disfunzioni

relazionali tra Sé-altro (come anche la sezione III del DSM, più in sintonia con una visione

dimensionale del disturbo, e come il PDM-2 hanno riconosciuto) è evidente nella clinica negli

scambi tra paziente e terapeuta, affonda le sue origini in un deficit dello sviluppo (a cominciare

dalla mancanza di sintonizzazione tra madre e bambino dovuta a difficoltà che il caregiver incontra

nella relazione precoce, a partire dalla gestazione), con la possibile complicanza di maltrattamento e

abusi.

In questa relazione intersoggettiva di sviluppo, il corpo come sistema complesso è la base dello

sviluppo futuro ed è profondamente influenzato a livello epigenetico dalla attuale interazione con il

sistema corpo-mente-cervello dell'altro (il caregiver, non necessariamente un genitore biologico)

nella relazione. Se siamo arrivati, dopo l’adolescenza, alla manifestazione di un disturbo di

personalità, le espressioni sintomatiche ed esistenziali di questo disturbo sono da considerarsi come

la complessa risposta bio-psico-mentale di quel soggetto agli elementi disfunzionali presenti già

nelle relazioni primarie (dalla nascita, o anche dalla gestazione). La mancanza di sintonizzazione tra

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madre e bambino specialmente nei primi due anni di vita (cruciali per lo sviluppo futuro del sistema

mente-corpo-cervello) ha infatti un effetto distruttivo sul totale funzionamento del sé in formazione.

Questo complesso sistema di cure che ha luogo nella relazione intersoggettiva, che include tutti i

livelli della interazione reciproca tra sé e altro, è innanzitutto una interrelazione corporea, uno

scambio con un altro sé corporeo, quello del caregiver.1 I disturbi di personalità traggono la loro

origine e devono essere compresi proprio come patologia che si sviluppa in questo spazio

intermedio, questa “regione intermedia” (come Freud chiamava la regione della malattia nello

spazio transferale della terapia) tra fisico e psichico, intersoggettivo e psicodinamico, tra un sé in

formazione e un altro sé, nel complesso degli scambi neurobiologici e affettivi attivati dal sistema

della cura (uno dei sistemi motivazionali per Panksepp, 2004). Il soggetto nasce grazie a questi

scambi tra l’emisfero destro della madre (o del caregiver, di colui che offre la sua dedizione e cura

presente, continuata, emotiva e affettuosa, – “madre”, come ci ricorda Schore, è chiunque fornisca

le cure) e l’emisfero destro di un soggetto che fornisce la sintonizzazione e la presenza continuata,

sensibile e necessaria alla crescita della vita (Schore, 1994). Ricordiamo tra l’altro che l’emisfero

destro (una semplificazione, se vogliamo, perché gli emisferi sono sempre in funzione insieme e

mediati dal corpo calloso, ma con specifiche differenze nelle funzioni, come è noto e come indicato

nell’immagine 1.3)

FIGURA 1.3 funzioni dei due emisferi

FOTO 1.4 Come l’informazione viaggia nel cervello ed è modificata e processata dai due emisferi

si sviluppa prima di quello sinistro (nel primo anno e mezzo di vita) e rimane più profondamente

implicato anche in futuro per le dimensioni affettive, relazionali e sociali, con una sistema limbico-

autonomico che va dal corpo (con il corpo reticolare e le funzioni autonomiche di regolazione del

Sistema Nervoso Autonomo (SNA)) al sistema limbico (amigdala, talamo, ipotalamo, ippocampo),

fino alla differenziazione tra emisfero destro in cui prevale la sensazione globale, l’intuizione,

l’emozione, il non verbale, l’integrazione emotiva e la imagery-visione affettiva) (figura 1.3 e 1.4)

e l'emisfero sinistro come analitico, settoriale, digitale e non inclusivo.

TRAUMA INTERPERSONALE (PRIMO E SECONDO LIVELLO)

1 Di solito preferisco usare il termine “madre” a quello neutro di “caregiver” per il semplice fatto che nella stragrande

maggioranza delle culture un bambino è per lo più allevato dalla madre o da una donna, e dire caregiver rischia di

obliterare il fatto che nella maggior parte dei casi è il corpo femminile quello che offre le cure (non solo che partorisce e

spesso allatta); qui lascio il termine “caregiver” per dire anche che NON è necessario che sia una madre biologica a fornire

le cure, può essere una madre adottiva, un padre, un altro familiare, l’importante è la qualità delle cure, non il genere o la

relazione biologica con il bambino.

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L’elemento traumatico in questo primario scambio intersoggettivo tra caregiver e bambino è dunque

centrale nella eziopatogenesi del disturbo, creando la possibilità di un trasferimento di contenuti

traumatici e di meccanismi di funzionamento attraverso la dissociazione. In accordo con Schore

(1994), Liotti (1999, 1999a, 1999b, 2014), Lyons-Ruth (2003) e altri eminenti clinici e ricercatori,

considero la dissociazione derivante dal trauma relazionale infantile e dall’attaccamento

disorganizzato, l’origine della formazione di parti scisse nel funzionamento del soggetto borderline,

da cui la mancanza di integrazione di aspetti della personalità. Infatti la disorganizzazione

dell’attaccamento crea una vulnerabilità alla dissociazione (Liotti, 1999, 2014), con effetti

soprattutto sull’emisfero destro in via di sviluppo del bambino, influenzando la futura capacità di

organizzazione e controllo delle zone superiori, a partire dalle aree orbitofrontali (Schore, 2001a,

2001b, 2003a, 2003b, 2009). La presenza di parti scisse nella personalità borderline presenta

somiglianze con la descrizione di Kernberg riguardo alle diadi scisse come modello base di

funzionamento per i disturbi gravi di personalità, ma differisce dal modello di Kernberg per quanto

riguarda l'importanza che qui attribuisco all’attaccamento traumatico (quello che per Schore

costituisce il trauma relazionale infantile, che qui chiamiamo “primo livello”, per distinguerlo, a

mio parere, da un “secondo livello traumatico”, costituito da attivo maltrattamento, abuso e grave

deprivazione, che può cumularsi al primo). Entrambi questi livelli costituiscono una base per

l’attaccamento disorganizzato nel bambino e per la conseguente vulnerabilità alla dissociazione (sia

come dissociazione di contenuti che come struttura di funzionamento mentale e di relazione tra

mente e corpo) che costituiscono il reale impatto del trauma sullo sviluppo. Nella teorizzazione di

Kernberg, che segue un modello di sviluppo di derivazione kleiniana basato sulle due fasi, quella

schizo-paranoidea e quella depressiva, gli oggetti scissi tipici della prima fase di sviluppo del

bambino rimangono non integrati a causa dell’eccessiva aggressività del bambino (considerata

come temperamento innato). Nella teorizzazione di Kernberg, la vulnerabilità ai disturbi di

personalità dipende proprio da questa aggressività innata, che fa sì che il bambino risponda in modo

anomalo alle difficoltà dell’ambiente, create dalla relazione traumatica con il caregiver (Kernberg,

2013).

PERFINO IL TEMPERAMENTO NON È INNATO MA FORMATO

EPIGENETICAMENTE

In opposizione a una teoria psicoanalitica e dello sviluppo che consideri l’aggressività come

fondamentalmente innata nell’essere umano a partire dal bambino e contro il predominio di un

“elemento fantasmatico” nella traumatizzazione sia del bambino che dell’adulto, sia a livello

individuale che a livello collettivo (Mucci, 2008), considero con Allan Schore il temperamento

come formato epigeneticamente, ovvero modulato dalla relazione e dall’ambiente. Gli aspetti

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neurobiologici della relazione primaria tra i due soggetti con le loro reciproche complesse

interazioni facilitano o impediscono la crescita ottimale del soggetto in formazione, a partire dalle

circostanze prenatali, in utero (Schore, 2017a). È l’incontro dei due sistemi corpo-mente-cervello in

continuo scambio e modulazione reciproca tra loro che è responsabile a tutti i livelli dello sviluppo,

sia ottimale che insufficiente o problematico.

Di conseguenza, comprendere e lavorare con le personalità borderline implica uno sforzo reale nella

teoria e nella pratica (cioè nel lavoro clinico) nel tentativo di muoversi da una psicologia dello

sviluppo e della patologia basata su una sola mente (intrapsichica) a una visione della mente-corpo-

cervello intersoggettiva e relazionale. La terapia dei disturbi di personalità dovrà riparare nella

relazione attuale/vera con il paziente ciò che è stato distorto o è mancato in quelle relazioni primarie

e sarà pensata come l’incontro speciale e unico tra due sistemi corpo-mente-cervello nella sicurezza

della nuova relazione terapeutica.

LA NASCITA DEL SÉ DALL’ALTRO

Data l’origine intersoggettiva e relazionale della psicobiologia del bambino, il corpo psicobiologico

o meglio i due corpi nello scambio della relazione di attaccamento, che si forma nei primi due anni

di vita del bambino, giocano un ruolo centrale nello stabilire le fondamenta della futura vita

biologica, fisica, affettiva, cognitiva e sociale e della salute: in breve, definiscono l’origine del sé

con le sue caratteristiche psicobiologiche e di personalità, come indicano con dovizia di dettagli

l’Infant Research (Beebe & Lachmnn, 1988; Emde, 1985, 1988; Tronick, 2007), le neuroscienze

affettive, la psicopatologia dello sviluppo e la neuropsicoanalisi (Cozolino, 2006; Damasio, 1999;

Edelman, 1995; Gallese, 2009; Schore, 1994, 2003a, 2003b, 2012; Siegel, 1999; Solms and

Turnbull, 2002). Questa relazione intersoggettiva all’origine della vita è accuratamente definita da

Ed Tronick come un “ampio sistema diadico regolatorio” (Tronick, 2007), ed è prima di tutto una

relazione corporea, uno scambio con un altro sé psicobiologico e corporeo.

Inoltre, il lavoro interdisciplinare portato avanti in 30 anni di ricerca da Allan Schore ha stabilito

che lo sviluppo del cervello è fondamentalmente una impresa reciproca e diadica di interrelazione

inizialmente soprattutto tra emisferi destri, con la regolazione affettiva dell’attaccamento come base

della futura salute o patologia (Score, 1994-2019).

Se intendiamo l’emisfero destro prima di tutto come “corpo”, ovvero una realtà corporea

intersoggettiva e costruita epigeneticamente che forma le differenze individuali e le caratteristiche

della personalità, siamo meglio attrezzati per comprendere come la natura del soggetto sia

“incarnato” attraverso una sintonizzazione reciproca relazionale (Gallese, 2009) e come di fatto

l’incorporazione e la rezionalità, formino la mente (Lemma, 2015).

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Le radici della soggettività come principalmente sé corporeo (anche se noi oggi vediamo in questa

corporeità l’influenza reciproca della relazione con l’altro) sono sorprendentemente alle base della

ricerca di Freud: “L’Io è in definitiva derivato da sensazioni corporee, soprattutto dalle sensazioni

provenienti dalla superficie del corpo. Esso può dunque venir considerato come una proiezione

psichica della superficie del corpo, e inoltre […] il rappresentante degli elementi superficiali

dell’apparato psichico” (Freud, 1922, pp. 488-489).

Com’è noto, Freud considerava la pulsione come un concetto energetico centrato sul corpo, "il

rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall'interno del corpo e pervengono alla

psiche" (Freud, 1915, p. 17). Per tutta la sua vita, Freud ha considerato il corpo come una delle tre

fonti di dolore dell'esistenza, essendo le altre due dovute a cause ambientali e relazioni umane

(Freud, 1929).

Per Alessandra Lemma, tutti i soggetti hanno una dimensione dinamica inconscia della

rappresentazione del proprio corpo, con una "potenziale fluidità'" in una "organizzazione psichica

inconscia" attivata da fantasie particolari del sé e dell'altro" (Lemma, 2010).

Questa visione psicoanalitica deve essere integrata con la teoria dell'attaccamento e con le

spiegazioni neurobiologiche per una più completa comprensione dell’importanza primaria delle

rappresentazioni diadiche implicite della relazione sé-altro inscritte nel corpo dalla nascita (o anche

prima) e risultanti dalle iscrizioni dell'attaccamento e dagli scambi sé-altro centrati sull'emisfero

destro di entrambi i partner.

Le primissime interazioni del primo anno di vita, fondamentali per lo sviluppo degli stili di

attaccamento, stabiliscono la base per i processi regolatori (neuropsicobiologici) tra madre e

bambino e determinano l'ottimale o disfunzionale crescita dell'emisfero destro del piccolo, con la

complessa rete di sviluppo neuronale e sinaptico e il derivante processo di mielinizzazione (che

serve a veicolare le informazioni e sembra iniziare in fase fetale dal quinto mese di vita,

particolarmente attiva tra i primi 6-8 mesi del bambino, Schore 1994-2019). L'emisfero sinistro

riceve input maggiori in fase critica di crescita dopo il secondo anno di vita, in combinazione con

l'intervento, solitamente, di un secondo caregiver, che assume maggiore importanza affettiva a

questa età, come vedremo meglio.

Meccanismi proiettivi e introiettivi che hanno origine da questi primi scambi codificati in forma di

memorie implicite connotate affettivamente contribuiscono a formare le immagini che il soggetto ha

o avrà di se stesso o se stessa, che danno luogo a successivi modelli di funzionamento e di

comportamento, ovvero a immagini del sé in relazione agli altri, modelli di autostima, con

aspettative rispetto a relazioni successive e conseguenti rappresentazioni del sé e dell'altro. Essi

sono formati attraverso la continua sintonizzazione, o riparazione di una possibile rottura, perché vi

sia uno sviluppo ottimale.

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Jaak Panksepp (1998) ha parlato di proto-sé, fondamentalmente corporeo, come primaria

autorappresentazione, in una sorta di primitiva rappresentazione del sé. Questa rappresentazione

fondamentale non è possibile senza l'intervento di un meccanismo interpersonale e corporeo alla

base dell'attaccamento. Questo scambio è ciò che è diventato problematico nei disturbi di

personalità, con la formazione di modelli disfunzionali di comportamento e di relazione,

disregolazione affettiva e prevalenza di affetti negativi, per mancanza di controllo degli impulsi.

Sono del parere che la ricostruzione dell'origine relazionale del modello stabilito

(interpersonalmente) di disregolazione affettiva, comportamento distruttivo e rappresentazioni

negative sé-altro sia il presupposto fondamentale per il trattamento, che dovrebbe innanzitutto

ricostruire la mappa delle relazioni di attaccamento, prendendo in considerazione i traumi

relazionali infantili, la deprivazione, la perdita, il maltrattamento e tutti i deficit potenziali in

relazione all'altro. La terapia dovrà funzionare/operare sia a livello implicito che esplicito

(intrapsichico e relazionale), dall'emisfero destro al sinistro in ciascun partner della relazione

terapeutica, allo scopo di aiutare i sistemi regolatori a connettere il sistema limbico (emotivo,

affettivo) con le aree orbitofrontali (preposte al controllo, all’integrazione, insieme ad altre aree),

come indicato da Allan Schore nella sua terapia centrata sulla regolazione affettiva (ART, Affect

Regulation Therapy) (Schore, 2012).

TERAPIA BASATA SULLA REGOLAZIONE AFFETTIVA E DISREGOLAZIONE NEI DISTURBI

DI PERSONALITÀ

I disturbi gravi di personalità confermano l'intersoggettività dello sviluppo umano, anche se dal lato

della psicopatologia, attestando ciò che recentemente Allan Schore ha indicato come "cambiamento

di paradigma" (Schore, 2012) nella psicologia, psicopatologia e psicoterapia, ovvero il movimento

da una psicologia intrapsichica e basata su una persona sola a una psicologia bi-personale,

interpersonale e intersoggettiva. Questi disturbi inoltre sottolineano un altro elemento chiave, il

"grande sviluppo della ricerca sulla lateralizzazione del cervello" (Schore, 2012, p. 6), a partire da

Hughlings Jackson e dalla sua ricerca sull'emisfero destro.

I meccanismi della regolazione affettiva tra madre e figlio sono stati descritti con ricchezza di

dettagli nella pionieristica ricerca di Allan Schore, grazie allo sviluppo delle neuroscienze in

collegamento con la scienza dell'attaccamento. L'emisfero destro è connesso in modo particolare al

processo della sontonizzazione tra caregiver e bambino promuovendo regolazione affettiva e

sviluppo emotivo: è centrale nel processo di attaccamento da cui la regolazione degli affetti risulta

(se c'è attaccamento sicuro). Sia la regolazione affettiva che l’attaccamento si stabiliscono nei primi

due anni di vita e sono alla base della rappresentazione di sé e dell’altro, o di ciò che John Bowlby

ha chiamato MOI (Modelli Operativi Interni).

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I disturbi di personalità si formano attraverso relazioni disfunzionali a lungo termine con il

caregiver (Schore 1994). È necessario un lungo periodo (di vari anni) perché si stabiliscano dopo

che le prime relazioni traumatiche sono state esperite. Per quanto riguarda i sintomi, i disturbi di

personalità possono presentare aree di sovrapposizione con le disfunzioni create dal PTSD (disturbo

da stress post-traumatico) ma quest'ultimo non dovrebbe essere confuso con i disturbi di personalità

anche se questi disturbi posso avere sintomologie in comune (ad esempio, entrambi possono

includere dissociazione oltre ad ansia e depressione) e condividono un’origine traumatica. Tuttavia

abbiamo già indicato differenze fondamentali: mentre i disturbi di personalità derivano da relazioni

disfunzionali protratte nel tempo alla presenza di fattori di vulnerabilità, il PTSD (una categoria

diagnostica presente nel DSM a partire dal 1980) racchiude insieme, senza chiara distinzione nell’

origine traumatica, traumi da mano umana e traumi formati da incidenti o episodi unici, non

ripetuti, di violenza. La traumatizzazione da mano umana e in particolare quella dovuta a un

caregiver ha le conseguenze più drammatiche; come indicano varie ricerche (Liotti, 1999; Solomon

e George, 2007) la dissociazione non origina da catastrofi naturali ma è conseguente solo al trauma

da mano umana (Mucci, 2013, 2014). Questo attesta l’estrema importanza della buona qualità

dell'accudimento primario e come la fiducia fondamentale, che il bambino deriva dalle cure

amorose e attente del caregiver, siano il carburante per nutrire la futura fiducia e speranza nonché

salute nel soggetto umano e non solo (si vedano le ricerche sui primati e sui roditori (Suomi, 1991;

Meany, 2001; Hofer, 1984) e nella sua capacità di nutrire amore nelle relazioni future e di accudire i

suoi piccoli. I primati e i roditori gravemente deprivati non sviluppano capacità di accudimento,

oppure diventano violenti e distruttivi verso i piccoli e verso gli adulti maschi, oppure perdono il

desiderio dell'accoppiamento (tutti comportamenti relazionali fortemente condizionati dall'amore

primario).

MANCANZA DI SINTONIZZAZIONE, DISORGANIZZAZIONE

DELL'ATTACCAMENTO E DISSOCIAZIONE

Una madre (o un caregiver) non traumatizzata—che non faccia uso di droghe o alcool, che non sia

depresso e non abbia altri problemi mentali o altri gravi disturbi che rendano difficile il buon

accudimento, e che rimanga accessibile al bambino anche dopo una momentanea rottura della

sintonizzazione è capace di rispondere appropriatamente alle richieste emotive del bambino e

permette tutti gli scambi affettivi uniti a momenti di gioco, facilita la resilienza e un adattamento

gratificante all'ambiente (e alla vita). Al contrario, un caregiver con difficoltà personali non riesce a

mantenere la necessaria sintonizzazione per raggiungere il processo di regolazione affettiva ottimale

o per effettuare la riparazione della rottura della sintonizzazione modulata interattivamente, in modo

automatico, non-verbale e visuo-facciale, radicata in meccanismi di comunicazione da emisfero

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destro e corporei. Quando la fondamentale sintonizzazione che dovrebbe avvenire entro il primo

anno e mezzo di vita tra l'emisfero destro del bambino in formazione e quello della madre non si

stabilizza, o se la mancanza di sintonizzazione non viene ripristinata abbastanza presto, parliamo di

trauma relazionale infantile (Schore, 1994-2019), o ciò che ho chiamato trauma relazionale di primo

livello (Mucci, 2013). In questo caso, il caregiver non riesce a compiere in modo ottimale la

funzione regolatoria da cui dipendono il funzionamento e il mantenimento ottimale dei parametri

vitali del piccolo. La funzione regolatoria è anche alla base della corretta valutazione degli stimoli

provenienti dall'esterno del corpo (esterocettivi) e della corretta valutazione degli stimoli

propriocettivi (interni). Come afferma Schore, l'attaccamento sicuro dipende dalla sintonizzazione

neurobiologica della madre NON con la cognizione e il comportamento del bambino, ma piuttosto

con le alterazioni dinamiche dell'arousal autonomico del bambino (ovvero con la dimensione

energetica dello stato affettivo del bambino). Perché questa comunicazione interpersonale abbia

successo, la madre deve essere psicobiologicamente sintonizzata con il crescendo e decrescendo

dello stato interno del bambino basato sull'arousal del SNA e del SNC. Di conseguenza, come

scrive Schore, attraverso il collegamento emisfero destro-emisfero destro e le comunicazioni non

verbali visuofacciali, tattili-gesturali e auditive-prosodiche, il caregiver e il bambino imparano

ognuno la struttura ritmica dell’altro e modificano il loro comportamento per adattarsi a quella

struttura, quindi co-creando un’interazione specificatamente adattata momento per momento

(2001b, p. 203)

In aggiunta, una madre che non può fornire una continua sintonizzazione e attiva riparazione non

può favorire l’instaurarsi di un attaccamento sicuro, probabilmente perché non ha lei stessa

sviluppato un attaccamento sicuro e quindi non può fornire quella base sicura e quell'ambiente

protettivo di cui il bambino ha bisogno. Per esempio, non può difendere il bambino da un partner

abusante, non può facilmente creare circostanze giocose e stimolanti, è spesso inaccessibile e poco

sensibile o spesso ostile e minacciante, e fa fatica a calmare il bambino in stato di arousal. Spesso

questi genitori, invece di calmarlo, inducono nel bambino stati di arousal e anche dissociazione, con

livelli estremi di stimolazione (situazioni che Schore ha chiamato trauma relazionale infantile), o

lasciano il bambino troppo a lungo in uno stato di mancanza di stimolazione e scambio, inducendo

le risposte neurobiologiche del neglect (grave trascuratezza, deprivazione) (Perry, Pollard, Blakley,

Baker, & Vigilante, 1995; Schore 1994, van IJzendoorn, Bakerman-Kranenburg & Ebstein, 2011).

Main and Solomon (1990) hanno usato il termine "attaccamento disorganizzato" per una varietà di

comportamenti che descrivono atteggiamenti bizzarri e imprevedibili da parte del bambino (nella

Strange Situation) al riapparire della madre, caratterizzati da risposte contraddittorie e segni di

paura: stati di freezing come in trance, buttarsi per terra, portarsi le mani alla bocca, girare la testa

dal lato opposto della madre e non guardare nella sua direzione, e così via (Ainsworth, Blehar,

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Waters & Wall, 1978). I bambini del tipo D (Disorganized) potrebbero anche incontrare, secondo

Main e Solomon (1986), un altro tipo di comportamento materno disturbante, un’espressione di

paura o terrore, come se la madre stessa fosse spaventata dal bambino e perciò si ritirasse da lui con

un comportamento dissociato, simile alla trance, spaventata. Vari studi hanno mostrato una

correlazione tra comportamento materno spaventante, dissociazione e attaccamento infantile

disorganizzato (Liotti, 2004; Lyons-Ruth, 2003: Lyons-Ruth & Jakobvitz, 1999; van IJzendoorn.

Schuengel & Bakermans-Kranenburg, 1999). In una recente ricerca, Main e Hesse hanno notato che

quando la madre entra in uno stato dissociativo, che si esprime attraverso stati di freezing (con gli

occhi che non si muovono, le palpebre abbassate e con tono alterato della voce), il bambino entra in

uno stato di allarme (2006).

Numerosi studi condotti su famiglie ad alto rischio hanno associato il maltrattamento al

comportamento disorganizzato (De Bellis, 2001; George & Main, 1979; Lyons-Ruth, Connell,

Grunebaum & Botein, 1990). In uno studio condotto da Carlson e colleghi (1989), l'82% dei

bambini maltrattati apparivano disorganizzati; in un'altra ricerca (Cicchetti, Rogosh & Toth 2006),

la percentuale saliva al 96 %. Il maltrattamento era effettuato da madri depresse o con problemi di

dipendenza da sostanze. Mesi dopo (a 22 o 33 mesi), Kochanska (2001) ha dimostrato che bambini

con attaccamento disorganizzato presentavano livelli più alti di aggressività e rabbia a confronto

con quelli evitanti, resistenti o insicuri. Vorrei aggiungere inoltre che l'incesto, specialmente tra

padre e figlia o madre e figlio o figlia, è considerato patogenico in altissimo grado. La cumulazione

dell'attaccamento disorganizzato o preoccupato con abuso continuato e violenza relazionale in

famiglia costituisce il maggiore fattore di rischio. Nei risultati delle ricerche di Paris e Zweig-Frank

(1997, 2001), pazienti borderline, con storie di abuso o senza, presentavano punteggi molto elevati

nella scala DES (Scala delle Esperienze Dissociative), il che vuol dire che c'era dissociazione sia in

presenza che in assenza di storie di abuso.

Secondo Liotti (2004) l'attaccamento disorganizzato dovuto al maltrattamento e al trauma causato

dal caregiver può portare a immagini dissociate del sé, risultanti in un deficit metacognitivo che

induce disregolazione delle emozioni (in accordo con il modello di Kernberg e con le ricerche di

Schore) e rappresentazioni non integrate multiple del sé e dell'altro (ciò che Kernberg chiama

"diffusione di identità "), che attiva sia il sistema dell'attaccamento nel bambino che il sistema

difensivo, cosicché le funzioni integrative della coscienza sono inficiate (hampered), risultanti in

immagini scisse e momenti dissociativi. Per Philip Bromberg, (Bromberg 2007), l'integrazione del

sé e dell'altro rappresenta la questione fondamentale che unisce il trauma al fenomeno della

dissociazione.

Per quanto riguarda la genetica comportamentale, Marinus van IJzendoorn e colleghi all'università

di Leiden hanno mostrato in un review study come la presenza di alleli nel patrimonio genetico

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possa facilitare la presenza di un disturbo dell'attaccamento ma non possa determinarlo. Questo è

molto importante per la comprensione di come la qualità delle cure parentali possa influire sullo

sviluppo di future reazioni patologiche: in presenza dell'allele corrispondente, se l'ambiente non è

traumatico, la dissociazione NON si sviluppa (Belsky, Bakermans-Kranenburg & van IJzendoorn,

2007).

In aggiunta, mentre è vero che un gene DRD4-7 r costituisce un fattore che predispone a

vulnerabilità verso l'attaccamento disorganizzato (Lakatos et al, 2000), è anche vero che, in famiglie

a più alto rischio, l'ambiente conduce più facilmente a patologie. Se c’è una comunicazione negativa

e distruttiva tra caregiver e bambino (cioè non responsiva, con disorientamento, segnali

contraddittorie, intrusioni negative e rovesciamento di ruoli) con un gene DRDA-7 questo

predispone a minore efficacia nella recezione della dopamina e all'attaccamento disorganizzato.

Questo tipo di attaccamento si trova anche in assenza di questo allele, per cui l'elemento

fondamentale è rappresentato dalla capacità affettiva della comunicazione della madre e dalla sua

regolazione affettiva (Lyons-Ruth et al., 2009).

In uno studio longitudinale, Carlson (Carlson 1998) ha seguito 129 bambini dalla nascita ai 17 anni

e mezzo: bambini con pattern disorganizzato a 12 o 18 mesi di età presentavano un maggiore livello

di comportamento dissociativo alle scuole superiori. Risultati simili sono stati ottenuti nella ricerca

condotta da Ogawa, Sroufe, Weinfield, Carlson ed Egeland (1997) su un campione di bambini

seguiti fino all'età di 19 anni: il modo migliore per predire i sintomi del DES (Dissociative

Experiences Scale) era precisamente la disorganizzazione dell'attaccamento tra i 12 e i 18 mesi di

età. Ogawa e il suo gruppo ha anche paragonato i punteggi DES in giovani adulti che avevano

subito traumatizzazione da bambini con quelli di un gruppo che aveva subito traumatizzazione più

tardi e non era classificato come disorganizzato, e trovò un punteggio molto più alto in coloro che

erano risultati disorganizzati e avevano subito traumatizzazione durante l'infanzia. Anche Dutra e

colleghi (2009) e un recente studio di Lyons-Ruth e il gruppo di Boston (Byun, Brumariu, &

LyonsRuth, 2016) hanno confermato che l'attaccamento disorganizzato può costituire un

meccanismo di mediazione nella relazione tra abuso infantile e dissociazione. La disorganizzazione

dell'attaccamento corrisponde, a livello metacognitivo, alla difficoltà nel riflettere sul proprio o

altrui stato mentale, come nella descrizione di Peter Fonagy e colleghi nel processo chiamato

"mentalizzazione" (Fonagy et al, 1995), una capacità che abbiamo già descritto come altamente

danneggiata nei disturbi di personalità. Individui col tipo D di attaccamento utilizzano

comportamenti dissociativi in stadi successivi della vita. In situazioni future in cui dovranno

difendersi di fronte allo stress, questi soggetti utilizzeranno comportamenti dissociativi (più che

"difese dissociative”, come notano giustamente van IJzendoorn et al, 1999) che includono i loro

sintomi post-traumatici (Allen & Coyne, 1995). Devono proteggersi e chiudersi a ulteriori

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esposizioni emotive traumatiche, incluse relazioni intime, da cui si ritirano. Per spiegare perché

alcuni bambini sviluppano dissociazione e altri no, Schore ha sottolineato come questo modello

psiconeurobiologico di sviluppo dipenda sia da strutture biologiche che da funzioni psicologiche in

talune personalità (Schore, 2009).

DISREGOLAZIONE AFFETTIVA E FORMAZIONE DI SINTOMI

I disturbi di personalità si manifestano con impulsività e instabilità degli affetti in se stessi e verso

gli altri, con un senso di vuoto e di solitudine, con senso di disperazione (helplessness) e incapacità

di consolarsi e con relazioni problematiche con gli altri, incluse difficoltà nelle relazioni sessuali e

nell'intimità. Il corpo riceve le proiezioni della rappresentazione di sé come proiezione negativa

esterna, una specie di sé alieno (Fonagy, Gergely, Jurist & Target, 2005), in una relazione

continuamente disturbata e discontinua, influenzata da un’autostima fluttuante e che riflette

un’immagine precaria, gonfiata, fragile o dismorfica. Nei disturbi di personalità, il corpo diventa il

luogo (quasi distaccato da "me") in cui affetti non riconosciuti e negati sono trasformati in forme di

autopersecuzione e autoabuso, forme di esternalizzazione degli affetti negativi proiettati sul corpo-–

visti e sperimentati come appartenenti a un sé alieno. In altri casi, ma con un simile modello di

disgregazione psicobiologica e mancanza di integrazione, viene stabilito un meccanismo

psicobiologico di danno, con la disregolazione affettiva che prende la forma di alessitimia. L'origine

traumatica dell'alessitimia e la natura disregolativa alla sua base è stata riconosciuta da molti clinici

e ricercatori (Krystal, 1998; Taylor, Zucckerman, Harik & Groves, 1992; Schore, 1994, 2003a; van

der Kolk, Weisaeth & van er Hart, 1996).

IL SÉ ALIENO NEL CORPO

Sotto l'influenza della disregolazione affettiva, il corpo diventa il bersaglio di attacchi autodistruttivi

ed è sentito come "straniero", "non-me" e inaccettabile, o la causa di sensazioni corporee

esistenziali maladattive, o il ricettacolo di parti persecutorie e di sensazioni proiettate sul corpo

come fosse un altro disgustoso e odiato. Il corpo è visto come la causa di vergogna e imbarazzo

sociale (nei disturbi di personalità spesso ci sono sintomi di fobia sociale) o è sentito come

inautentico, una specie di "falso sé", o qualcosa che fornisce una visione di se stessi estremamente

fluttuante e instabile.

La "diffusione di identità", un termine che Kernberg trae da Erikson e sviluppa al fine di chiarire il

primo elemento nella diagnosi di organizzazione borderline (Erikson, 1950, 1956; Kernberg, 1975),

è un criterio fondamentale del disturbo. Esso spiega in particolar modo la relazione disturbante,

fluttuante e non chiara del proprio sé con il proprio corpo e la propria sessualità: "Non sono in

contatto con chi io sono e non so come descrivere me stesso e un altro significativo" (Kernberg,

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1975). A volte il corpo viene sentito come "sbagliato" o "fuori luogo" riguardo al genere sessuale,

che non corrisponde a come esso è esperito e rappresentato nella propria mente o come è visto dagli

altri, cosicché il soggetto sperimenta una dolorosa separazione tra, nelle parole di Alessandra

Lemma, il corpo che uno "è" e il corpo che uno "ha" (Lemma, 2011). Il soggetto è intrappolato

nell'immagine che gli altri vedono ma abita internamente (in senso emotivo, fisico e psicologico) un

corpo di genere diverso.

Seguendo Kernberg, per quanto riguarda il concetto di diffusione o dispersione di identità come

primo elemento diagnostico per l'organizzazione borderline, preferisco parlare, riguardo all’identità

sessuale di questi soggetti, di "diffusione di identità sessuale" (per quanto riguarda la

rappresentazione del corpo come "non-me" si veda anche Matlberger, 1998). A volte la discrepanza

è così forte e dolorosa che diventa la causa di disturbi dismorfofobici e di idee suicide (specie in

adolescenza, quando l'identità è in una fase critica di formazione; anche se a rigore non si può fare

diagnosi di disturbo borderline in adolescenza, certi elementi sono già ben evidenti).

Questa visione della problematicità dell'identità dei pazienti con disturbo di personalità ha alcuni

punti di contatto con quanto André Green scrive riguardo al "falso sé" dei borderline (che lui

chiama "casi limite"). Per Green, il falso sé sarebbe ancorato non nelle esperienze reali del paziente

ma nell'immagine che la madre ha del figlio, cosicché questo si sente costretto a corrispondere con

l'immagine materna (Green, 1991, 1997). Un senso di alienazione per il corpo che uno ha è evidente

in alcuni dei casi che presento qui; il corpo sessuale è sentito come "altro" rispetto all'identità di

genere che non corrisponde alla realtà fisica sessuale che gli altri vedono e a cui rispondono, con

una sensazione dolorosa di alienazione e perfino dissociazione verso il proprio sé che non risiede

nel corpo fisico, un problema che spesso inizia in adolescenza se non prima.

Il corpo è il luogo in cui un’identità di genere si sviluppa sulla base di una specifica biologia e

neurobiologia (Schore, 1994).

Quest’identità, primariamente relazionale e biologica, è permeata di valori sociali affettivi e

percepiti culturalmente e può essere rinforzata successivamente o screditata, accettata o

disconosciuta, a partire dalle aspettative che i genitori hanno per il figlio (perfino in utero o dal

concepimento). Sarà composta, a partire dall'infanzia, attraverso progressive identificazioni e

idealizzazioni, con accettazioni o rifiuti, da parte di se stessi, dei caregiver o degli altri significativi.

Le effettive relazioni e incarnazioni di queste identità, femminili, maschili o plurigender, (posizioni

sempre cariche affettivamente e culturalmente) in storie personali e incontri significativi a livello

emotivo, continuamente confermano o svalutano/disconoscono l'’identità biologica in formazione.

Il genere e l'identità sessuale diventano l'esempio fondante delle continue costruzioni

dell'identità, attraverso e dentro il corpo-mente-cervello, che forma e mantiene il sé in continua

connessione con l'altro. Definita da Foucault come “la verità su noi stessi”, (Foucault, 1976, 1984a,

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1984b), considero la sessualità come l'ultimo punto di un’identità di genere interpersonale, fondata

sul corpo, ma essenzialmente relazionale e costruita culturalmente.

Il CORPO DELL'ALTRO/MADRE2 NELLA MENTE

Il corpo rappresenta per il soggetto la prima fonte di relazione con il corpo materno, e con

l’immagine che il caregiver ha (avuto) di noi, come molti clinici e teorici – da Bowlby a Winnicott a

Green a Lemma– hanno mostrato.

Il corpo è il depositario delle fantasie e delle emozioni che il nostro essere appena nato ha

suscitato/suscita nella madre a partire dall'utero e nella coppia parentale, emozioni che il bambino

apprende e recepisce come dirette alla formazione di un Sé intersoggettivo, destinato all’autonomia

e alla differenziazione, ma sempre in relazione per il suo sviluppo e la sua crescita, a partire dal

concepimento. A questo proposito, la relazione prenatale con il corpo materno sta attualmente

ricevendo sempre maggiore attenzione (Ammaniti & Gallese, 2014; Schore, 2017a), confermando

quanto sembra intuitivo, ovvero che le aspettative, positive o negative e il suo stato

neuropsicobiologico, come ambiente in cui si sviluppa il corpo-sé del bambino contribuiscano alla

formazione mentale e fisica della mente-corpo-cervello del nuovo essere.

Questo corpo in formazione in utero può ricevere eccellente cura e attenzione e aspettative

congruenti con il suo sesso biologico, così da essere in un ambiente particolarmente ospitale per la

sua crescita, o al contrario può essere la sede del rifiuto e perfino dell'odio e dell'ostilità che il

genitore riversa sul piccolo.

Bowlby sottolinea come il bambino, quando non incontra il desiderio e l'amore della madre, possa

pensare di non essere poi degno di essere amato da nessun altro (Bowlby, 1973), un concetto simile

a quello che Ferenczi ha sviluppato ben prima di Bowlby, quando parlava di "bambino mal accolto"

(Ferenczi, 1929).

Abbiamo ora conferma dalle neuroscienze e dalla psicologia dello sviluppo dell'importanza

di quei primi livelli di crescita neurobiologica come di qualcosa di sollecitato dall'amore e dalla

cura, che può avvolgere il feto in un recipiente di buoni ormoni endocrini e ottimi nutrienti

psicobiologici o, al contrario, renderanno quel primo spazio di esistenza un luogo in cui l'alto

cortisolo (materno) ed elementi neuroendocrini sbilanciati potranno minacciare e ridurre la crescita

e la vitalità del nuovo organismo.

2 Il titolo originale di questo paragrafo era THE (M/OTHER'S) BODY IN THE MIND, in cui il termine “mother”,

“madre”, contiene anche il termine “other”, altro, che era funzionale al mio discorso, gioco irriproducibile in italiano.

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Ciò che Fonagy e Target (1996) hanno descritto con il concetto di sé alieno formato nella relazione

primaria intersoggettiva non è così tanto distante da quello che Sandor Ferenczi chiamava “bambino

malaccolto”, depositario di un “desiderio di morte” (per usare il linguaggio del tempo, seguendo

Freud, un concetto che discuteremo in modo critico nelle pagine successive). Per “desidero di

morte” qui intendiamo in senso intergenerazionale l'odio e il rifiuto della madre per il figlio, un

rifiuto che probabilmente lei stessa ha provato nella propria storia intergenerazionale. Di

conseguenza, vogliamo sottolineare da subito che non si tratta di un istinto, come è considerato

nella psicoanalisi freudiana, ma piuttosto viene appreso all’interno di una relazione, attraverso

un’esperienza negativa (Mucci, 2013, 2014, attraverso Ferenczi 1988).

Il sé alieno viene formato non solo attraverso la mancanza di una costante sintonizzazione

con conseguente mancanza di marking congruente e contingente degli affetti del bambino da parte

del caregiver, ma è costruito e incarnato intergenerazionalmente nel soggetto futuro attraverso

affetti e sentimenti negativi trasferiti dalla madre al figlio. Possono essere anche sentimenti negativi

che la madre ha per se stessa e per il bambino come parte di sé o come altro che cresce da se stessa.

Adult Attachment Interview di madri rifiutanti (che di solito presentano esse stesse un attaccamento

distanziante, del tipo Evitante/dispregiativo DS4), esplicitamente chiamano il bambino “questo

alieno dentro di me”.

LA NECESSITÀ DI UNA CURA MIGLIORE PER I NOSTRI FIGLI

Decenni fa, Bowlby ci metteva in guardia sul fatto che se una nazione si preoccupava del proprio

futuro e dei propri cittadini doveva prendersi cura in primis delle madri e delle famiglie. Le società

attuali tentano invece di ridurre i tempi di maternità/paternità retribuita.

Recentemente, Allan Schore (in Narvaez, Panksepp, Schore and Gleason, 2013) ha, con voce

autorevole, indicato i pericoli dello sviluppo dei bambini i cui caregiver non godono più di sei

settimane di permesso di maternità, un fatto che ha conseguenze drammatiche sul loro sviluppo in

un momento in cui la buona sintonizzazione e la connettività emisfero destro con emisfero destro tra

madre e piccolo possono gettare le basi per la salute futura, sia fisica che mentale che morale (o al

contrario ledere questa capacità di sviluppo). Per "morale" qui si intende, nei termini della ricerca

neuroscientifica, le qualità prosociali e altruistiche ed etiche, la capacità di nutrire la vita e curarsi

dell'altro, anche del pianeta, invece di distruggerlo, o di impegnarsi in futuro in comportamenti

antisociali. Un bambino accudito con cura e consistente sensibilità nei primi due-tre anni,

specialmente preposti allo sviluppo neurobiopsicosociale ed etico, contribuirà spontaneamente e con

generosità allo sviluppo di una comunità, di una collettività e di un pianeta con quei principi etici,

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sociali e collettivi che sostengono, curano e mantengono o rafforzano la vita e la salute. Le

neuroscienze affettive e sociali, investigando lo sviluppo del cervello, hanno dimostrato come la

cura ottimale si traduca in una crescita ottimale dei circuiti che vanno a costituire la capacità

empatica e la prosocialità, come si è visto a partire dalla teoria del “cervello tripartito” (vedi

MacLean, 1990), e alla "triune ethics" (Narvaez, 2009; Gazzaniga, 2005; Panksepp, 2013), come è

stato confermato dalle ricerche di Michael Tomasello (Tomasello et al., 2005; LIBRI) di cui

parleremo.

LA DIADE VITTIMA PERSECUTORE INTERNALIZZATA O ESTERNALIZZATA SUL NOSTRO

CORPO

(

A mio parere, l'imprinting di un sé alieno nel bambino e nell'adolescente è un precursore degli

attacchi futuri che il sé dirigerà contro il proprio corpo, come modo di regolare l'impulsività,

l'aggressività e altri affetti negativi dentro il sé.

Queste parti negative internalizzate dalla madre/altro o dal caregiver (che ha avuto o ha difficoltà

nel portare avanti il difficile e complesso compito dell'accudimento) possono anche essere

“esternalizzate” (termine di Fonagy) sul corpo degli altri, quando l'aggressività è egosintonica, in

connessione con una debole capacità di provare empatia, il che vuol dire che il sistema di

attaccamento-regolazione con il caregiver non ha portato al raggiungimento dei livelli adeguati di

amore verso sé, autostima, empatia e autoregolazione affettiva. Di conseguenza, il corpo diventa il

bersaglio odiato, sia il proprio corpo (con meccanismi masochistici radicati nel senso di colpa e

nell'odio o disgusto di sé, come vedremo nei casi che seguiranno) o il corpo dell'altro, attraverso

violenza diretta contro gli altri e la società, fino a raggiungere la criminalità e il comportamento

antisociale. Sono contraria a una visione innata della violenza, e vedo la radice di questa come

derivante sempre da distruttività internalizzata, che è stata ricevuta intergenerazionalmente e

internalizzata in una relazione attraverso un modello vittima-persecutore, come ho spiegato nel mio

lavoro precedente (Mucci, 2013, 2014). Ritengo sia questo il principale meccanismo di distruttività

alla base dei sintomi dei disturbi di personalità.

Il meccanismo di identificazione del sé e del corpo sia con la “vittima” che con il “persecutore” è

una conseguenza dell’introiezione degli affetti negativi che risultano dalla traumatizzazione

relazionale e dall'abuso, come indicato in primis dallo psicoanalista ungherese Sandor Ferenczi

(Ferenczi 1932a, 1932b), contemporaneo di Freud, il quale (in modi simili a Pierre Janet) è stato

trascurato o ostracizzato allo stesso modo per la sua rivoluzionaria distanza dal maestro Freud,

scontrandosi su due questioni primarie: la questione della realtà del trauma interpersonale tra adulti

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e bambini (versus la visione del fantasma indicata da Freud dopo il 1897, e il rigetto della teoria

dell’abuso reale dei pazienti) e la prevalenza della dissociazione come dinamica di funzionamento

per il paziente grave in opposizione alla rimozione che per Freud rimane la difesa di base delle

psiconevrosi di cui si occupava.

La teoria traumatica di Ferenczi individua nella cosiddetta ''identificazione con l'aggressore” (in

seguito approfondito nella sua valenza sociale e politica da Jay Frankel, 2002, 2005), la dinamica

fondamentale a cui il bambino abusato soggiace. La traumatizzazione da abuso crea quella che

Ferenczi chiama “frammentazione dell'anima”, con meccanismi simili alla dissociazione, con

l’internalizzazione e l’introiezione di affetti negativi che l'aggressore ha dentro di sé (ovvero colpa

da un altro) e di aggressività, che saranno dislocate nel bambino, creando in quest'ultimo una parte

vittima (legata alla colpa) e una parte persecutore del proprio corpo o del sé o dell'altro, per

l'aggressività internalizzata.

DIADE NEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ

Identificazione con l’aggressore

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Attiva anche una TRASMISSIONE INTERGENERAZIONALE degli affetti negativi e della

violenza/persecuzione (se c’è attaccamento disorganizzato)

Come esito dell'aggressione e della violenza subita, il bambino si identifica con un sé vittima o con

un sé persecutore dislocato nel corpo (o su entrambi, nel sè come nel corpo): nei disturbi di

personalità, l'identificazione con l'aggressore spiega gli attacchi al corpo, che diventa la vittima

dell'aggressività persecutoria internalizzata (a volte dispiegata contro il corpo dell'altro). In questo

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modo, la diade vittima-persecutore viene replicata e perpetuata sull'altro in un ciclo violento che

ogni traumatizzato (da mano umana, diverso è il trauma da catastrofe naturale) ha all'interno, e che

mette la vittima a rischio di ripetizione o di rivittimizzazione (Mucci, 2013, 2014, 2016; 2017b).

Secondo Freud, Melanie Klein, e ai giorni nostri Otto Kernberg, l'introietto persecutorio deriva

dall'aggressività (innata) del bambino derivante dai precursori del Super-Io disfunzionale (secondo

la seconda topica freudiana), mentre per Ferenczi la persecuzione deriva da un reale atto di violenza

che il bambino ha subito e che finisce per incorporare, più realisticamente e coerentemente con

Bowlby e con quanto le teorie dell'attaccamento hanno affermato.

Per Kernberg, la risposta del bambino agli eventi traumatici connessi con l'accudimento è già in

certi casi intrisa di aggressività innata e dipende probabilmente da una disposizione genetica. A

causa dell'eccesso di aggressività nella risposta, la fase schizoparanoidea non è risolta facilmente e

pertanto il bambino fa fatica a procedere verso la fase successiva, chiamata dalla Klein fase

“depressiva”, (che porterebbe alla integrazione degli oggetti internalizzati scissi) e pertanto il

bambino rimane nella fase schizo-paranoidea, con la persistenza di oggetti interni scissi in buoni e

cattivi, uniti da un affetto disfunzionale. Questo, secondo Kernberg, costituisce il nucleo del

disturbo grave di personalità, caratterizzato da scissione e disregolazione affettiva.

Al contrario, sulla scia di Ferenczi, sottolineo l'importanza della realtà delle condizioni di

accudimento in connessione con una vulnerabilità innata. E' importante ricordare al riguardo (sulla

questione della cosiddetta aggressività innata con cui il bambino già predisposto reagirebbe al

trauma) la rilevanza delle recenti scoperte dell’epigenetica, secondo cui l'ambiente opera in continua

interazione con la costituzione genetica del soggetto, per cui parti del patrimonio genetico (tratti

dell'RNA) verranno silenziate o espresse a seconda dell'influenza dell'ambiente (per cui è difficile

parlare di temperamento innato, ma viene rafforzata l'influenza dell'ambiente sul soggetto).

D'altronde, l'importanza della realtà della buona relazione di attaccamento sembra essere

sottolineata da Kernberg stesso quando affermava già nel 1966: “In questo modo, l'introiezione che

ha luogo sotto la valenza della gratificazione libidinale istintuale, come nel contatto amoroso

madre-bambino, tende a fondersi e a diventare organizzato in ciò che, in modo abbastanza vago ma

pregnante, è stato chiamato ‘oggetto interno buono’” (Kernberg, 1966, pp. 360-361).

Secondo Andrè Green, il meccanismo di scissione nel bambino è segno dell'istinto di morte al

lavoro “che si oppone all'azione unificante di Eros” (Green, 1991). Ma se seguiamo il modello di

Ferenczi, che sottolinea la realtà della traumatizzazione e la conseguente incorporazione

dell'aggressività dell'aggressore, bisogna rivisitare anche la teorizzazione dell'istinto di morte: è

questo meccanismo di identificazione con l'aggressore che spiega l'introiezione di colpa e

aggressività nella vittima, creando quello che ho chiamato "secondo livello di traumatizzazione",

che può cumularsi al primo livello, il trauma relazionale precoce dell'attaccamento disfunzionale.

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PADRI E MADRI NEI DISTURBI DI PERSONALITÀ

Nei disturbi di personalità, non solo il caregiver primario, di solito una madre, ma anche una

seconda figura, di solito un padre, è stato ostile e rifiutante.

Come ha spiegato Schore (1994, 2003a, 2003b, 2002), dopo il fallimento della relazione con la

madre, dopo il primo anno e mezzo di vita, un periodo critico per lo sviluppo della relazione di

attaccamento e per lo sviluppo dell'emisfero destro, che si sviluppa per primo, il bambino si rivolge

a un secondo caregiver, se presente, alla ricerca di conforto e sicurezza: molti studi mostrano che

anche questo secondo tentativo è andato male per i soggetti che hanno sviluppato disturbo di

personalità. (Felicity De Zulueta ha usato l'espressione "attaccamento andato a male”, De Zulueta,

2009).

Shapiro e collaboratori (1975) hanno dimostrato come il disturbo borderline possa servire da

ricettacolo per due genitori disturbati, ognuno dei quali può proiettare su di esso la parte denegata

della propria personalità malata e proiettare l'ambivalenza interna e l'ostilità sul bambino (ma il

bambino stesso funziona come parte di sé per questi genitori, come nota anche Green, 1991). Il fatto

che un bambino riceva le parti proiettate di un genitore mentre un altro figlio può non essere toccato

da questo processo è evidente in molte famiglie e può contribuire a spiegare le differenze nei figli e

nella relazione con figli diversi, differenze che sono rafforzate dalle interazioni già falsate da

proiezioni che hanno luogo nell'ambito della famiglia. I genitori molto raramente sono consapevoli

delle loro attive proiezioni e il conseguente modo di rivolgersi al bambino, nel tono di voce che

usano, nella postura corporea, nel contenuto e a volte nella severità dei rimproveri, tutti segnali

della rappresentazione interna del bambino dentro di loro a cui reagiscono in questo modo, con

delle modalità difensive e delle rappresentazioni (di sé in risposta all'altro-bambino) e

identificazioni, che spesso hanno radici intergenerazionali. Queste modalità rappresentative ed

identificatorie, a loro volta forgiano, il modo in cui essi vedono, si rivolgono o puniscono il

bambino o come sono ben disposti e o maldisposti verso di lui, cosicché gli scambi relazionali con

lui sono indirizzati da modalità sia consce che inconsce. La relazione di un genitore con ciascun

figlio è influenzata da molteplici elementi: oltre alle proprie esperienze di attaccamento e alle

caratteristiche individuali di ciascun figlio, dipenderà dalle circostanze di vita in cui quel bambino

è venuto al mondo, con tutte le differenze che possono esservi in quel momento nella vita della

coppia stessa, a partire dalla situazione economica, affettiva, incluso il desiderio o meno che quel

bambino venga al mondo.

In aggiunta, è quasi impossibile che un genitore, con un secondo o terzo figlio, non sia cambiato in

alcun modo, non sia stato formato o cambiato dall'età, dall' esperienza, non abbia incontrato o

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risolto nuove o vecchie difficoltà, o che abbia le medesime aspettative riguardo al nuovo figlio

(incluso il genere del bambino), in conseguenza anche della posizione del bambino dentro la

famiglia e riguardo all'ordine di nascita. Il genitore sarà stato inevitabilmente toccato dal ciclo di

vita e dalle esperienze personali. Infine, le aspettative verso il bambino, rispetto al genere sessuale

già "presente" o atteso, possono contribuire a forgiare le reazioni riguardo a come quel genitore

accoglie il bambino e come le rappresentazioni mentali e le attese verso di lui contribuiranno a

formare l'opinione e l'immagine che ha di lui, informando la relazione, a partire dal concepimento e

dalla fase prenatale. Questi sono tutti elementi di cui i genitori non sono consapevoli, ma, anzi,

tendono a negare le differenze nella crescita dei figli, e ad attribuire le differenze alle caratteristiche

proprie dei bambini.

LA FASE CRITICA DELL'ADOLESCENZA

Con l'adolescenza, quando il bambino comincia a sperimentare un po' di indipendenza e ha scambi

più o meno intensi con i coetanei, sperimentando nuove relazioni al di fuori della famiglia, come il

soggetto tratta il proprio corpo, nel senso della cura personale, della dieta, dell'immagine corporea

(capelli, vestiti, immagine di sé in quanto ad autostima, genere) rivela molto di quelle relazioni

primarie che sono inscritte nella memoria implicita e nel corpo, come conseguenza della complessa

rete di proiezioni e risposte internalizzate nei loro scambi con l'esterno, in combinazione con le

conseguenze biologiche e in interazione con altri fattori. Per memoria implicita intendiamo oggi

l'insieme delle rappresentazioni inconsce, delle emozioni, delle difese che guidano e foggiano sia il

comportamento che l'identità e le scelte personali (Schore and Schore, 2008).

L'adolescenza è il periodo in cui i primi segni di un incipiente disturbo di personalità diventano

evidenti, per quanto una corretta diagnosi richiederà una personalità più formata. Il DSM-5

mantiene i 18 anni come l'età in cui si può fare diagnosi, assumendo che per quell'età la personalità

sia abbastanza formata. La memoria implicita, che è stata descritta solo negli ultimi trenta anni, è

per lo più associata ai circuiti del sistema limbico, già attivi nei primi due anni di vita, periodo

critico, come si è visto, per la relazione sé-altro e per lo sviluppo dell'autostima, un periodo in cui

l'amigdala e il sistema limbico (Figura 1.6) esercitano una grande influenza sugli altri sistemi del

cervello e sono particolarmente importanti per e verso la socializzazione primaria. L'ippocampo, la

sede primaria per l'attivazione della memoria esplicita o dichiarativa, sarà attivo solo in seguito,

dopo il secondo anno di vita. Perciò, le traumatizzazioni legate al trauma relazionale infantile sono

"visibili" solo attraverso comportamenti distruttivi e sintomi (incluse le dipendenze), e diventeranno

esplicite e saranno riconosciute propriamente solo dopo che il lavoro terapeutico avrà riconnesso

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quelle prime memorie corporee incapsulate nel sistema corpo-mente-cervello e avrà ricostruito le

soggiacenti storie di abuso e/o deprivazione e le avrà espresse.

Figura 1.6 sistema limbico

Corpi nutriti, corpi che nutrono

Abitudini alimentari, attitudini verso l'alimentazione e i pasti, cure corporee e idee e sensazioni

riguardo al proprio genere e sesso sono inevitabilmente impressi in quei processi primari di cura che

hanno luogo tra madre e bambino, che riflettono anche i valori, le idee e le aspettative che il

caregiver attribuisce al proprio e all'altro sesso. Sono rafforzate e incorporate in una rete di processi

interpersonali, collettivi, culturali e sociali: il processo del nutrimento connette il corpo della madre

con il corpo del bambino attraverso il seno o attraverso l’allattamento in genere, anche quando

questo implichi il biberon. Infatti, il collegamento del nutrire il piccolo con il contatto della pelle e

del tocco, la relazione corporea e il calore fisico che si sviluppa nella relazione sono estremamente

importanti nel veicolare affetto, cura e attaccamento (sollecitando la produzione di ossitocina nei

genitori), anche quando l'atto del nutrire non implichi il seno materno.

L'atteggiamento del caregiver verso il proprio corpo, il proprio genere e verso il cibo, la vita e la

creatività può essere trasferito o comunicato intergenerazionalmente, attraverso le dinamiche

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dell'attaccamento (con i loro correlati neurobiologici) e attraverso parti scisse trasferite anche

attraverso meccanismi di dissociazione tra madre e figli (ne parleremo in dettaglio nei casi). Il loro

trasferimento avviene anche a livello epigenetico: il DNA non muta, ma l'espressione di alcuni tratti

nella catena può essere modificata a seconda di esperienze positive o negative dell'ambiente che

contribuiscono a silenziare o ad esprimere una data sequenza. I fattori ambientali, infatti,

modificano le connessioni sinaptiche e contribuiscono alla plasticità neuronale in varie modalità

(Kandel, 1998, 2017; Siegel, 1999; Cozolino, 2006; Fischer, 2014; Walter, 2001; Barlow, 1993).

Il modo in cui questi meccanismi sono trasferiti da madre a figlio sono di base corporea, trasmessi

attraverso l'attaccamento e rafforzati e connessi attraverso la plasticità del cervello, come vedremo

meglio in dettaglio nei prossimi paragrafi.

Il contatto corporeo, lo sguardo tra i due soggetti nello scambio relazionale e in congiunzione con i

correlati neurobiologici (fondamentalmente ossitocina e dopamina) sono gli elementi principali

dell'imprinting di come il corpo si sente in relazione e come le aree del cervello si sviluppano e si

collegano. La madre funziona come "regolatore nascosto" dei sistemi neurobiologici di crescita,

come hanno mostrato la ricerca di Myron Hofer e di Michael Meany sulle famiglie dei roditori e le

loro cure primarie (Hofer, 1984; Meany, 2001).

Dovremmo inoltre ricordare che è del tutto irrilevante che il caregiver sia un genitore

biologico oppure no: la relazione di cura e le qualità della connessione (come sensibilità e continuità

nella presenza e nella capacità di una continua risintonizzazione verso i bisogni del piccolo, come è

evidente nei roditori) sono gli elementi fondamentali, in grado di creare risposte neurobiologiche

positive, con cure ottimali e stimolazione alla crescita; al contrario, nel caso di cure insufficienti e

deprivazione si creano livelli in eccesso di cortisolo e di altri correlati neuroendocrini, che

influenzano negativamente tutti i parametri di crescita.

Ciò che serve per un’ottimale crescita neuronale, per la diffusione delle sinapsi e per i processi di

mielinizzazione per le connessioni primarie è la cura e l'amore costante, la presenza, la disponibilità

e la sintonizzazione da parte di un adulto di quella particolare disponibilità dell'emisfero destro che

chiamiamo amore (nel senso di relazione di cura, non di innamoramento), necessaria alla relazione,

che non sono dati necessariamente solo da madri biologiche. Infatti, madri traumatizzate in macachi

potevano arrivare a uccidere i loro piccoli, se erano state gravemente deprivate o abusate (Harlow,

Mears, 1979). Ciò che stiamo dicendo va nella direzione di una possibile riparazione se vi sono

situazioni di stress e difficoltà per la madre biologica: non c'è bisogno di una madre biologica

perché funzioni da “regolatore nascosto” (come Hofer chiama la madre) dei sistemi neurobiologici

del bambino, che si sta sviluppando, ma perché vi sia regolazione di tutti i sistemi, (circadiani,

cardio-circolatori, nutritivi, con parametri adeguati per il mantenimento dei giusti livelli di ansia, di

esplorazione e dell'ambiente sociale) basta che le cure vengano fornite cure vengano fornite con la

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dovuta sensibilità, regolarità e impegno (infatti nelle ricerche di epigenetica sulle famiglie dei

roditori, perfino un ricercatore può riparare alle assenze della madre dei piccoli roditori, nutrendo e

ristabilendo i parametri appropriati nei cuccioli, perfino sostituendo al licking della madre un

pennello).

I disturbi alimentari, così comuni nei disturbi di personalità, mostrano che, attraverso gli anni, la

nutrizione, dalle più precoci memorie implicite dell'essere nutriti, conserva in maniera implicita,

vale a dire “in-conscia”, secondo la nuova costruzione di inconscio come definito da Schore, il

significato sostanziale, tattile, sensomotorio, regolatorio, e allo stesso tempo simbolico e vitale

dell'attaccamento positivo o negativo a un caregiver che ha fornito le cure. Il cibo reca le tracce di

una memoria implicita che verrà trasferita attraverso l'adolescenza fino all'età adulta, carica di

significati connessi alle primitive iscrizioni del corpo-mente e alle prime esperienze sociali

relazionali e di accudimento.

Quanto LeDoux (1992) sostiene riguardo alle emozioni, ovvero che dovrebbero essere considerate

una forma di processo mnestico, piuttosto che un processo che influenza la memoria, è sicuramente

vero nel caso delle tracce legate al cibo, che ha alle sue radici memorie implicite legate a tracce

corporee e sensibili del sistema limbico. LeDoux ritiene che, dal momento che l'input sensoriale-

affettivo dal talamo arriva all'amigdala prima delle informazioni della neocorteccia, questo input

(più legato all’integrazione della percezione somatica con la parte emotiva del sistema limbico)

prepara l'amigdala all’elaborazione dell'informazione che giunge più tardi alla corteccia; in questo

modo, l’appercezione (o valutazione) emotiva dell'input sensoriale precede l'esperienza emotiva

(van der Kolk, 2014; LeDoux, 1992).

Il significato interpersonale e intergenerazionale del cibo può essere difficilmente sopravvalutato. Il

cibo ci mantiene in vita e costituisce il primo canale di comunicazione con il corpo dell'altro: è stato

un corpo femminile che ci ha dato la vita e nella maggior parte dei casi ci ha nutrito. Una relazione,

rappresentazionale e psicobiologica, esiste già tra la madre e il feto, probabilmente dalle fantasie del

concepimento (Paul, 2010; Ammaniti & Gallese, 2014; Schore, 2016; Piontelli, 1992). Come scrive

Joan Raphael-Leff, “il feto appartiene a quell'area incontrastata, intensamente immaginativa e

intermediaria di esperienza a cui sia la realtà interiore che la vita esterna contribuiscono” (Raphael-

Leff, 2001, p. 9). Sottolineando l'origine interpersonale di questa connessione quasi invisibile

l'autrice aggiunge:

Quando due adulti si mettono insieme per costituire una relazione intima, ognuno vi

immette le questioni non risolte del complesso transgenerazionale delle fantasie inconsce. I

partner spesso scelgono di attualizzare certe potenzialità dell'uno e dell'altro e il neonato

diventa parte di questo teatro. Parti non elaborate saranno incorporate dal neonato come

parte della sua immagine di sé, come configurazioni preconsce dei genitori che formano la

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base del mondo interno del bambino. In questo modo, le realtà psichiche della madre, del

padre e del bambino interagiscono e si intrecciano dal concepimento e perfino da prima,

contribuendo alla formazione di una cultura familiare (Raphael-Leff, 2001, pp. 10-11, trad.

mia per questa edizione).

Un’analisi delle fantasie connesse al feto nella coppia parentale, e specialmente nella madre, ci dirà

molto di come i genitori si preparano a mentalizzare, visualizzare, rappresentare e sentire in

profondo la relazione con il “nuovo venuto”, o si chiudono ad essa, rifiutano o addirittura hanno

paura dello straniero in se stessi o tra di loro come coppia. Il feto, a volte, è sentito come un

predatore dello spazio interno del corpo, inquinandolo o sfruttandolo e togliendo spazio e privilegi

alla madre o alla coppia (alcuni pazienti lo confermano). La relazione con il partner e/o l'origine

della gravidanza è anch'essa molto importante per segnare la differenza: qual è l'origine,

mentalmente, psicologicamente, affettivamente, di quell'atto di creazione? Il feto è un dono di vita

da lungo atteso e segno di amore per la coppia o un intruso che si insinua sottilmente per rubare

vitalità e “rovinare” il resto della vita della madre? È ovvio che, in casi estremi di violenza e/o

gravidanze indesiderate, la madre deve affrontare una fase difficile, che inevitabilmente segnerà

differenze psiconeurobiologiche nella qualità della crescita del feto, a causa dei correlati

neurobiologici ed endocrini dello stress e dei livelli ormonali.

Tutti questi elementi e queste esperienze prenatali nel grembo materno dovrebbero essere prese in

considerazione quando abbiamo un soggetto che ha sviluppato un rifiuto per il cibo, per il proprio

corpo o per la propria esistenza, o sta chiaramente mettendo a rischio e sabotando la propria vita,

come è comune per le esistenze borderline. Domande sulle aspettative dei genitori riguardo alla vita

del paziente, particolari situazioni durante la gravidanza della madre (come ad esempio incidenti,

perdite di persone care, presenza di episodi di aborto precedenti a questa nascita, gravi condizioni di

stress interpersonali o malattie) sono importanti. Possono chiaramente non trovare risposta nei primi

colloqui, ma potrebbero diventare rilevanti nel procedere della terapia, in quanto queste situazioni

hanno proiettato traumatizzazioni (o fantasmi) interpersonali sulla traiettoria del nuovo nato.

Ovviamente, sarebbe estremamente utile e produttivo avere la possibilità di fare terapia con future

madri o donne incinte, precisamente allo scopo di prevenire problemi in famiglie a rischio (come tra

gli altri indica Palacio Espasa, 2004)

CIBO-GENERE-SESSUALITÀ: UNA STRANA CONNESSIONE?

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La nostra relazione col cibo da adulti e la nostra identità, per quanto riguarda il genere e la

sessualità, sono fortemente influenzate dal legame conscio e inconscio con il corpo femminile a cui

dobbiamo la nostra vita; in quel corpo abbiamo trascorso un numero adeguato di mesi prima della

nostra nascita, con tutti i misteri che ci legano alla vita prenatale (Paul, 2010; Ammaniti & Gallese,

2014; Schore 2016; Piontelli, 1992 ), e a questa origine materna siamo tutti indebitati

simbolicamente, una questione che non può non avere conseguenze per la nostra futura identità

sessuale, in un modo o nell'altro, degna di essere esplorata in certi casi.

Il cibo che ingeriamo in futuro, che deriva da fonti esterne al corpo, è irrimediabilmente segnato, in

modo positivo o negativo, da quel primo corpo che ci ha nutrito (nel bene o nel male, che ci piaccia

o no). Da quella originaria venuta al mondo di derivazione materna e corporea, proviene una

dipendenza che, nelle specie umane, dura molto più a lungo che in altri primati prima, di

raggiungere indipendenza, autonomia e responsabilità, verso se stessi e verso l'altro.

Non ho prove di questo se non nella mia esperienza clinica. Riferirò brevemente di un caso di una

bambina di sette mesi, portata in ospedale (dove io facevo il tirocinio) perché aveva iniziato a

rifiutare qualsiasi cibo solido o liquido ed era a un passo da essere intubata (cosa che avrebbe

ancora di più reso il sistema neurobiologico e psicologico passivo e con la sensazione per la piccola

di essere alla mercé di un altro violento e intrusivo o predatore, che avrebbe ulteriormente

contribuito a uno shut-down dei sistemi di reazione della piccola, dunque da evitare il più possibile).

La bambina era nel primo periodo di separazione dalla madre e dal seno che l'allattava (la madre

aveva appena iniziato a svezzarla e a darle cibi solidi), perciò stava mettendo in atto un rifiuto per il

cibo, del tutto simile all’esperienza di grave anoressia che la madre aveva sperimentato fino a pochi

anni prima di rimanere incinta. Alcuni colloqui con la madre ebbero l'effetto di rassicurare la “diade

anoressica”, muovendola oltre quell'impasse, e la bambina ricominciò a mangiare (cibi solidi)3.

Mi sembra non sia sufficientemente riconosciuto quanto qualsiasi essere umano, maschio o

femmina, conserva del corpo della madre ma spesso questa verità fondamentale della dipendenza

umana da un corpo di solito femminile tende a essere negata o obliterata culturalmente, perfino

dalle donne. Suppongo che la domanda sul perché la derivazione femminile e corporea della nostra

vita non sia adeguatamente riconosciuta e tenda ad essere obliterata, rechi somiglianze con la

repressione stessa che le donne subiscono o a cui sono sottoposte nelle culture per lo più patriarcali.

INGESTIONE E CONNECTEDNESS POLIVAGALE

“She that from whom / We all were sea-swallow’d, though some cast again”

3 Non ho seguito questa "coppia" dopo questi brevi incontri, ma non mi sorprenderebbe che la vita della bambina come

quella della madre possano essere ancora segnate da fasi in cui la mediazione dello stress (tra di loro e dell'esistenza in

genere), per esempio nell'adolescenza della bambina, passerà attraverso il cibo, e il controllo sul cibo. Un

accompagnamento psicoterapeutico in certe fasi della vita per soggetti con vulnerabilità già espresse in altri momenti

sarebbe sempre raccomandabile. In questo caso, sono le fasi di separazione a creare avvisaglie di problematicità.

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(Colei a causa della quale noi tutti fummo inghiottiti dal mare, anche se alcuni sono stati rigettati a

riva)

W. Shakespeare, La tempesta, 2.1.246-47)

Vorrei anche portare l'attenzione al termine stesso “ingestione” come descritto in termini

neurofisiologici da Stephen Porges, per le importanti conseguenze che le sue teorie hanno per la

nostra discussione. Porges sottolinea, prima di tutto, la “connectedness” tra varie parti del corpo-

mente come imperativo biologico, ovvero il bisogno del corpo di regolare insieme stati

biocomportamentali attraverso legami sociali e relazioni con altri, allo scopo di soddisfare bisogni

sia mentali che fisici. La percezione non consapevole, che Porges chiama neurocezione, attraverso i

circuiti del corpo-mente-cervello, di pericolo o sicurezza o minaccia di vita, sollecita i sistemi di

adattamento, abbassando l'attività dei sistemi difensivi e facilitando i comportamenti sociali,

attraverso lo sguardo, le espressioni facciali e la prosodia, in sostegno dell’omeostasi viscerale, fino

all’attivazione di strategie di difesa, come l'attacco (fight/flight) in caso di pericolo e lo shut-down

(chiusura come fuga) in casi di minaccia di vita. Il nervo vago innerva gli organi del corpo al di

sopra del diaframma, e alcune porzioni e organi del corpo al di sotto del diaframma. Questo sistema

opera e può essere la causa di iperacusia, ipertensione, problemi allo stomaco e intestino e disturbi

d'ansia, che possono portare a abuso di farmaci e altre sostanze o altri comportamenti disfunzionali.

L'intero sistema polivagale unisce le emozioni alle rappresentazioni mentali, al sistema nervoso e a

risposte in-consce (cioè automatiche, non consapevoli) del corpo.

Il vago innerva gli organi interni ed è responsabile del battito cardiaco, della peristalsi

gastrointestinale, della sudorazione, di alcuni movimenti della bocca, della gola e del respiro.

Riceve informazioni dall'orecchio esterno e da parti delle meningi e la connessione va dai nervi

afferenti all'ipotalamo al PAG (sostanza grigia periacqueduttale, nel sistema talamo-corticale).

L'interazione tra madre e bambino non è solo un’interazione top-down (dalle aree superiori del

cervello, più astratte e rappresentazionali, alle zone inferiori sensibili e corporee), ma un doppio

sistema di scambio bottom-up (dalle zone percettive del corpo alle aree superiori che ricevono e

integrano le informazioni, filtrandole con il vissuto e con il mondo interno, intriso dei significati del

soggetto) ed entrambi i sistemi dipendono dalle informazioni enterocettive ed esterocettive tra

l'interno e l'esterno del corpo (mediazione che sembra passare in gran parte attraverso l'insula

(Scalabrini et. Al, 2017)). La teoria polivagale di Porges descrive come, attraverso livelli

filogenetici, i mammiferi e specialmente i primati hanno sviluppato un’organizzazione neurale

funzionale che regola stati viscerali a sostegno del comportamento sociale. Ci sono tre sistemi di

risposta che collegano diverse ramificazioni del sistema nervoso autonomo: (1) vagale ventrale, (2)

ramificazioni del vagale dorsale del sistema nervoso parasimpatico e (3) sistema nervoso simpatico-

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catecolaminergico. La nostra risposta mentale e psichica basata sul corpo e adattata all'ambiente

dipende dalla interconnessione dei tre sistemi. La regolazione affettiva, il movimento, le emozioni,

la capacità di consolarsi da sé e la comunicazione sociale dipendono tutte dal sistema vagale

ventrale, il più recente filogeneticamente, che implica la regolazione nervo-craniale dei muscoli

striati del viso e della testa e specifiche funzioni autonomiche mediate dal vago mielinizzato, che

inibisce l'attività simpatica a livello del cuore; il sistema vagale ventrale implica vie che originano

nella corteccia frontale, cosicché ci sia controllo corticale di questi moto-neuroni midollari.

Il secondo sistema, filogeneticamente più antico, è implicato nell’ attiva difesa dalla minaccia e

dipende dal sistema nervoso simpatico, che mobilizza l'energia in uno stato continuo di attivazione.

Innerva il cuore per fornire energia per "scappare" o "combattere" (flight or fight); per raggiungere

la mobilizzazione, il nervo vago ventrale viene rilasciato, aumentando l'output metabolico; se

riattiviamo il sistema vagale ventrale, diminuisce l'input metabolico.

Il terzo e più antico sistema è il dorsale vagale, che fornisce l'immobilizzazione (freezing, o

shutdown) se necessario. La mancanza di integrazione tra i tre sistemi può essere implicata nella

dissociazione, secondo Nijenhuis (2001); per Schore la dissociazione è più simile a uno shutdown

del sistema parasimpatico (e questa sembra essere anche la descrizione della dissociazione secondo

Ferenczi, 1988).

I sintomi che compaiono in risposta a un trauma (dovuti fondamentalmente a situazioni di attacco e

fuga, con ipervigilanza e attivazione neurovegetativa) implicano l'attivazione di tutti i livelli, e

queste reazioni rimangono codificate nelle memorie implicite traumatiche: a causa dell'alto livello

di cortisolo, le memorie traumatiche non possono essere codificate nell'ippocampo e rimangono

pertanto nella memoria implicita, registrate emotivamente nel sistema limbico, di base amigdala,

dove possono essere facilmente riattivate secondo il sistema del kindling, che richiede un livello

minimo di stimolazione perché sia riattivato. È questo il motivo per cui i traumatizzati (sia nel caso

del trauma dovuto a mano umana che di altro tipo, naturale e catastrofico) vivono nel costante

timore della riattualizzazione del trauma, perché basta uno stimolo minimo (un suono, un rumore,

una luce, un odore, una sensazione corporea) per far ripiombare il soggetto dentro la situazione

traumatica, e dentro i correlati neurobiologici di quella situazione, che la rendono perpetuamente

reale. (È per questo che serve una terapia che renda la regolazione affettiva di nuovo possibile e

interiorizzata rispetto al significato dell’evento, e il soggetto non può compiere questo da solo).

Un'altra modalità di risposta, già menzionata, è quella del freezing, che implica l'attivazione del

sistema dorso-vagale e dei nuclei del nervo vagale alla base della formazione reticolare (Porges,

2011; Schore, 2009), cosicché si crea una mancata connessione tra l'amigdala, il processo di

significazione (a base corteccia prefrontale destra), l'ippocampo e la corteccia frontale e prefrontale

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sinistra (fondamentali per la memoria esplicita), disconnessione che è all'origine dell'iperarousal e

della depersonalizzazione, con gli effetti parasimpatici a cui abbiamo accennato.

LO SGUARDO, L'AMORE MATERNO E I LORO CORRELATI NEUROBIOLOGICI

Una volta che il bambino è venuto al mondo, lo sguardo attraverso cui madre e bambino si

incontrano attraverso le pratiche del nutrimento e la routine dell'accudimento primario, insieme agli

scambi vocali e vis-à-vis della coppia, stimolano, come l’Infant Research (Beebe & Lackman, 1988;

Tronick, 2007) e le neuroscienze affettive hanno magistralmente dimostrato (Schore, 1994, 2003a,

2003b), fattori che regolano l'asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene), insieme a tutti i fattori

neuroendocrini e le reazioni corporee, vale a dire fattori&&ripetizione&& che stimolano, oltre a

ossitocina e vasopressina nella madre, il rilascio di corticotropina (CRF) nell'ipotalamo del

bambino, endorfine e acetilcolina (ACTH). Questo processo a sua volta provoca l'attivazione del

sistema ventro-tegmentale, che porta al rilascio di dopamina e alla conseguente sensazione di

benessere e soddisfazione.

La dopamina rilasciata arriva ai recettori delle aree prefrontali (in seguito associate alle aree del

controllo e della pianificazione-decisione), che promuoveranno la memoria, l'apprendimento e i

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processi cognitivi, tutti fortemente dipendenti dall' esperienza (cioè non innati), in altri termini

dipendenti dalla (buona o cattiva) connessione con il caregiver e con l'ambiente.

FOTO 1.7 CORRELATI NEURONALI DELLO SGUARDO DELLA MADRE

La ricerca ha accertato che da questa relazione primaria e dalla costante riuscita sintonizzazione tra

madre e bambino dipende lo sviluppo ottimale del cervello, a cominciare da quelle aree limbiche

emotive specie dell'emisfero destro già menzionate, il cui sviluppo dipende dalla relazione con il

caregiver e con l'ambiente (Schore, 1994, 2003a e 2003b; Cozolino, 2002; Siegel, 1999; Schore

2016).

TRAUMA NELLA MADRE E IL POTERE DELL'AMORE MATERNO

(O DELL'ACCUDIMENTO)

Se la madre stessa (o il caregiver) ha traumatizzazioni non risolte, malattie, sia mentali che fisiche,

o gravi problemi legati al matrimonio o alle condizioni economiche, oppure soffre di maltrattamenti

o ha sofferto di lutti non risolti negli ultimi due anni (Liotti et al., 1991), oppure fa uso di droghe e

alcool per la sua stessa autoregolazione, potrebbe non essere in grado di mantenere il ritmo e

l'intensità e il collegamento emotivo che questo processo richiede. Anche nel caso in cui non

maltrattasse attivamente il bambino, potrebbe comunicargli implicitamente e trasmettergli

intergenerazionalmente le sue parti interne dissociate e i contenuti mentali ed emotivi disturbanti

attraverso le connessioni dell'emisfero destro (Schore, 1994, 2012, 2019a e b; Mucci, 2013, 2014).

A questo riguardo, ricordo che Allan Schore sostiene che la madre "scarica" (“downloads”) il

proprio sistema limbico in quello del bambino nel primo anno e mezzo di vita, attraverso

l'attaccamento e la regolazione che lega i due.

Bartels e Zeki (2004), scrivendo a proposito dei “correlati neurali dell'amore materno”, sottolineano

l'impatto estremamente significativo che “la durevole o pervasiva influenza dell'amore materno (o la

sua assenza)” ha sullo sviluppo e sulla futura costituzione mentale del bambino. Studi di risonanza

magnetica funzionale (fMRI) di madri che guardavano foto dei loro bambini a nove mesi di età

hanno evidenziato “uno stato di attivazione affettiva straordinaria” che implicava la corteccia

orbitofrontale, l'insula mediale, la corteccia cingolata anteriore e fusiforme. L'attivazione della

corteccia laterale orbitofrontale è associata a “stimoli piacevoli visivi, tattili e olfattivi”, mentre

l'insula è legata alla sensazione viscerale degli stati emotivi. Lo stesso studio mostra, inoltre, una

correlazione assai interessante tra amore materno e amore romantico.

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From Bartels and Zeki (2004)

Come sottolinea Schore, l'attivazione della corteccia cingolata anteriore suggerisce un legame

potenziale tra i sentimenti di empatia della madre e la motivazione a prendersi cura del bambino.

Questa connessione attiva i neuroni dopaminergici ventrali, associati di solito ad esperienze

altamente soddisfacenti o collegate al sistema della ricompensa. Inoltre attiva il PAG (grigio

periacqueduttale), che riduce la mancanza di paura (fearlessness) e aumenta l'aggressività protettiva

materna (è implicato anche nella soppressione endogena del dolore durante esperienze emotive

interne). Insieme a questa significativa attivazione, l'amore materno sentito intensamente (sotto

l'effetto di ossitocina e vasopressina) disattiva certe aree: la prefrontale mediale, la parietale

inferiore e la medio temporale, soprattutto nell'emisfero destro, così come la corteccia cingolata

posteriore, che gioca un ruolo predominante nella cognizione. In altri termini, i circuiti della

mentalizzazione sono disattivati in questa esperienza assai intensa, che implica soprattutto

l'emisfero destro4. L'amigdala, in questo caso, produce soprattutto emozioni positive, reprimendo

rabbia, aggressività e paura. Queste emozioni positive sono la base neurobiologica della qualità

dell'attaccamento della madre per il bambino e delle rappresentazioni di lei rispetto

all'attaccamento. L'attivazione orbitofrontale destra gioca un ruolo importante nel sistema della

ricompensa e riceve proiezioni ascendenti dei circuiti della dopamina dall'area ventro-tegmentale.

In uno studio assai interessante, Minagawa-Kawai e colleghi (Minegawa-Kwawai et al., 2009)

sottolineano l'attivazione sia nei bambini che nelle madri che sorridono ai loro piccoli delle cortecce

4 Mentre facilita i compiti emotivi dell'accudimento, questa attivazione dell'emisfero destro, con disattivazione della

aree della mentalizzaione e della cognizione, potrebbe essere uno dei problemi del rekindling del sistema di

attaccamento della madre nel caso di attaccamento insicuro o disorganizzato (tra lei e il proprio cargiver), per cui, come

si suol dire, si "riattiva il sistema dell'attaccamento" nel genitore, con la problematicità che questo comporta se c'è

appunto un attaccamento insicuro o problematico, e fa pensare alla necessità, in queste fasi di accudimento, di una

terapia per il genitore (o di ritorno in terapia), per favorire, appunto, zone di mentalizzazione per bilanciare l'attivazione

(dolorosa) dell'amigdala.

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orbitofrontali di destra. Concludono: “I nostri risultati concordano con quelli di Schore (1999,

2000), che individua l'importanza dell'emisfero destro nel sistema dell'attaccamento”. Schore

stabilisce il periodo critico per l'attivazione amigdala-basolatarale e del cingolato anteriore ad

appena 2-3 mesi; si tratta dello stesso periodo che lo psicoanalista Daniel Stern indica per

l’emergere di un core Self, un sé nucleare (Stern, 1987).

La cosa straordinaria è che l'esperienza relazionale dell'emergente amore reciproco che comincia a

partire da 2 o 3 mesi di età, come sottolinea Schore, induce cambiamenti neuroplastici non solo nel

cervello del bambino, ma anche in quello della madre. Kim e colleghi (2010) confermano

cambiamenti longitudinali nell’ anatomia del cervello nei primi tempi del post-partum, al punto che

i sentimenti positivi della madre per il piccolo possono facilitare perfino una crescita dei livelli

della materia grigia nel sistema limbico della diade in amore (che è anche ciò che accade nelle

relazioni romantiche e nelle amicizie intime), con una vera e propria ristrutturazione del sé implicito

basato sull'emisfero destro, quindi anche della rappresentazione di sé e dell’altro, con una

ristrutturazione anche dei MOI (Modelli Operativi Interni) e con cambiamenti nell'autostima e

nell'esperienza corporea del mondo e della propria vita. Bisognerebbe anche dare maggiore

importanza alla qualità della voce e degli scambi vocali nella coppia, insieme alle espressioni

facciali e alle vocalizzazioni non verbali (si veda anche Mancia, 2006, 2007): tutto ciò conferma la

reciproca formazione di una comunicazione basata sul corpo (o sul corpo-mente-cervello dei due),

in uno scambio tra emisfero destro ed emisfero destro della madre col bambino (così come del

paziente con l'analista, come si vedrà meglio in seguito).

LO SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ NEL SISTEMA CORPO-MENTE-CERVELLO

Per meglio comprendere questa esperienza intersoggettiva relazionale, che è alla base dell'essere un

corpo in collegamento con un altro (da cui origina la vita), va ricordato che, come dimostrano

Tsakiris e colleghi, (2008), la giunzione temporo-parietale destra è preposta alla percezione che il

soggetto ha del proprio corpo; è all'origine della sensazione corporea del sé e dipende dallo sviluppo

delle aree corticali e subcorticali che sono influenzate dalle relazioni primarie. La giunzione

temporo-parietale destra sembra essere fondamentale nel fornire un coerente senso di sé nel corpo.

È parte di un network (che include la corteccia anteriore dell'insula) implicato nell’integrazione

multi-sensoriale delle esperienze sé-altri, che sembra necessario insieme alla corteccia mediale pre-

frontale nell’attività di mentalizzazione (Ammaniti & Gallese, 2014; Fotopoulou and Tsakiris,

2017).

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La conseguente capacità di mentalizzazione del bambino (ovvero la capacità di inferire in se stessi

e nell'altro gli stati mentali, inclusi desideri, bisogni, sentimenti e credenze rispetto a se e agli altri),

che richiede una sviluppata capacità di “saper leggere” (o avere una teoria di) la mente propria e

altrui—poco sviluppata nei soggetti con disturbo di personalità—si basa su questa primaria

sintonizzazione intersoggettiva, a partire dalla capacità del caregiver (come poi sarà del terapeuta)

di tenere a mente il bambino.

Queste stesse dinamiche neurobiologiche intersoggettive basate sul corpo sono implicate nella

regolazione affettiva degli impulsi distruttivi verso l'altro e nei futuri comportamenti antisociali e

non empatici (Schore, 2016). In particolare, le medesime aree ventromediali prefrontali (corticali)

sono decisive per lo sviluppo sociale e morale (nel senso di prosocialità e altruismo) dell'essere

umano.

Sappiamo inoltre che gli stessi neurotrasmettitori (catecolamine, serotonina, dopamina, adrenalina,

etc.) implicati nella regolazione degli affetti tra caregiver e bambino sono disfunzionali nei disturbi

di personalità (come in altri disturbi dell'umore), specialmente monoammine come la serotonina e la

dopamina, implicate nella mediazione tra emozione interna ed esterna, con l'autostima come

conseguente risposta all'ambiente. Perfino il nostro sviluppo altruistico e morale, secondo questa

visione, si basa sull'ottimale sviluppo del corpo-mente-cervello basato sull'attaccamento sicuro.

"SVILUPPO MORALE" O LA CAPACITÀ DI AMARE E DI ESSERE IN RELAZIONE

Molti studi vanno nella direzione di provare che il cosiddetto sviluppo “morale” dell'individuo

dipende fortemente da quei primi scambi, cosicché le buone cure genitoriali promuovano empatia,

comportamento prosociale e responsabilità morale (Eslinger et al., 1992; Narvaetz & Lapsley, 2009;

Anderson et al., 1999; Wei et al., 2011; Blair, 1995). Schore vede collegamenti tra la regolazione

affettiva prefrontale legata all'emisfero destro e lo sviluppo del Super-io, in termini psicoanalitici,

attorno ai 18 mesi. Questo sistema è legato alle funzioni temporali, di ritardo e di posticipo,e

all’autoregolazione della vergogna (Emde, 1985; Schore, 1994), oltre che all'empatia e all'altruismo.

In altri termini, un comportamento sociale responsabile e altruistico dipende da un sano sviluppo

delle aree frontali e prefrontali, mentre un danno in queste zone (Schore, 2016), che potrebbe

derivare dalla mancanza di un buon accudimento con costante risintonizzazione tra madre e

bambino, specie nei primi mesi di vita e nella vita prenatale, può portare a deficit nello sviluppo di

quelle aree, e quindi a mancanza di controllo di impulsi distruttivi verso il sé e verso l'altro, con

gravi conseguenze per la formazione della personalità futura, come vedremo soprattutto per le

personalità narcisistiche e antisociali.

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Entrambe queste personalità mancano della capacità di sentire l'altro e di capire gli stati mentali

propri e altri, o presentano un difetto nella capacità di identificarsi con gli altri, oppure mancano di

controllo rispetto alla tendenza di infliggere dolore o danneggiare gli altri (fino al sadismo e

all'aggressività egosintonica) (Schore, 2016; Scalabrini et al., 2017), come è evidente nelle

personalità antisociali e, in grado leggermente minore, nei narcisisti maligni (come descritti da

Kernberg). Tutte queste caratteristiche sono state formate implicitamente dallo sviluppo

interpersonale neurobiologico armonioso, oppure mancano perché il loro sviluppo è stato inficiato

nella relazione. Non vi è nulla, quindi, di totalmente innato: perfino le cosiddette "vulnerabilità", a

mio parere, sono formate epigeneticamente e, in ogni caso, sono il frutto di interrelazione con

l'ambiente, e il primo ambiente è quello relazionale e dato dell'accudimento.

Descriverò pertanto, in un continuum di gravità, come nei disturbi di personalità si vada dai disturbi

meno gravi, isterici-istrionici, più vicini all'asse nevrotico, ai più gravi, come il disturbo antisociale

di personalità, che presenta questa inquietante mancanza di sensibilità, di responsività, di empatia

con livelli di aggressività egosintonica.

Lo sviluppo della mente come sistema complesso corpo-mente-cervello, nella neuropsicologia,

implica che i livelli più concreti del corpo e dell'accudimento fisico, fino ai livelli più alti delle

decisioni morali e del comportamento attivo prosociale, dipendono ugualmente da cure parentali

/accudimento primario sensibili e sintonizzate.

PER SINTETIZZARE: MODELLO ETIOLOGICO DI SVILUPPO (SCHORE)

Il mio modello clinico (Mucci 2013, 2016, 2017 e quanto descrivo qui) è in accordo con il modello

di sviluppo, e di conseguente psicopatologia, di Allan Schore, in cui a più precoci e più intense

esperienze interpersonali traumatiche corrispondono le più gravi traumatizzazioni, in un continuum

che va dalle personalità isteriche/istrioniche (con meno gravi e meno precoci traumatizzazioni, con

migliore formazione oggettuale, che avvicina questi soggetti al continuum nevrotico) alle

personalità borderline e narcisistiche, fino alle personalità antisociali (che hanno subito i danni più

gravi e più precoci). Nella carta di sviluppo eziopatologico riportata di seguito, ho inserito le

traumatizzazioni più gravi e più precoci in ordine temporale, a partire dal prenatale o dai primi mesi

di vita, per cui le patologie vanno da quelle più gravi (antisociale, con precoce distruzione o

riduzione delle cellule dell'amigdala, che porta necessariamente a una difficile o impossibile

riparazione in terapia), alle meno gravi, che si sviluppano dopo. Il narcisismo maligno presenta

problematiche più complesse del semplice narcisismo e si avvicina, a mio parere, a quello

antisociale in quanto a eziopatogenesi. Tra i casi che seguiranno per illustrare il mio metodo clinico

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non includerò un vero e proprio caso di personalità antisociale (non solo perché non ho un vero e

proprio caso antisociale da presentare, ma perché tali soggetti per definizione non cercheranno di

curarsi, e se mai si trovassero per qualche altro tornaconto in terapia, lo farebbero appunto solo per

manipolare e per averne una qualche forma di vantaggio, non per quegli elementi di sofferenza

interiore e bisogno di migliorare il comportamento e gli aspetti di vita che di solito portano in

terapia). Per lo sviluppo di una possibile personalità antisociale, anche se è possibile una

predisposizione alla violenza e all’aggressività egosintonica, le condizioni traumatiche devono

essere state sperimentate molto presto, probabilmente in utero, nel periodo prenatale, specialmente

nell'ultimo trimestre, quando l'asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene) e l'amigdala centrale sono in un

periodo critico di maturazione (Schore, 2017a).

Schore ha chiarito (Schore, 2017a) come gli agenti stressanti relazionali della madre, ovvero livelli

disregolati di ormoni sessuali (estrogeni, testosterone), insieme a neurotossine dell'ambiente

possano alterare le funzioni della placenta e interferire con o alterare lo sviluppo dell'amigdala

centrale del bambino, con morte cellulare e stress ossidativo. Anche il grigio periacqueduttale

(PAG), implicato nella regolazione dello stress, matura nello stesso periodo. Questo sistema è

implicato in una modalità dissociativa di difesa che porta a uno shut down metabolico. Secondo

Schore, l'etiologia dello spettro del disturbo autistico origina ugualmente in questo periodo

prenatale, con alterazioni strutturali dell'amigdala destra. Va inoltre notato che anche l'insula destra

è in un periodo critico di maturazione, con le sue basilari funzioni corporee legate al sistema

nervoso autonomo; come detto, l'insula sembra essere fondamentale per la percezione enterocettiva

ed esterocettiva del corpo come connesso al sé.

La depressione postnatale materna in questo periodo, specie per le donne (come nel caso di

Dorothy, un grave caso borderline con una madre depressa e un padre abusante), se seguito da

fallimento di riparazione nella regolazione interattiva (abuso/neglect) nel periodo successivo,

creerebbe alterazioni nella traiettoria dell'emisfero destro sottocorticale. Anche qui sono impresse

difese dissociative, immagazzinate nella memoria implicita procedurale di base nell’amigdala

(come i casi attestano ampiamente).

È possibile, spiega Schore (comunicazione orale), che funzionamenti borderline di basso livello e

sviluppi alterati siano connessi a danneggiamenti dell’amigdala centrale che si forma prima, mentre

disturbi borderline di alto funzionamento dipendano dall’alterata connettività dell’amigdala

basolaterale che matura successivamente.

Inoltre, secondo Schore, in questo caso ci sono alterazioni nelle forme precoci del sé corporeo. Qui

“corporeo” si riferisce al corpo viscerale, ai muscoli lisci che sono innervati dal sistema HPA.

Predisposizioni successive sono dovute a disregolazioni delle funzioni autonome, dei sistemi di

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organi (cuore, polmoni, sistema immunitario etc.). Questo è coerente con la ricerca epidemiologica

ACE, di cui parleremo nel prossimo capitolo.

FIGURA 1.8 Modello evolutivo eziopatologico

Espandendo le spiegazioni della eziopatologia della complessa sintomatologia connessa ai disturbi

borderline di personalità, Schore spiega che nel periodo postnatale che va dai 3-9 fino ai 10 mesi, il

cingolato anteriore è in un periodo critico. Attaccamenti insicuri possono imprimere alterazioni

nella maturazione del cingolato anteriore (aree 24, 25 e 32, che sono sia simpatiche che

parasimpatiche). Alterazioni nel numero di funzioni del cingolato anteriore destro sarebbero

associate con funzioni più alte dell'emisfero destro. Questo fornirebbe un’etiologia epigenetica dei

gravi disturbi di ansia, come gli attacchi di panico. È possibile che attaccamenti insicuri ansiosi, a

differenza di quelli evitanti, possano dipendere da disregolazione del cingolato anteriore sia del

simpatico che del parasimpatico. Vi sono, in questi casi, connessioni alterate della regolazione del

cingolato anteriore dell'amigdala destra.

Nel secondo anno, bambini tra i 10-12 mesi fino ai 18 mesi, attraversano un periodo critico per le

connessioni tra vari circuiti orbitofrontali che potenzialmente controllano e regolano il cingolato e

l'amigdala; difficoltà nell'attaccamento in questo periodo sono associate alla socializzazione della

vergogna e dell'aggressività. Difficoltà nel controllo degli impulsi e nell’instabilità dell'umore sono

perciò stabiliti interpersonalmente e seguono tempi di sviluppo. In questo caso l'amigdala è intatta,

ma l'influenza delle aree orbitofrontali è debole.

Nel suo modello di circuiti orbitofrontali duali limbico-autonomi, a partire dal 1994 Schore descrive

l'attaccamento sicuro come un sistema che presenta sia efficienti circuiti simpatici che parasimpatici

orbitofrontali, mentre un attaccamento insicuro ansioso presenta iperattività del sistema simpatetico;

infine, l'insicuro evitante è caratterizzato da una iperattività dell'inibizione parasimpatica. Sono

associati con, rispettivamente, patologie esternalizzanti e internalizzanti; mentre il tipo D

(Unresolved nella AAI, Adut Attachment Interview), sotto stress, non ha accesso a nessuno dei due

sistemi, cosicché l'unica risposta è la dissociazione. Di speciale importanza sono i livelli superiori

del sistema corticale-sottocorticale, specialmente la corteccia orbitofrontale, che monitora e

controlla le risposte iniziate dagli altri sistemi del cervello ed è implicata nella selezione e

nell’inibizione attiva dei circuiti neurali associati alle risposte emotive (vedi Rule, Shimamutra &

Knight, 2002). Questo sistema prefrontale esercita una funzione esecutiva, che regola l'affetto e la

motivazione attraverso funzioni del sistema limbico (Zelazo & Muller, 2002). Gli assoni della

corteccia orbitofrontale e prefrontale mediale (Barbas et al., 2003) convergono nell’ipotalamo con i

neuroni che si proiettano verso il tronco cerebrale e i centri nevralgici autonomi.. Questo effetto

top-down può essere di natura eccitatoria o inibitoria, come vediamo nelle risposte difensive.

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Questa è la conclusione di Lanius e colleghi (2002), secondo cui le strutture prefrontali e limbiche

sono alla base di risposte dissociative negli stati post-traumatici.; anche Gundel e colleghi (2004)

suggeriscono che il cingolato anteriore destro potrebbe agire come un sistema inibitorio che regola

l’elaborazione emotiva, portando a dissociazione, con alessitimia correlata alla dimensione del

cingolato anteriore destro. Secondo Schore (Schore 2003a, 2003b), la corteccia orbitofrontale

destra, al vertice del sistema limbico, assume la funzione di controllo esecutivo dell’intero cervello

destro. In questo sistema, le aree prefrontali orbito-laterali sono specializzate nell’elaborazione di

stati emotivi negativi (Northoff et al., 2000; Schore, 2001a). Entrambi i circuiti limbici autonomi

sono organizzati attraverso esperienze di attaccamento nel primo e nel secondo anno di vita

(Schore,1994). Se c’è una maturazione ottimale del sistema prefrontolimbico, vi è la più alta

integrazione di informazioni estero- ed enterocettive nel cervello, con l’insula anteriore destra

(Craig,2004), che promuove una rappresentazione di risposte viscerali accessibili alla

consapevolezza, con un substrato sottostante di sentimenti ed emozioni (Critchley et al, 2004;

Porges, 2011).

Questa complessa articolazione di sistemi fa capire come individui con sistemi orbitofrontali

immaturi dal punto di vista dello sviluppo siano vulnerabili a patologie dissociative derivanti dal

trauma relazionale e come, sotto condizioni di stress, la disorganizzazione dei sistemi e la

dissociazione saranno le risposte difensive maggiori. Se inoltre consideriamo che il periodo della

fine del secondo anno di vita è decisivo per l'imprinting del genere (si veda anche il capitolo II),

questo sviluppo gerarchico orbitofrontale diventa il modello per l'organizzazione della futura

identità sessuale e di genere. Se, dunque, comprendiamo questo modello di sviluppo in relazione

con (e profondamente influenzato da) i modelli di identificazione radicati nell'attaccamento e

l'internalizzazione di difese e di comportamenti dei caregiver che funzionano come modelli, dentro

un’ampia rete di influenze genetiche culturali e ambientali, possiamo dedurre quanto i primi due

anni di vita siano fondamentali per la diffusione di identità sessuale e per l'acquisizione di strategie

difensive del tipo disorganizzato nel caso di trauma relazionale, maltrattamento e abuso.

Secondo il modello di Schore, i disturbi narcisistici (si veda il capitolo 7), associati a

disregolazione della vergogna, evolvono nel secondo anno (mentre i disturbi borderline nel primo).

Inoltre, c'è un deficit di regolazione interattiva nel primo anno, mentre ci sono deficit di agency e

autonomia dell’autoregolazione nel secondo anno. Il trauma dell'attaccamento (con il problema

della regolazione della vergogna) alla fine del secondo anno potrebbe interferire con l'evoluzione

delle funzioni superiori dell'emisfero destro, incluse la moralità, l'empatia e l'immaginazione.

Dovremmo considerare che le funzioni motorie del bambino, che sono minime all'inizio del primo

anno, sono intensificate con la locomozione eretta e le funzioni motorie striatali alla fine del

secondo anno di vita, da quando il bambino comincia a camminare. Il gioco libero (Rough and

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tumble play) viene intensificato nel secondo anno, con il "corpo fisico" che prende il posto del

precedente "corpo viscerale ".

Verso la metà del secondo anno, fino alla fine di questo, la crescita dell'emisfero destro cede alla

crescita dell'emisfero sinistro con l'imprinting della relazione paterna e l'emergere di capacità di

agency e autonomia.

I casi che presento qui sono per lo più di pazienti tra i 20 e i 30 anni (ad eccezione di

Elizabeth). Essi presentano un buon esempio della varietà dei più frequenti disturbi di personalità,

dall'isterico/istrionico, al borderline, al disturbo narcisistico, fino ai confini con l'antisociale e

l’ipocondriaco, con tutte le comuni caratteristiche dell'impulsività, dell'instabilità dell'umore, della

rabbia, della distruttività, fino ai disturbi psicosomatici e agli attacchi al corpo a vari livelli di

intensità. Questo continuum è in accordo con la categorizzazione diagnostica di Kernberg e

rispecchia lo stesso continuum di gravità dal nevrotico al borderline fino al confine con

l’organizzazione psicotica. Pertanto, nell'ambito dell’organizzazione borderline, andiamo dal caso

meno grave, isterico, (Ariadna, in cui discuteremo l'importanza del mirroring e del complesso della

Madre Morta), al borderline (da alto a basso funzionamento, con i casi, nell'ordine, di Bertha e di

Dorothy), in cui discuteremo dell'autolesionismo, dei disturbi alimentari, della diffusione

dell'identità sessuale e della dissociazione, fino al livello borderline del narcisismo complicato da un

asse I (depressione), nel caso di Fabian, o da gravi disturbi psicosomatici (Elizabeth), all’ipocondria

e ad alcuni tratti antisociali (John) e alla perversione sadomasochistica (Tom).

Figura 1.9 Continuum di gravità

Tutti i casi presentano livelli di somatizzazione come segno di evitamento e disconoscimento

emotivo: si va dai sintomi corporei di conversione della paziente isterica presentata per prima, alla

mancanza di emozioni dei casi di narcisismo presentati successivamente, fino alla vera e propria

reazione psicosomatica e ipocondriaca. Essi mostrano come le emozioni, per eccesso (come nei

borderline gravi che hanno problemi di controllo) o per evitamento e isolamento (nel senso della

difesa dell'evitamento come definita psicoanaliticamente), trovino la strada del corpo se non

regolate o elaborate, come accade per l'alessitimico, che non è consapevole di esse, o l'ipocondriaco,

dove il soma ha preso l'intera scena e la relazione con il mondo esterno e la capacità autoriflessiva

sono molto ridotte.

Il lato estremo dello spettro è quello più vicino alla psicosi. Sono d'accordo, pertanto, con Joyce

McDougall, quando dice che la peculiare risposta patologica che disconosce/bypassa le emozioni (e

il più delle volte coincide con l'alessitimia o l'ipocondria) condivide alcuni dei tratti psicotici a

livello del corpo.

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La figura 1.10 (griglia diagnostica) illustra i parametri che useremo per tessere questa mappa

diagnostica tra patologie del corpo e disturbi di personalità dal corpo dell'isterica al borderline, al

narcisista fino ai confini con l'antisocialità e la psicosi.

Nella prima colonna verticale consideriamo le traumatizzazioni (da agente umano, dal trauma

relazionale infantile, primo livello, al trauma dell'abuso o maltrattamento e grave deprivazione,

secondo livello, ai traumi intergenerazionali e familiari), includendo stili di attaccamento, insicuro o

disorganizzato, in alcuni casi con presenza di dissociazione. Nella seconda colonna verticale

consideriamo la diagnosi specifica del disturbo di personalità secondo il modello di Kernberg;

infine, nella terza colonna verticale, consideriamo le patologie che colpiscono il corpo direttamente,

come attacchi e comportamenti autolesionistici o disturbi alimentari o sintomi somatici, inclusi

l'abuso di alcool o altre sostanze.

Questi tre assi verticali (1. trauma e attaccamento; 2. tipo di disturbo di personalità; 3. sintomi

corporei e distruttività rivolta al corpo) si intersecano con un primo asse orizzontale, che considera

la capacità di sognare, o la presenza di incubi, o l’impossibilità di sognare, come spesso accade

negli alessitimici, e un secondo asse orizzontale, che considera l'identità sessuale o la diffusione di

identità sessuale.

FIGURA 1.10 GRIGLIA -ASSESSMENT