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Capitolo I

ELEMENTI DELLA TEORIADEGLI INSIEMI

I.1 OPERAZIONI E NOTAZIONI

Useremo il termine insieme nel suo significato intuitivo cioe quello di collezione dielementi sulla natura dei quali non si fa nessuna ipotesi a priori. Invece di insiemeuseremo nello stesso senso le parole classe, famiglia, spazio; quest’ultimo termineverra usato, di preferenza, per insiemi dotati di qualche struttura (struttura lineare,struttura metrica, struttura topologica).

Indicheremo gli insiemi con lettere maiuscole (dell’alfabeto latino o greco) mentrecon lettere minuscole indicheremo gli elementi di un insieme.

Se X e un insieme e x e un elemento di X scriveremo

x ∈ X

da leggersi “x appartiene a X”. Se invece “x non appartiene all’insieme X” scrive-remo

x 6∈ X .

Se A e B sono due insiemi diremo che A e contenuto in B, oppure B contieneA, se ogni elemento di A e anche elemento di B. In simboli

A ⊂ B oppure B ⊃ A .

Diremo, con lo stesso significato, che A e un sottoinsieme di B (o una partedi B).

Se invece A non e contenuto in B (B non contiene A) scriveremo

A 6⊂ B oppure B 6⊃ A

Ad esempio l’insieme dei triangoli di un piano π e contenuto nell’insieme deipoligoni del piano π, l’insieme dei quadrati e contenuto in quello dei quadrilateri, . . .

Diremo che A e B sono uguali e scriveremo

A = B

1

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2 Capitolo I. Teoria degli insiemi

se avviene che

A ⊂ B e B ⊂ A

Indichiamo con ∅ l’insieme vuoto.Si chiama unione di due insiemi A e B l’insieme degli elementi che appartengono

ad uno almeno degli insiemi A e B. Questo insieme e indicato con il simbolo

A ∪B

Si chiama intersezione di due insiemi A e B l’insieme degli elementi che appar-tengono sia ad A che a B. Questo insieme e indicato con il simbolo

A ∩B

Se A e B non hanno elementi in comune si dicono disgiunti, in tal caso

A ∩B = ∅ .

Si chiama differenza di due insiemi B ed A e si indica con il simbolo

B − A

l’insieme degli elementi di B che non appartengono ad A.

A ∪B

A B

A ∩B

A B

B − A

A B

Se A e contenuto in B la differenza B − A si chiama anche complementare di Arispetto a B e si indica con il simbolo

{B A .

Siano A, B, C degli insiemi. Le seguenti proposizioni sono pressoche ovvie.

A ∪B = B ∪ A (I.1.1)

A ∩B = B ∩ A (I.1.2)

A ∪ ∅ = A e A ∩ ∅ = ∅ (I.1.3)

(A ∪B) ∪ C = A ∪ (B ∪ C) (I.1.4)

(A ∩B) ∩ C = A ∩ (B ∩ C) (I.1.5)

A ∩ (B ∪ C) = (A ∩B) ∪ (A ∩ C) (I.1.6)

A ∪ (B ∩ C) = (A ∪B) ∩ (A ∪ C) (I.1.7)

C − (A ∪B) = (C − A) ∩ (C − B) (I.1.8)

C − (A ∩B) = (C − A) ∪ (C − B) (I.1.9)

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I.1. Operazioni e notazioni 3

Le proposizioni (I.1.4) e (I.1.5) ci autorizzano a scrivere, senza pericolo di equivoco,A ∪B ∪ C e A ∩B ∩ C in luogo di (A ∪B) ∪ C e (A ∩B) ∩ C. Piu in generale, seA1, A2, . . . , An sono n insiemi si pone per definizione

n⋃i=1

Ai = A1 ∪ A2 ∪ . . . ∪ An

n⋂i=1

Ai = A1 ∩ A2 ∩ . . . ∩ An

dove le “unioni” e “intersezioni” che figurano a secondo membro possono essereeseguite in un ordine qualunque. Con queste notazioni le proposizioni (I.1.8) e(I.1.9) si enunciano, piu in generale, cosı

C −n⋃i=1

Ai =n⋂i=1

(C − Ai) (I.1.10)

C −n⋂i=1

Ai =n⋃i=1

(C − Ai) (I.1.11)

Con il simbolo{a, b, . . . , k}

indichiamo l’insieme costituito dagli elementi a, b, . . . , k. In particolare {a} indical’insieme costituito dal solo elemento a.

Sia X un insieme e p(x) una proposizione definita su X; cio significa che perogni x ∈ X la proposizione p(x) e vera oppure e falsa. Con il simbolo

{x : x ∈ X, p(x)} oppure {x | x ∈ X, p(x)}

indichiamo il sottoinsieme di X costituito dagli elementi x che rendono vera p(x).Piu in generale

{x : x ∈ X, p(x), q(x), . . . , r(x)}indica l’insieme degli elementi x ∈ X che rendono vere p(x), q(x), . . . , r(x). E’evidente che

{x : x ∈ X, p, q} = {x : x ∈ X, p} ∩ {x : x ∈ X, q} .

Vediamo qualche esempio. Indichiamo con N, Z, Q, R rispettivamente gli insiemidei numeri naturali 1, dei numeri interi, dei numeri razionali, dei numeri reali; allora

{x : x ∈ N, x pari}{x : x ∈ Z, x positivo}{x : x ∈ Q,

1

2< x < 1

}{x : x ∈ R, x2 − 1 = 0

}1N = {0, 1, 2, . . . , n, . . . } , Z = { . . . ,−3,−2,−1, 0, 1, 2, 3, . . . ; } .

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4 Capitolo I. Teoria degli insiemi

indicano rispettivamente l’insieme dei numeri naturali che sono pari ossia i numeri0, 2, 4, 6, . . . ; l’insieme degli interi positivi ossia +1, +2, +3, . . . ; l’insieme deinumeri razionali che sono maggiori di 1/2 e minori di 1 ; l’insieme costituito dainumeri reali -1 e 1.

* * *

Consideriamo queste due proposizioni definite su R

p(x) : x e maggiore di 1

q(x) : x e maggiore di 2

E’ chiaro che se q(x) e vera allora e vera anche p(x). Si esprime questo fatto conil simbolo

q ⇒ p (I.1.12)

da leggersi “q implica p” oppure “da q segue p”. Se vale la relazione (I.1.12)si dice anche che “condizione necessaria affinche valga q e che valga p” oppureche “condizione sufficiente perche valga p e che valga q”. Il simbolo di doppiaimplicazione

q ⇔ p (I.1.13)

esprime il fatto che le proposizioni q e p sono equivalenti cioe se e vera q allora e veraanche p e viceversa. Ad esempio sono equivalenti queste due proposizioni definitesu R

p(x) : −2 < 2x < 2

q(x) : −1 < x < 1

Se p e q sono proposizioni equivalenti si dice anche che “condizione necessaria esufficiente perche valga p [ q ] e che valga q [ p ]”.

Quando dimostriamo un teorema non facciamo altro che dimostrare una im-plicazione (q ⇒ p); q e l’ipotesi e p e la tesi. Talvolta un teorema si enunceracome equivalenza tra due proposizioni (q ⇔ p); si trattera in questo caso di sintesiespositiva di due distinti teoremi

q ⇒ p e p⇒ q

E’ ovvia la proprieta transitiva dell’implicazione:

se p⇒ q ⇒ r allora p⇒ r

ed e evidente che se p(x) e q(x) sono due proposizioni, definite sullo stesso insiemeX, allora

da p⇒ q segue che {x : x ∈ X, p(x)} ⊂ {x : x ∈ X, q(x)}da p⇔ q segue che {x : x ∈ X, p(x)} = {x : x ∈ X, q(x)}

A titolo di esempio analizziamo la risoluzione dell’equazione algebrica√

1 + x+ x = 1 (I.1.14)

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I.1. Operazioni e notazioni 5

Risolvere questa equazione, nell’ambito dei numeri reali, significa trovare i numerireali x che rendono vera la proposizione

p(x) :√

1 + x+ x = 1

La proposizione p non e definita su tutto R ma solo sull’insieme dei numeri reali xtali che 1+x ≥ 0. Indichiamo con R∗ questo insieme. Si tratta allora di determinarel’insieme

{x : x ∈ R∗, p(x)}

Consideriamo queste proposizioni (tutte definite su R∗)

q(x) :√

1 + x = 1− xr(x) : 1 + x = (1− x)2

s(x) : x2 − 3x = 0

Poiche abbiamo queste implicazioni

p(x)⇔ q(x)⇒ r(x)⇔ s(x)

ne segue chep(x)⇒ s(x)

e quindi{x : x ∈ R∗, p(x)} ⊂ {x : x ∈ R∗, s(x)} = {0, 3} .

I numeri reali che rendono vera l’uguaglianza (I.1.14) possono essere x = 0 e x = 3.Una banale verifica mostra che solo x = 0 risolve l’equazione (I.1.14); in simboli

{x : x ∈ R∗, p(x)} = {0}

Osserviamo che se in luogo di r(x) e s(x) consideriamo queste due proposizioni

r1(x) : 1 + x = (1− x)2 e x ≤ 1

s1(x) : x2 − 3x = 0 e x ≤ 1

allora si ha la catena di doppie implicazioni

p(x)⇔ q(x)⇔ r1(x)⇔ s1(x)

e quindi{x : x ∈ R∗, p(x)} = {x : x ∈ R∗, s1(x)} = {0} .

Se p e una proposizione definita su un insieme X la negazione di p e unaproposizione, definita su X, che si indica con “non p” oppure /p.

Risultanon non p = p

e (principio del terzo escluso)

[p(x) e vera] ⇐⇒ [non p(x) e falsa]. (I.1.15)

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6 Capitolo I. Teoria degli insiemi

Ne segue che, se p e q sono due proposizioni,

[p⇒ q e vera] ⇐⇒ [/q ⇒ /p e vera]. (I.1.16)

Infatti se p ⇒ q e vera, e supponiamo che sia vera /q, allora p non puo esserevera perche sarebbe vera anche q in contraddizione con il principio del terzo escluso.Dunque e vera /p e quindi e vero anche /q ⇒ /p. Viceversa, se /q ⇒ /p e vera, non /p⇒non /q e vera, ossia p⇒ q e vera.

Altri simboli logici che useremo nel seguito sono

∃ (esiste almeno un) e ∀ (per ogni)

Adopereremo questi simboli come abbreviazioni stenografiche delle frasi scritte fraparentesi.

I.2 PRINCIPIO DI INDUZIONE

Si e osservato che un teorema matematico ha questo schema logico: si hanno dueproposizioni p (ipotesi) e q (tesi) e si vuol dimostrare che

p⇒ q

In generale non esiste un modo unico per arrivare al risultato; ci sono pero deglischemi logici abbastanza costanti che noi seguiamo nel nostro ragionamento. Neelenchiamo alcuni dei piu comuni.Dimostrazione diretta: si costruisce una catena di proposizioni p1, p2, . . . , pk inmodo tale che

p⇒ p1 ⇒ p2 ⇒ · · · ⇒ pk ⇒ q .

Allora, per la proprieta transitiva,

p⇒ q

Dimostrazione per assurdo: attraverso una catena di implicazioni si prova che /q ⇒ /p.Ne deduciamo, per quanto si e visto precedentemente, che p⇒ q.Dimostrazione per induzione: e una dimostrazione nella quale si fa uso del seguenteprincipio, detto appunto principio di induzione.Sia p(n) una proposizione definita sull’insieme N dei numeri naturali e supponiamoche:

1. p(0) e vera

2. ∀n ∈ N, p(n)⇒ p(n+ 1)

allora p(n) e vera per ogni n ∈ N.Osserviamo che il principio di induzione si enuncia, con evidenti modifiche forma-

li, anche nel caso in cui la proposizione p(n) sia definita non su tutto N ma solo suinumeri naturali a partire da un certo k in poi. Infatti ci si riconduce alla situazioneprecedente sostituendo p(n) con la proposizione q(n) definita in questo modo:

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I.2. Principio di induzione 7

q(n) = p(n+ k) ∀n ∈ N

Diamo qualche semplice esempio di dimostrazione per induzione:

Esempio 1 - Per ogni numero naturale n ≥ 1 risulta

1 + 2 + . . .+ n =n (n+ 1)

2(I.2.1)

Dim. - Indichiamo con N∗ l’insieme costituito dai numeri naturali 1, 2, 3, . . .

N∗ = N − {0}

e indichiamo con p(n) la proposizione, definita su N∗

p(n) : 1 + 2 + . . .+ n =n (n+ 1)

2

Allora

1. p(1) e vera in quanto

1 =1 (1 + 1)

2

2. se n ≥ 1 e se p(n) e vera, anche p(n+ 1) e vera. Infatti

1 + 2 + . . .+ (n+ 1) = [1 + 2 + . . .+ n] + (n+ 1)

=n (n+ 1)

2+ (n+ 1) =

(n+ 1) (n+ 2)

2

Ne segue, per il principio di induzione, che p(n) e vera ∀n ≥ 1.

Esempio 2 - Siano n e k due numeri naturali con k ≤ n; definiamo i simboli n!(fattoriale di n) e

(nk

)nel seguente modo 2

{0! = 1n! = 1 · 2 · · ·n se n ≥ 1

(I.2.2)

(n

k

)=

n!

k! (n− k)!. (I.2.3)

Si verifica facilmente che(n

0

)=

(n

n

)= 1 ∀n ∈ N (I.2.4)

2Osserviamo che(n

0

)= 1 ∀n ∈ N mentre, se k ≥ 1,

(n

k

)=

n (n− 1) . . . (n− k + 1)

k!.

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8 Capitolo I. Teoria degli insiemi(n

k − 1

)+

(n

k

)=

(n+ 1

k

)∀n ∈ N e k ≥ 1 . (I.2.5)

Cio posto dimostriamo per induzione che:se a e b sono numeri reali, per ogni n ∈ N vale la formula di Newton

(a+ b)n =n∑k=0

(n

k

)akbn−k =

(n

0

)bn +

(n

1

)bn−la+ . . .+ +

(n

n

)an (I.2.6)

L’uguaglianza (I.2.6) e vera per n = 0 in quanto

1 = (a+ b)0 =

(0

0

)a0b0

Supponiamo che (I.2.6) sia vera per un certo n e dimostriamo che essa e vera ancheper n+ 1:

(a+ b)n+1 = (a+ b)(a+ b)n = (a+ b)n∑k=0

(n

k

)akbn−k =

=n∑k=0

(n

k

)ak+1bn−k +

n∑k=0

(n

k

)akbn−k+1 =

=n+1∑k=1

(n

k − 1

)akbn+1−k +

n∑k=0

(n

k

)akbn−k+1 =

=

(n

n

)an+1 +

n∑k=1

[(n

k − 1

)+

(n

k

)]akbn+1−k +

(n

0

)bn+1 =

=

(n+ 1

n+ 1

)an+1 +

n∑k=1

(n+ 1

k

)akbn+1−k +

(n+ 1

0

)bn+1 =

=n+1∑k=0

(n+ 1

k

)akbn+1−k

Ne segue, per il principio di induzione, che la formula (I.2.6) e vera per ognin ∈ N.

I.3 PRODOTTO CARTESIANO DI INSIEMI

Dati due insiemi A e B si chiama prodotto (cartesiano) di A per B e si indica conA×B l’insieme di tutte le coppie (a, b) ove a ∈ A e b ∈ B. Si osservi che in generaleA×B e diverso da B × A.

Ad esempio, se

A = {1, 2, 3} , B = {2, 4}

allora

A×B = {(1, 2), (1, 4), (2, 2), (2, 4), (3, 2), (3, 4)}

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I.4. Applicazioni 9

mentre

B × A = {(2, 1), (2, 2), (2, 3), (4, 1), (4, 2), (4, 3)}

Piu in generale, se abbiamo n insiemi A1, A2, . . . , An chiamiamo prodottocartesiano di questi insiemi (considerati nell’ordine) e lo indichiamo con

A1 × A2 × . . . An oppuren∏i=1

Ai

l’insieme di tutte le n-ple (a1, a2, . . . , an) ove ai ∈ Ai (i = 1, 2, . . . , n). Se A1 = A2 =. . . = An = A, scriveremo anche An in luogo di A×A× . . .×A n volte. Ad esempiocon R2, R3, . . . , Rn indichiamo l’insieme delle coppie, delle terne, . . . , delle n-pledi numeri reali.

I.4 APPLICAZIONI

Un concetto che useremo frequentemente nel corso del nostro studio e quello diapplicazione o funzione.

Definizione I.4.1. Siano A e B due insiemi 3 : si chiama applicazione (o funzione)di A in B ogni legge che ad ogni elemento x ∈ A associa un elemento y di B ed unosolo.

Si dice che A e l’insieme di definizione della f e che f e una applicazione definitain A a valori in B. 4 Esprimeremo questo fatto scrivendo

f : A→ B oppure Af→ B (I.4.1)

Se x e un elemento di A, indichiamo con f(x), oppure f x, l’elemento di B checorrisponde a x mediante f e in luogo delle (I.4.1) scriviamo anche

f = {x→ f(x), x ∈ A} . (I.4.2)

f(x) si chiama immagine di x mediante f . In generale, se X e un sottoinsieme diA si chiama immagine di X mediante f l’insieme f(X) cosı definito

f(X) = {f(x) : x ∈ X} .

In particolare, f(A) si chiama immagine di f . Vediamo qualche esempio:

1. Sia A = N, B = N, f(n) = 2n.

f e una applicazione di N in N che ha come immagine l’insieme dei numerinaturali pari

f(N) = {0, 2, 4, 6, . . .} .3Qui e nel seguito sottintendiamo, salvo esplicito avviso contrario, che gli insiemi considerati

non siano l’insieme vuoto.4Talvolta si dice anche che A e il dominio di f e B e il codominio di f .

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10 Capitolo I. Teoria degli insiemi

2. Sia A = {x : x ∈ R, x ≥ −1}, B = R, f(x) =√

1 + x.

f e una applicazione di A in R che ha come immagine l’insieme dei numerireali non negativi:

f(A) = {y : y ∈ R, y ≥ 0} .

3. Consideriamo due insiemi A e B e il loro prodotto cartesiano A × B. Leapplicazioni

πA : A×B → A, πA(a, b) = a

πB : A×B → B, πB(a, b) = b

(cioe le applicazioni che ad una generica coppia (a, b) ∈ A × B associanorispettivamente l’elemento a ∈ A e l’elemento b ∈ B) hanno come immaginerispettivamente tutto A e tutto B. Esse si chiamano le proiezioni di A × Bsul fattore A e sul fattore B.

4. Sia A un insieme, l’applicazione

IA : A→ A, IA(x) = x

(cioe l’applicazione che ad ogni x ∈ A fa corrispondere x stesso) ha comeimmagine tutto A. Essa si chiama applicazione identica su A.

5. Se A ⊂ B si chiama immersione, o iniezione canonica, di A in B l’applicazionef : A→ B definita da f(x) = x.

Osserviamo che se f e una applicazione di A in B, ad elementi distinti di A la f puoassociare in B lo stesso elemento. Caso limite e quello di una applicazione costantela quale ad ogni x ∈ A fa corrispondere in B sempre lo stesso elemento; in simboli

∃y ∈ B tale che f(x) = y ∀x ∈ A .

Osserviamo inoltre che la scelta del codominio per una funzione f e largamentearbitraria in quanto se f : A → B e C ⊃ B allora f e anche una applicazione diA in C. Si dice che l’applicazione f : A → B e surgettiva, oppure che f e unaapplicazione di A su (su tutto, sopra) B, se

f(A) = B ;

in tal caso ogni elemento di B e immagine mediante f di qualche elemento di A. Sidice che l’applicazione f : A→ B e iniettiva se ogni elemento di f(A) e immaginemediante f di un solo elemento di A. Infine una applicazione f : A → B si dicebigettiva se f e contemporaneamente iniettiva e su. In tal caso si dice anche che fe una bigezione, oppure che f e una applicazione biunivoca.

Ad esempio la funzione

f : R→ R , f(x) = x2

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I.4. Applicazioni 11

ha come immagine l’insieme dei numeri reali non negativi

f(R) = R+◦ = {x : x ∈ R, x ≥ 0}

quindi non e una applicazione di R su R; invece e una applicazione di R su R+◦ .

Inoltre f non e iniettiva perche ogni elemento y ∈ f(R) = R+◦ (tranne 0) e immagine

di due numeri reali:√y e −√y. Consideriamo invece la funzione

g : R − {0} → R − {0} , g(x) =1

x,

Questa applicazione e su ed e iniettiva in quanto

x1 6= x2 ⇐⇒1

x1

6= 1

x2

, ∀x1, x2 ∈ R − {0} .

Quindi, secondo la terminologia introdotta piu sopra, g e una bigezione di R − {0}su R − {0}.

Due insiemi A e B fra i quali esista una bigezione si dicono equipotenti.Un insieme A equipotente all’insieme N dei numeri naturali si dice numerabile.Un insieme A equipotente a un sottoinsieme di N del tipo {1, 2, . . . , k} si dice

finito.Per i postulati della geometria relativi alla retta e al piano risultano insieme

equipotenti:

1. l’insieme dei numeri reali R e l’insieme dei punti di una retta;

2. l’insieme R2 costituito dalle coppie ordinate di numeri reali e l’insieme deipunti di un piano (si fissa un riferimento cartesiano ortogonale).

Sono insiemi numerabili (cioe equipotenti a N)

1. l’insieme Z dei numeri interi;

2. l’insieme Q dei numeri razionali;

3. l’insieme costituito dai numeri naturali pari (dispari);

4. l’insieme del numeri interi maggiori di un intero x0 fissato;

5. l’unione di un numero finito di insiemi numerabili.

Sia f una applicazione diA inB e siaX un sottoinsieme diA si chiama restrizionedi f ad X l’applicazione g : X → B definita in questo modo

g(x) = f(x) , ∀x ∈ X ;

la restrizione di f ad X verra indicata con il simbolo f|X5 . Siano f una applica-

zione di A in X, g una applicazione di B in X e sia A ⊂ B. Si dice che g e unprolungamento di f a B se

g|A = f ,

5Molte volte si continuera a scrivere f in luogo di f|X .

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12 Capitolo I. Teoria degli insiemi

in altri termini se

∀x ∈ A e g(x) = f(x) .

Si chiama grafico di una applicazione f : A → B il sottoinsieme di A × Bcostituito da tutte le coppie (x, f(x)) dove x ∈ A. Se indichiamo con Gf il graficodi f , si ha in simboli

Gf = {(x, f(x)) : x ∈ A}

Gf e un sottoinsieme di A×B che ha questa particolare proprieta:

(i) Per ogni x ∈ A esiste uno e uno solo y ∈ B tale che la coppia (x, y) ∈ Gf .

Viceversa ogni sottoinsieme G ⊂ A×B che gode della proprieta (i) e grafico di unaapplicazione ben determinata e precisamente dell’applicazione f : A → B che adogni x ∈ A associa quell’unico y ∈ B tale che (x, y) ∈ G.

Se indichiamo con G l’insieme costituito dai sottoinsiemi di A×B che hanno laproprieta (i) e con F(A,B) l’insieme di tutte le applicazioni A → B 6 , da quantosi e detto piu sopra segue che G ed F sono insiemi equipotenti. Come conseguenza,sono insiemi equipotenti anche

F e {(A,G) : G ∈ F} .

Questa osservazione serve a collegare la definizione di applicazione da noi data conquella che il lettore ha incontrato nel corso di Algebra.

Nel caso particolare che A sia un sottoinsieme di R ed f una applicazione di Ain R 7 allora Gf e un sottoinsieme di R2. Fissiamo su un piano π un riferimentocartesiano ortogonale e consideriamo la bigezione di R2 su π che ad ogni coppia dinumeri (x, y) ∈ R2 associa il punto P ∈ π che ha per coordinate x e y . AlloraGf viene ad avere su π una certa immagine che noi possiamo “visualizzare con unafigura”. Analogo discorso si puo ripetere per le applicazioni R2 → R.

Per esempio una affermazione come questa: “il grafico dell’applicazione identicaIR : R→ R e la bisettrice del I e III quadrante” ha questo significato:

IR e l’applicazione che ad ogni x reale associa x stesso

IR(x) = x ∀x ∈ R ,

quindi il grafico di questa applicazione e l’insieme G ⊂ R2 costituito dalle coppie(x, x) con x ∈ R. Se noi fissiamo su un piano un riferimento cartesiano ortogonalee consideriamo l’insieme dei punti P di coordinate (x, x), cioe dei punti che hannol’ordinata uguale all’ascissa, questo insieme di punti e la retta bisettrice del I e IIIquadrante.

6L’insieme delle applicazioni di A in B si indica talvolta con il simbolo BA.7Si dice che f e una funzione reale di una variabile reale.

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I.5. Composizione di applicazioni 13

P

x

x

O

Naturalmente non ripeteremo tutta questa spiegazione ogni volta che si tratteradi tracciare un grafico. L’importante e che siano chiare le convenzioni che sono allabase dei nostri discorsi.

I.5 COMPOSIZIONE DI DUE APPLICAZIONI

Siano A, B e C tre insiemi (non necessariamente diversi) e siano f e g due applica-zioni, rispettivamente

f : A→ B e g : B → C .

x

f(x)

g(f(x))

A B C

f g

g ◦ f

Ad ogni x ∈ A l’applicazione f associa un elemento f(x) ∈ B; a questo f(x)l’applicazione g associa l’elemento g(f(x)) ∈ C. L’applicazione A→ C

x→ g(f(x)) , x ∈ A

si chiama applicazione composta di f e g e si indica con il simbolo g ◦ f .E’ da sottolineare il fatto che per poter parlare di applicazione composta g ◦ f e

necessario che l’immagine di f sia contenuta nel dominio di g:

f(A) ⊂ B .

Vediamo qualche esempio:Esempio 1 - Consideriamo le funzioni

f : R→ R+ , f(x) = x2 + 1g : R+ → R+ , g(x) =

√x

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14 Capitolo I. Teoria degli insiemi

allorag ◦ f : R→ R+ , g ◦ f(x) =

√x2 + 1

Esempio 2 - Consideriamo le due funzioni

f : R→ R , f(x) = x+ 1g : R+ → R+ , g(x) =

√x

Poiche l’immagine di f e tutto R

f(R) = R

mentre g e definita solo su R+, non e possibile considerare la funzione compostag ◦ f .

I.6 APPLICAZIONE INVERSA

Sia f una applicazione A → B, bigettiva; quindi f(A) = B e ogni elemento y ∈ Be immagine secondo f di un solo elemento x ∈ A. In altri termini, per ogni y ∈ Besiste uno e uno solo x ∈ A tale che

f(x) = y .

Consideriamo l’applicazione B → A che ad ogni elemento y ∈ B associa quell’unicoelemento x ∈ A tale che f(x) = y. Questa applicazione si chiama applicazioneinversa della f e si indica con f−1.f−1 e una applicazione di B su A bigettiva e le relazioni che legano f e f−1 sonoqueste 8

f−1 ◦ f = IA ( identita su A ) (I.6.1)

f ◦ f−1 = IB ( identita su B ) (I.6.2)

(f−1)−1 = f . (I.6.3)

Queste relazioni sono immediata conseguenza della definizione di applicazione in-versa.

Le applicazioni invertibili (cioe che ammettono l’inversa) sono soltanto quellebigettive. Si puo osservare pero che ogni applicazione f : A→B e una applicazionedi A su f(A); quindi, a meno di sostituire il codominio B con f(A), la condizioneveramente essenziale perche f sia invertibile e che f sia iniettiva.

* * *

8Le relazioni (I.6.1) e (I.6.2) si possono esprimere anche in questo modo

f−1(f(x)) = x ∀x ∈ A ,

f(f−1(y)) = y ∀y ∈ B .

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Capitolo II

PROPRIETA’ DELL’INSIEME RDEI NUMERI REALI

Scopo di questo capitolo non e quello di dare una costruzione dei numeri reali masoltanto di elencare quelle che sono le proprieta caratterizzanti in modo da avere nelseguito un riferimento sicuro.

Il lettore avra modo di approfondire nel corso di Algebra tutti i concetti cuiaccenneremo in questo capitolo.

Si puo osservare che assumendo come assiomi relativi ad R il fatto che R e uncorpo commutativo, ordinato, archimedeo, ed e un continuo (cioe quelle proprieta diR che noi elencheremo nei paragrafi che seguono) si ha una “definizione assiomatica”dell’insieme dei numeri reali.

II.1 R E’ UN CORPO COMMUTATIVO (CAM-

PO)

Sia A un insieme, si chiama legge di composizione in A ogni applicazione f : A×A→A, cioe ogni applicazione, definita in A × A, la quale ad ogni coppia di elementi diA associa un elemento di A.

Nell’insieme dei numeri reali R abbiamo due leggi di composizione, la somma eil prodotto, che indichiamo rispettivamente con i simboli + e · . Se (x, y) e unacoppia di numeri reali e consuetudine scrivere

x+ y in luogo di +(x, y)x · y in luogo di ·(x, y)

e quando non c’e pericolo di equivoco omettiamo anche il segno · tra i numeri x ey.

Queste due leggi di composizione verificano, come e noto, le seguenti proprieta.(i1) La somma e associativa:

x+ (y + z) = (x+ y) + z, ∀x, y, z ∈ R .

(i2) Esiste un elemento neutro, lo 0, il quale e caratterizzato dalla proprieta

x+ 0 = x , ∀x ∈ R .

15

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16 Capitolo II. I numeri reali

(i3) Per ogni x ∈ R esiste l’elemento opposto −x il quale e caratterizzato dallaproprieta

x+ (−x) = 0 .

(i4) E’ commutativa:x+ y = y + x, ∀x, y ∈ R .

In linguaggio algebrico si sintetizzano queste proprieta dicendo che “R con la leggedi composizione + e un gruppo commutativo il quale ha come elemento neutro (oidentita) lo zero”.

(j1) Il prodotto e associativo:

x · (y · z) = (x · y) · z ∀x, y, z ∈ R .

(j2) Esiste un elemento neutro, il numero 1, il quale e caratterizzato dalla proprieta

x · 1 = x ∀x ∈ R .

(j3) Per ogni x ∈ R − {0} esiste l’elemento reciproco 1x

il quale e caratterizzato dallaproprieta

x · 1

x= 1 .

(j4) Il prodotto e commutativo:

x · y = y · x ∀x, y ∈ R .

(j5) Il prodotto e distributivo rispetto alla somma:

x · (y + z) = x · y + x · z x, y, z ∈ R .

In linguaggio algebrico sintetizziamo le proprieta (j1), . . ., (j4) dicendo che “R−{0}con la legge di composizione · e un gruppo commutativo che ha come elementoneutro (o identita) i1 numero 1”.

L’insieme R con le leggi di composizione + e · le quali godono le proprietasopra elencate, costituisce quello che in Algebra si chiama un “corpo commutativo”o “campo”.

Come conseguenza della proprieta associativa della somma e del prodotto si puoscrivere

x+ y + z in luogo di x+ (y + z)x · y · z in luogo di x · (y · z)

Dalle proprieta sopra elencate della somma e del prodotto segue facilmente la veritadelle seguenti proposizioni:

(a) −(−x) = x ∀x ∈ R ,

(b)11x

= x ∀x ∈ R − {0} ,

(c) −(x+ y) = (−x) + (−y) ∀x, y ∈ R ,

(d)1

x · y=

1

x· 1

y∀x, y ∈ R − {0} ,

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II.2. R e un corpo ordinato 17

(e) x · 0 = 0 · x = 0 ∀x ∈ R ,

(f) x · (−y) = −(x · y) ∀x, y ∈ R ,

(g) (−x) · (−y) = x · y ∀x, y ∈ R .

A titolo di esempio dimostriamo la proposizione (a) e proponiamo al lettore ladimostrazione delle altre.Dim. di (a): sia x un numero reale, allora

xi2= x+0

i3= x+[(−x) + (−(−x))]i1= (x+(−x))+(−(−x))

i3= 0+(−(−x))i2= −(−x))

Le proposizioni (a), . . . , (g) costituiscono le regole formali del calcolo con inumeri reali; e importante il fatto che esse sono tutte conseguenza delle proprietadi corpo dello insieme R .

Osserviamo che e consuetudine scrivere

x− y in luogo di x+ (−y)

x : y oppure xy

in luogo di x · 1y

x− y si chiama differenza dei numeri reali x e y; per definizione x− y e uguale allasomma di x e dell’opposto di y. x : y (x diviso y) si chiama quoziente dei numeri realix e y; per definizione x : y e il prodotto di x per il reciproco di y. Tale operazione epossibile ogni qual volta esiste il reciproco di y, quindi per ogni y ∈ R − {0}.

Le proprieta delle applicazioni

R× R→ R : (x, y)→ x − y

R× (R − {0})→ R : (x, y)→ x : y

sono immediata conseguenza della definizione e delle proprieta della somma e delprodotto.

II.2 R E’ UN CORPO ORDINATO

Sia A un insieme e sia R una relazione tra coppie di elementi x, y ∈ A 1 (nonnecessariamente fra tutte le coppie di elementi di A). Per esprimere il fatto che x ey verificano la relazione R scriviamo

xRy

L’insieme costituito da tutte le coppie (x, y) che verificano la relazione R e unsottoinsieme di A×A. Viceversa, dato un insieme B ⊂ A×A resta individuata unarelazione binaria su A e precisamente la relazione R tale che xRy ⇔ (x, y) ∈ B.Per questo motivo alcuni autori affermano, piu brevemente, che una relazione R traelementi di A e un sottoinsieme di A× A.

1Una relazione binaria sull’insieme A.

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18 Capitolo II. I numeri reali

Sia R una relazione binaria sull’insieme A; diremo che

R e riflessiva se xRx ∀x ∈ A (II.2.1)

R e simmetrica se xRy ⇒ yRx ∀x, y ∈ A (II.2.2)

R e transitiva se xRy e yRz ⇒ xRz ∀x, y, z ∈ A (II.2.3)

R e antisimmetrica se xRy e yRx ⇒ x = y ∀x, y ∈ A (II.2.4)

Una relazione binaria R sull’ insieme A che sia riflessiva, simmetrica e transitivasi chiama relazione di equivalenza e si indica con il simbolo ∼.

Una relazione binaria R sull’ insieme A che sia riflessiva, antisimmetrica e tran-sitiva si chiama relazione d’ordine parziale o semiordinamento e si indica talvoltacon il simbolo �; in questo caso

x � y significa y � x

x ≺ y significa x � y e x 6= y

x � y significa y ≺ x

Ne segue che, se � e un semiordinamento su A, anche � e un semiordinamento suA.

La relazione R si dice ordinamento se R e un semiordinamento e inoltre per ognicoppia di elementi x, y ∈ A si ha che xRy oppure yRx. 2

Se A e un insieme e R e un ordinamento su A, diremo che A e un insieme ordinato.L’insieme dei numeri reali R con la relazione d’ordine ≤ (minore o uguale) e

un insieme ordinato, infatti la relazione d’ordine ≤ e

(i1) riflessiva: x ≤ x ∀x ∈ R ,

(i2) antisimmetrica: x ≤ y e y ≤ x ⇒ x = y ,

(i3) transitiva: x ≤ y e y ≤ z ⇒ x ≤ z

(i4) per ogni coppia di numeri reali x e y avviene che x ≤ y oppure che y ≤ x.

Quindi R e un corpo con le leggi di composizione + e · ; inoltre e un insiemeordinato con la relazione d’ordine ≤ . Di piu, le leggi + e · e la relazione d’ordine≤ sono legate dalle seguenti proposizioni

(i5) x ≤ y ⇒ x+ z ≤ y + z ∀x, y, z ∈ R,

(i6) 0 ≤ x e 0 ≤ y ⇒ 0 ≤ x · y.

Si esprime questo fatto dicendo che “R e un corpo ordinato”. Da questa pro-prieta dell’insieme R segue la verita delle proposizioni che ora enunceremo e checostituiscono le regole formali del calcolo delle disuguaglianze.

2Osserviamo a questo proposito che la nomenclatura del testo non e seguita da altri autori.Alcuni ad esempio chiamano ordinamento e ordinamento totale quello che noi abbiamo chiamatosemiordinamento ed ordinamento.

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II.2. R e un corpo ordinato 19

(a) x ≤ 0 =⇒ −x ≥ 0,

(b) 0 ≤ x e 0 ≥ y =⇒ x · y ≤ 0,

(c) 0 ≥ x e 0 ≥ y =⇒ x · y ≥ 0,

(d) x ≤ y e z ≥ 0 =⇒ x · z ≤ y · z,

(e) x ≤ y e z ≤ 0 =⇒ x · z ≥ y · z,

(f) x > 0 =⇒ 1

x> 0, x < 0 =⇒ 1

x< 0,

(g) 0 < x ≤ y =⇒ 1

y≤ 1

x.

Queste proposizioni si possono enunciare anche con < e > in luogo di ≤ edi ≥ .Dim. di (a) : Tenuto conto di (i5) da x ≤ 0 segue che

x− x ≤ 0− x

0 ≤ −x

Dim. di (b): Per (a), y ≤ 0 ⇒ −y ≥ 0, quindi per (i6)

0 ≤ x e 0 ≥ y ⇒ x · (−y) ≥ 0 .

D’altra parte (prop. (f) ed (a) del paragrafo 1)

x · y = −(x · (−y))

quindix · y ≤ 0 .

Dim. di (c): Analoga a quella di (b).Dim. di (d): Per (i5)

x ≤ y ⇒ x− x ≤ y − x⇔ 0 ≤ y − x

quindi, per (i5)x ≤ y e z ≥ 0⇒ (y − x) z ≥ 0

ossiay z − x z ≥ 0

ossiay z − x z + x z ≥ x z

ossiay z ≥ x z

Dim. di (e): Analoga a quella di (d).

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20 Capitolo II. I numeri reali

Dim. di (f): Supponiamo x > 0 . Poiche

x · 1

x= 1 > 0

1

xnon puo essere ≤ 0 perche in tal caso, per la proposizione (e), sarebbe x · 1

x≤ 0.

Quindi necessariamente1

x> 0 .

Analogo discorso se x ≤ 0.

Dim. di (g): y ≥ x > 0 ⇒ 1

x> 0 e

1

y> 0; quindi per la proposizione (d)

0 < x ≤ y =⇒ 0 < x · 1

x≤ y · 1

x

ossia

1 ≤ y · 1

x

ossia1

y=

1

y· 1 ≤ 1

y· y · 1

x=

1

x

II.3 VALORE ASSOLUTO - INTERVALLI IN RPer ogni numero reale x definiamo |x| in questo modo

|x| =

x se x ≥ 0

−x se x < 0(II.3.1)

|x| si chiama valore assoluto di x; x→ |x| e una applicazione di R in R che gode leseguenti proprieta:

|x| ≥ 0 ∀x ∈ R e |x| = 0 ⇔ x = 0 . (II.3.2)

| − x| = |x| ∀x ∈ R . (II.3.3)

|x+ y| ≤ |x|+ |y| ∀x, y ∈ R . (II.3.4)∣∣ |x| − |y| ∣∣ ≤ |x− y| ∀x, y ∈ R . (II.3.5)

|x y| = |x| · |y| ∀x, y ∈ R . (II.3.6)∣∣1x

∣∣ =1

|x|∀x ∈ R − {0} . (II.3.7)

Le proposizioni (II.3.2) e (II.3.3) sono banali conseguenze della definizione (II.3.1).Per dimostrare le (II.3.4) e (II.3.6) utilizzeremo le seguenti proposizioni:

Se a e positivo allora

|x| ≤ a ⇔ −a ≤ x ≤ a (II.3.8)

|x| < a ⇔ −a < x < a (II.3.9)

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II.3. Valore assoluto 21

Per dimostrare la (II.3.4) distinguiamo vari casi.Se x ≥ 0 e y ≥ 0 allora x+ y ≥ 0 e la relazione (II.3.4) e banalmente vera.Se x ≤ 0 e y ≤ 0 allora x+ y ≤ 0 e la relazione (II.3.4) diventa

−x− y ≤ −x− y

quindi e banalmente vera.Se x ≤ 0 ≤ y allora

x+ y ≤ y ≤ y + |x| = |y|+ |x|x+ y ≥ x ≥ x− |y| = −|x| − |y|

Da queste due relazioni segue che

−(|x|+ |y|) ≤ x+ y ≤ |x|+ |y|

e quindi per (II.3.8)|x+ y| ≤ |x|+ |y|

Analogo ragionamento se y ≤ 0 ≤ x.

Dimostriamo ora la (II.3.5): poiche

|x| = |(x− y) + y| ≤ |x− y|+ |y|

|y| = |(y − x) + x| ≤ |x− y|+ |x|

da queste due relazioni segue che

−|x− y| < |x| − |y| < |x− y| .

Quindi per (II.3.9) ∣∣ |x| − |y| ∣∣ ≤ |x− y| .Dimostriamo la (II.3.6): distinguiamo vari casi.Se x ≥ 0 e y ≥ 0 allora x y ≥ 0 e

|x y| = x y = |x| · |y| .

Se x ≤ 0 e y ≤ 0 allora x y ≥ 0 e

|x y| = x y = (−x) (−y) = |x| · |y| .

Se x ≤ 0 ≤ y allora x y ≤ 0 e

|x y| = −(x y) = (−x) y = |x| · |y| .

Discorso analogo se y ≤ 0 ≤ x.Dimostriamo la (II.3.7): Poiche

x · 1

x= 1

per (II.3.6) si ha

|x| ·∣∣1x

∣∣ = 1

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22 Capitolo II. I numeri reali

e quindi ∣∣1x

∣∣ =1

|x|.

Osserviamo che da (II.3.6) e (II.3.7) segue che se x ∈ R e y ∈ R − {0} allora

∣∣xy

∣∣ = |x| ·∣∣1y

∣∣ = |x| · 1

|y|=|x||y|

(II.3.10)

Dati due numeri reali a e b, con a < b, 3 i sottoinsiemi di R

{x : x ∈ R, a < x < b} (II.3.11)

{x : x ∈ R, a ≤ x ≤ b} (II.3.12)

{x : x ∈ R, a < x ≤ b} (II.3.13)

{x : x ∈ R, a ≤ x < b} (II.3.14)

si chiamano rispettivamente intervallo aperto, intervallo chiuso, intervallo semia-perto a sinistra, intervallo semiaperto a destra. I numeri a e b sono gli estremidell’intervallo. I simboli con i quali si indicano detti intervalli sono, nell’ordine 4 ,

(a, b) , [a, b] , (a, b] , [a, b)

Il lettore dimostri per esercizio le seguenti proposizioni:

x ∈ (a, b) ⇔∣∣∣∣x− a+ b

2

∣∣∣∣ < b− a2

(II.3.15)

x ∈ [a, b] ⇔∣∣∣∣x− a+ b

2

∣∣∣∣ ≤ b− a2

(II.3.16)

Il numeroa+ b

2si chiama il centro dell’intervallo di estremi a e b.

Talvolta useremo anche i simboli [a,+∞) per indicare l’insieme degli x reali chesono ≥ a, (a,+∞) per indicare l’insieme degli x reali che sono > a, (−∞, a] perindicare l’insieme degli x ∈ R che sono ≤ a e infine (−∞, a) per indicare l’insiemedegli x reali che sono < a. Questi insiemi verranno chiamati semirette.

II.4 R E’ UN CORPO ARCHIMEDEO E UN CON-

TINUO

L’insieme dei numeri reali costituisce un corpo ordinato archimedeo; cio significache R soddisfa al seguente postulato di Archimede:

3Nel caso dell’intervallo chiuso si puo anche ammettere a = b; allora [a, a] = {a}.4In luogo dei simboli (a, b), (a, b], [a, b) si usano talvolta i seguenti

]a, b[ ; ]a, b] ; [a, b[ .

Comunque il simbolo (a, b) non dovrebbe dar luogo a equivoci perche dal contesto del discorso sicapira se (a, b) indica l’intervallo aperto di estremi a e b oppure la coppia di numeri reali a e b.

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II.4. R e un corpo archimedeo e un continuo 23

Per ogni coppia di numeri reali x e y positivi esiste un intero n tale che

nxdef=

n volte︷ ︸︸ ︷x+ . . .+ x ≥ y .

Da questa proprieta segue, ad esempio, che i numeri razionali sono densi nell’insiemedei numeri reali, intendendo con questo che dati due numeri reali x e y, x < y, esisteun numero razionale r tale che

x < r < y .

Un’altra proprieta importante dell’insieme R e quella di costituire un continuo.La nozione di continuita di un insieme e legata a quella di ordinamento e si puoesprimere in vari modi fra di loro equivalenti.

Siano A e B due sottoinsiemi (non vuoti) di R; diciamo che A e B sono separatise

x < y ∀x ∈ A e ∀ y ∈ B (II.4.1)

oppurey < x ∀x ∈ A e ∀ y ∈ B (II.4.2)

Se A e B sono separati diciamo che il numero z ∈ R e compreso fra A e B se avvieneche

x ≤ z ≤ y ∀x ∈ A e ∀ y ∈ B (II.4.3)

oppurey ≤ z ≤ x ∀x ∈ A e ∀ y ∈ B . (II.4.4)

Dire che R e un insieme ordinato continuo significa che in R sono vere le seguentiproposizioni:

(i1) Per ogni coppia di numeri reali x e y, con x < y, ∃z ∈ R tale che

x < z < y .

(i2) Per ogni coppia A, B di sottoinsiemi separati di R esiste z ∈ R compreso fraA e B.

La proposizione (i1) afferma che l’insieme R e denso in se. La verita di questa

proposizione e evidente in quanto se x < y allora il numerox+ y

2e > x e < y. Un

modo equivalente di formulare la proposizione (i1) e questo: un intervallo aperto(x, y) di R non e vuoto.

Sia A un sottoinsieme di R. Diciamo che A ha massimo se esiste un elementox◦ ∈ A tale che

x ≤ x◦ ∀x ∈ A (II.4.5)

x◦ si chiama il massimo di A.

Diciamo che A ha minimo se esiste un elemento x◦ ∈ A tale che

x ≥ x◦ ∀x ∈ A (II.4.6)

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24 Capitolo II. I numeri reali

x◦ si chiama il minimo di A.Il massimo e il minimo di A, se esistono, sono ovviamente unici. 5 Si chiama

sezione in R ogni coppia (A,B) di sottoinsiemi (non vuoti) di R tali che

A ∪B = R (II.4.7)

A e B sono separati. 6 (II.4.8)

Se (A,B) e una sezione conveniamo, per fissare le idee, che sia

x < y ∀x ∈ A e ∀ y ∈ B .

Come conseguenza della continuita di R e vera la seguente proposizione:

Proposizione II.4.1. Per ogni sezione (A,B) in R esiste uno e un solo numero acompreso fra A e B. Inoltre a e massimo di A oppure minimo di B7.

Dimostrazione Poiche A e B sono separati la (i2) assicura che esiste almeno unelemento a ∈ R compreso fra A e B. L’ elemento a e unico perche se esistesse unaltro numero b 6= a compreso fra A e B (per fissare le idee supponiamo a < b) alloraper (i1) esisterebbe un numero z tale che

a < z < b .

Necessariamente z non apparterebbe ne ad A ne a B e questo e in contraddizionecon il fatto che A ∪B = R.Per lo stesso motivo quell’unico numero a che e compreso tra A e B deve apparteneread A oppure a B. Nel primo caso esso e massimo di A, nel secondo caso esso e minimodi B.

Due sottoinsiemi A e B di R si dicono contigui se

A e B sono separati (conveniamo che x < y ∀x ∈ A, ∀ y ∈ B) (II.4.9)

∀ ε > 0 , ∃x ∈ A e ∃ y ∈ B tali che y − x < ε . (II.4.10)

Ad esempio se (A,B) e una sezione in R allora A e B sono insiemi contigui; ilviceversa non e vero in quanto se A e B sono contigui puo risultare A ∪B 6= R.

Come conseguenza della continuita di R e vera questa proposizione:

Proposizione II.4.2. Se A e B sono sottoinsiemi contigui di R esiste uno e unsolo numero reale a compreso tra A e B.

Dimostrazione Poiche A e B sono separati la (i2) assicura che esiste almeno unnumero reale a compreso fra A e B. Se a non fosse unico esisterebbe un altro numero

reale b 6= a (b > a per fissare le idee) compreso tra A e B. In tal caso posto ε =b− a

2non esiste alcun x ∈ A e y ∈ B tali che y − x < ε in quanto

x ≤ a < b ≤ y =⇒ y − x > b− a2

ma cio e in contraddizione con l’ipotesi che A e B siano contigui.

5Ad esempio se x◦ e y◦ sono minimi per A allora per (II.4.6) si deve avere contemporaneamentex◦ ≤ y◦ e x◦ ≤ y◦, quindi x◦ = y◦.

6In particolare A ∩B = ∅.7Ricordiamo la convenzione fatta piu sopra che sia x < y per ogni x ∈ A e y ∈ B.

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II.5. Estremo superiore e inferiore 25

Nota Indichiamo con S l’insieme delle sezioni in R e con C l’insieme delle coppie(A,B) di sottoinsiemi contigui di R.In S e in C consideriamo questa relazione di equivalenza:(A,B) R (A′, B′) se il numero reale a compreso tra A e B e il numero reale acompreso tra A′ e B′ sono uguali.Allora l’insieme dei numeri reali R e in corrispondenza biunivoca (quindi e equipo-tente) con gli insiemi quozienti S/R e C/R 8

II.5 SOTTOINSIEMI LIMITATI DI R. ESTRE-

MO SUPERIORE ED ESTREMO INFERIO-

RE

Un insieme A ⊂ R, non vuoto 9 , si dice limitato superiormente se ∃k ∈ R tale che

x ≤ k ∀x ∈ A . (II.5.1)

In tal caso k e un maggiorante dell’insieme A.Un insieme A ⊂ R si dice limitato inferiormente se ∃k ∈ R tale che

x ≥ k ∀x ∈ A . (II.5.2)

Si dice allora che k e un minorante dell’insieme A.Un insieme A ⊂ R che sia limitato superiormente e inferiormente si dice limitato.

Ad esempio un intervallo di estremi a e b (non importa se chiuso, aperto, . . .) e uninsieme limitato; le semirette [a,+∞) e (a,+∞) sono insiemi limitati inferiormentema non limitati superiormente; le semirette (−∞, a) e (−∞, a] sono insiemi limitatisuperiormente ma non limitati inferiormente.

Teorema II.5.1. Se un sottoinsieme A di R e limitato superiormente, l’insieme Mdei suoi maggioranti ha minimo.

Dimostrazione M non e vuoto in quanto A e limitato superiormente; inoltre sex ∈M ogni y che sia ≥ x appartiene ad M . Distinguiamo due casi:A e costituito da un solo elemento, A = {a}; in tal caso a ∈ M ed e il minimo diM .A non e costituito da un solo elemento. Poniamo M = R − M ; M non e vuotoperche gli elementi di A (tranne al piu uno) appartengono ad M; inoltre la coppia(M,M) e una sezione in R. Per la proposizione (II.4.1) esiste uno e un solo numeroreale a compreso fra M e M il quale e massimo di M oppure e minimo di M .Dimostriamo che a non puo essere massimo per M; con cio restera provato che a eminimo di M .

8Se in un insieme A e data una relazione di equivalenza R, per ogni x ∈ A si chiama classedi equivalenza di x e si indica con [x] l’insieme costituito dagli elementi y ∈ A tali che yRx (cioedagli elementi y equivalenti a x). L’insieme di queste classi di equivalenza si indica con A/R e sichiama insieme quoziente di A per R (o rispetto ad R).

9Questa precisazione e sottointesa in tutto il paragrafo e non staremo a ripeterla.

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26 Capitolo II. I numeri reali

a non puo essere massimo di M perche a e un maggiorante di A e quindi a ∈ M .Infatti se esistesse un x ∈ A tale che x > a, ogni numero reale ξ verificante larelazione 10

a < ξ < x

dovrebbe contemporaneamente appartenere ad M (perche a e compreso tra M eM) e non appartenere ad M perche ξ non e un maggiorante di A. Cio e palesementeassurdo.

Teorema II.5.2. Se un sottoinsieme A di R e limitato inferiormente, l’insieme M ′

dei suoi minoranti ha massimo.

Dimostrazione Indichiamo con−A l’insieme costituito degli opposti degli elementidi A. Allora −A e limitato superiormente e −M ′ e la classe dei maggioranti di −A.Per il teorema (II.5.1)−M ′ ha minimo e questo minimo e necessariamente il massimodi M ′.

Possiamo allora dare la seguente

Definizione II.5.3. Se A e un sottoinsieme di R limitato superiomente, il minimodei maggioranti di A si chiama estremo superiore di A e si indica con supA.Se A e limitato inferiormente, il massimo dei minoranti di A si chiama estremoinferiore di A e si indica con inf A.

Dimostriamo alcune proprieta dell’estremo inferiore e dell’estremo superiore.

Teorema II.5.4. Sia A un sottoinsieme di R limitato superiormente e sia L =supA. Il numero L e caratterizzato da queste due proprieta:

(i1) x ≤ L ∀x ∈ A;

(i2) per ogni y < L esiste x ∈ A tale che y < x.

Dimostrazione La proposizione (i1) afferma che L e un maggiorante di A; la pro-posizione (i2) e equivalente al fatto che L e il minimo dei maggioranti. Infatti se Le il minimo dei maggioranti allora y non e un maggiorante di A e quindi vale (i2).Viceversa, se vale (i2) ogni maggiorante di A deve essere ≥ L e quindi L e il minimodei maggioranti.

Teorema II.5.5. Sia A un sottoinsieme di R limitato inferiormente e sia ` = inf A.Il numero ` e caratterizzato da queste due proprieta:

(j1) x ≥ ` ∀x ∈ A;

(j2) per ogni y > ` esiste x ∈ A tale che x < y.

La dimostrazione e analoga a quella del teorema precedente (si scambia maggiorantecon minorante)

10Questi ξ esistono perche R e denso in se (cfr. (i1) del paragrafo 4).

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II.5. Estremo superiore e inferiore 27

Teorema II.5.6. Se A e un sottoinsieme limitato di R

inf A ≤ supA (II.5.3)

Dimostrazione Per ogni x ∈ A risulta

inf A ≤ x ≤ supA

Teorema II.5.7. Se A e B sono sottoinsiemi di R limitati superiormente allora

A ⊂ B =⇒ supA ≤ supB (II.5.4)

Dimostrazione x ∈ A⇒ x ∈ B, quindi

x ≤ supB ∀x ∈ A . (II.5.5)

Se fosse supA > supB esisterebbe per (i2) un x ∈ A tale che

supB < x ≤ supA . (II.5.6)

La II.5.6 e la II.5.5 sono in contraddizione, quindi supA ≤ supB.

Teorema II.5.8. Se A e B sono sottoinsiemi di R limitati inferiormente allora

A ⊂ B =⇒ inf A ≥ inf B (II.5.7)

La dimostrazione e analoga a quella del teorema precedente.

Teorema II.5.9. Un sottoinsieme A di R ha massimo se e solo se A e limitatosuperiormente e supA ∈ A. In tal caso supA e il massimo di A.

Dimostrazione Supponiamo che x◦ sia massimo di A; allora

x ≤ x◦ ∀ x ∈ A

quindi A e limitato superiormente e x◦ e un maggiorante di A . D’altra parte ogninumero y maggiorante di A e tale che

y ≥ x ∀x ∈ A

in particolare y ≥ x◦. Ne segue che x◦ e il minimo dei maggioranti, ossia x◦ = supA.

Viceversa, supponiamo che A sia limitato superiormente e che supA ∈ A. Allora

x ≤ supA ∀x ∈ A

e quindi supA e il massimo di A.

Teorema II.5.10. Un sottoinsieme A di R ha minimo se e solo se A e limitatoinferiormente e inf A ∈ A. In tal caso inf A e il minimo di A.

La dimostrazione e analoga a quella del teorema precedente.

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28 Capitolo II. I numeri reali

Esempio Sia A = [0, 1). A e un insieme limitato e supA = 1, inf A = 0; 1 6∈ A,quindi A non ha massimo; 0 ∈ A, quindi A ha minimo e il minimo di A e zero.

A

0 1

Esempio Sia A = (1, 2) ∪ {3}. A e un insieme limitato e supA = 3, inf A = 1;3 ∈ A, quindi 3 e il massimo di A; 1 6∈ A, quindi A non ha minimo.

1 2 3

II.6 RETTA REALE ESTESA

Sia X un insieme ordinato (o parzialmente ordinato) con la relazione d’ordine �e sia A ⊂ X. Le definizioni date nel paragrafo precedente si possono rienunciaresostituendo il ≤ (minore o uguale) con � :

– Un elemento y ∈ X e un maggiorante di A se ∀x ∈ A e x � y.

– Un elemento y ∈ X e un minorante di A se ∀x ∈ A e y � x.

– A e limitato se esistono un maggiorante di A e un minorante di A.

– Se y ∈ A e y e un maggiorante di A allora y e il massimo di A.

– Se y ∈ A e y e un minorante di A allora y e il minimo di A.

– Si chiama estremo superiore di A il minimo dei maggioranti di A (se esiste).

– Si chiama estremo inferiore di A il massimo dei minoranti di A (se esiste).

Si dimostra ancora che se A ammette massimo [minimo, estremo superiore, estremoinferiore] esso e unico. Si dimostra altresı che l’estremo superiore di A (se esiste) ecaratterizzato dalle proprieta (i1) e (i2) del paragrafo 5.Similmente, l’estremo inferiore di A (se esiste) e caratterizzato dalle proprieta (j1) e(j2) del paragrafo 5.

* * *

Si chiama retta reale estesa, e si indica con R, l’insieme ottenuto aggiungendoad R due elementi che indicheremo con +∞ e −∞:

R = R ∪ {+∞,−∞} .

Su R assumiamo la seguente relazione d’ordine:Diciamo che x � y se x e y sono reali e x ≤ y, oppure se y = +∞, oppure se

x = −∞. Diciamo che x ≺ y se x � y e x 6= y.

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II.6. Retta reale estesa 29

In particolare risultera

−∞ ≺ +∞

−∞ ≺ x ∀x ∈ R(II.6.1)

Con questa relazione d’ordine, R e un insieme ordinato e

maxR = +∞ , minR = −∞ (II.6.2)

Quindi R e limitato e ogni sottoinsieme di R e limitato. In particolare R, come partedi R, e limitato e si verifica facilmente che

supR = +∞ , inf R = −∞ (II.6.3)

Quindi, si puo osservare, che “essere limitato” e similmente “avere massimo [minimo,estremo superiore, estremo inferiore]” sono proprieta che dipendono dall’ambientein cui ci si pone e dalla relazione d’ordine introdotta in questo ambiente.

Si hanno queste proposizioni, che il lettore puo dimostrare per esercizio:

(1) Un insieme A ⊂ R ha sempre estremo superiore. In particolare se A ⊂ R:

supA in R = supA in R, quando A e limitato superiormente in R. (II.6.4)

supA = +∞, quando A non e limitato superiormente in R. (II.6.5)

(2) Un insieme A ⊂ R ha sempre estremo inferiore. In particolare se A ⊂ R:

inf A in R = inf A in R, quando A e limitato inferiormente in R. (II.6.6)

inf A = −∞, quando A non e limitato inferiormente in R. (II.6.7)

* * *

A differenza di quanto avviene per l’ordinamento, non e possibile prolungare a Rla struttura di corpo che R possiede, cioe non e possibile definire su R una sommae un prodotto in modo tale che

(i) R sia un corpo;

(ii) R sia un sottocorpo di R.

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30 Capitolo II. I numeri reali

La cosa si vede facilmente. Supponiamo per assurdo che sia possibile definire inR una somma e un prodotto in modo che valgano (i) e (i). Per ogni x numero reale,la somma x+ (+∞) dovrebbe essere uguale a

+∞ , oppure −∞ , oppure un certo y ∈ R

La terza possibilita si esclude subito perche

x+ (+∞) = y ∈ R =⇒ +∞ = y − x ∈ R

mentre +∞ non e un numero reale. Allora esistono almeno due numeri reali x e yper i quali e vera una delle seguenti proposizioni

x+ (+∞) = +∞

y + (+∞) = +∞

x+ (+∞) = −∞

y + (+∞) = −∞

In entrambi i casi si concluderebbe che x = y.11

Un discorso analogo si puo fare anche per l’operazione prodotto.

* * *

11Conseguenza del fatto che, se R e un corpo, +∞ ha l’opposto.

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Capitolo III

I NUMERI COMPLESSI

III.1 DEFINIZIONE E PROPRIETA’

Consideriamo l’insieme R2 = R × R costituito dalle coppie (x, y) di numeri reali.In R2 definiamo due leggi di composizione che indichiamo con + e · e chiamiamosomma e prodotto:

(x, y) + (x′, y′) = (x+ x′, y + y′) somma (III.1.1)

(x, y) · (x′, y′) = (xx′ − yy′, xy′ + yx′) prodotto (III.1.2)

Queste due leggi di composizione hanno le proprieta (i1), . . . , (i4) e (j1), . . . , (j5)di cui godono la somma e il prodotto in R 1 . Quindi R2, con le leggi di composizione+ e · definite come in (III.1.1) e (III.1.2), costituisce un corpo commutativo. Questocorpo si chiama corpo dei numeri complessi e si indica con C . Gli elementi di Csi chiamano numeri complessi. L’elemento neutro per la somma e costituito dallacoppia (0, 0) e l’identita per il prodotto e rappresentata dalla coppia (1, 0).

Per ogni numero complesso (x, y) l’opposto, cioe −(x, y), e uguale a (−x,−y);se (x, y) e un numero complesso diverso da (0, 0) il reciproco e definito in questo

1cfr. paragrafo 1. Cap. II:(i1) + e associativa;(i2) esiste un elemento neutro per la somma (lo zero);(i3) ∀ (x, y) esiste l’elemento opposto −(x, y)(i4) + e commutativa.(j1) · e associativa;(j2) esiste un elemento neutro per il prodotto;(j3) ∀ (x, y) diverso dallo zero esiste il reciproco 1

(x,y) ;

(j4) · e commutativa;(j5) · e distributiva rispetto alla somma.

31

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32 Capitolo III. Numeri complessi

modo 2

1

(x, y)=

(x

x2 + y2,−y

x2 + y2

).

Con queste precisazioni la verifica che C e un corpo commutativo e del tutto ele-mentare quanto noiosa e viene lasciata per esercizio al lettore.

Poiche C e un corpo, la somma e il prodotto di numeri complessi godono delleproprieta (a), (b), . . . , (g) elencate nel paragrafo 1 del Cap. II e quindi “le regoleformali del calcolo con numeri complessi non differiscono da quelle relative al calcolocon numeri reali”.

Un’altra conseguenza del fatto che C e un corpo e la possibilita di definire ladifferenza di due numeri complessi e la divisione di due numeri complessi il secondodei quali sia 6= (0, 0). Esse vengono definite nel modo standard

(x, y)− (x′, y′) = (x, y) + (−x′,−y′) = (x− x′, y − y′) (III.1.3)

(x, y) : (x′, y′) = (x, y) · 1

(x′, y′)= (x, y) ·

(x′

x′2 + y′2,−y′

x′2 + y′2

)(III.1.4)

Consideriamo l’insieme C ⊂ C costituito dai numeri complessi del tipo (x, 0). Ce un corpo con le leggi + e · definite su C 3 , quindi C e un sottocorpo di C.L’applicazione ϕ : R→ C definita da

ϕ(x) = (x, 0)

la quale ad ogni numero reale x associa il numero complesso (x, 0) e un isomorfismodel corpo R sul corpo C. Cio significa che ϕ e una applicazione biunivoca e inoltreconserva le operazioni di somma e prodotto

ϕ(x+ y) = (x+ y, 0) = (x, 0) + (y, 0) = ϕ(x) + ϕ(y)

ϕ(x y) = (x y, 0) = (x, 0) (y, 0) = ϕ(x)ϕ(y)(III.1.5)

Quindi R e C sono corpi isomorfi. Per questo motivo si dice che C e il sottocorpodei numeri complessi reali o, piu brevemente, dei reali e gli elementi (x, 0) di C

2A questa espressione, piuttosto complicata, del reciproco di (x, y) si arriva in questo modo:Se (x′, y′) e il reciproco di (x, y) deve essere

(α) (x, y) · (x′, y′) = (1, 0)

La (α) equivale a questo sistema di equazioni nelle incognite x′ e y′{xx′ − y y′ = 1y x′ + x y′ = 0 .

Se (x, y) 6= (0, 0) questo sistema ammette una e una sola soluzione

x′ =x

x2 + y2, y′ = − y

x2 + y2

3Verifica al lettore.

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III.1. Definizione e proprieta 33

vengono indicati senz’altro con x. Osserviamo, a titolo di esempio e per fugare certidubbi, che a differenza di C il sottoinsieme I ⊂ C costituito dai numeri complessidel tipo (0, y) non e un sottocorpo di C . Basti osservare che il prodotto definito inC non e una legge di composizione in I perche applicato ad elementi di I non da ingenerale un elemento di I 4

(0, x) · (0, y) = (−xy, 0) (III.1.6)

i numeri complessi (0, x), con x 6= 0, si chiamano numeri immaginari (puri). Questadenominazione trova giustificazione in motivi storici e non ha riferimenti metafisici.I numeri immaginari non sono piu immaginari delle coppie di numeri reali (0, x).

In particolare il numero (0, 1) si chiama unita immaginaria e si indica con i;

i = (0, 1) . (III.1.7)

Se calcoliamo le potenze a esponente intero positivo del numero i otteniamoquesti risultati

i1 = ii2 = i · i = −(1, 0) = −1i3 = i2 · i = −ii4 = i3 · i = 1i5 = i4 · i = ii6 = i5 · i = i2 = −1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

(III.1.8)

Il fatto, piuttosto singolare, che i2 = −1 (proprieta che non e goduta da alcunnumero reale perche x ∈ R⇒x2 ≥ 0) e il principale movente storico che ha portatoall’introduzione nella matematica dei numeri complessi ed e una proprieta ricca diconseguenze.

Un numero immaginario puro si puo scrivere (in modo unico) come prodotto diun numero reale e dell’unita immaginaria

(0, y) = (y, 0)(0, 1) = y i (III.1.9)

e ogni numero complesso (x, y) si puo scrivere (in modo unico) come somma di unnumero reale e di uno immaginario puro

(x, y) = (x, 0) + (0, y) = x+ y i . (III.1.10)

Si dice che x e la parte reale e y e il coefficiente della parte immaginaria delnumero complesso z = (x, y); in simboli

x = Rez , y = Imz (III.1.11)

Quando il numero complesso (x, y) e scritto nella forma x+y i si dice che e scrittoin forma algebrica. Scrivere i numeri complessi in forma algebrica e particolarmenteutile ai fini del calcolo; si osservi ad esempio che

4Si dice, brevemente, che I non e chiuso rispetto al prodotto definito in C.

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34 Capitolo III. Numeri complessi

(x+ y i) + (x′ + y′ i) = x+ x′ + (y + y′) i (III.1.12)

(x+ y i) · (x′ + y′ i) = (x x′ − y y′) + (x y′ + x′ y) i (III.1.13)

1

x+ y i=

(x− y i)

(x+ y i) (x− y i)=

x− y i

x2 + y2=

x

x2 + y2− i

y

x2 + y2(III.1.14)

Sia z = x+ y i, il numero complesso z = x− y i si chiama complesso coniugato di z.

Si verificano facilmente le seguenti proposizioni (z e w ∈ C).

Rez =z + z

2, Imz =

z − z2 i

(III.1.15)

(z) = z (III.1.16)

z + w = z + w (III.1.17)

z w = z · w (III.1.18)(1

z

)=

(1

z

)(III.1.19)

z z = (Rez)2 + (Imz)2 . (III.1.20)

In particolare da (III.1.15) segue che i numeri reali sono caratterizzati dallaproprieta

z = z

mentre i numeri immaginari puri sono caratterizzati dalla proprieta

z = −z

Esempio Sia z = 1 + i e w = 2− 3i; si calcoli z + w, z w, zw

.

z + w = 1 + i + 2− 3 i = 3− 2i

z w = (1 + i)(2− 3i) = 2− 3i + 2i− 3i2 = 2− i + 3 = 5− i

z

w=

1 + i

2− 3 i=

(1 + i)(2 + 3 i)

(2− 3 i)(2 + 3 i)=

2 + 3 i + 2 i + 3 i2

22 + 32=

=−1 + 5 i

13= − 1

13+

5

13i .

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III.2. C non e un corpo ordinato 35

III.2 C NON E’ UN CORPO ORDINATO

Nell’insieme R2 e quindi in C si possono introdurre degli ordinamenti. Ad esempioe un ordinamento la relazione � definita in questo modo 5

(x, y) � (x′, y′) ⇐⇒

x < x′

oppure

x = x′ e y ≤ y′ ;

(III.2.1)

questo ordinamento viene chiamato ordinamento lessicografico. Si dimostra peroche non si puo introdurre in C un ordinamento � il quale, oltre che essere riflessivo,antisimmetrico e transitivo, sia legato alla somma e al prodotto (in C) da questedue relazioni (cfr. Cap. II, paragrafo 2) 6

(i) z � w =⇒ z + v � w + v ∀ v ∈ C

(ii) 0 � z e 0 � w =⇒ 0 � z w

Quindi C non e un corpo ordinato.

Diamo di questo fatto una dimostrazione per assurdo. Supponiamo che esista unordinamento � in C il quale gode le proprieta (i) e (ii). Dalla proprieta (i) segueche

z � 0 =⇒ 0 � −z (z ∈ C) (III.2.2)

quindi e vera una almeno delle seguenti proposizioni

0 � i ; 0 � −i .

Poiche i2 = (−i)2 = −1, si ha in entrambi i casi, tenuto conto della proprieta (ii)

0 � −1 . (III.2.3)

Da questa relazione segue l’assurdo perche

0 � −1 =⇒ 1 � 0 (per (III.2.2))0 � −1 =⇒ 0 � (−1)2 = 1 (per (ii))

e per la proprieta antisimmetrica dell’ordinamento 1 � 0 e 0 � 1⇒ 0 = 1.Come conseguenza del fatto che C non e un corpo ordinato, qualunque sia l’or-

dinamento � introdotto in C, le proposizioni (a), (b), . . . , (g) del paragrafo 2,Cap. II non sono piu tutte vere, quindi non si puo fare una teoria delle disequazioni(o perlomeno una teoria che sia utile e significativa).

5Il lettore verifichi che la relazione � e riflessiva, transitiva, antisimmetrica (cfr. Cap. II,paragrafo 2).

6S’intende da tutte e due contemporaneamente. Possono esserci ordinamenti per i quali vale (i)e non (ii) o viceversa.

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36 Capitolo III. Numeri complessi

III.3 FORMA POLARE DEI NUMERI COMPLES-

SI

Se x e un numero reale non negativo ed n e un intero positivo, si chiama radicearitmetica n-sima di x quell’unico numero reale non negativo y tale che yn = x.Indichiamo questo numero con n

√x . 7

Cio posto, si chiama valore assoluto di un numero complesso z, e si indica con|z|, il numero reale non negativo definito in questo modo

|z| =√

(Rez)2 + (Imz)2 =√z z . (III.3.1)

Se z e reale questa definizione coincide con la definizione (II.3.1) del Cap. II.L’applicazione z → |z| di C in R+ ha queste proprieta:

|z| ≥ 0 e |z| = 0⇐⇒ z = 0 (III.3.2)

| − z| = |z| = |z| (III.3.3)

|z + w| ≤ |z|+ |w| (III.3.4)∣∣ |z| − |w| ∣∣ ≤ |z − w| (III.3.5)

|z w| = |z| · |w| (III.3.6)∣∣ zw

∣∣ =|z||w|

(w 6= 0) . (III.3.7)

Le proprieta (III.3.2) e (III.3.3) sono banali conseguenze della definizione (III.3.1).Le proprieta (III.3.6) e (III.3.7) si possono dimostrare in questo modo:

|z w|2 = z wz w = z z w w = |z|2 · |w|2 = (|z| · |w|)2

∣∣∣ zw

∣∣∣2 =z

w·( zw

)=

z z

w w=|z|2

|w|2=

(|z||w|

)2

quindi

|z w| =√

(|z| · |w|)2 = |z| · |w|

∣∣∣ zw

∣∣∣ =

√(|z||w|

)2

=|z||w|

La proprieta (III.3.6) e conseguenza della (III.3.5): infatti, se vale (III.3.5), si ha

|z| = |(z − w) + w| ≤ |z − w|+ |w|

|w| = |(w − z) + z| ≤ |z − w|+ |z|

quindi−|z − w| ≤ |z| − |w| ≤ |z − w| .

7Se n e pari e x e positivo, oltre a n√x esiste una altra radice n-sima di x che e data dal numero

−y = − n√x .

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III.3. Forma polare 37

Questa doppia disuglianza equivale alla (III.3.6).Dimostriamo allora la (III.3.5):

|z + w|2 = (Rez + Rew)2 + (Imz + Imw)2 =

= |z|2 + |w|2 + 2 (RezRew + Imz Imw) .(III.3.8)

D’altra parte

RezRew + Imz Imw ≤ |Re(z w)| ≤ |z w| = |z| · |w| . (III.3.9)

Dalla (III.3.8) e (III.3.9) segue che

|z + w|2 ≤ |z|2 + |w|2 + 2 |z| |w| = (|z|+ |w|)2

Quindi

|z + w| ≤√

(|z|+ |w|)2 = |z|+ |w| .

Se z e un numero complesso allora

|Rez| ≤ |z| |Imz| ≤ |z| . (III.3.10)

Queste disuguaglianze si possono scrivere anche in questo modo

−|z| ≤ Rez ≤ |z|

−|z| ≤ Imz ≤ |z| .(III.3.11)

Se z e diverso da zero, dalle (III.3.11) segue che

−1 ≤ Rez

|z|≤ 1 , −1 ≤ Imz

|z|≤ 1 ,

(Rez

|z|

)2

+

(Imz

|z|

)2

= 1

pertanto esiste uno e un solo numero reale θ0

−π < θ0 ≤ π

tale che

cos θ0 =Rez

|z|, sen θ0 =

Imz

|z|. (III.3.12)

Questo numero θ0 si chiama argomento principale del numero complesso z. Sichiama, piu in generale, argomento di z ogni numero reale θ che verifichi la relazione(III.3.12). Tenuto conto della particolare periodicita delle funzioni sen θ e cos θogni numero complesso z 6= 0 ha un’infinita (numerabile) di argomenti; se θ0 el’argomento principale di z la seguente formula

θ = θ0 + 2 kπ , k = 0,±1,±2, . . .

ci da, al variare dell’intero k, tutti e soli gli argomenti di z.

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38 Capitolo III. Numeri complessi

Dalle relazioni (III.3.12) deduciamo che ogni numero complesso z 6= 0 si puoscrivere in questo modo

z = Rez + i Imz = |z| (cos θ + i sen θ) (III.3.13)

dove θ e un argomento di z. Quando il numero z e scritto nella forma (III.3.13) sidice che z e scritto in forma polare o trigonometrica. Se indichiamo con arg z unoqualunque degli argomenti di z, allora si hanno queste relazioni:

z = w ⇐⇒ |z| = |w| e arg z − argw = 2 k π (III.3.14)

arg(zw) = arg z + argw + 2 k π (III.3.15)

argz

w= arg z − argw + 2 k π (III.3.16)

dove k e un intero opportuno. Le (III.3.15) e (III.3.16) si dimostrano scrivendo inumeri z e w in forma polare e utilizzando le note formule trigonometriche

sen(θ1 ± θ2) = sen θ1 cos θ2 ± cos θ1 sen θ2

cos(θ1 ± θ2) = cos θ1 cos θ2 ∓ sen θ1 sen θ2

Scrivere i numeri complessi in forma polare e particolarmente utile quando sidevono eseguire prodotti e divisioni; si hanno infatti queste formule (conseguenzadelle (III.3.6), (III.3.7), (III.3.15), (III.3.16))

z w = |z| |w| (cos(θz + θw) + i sen(θz + θw) (III.3.17)

z

w=|z||w|

(cos(θz − θw) + i sen(θz − θw)) (w 6= 0) (III.3.18)

dove con θz e θw abbiamo indicato un qualunque argomento di z e un qualunqueargomento di w.

III.4 POTENZE INTERE E RADICI DI UN NU-

MERO COMPLESSO

Le potenze a esponente intero di un numero complesso z 6= 0 si definiscono in questomodo standard

z0 = 1 (III.4.1)

zn = zn−1 · z se n ≥ 1 (III.4.2)

zn =

(1

z

)−nse n ≤ −1 (III.4.3)

Se n e intero positivo allora 0n = 0. Supponiamo z 6= 0 e scriviamo z in formapolare

z = |z|(cos θ + i sen θ)

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III.4. Potenze intere e radici 39

allora zn si puo scrivere in questo modo

zn = |z|n(cosnθ + i sennθ) . (III.4.4)

Questa formula che e valida per tutti gli interi n prende il nome di formuladi Moivre. Per n = 0 la formula (III.4.4) e evidente; per n = 1 essa e immediataconseguenza della formula (III.3.17); infine se n e un intero negativo essa si dimostracon un calcolo elementare:

zn =

(1

z

)−n=

[1

|z|(cos(−θ) + i sen(−θ))

]−n=

= |z|n [cos(−n · (−θ)) + i sen(−n · (−θ))] =

= |z|n (cosnθ + i sennθ)

Dati un numero complesso z e un intero positivo n si chiama radice n-sima di zogni numero complesso w tale che

wn = z (III.4.5)

Se z = 0, l’unica radice n-sima e w = 0. Noi proveremo che ogni numero complessoz 6= 0 ha n radici n-sime.Scriviamo z in forma polare

z = |z|(cos θ + i sen θ)

e supponiamo che w = ρ(cosα+i senα) sia una radice n-esima di z . Per la formuladi Moivre

wn = ρn(cosnα + i sennα)

e dovendo valere l’uguaglianza (III.4.5)ρn = |z|

nα− θ = 2kπ , k intero opportuno8

(III.4.6)

Da (III.4.6) si deduce cheρ = n

√|z|

α =θ + 2kπ

n, k intero opportuno9

(III.4.7)

Viceversa, ogni numero complesso w, il cui modulo ρ e argomento α sono definiti da(III.4.7) e una radice n-sima di z.Si ha pertanto questo risultato:

Se z e un numero complesso diverso da 0, di argomento θ, ed n e un interopositivo, esistono delle radici n-sime di z e queste radici n-esime si ottengono (tutte)dalla seguente formula

wk = n√|z|(

cosθ + 2kπ

n+ i sen

θ + 2kπ

n

), k = 0,±1,±2, . . . (III.4.8)

8k opportuno per ogni scelta di α.9k opportuno per ogni scelta di α.

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40 Capitolo III. Numeri complessi

In particolare tutte le radici n-sime di z hanno lo stesso modulo

ρ = n√|z| .

Le radici n-sime di z non costituiscono un insieme numerabile, come potrebbe appa-rire dalla formula (III.4.8), bensı un insieme finito di n elementi. Piu precisamente,se h e un intero,

{wk , k ∈ Z} = {wh, wh+1, . . . , wh+n−1} (III.4.9)

il che significa, in altre parole, che le radici n-sime di z si ottengono dalla formula(III.4.8) facendo assumere a k i valori h, h+ 1, . . . , h+ n− 1.Per questo basta osservare che due numeri wk, wj sono uguali se e solo se i loroargomenti differiscono per multipli di 2π. Ora

argwk − argwj =θ + 2kπ

n− θ + 2jπ

n=k − jn

quindi wk = wj se e solo se esiste un intero m tale che

k = j + nm . (III.4.10)

Ne segue che, per ogni intero h,

wh, wh+1, . . . , wh+n−1

sono numeri complessi diversi tra loro e ogni numero dell’insieme {wk : k ∈ Z} euguale a uno di questi in quanto10

{j + nm : j = h, . . . , h+ n− 1 , m ∈ Z} = Z .

Nell’eseguire il calcolo delle radici di un numero complesso e opportuno, per noncomplicare inutilmente le cose, assumere h = 0.

Esempio Si calcolino le radici terze del numero complesso z = 1 + i.

|1 + i| =√

12 + 12 =√

2 ; arg(1 + i) =π

4+ 2kπ .

Quindi le radici terze di 1 + i sono

wk =6√

2

[cos

12+

2kπ

3

)+ i sen

12+

2kπ

3

)], k = 0, 1, 2 .

Esplicitamente

w0 =6√

2(

cosπ

12+ i sen

π

12

)w1 =

6√

2

(cos

12+ i sen

12

)w2 =

6√

2

(cos

17π

12+ i sen

17π

12

).

10In altre parole, ogni intero k si puo scrivere nella forma

j + nm con j ∈ {h, . . . , h+ n− l} e gm ∈ Z

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III.5. Considerazioni conclusive 41

L’insieme costituito dalle radici n-sime di un numero complesso z si indicaabitualmente con n

√z11, per cui si scrive

n√z =

{n√|z|[cos

θ + 2kπ

n+ i sen

θ + 2kπ

n

]: k = 0, 1, . . . , n− 1

}(III.4.11)

Il lettore tenga presente che non hanno senso scritture di questo genere

n√z ± n√w , n

√z · n√w ,

n√z

n√w

(III.4.12)

a meno che non si dichiari esplicitamente quale delle radici n-sime di z e quale delleradici n-sime di w vengono indicate con i simboli n

√z e n√w.

Il risultato delle operazioni (III.4.12) dipende, in generale, dalla scelta di questeradici.

III.5 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Consideriamo un piano π e supponiamo di aver introdotto in π un riferimento car-tesiano ortogonale “di assi x e y”. Consideriamo l’applicazione ϕ : C → π che adogni numero complesso z = x + i y associa il punto P ∈ π di ascissa x e ordina-ta y. Scriveremo P (x, y) oppure P (z); P (z) e l’immagine di z mediante ϕ o, piubrevemente, l’immagine di z. ϕ e una applicazione biunivoca di C su π. Ai numerireali corrispondono i punti dell’asse delle ascisse e i numeri immaginari puri hannoper immagine i punti dell’asse delle ordinate. Il piano π si chiama piano complessoquando vien pensato come immagine di C mediante ϕ e quindi si conviene di operaresui punti di π in questo modo

P (z) + P (w) = P (z + w)

P (z) · P (w) = P (zw) .

L’asse delle x e delle y si chiamano rispettivamente asse reale e asse immaginario.Si constata che P (z) + P (w) e il punto di π che si ottiene “sommando P (z) e P (w)con la regola del parallelogrammo”.

0

P (w)

P (z)P (z) + P (w)

0

P (z)

P (w)

P (z) · P (w)

ϑ

ϑ1

ϑ+ ϑ1

ρρ1

ρ ρ1

Fig. 1 Fig. 2

11Questa notazione puo dar origine a equivoco nel caso che z sia un numero complesso realeperche in luogo di n

√(x, 0) noi scriveremo n

√x, il che puo far pensare alla radice aritmetica di x se

x e > 0.Dal contesto del discorso si capira di volta in volta di che cosa si parla.

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42 Capitolo III. Numeri complessi

Per quanto riguarda il prodotto la situazione e illustrata dalla figura 2.

Due numeri complessi coniugati hanno immagini su π simmetriche rispetto all’assereale mentre due numeri complessi opposti hanno immagini simmetriche rispettoall’origine O delle coordinate.

0

P (z)

P (z)

0

P (z)

P (−z)

Se z e un numero complesso 6= 0 allora |z| e arg z non sono altro che le “coordinatepolari” dell’immagine P (z).

Sia w un numero complesso 6= 0, di modulo ρ e argomento θ + 2kπ, sia n un interopositivo e siano z0, z1, . . . , zn−1 le radici n-sime di w

zk = n√ρ

(cos

θ + 2kπ

n+ i sen

θ + 2kπ

n

), k = 0, 1, . . . , n− 1 .

Le immagini P (zk) hanno tutte dall’origine una distanza uguale a n√ρ, quindi i

punti P (zk) appartengono tutti alla circonferenza di centro l’origine e raggio n√ρ.

Inoltre

arg zk+1 − arg zk =2π

nk = 0, 1, . . . , n− 2

arg z0 − arg zn−1 =2π

n.

Quindi i punti P (zk) sono i vertici di un poligono regolare di n lati inscritto nellacirconferenza di centro l’origine e raggio n

√ρ.

Esempio−1 = cos π + i sen π

quindi le radici quarte di -1 sono date dalla formula

4√−1 =

{cos

π + 2kπ

4+ i sen

π + 2kπ

4, k = 0, 1, 2, 3

}.

Esplicitamente

w0 = cosπ

4+ i sen

π

4=

1√2

+ i1√2

w1 = cos3π

4+ i sen

4= − 1√

2+ i

1√2

w2 = cos5π

4+ i sen

4= − 1√

2− i

1√2

w3 = cos7π

4+ i sen

4=

1√2− i

1√2

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III.5. Considerazioni conclusive 43

01

P (w0)P (w1)

P (w2) P (w3)

* * *

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44 Capitolo III. Numeri complessi

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Capitolo IV

FUNZIONI REALI DIVARIABILE REALE. LIMITI

IV.1 PRELIMINARI

Sia A un insieme e sia f una applicazione di A in R; si dice che f e una funzionereale (a valori reali). In particolare si chiama funzione reale di variabile reale ogniapplicazione f : A → R in cui A e un sottoinsieme di R; se A ⊂ Rn si dice che f efunzione reale di n variabili reali.

Nel seguito ci occuperemo soprattutto di queste particolari funzioni per le qualisvilupperemo la teoria dei limiti, della continuita, della differenziabilita e della inte-grazione. Grosso modo, nella prima parte del corso svilupperemo queste teorie perfunzioni reali di (una) variabile reale e riserveremo alla seconda parte del corso lateoria delle funzioni reali di piu variabili reali.

La suddivisione del programma in queste due parti e suggerita da motivi didat-tici. Molte definizioni e molti teoremi della teoria dei limiti e della continuita, chenoi enunceremo per funzioni di una variabile, si potrebbero enunciare e dimostra-re per funzioni di piu variabili reali senza ulteriore fatica. Tuttavia ritengo utileiniziare lo studio dell’analisi partendo dalle funzioni reali di una variabile reale inquanto, per queste funzioni, le teorie cui si e accennato piu sopra assumono global-mente un aspetto particolarmente elementare e il ricorso alle figure e di valido aiutoall’intuizione e al ragionamento logico.

Per quanto riguarda i limiti e la continuita, la teoria si potrebbe sviluppare,in molti casi con le stesse parole o con lo stesso tipo di ragionamento, anche perapplicazioni f : A→ B dove A e B anziche essere R o Rn sono spazi metrici o, piuin generale, spazi topologici. Il lettore avra modo di veder realizzato tutto cio nelcorso di geometria o in qualche altro corso di insegnamento.

In questa prima parte del corso di analisi mi limitero ad accennare alla strutturametrica e topologica della retta reale al solo fine di acquistare una certa terminologiache permette di presentare le cose con un linguaggio abbastanza generale. Questorendera facile per il lettore adattare definizioni e teoremi anche a situazioni piugenerali.

Un altro motivo induce a considerare preliminarmente le funzioni reali di unavariabile reale: un certo numero di proprieta, relative a queste funzioni, sono legate

45

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46 Capitolo IV. Limiti

non solo alla struttura metrica ma anche alla struttura di corpo ordinato della rettareale. Queste proprieta non sono vere per applicazioni tra spazi metrici generali.

Il lettore si renda conto, nello studio dei teoremi che daremo, di quali proprietadi struttura della retta reale si fa uso di volta in volta. In molti casi egli riuscira aintuire delle possibili generalizzazioni.

* * *

Sia f una funzione reale definita su un insieme A. Si dice che f e limitata (limi-tata superiormente, limitata inferiormente) in A se l’insieme f(A) ⊂ R e limitato(limitato superiormente, limitato inferiormente).

Quindi f e limitata in A se e solo se esiste un numero M > 0 tale che

|f(x)| < M ∀x ∈ A ; (IV.1.1)

f e limitata superiormente ( inferiormente ) in A se e solo se esiste un numero Mtale che

f(x) < M ( f(x) > M ) ∀x ∈ A . (IV.1.2)

Se f : A → R e limitata superiormente ( inferiormente ) in A si chiama estremosuperiore ( inferiore ) di f in A il numero 1

supx∈A

f(x) = sup f(A)

(infx∈A

f(x) = inf f(A)

).

Dai teoremi II.5.4 e II.5.5 del Cap. II segue che supx∈A

f(x) e infx∈A

f(x) (quando esistono)

sono caratterizzati da queste proprieta:

(i1) f(x) ≤ supAf ∀x ∈ A ;

(i2) per ogni y < supAf esiste almeno un x ∈ A tale che

f(x) > y

e, per l’estremo inferiore,

(j1) f(x) ≥ infAf ∀x ∈ A ;

(j2) per ogni y > infAf esiste almeno un x ∈ A tale che

f(x) < y .

Si hanno inoltre queste proposizioni che sono immediata conseguenza dei teoremiII.5.6, II.5.7 e II.5.8 del Cap. II

infx∈A

f(x) ≤ supx∈A

f(x) (IV.1.3)

1Scriveremo anche supAf in luogo di sup

x∈Af(x) e inf

Af in luogo di inf

x∈Af(x).

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IV.1. Preliminari 47

Se B ⊂ A

supx∈B

f(x) ≤ supx∈A

f(x) (IV.1.4)

infx∈B

f(x) ≥ infx∈A

f(x) (IV.1.5)

Nota Le proposizioni precedenti sono sempre vere se conveniamo di scrivere

supx∈A

f(x) = +∞, quando f non e limitata superiormente in A

infx∈A

f(x) = −∞, quando f non e limitata inferiormente in A

e conveniamo che sia

−∞ < +∞

−∞ < x < +∞ ∀x ∈ R(IV.1.6)

(cfr. paragrafo 6 cap. II).

Diremo che la funzione reale f : A→ R ha massimo (ha minimo) in A se f(A)ha massimo (minimo). In tal caso si pone per definizione

maxx∈A

f(x) = max f(A) [ minx∈A

f(x) = min f(A) ] (IV.1.7)

Condizione necessaria e sufficiente perche f abbia massimo (minimo) in A e cheesista almeno un x◦ ∈ A tale che

f(x) ≤ f(x◦) [ f(x◦) ≤ f(x) ] ∀x ∈ A (IV.1.8)

In tal caso

f(x◦) = maxA

f [f(x◦) = minAf ] . (IV.1.9)

Ogni punto x◦ ∈ A che verifica la condizione (IV.1.9) si dira punto di massimo (diminimo) per la funzione f in A.

Supponiamo che A sia un sottoinsieme di R ed escludiamo il caso banale che Asi riduca a un solo punto. Si danno queste definizioni:

Definizione IV.1.1. f : A→ R e una funzione crescente ( non decrescente ) in Ase per ogni coppia x1, x2 di elementi di A

x1 < x2 =⇒ f(x1) < f(x2) ( f(x1) ≤ f(x2) ) (IV.1.10)

Definizione IV.1.2. Si dice che f : A → R e una funzione decrescente ( noncrescente ) in A se per ogni coppia x1, x2 di elementi di A

x1 < x2 =⇒ f(x1) > f(x2) ( f(x1) ≥ f(x2) ) (IV.1.11)

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48 Capitolo IV. Limiti

Le funzioni crescenti, non decrescenti, decrescenti, non crescenti in A si diconomonotone in A. Le funzioni crescenti e decrescenti si chiamano anche monotone insenso stretto.

Una funzione monotona definita su un intervallo chiuso [a, b] e necessariamentelimitata ed e dotata di massimo e minimo. Supponiamo per fissare le idee chef : [a, b]→ R sia crescente, allora ∀x ∈ (a, b) si ha la relazione

a < x < b

e questa implica per (IV.1.10)

f(a) < f(x) < f(b) ∀x ∈ (a, b) ;

f(b) e il massimo di f e f(a) e il minimo di f in [a, b].Analogo discorso se f e decrescente . . .

Una funzione f : A → R monotona in senso stretto e necessariamente iniettiva.Di conseguenza f e invertibile come funzione di A in f(A). L’iniettivita della f sidimostra in modo molto semplice: siano x e y due numeri di A e, per fissare le idee,supponiamo f crescente. Allora

x < y =⇒ f(x) < f(y) ; x > y =⇒ f(x) > f(y)

quindix 6= y =⇒ f(x) 6= f(y) .

Osserviamo che il viceversa non e vero: una funzione reale di variabile reale puoessere invertibile senza essere monotona.

Esempio 1 Consideriamo la funzione x → |x| definita per x ∈ [−1, 1]. Questafunzione ha il grafico disegnato in figura

−1 10

1

L’immagine di questa funzione e l’intervallo chiuso [0, 1] quindi:La funzione e limitata; ha come estremo superiore (e massimo) 1; ha come estremoinferiore (e minimo) 0. I punti di massimo sono x = 1 e x = −1 e il punto diminimo e x = 0.

Esempio 2 Consideriamo la funzione f : (0,+∞) → R, f(x) = 1/x. Il grafico diquesta funzione (un ramo di iperbole) e disegnato in figura

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IV.1. Preliminari 49

0 x1

f(x1)

x2

f(x2)

L’immagine di f e costituita dall’intervallo (0,+∞). Quindi f e limitata inferior-mente e ha estremo inferiore = 0, non e limitata superiormente, non ha massimo enon ha minimo. La funzione considerata e decrescente; infatti se x1 e x2 sono puntidell’intervallo (0,+∞) allora [ per (g), Cap.II, paragrafo 2 ]

x1 < x2 =⇒ 1

x1

>1

x2

.

Esempio 3 La funzione f(x) = x2, definita per x ∈ [0, 1], e una funzione crescente;infatti se x1 e x2 sono punti dell’intervallo [0, 1] allora

x1 < x2 =⇒ x21 < x2

2 .

0 x1

f(x1)

x2

f(x2)

Esempio 4 Le funzioni 2

f :[−π

2,π

2

]→ [−1, 1] , f(x) = senx

g : [0, π]→ [−1, 1] , f(x) = cos x

h :(−π

2,π

2

)→ R , f(x) = tang x

sono monotone in senso stretto (f e h crescenti, g decrescente); inoltre sono surget-tive e quindi sono invertibili.

2Queste funzioni sono diverse dalle funzioni x→ senx, x→ cosx, x→ tang x, definite, le prime

due, su tutto R, e la terza in R meno i punti kπ

2.

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50 Capitolo IV. Limiti

−π/2π/20

1

−1

x→ senx

π/2 π0

1

−1

x→ cosx

−π/2 π/2

π/40

1

x→ tang x

Le funzioni inverse di f , g, h si indicano con

x→ arcsenx , x→ arccosx , x→ arctang x

(arcoseno, arcocoseno, arcotangente). Nella figura sottostante e disegnato il graficodi x→ arctang x.

−π2

π

2

0

Esempio 5 La funzione reale definita per x ∈ [0, 2] nel seguente modo

0 1 2

1

2

f(x) =

x se 0 ≤ x < 1

3− x se 1 ≤ x ≤ 2

IV.2 STRUTTURA VETTORIALE E DI ALGE-

BRA DELL’INSIEME RA

Sia A un insieme; indichiamo con RA l’insieme costituito da tutte le applicazioni diA in R e quindi da tutte le funzioni reali definite in A. In RA possiamo definire lasomma di due funzioni e il prodotto di una funzione f per un numero reale λ nelseguente modo

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IV.2. Struttura vettoriale e di algebra dell’insieme RA 51

(f+g)(x) = f(x)+g(x) ∀x ∈ A, f , g ∈ RA

(λ f)(x) = λ f(x) ∀x ∈ A , λ ∈ R , f ∈ RA

La somma e il prodotto per numeri reali sono applicazioni rispettivamente di RA×RA

in RA e di R× RA in RA le quali godono le seguenti proprieta 3

(i1) f + (g + h) = (f + g) + h

(i2) f + g = g + f

(i3) f + 0 = f

(i4) f + (−f) = 0

(j1) (λ+ µ) f = λ f + µ f

(j2) λ (f + g) = λ f + λ g

(j3) λ (µ f) = (λµ) f

(j4) 1 · f = f .

Si esprime questo fatto dicendo che RA con le operazioni (IV.2.1) e (IV.2.1) e unospazio vettoriale reale.Se f, g ∈ RA e λ, µ ∈ R la funzione λ f + µ g ∈ RA si chiama combinazione linearedelle funzioni f e godono. In RA possiamo definire anche un prodotto in questomodo

(f g)(x) = f(x) · g(x) ∀x ∈ A, f , g ∈ RA (IV.2.1)

Il prodotto e una applicazione di RA × RA in RA ed e immediato verificare che eassociativo, commutativo, distributivo rispetto alla somma e inoltre

λ(fg) = (λ f)g = f(λ g) ∀λ ∈ R , f, g ∈ RA . (IV.2.2)

Lo spazio vettoriale RA con l’operazione di prodotto definita in (IV.2.1) costituiscequella che si chiama un’algebra (commutativa).

In RA possiamo definire una relazione d’ordine parziale in questo modo

f ≤ g ⇐⇒ [ f(x) ≤ g(x) ∀x ∈ A ] (IV.2.3)

In accordo con questa relazione d’ordine diremo che f e positiva (non negativa) inA se

f(x) > 0 (f(x) ≥ 0) ∀x ∈ A (IV.2.4)

e diremo che f e negativa (non positiva) in A se

f(x) < 0 (f(x) ≤ 0) ∀x ∈ A (IV.2.5)

Si hanno le seguenti proposizioni

3f , g, h sono funzioni ∈ RA, λ e µ sono numeri reali, 0 e la funzione che vale zero ∀x ∈ A, −fe la funzione che in ogni x ∈ A assume il valore −f(x).

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52 Capitolo IV. Limiti

(I) Se f ∈ RA e limitata superiormente allora −f e limitata inferiormente e

infA

(−f) = − supAf . (IV.2.6)

Basta pensare che (−f)(A) = −(f(A)) 4 .

(II) Se f e g ∈ RA sono limitate allora

supAf + inf

Ag ≤ sup

A(f + g) ≤ sup

Af + sup

Ag . (IV.2.7)

Dim. Per ogni x ∈ A

f(x) ≤ supAf ; g(x) ≤ sup

Ag

quindi

f(x) + g(x) ≤ supAf + sup

Ag ∀ a ∈ A .

Da cio segue che

supA

(f + g) ≤ supAf + sup

Ag . (IV.2.8)

Per ogni x ∈ A

f(x) + infAg ≤ f(x) + g(x) ≤ sup

A(f + g)

da cui

f(x) ≤ supA

(f + g)− infAg .

Quindi

supAf ≤ sup

A(f + g)− inf

Ag .

In definitiva

supAf + inf

Ag ≤ sup

A(f + g) . (IV.2.9)

Le (IV.2.8) e (IV.2.9) provano la tesi.

(III) Se f e g ∈ RA sono limitate allora

infAf + inf

Ag ≤ inf

A(f + g) ≤ inf

Af + sup

Ag . (IV.2.10)

La (IV.2.10) segue banalmente da (IV.2.7) e (IV.2.6).

4Ricordiamo che se X e un insieme di numeri reali allora −X e l’insieme costituito dagli oppostidegli elementi di X

x ∈ −X⇐⇒− x ∈ X

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IV.2. Struttura vettoriale e di algebra dell’insieme RA 53

(IV) Se f ∈ RA e limitata e c e un numero reale allora

supx∈A

(f(x) + c) = c+ supAf , (IV.2.11)

infx∈A

(f(x) + c) = c+ infAf . (IV.2.12)

La (IV.2.11) segue da (IV.2.7) prendendo per g la funzione costante che valec in ogni x ∈ A. La (IV.2.12) segue invece da (IV.2.10) con la stessa scelta dig.

Se f e g sono funzioni A → R limitate, anche f g e limitata ma, a meno chef e g non siano di segno costante in A (cioe non negative o non positive) nonc’e alcuna relazione tra sup

A(f g), inf

A(f g) e sup

Af , sup

Ag, inf

Af , inf

Ag.

(V) Se f e g ∈ RA sono limitate e di segno costante allora si hanno questemaggiorazioni

infAf · inf

Ag ≤ inf

A(f g) ≤ sup

A(f g) ≤ sup

Af · sup

Ag (f, g ≥ 0) (IV.2.13)

supAf · sup

Ag ≤ inf

A(f g) ≤ sup

A(f g) ≤ inf

Af · inf

Ag (f, g ≤ 0) (IV.2.14)

infAf · sup

Ag ≤ inf

A(f g) ≤ sup

A(f g) ≤ sup

Af · inf

Ag (f ≤ 0 ≤ g) (IV.2.15)

Dimostriamo le (IV.2.13): Poiche infAf ≥ 0 e inf

Ag ≥ 0 per ogni x ∈ A risulta

infAf · inf

Ag ≤ f(x) g(x) ≤ sup

Af · sup

Ag

Di qui segue la (IV.2.13). Le (IV.2.14) e (IV.2.15) si dimostrano in modoanalogo; si possono anche dedurre da (IV.2.13) tenuto conto della (IV.2.6).Dalla (IV.2.13) segue come corollario che se f e g sono limitate anche f g elimitata. Infatti f e g sono limitate se e solo se |f | e |g| sono limitate 5 ; |f | e|g| sono funzioni non negative, quindi per (IV.2.13)

supA|f g| ≤ sup

A|f | · sup

A|g| .

Conclusione

f , g limitate =⇒ |f g| limitata ⇐⇒ f g limitata

(VI) Se f ∈ RA e limitata e λ e un numero reale allora

supAλ f =

0 se λ = 0

λ supAf se λ > 0

λ infAf se λ < 0

infAλ f =

0 se λ = 0

λ infAf se λ > 0

λ supAf se λ < 0

(IV.2.16)

5|f |(x) = |f(x)| ∀x ∈ A . Se indichiamo con ϕ l’applicazione x → |x| (definita in R a valori inR+ allora |f | = ϕ ◦ f .

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54 Capitolo IV. Limiti

Dimostrazione Se λ = 0 le relazioni (IV.2.16) sono evidenti. Se λ e > 0 le relazioni(IV.2.16) si dimostrano utilizzando le proposizioni (i1), (i2) e (j1), (j2) del paragrafo 1le quali caratterizzano l’estremo superiore e inferiore di una funzione. Infine se λ < 0si ragiona in questo modo:

supA

(λ f) = supA

(−λ)(−f) = −λ supA

(−f) = −λ (− infAf) = λ inf

Af

infA

(λ f) = infA

(−λ)(−f) = −λ infA

(−f) = −λ (− supAf) = λ sup

Af

IV.3 STRUTTURA RETICOLARE DELL’INSIE-

ME RA

Sia A un insieme e siano f e g due funzioni reali definite in A. Indichiamo con f ∨ g(risp. f ∧ g) la funzione reale che in ogni punto x ∈ A assume il valore piu grande(risp. piu piccolo) fra f(x) e g(x). In simboli

(f ∨ g)(x) = max[f(x), g(x)] ∀x ∈ A (IV.3.1)

(f ∧ g)(x) = min[f(x), g(x)] ∀x ∈ A (IV.3.2)

∨ e ∧ sono applicazioni di RA × RA in RA e si chiamano anche “operazioni direticolo”. L’insieme RA, che e chiuso rispetto a queste operazioni si dice che e unreticolo.

Esempio Sia A = [0, π], f(x) = sen x, g(x) = cos x (x ∈ A). Allora

f ∨ g(x) =

cosx se 0 ≤ x ≤ π

4

senx seπ

4≤ x ≤ π

f ∧ g(x) =

senx se 0 ≤ x ≤ π

4

cosx seπ

4≤ x ≤ π

0

1

−1

π

π/40

1

−1

π

π/4

x→ (f ∨ g)(x) x→ (f ∧ g)(x)

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IV.4. Successioni di numeri reali 55

Si hanno queste proposizioni (f , g, h ∈ RA):

f ∨ g = g ∨ f e f ∧ g = g ∧ f (IV.3.3)

f ∨ (g ∨ h) = (f ∨ g) ∨ h e f ∧ (g ∧ h) = (f ∧ g) ∧ h (IV.3.4)

f ∨ (g ∧ h) = (f ∨ g) ∧ (f ∨ h) (IV.3.5)

f ∧ (g ∨ h) = (f ∧ g) ∨ (f ∧ h) (IV.3.6)

|f | = f ∨ 0− f ∧ 0 = f ∨ (−f) (IV.3.7)

f ∨ 0 =f + |f |

2e f ∧ 0 =

f − |f |2

(IV.3.8)

E’ inoltre ovvio che

f ∧ g ≤ f ≤ f ∨ g f, g ∈ RA . (IV.3.9)

IV.4 SUCCESSIONI DI NUMERI REALI

SiaA un insieme; si chiama successione di elementi di A ogni applicazione a : N→ A.In particolare, una successione di numeri reali e una applicazione a : N → R 6 . Sea e una successione e consuetudine scrivere an in luogo di a(n).Indicheremo la successione a con uno di questi simboli

n→ an , {an}n∈N , {an} (IV.4.1)

Esempi.

(I) Consideriamo un piano π, un punto P di questo piano e per ogni n ∈ Nindichiamo con Sn il cerchio di centro P e raggio uguale a n.

a : n→ Sn e una successione; a e un’applicazione di N nell’ insieme A costituitodai cerchi del piano π.

(II) Sia I l’intervallo [0, 1] della retta reale. Ad ogni n ∈ N associamo la funzionereale

x→ fn(x) = nx x ∈ [0, 1]

{fn} e una successione di funzioni appartenenti a RI .

(III) Sono successioni di numeri reali

n→ an =1

n+ 1

n→ an =

√n

n+ 1

n→ an =

n

2per n pari

n+ 1

2per n dispari

6N, Z, Q sono considerati sottoinsiemi di R.

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56 Capitolo IV. Limiti

Le successioni di numeri reali sono particolari funzioni reali di variabile reale; inaccordo con le definizioni date nel paragrafo 1, ha senso parlare di successioni limi-tate, limitate superiormente o inferiormente, di estremo inferiore o superiore di unasuccessione, di successione monotone.

In particolare una successione {an} di numeri reali e monotona crescente (nondecrescente) se

an < an+1 (an ≤ an+1) ∀x ∈ N (IV.4.2)

Una successione di numeri reali e decrescente (non crescente) se

an > an+1 (an ≥ an+1) ∀x ∈ N (IV.4.3)

Infatti si dimostrano facilmente le seguenti implicazioni:

{an < an+1 ∀n ∈ N} ⇐⇒ {n < m=⇒ an < am ∀n,m ∈ N}{an > an+1 ∀n ∈ N} ⇐⇒ {n < m=⇒ an > am ∀n,m ∈ N}

e le implicazioni analoghe che si ottengono sostituendo < e > rispettivamente con≤ e ≥.

Esempi.

(I) La successione n → an =1

n+ 1e limitata; ha per estremo superiore (e

massimo) 1; ha per estremo inferiore 0 (che non e minimo); e decrescenteperche

1

n+ 1>

1

n+ 2∀n ∈ N .

(II) La successione {(−1)nn} non e limitata ne superiormente ne inferiormente enon e monotona.

(III) La successione {2n} e limitata inferiormente ed ha come estremo inferiore (eminimo) lo 0; non e limitata superiormente; e monotona crescente perche

2n < 2 (n+ 1) ∀n ∈ N .

Sia {an} una successione e n → kn una successione crescente di interi non ne-gativi. L’applicazione b : n → akn si chiama successione estratta dalla successione{an}. Si ha la relazione

bn = akn ∀n ∈ N

Esempio Sia a =

{n

n+ 1

}. Sono successioni estratte da a le seguenti:

b : n→ 2n

2n+ 1= a2n ,

c : n→ n+ 2

n+ 3= an+2 .

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IV.5. Limite di una successione di numeri reali 57

IV.5 LIMITE DI UNA SUCCESSIONE DI NU-

MERI REALI

La teoria dei limiti per le successioni di numeri reali e un caso particolare della teoriadei limiti per funzioni reali di una variabile, che tratteremo piu avanti. Tuttavia edidatticamente utile premettere lo studio di questo caso particolare.

Definizione IV.5.1. Sia {an} una successione di numeri reali: si dice che il numeroreale L e il limite per n che tende all’infinito della successione {an} se ∀ ε > 0 esisteun ν ∈ N tale che ∀n > ν

|an − L| < ε . (IV.5.1)

In tal caso si scrivelimn→∞

an = L . (IV.5.2)

Osserviamo che la disuguaglianza (IV.5.1) e equivalente a ciascuna delle disu-guaglianze seguenti

−ε < an − L < ε (IV.5.3)

L− ε < an < L+ ε (IV.5.4)

Esempi.

(I) La successione

{n

n+ 1

}ha per limite L = 1. Infatti, fissato ε > 0 e scelto un

intero ν >1

εsi ha che∣∣∣∣ n

n+ 1− 1

∣∣∣∣ =

∣∣∣∣ −1

n+ 1

∣∣∣∣ =1

n+ 1< ε ∀n > ν .

(II) Una successione {an} costante

an = k ∈ R ∀n ∈ N

ha per limite k. Infatti

|an − k| = 0 < ε ∀ ε > 0, n ∈ N .

(III) La successione {(−1)n} non ha limite. Infatti se esistesse un limite L per la

successione data, fissato ε =1

3, da un certo indice ν in poi i numeri (−1)n

dovrebbero verificare la disuguaglianza

L− 1

3< (−1)n < L+

1

3.

Quindi, se n e m sono maggiori di ν, dovrebbe risultare

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58 Capitolo IV. Limiti

|(−1)n − (−1)m| < L+1

3−(L− 1

3

)=

2

3.

Cio e assurdo perche, comunque si fissi ν, se n e > ν e pari e m e > ν e disparisi ha

|(−1)n − (−1)m| = 1− (−1) = 2 >2

3.

Quindi non tutte le successioni di numeri reali hanno un limite.

Se {an} ha per limite L si dice che {an} e una successione convergente e checonverge verso L

Teorema IV.5.2. Una successione {an} di numeri reali convergente non puo averepiu di un limite.

Dimostrazione Supponiamo che L1 e L2 siano limiti della successione {an}. Perogni ε > 0 esistono ν1 e ν2 tali che

|an − L1| < ε ∀n > ν1 ,

|an − L2| < ε ∀n > ν2 .

Ne segue che ∀n > ν = max(ν1, ν2)

|L1 − L2| = |L1 − an + an − L2| ≤ |L1 − an|+ |an − L2| < 2 ε . (IV.5.5)

Poiche la disuguaglianza (IV.5.5) deve valere ∀ ε > 0, necessariamente

|L1 − L2| = 0 ossia L1 = L2 .

Una successione di numeri reali {an} si dice infinitesima se

limn→∞

an = 0 .

Dalla definizione di limite segue allora che {an} ha per limite L se e solo se {an−L}e infinitesima

limn→∞

an = L⇐⇒ limn→∞

(an − L) = 0 (IV.5.6)

E’ altresı evidente che

limn→∞

an = 0⇐⇒ limn→∞

|an| = 0 (IV.5.7)

Osservazione Se {an} e {bn} sono successioni di numeri reali e se esiste un ν ∈ Ntale che

an = bn n > ν 7

7Si dice anche che an = bn definitivamente.

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IV.5. Limite di una successione di numeri reali 59

allora {an} converge se e solo se converge {bn}; in tal caso le due successioni hannolo stesso limite. Questa osservazione giustifica un certo modo di scrivere che si usaabitualmente nei calcoli.Ad esempio la scrittura

limn→∞

1

n= 0 (IV.5.8)

ha questo significato: la funzione a : n → 1/n e definita su N escluso un numerofinito di interi (nel caso specifico n = 0). Definiamo in qualche modo la funzione aanche per n = 0 ponendo ad esempio

a0 = 1 , a0 = 15.7 , . . .

La successione che cosı si ottiene e convergente e ha per limite 0.

Teorema IV.5.3. Una successione di numeri reali {an} convergente e necessaria-mente limitata.

Dimostrazione Sia L = limn→∞

an; esiste un ν ∈ N tale che

|an − L| < 1 ∀n > ν .

Quindi

|an| = |(an − L) + L| ≤ |an − L|+ |L| ≤ 1 + |L| n > ν .

PostoM = max{|a0| , . . . , |aν | , 1 + |L|}

risulta|an| ≤M ∀n ∈ N .

Si osservi che il viceversa non e vero. La successione {(−1)n} e limitata ma non halimite come si e visto in precedenza.

Teorema IV.5.4. Se {an} e una successione di numeri reali convergente, ognisuccessione {bn} estratta da {an} e convergente e

limn→∞

bn = limn→∞

an (IV.5.9)

Dimostrazione Poiche {bn} e una successione estratta da {an}, esiste una succes-sione crescente di interi non negativi n→ kn tale che

bn = akn ∀n ∈ N . (IV.5.10)

Risulta inoltrekn ≥ n ∀n ∈ N (IV.5.11)

in quanto {kn} e crescente. Supponiamo allora che sia L = limn→∞

an; per ogni ε > 0

esiste un ν ∈ N tale che

|ak − L| < ε k > ν

e quindi, tenuto conto di (IV.5.10) e (IV.5.11),

|bn − L| = |akn − L| < ε ∀n > ν .

Questo prova la tesi.

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60 Capitolo IV. Limiti

Naturalmente si possono estrarre successioni convergenti anche da successioni chenon sono convergenti. Ad esempio la successione n→ an = (−1)n non e convergentementre la successione estratta n→ bn = a2n = 1 e convergente e ha per limite 1.

Teorema IV.5.5. Se {an} e {bn} sono successioni di numeri reali convergenti e se 8

an ≤ bn ∀n ∈ N (IV.5.12)

allora

limn→∞

an ≤ limn→∞

bn . (IV.5.13)

Dimostrazione Sia ` = limn→∞

an e L = limn→∞

bn. Se per assurdo e ` > L, fissato

ε = (`− L)/2 esistono, per definizione di limite, ν1 e ν2 ∈ N tali che

an > `− ε =`+ L

2∀n > ν1

bn < L+ ε =`+ L

2∀n > ν2

Da queste disuguaglianze segue che

bn <`+ L

2< an ∀n > ν = max{ν1, ν2}

ma cio e in contraddizione con l’ipotesi (IV.5.12). Quindi ` ≤ L.Osserviamo che se in luogo della (IV.5.12) vale l’ipotesi

an < bn ∀n ∈ N

non si puo dedurre che ` < L in quanto puo ancora succedere che sia ` = L.

Si consideri ad esempio le successioni − 1

n+ 1e

1

n+ 1. Ovviamente

− 1

n+ 1<

1

n+ 1∀n ∈ N

e tuttavia

limn→∞

(− 1

n+ 1

)= lim

n→∞

1

n+ 1= 0 .

Teorema IV.5.6. Se {an}, {bn}, {cn} sono successioni di numeri reali e se

an ≤ bn ≤ cn ∀n ∈ N 9 (IV.5.14)

limn→∞

an = limn→∞

cn = L (IV.5.15)

allora anche {bn} e convergente e limn→∞

bn = L.

8Il teorema resta vero anche nell’ipotesi che sia an ≤ bn definitivamente.

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IV.5. Limite di una successione di numeri reali 61

Dimostrazione ∀ ε > 0 esistono ν1 e ν2 ∈ N tali che

L− ε < an < L+ ε ∀n > ν1

L− ε < cn < L+ ε ∀n > ν2

quindi, per l’ipotesi (IV.5.14),

L− ε < an ≤ bn ≤ cn < L+ ε ∀n > ν = max{ν1, ν2} .

Questo prova la tesi.

Teorema IV.5.7. Se {an} e convergente e ha per limite L allora {|an|} e conver-gente e ha per limite |L|.

Dimostrazione Per ogni ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che

|an − L| < ε ∀n > ν .

Ne segue che ∣∣∣∣|an| − |L|∣∣∣∣ ≤ |an − L| < ε ∀n > ν .

Se {an} e una successione reale e an e 6= 0 per ogni n allora si puo considerare

la successione

{1

an

}. Si ha questo teorema.

Teorema IV.5.8. Se {an} e una successione reale convergente e se

an 6= 0 ∀n ∈ N ; limn→∞

an 6= 0

allora

{1

an

}e una successione convergente e

limn→∞

1

an=

1

limn→∞

an.

Dimostrazione Sia L = limn→∞

an. Per ogni ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che∣∣∣∣ |an| − |L| ∣∣∣∣ ≤ |an − L| < εL2

1 + ε |L|∀n > ν (IV.5.16)

e quindi

|an| > |L| −εL2

1 + ε |L|=

|L|1 + ε |L|

∀n > ν . (IV.5.17)

Da (IV.5.16) e (IV.5.17) segue che∣∣∣∣ 1

an− 1

L

∣∣∣∣ =|an − L||an| · |L|

<εL2

1 + ε |L|· 1 + ε |L||L|

· 1

|L|= ε ∀n > ν .

Questo prova che

limn→∞

1

an=

1

L.

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62 Capitolo IV. Limiti

IV.6 LIMITE DI SUCCESSIONI MONOTONE

Abbiamo osservato nel paragrafo precedente che una successione di numeri reali {an}limitata non e necessariamente convergente. Invece nella classe piu particolare dellesuccessioni monotone essere “limitata” e “avere limite” sono proprieta equivalenti.Cio e quanto noi proveremo.

Premettiamo l’osservazione, alquanto banale, che se {an} e monotona crescente(non decrescente)

{an} limitata ⇐⇒ {an} limitata superiormente

mentre se {an} e decrescente (non crescente)

{an} limitata ⇐⇒ {an} limitata inferiormente.

Teorema IV.6.1. Se {an} e una successione di numeri reali limitata e crescente(non decrescente) allora {an} converge. Inoltre

limn→∞

an = supn∈N{an} . (IV.6.1)

Dimostrazione Poniamo L = supn∈N{an}. L e caratterizzato da queste due proprieta

an ≤ L ∀n ∈ N (IV.6.2)

∀ ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che aν > L− ε . (IV.6.3)

Poiche {an} e crescente (non decrescente)

aν > L− ε =⇒ an > L− ε ∀n ≥ ν . (IV.6.4)

Concludendo: ∀ ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che

L− ε < an ≤ L < L+ ε ∀n > ν .

Questo prova che {an} e convergente e che limn→∞

an = L.

Teorema IV.6.2. Se {an} e una successione di numeri reali limitata e decrescente(non crescente) allora {an} e convergente e

limn→∞

an = infn∈N

an . (IV.6.5)

Dimostrazione Poniamo ` = infn∈N

an. ` e caratterizzato da queste due proprieta

an ≥ ` ∀n ∈ N (IV.6.6)

∀ ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che aν < `+ ε . (IV.6.7)

Poiche {an} e decrescente (non crescente)

aν < `+ ε =⇒ an < `+ ε ∀n ≥ ν . (IV.6.8)

Da (IV.6.6), (IV.6.7), (IV.6.8) segue che ∀ ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che

`− ε < ` ≤ an < `+ ε ∀n > ν .

Quindi {an} e convergente e limn→∞

an = `.

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IV.6. Limite di successioni monotone 63

Osservazione Il teorema IV.6.2 si puo ottenere come corollario dal teorema IV.6.1tenuto conto di queste semplici osservazioni:

(i1) Se {an} e decrescente (non crescente) allora {an} e crescente (non decrescente).

(i2) Se limn→∞

an = `, allora limn→∞

−an = −` 10.

Ne segue, nelle ipotesi del teorema IV.6.2, che

limn→∞

an = − limn→∞

(−an) = − supn∈N

(−an) = infn∈N

an .

Esempio Consideriamo la successione

n→(

1 +1

n+ 1

)n+1

.

Questa successione e crescente e limitata, quindi, per il teorema IV.6.1, ammettelimite. Il limite di questa successione si indica con e

e = limn→∞

(1 +

1

n

)n. (IV.6.9)

La successione e crescente: Dobbiamo dimostrare che(1 +

1

n

)n<

(1 +

1

n+ 1

)n+1

∀n ≥ 1 .

Osserviamo che se a e un numero reale che verifica la relazione 0 < a < 1 allora

(1− a)n ≥ 1− n a ∀n ∈ N .

Questa disuguaglianza si dimostra per induzione. Allora

(1 +

1

n

)n=

n∑h=0

(n

h

)1

nh=

n∑h=0

(n+ 1

h

)1

nh

(1− h

n+ 1

)≤

≤n∑h=0

(n+ 1

h

)1

nh

(1− 1

n+ 1

)h=

n∑h=0

(n+ 1

h

)1

(n+ 1)h<

<n+1∑h=0

(n+ 1

h

)1

(n+ 1)h=

(1 +

1

n+ 1

)n+1

.

La successione e limitata: per ogni n ≥ 1 risulta

2 ≤(

1 +1

n

)n=

n∑h=0

(n

h

)1

nh= 1 +

n∑h=1

1

h!

(1− 1

n

). . .

(1− h− 1

n

)≤

≤ 1 +n∑h=1

1

h!≤ (11) 1 +

n∑h=1

1

2h−1=

= 1 +n−1∑h=0

1

2h= 1 +

2n − 1

2n−1< 1 + 2 = 3 .

10Il lettore dimostri per esercizio questa semplice proposizione.

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64 Capitolo IV. Limiti

Dalla disuguaglianza

2 ≤(

1 +1

n

)n< 3 ∀n ≤ 1

segue, per il teorema IV.5.5 che

2 ≤ e ≤ 3 .

2.718281 e una valutazione per difetto del numero e.

IV.7 ALGEBRA DELLE SUCCESSIONI REALI

CONVERGENTI

L’insieme delle successioni reali, che possiamo indicare con RN, costituisce un’alge-bra con le operazioni di somma, prodotto e prodotto per numeri reali definite nelparagrafo 2 e cioe

{an}+ {bn} = {an + bn} (IV.7.1)

{an} · {bn} = {an bn} {an}, {bn} ∈ RN , λ ∈ R (IV.7.2)

λ{an} = {λ an} . (IV.7.3)

Consideriamo il sottoinsieme di RN costituito dalle successioni reali convergenti.Questo insieme e una sottoalgebra di RN; in altri termini e un insieme chiuso rispettoalle operazioni (IV.7.1), (IV.7.2), (IV.7.3). Questo e quanto ora dimostreremo.

Teorema IV.7.1. Se {an} e {bn} sono successioni reali convergenti, anche {an+bn}e convergente e

limn→∞

(an + bn) = limn→∞

an + limn→∞

bn (IV.7.4)

Dimostrazione Sia L = limn→∞

an e M = limn→∞

bn. Per ogni ε > 0 esistono due numeri

ν1 e ν2 tali che

|an − L| <ε

2∀n > ν1 , (IV.7.5)

|bn −M | <ε

2∀n > ν2 . (IV.7.6)

Posto ν = max{νl, ν2}, da (IV.7.5) e (IV.7.6) segue che

|(an + bn)− (L+M)| ≤ |an − L|+ |bn −M | < ε ∀n > ν

e questo prova la tesi.

11Si utilizza la disuguaglianza

n! ≥ 2n−1 , n ≥ 1 .

Questa disuguaglianza si prova facilmente per induzione.

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IV.7. Algebra delle successioni reali convergenti 65

Teorema IV.7.2. Se {an} e una successione reale convergente e λ ∈ R allora {λ an}e convergente e

limn→∞

λ an = λ limn→∞

an . (IV.7.7)

Dimostrazione Il teorema e banalmente vero se λ = 0. Supponiamo allora λ 6= 0e sia L = lim

n→∞an. Per ogni ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che

|an − L| <ε

|λ|∀n > ν .

Quindi|λ an − λL| = |λ| · |an − L| < ε ∀n > ν .

Questo prova la tesi.

Lemma IV.7.3. Se {an} e {bn} sono due successioni reali, la prima infinitesima ela seconda limitata, allora la successione {an bn} e infinitesima.

Dimostrazione Poiche {bn} e limitata, esiste un numero M > 0 tale che

|bn| < M ∀n ∈ N . (IV.7.8)

Poiche {an} e infinitesima, per ogni ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che

|an| <ε

M∀n > ν . (IV.7.9)

Da (IV.7.8) e (IV.7.9) segue che

|an bn| = |an| · |bn| < ε ∀n > ν .

Questo prova che {an bn} e infinitesima.

Teorema IV.7.4. Se {an} e {bn} sono successioni reali convergenti, anche {an bn}e convergente e

limn→∞

an bn = limn→∞

an · limn→∞

bn . (IV.7.10)

Dimostrazione Sia L = limn→∞

an e M = limn→∞

bn. Per ogni n ∈ N si ha l’uguaglianza

an bn = (an − L) bn + L bn ;

{an − L} e una successione infinitesima mentre {bn} e una successione limitata(teorema IV.5.3) quindi, per il lemma IV.7.3,

limn→∞

(an − L) bn = 0 . (IV.7.11)

Per il teorema IV.7.2 risulta

limn→∞

L bn = L limn→∞

bn = LM . (IV.7.12)

Da (IV.7.11), (IV.7.12) e dal teorema IV.7.1 segue che

limn→∞

anbn = limn→∞

(an − L) bn + limn→∞

L bn = LM .

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66 Capitolo IV. Limiti

Corollario IV.7.5. Se {an} e {bn} sono successioni reali convergenti allora

limn→∞

(an − bn) = limn→∞

an − limn→∞

bn . (IV.7.13)

Questo corollario e immediata conseguenza del teorema IV.7.1 e della prop. (i2) delparagrafo 6.

Corollario IV.7.6. Se {an} e {bn} sono successioni reali convergenti e inoltre bn 6=0 per ogni n e lim

n→∞bn 6= 0 allora

limn→∞

anbn

=limn→∞

an

limn→∞

bn. (IV.7.14)

Infatti, per il teorema IV.5.8,

limn→∞

1

bn=

1

limn→∞

bn

quindi, per il teorema IV.7.4,

limn→∞

anbn

= limn→∞

(an ·1

bn) = lim

n→∞an ·

1

limn→∞

bn.

* * *

Se {an} e {bn} sono successioni reali poniamo, in accordo con le definizioni delparagrafo 3,

{an} ∨ {bn} = {Mn} , Mn = max{an, bn} (IV.7.15)

{an} ∧ {bn} = {mn} , mn = min{an, bn} (IV.7.16)

Si e dimostrato che l’insieme delle successioni reali convergenti e un’algebra e inoltre(cfr. teorema IV.5.7) se {an} e convergente anche {|an|} e convergente. Da questifatti segue che l’insieme delle successioni reali convergenti e anche un reticolo, cioee chiuso rispetto alle operazioni di reticolo ∨ e ∧ .

Corollario IV.7.7. Se {an} e {bn} sono successioni reali convergenti anche {Mn}e {mn} sono convergenti.

Infatti per ogni n ∈ N si hanno le uguaglianze

Mn = max{an, bn} =1

2{an + bn + |an − bn|}

mn = min{an, bn} =1

2{an + bn − |an − bn|}

e quindi {Mn} e {mn} sono convergenti. Posto L = limn→∞

an e S = limn→∞

bn, risulta

limn→∞

Mn =1

2{L+ S + |L− S|} = max{L, S} (IV.7.17)

limn→∞

mn =1

2{L+ S − |L− S|} = min{L, S} (IV.7.18)

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IV.8. Successioni reali divergenti 67

Esempi.

(I) limn→∞

(1

n+

√n

n+ 1

)= 1.

Infatti

limn→∞

1

n= 0 , lim

n→∞

n

n+ 1= 1 .

Quindi

limn→∞

(1

n+

√n

n+ 1

)= lim

n→∞

1

n+ lim

n→∞

√n

n+ 1= 0 + 1 = 1

(II) limn→∞

(√n2 + 1− n

)= 0.

Infatti

limn→∞

(√n2 + 1− n

)= lim

n→∞

(√n2 + 1− n

) (√n2 + 1 + n

)(√n2 + 1 + n

) =

= limn→∞

1(√n2 + 1 + n

) = 0 .

IV.8 SUCCESSIONI REALI DIVERGENTI

Definizione IV.8.1. Una successione {an} di numeri reali si dice che divergepositivamente se ∀ ε ∈ R esiste un ν ∈ N tale che

an > ε ∀n > ν . (IV.8.1)

In tal caso si scrivelimn→∞

an = +∞ .

Definizione IV.8.2. Una successione reale {an} si dice che diverge negativamentese per ogni ε ∈ R esiste un ν ∈ N tale che

an < ε ∀n > ν . (IV.8.2)

In tal caso si scrivelimn→∞

an = −∞ .

Una successione divergente non e limitata. Il viceversa e falso. La successione

n→ (−1)n n

non e limitata e tuttavia non diverge ne positivamente ne negativamente. In partico-lare una successione divergente non puo essere convergente e se diverge positivamentenon puo divergere negativamente (e viceversa).

Un certo numero di teoremi che abbiamo dimostrato per le successioni conver-genti continuano a valere anche per successioni divergenti, altri invece non sono piuveri oppure sono veri in una forma meno generale. Eccone alcuni:

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68 Capitolo IV. Limiti

Teorema IV.8.3. Se {an} e una successione reale che diverge positivamente (ne-gativamente) ogni successione {bn} estratta da {an} diverge positivamente (negati-vamente).

Dimostrazione Supponiamo che limn→∞

an = +∞ e sia n → kn una successione

crescente di interi non negativi tale che

bn = akn ∀n ∈ N .

Necessariamente kn > n; inoltre ∀ ε ∈ R esiste un ν ∈ R tale che

ak > ε ∀ k > ν .

Quindibn = akn > ε ∀n > ν .

Questo prova che limn→∞

bn = +∞. In modo analogo si ragiona se {an} diverge

negativamente.

Teorema IV.8.4. Se {an} e {bn} sono successioni reali e se ∀n ∈ N 12

an ≤ bn

allora

(i) se {an} diverge positivamente anche {bn} diverge positivamente;

(ii) se {bn} diverge negativamente anche {an} diverge negativamente.

Dimostrazione Se {an} diverge positivamente, per ogni ε reale esiste un ν ∈ Ntale che

an > ε ∀n > ν

e quindibn ≥ an > ε ∀n > ν .

Se {bn} diverge negativamente, per ogni ε reale esiste un ν ∈ N tale che

bn < ε ∀n > ν

e quindian ≤ bn < ε ∀n > ν .

Teorema IV.8.5. Se {an} e una successione reale divergente allora {|an|} divergepositivamente.

Dimostrazione Infatti se {an} diverge positivamente allora “definitivamente” |an| =an e quindi anche {|an|} diverge positivamente.Se {an} diverge negativamente allora “definitivamente” |an| = −an e per ogni εreale si ha, definitivamente, an < ε. Da questi due fatti segue che ∀ ε ∈ R risulta,definitivamente,

|an| = an > −ε .Questo prova che lim

n→∞|an| = +∞.

12Basta definitivamente.

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IV.8. Successioni reali divergenti 69

Teorema IV.8.6. Se {an} e una successione reale divergente e se an 6= 0 ∀n ∈ N

allora

{1

an

}e infinitesima.

Dimostrazione Per (IV.5.7) e sufficiente dimostrare che limn→∞

1

|an|= 0. Poiche

{an} diverge, {|an|} diverge positivamente quindi ∀ ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che

|an| >1

ε∀n > ν

di conseguenza1

|an|< ε ∀n > ν

e questo prova la tesi.

I due teoremi seguenti, relativi alle successioni monotone, completano i teoremiIV.6.1 e IV.6.2.

Teorema IV.8.7. Se {an} e una successione reale crescente (non decrescente) enon limitata allora

limn→∞

an = +∞

Dimostrazione Poiche {an} non e limitata superiormente, ∀ ε ∈ R esiste un ν ∈ Ntale che

aν > ε . (IV.8.3)

D’altra parte {an} e crescente e quindi

an > aν > ε ∀n > ν .

Questo prova che {an} diverge positivamente.

Teorema IV.8.8. Se {an} e una successione reale decrescente (non crescente) enon limitata allora

limn→∞

an = −∞ .

Dimostrazione La dimostrazione e analoga a quella del teorema IV.8.7. Possiamoconcludere che una successione {an} reale e monotona e convergente se e limitata,e divergente se non e limitata; in ogni caso

limn→∞

an = supn∈N

an

se {an} cresce, elimn→∞

an = infn∈N

an

se {an} decresce, con la convenzione che

supn∈N

an = +∞ ( infn∈N

an = −∞)

se {an} non e limitata superiormente (inferiormente) (cfr. paragrafo 6, cap. II).

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70 Capitolo IV. Limiti

I teoremi dimostrati nel paragrafo 7, nell’ipotesi che una o entrambe le successionisiano divergenti si frammentano in una casistica che possiamo sintetizzare con questeproposizioni ({an} e {bn} successioni reali):

Proposizione IV.8.9. Se {an} diverge positivamente e {bn} e limitata inferior-mente allora

limn→∞

(an + bn) = +∞ . (IV.8.4)

Proposizione IV.8.10. Se {an} diverge negativamente e {bn} e limitata superior-mente allora

limn→∞

(an + bn) = −∞ . (IV.8.5)

Proposizione IV.8.11. Se {an} diverge positivamente e {bn} ha estremo inferiorepositivo 13 (estremo superiore negativo) allora

limn→∞

(an bn) = +∞ ( limn→∞

(an bn) = −∞ ) . (IV.8.6)

Proposizione IV.8.12. Se {an} e infinitesima e an 6= 0 ∀n ∈ N allora

limn→∞

1

|an|= +∞. (IV.8.7)

* * *

Dimostrazione Dimostriamo la proposizione IV.8.9. ∃M ∈ R tale che

bn > M ∀n ∈ N .

Per ogni ε ∈ R esiste un ν ∈ N tale che

an > ε−M ∀n > ν .

Conclusione: ∀ ε ∈ R esiste un ν ∈ R tale che

an + bn > ε ∀n > ν .

La dimostrazione della prop. IV.8.10 e analoga a quella di della prop. IV.8.9.

Dimostriamo la proposizione IV.8.11. Per ogni n ∈ N risulta

bn ≥ infn∈N

bn = ` > 0 ;

inoltre ∀ ε ∈ R esiste un ν ∈ N tale che

an >ε

`∀n > ν ,

quindian bn > ε ∀n > ν .

13E’ sufficiente che sia bn ≥ p > 0 da un certo n in poi.

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IV.8. Successioni reali divergenti 71

Conclusione:limn→∞

an bn = +∞ .

Dimostrazione analoga nel caso che sia supn∈N

bn < 0.

Dimostriamo la proposizione IV.8.12. {an} e infinitesima, quindi {|an|} e infinitesi-ma; cio significa che ∀ ε > 0 ∃ ν ∈ N tale che

|an| <1

ε∀n > ν

e quindi1

|an|> ε ∀n > ν . (IV.8.8)

Poiche (IV.8.8) e banalmente vera se e ε ≤ 0 possiamo concludere che

limn→∞

1

|an|= +∞ .

Osservazione 1 La tesi della proposizione IV.8.9. e verificata se {bn} e unasuccessione convergente oppure se {bn} diverge positivamente per cui

limn→∞

an = +∞ e limn→∞

bn = L ∈ R =⇒ limn→∞

(an + bn) = +∞ (IV.8.9)

limn→∞

an = +∞ e limn→∞

bn = +∞ =⇒ limn→∞

(an + bn) = +∞ . (IV.8.10)

Analogamente la tesi della proposizione IV.8.10 e verificata se, in particolare,{bn} e convergente oppure se {bn} diverge negativamente per cui

limn→∞

an = −∞ e limn→∞

bn = L ∈ R =⇒ limn→∞

(an + bn) = −∞ (IV.8.11)

limn→∞

an = −∞ e limn→∞

bn = −∞ =⇒ limn→∞

(an + bn) = −∞ (IV.8.12)

Osservazione 2 La tesi della proposizione IV.8.11 e verificata se, in particola-re, {bn} converge a un limite positivo (rispett. negativo) oppure se {bn} divergepositivamente (negativamente). Ne segue che

limn→∞

an = +∞ e limn→∞

bn = L > 0 =⇒ limn→∞

(an bn) = +∞ (IV.8.13)

limn→∞

an = +∞ e limn→∞

bn = L < 0 =⇒ limn→∞

(an bn) = −∞ (IV.8.14)

limn→∞

an = +∞ e limn→∞

bn = +∞ =⇒ limn→∞

(an bn) = +∞ (IV.8.15)

limn→∞

an = +∞ e limn→∞

bn = −∞ =⇒ limn→∞

(an bn) = −∞ (IV.8.16)

Osservazione 3 Non rientra nelle ipotesi della prop. IV.8.9 il seguente caso

limn→∞

an = +∞ e limn→∞

bn = −∞ (IV.8.17)

Similmente non rientra nelle ipotesi della prop. IV.8.10 il caso in cui

limn→∞

an = −∞ e limn→∞

bn = +∞ (IV.8.18)

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72 Capitolo IV. Limiti

In questi casi nulla si puo dire a priori circa il limite della successione {an + bn}come si puo vedere da questi esempi:

{an} = {n} , {bn} = {−n} , limn→∞

(an + bn) = limn→∞

0 = 0

{an} = {n} , {bn} = {1− n} , limn→∞

(an + bn) = limn→∞

1 = 1

{an} = {n2} , {bn} = {−n} , limn→∞

(an + bn) = limn→∞

n (n− 1) = +∞

{an} = {n} , {bn} = {−n2} , limn→∞

(an + bn) = limn→∞

n (1− n) = −∞

{an} = {n} , {bn} = {(−1)n − n} , {an + bn} = {(−1)n} non ha limite.

Non rientra nelle ipotesi della proposizione IV.8.11 il seguente caso

limn→∞

an = +∞ e limn→∞

bn = 0 . (IV.8.19)

In questa situazione non si puo dire nulla a priori circa il limite della successione{an bn} come si prova con facili esempi:

{an} = {n} , {bn} =

{1

n+ 1

}, lim

n→∞(an bn) = lim

n→∞

n

n+ 1= 1

{a2n} = {n} , {bn} =

{1

n+ 1

}, lim

n→∞(an bn) = lim

n→∞

n2

n+ 1= +∞

{an} = {n} , {bn} =

{1

n2 + 1

}, lim

n→∞(an bn) = lim

n→∞

n

n2 + 1= 0

{an} = {n} , {bn} =

{(−1)n

n+ 1

}, {an bn} = {(−1)n n

n+1} non ha limite.

Nella successione (IV.8.19) rientra il caso del rapporto di due successioni{anbn

}, bn 6= 0 ∀n,

quandolimn→∞

an = limn→∞

bn = 0

oppurelimn→∞

an = ±∞ e limn→∞

bn = ±∞

Si dice brevemente che le forme

+∞−∞ , ±∞ · 0 , 0

0,±∞±∞

sono indeterminate.

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IV.9. Massimo e minimo limite di successioni reali 73

IV.9 MASSIMO E MINIMO LIMITE DI SUC-

CESSIONI REALI

Sia a0 = {an} una successione di numeri reali. Consideriamo le successioni estratte

ak : n→ an+k , k = 0, 1, 2, . . . (IV.9.1)

le cui immagini sonoak(N) = {ak, ak+1, ak+2, . . .} .

Tutte queste successioni sono limitate superiormente (inferiormente) se e solo se lasuccessione data a0 e limitata superiormente (inferiormente).Se a0 e limitata superiormente, per ogni k ∈ N indichiamo con Lk l’estremo superioredella successione ak:

Lk = supn∈N

an+k = supn≥k

an = sup ak(N) . (IV.9.2)

{Lk} e una successione non crescente in quanto

h < k =⇒ ah(N) ⊃ ak(N) (IV.9.3)

quindi {Lk} ha limite.

Se a0 e limitata inferiormente, per ogni k ∈ N indichiamo con `k l’estremoinferiore della successione ak

`k = infn∈N

an+k = infn≥k

an = inf ak(N) , (IV.9.4)

{`k} e una successione non decrescente, in virtu della (IV.9.3, e quindi {`k} ha limite.

Definizione IV.9.1. Se la successione reale {an} e limitata superiormente, si chia-ma massimo limite della successione {an} per n che tende all’infinito il limite dellasuccessione {Lk}.Se {an} non e limitata superiormente si dice che il massimo limite di {an} per nche tende all’infinito e +∞.

Il massimo limite della successione {an} si indica con i simboli

maxlimn→∞

an , limn→∞

an , lim′′n→∞

an

Definizione IV.9.2. Se la successione reale {an} e limitata inferiormente, si chia-ma minimo limite di {an} per n che tende all’infinito, il limite della successione {`k}.Se {an} non e limitata inferiormente si dice che il minimo limite di {an} e −∞.

Il minimo limite della successione {an} si indica con i simboli

minlimn→∞

an , limn→∞

an , lim′n→∞

an ,

Quindi ogni successione reale ha massimo e minimo limite i quali possono esserenumeri reali 14 oppure +∞ e −∞.

Esempi.

14In tal caso diremo che sono finiti.

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74 Capitolo IV. Limiti

(I) Consideriamo la successionen

n+ 1. Questa successione e limitata e inoltre

Lk = supn∈N

n+ k

n+ k + 1= sup

n≥k

n

n+ 1= 1

`k = infn∈N

n+ k

n+ k + 1= inf

n≥k

n

n+ 1=

k

k + 1

Quindi

maxlimn→∞

n

n+ 1= lim

k→∞Lk = 1

minlimn→∞

n

n+ 1= lim

k→∞`k = lim

k→∞

k

k + 1= 1

(II) Consideriamo la successione {an} dove

an =

−n se n e dispari

1

n+ 1se n e pari.

La successione e limitata superiormente ma non inferiormente quindi

lim′n→∞

an = −∞ .

Calcoliamo il massimo limite. Si ha

L0 = supn∈N

an = 1

L1 = supn∈N

an+1 = supn≥1

an =1

3

L2 = supn∈N

an+2 = supn≥2

an =1

3

Lk = supn∈N

an+k = supn≥k

an =

1

k + 1se k e pari

1

k + 2se k e dispari

quindimaxlimn→∞

an = limk→∞

Lk = 0

(III) Consideriamo la successione limitata {(−1)n}. Si ha

Lk = supn∈N

(−1)n+k = 1

`k = infn∈N

(−1)n+k = −1

quindi

lim′n→∞

(−1)n = −1

lim′′n→∞

(−1)n = 1

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IV.9. Massimo e minimo limite di successioni reali 75

Teorema IV.9.3. Se {an} e una successione di numeri reali

lim′n→∞

an ≤ lim′′n→∞

an .15 (IV.9.5)

Dimostrazione Supponiamo che lim′n→∞

an e lim′′n→∞

an siano finiti. Per ogni k ∈ Nrisulta

`k ≤ Lk

e quindi, per il teorema IV.5.5,

limk→∞

`k ≤ limk→∞

Lk .

Se lim′n→∞

an e lim′′n→∞

an non sono finiti la relazione (IV.9.5) e pressoche ovvia.

Teorema IV.9.4. Sia {an} una successione reale; lim′n→∞

an e lim′′n→∞

an sono entrambi

finiti se e solo se {an} e limitata.

Dimostrazione Se il massimo e il minimo limite di {an} sono finiti vuol dire che{an} e limitata superiormente e inferiormente, cioe e limitata.Viceversa supponiamo che {an} sia limitata, allora esiste un numero M > 0 tale che

−M < an < M ∀n ∈ N

e quindi−M ≤ `k ≤ Lk ≤M ∀ k ∈ N .

Di qui segue che limk→∞

`k e limk→∞

Lk sono finiti.

Supponiamo allora che {an} sia una successione limitata e siano L e ` il suomassimo e minimo limite. Il numero L e caratterizzato da queste due proprieta:

(i1) ∀ ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che

an < L+ ε ∀n > ν , (IV.9.6)

(i2) ∀ ε > 0 esiste un insieme numerabile A ⊂ N tale che

an > L− ε ∀n ∈ A . (IV.9.7)

Similmente, il numero ` e caratterizzato da queste due proprieta:

(j1) ∀ ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che

an > `− ε ∀n > ν , (IV.9.8)

15Con la solita convenzione (cfr. paragrafo 6, Cap. II):

−∞ < x < +∞ ∀x ∈ R

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76 Capitolo IV. Limiti

(j2) ∀ ε > 0 esiste un insieme numerabile A ⊂ N tale che

an < `+ ε ∀n ∈ A . (IV.9.9)

Dimostriamo ad esempio che il massimo limite e caratterizzato da (i1) e (i2):Sia L = maxlim

n→∞an = inf

k∈NLk . Per ogni ε > 0 esiste almeno un ν ∈ N tale che

Lν < L+ ε .

Questo e come dire che

an < L+ ε ∀n ≥ ν .

Quindi (i1) e verificata. Analogamente per ogni ε > 0 risulta

Lk > L− ε ∀ k ∈ N (IV.9.10)

questo assicura che per infiniti indici n e an > L− ε. 16

Viceversa, supponiamo che L sia un numero reale che verifica (i1) e (i2), dobbiamodimostrare che L e il massimo limite di {an}. Da (IV.9.6) e (IV.9.7) segue che, fissatoε > 0, risulta

Lν < L+ ε per almeno un ν ∈ N

eLk > L− ε ∀ k ∈ N .

Quindi, tenuto conto che {Lk} e non crescente,

L− ε < Lk < L+ ε ∀ k ≥ ν .

Questo prova che L = limk→∞

Lk.

In modo del tutto analogo si dimostra che il minimo limite e caratterizzato dalleproprieta (j1) e (j2). Questa caratterizzazione e assai utile e ci permette di collegarefacilmente la nozione di limite con quella di massimo e minimo limite.

Teorema IV.9.5. Una successione reale {an} e convergente se e solo se il massimoe minimo limite di {an} sono uguali e finiti; in tal caso

limn→∞

an = lim′′n→∞

an = lim′n→∞

an (IV.9.11)

Dimostrazione Supponiamo che {an} sia convergente e sia L = limn→∞

an. Per ogni

ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che

L− ε < an < L+ ε ∀n ≥ ν .

Quindi il numero L verifica le proprieta (i1) e (i2) e (j1) e (j2) . Pertanto L eanche massimo e minimo limite della successione {an}.

16In caso contrario la (IV.9.10) non sarebbe vera ∀ k ∈ N. Infatti se an > L − ε e vera soloper un numero finito di indici n allora, definitivamente, e an ≤ L − ε e quindi, definitivamente,Lk < L− ε.

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IV.9. Massimo e minimo limite di successioni reali 77

Viceversa, supponiamo che

lim′′n→∞

an = lim′n→∞

an = L

Per la proprieta (i1), fissato ε > 0 esiste un ν1 ∈ N tale che

an < L+ ε ∀n > ν1

Per la proprieta (j1), fissato ε > 0 esiste un ν2 ∈ N tale che

an > L− ε ∀n > ν2

Ne segue che

L− ε < an < L+ ε ∀n > ν = max{ν1, ν2} .

Questo prova che L = limn→∞

an.

Un teorema analogo vale per le successioni divergenti.

Teorema IV.9.6. Una successione reale {an} diverge positivamente (negativamen-te) se e solo se lim′′

n→∞an = lim′

n→∞an = +∞ (rispett. −∞).

Dimostrazione Supponiamo che limn→∞ an = +∞; allora {an} non e limitatasuperiormente e pertanto

lim′′n→∞

an = +∞

Inoltre, ∀ ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che

an > ε ∀n > ν .

Ne segue`k ≥ ε ∀ k > ν .

Cio significa che lim′n→∞

an = limk→∞

`k = +∞.

Viceversa, supponiamo che

lim′n→∞

an = lim′′n→∞

an = +∞ .

Alloralimk→∞

`k = +∞ .

Quindi ∀ ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che

`k > ε ∀ k > ν .

Ne segue chean > ε ∀n > ν

e quindi limn→∞

an = +∞.

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78 Capitolo IV. Limiti

Una successione di numeri reali {an} si dice successione di Cauchy se gode laseguente proprieta: Per ogni ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che

|an − am| < ε ∀ n,m > ν (IV.9.12)

Si vede facilmente che ogni successione di Cauchy e necessariamente limitata (il vi-ceversa e falso; si pensi alla successione {(−1)n}).

Come conseguenza del teor. IV.9.5 si dimostra questo importante teorema cheda una caratterizzazione delle successioni reali convergenti:

Teorema IV.9.7. Condizione necessaria e sufficiente perche una successione reale{an} sia convergente e che {an} sia una successione di Cauchy.

Dimostrazione Supponiamo che {an} converga a un limite L; allora, ∀ ε > 0,esiste un ν ∈ N tale che

|an − L| <ε

2∀n > ν

Quindi se n e m sono > ν

|an − am| < |an − L|+ |L− am| < ε

Viceversa, supponiamo che {an} sia una successione di Cauchy e dimostriamo che{an} converge. Per far questo, tenuto conto del teorema IV.9.5, e sufficiente dimo-strare che

lim′n→∞

an = lim′′n→∞

an

Poniamo ` = lim′n→∞

an e L = lim′′n→∞

an; ` e L sono numeri reali perche {an} e limitata.

Fissato ε > 0 esiste un ν ∈ N e due sottoinsiemi numerabili A′ e A′′ di N tali che

|an − am| < ε ∀n,m > ν

|am − L| < ε ∀m ∈ A′′

|an − `| < ε ∀n ∈ A′ .

Scegliamo un m ∈ A′′ e un n ∈ A′ maggiori di ν; allora

|L− `| ≤ |L− am|+ |am − an|+ |an − `| < 3 ε . (IV.9.13)

Poiche ε e positivo arbitrario, da (IV.9.13) segue che |L− `| = 0 e quindi L = `.

IV.10 SPAZI METRICI E SPAZI TOPOLOGICI

Sia E un insieme; una distanza 17 su E e una applicazione d : E × E → R la qualepossiede le seguenti proprieta:

(i1) d(x, y) ≥ 0 , ∀x, y ∈ E17O una metrica.

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IV.10. Spazi metrici e spazi topologici 79

(i2) d(x, y) = 0 se e solo se x = y

(i3) d(x, y) = d(y, x) , ∀ x, y ∈ E

(i4) d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y) , ∀x, y, z ∈ E

Un insieme E su cui sia definita una distanza d si chiama spazio metrico.Se A e un sottoinsieme di E, la restrizione di d all’insieme A×A e una metrica su A;essa si chiama la metrica indotta da E su A. Con questa metrica A e un sottospaziometrico di E.Sia E uno spazio metrico con distanza d e x◦ un elemento di E. Si chiama sferaaperta di centro x◦ e raggio r > 0 l’insieme

I(x◦, r) = {x ∈ E : d(x, x◦) < r} .

Si chiama sfera chiusa di centro x◦ e raggio r l’insieme degli x ∈ E tali che d(x, x◦) ≤r. 18 Un sottoinsieme A ⊂ E si dice limitato se esiste una sfera che contiene A. SeA e limitato, la metrica d e una funzione limitata su A × A. In tal caso si chiamadiametro di A il numero sup

A×Ad(x, y).

Si chiama intorno di un punto x ∈ E ogni insieme il quale contiene una sfera apertadi centro x.

E’ evidente che ogni elemento x ∈ E ha degli intorni 19 e che gli intorni di unpunto x ∈ E verificano le seguenti proprieta:

(j1) Ogni intorno di x contiene x.

(j2) Se U e V sono intorni di x anche U ∩ V e intorno di x.

(j3) Se U e un intorno di x e V e un sottoinsieme di E che contiene U anche V eintorno di x.

(j4) Se U e un intorno di x esiste un intorno V di x tale che U sia intorno di ogniy ∈ V .

(j5) ∀x, y ∈ E, x 6= y, esiste un intorno U di x e un intorno V di y disgiunti, cioetali che U ∩ V = ∅.

* * *

Ci limitiamo a dare la dimostrazione per (j4) e (j5).Dimostrazione di (j4). Poiche U e un intorno di x, esiste una sfera aperta I(x, r) ⊂ U .Poniamo

V = I(x, r/2) ;

V e un intorno di x e, per ogni y ∈ V , l’insieme U e intorno di y in quanto

I(y, r/2) ⊂ I(x, r) ⊂ U .

18Alcuni autori chiamano palla (aperta o chiusa) quella che noi abbiamo chiamato sfera, echiamano sfera di centro x◦ e raggio r > 0 l’insieme {x ∈ E : d(x, x◦) = r}.

19Le sfere aperte di centro x e lo spazio E sono intorni di x.

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80 Capitolo IV. Limiti

Dimostrazione di (j5). Poiche e x 6= y, risulta r = d(x, y) > 0. Le sfere I(x, r/3) eI(y, r/3) sono rispettivamente intorno di x e intorno di y e sono disgiunte. Infattise esistesse un w ∈ I(x, r/3) ∩ I(y, r/3) si avrebbe

d(x,w) <r

3, d(y, w) <

r

3

e quindi

r = d(x, y) ≤ d(x,w) + d(y, w) <2

3r ,

e cio e assurdo.

* * *

Sia E uno spazio metrico.

Definizione IV.10.1. Un insieme A ⊂ E si dice aperto quando A e intorno di ognisuo punto.

Questa definizione e equivalente a dire che A e aperto se ∀x ∈ A esiste una sferaaperta di centro x contenuta in A. Una sfera aperta e un insieme aperto secondo ladefinizione precedente.

La famiglia degli insiemi aperti di E possiede le seguenti proprieta:

(α1) L’ insieme vuoto ∅ e l’insieme E sono aperti.

(α2) Ogni unione di insiemi aperti e un insieme aperto.

(α3) L’intersezione di un numero finito di insiemi aperti e un insieme aperto.

Infatti:

(α1) e ovvia.

(α2) Sia {Aα}α∈I una famiglia finita o infinita di aperti di E. L’unione⋃αAα e

intorno di ogni suo punto in quanto se x ∈⋃αAα allora x appartiene ad Aβ per

almeno un β ∈ I. Aβ e un aperto e quindi un intorno di x; ne segue che anche⋃αAα e intorno di x (prop. (j3)).

(α3) Siano A1, A2, . . . , An aperti di E. Se l’intersezione⋂nj=1Aj e vuota essa e un

aperto; se non e vuota consideriamo un punto x ∈⋂nj=1Aj; ogni Aj e intorno di x

e quindi anche⋂nj=1Aj e intorno di x (prop. (j2)).

E’ interessante notare come le proprieta degli aperti siano conseguenza delleproprieta degli intorni (j1) . . . (j4) e non del modo come abbiamo definito gli intorni.

Sia A un sottoinsieme di E; un elemento x ∈ E si dice aderente all’insiemeA se ogni intorno di x contiene un elemento di A. Questa definizione si puo dare

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IV.10. Spazi metrici e spazi topologici 81

in termini metrici. Chiamiamo distanza del punto x dall’insieme A il numero nonnegativo 20

d(x,A) = infy∈A

d(x, y) . (IV.10.1)

Il punto x e aderente ad A se e solo se d(x,A) = 0. L’insieme costituito dai puntiaderenti ad A si chiama aderenza, o chiusura, di A e si indica con A. OvviamenteA ⊃ A.

Definizione IV.10.2. Un insieme A ⊂ E si dice chiuso se A = A.

Una sfera chiusa e un insieme chiuso secondo la definizione precedente.

Gli insiemi chiusi di E verificano le seguenti proprieta:

(β1) L’insieme vuoto ∅ e l’insieme E sono chiusi.

(β2) L’unione di un numero finito di insiemi chiusi e un insieme chiuso.

(β3) Ogni intersezione di insiemi chiusi e un insieme chiuso.

Queste proprieta degli insiemi chiusi si possono dedurre dalle proprieta degliinsiemi aperti in virtu di considerazioni che faremo piu avanti.

Definizione IV.10.3. Un elemento x ∈ E si chiama punto di accumulazione perl’insieme A ⊂ E se x e aderente ad A − {x}.

Questo equivale a dire che x e di accumulazione per A se e solo se in ogni intornodi x c’e almeno un elemento di A diverso da x. Quindi ogni punto di accumulazioneper A e anche punto aderente ad A mentre il viceversa non e vero.Un punto x ∈ A si dice interno ad A se esiste una sfera aperta di centro x contenutain A.Un punto x ∈ E si dice esterno ad A quando e interno al complementare di A (cioead E − A).Un punto x ∈ E si dice punto di frontiera per l’insieme A ⊂ E se x non e internoad A ne esterno ad A, in altre parole se x ∈ A ∩ E − A. 21

Un punto x ∈ A si dice isolato se esiste una sfera aperta I(x, r) tale che I(x, r)∩A = {x}.

Definizione IV.10.4. Si chiama parte interna di un insieme A ⊂ E, e si indica

con◦A, l’insieme costituito da tutti i punti interni di A.

Ovviamente◦A ⊂ A e l’insieme A e aperto se e solo se A =

◦A.

Definizione IV.10.5. Si chiama parte esterna di A la parte interna del suo com-plementare.

20In modo analogo si puo definire la distanza di due insiemi A e B (contenuti in E) ponendo

d(A,B) = infx∈A,y∈B

d(x, y)

La distanza fra due insiemi non gode la proprieta triangolare (i4).21Infatti ogni intorno di x deve contenere punti di A e punti del complementare di A.

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82 Capitolo IV. Limiti

Definizione IV.10.6. Si chiama frontiera di un insieme A ⊂ E l’insieme costituito

da tutti i punti frontiera di A. La frontiera di A si indica con i simboli FA, ∂A,.A.

Esaurito questo elenco di definizioni si rende opportuna qualche considerazione.Sia A un sottoinsieme di E. Un punto aderente ad A e interno ad A oppure appar-tiene alla frontiera FA. Ne segue che l’insieme A e aperto se e solo se A ∩ FA = ∅e che l’insieme A e chiuso se e solo se A ⊃ FA.

Poiche

A ∩ FA = ∅ ⇐⇒ FA ⊂ E − A

un insieme A e aperto se e solo se il suo complementare e chiuso.

Le proprieta (β1), (β2), (β3) degli insiemi chiusi di E si ottengono trasformandocon passaggio ai complementari le proprieta (α1), (α2), (α3) degli aperti di E (eviceversa). Le proprieta “A e un insieme aperto” e “A e un insieme chiuso” nonsono alternative. Esistono insiemi, contenuti in E, che sono contemporaneamenteaperti e chiusi e insiemi che non sono ne aperti ne chiusi.

Proponiamo al lettore la dimostrazione delle proposizioni seguenti:

(I) Un insieme A e il suo complementare hanno la stessa frontiera.

(II) A e chiuso se e solo se contiene tutti i suoi punti di accumulazione.

(III) La frontiera di un insieme A ⊂ E e un insieme chiuso in E.

(IV) A ∪B = A ∪B

* * *

Definire una topologia su un insieme E significa associare ad ogni elemento x ∈ Euna famiglia Ix di sottoinsiemi di E (detti intorni di x) la quale verifichi le proprieta(j1), . . . , (j4).

Un insieme E su cui sia definita una topologia si chiama spazio topologico. Se everificata anche la proprieta (j5)) la topologia si chiama separata e si dice che E euno spazio topologico separato (o di Hausdorff ).

Una volta definiti gli intorni, per ogni punto di E, restano univocamente indivi-duati gli insiemi aperti di E e gli insiemi chiusi di E, con le relative proprieta, comeabbiamo visto precedentemente. E’ interessante osservare che, in modo diverso maequivalente a quello da noi seguito, una topologia sull’insieme E si puo definire

1. assegnando una famiglia di sottoinsiemi di E – detti gli aperti di E – con leproprieta (α1), (α2), (α3);

2. assegnando una famiglia di sottoinsiemi di E – detti i chiusi di E – con leproprieta (β1), (β2), (β3).

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IV.10. Spazi metrici e spazi topologici 83

Infatti e chiaro che, assegnata la famiglia degli aperti di E con le proprieta (α1),(α2), (α3), mediante passaggio al complementare e individuata la famiglia dei chiusicon le proprieta (β1), (β2), (β3) e viceversa.

In secondo luogo, assegnata la famiglia degli aperti di E, con le proprieta (α1),(α2), (α3), gli intorni di un punto x ∈ E sono tutti e soli i sottoinsiemi di E i qualicontengono un aperto che a sua volta contiene x. Questa famiglia di insiemi gode leproprieta (j1), . . . , (j4):

(j1) E’ ovvia

(j2) Se U e V sono intorni di x, U contiene un aperto A 3 x e V contiene un apertoB 3 x, quindi U ∩ V contiene l’aperto A ∩B 3 x.

(j3) E’ ovvia.

(j4) Se U e un intorno di x, esiste un aperto V tale che U ⊃ V 3 x. Per definizioneU e un intorno di ogni punto y ∈ V .

Uno spazio metrico E e uno spazio topologico particolare: la metrica individuale sfere e, mediante le sfere, restano univocamente individuati gli intorni di ognipunto di E, cioe la topologia di E. Questa topologia su E si chiama la topologianaturale o topologia indotta dalla metrica. Si deve pero osservare che esistono spazitopologici la cui topologia non puo essere definita a partire da una metrica.

Uno spazio topologico E si dice metrizzabile se esiste una metrica su E che inducesu E la sua topologia. Gli spazi che incontreremo in questo corso di analisi sonotutti metrizzabili.

Osserviamo infine che metriche diverse, definite sullo stesso insieme E, possonoindurre su E la stessa topologia, cioe la stessa famiglia di intorni per ogni x ∈ E,la stessa famiglia di insiemi aperti, la stessa famiglia di chiusi. In tal caso si diceche le metriche in questione sono equivalenti. Ad esempio, se d e una metrica su Eanche 2d e una metrica su E : d e 2d sono ovviamente metriche equivalenti. La cosaha un certo interesse perche, senza alterare le proprieta topologiche di uno spaziometrico E, e la verita dei fatti connessi con queste proprieta, noi possiamo sostituirela metrica di E con una equivalente. Siano d1 e d2 due metriche sull’insieme E.Condizione necessaria e sufficiente affinche queste due metriche siano equivalenti eche, ∀x ∈ E, ogni sfera I1(x, r) nella metrica d1 contenga una sfera I2(x, ρ) nellametrica d2 e viceversa.

Una condizione sufficiente affinche d1 e d2 siano metriche equivalenti e che esi-stano due costanti positive c e C tali che

c d1(x, y) ≤ d2(x, y) ≤ C d1(x, y) ∀x, y ∈ E . (IV.10.2)

Per particolari tipi di metriche, che vedremo nel seguito, la condizione (IV.10.2) eanche necessaria ma non lo e in generale. Basta pensare al seguente fatto: se d euna metrica su E anche d′ = min{d, 1} e una metrica su E e d e d′ sono equivalenti;tuttavia la maggiorazione (IV.10.2) non puo valere se d e una metrica non limitata.Qualunque sia la metrica d, la metrica d′ e limitata: data una metrica su E si puosempre trovare una metrica equivalente per la quale E sia limitato.

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84 Capitolo IV. Limiti

IV.11 STRUTTURA METRICA E TOPOLOGI-

CA DI R E RSull’insieme R dei numeri reali definiamo la seguente distanza

d(x, y) = |x− y| ; (IV.11.1)

e assai facile verificare che si tratta di una metrica tenuto conto delle proprieta delvalore assoluto (paragrafo 3, cap. II). Questa metrica si chiama la metrica naturaledi R. Quando consideremo la retta reale come spazio metrico sara sottointeso chela distanza e definita come in (IV.11.1). Questa precisazione e necessaria in quantosull’insieme R si possono definire anche altre distanze. Ad esempio, se f e unaapplicazione iniettiva di R in R, allora

δ(x, y) = |f(x)− f(y)| (IV.11.2)

e una metrica su R. In relazione con la metrica (IV.11.1), la sfera aperta I(x, r) none altro che l’intervallo aperto (x − r, x + r) e la sfera chiusa di centro x e raggio rnon e altro che l’intervallo chiuso [x − r, x + r]. Un intorno del punto x ∈ R e uninsieme di R che contiene un intervallo aperto di centro x. Ad esempio

(−1, 1) ;

(−1

2, 2

)∪ (1, 4) ; R ; (−∞, 5] ; [−2,+∞)

sono intorni del punto x = 0. Gli esempi che ora daremo servono a illustrarele definizioni che abbiamo dato nel paragrafo precedente per uno spazio metricogenerale.

Esempi.

(I) Sia A = [a, b]. Sono punti interni ad A i numeri x tali che a < x < b; sonopunti frontiera di A i punti a e b, cioe gli estremi dell’intervallo.

(II) Consideriamo la successione a : n → 1/(n + 1) e la sua immagine A = a(N).L’insieme A e privo di punti interni. Tutti i punti di A sono isolati e sonopunti frontiera.

(III) Sia A = [1, 3] − {2}. Allora

◦A = (1, 2) ∪ (2, 3) ,A = [1, 3] .

1 2 3

in particolare A non e ne aperto ne chiuso.

FA = {1, 2, 3}

Tutti i punti dell’intervallo [1, 3] sono punti di accumulazione per A.

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IV.11. Struttura metrica e topologica R e R 85

(IV) Sia A = (1, 2] ∪ 3. Allora

◦A = (1, 2) ,A = [1, 2] ∪ 3 ,FA = {1, 2, 3}

1 2 3

3 e (l’unico) punto isolato di A. I punti di accumulazione di A sono i puntidell’intervallo [1, 2].

(V) Consideriamo la successione di intervalli chiusi{[1

n, 1− 1

n

]}L’unione di questi intervalli e costituita dall’intervallo aperto (0, 1).

(VI) Consideriamo la successione di intervalli aperti{(− 1

n,

1

n

)}L’intersezione di tutti questi intervalli e il punto 0, quindi non e un aperto.

(VII) Sia A un insieme di numeri reali limitato superiormente, allora L = supAe aderente ad A. (Discorso analogo per l’estremo inferiore se A e limitatoinferiormente).

Infatti se U e un intorno di L esiste un intervallo aperto (L−ε, L+ε) contenutoin U . D’altra parte, per le proprieta dell’estremo superiore, esiste almeno unx ∈ A tale che

L− ε < x ≤ L .

Quindi esiste almeno un x ∈ U ∩ A.

(VIII) Sia {an} una successione reale e sia L un punto (aderente ad a(N)) con laproprieta che

∀ ε > 0 e an ∈ I(L, ε) per infiniti indici n . (IV.11.3)

Allora esiste una successione estratta da {an} la quale converge a L.

Consideriamo la successione di intervalli aperti{I(L,

1

n+ 1)

}e indichiamo con

k0 il primo indice per cui ak0 ∈ I(L, 1),

k1 il primo indice > k0 per cui ak1 ∈ I(L, 12)

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

La successione n→ bn = akn converge a L. E’ vero anche il viceversa:

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86 Capitolo IV. Limiti

(IX) Se una successione reale {an} converge a un limite L, L e un punto aderentead a(N) e possiede la proprieta (IV.11.3).

Alcuni autori chiamano punti di accumulazione della successione {an} i numerireali che godono la proprieta (IV.11.3).

Questo puo generare confusione perche, in generale, non si tratta di punti di ac-cumulazione per l’immagine a(N); basta pensare ad una successione costante oppurealla successione {(−1)n}: l’immagine e costituita dai punti (isolati) 1 e −1 e questipunti godono la proprieta (IV.11.3).

* * *

Se E e uno spazio topologico e F e un sottoinsieme di E, si puo definire su Funa topologia prendendo come intorni di un punto x ∈ F le intersezioni con F degliintorni di x nella topologia di E. Si dice allora che F e un sottospazio topologicodi E, oppure che la sua topologia e indotta dalla topologia di E. E’ chiaro che,se E e uno spazio metrico e F e un sottospazio metrico di E, allora F e ancheun sottospazio topologico di E, se ci riferiamo alla topologia naturale (cioe quellaindotta dalla metrica).

Consideriamo la retta reale estesa R = R ∪ {−∞,+∞}. In R possiamo definireuna topologia definendo gli intorni in questo modo:

(i) Se x ∈ R, e intorno di x ogni insieme di R che contenga un intervallo apertodi centro x;

(ii) e intorno di +∞ ogni insieme di R che contenga una semiretta (a,+∞].

(iii) e intorno di −∞ ogni insieme di R che contenga una semiretta [−∞, a).

Si dimostra facilmente che gli intorni cosı definiti verificano gli assiomi (j1), . . . , (j5)e quindi la topologia di R e una topologia separata. E’ altresı evidente che la rettaR e un sottospazio topologico di R.

Anche R e uno spazio topologico metrizzabile; ci sono infinite metriche equiva-lenti che inducono su R la topologia da noi definita, ci limitiamo a scriverne una.Consideriamo su R la funzione

x→

x

1 + |x|se x ∈ R

1 se x = +∞

−1 se x = −∞

f e una applicazione monotona crescente, e quindi biunivoca, di R sull’intervallo[−1, 1]. Quindi

δ(x, y) = |f(x)− f(y)| (IV.11.4)

e una metrica su R . Questa metrica induce su R la topologia definita piu sopra.La verifica di questa affermazione e del tutto elementare.

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IV.12. Limite di una applicazione. Completezza. Compattezza 87

x

1 + |x|

−1

1

0 R

Esercizi

(I) L’insieme N, pensato come sottoinsieme di R, ha come (unico) punto di accu-mulazione +∞. L’insieme degli interi Z ha come (unici) punti di accumula-zione +∞ e −∞.

(II) Un sottoinsieme A ⊂ R non e limitato superiormente (inferiormente) se e solose ammette come punto di accumulazione (nella topologia di R) il punto +∞(−∞).

Pensiamo una successione reale {an} come applicazione di N in R (cio e lecitoperche R ⊂ R) e chiamiamo punti di accumulazione della successione gli elementi diR che verificano la proprieta (IV.11.3). Allora:

(III) Il massimo e minimo limite della successione {an} sono il piu grande e il piupiccolo dei suoi punti di accumulazione.

(IV) La successione {an} ha limite se e solo se essa ha un solo punto di accumula-zione.

IV.12 LIMITE DI UNA APPLICAZIONE. COM-

PLETEZZA. COMPATTEZZA

Sia E uno spazio metrico con metrica d. Sia {an} una successione di punti di E(cioe una applicazione di N in E) e sia ` un elemento di E.

Definizione IV.12.1. Si dice che la successione {an} converge verso il punto ` ∈ Equando n tende all’infinito se 22

limn→∞

d(an, `) = 0 . (IV.12.1)

In tal caso si scrivelimn→∞

an = `

22Questa definizione e in accordo con la definizione di successione reale convergente data nelparagrafo 5 tenuto conto che la metrica di R e data da (IV.11.1). Anche la definizione di successionereale divergente rientra nella definizione IV.12.1; basta pensare una successione reale come unasuccessione a valori in R.

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88 Capitolo IV. Limiti

La definizione IV.12.1 e equivalente a dire che:∀ ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che ∀n > ν risulta d(an, `) < ε,

oppure:per ogni sfera I(`, ε) in E esiste una semiretta [ν,+∞) tale che an ∈ I(`, ε) per

ogni n ∈ N ∩ [ν,+∞),

oppure:per ogni intorno U di ` in E, esiste un intorno V di +∞ in R tale che an ∈ U

per ogni n ∈ N ∩ V .

Come si vede, quest’ultima definizione e valida anche se E e uno spazio topo-logico; la convergenza di una successione e una proprieta topologica e non metrica.Ma non insisteremo su questo aspetto della questione.

Se la successione {an} converge il suo limite e unico. Infatti, supponiamo che sia

limn→∞

an = ` e limn→∞

an = L (`, L ∈ E) .

Allora0 ≤ d(`, L) ≤ d(an, `) + d(an, L)

e al limite per n→∞d(`, L) = 0

cioe ` = L.

Definizione IV.12.2. Si dice che la successione {an} di elementi di E e unasuccessione di Cauchy se ∀ ε > 0 esiste un ν ∈ N tale che

d(an, am) ≤ ε ∀n,m > ν . (IV.12.2)

Una successione convergente e necessariamente una successione di Cauchy inquanto, per la proprieta triangolare della distanza, risulta

0 ≤ d(an, am) ≤ d(an, `) + d(`, am) , ∀n,m ∈ N

(` e il limite della successione).Invece la condizione (IV.12.2) non garantisce, in generale, la convergenza della

successione {an}. Si pensi ad esempio allo spazio metrico Q (numeri razionali conla metrica d(x, y) = |x− y|).

Definizione IV.12.3. Uno spazio metrico E si dice completo se ogni successionedi Cauchy e convergente.

Ad esempio, lo spazio metrico R e completo (cfr. teor. IV.9.7 di questo capitolo).Se noi sostituiamo la metrica di E con una metrica equivalente, lo spazio E restacompleto.

Altra nozione importante, relativa agli spazi topologici, e quella di spazio com-patto. Noi daremo una definizione che, nel caso di spazi metrici, e equivalente allacompattezza topologica. 23

23Per spazi topologici non metrizzabili, la condizione che noi diamo e una condizione necessariaper la compattezza ma non sufficiente.

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IV.12. Limite di una applicazione. Completezza. Compattezza 89

Definizione IV.12.4. Uno spazio metrico E si dice compatto se da ogni successionedi elementi di E se ne puo estrarre una la quale converge.

Definizione IV.12.5. Un sottoinsieme A dello spazio metrico E, si dice compattose, con la metrica indotta, e uno spazio metrico compatto. 24

Teorema IV.12.6. Un insieme compatto di uno spazio metrico E e necessariamentelimitato e chiuso.

Dimostrazione Sia A un compatto ⊂ E. Dimostriamo che A e chiuso. Sia a unpunto aderente ad A. Esiste una successione n→ xn a valori in A la quale convergead a. Da questa successione si puo estrarre una sottosuccessione la quale convergead un punto di A; questo punto e necessariamente a. Quindi a ∈ A e A e chiuso.Dimostriamo che A e limitato: fissiamo un punto x◦ in E e consideriamo le sfereI(x◦, n). Se A non fosse limitato

∀n ∈ N ∃xn ∈ A tale che xn 6∈ I(x◦, n)

in altre parole si potrebbe costruire una successione n→ xn a valori in A tale che

limn→∞

d(xn, x◦) = +∞ .

Da una successione siffatta non si potrebbe estrarre alcuna successione convergente 25

contrariamente all’ipotesi che A sia compatto.

La retta reale R non e uno spazio metrico compatto perche non e limitata.Lo spazio metrico R, invece, e uno spazio compatto. Con la metrica (IV.11.4) R elimitato.In generale pero il fatto che un sottoinsieme di uno spazio metrico sia limitato echiuso non garantisce che l’insieme sia compatto. Questo e vero per insiemi dellaretta reale:

Teorema IV.12.7. Un insieme A ⊂ R e compatto se e solo se e limitato e chiuso.

Dimostrazione E’ sufficiente far vedere che, se A e limitato e chiuso, allora A eun compatto.Esiste un intervallo [a, b] che contiene A. Sia {an} una successione a valori in A equindi in [a, b]; indichiamo con B l’insieme costituito dagli x ∈ [a, b] che godono laseguente proprieta: an e definitivamente maggiore o uguale di x. L’insieme B non evuoto perche a ∈ B e l’insieme B e limitato. Poniamo L = supB. Per le proprietadell’estremo superiore, fissato ε > 0 esiste almeno un x ∈ B tale che x > L − ε equindi, definitivamente,

an ≥ x > L− ε .Inoltre per infiniti indici n risulta an < L + ε perche, in caso contrario, sarebbean ≥ L+ ε definitivamente e quindi L+ ε ∈ B, contro l’ipotesi che supB = L.Conclusione: L e un punto di accumulazione 26 per {an}; di qui segue che esisteuna successione estratta da {an} la quale converge a L. Infine L ∈ A perche L eaderente ad A e A e chiuso.

24In altre parole, se da ogni successione a valori in A si puo estrarre una successione che convergea un punto di A.

25Una successione convergente e necessariamente limitata.26Nel senso che verifica la condizione (IV.11.3).

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90 Capitolo IV. Limiti

Proponiamo al lettore la dimostrazione delle seguenti proposizioni:

(i1) Un sottoinsieme, di uno spazio metrico, formato da un numero finito di ele-menti e compatto.

(i2) Un sottoinsieme chiuso di uno spazio metrico compatto e un insieme compatto.

(i3) L’unione di un numero finito di insiemi compatti e un insieme compatto.

(i4) In uno spazio metrico gli insiemi chiusi e limitati sono compatti se e solo se lesfere chiuse sono compatte.

(i5) In uno spazio metrico compatto una successione {an} converge a un elemento `se e solo se ` e l’unico punto di accumulazione di {an} (nel senso di (IV.11.3)).

* * *

Sia E1 uno spazio metrico con metrica d1, sia E2 uno spazio metrico con metricad2, sia A un insieme ⊂ E1 e sia x◦ un punto di accumulazione di A.

Definizione IV.12.8. Si dice che l’applicazione f , definita in A e a valori in E2,tende al limite ` ∈ E2 quando x tende a x◦ se ∀ ε > 0 esiste un δ > 0 tale che

x ∈ A − {x◦} e d1(x, x◦) < δ =⇒ d2(f(x), `) < ε . (IV.12.3)

In tal caso si scrive

limx→x◦

f(x) = ` .

In modo equivalente si puo dire:

f tende verso ` quando x tende a x◦ se per ogni sfera I(`, ε) in E2 esiste una sferaI(x◦, δ) in E1 tale che

x ∈ A ∩ I(x◦, δ) e x 6= x◦ =⇒ f(x) ∈ I(`, ε) (IV.12.4)

oppure:

Se per ogni intorno U di ` in E2 esiste un intorno V di x◦ in E1 tale che

x ∈ A ∩ V − {x◦} =⇒ f(x) ∈ U . (IV.12.5)

Quest’ultima versione della definizione mostra chiaramente che la nozione di limiteper una applicazione e di natura topologica e non metrica.

Si vede facilmente che

se l’applicazione f : A→ E2 converge per x che tende a x◦, il limite e unico.

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IV.12. Limite di una applicazione. Completezza. Compattezza 91

Dimostrazione Supponiamo che sia

limx→x◦

f(x) = ` e limx→x◦

f(x) = L con ` 6= L .

Esistono un intorno U di ` e un intorno W di L fra loro disgiunti (assioma diseparazione) e, per definizione di limite, esistono due intorni di x◦, V1 e V2, tali che

x ∈ V1 ∩ A − {x◦} =⇒ f(x) ∈ U

x ∈ V2 ∩ A − {x◦} =⇒ f(x) ∈ W(IV.12.6)

Poiche V = V1 ∩ V2 e ancora un intorno di x◦, da (IV.12.6) segue che

x ∈ V ∩ A − {x◦} =⇒ f(x) ∈ U e f(x) ∈ W

il che e assurdo perche U e W sono disgiunti.

Si ha questo importante teorema

Teorema IV.12.9. Sono equivalenti queste due proposizioni:

(i) limx→x◦

f(x) = ` ,

(ii) Per ogni successione {xn} a valori in A− {x◦}, la quale converge a x◦, risulta

limn→∞

f(xn) = `

Dimostrazione Osserviamo innanzitutto che x◦ e di accumulazione per A se e solose esiste una successione {xn} a valori in A − {x◦} tale che lim

n→∞xn = x◦.

Cio posto, supponiamo che sia vera (i); fissato un intorno U di ` esiste un intornoV di x◦ tale che

f(x) ∈ U ∀x ∈ V ∩ A − {x◦}. (IV.12.7)

D’altra parte se {xn} e una successione a valori in A − {x◦} la quale converge ax◦ si puo trovare un intero ν ∈ N tale che

xn ∈ V ∀n ≥ ν . (IV.12.8)

Ne segue che, fissato un intorno U di `, esiste un ν ∈ N tale che

f(xn) ∈ U ∀n > ν

e questo equivale a dire che limn→∞

f(xn) = `.

Supponiamo che valga la (ii) e supponiamo, per assurdo, che (i) non sia vera.Questo implica che esiste un intorno U di ` il quale gode questa proprieta. 27 In

ogni sfera I

(x◦,

1

n+ 1

), n ∈ N, esiste (almeno) un xn ∈ A − {x◦} tale che

f(xn) 6∈ U . (IV.12.9)

La successione {xn} ha valori in A − {x◦} e converge a x◦ quando n → +∞,tuttavia, tenuto conto di (IV.12.9), {f(xn)} non converge a `. Questo e assurdoperche contraddice l’ipotesi (ii). Quindi (i) e vera.

27La negazione di (i) e la proposizione seguente:∃ un intorno U di ` tale che, ∀V intorno di x◦, ∃xn ∈ V ∩A − x◦ tale che f(xn) 6∈ U .

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92 Capitolo IV. Limiti

IV.13 LIMITI DI FUNZIONI REALI DI UNA

VARIABILE REALE

In questo paragrafo e nei paragrafi che seguono ci occuperemo della teoria dei limitiper funzioni reali definite su un insieme della retta reale. Alcuni dei risultati chedaremo sono legati alla particolare struttura di corpo ordinato di cui e dotata laretta reale, altri invece si potrebbero enunciare per applicazioni tra spazi metrici deltutto generali o, addirittura, per applicazioni tra spazi topologici. Il lettore se neaccorgera agevolmente riflettendo sulle proprieta di struttura che utilizzeremo nellevarie definizioni o dimostrazioni.

Sia A un insieme della retta reale e x◦ un punto di accumulazione di A; siainfine f una funzione reale definita su A. In accordo con la definizione data nelparagrafo precedente, diremo che il numero reale L e il limite per x che tende a x◦

della funzione f : A→ R e scriveremo

limx→x◦

f(x) = L (IV.13.1)

se per ogni intorno U di L esiste un intorno V di x◦ tale che

f(x) ∈ U ∀x ∈ V ∪ A − {x◦} . (IV.13.2)

Si dira anche che f converge al limite L al tendere di x a x◦.

Poiche ogni intorno di un punto y ∈ R contiene un intervallo aperto di centroy e ogni intervallo aperto di centro y e un intorno di y, si puo anche dire che f(x)converge a L quando x tende a x◦ se ∀ ε > 0 esiste un δ > 0 tale che

x ∈ A − {x◦} e |x− x◦| < δ =⇒ |f(x)− L| < ε . (IV.13.3)

Esempio.Consideriamo la funzione x→ f(x) = 1− x definita per x ∈ [0, 1].

0 1

1

f

VU

1 e punto di accumulazione perl’intervallo [0, 1] e

limx→1

(1− x) = 0

perche per ogni intorno U dellozero esiste un intorno V di 1 taleche

1− x ∈ U ∀x ∈ V ∩ [0, 1] .

In questo caso limx→1

f(x) = f(1). Questo pero non e un fatto generale (basti pensare

che x◦ puo non appartenere all’insieme di definizione A). Si consideri ad esempio lafunzione f : [0, 2]→ R definita in questo modo

f(x) =

1 se x ∈ [0, 2] − {1} ,

0 se x = 1 .

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IV.13. Limiti di funzioni reali di una variabile reale 93

0 1 2

1

Risulta

limx→1

f(x) = 1

mentre f(1) = 0.

Per quanto si e dimostrato nel paragrafo precedente,se la funzione reale f : A→ R converge per x che tende a x◦ il limite e unico.E ancora:Condizione necessaria e sufficiente affinche

limx→x◦

f(x) = L

e che per ogni successione {xn} a valori in A − {x◦}, la quale converge a x◦, risulti

limn→∞

f(xn) = L .

Quest’ultimo fatto e importante perche ci permettera di dedurre molti teoremi sullimite di “funzioni reali convergenti in un punto” dagli analoghi teoremi dimostratiper il limite di successioni reali.

Il seguente teorema e una estensione del teorema sulle successioni estratte dauna successione convergente:

Teorema IV.13.1. Sia f : A→ R, sia x◦ un punto di accumulazione per A e sia

limx→x◦

f(x) = L .

Allora se E un sottoinsieme di A, che ha x◦ come punto di accumulazione, larestrizione f|E converge per x che tende a x◦ e

limx→x◦

f|E(x) = L . (IV.13.4)

Dimostrazione Per ogni intorno U di L esiste un intorno V di x◦ tale che

x ∈ V ∩ A − {x◦} =⇒ f(x) ∈ U .

A maggior ragione 28

x ∈ V ∩ E − {x◦} =⇒ f(x) ∈ U .

Quindi (IV.13.4) e vera.

Questo teorema suggerisce un metodo, talvolta utile, per provare che una fun-zione f : A→ R non converge per x che tende a x◦. Basta trovare due sottoinsiemidi A, E ed S, aventi x◦ come punto di accumulazione e tali che

28V ∩ E ⊂ V ∩A .

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94 Capitolo IV. Limiti

limx→x◦

f|E(x) = ` , limx→x◦

f|S(x) = L , ` 6= L

Ad esempio si consideri la funzione (di Dirichlet) definita sull’intervallo [0, 1] inquesto modo

f(x) =

1 se x ∈ [0, 1] ed e razionale

0 se x ∈ [0, 1] ed e irrazionale.(IV.13.5)

Consideriamo i due sottoinsiemi di [0, 1]

E = {x : x ∈ [0, 1] e razionale }S = {x : x ∈ [0, 1] e irrazionale }

f|E = 1, f|S = 0; quindi, se x◦ e un punto di [0, 1],

limx→x◦

f|E(x) = 1

limx→x◦

f|S(x) = 0

Ne segue che f non converge in alcun punto dell’intervallo [0, 1].

L’esempio precedente dimostra che l’esistenza del limite per x che tende a x◦ diuna restrizione di f non implica in generale l’esistenza del limite di f per x tendentea x◦.

Proposizione IV.13.2. Sia f una funzione reale definita in A ⊂ R, siano B e Cdue sottoinsiemi di A e sia x◦ un punto di accumulazione per A, B e C. Supponiamoche

(i) B ∪ C = A

(ii) limx→x◦

f|B(x) = limx→x◦

f|C(x) = L .

In tal caso f converge per x che tende a x◦ e il limite e L.

Dimostrazione Infatti per ogni intorno U di L esistono due intorni V1 e V2 di x◦

tali che

x ∈ V1 ∩B − {x◦} =⇒ f(x) = f|B(x) ∈ U

x ∈ V2 ∩ C − {x◦} =⇒ f(x) = f|C(x) ∈ U(IV.13.6)

D’altra parte V = V1∩V2 e un intorno di x◦ e V ∩A = V ∩(B∪C) = (V ∩B)∪(V ∩C).Quindi da (IV.13.6) segue che

f(x) ∈ U ∀x ∈ V ∩ A − {x◦} .

Questo prova la tesi.

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IV.13. Limiti di funzioni reali di una variabile reale 95

Consideriamo un caso particolarmente importante: sia f : A→ R e x◦ un puntodi R. Poniamo

A+ = A ∩ [x◦,+∞) , f+ = f|A+

A− = A ∩ (−∞, x◦] , f− = f|A−

EvidentementeA+ ∪ A− = A .

Definizione IV.13.3. Se x◦ e un punto di accumulazione per A+ e se limx→x◦

f+(x) =

L diciamo che f converge per x che tende a x◦ da destra e scriviamo

L = limx→x◦+

f(x) .

Si dice anche che L e il limite destro di f per x che tende a x◦. In modo analogo sidefinisce il limite sinistro.

Definizione IV.13.4. Se x◦ e un punto di accumulazione per A− e se limx→x◦

f−(x) =

L diciamo che f converge per x che tende a x◦ da sinistra e scriviamo

L = limx→x◦−

f(x) .

Tenuto conto delle considerazioni fatte piu sopra, una funzione f : A → R puoavere limite destro, o sinistro, o entrambi, per x che tende a x◦ senza per questo chef converga per x che tende a x◦. Se pero il limite destro e il limite sinistro esistonoe sono uguali allora f converge per x che tende a x◦ e

limx→x◦

f(x) = limx→x◦+

f(x) = limx→x◦−

(x) .

Esempi.

(I) A = [−1, 0] ∪ [1, 2], f(x) = x, x◦ = 1.

−1 01 2

In tal casoA+ = [1, 2]A− = [−1, 0] ∪ {1}

Il punto 1 e di accumulazione per A+ ma non per A−. Non ha senso quindiparlare di limite sinistro di f per x→ 1. Invece

limx→1+

f(x) = limx→1

f(x) = 1

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96 Capitolo IV. Limiti

(II) A = [0, 2], x◦ = 1 e

f(x) =

{x per x ∈ [0, 1]x− 1 per x ∈ (1, 2]

0

1

1 2

In tal casoA+ = [1, 2] ,A− = [0, 1] .

Il punto 1 e di accumulazione sia per A+ che per A− e

limx→1+

f(x) = 0 , limx→1−

f(x) = 1

La funzione f non converge per x che tende a 1.

Il teorema seguente prova che l’esistenza del limite di una funzione f , per x chetende a x◦, e un fatto che riguarda solo il comportamento di f “nell’intorno delpunto x◦”.

Sia f : A→ R, x◦ un punto di accumulazione per A e, per ogni ε > 0, indichiamocon fε la restrizione di f all’insieme I(x◦, ε) ∩ A.

Teorema IV.13.5. Una funzione f : A → R converge per x che tende a x◦ se esolo se fε converge per x che tende a x◦. Se f ed fε convergono per x che tende ax◦, i limiti sono uguali.

Dimostrazione Il teorema IV.13.1 assicura che se f converge per x che tende a x◦

anche fε converge elimx→x◦

f(x) = limx→x◦

fε(x)

Basta dimostrare il viceversa. Supponiamo che fε converga per x che tende a x◦ eabbia limite L. Per ogni intorno L esiste un intorno W di x◦ tale che

f(x) = fε(x) ∈ U ∀x ∈ W ∩ I(x◦, ε) ∩ A − {x◦} .

Ma V = W ∩ I(x◦, ε) e un intorno di x◦, quindi per ogni intorno U di L esiste unintorno V di x◦ tale che

x ∈ V ∩ A − {x◦} =⇒ f(x) ∈ U .

Questo prova che limx→x◦

f(x) = L.

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IV.13. Limiti di funzioni reali di una variabile reale 97

Ne segue, ad esempio, che se f e g sono due funzioni A → R e se per un certoε > 0 e fε = gε

29 allora f e g sono entrambe convergenti per x che tende a x◦, e intal caso i limiti sono uguali, oppure f e g non convergono.

Dal teorema IV.13.5 segue anche che le proprieta di f che si possono dedurre dalfatto che f converge per x che tende a x◦ sono proprieta “locali” che riguardano laf in un intorno di x◦. I teoremi che seguono esemplificano questo discorso.

Teorema IV.13.6. Se f : A→ R converge per x che tende a x◦ e il limite e positivo(negativo) esiste un intorno V di x◦ tale che

x ∈ V ∩ A − {x◦} =⇒ f(x) > 0 [f(x) < 0] .

Dimostrazione Supponiamo che L = limx→x◦ f(x) sia > 0 . Esiste un intorno Vdi x◦ tale che

x ∈ V ∩ A − {x◦} =⇒ L

2< f(x) <

3

2L .

E poiche eL

2> 0, la tesi e provata.

Teorema IV.13.7. Se f : A→ R converge per x che tende a x◦ allora f e limitatain un intorno di x◦; cio significa che esiste un intorno V di x◦ tale che f|V ∩A elimitata.

Dimostrazione Esiste un intorno V di x◦ tale che

f(x) ∈ I(L, 1) ∀x ∈ V ∩ A − {x◦} .

Posto 30

M = max{|L|+ 1, |f(x◦)|}risulta

|f(x)| ≤M ∀x ∈ V ∩ A .

In relazione a quest’ultimo teorema si osservi che una funzione f : A → R puoessere limitata nell’intorno di x◦ e tuttavia non avere limite per x che tende a x◦.

Ad esempio la funzione f : [0, 2]→ R

f(x) =

0 se x ∈ [0, 1]

1 se x ∈ (1, 2]

e limitata nell’intorno del punto x◦ = 1ma non ha limite per x che tende a 1perche

limx→1+

f(x) = 1 , limx→1−

f(x) = 0

0 1 2

1

29In altre parole, se f e g coincidono in un intorno di x◦.30 NdC : se x◦ ∈ A; altrimenti si ponga M = |L|+ 1.

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98 Capitolo IV. Limiti

IV.14 ALCUNI TEOREMI SUI LIMITI DI FUN-

ZIONI REALI

Indichiamo con A un sottoinsieme di R, con f , g, h, . . . delle funzioni reali definitein A e con x◦ un punto di accumulazione per A.

Elenchiamo un certo numero di teoremi i quali hanno in comune la tecnica didimostrazione. La dimostrazione verra esplicitata in un paio di casi.

Teorema IV.14.1. Siano f e g due funzioni A → R convergenti per x che tendea x◦. Supponiamo che in un intorno di x◦ (31) risulti

f(x) ≤ g(x) . (IV.14.1)

Alloralimx→x◦

f(x) ≤ limx→x◦

g(x) (IV.14.2)

Teorema IV.14.2. Siano f , g, h tre funzioni reali definite in A e supponiamo che

(i) f(x) ≤ g(x) ≤ h(x) in un intorno di x◦,

(ii) f e h convergono per x che tende a x◦ e limx→x◦

f(x) = limx→x◦

h(x) = L .

Allora g converge per x che tende a x◦ e

limx→x◦

g(x) = L (IV.14.3)

Teorema IV.14.3. Siano f e g due funzioni reali definite in A le quali convergonoper x che tende a x◦. Allora le funzioni f + g e f g convergono per x che tende a x◦

e

limx→x◦

[f(x) + g(x)] = limx→x◦

f(x) + limx→x◦

g(x) (IV.14.4)

limx→x◦

f(x) g(x) = limx→x◦

f(x) · limx→x◦

g(x) (IV.14.5)

Teorema IV.14.4. Se f : A→ R converge per x che tende a x◦ e λ ∈ R allora λ fconverge per x che tende a x◦ e

limx→x◦

λ f(x) = λ limx→x◦

f(x) . (IV.14.6)

Teorema IV.14.5. Se f : A→ R converge per x che tende a x◦, anche |f | convergeper x che tende a x◦ e

limx→x◦

|f(x)| =∣∣∣∣ limx→x◦

f(x)

∣∣∣∣ (IV.14.7)

Teorema IV.14.6. Se f : A→ R converge per x che tende a x◦ e inoltre

31Cio significa che esiste un intorno V di x◦ tale che

f(x) ≤ g(x) ∀x ∈ V ∩A

fatta al piu eccezione per il punto x◦ (se x◦ ∈ A).

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IV.14. Alcuni teoremi sui limiti di funzioni reali 99

(i) f(x) 6= 0 ∀x ∈ A ,

(ii) limx→x◦

f(x) 6= 0

allora1

fconverge per x che tende a x◦ e

limx→x◦

1

f(x)=

1

limx→x◦

f(x)(IV.14.8)

Teorema IV.14.7. Se g ed f sono funzioni reali definite in A le quali convergonoper x che tende a x◦ e inoltre f verifica le ipotesi (i) e (ii) del teorema precedente

allorag

fconverge per x che tende a x◦ e

limx→x◦

g(x)

f(x)=

limx→x◦

g(x)

limx→x◦

f(x)(IV.14.9)

Teorema IV.14.8. Se f e g sono funzioni A→ R e se

(i) f e limitata in un intorno di x◦;

(ii) g e infinitesima per x che tende a x◦ 32

allora f g e infinitesima per x che tende a x◦.

Tutti questi teoremi (e altri che si potrebbero enunciare) seguono dagli analoghiteoremi dimostrati per le successioni reali nei paragrafi 5 e 7, tenuto conto delteorema IV.12.9 33.

Esemplifichiamo in qualche caso.

Dimostrazione Dimostriamo il teorema IV.14.1. Supponiamo che la disuguaglian-za (IV.14.1) valga ∀x ∈ A − {x◦}. Sia

L = limx→x◦

f(x) , ` = limx→x◦

g(x)

Sia {xn} una successione a valori in A − {x◦} la quale converge a x◦. Allora

f(xn) ≤ g(xn) ∀n ∈ N ,

quindi, per il teorema IV.5.5,

limn→∞

f(xn) ≤ limn→∞

g(xn)

e per il teorema IV.12.9

L = limn→∞

f(xn) ≤ limn→∞

g(xn) = ` .

Se invece f(x) ≤ g(x) solo per gli x ∈ U ∩ A (U intorno di x◦), si ripete ilragionamento fatto pocanzi considerando le restrizioni f|U∩A e g|U∩A.

32Cio significa che limx→x◦

g(x) = 0.33Questo teorema e stato enunciato per funzioni reali anche nel paragrafo 13.

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100 Capitolo IV. Limiti

Dimostrazione Dimostriamo la (IV.14.4). Sia {xn} una successione a valori inA − {x◦} la quale converge a x◦. Per il teorema IV.12.9

limn→∞

f(xn) = limx→x◦

f(x)

limn→∞

g(xn) = limx→x◦

g(x)

Inoltre, per il teorema IV.7.1,

limn→∞

[f(xn) + g(xn)] = limn→∞

f(xn) + limn→∞

g(xn) .

Da questa relazione e dal teorema IV.12.9 segue, per l’arbitrarieta di {xn}, che f+gconverge per x che tende a x◦; inoltre

limx→x◦

[f(x) + g(x)] = limn→∞

[f(xn) + g(xn)] = limx→x◦

f(x) + limx→x◦

g(x) .

In modo perfettamente analogo si dimostrano tutti i teoremi elencati piu sopra.

Nota Dal teorema IV.14.1 segue che se f : A→ R converge per x che tende a x◦ ein un intorno di x◦ e f(x) ≥ 0 (f(x) ≤ 0), allora

limx→x◦

f(x) ≥ 0 (≤ 0)

Basta assumere, nel teorema IV.14.1, g = 0 in A.

I teoremi IV.14.3 e IV.14.4 si possono riassumere in questo modo: il sottoin-sieme di RA costituito dalle funzioni A → R che convergono per x che tende a x◦

e una sotto-algebra di RA. Da questo fatto e dal teorema IV.14.5 si possono avereinformazioni sul limite delle funzioni f ∨ g e f ∧ g: se f : A → R e g : A → Rconvergono per x che tende a x◦ anche f ∨ g e f ∧ g convergono e

limx→x◦

(f ∨ g)(x) = max

{limx→x◦

f(x) , limx→x◦

g(x)

}limx→x◦

(f ∧ g)(x) = min

{limx→x◦

f(x) , limx→x◦

g(x)

}.

Basta tener presente che

(f ∨ g)(x) =1

2

{f(x) + g(x) + |f(x)− g(x)|

}(f ∧ g)(x) =

1

2

{f(x) + g(x)− |f(x)− g(x)|

}.

Quindi il sottoinsieme di RA costituito dalle funzioni convergenti per x che tende ax◦ oltre che un’algebra e anche un reticolo.

Il teorema che ora daremo riguarda il “limite di una funzione composta”. Pre-mettiamo qualche considerazione.

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IV.14. Alcuni teoremi sui limiti di funzioni reali 101

Sia f una funzione reale definita in A ⊂ R la quale converge per x che tende a x◦

(x◦ di accumulazione per A), allora L = limx→x◦

f(x) e un punto aderente per f(A)

L ∈ f(A) .

Questo e conseguenza della definizione di limite: in ogni intorno U di L cade almenoun f(x), x ∈ A − {x◦}.Allora L ha due possibilita: L ∈ f(A) ed e un punto isolato di f(A) oppure L e unpunto di accumulazione di f(A).

Una condizione necessaria perche L sia un punto isolato di f(A) e che esista unintorno V di x◦ tale che f(x) = L per ogni x ∈ V ∩ A − {x◦}.

Una condizione sufficiente perche L sia di accumulazione per f(A) e che esistaun intorno V di x◦ tale che f(x) 6= L per ogni x ∈ V ∩ A − {x◦}.Che la prima condizione sia soltanto necessaria e la seconda soltanto sufficiente sipuo vedere con questo esempio.

Esempio: Sia A = [0, 2] e f : A→ R

f(x) =

x se x ∈ [0, 1]

1 se x ∈ (1, 2]

0 1 2

f(A)

Si halimx→2

f(x) = 1

f(x) e costantemente uguale a 1 in un intorno di x◦ = 2 tuttavia 1 e un punto diaccumulazione per f(A) = [0, 1]. Cio posto, dimostriamo il seguente teorema.

Teorema IV.14.9. Siano f e g due funzioni reali, f : A→ R e g : f(A)→ R, siax◦ un punto di accumulazione per A. Se avviene che

(i) limx→x◦

f(x) = L e f(x) 6= L in un intorno di x◦ ;

(ii) Esiste limy→L

g(y)

Allora g ◦ f converge per x che tende a x◦ e

limx→x◦

g(f(x)) = limy→L

g(y) . (IV.14.10)

Dimostrazione Sia {xn} una successione a valori in A − {x◦} la quale convergea x◦. Per il teorema IV.12.9, {f(xn)} converge a L. L e punto di accumulazioneper f(A), {f(xn)} ha valori in f(A) − {L} (almeno definitivamente), quindi, per ilteorema IV.12.9, esiste il limite per n→∞ di {g(f(xn))} e

limn→∞

g(f(xn)) = limy→L

g(y) .

Se ne conclude, sempre per il teorema IV.12.9, che g(f(x)) converge per x che tendea x◦ e che vale la (IV.14.10).

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102 Capitolo IV. Limiti

IV.15 LIMITE DI UNA FUNZIONE REALE PER

x→ ±∞Un insieme A ⊂ R e anche un sottoinsieme di R (retta reale estesa) e in R abbiamointrodotto una topologia metrizzabile (cfr. paragrafo 11). In questa topologia ilpunto +∞ [−∞] e un punto di accumulazione per A se e solo se A non e limitatosuperiormente [inferiormente].

Supponiamo di avere una funzione reale f definita su un insieme A ⊂ R nonlimitato superiormente; in accordo con la definizione di limite data nel paragrafo 12,diremo che f(x) tende al limite reale L quando x tende a +∞ se, per ogni intornoU di L, esiste un intorno V di +∞ tale che

f(x) ∈ U ∀x ∈ V ∩ A .

In tal caso scriveremolim

x→+∞f(x) = L .

In modo del tutto analogo, se A non e limitato inferiormente, si puo definire il limite

limx→−∞

f(x) = L .

I teoremi enunciati nei paragrafi 13 e 14 restano ancora validi.

Tenuto conto di come sono stati definiti gli intorni di +∞, −∞ e di L nel-la topologia di R le definizioni precedenti si possono enunciare in questo modoequivalente:

Definizione IV.15.1. Il numero reale L e il limite di f per x che tende a +∞ se,per ogni ε > 0, esiste un a reale tale che

x ∈ A e x > a =⇒ |f(x)− L| < ε . (IV.15.1)

Definizione IV.15.2. Il numero reale L e il limite di f per x che tende a −∞ se,per ogni ε > 0, esiste un a reale tale che

x ∈ A e x < a =⇒ |f(x)− L| < ε . (IV.15.2)

IV.16 FUNZIONI REALI DIVERGENTI IN UN

PUNTO x◦ DI RSia f una funzione reale definita su un insieme A ⊂ R. Poiche R e contenuto in R,la funzione f e definita su un sottoinsieme di R e ha valori in R.

Sia x◦ un punto di R di accumulazione per A, ed L un elemento di R. Diremoche la funzione f ha per limite L quando il punto x tende a x◦ se per ogni intornoU di L (in R) esiste un intorno V di x◦ (in R) tale che

f(V ∩ A − {x◦}) ⊂ U

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IV.16. Funzioni reali divergenti in un punto x◦ DI R 103

Questa definizione e in accordo con la definizione di limite data nel paragrafo 12 eracchiude, come casi particolari, le situazioni considerate nei paragrafi 13, 14 e 15 ecioe

x◦ ∈ R , L ∈ R

x◦ = ±∞ , L ∈ RSe L = +∞ (oppure L = −∞) diremo che la funzione f diverge positivamente

(oppure negativamente) quando x tende a x◦. Tenuto conto di come e stata definitala topologia in R, si vede facilmente che:

(i) limx→x◦

f(x) = +∞ se e solo se per ogni ε ∈ R esiste un intorno di x◦ (in R) tale

chex ∈ V ∩ A − {x◦} =⇒ f(x) > ε ;

(ii) limx→x◦

f(x) = −∞ se e solo se per ogni ε ∈ R esiste un intorno di x◦ (in R) tale

chex ∈ V ∩ A − {x◦} =⇒ f(x) < ε .

Come intorno V di x◦ si puo prendere un intervallo (x◦−ε, x◦+ε) se x ∈ R; si potraprendere una semiretta (a,+∞] se x◦ = +∞ e si potra prendere una semiretta[−∞, a) se x◦ = −∞). Tenendo presente questa osservazione, il lettore provi aformulare la definizione di limite nei seguenti casi:

x◦ = ±∞ , L = ±∞x◦ ∈ R , L = ±∞

Esempi.

(i) Si consideri la funzione f : (0,+∞)→ R, f(x) =1

x. Risulta

limx→0

f(x) = +∞ .

Infatti, fissato ε > 0, esiste un intorno V dello zero, V = I

(0,

1

ε

), tale che

x ∈ V ∩ (0,+∞) =⇒ 1

x> ε .

Basta osservare che

x ∈ V ∩ (0,+∞)⇐⇒ 0 < x <1

ε

Riferendoci alla stessa funzione f , risulta

limx→+∞

f(x) = 0 ;

infatti per ogni sfera I(0, ε) esiste un intorno V di +∞, V = (1

ε,+∞] tale che

x ∈ V − {+∞} =⇒ f(x) ∈ I(0, ε) .

Cio significa che

0 <1

x< ε ∀x > 1

ε.

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104 Capitolo IV. Limiti

(ii) Si consideri la funzione f : [0,+∞)→ R, f(x) = x2. Risulta

limx→+∞

f(x) = +∞ ;

infatti per ogni intorno di +∞, U = (ε,+∞] (ε > 0), esiste un intorno V di+∞, V = (

√ε,+∞], tale che

x ∈ V − {+∞} =⇒ f(x) ∈ U .

Cio significa chex >√ε =⇒ x2 > ε .

Il considerare le funzioni reali come particolari funzioni a valori in R ha il van-taggio di poter definire il limite +∞ e il limite −∞. Pero non si puo prolungare a Rla struttura di corpo che R possiede per cui i teoremi relativi al limite di f + g, f g,f/g perdono significato se il limite e +∞ e −∞. Si ha invece tutta una casisticaanaloga a quella di cui si e parlato in relazione con le successioni reali divergenti(paragrafo 8, prop. IV.8.9, . . . , IV.8.12). In particolare sono “forme indeterminate”le seguenti

+∞−∞ , ±∞ · 0 , 0

0,±∞±∞

IV.17 LIMITI DI FUNZIONI MONOTONE

Sia f(x) una funzione reale definita su un intervallo I di estremi a e b (a < b). Nonha alcuna importanza se l’intervallo e chiuso, aperto, aperto a destra o a sinistra.Ogni punto x◦ ∈ (a, b] e un punto di accumulazione per l’insieme

I− = {x : x ∈ I , x ≤ x◦}

e ogni punto x◦ ∈ [a, b) e un punto di accumulazione per l’insieme

I+ = {x : x ∈ I , x ≥ x◦}

Teorema IV.17.1. Se f e monotona sull’intervallo I allora ∀x◦ ∈ (a, b] esiste illimite di f per x che tende a x◦ da sinistra.

Dimostrazione Supponiamo che f sia non decrescente e x◦ ∈ (a, b]. Poniamo

I = {x : x ∈ I , x < x◦} , L = supIf

Dimostriamo chelimx→x◦−

f(x) = L . (IV.17.1)

Distinguiamo due casi: L ∈ R e L = +∞.

Se L ∈ R, per le proprieta dell’estremo superiore, risulta

(i) f(x) ≤ L ∀x ∈ I ,

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IV.17. Limiti di funzioni monotone 105

(ii) ∀ ε > 0 ∃xε < x◦ tale che L− ε < f(xε).

Poiche f e non decrescente si ha che

xε ≤ x < x◦ =⇒ L− ε < f(xε) ≤ f(x) ≤ L .

Quindi (IV.17.1) e provata.

Se L = +∞, fissato ε > 0 esiste un xε < x◦ tale che f(xε) > ε e quindi

xε ≤ x < x◦ =⇒ f(x) ≥ f(xε) > ε .

Questo prova chelimx→x◦

f(x) = L = +∞ .

Se f(x) e non crescente e x◦ ∈ (a, b] si prova, con analogo discorso, che

limx→x◦−

f(x) = infIf . (IV.17.2)

infIf puo essere finito (cioe un numero reale) oppure −∞.

Teorema IV.17.2. Se f e monotona nell’intervallo I allora ∀x◦ ∈ [a, b) esiste illimite di f per x che tende a x◦ da destra.

Dimostrazione La dimostrazione e analoga a quella del teorema precedente. Posto

I = {x : x ∈ I , x > x◦}

si prova chelimx→x◦+

f(x) = supI

se f e non crescente

limx→x◦−

f(x) = supI

se f e non decrescente.

Facciamo qualche considerazione. Se x◦ e un punto interno al l’intervallo I e fe non decrescente allora

limx→x◦−

f(x) ≤ f(x◦) ≤ limx→x◦+

f(x)

se invece f e non crescente

limx→x◦−

f(x) ≥ f(x◦) ≥ limx→x◦+

f(x)

In particolare limx→x◦−

f(x) e limx→x◦+

f(x) sono finiti.

Si puo anche osservare che i teoremi IV.17.1 e IV.17.2 si estendono al caso difunzioni monotone non su un intervallo ma su un insieme A qualunque di R purchex◦ sia un punto di accumulazione per A (punto di accumulazione nella topologia diR, quindi anche x◦ = +∞ e x◦ = −∞).

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106 Capitolo IV. Limiti

IV.18 MASSIMO E MINIMO LIMITE DI FUN-

ZIONI REALI

Sia f una funzione reale definita su un insieme A ⊂ R e sia x◦ ∈ R un punto diaccumulazione per A. Vogliamo definire il massimo e il minimo limite di f per xche tende a x◦. Il massimo limite verra indicato con i simboli

maxlimx→x◦

f(x) , lim′′x→x◦

f(x) , limx→x◦

f(x)

e il minimo limite con i simboli

minlimx→x◦

f(x) , lim′x→x◦

f(x) , limx→x◦

f(x) .

Per ogni r > 0 poniamo

V (r) = I(x◦, r) ∩ A − {x◦}

L(r) = supV (r)

f

`(r) = infV (r)

f

Si ha che

0 < ρ < r =⇒

L(ρ) ≤ L(r)

`(ρ) ≥ `(r)(IV.18.1)

Inoltre se f non e limitata superiormente (inferiormente) in un intorno di x◦ risulta

L(r) = +∞ [ `(r) = −∞ ] ∀ r > 0 . (IV.18.2)

Se f e limitata superiormente (inferiormente) in un intorno di x◦, esiste un r > 0tale che

L(r) ∈ R [ `(r) ∈ R ]

e quindi, per (IV.18.1),

L(ρ) ∈ R [ `(ρ) ∈ R ] ∀ ρ ∈ (0, r] . (IV.18.3)

Indichiamo con r0 l’estremo superiore dei numeri ρ per i quali e vera (IV.18.3).r → L(r) e r → `(r) sono funzioni definite per r ∈ (0, r0) e sono rispettivamentenon decrescente e non crescente.Cio posto diamo le seguenti definizioni.

Definizione IV.18.1. Se f e limitata superiormente in un intorno di x◦ poniamo

maxlimx→x◦

f(x) = limr→o+

L(r) = inf(0,r0)

L(r) . (IV.18.4)

Se f non e limitata superiormente in un intorno di x◦ poniamo

maxlimx→x◦

f(x) = +∞ . (IV.18.5)

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IV.18. Massimo e minimo limite di funzioni reali 107

Definizione IV.18.2. Se f e limitata inferiormente nell’intorno di x◦ poniamo

minlimx→x◦

f(x) = limr→o+

`(r) = sup(0,r0)

`(r) . (IV.18.6)

Se f non e limitata inferiormente in un intorno di x◦ poniamo

minlimx→x◦

f(x) = −∞ (IV.18.7)

Se l’insieme A ha come punto di accumulazione (nella topologia di R) +∞ oppure−∞, si possono definire il massimo e minimo limite di f per x che tende a +∞ oppurea −∞. Anche in questo caso le definizioni IV.18.1 e IV.18.2 e le considerazioni fattepiu sopra conservano tutta la loro validita; c’e solo da osservare, tenuto conto dicome sono definiti gli intorni di +∞ e di −∞, che si dovra porre per ogni r > 0

V (r) =

(1

r,+∞

)∩ A se x◦ = +∞ ,

V (r) =

(−∞,−1

r

)∩ A se x◦ = −∞ .

Quanto diremo nel seguito di questo paragrafo vale sia nel caso che x◦ sia reale sianel caso x◦ = +∞ oppure x◦ = −∞. Per non dover distinguere nelle dimostrazionidei teoremi il caso di x◦ finito dai casi x◦ = ±∞, conveniamo di chiamare intornosferico di +∞ di raggio r la semiretta

(1r,+∞

)e intorno sferico di −∞ di raggio r

la semiretta(−∞,−1

r

).

Esempi.

(I) Consideriamo la funzione f : [−1, 1]→ R

f(x) =

1 se x ∈ [−1, 0]

1

xse x ∈ (0, 1] .

Si ha

(α) maxlimx→0

f(x) = +∞

(β) minlimx→0

f(x) = 1

1

0−1 1

(α) e giustificato dal fatto che f(x) non e limitata superiormente nell’intornodi 0.

(β) e giustificato dal fatto che

∀ r > 0 , `(r) = infV (r)

f(x) = 1

e quindilimr→0+

`(r) = 1 .

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108 Capitolo IV. Limiti

(II) Si consideri la funzione x→ senx definita per x ∈ R. Si ha

(α) lim′′x→+∞

senx = 1

(β) lim′x→+∞

senx = −1

Infatti posto V (r) = (1r,+∞), si ha

L(r) = supV (r)

senx = 1

`(r) = infV (r)

senx = −1

e quindilimr→0+

L(r) = 1 , limr→0+

`(r) = −1 .

Dimostriamo alcuni teoremi.

Teorema IV.18.3. Sia f : A→ R e x◦ un punto di accumulazione per A; lim′′x→x◦

f(x)

e lim′x→x◦

f(x) sono entrambi finiti se e solo se f e limitata nell’intorno di x◦.

Dimostrazione Se il massimo e minimo limite di f , per x che tende a x◦, sono finitiallora f e limitata superiormente e inferiormente in un intorno di x◦. Viceversa;supponiamo che f sia limitata in un intorno di x◦. Cio significa che esistono unr > 0 ed un M > 0 tali che

−M < f(x) < M

per tutti gli x ∈ A che appartengono all’intorno sferico x◦ di raggio r. Ne segue che∀ ρ ∈ (0, r)

−M ≤ `(ρ) ≤ L(ρ) ≤M

e quindi il limite per ρ→ 0 di `(ρ) e di L(ρ) sono finiti.

Teorema IV.18.4. Sia f : A→ R e x◦ un punto di accumulazione per A. Si ha larelazione

lim′x→x◦

f(x) ≤ lim′′x→x◦

f(x) . (IV.18.8)

Dimostrazione Se il massimo e minimo limite di f per x che tende x◦ non sonofiniti la relazione (IV.18.8) e pressoche ovvia.Supponiamo allora che il massimo e minimo limite siano finiti. In tal caso esiste unr0 > 0 tale che le funzioni r → `(r) e r → L(r) sono definite e a valori in R per ognir ∈ (0, r0) e inoltre

`(r) ≤ L(r) ∀ r ∈ (0, r0) .

Ne segue, per il teorema IV.14.1, che

limr→0+

`(r) ≤ limr→0+

L(r) .

Quindi (IV.18.8) e provata.

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IV.18. Massimo e minimo limite di funzioni reali 109

Teorema IV.18.5. Condizione necessaria e sufficiente perche il numero reale L siamassimo limite di f , per x che tende a x◦, e che

(i1) Per ogni ε > 0 esiste un intorno U di x◦ tale che

f(x) < L+ ε ∀x ∈ U ∩ A − {x◦} (IV.18.9)

(i2) Per ogni ε > 0 e per ogni intorno U di x◦ esiste un punto x ∈ U ∩ A − {x◦}tale che

f(x) > L− ε . (IV.18.10)

Dimostrazione E’ chiaro che nelle proposizioni (i1) e (i2) si puo supporre che Usia un intorno sferico di x◦.Supponiamo che L sia il maxlim

x→x◦f(x). Fissato ε > 0 esiste un r > 0 tale che

L(r) = supV (r)

f < L+ ε .

Questa relazione equivale alla (IV.18.9). Inoltre

L(r) ≥ L > L− ε ∀ r > 0

quindi in ogni intorno U di x◦ c’e almeno un punto x ∈ A − {x◦} tale che, per leproprieta dell’estremo superiore,

f(x) > L− ε .

Viceversa, supponiamo che il numero reale L verifichi (i1) e (i2). Fissato ε indichiamocon U(r) un intorno sferico del punto x◦ per cui vale la (IV.18.9). Posto V (r) =U ∩ A − {x◦} si ha che

L(r) = supV (r)

f ≤ L+ ε

e quindiL(ρ) ≤ L+ ε ∀ ρ ∈ (0, r] .

In ogni intorno sferico U(ρ) di x◦ c’e almeno un punto x ∈ A − {x◦} per cui vale(IV.18.10) quindi

L(ρ) > L− ε ∀ ρε ∈ (0, r] .

Se ne conclude che ∀ ε > 0 esiste un r > 0 tale che

L− ε < L(ρ) ≤ L+ ε ∀ ρ ∈ (0, r] .

Questo prova cheL = lim

ρ→0+L(ρ) = maxlim

x→x◦f(x) .

Una caratterizzazione analoga si puo dare anche per il minimo limite.

Teorema IV.18.6. Condizione necessaria e sufficiente perche un numero reale `sia minimo limite di f , per x che tende a x◦, e che

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110 Capitolo IV. Limiti

(j1) Per ogni ε > 0 esiste un intorno U di x◦ tale che

f(x) > `− ε ∀x ∈ U ∩ A − {x◦} . (IV.18.11)

(j2) Per ogni ε > 0 e per ogni intorno U di x◦ esiste un punto x ∈ U ∩ A − {x◦}tale che

f(x) < `+ ε . (IV.18.12)

La dimostrazione di questo teorema e del tutto analoga a quella del teoremaprecedente.

Teorema IV.18.7. Sia f : A→ R e x◦ un punto di accumulazione per A. Condi-zione necessaria e sufficiente perche f converga per x che tende a x◦ e che il massimoe minimo limite di f , per x che tende a x◦, siano uguali e finiti. In tal caso

limx→x◦

f(x) = lim′′x→x◦

f(x) = lim′x→x◦

f(x) (IV.18.13)

Dimostrazione Supponiamo che f converga per x che tende a x◦ e sia L =limx→x◦

f(x). Per ogni ε > 0 esiste un intorno U di x◦ tale che

L− ε < f(x) < L+ ε ∀x ∈ U ∩ A − {x◦}

Ne segue che L verifica le condizioni (i1), (i2) e (j1), (j2). Quindi (IV.18.13) e provata.

Viceversa, supponiamo che

lim′′x→x◦

f(x) = lim′x→x◦

f(x) = L ∈ R

Tenuto conto delle proprieta (i1) e (j1), per ogni ε > 0 esistono due intorni di x◦, U1

e U2 tali che

f(x) < L+ ε ∀x ∈ U1 ∩ A − {x◦}f(x) > L− ε ∀x ∈ U2 ∩ A − {x◦} .

Posto U = U1 ∩ U2, U e un intorno di x◦ e

L− ε < f(x) < L+ ε ∀x ∈ U ∩ A − {x◦} .

Questo prova chelimx→x◦

f(x) = L .

Teorema IV.18.8. Sia f : A→ R e x◦ un punto di accumulazione per A. Condi-zione necessaria e sufficiente perche f diverga positivamente(negativamente) per xche tende a x◦ e che il massimo e minimo limite di f , per x che tende a x◦, sianoentrambi +∞.

La dimostrazione di questo teorema si lascia per esercizio al lettore.

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IV.19. Confronto di due infinitesimi 111

Teorema IV.18.9. Sia f : A→ R e x◦ un punto di accumulazione per A. Condi-zione necessaria e sufficiente perche f converga per x che tende a x◦ e che ∀ ε > 0esista un intorno U di x◦ tale che 34

x, y ∈ U ∩ A − {x◦} =⇒ |f(x)− f(y)| < ε . (IV.18.14)

Dimostrazione La condizione e necessaria: sia

L = limx→x◦

f(x)

Per ogni ε > 0 esiste un intorno U di x◦ tale che

|f(x)− L| < ε

2∀x ∈ U ∩ A − {x◦} .

Ne segue che ∀x, y ∈ U ∩ A − {x◦}

|f(x)− f(y)| ≤ |f(x)− L|+ |f(y)− L| < ε .

La condizione e sufficiente: per ogni ε > 0 esiste un intorno sferico di x◦, di raggio r,(chiamiamolo U(r)), tale che

|f(x)− f(y)| < ε ∀x, y ∈ U(r) ∩ A − {x◦}

e quindi−ε < f(x)− f(y) < ε ∀x, y ∈ U(r) ∩ A − {x◦}

Ne segue che il massimo e il minimo limite di f , per x che tende a x◦, sono finiti esi ha (con le notazioni introdotte precedentemente)

−ε < L(r)− `(r) < ε .

Di qui segue che−ε < lim′′

x→x◦f(x)− lim′

x→x◦f(x) < ε .

Per l’arbitrarieta di εlim′′x→x◦

f(x) = lim′x→x◦

f(x) .

IV.19 CONFRONTO DI DUE INFINITESIMI

Sia A un sottoinsieme di R, sia x◦ un punto di accumulazione di A nella topologia diR (quindi puo essere x◦ = +∞ e x◦ = −∞) e siano f e g due funzioni reali definitein A le quali sono infinitesime per x che tende a x◦:

limx→x◦

f(x) = 0

limx→x◦

g(x) = 0 .

Per non complicare inutilmente le cose sul piano formale, supponiamo che x◦ nonappartenga ad A.

34Si dice che f verifica la condizione di Cauchy nell’intorno del punto x◦.

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112 Capitolo IV. Limiti

Definizione IV.19.1. Diciamo che f e g sono infinitesimi (per x che tende a x◦)dello stesso ordine se esistono un numero reale K 6= 0, un intorno V di x◦ e unafunzione reale h, definita su V ∩ A e infinitesima per x che tende a x◦, tali che

f(x) = g(x) (K + h(x)) ∀x ∈ V ∩ A . (IV.19.1)

Definizione IV.19.2. Diciamo che f e un infinitesimo di ordine superiore a g (perx che tende a x◦), oppure che g e un infinitesimo di ordine inferiore ad f , se esistonoun intorno V di x◦ e una funzione h, definita su V ∩ A e infinitesima per x chetende a x◦, tali che sia

f(x) = g(x)h(x) ∀x ∈ V ∩ A . (IV.19.2)

Queste definizioni meritano qualche considerazione. Innanzitutto se f e g sonoinfinitesimi dello stesso ordine e ragionevole attendersi che accanto alla relazione(IV.19.1) debba sussistere una analoga relazione in cui f e g sono “scambiati diposto”. In effetti e cosı. Supponiamo che valga la relazione (IV.19.1); per le ipotesifatte

limx→x◦{K + h(x)} = K 6= 0

e quindi esiste un intorno U di x◦ tale che

K + h(x) 6= 0 ∀x ∈ U ∩ V ∩ A = W ∩ A

(si e posto W = U ∩ V ; W e ancora un intorno di x◦). Allora in W ∩ A e definitala funzione 1/(K + h(x)) e sussiste la relazione

1

K + h(x)=

1

K− h(x)

K (K + h(x))∀x ∈ W ∩ A (IV.19.3)

Da (IV.19.1) e (IV.19.3) segue che

g(x) = f(x)

{1

K+ v(x)

}∀x ∈ W ∩ A

dove

v(x) = − h(x)

K (K + h(x))

e una funzione definita in W ∩ A e infinitesima per x che tende a x◦.

Dalla relazione (IV.19.1) segue che f si annulla in un punto x ∈ U ∩ A se e solo seg si annulla in x e quindi, in un intorno di x◦, f e g sono entrambe diverse da zerooppure “hanno gli stessi zeri”. Supponiamo che f e g siano diverse da zero in unintorno di x◦. In questa ipotesif e g sono infinitesimi dello stesso ordine per x che tende a x◦ se e solo se la

funzione fg, che e definita in un intorno di x◦, e convergente per x che tende a x◦ e

il limite e un numero reale diverso da 0

limx→x◦

f(x)

g(x)= K 6= 0 . (IV.19.4)

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IV.19. Confronto di due infinitesimi 113

Questa proposizione e assai utile perche suggerisce un procedimento semplice perstabilire se due infinitesimi sono dello stesso ordine. La dimostrazione di questaproposizione e elementare: supponiamo che valga la (IV.19.1) e supponiamo che inun intorno di x◦ sia f 6= 0 e g 6= 0 allora esiste un intorno W di x◦ tale che

f(x)

g(x)= K + h(x) ∀x ∈ W ∩ A

e quindi

limx→x◦

f(x)

g(x)= K

Viceversa, supponiamo che f e g siano 6= 0 in un intorno U di x◦ e che valga la(IV.19.4). Per x ∈ U ∩ A possiamo scrivere

f(x)

g(x)= K +

{f(x)

g(x)−K

}= K + h(x)

e quindif(x) = g(x) {K + h(x)} .

Per l’ipotesi (19.4), (IV.19.4), la funzione

h(x) =f(x)

g(x)−K

e infinitesima per x che tende a x◦.

Considerazioni della stessa natura si possono fare in relazione alla definizione IV.19.2.Supponiamo che f e g siano diverse da zero in un intorno U di x◦ e quindi le funzionifg

e gf

sono definite per x ∈ U ∩ A. In tali ipotesi e chiaro che

limx→x◦

f

g= 0⇐⇒ lim

x→x◦

∣∣∣∣ gf∣∣∣∣ = +∞ . (IV.19.5)

Si ha inoltre questa proposizione: condizione necessaria e sufficiente perche f siainfinitesima di ordine superiore a g e che valgano le relazioni (IV.19.5), Infatti se fe g sono diverse da zero in un intorno di x◦ e se (IV.19.2) e vera, allora esiste unintorno W di x◦ tale che

f(x)

g(x)= h(x) ∀x ∈ W ∩ A

e quindi

limx→x◦

f(x)

g(x)= lim

x→x◦h(x) = 0 .

Viceversa, supponiamo che f e g siano 6= 0 in un intorno U di x◦ e che limx→x◦

f(x)

g(x)= 0.

Per x ∈ U ∩ A possiamo scrivere

f(x) = g(x) · f(x)

g(x)= g(x) · h(x)

e la funzione h(x) = f(x)g(x)

e infinitesima per x che tende a x◦.

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114 Capitolo IV. Limiti

Nota Consideriamo il sottoinsieme di RA costituito dalle funzioni che sono infini-tesime per x che tende a x◦. La relazione:

f � g ⇐⇒ f e infinitesimo di ordine minore o uguale a g (IV.19.6)

e una relazione d’ordine parziale. Due funzioni f e g, infinitesime per x che tendea x◦ tra le quali non intercorra la relazione � si dicono infinitesimi fra loro nonparagonabili.

Esempi:

(I) Consideriamo le funzioni f : x → senx e g : x → x definite per x ∈ R edentrambe infinitesime per x che tende a 0. f e g sono infinitesimi dello stessoordine, infatti

limx→0

senx

x= 1 . (IV.19.7)

Si hanno queste disuguaglianze

senx < x < tang x se 0 < x ≤ π

4

senx > x > tang x se −π4≤ x < 0

Quindi

cosx <senx

x< 1 ∀x ∈

[−π

4,π

4

]− {0} .

Di qui segue la (IV.19.7) tenuto conto del teorema IV.14.2 e del fatto che

limx→0

cosx = 1 .

(II) Sia A = [−1, 1], f(x) = x2, g(x) = x.

f e g sono infinitesime per x → 0 e f e infinitesimo di ordine superiore a g;infatti ∀x ∈ [−1, 1] si puo scrivere

f(x) = g(x) · x .

Altra verifica:

limx→0

f(x)

g(x)= lim

x→0x = 0

(III) Sia A = (0, 1],

f(x) = x sen1

xe g(x) = x .

f e g sono infinitesime per x che tende a zero ma f e g sono infinitesimi nonconfrontabili tra loro.

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IV.19. Confronto di due infinitesimi 115

Siano f e g due funzioni reali definite in A ⊂ R, entrambe infinitesime per x chetende a x◦, e sia α un numero reale positivo. Supponiamo che in un intorno di x◦

sia definita la funzione x→ [g(x)]α.

Si dice che f e un infinitesimo per x che tende a x◦ di ordine α rispetto a g se f egα sono infinitesimi dello stesso ordine.

Se cio avviene devono esistere una costante K 6= 0, un intorno U di x◦ e una funzioneh definita in U ∩ A e infinitesima per x che tende a x◦ tali che

f(x) = gα(x) [K + h(x)] ∀x ∈ U ∩ A . (IV.19.8)

In tal caso diremo che K gα(x) e la parte principale dell’infinitesimo f rispettoall’infinitesimo g. Se esistono due numeri K e α che rendono vera la (IV.19.8) essisono univocamente determinati.

Esempio

Sia A = [0, 1], f(x) = 1− cosx, g(x) = x.

f e g sono infinitesime per x che tende a zero. f e di ordine 2 rispetto a g e

la parte principale di f rispetto a g e1

2x2. Infatti:

limx→0

1− cosx

x2= lim

x→0

2 sen2 x

2x2

=1

2limx→0

senx

2x

2

2

=

=1

2limy→0

(sen y

y

)2

=1

2.

Il teorema che ora daremo va sotto il nome di “principio di sostituzione degliinfinitesimi”; esso e molto utile nello studio del limite del rapporto f

gnel caso di

indeterminazione 00.

Teorema IV.19.3. Siano f , g, F , G quattro funzioni definite in A e infinitesimeper x che tende a x◦. Supponiamo che f , g, f + F , g + G siano diverse da zero inun intorno di x◦ e inoltre

(i) F e infinitesimo di ordine superiore ad f ,

(ii) G e infinitesimo di ordine superiore a g.

In tali ipotesi

limx→x◦

f(x) + F (x)

g(x) +G(x)= λ⇐⇒ lim

x→x◦f(x)

g(x)= λ , λ ∈ R (IV.19.9)

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116 Capitolo IV. Limiti

Dimostrazione Esiste un intorno U di x◦ tale che 35

f(x) 6= 0 , g(x) 6= 0 , f(x) + F (x) 6= 0 , g(x) +G(x) 6= 0 ∀x ∈ U ∩ A

Per ogni x ∈ U ∩ A risulta

f(x) + F (x)

g(x) +G(x)=f(x)

g(x)·

1 +F (x)

f(x)

1 +G(x)

g(x)

(IV.19.10)

Poiche

limx→x◦

F (x)

f(x)= lim

x→x◦G(x)

g(x)= 0 ,

si ha che

limx→x◦

1 +F (x)

f(x)

1 +G(x)

g(x)

= 1 . (IV.19.11)

Da (IV.19.10) e (IV.19.11) segue la tesi.

Esempi.

(I) Si calcoli il limite

limx→0

x2 +√x

2x+√x.

Poiche

(i1) x2 e un infinitesimo (per x→ 0) di ordine superiore a√x;

(i2) 2x e un’infinitesimo di ordine superiore a√x,

risulta

limx→0

x2 +√x

2x+√x

= limx→0

√x√x

= 1 .

(II) Sia f(x) =√|x+ x2| e g(x) = 2

√|x| + x2; f e g definite su R. Si calcoli il

limite

limx→0

√|x+ x2|

2√|x|+ x2

.

Consideriamo l’infinitesimo (per x→ 0)

h(x) = |x|35Si ricordi l’ipotesi di comodo letta all’inizio del paragrafo

x◦ 6∈ A

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IV.20. Confronto di due infiniti 117

f e di ordine1

2rispetto ad h in quanto

limx→0

f(x)√h(x)

= 1 6= 0

g e di ordine1

2rispetto ad h in quanto

limx→0

f(x)√h(x)

= 2 6= 0

Ne segue che in un intorno di x = 0 sara

f(x) =√|x|+ F (x)

g(x) = 2√|x|+G(x)

con F e G infinitesimi di ordine superiore a f e g rispettivamente. Conclusione:

limx→0

f(x)

g(x)= lim

x→0

√|x|

2√|x|g(x)

=1

2.

IV.20 CONFRONTO DI DUE INFINITI

Sia A un sottoinsieme di R e x◦ ∈ R un punto di accumulazione per A. Una funzionef : A→ R la quale diverga per x che tende a x◦ si dice che e un infinito per x chetende a x◦.

Supponiamo che x◦ non appartenga ad A. Se f diverge per x che tende a x◦, neces-sariamente e 6= 0 in un intorno U di x◦ e quindi in U ∩ A e definita la funzione 1

f.

Si ha l’equivalenza

|f | diverge per x che tende a x◦ ⇐⇒ 1

fe infinitesimo per x→ x◦ .

Servendoci di questa osservazione noi possiamo istituire un confronto tra due infinitisimultanei riconducendolo al confronto di due infinitesimi. Ne deduciamo la seguentedefinizione.

Definizione IV.20.1. Siano f e g due funzioni definite in A a valori in R e diver-genti per x che tende a x◦. Il rapporto f(x)

g(x)e definito in un intorno di x◦. Diciamo

che f e g sono infiniti dello stesso ordine se

limx→x◦

f

g= K 6= 0 . (IV.20.1)

Diciamo che g e un infinito di ordine superiore a f (f e di ordine inferiore a g) se

limx→x◦

f

g= 0 . (IV.20.2)

Se il rapporto fg

non ha limite per x che tende a x◦ si dice che f e g sono infinitinon confrontabili.

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118 Capitolo IV. Limiti

La relazione (IV.20.1) e equivalente al fatto che esiste un intorno U di x◦ e unafunzione h(x), definita in U ∩ A e infinitesima per x che tende a x◦, tale che

f(x) = g(x) {K + h(x)} ∀x ∈ U ∩ A , (IV.20.3)

La relazione (IV.20.2) e equivalente al fatto che esiste un intorno U di x◦ e unafunzione h(x), definita in U ∩ A e infinitesima per x che tende a x◦, tale che

f(x) = g(x) · h(x) ∀x ∈ U ∩ A (IV.20.4)

Si dice che f e un infinito di ordine α > 0 rispetto a g se

(i) gα e definita in un intorno di x◦;

(ii) f e gα sono infiniti dello stesso ordine.

In tal caso

limx→x◦

f

gα= K 6= 0

K gα si chiama la parte principale dell’infinito f rispetto all’infinito g.

Esempi.

(I) Le funzioni

f : x→ 1

x, g : x→ senx

x3/2,

definite per x ∈ (0, π), divergono positivamente per x → 0. L’ infinito f e diordine superiore a g, infatti

limx→0

g

f= lim

x→0+

senx√x

= limx→0+

√x · senx

x= 0 · 1 = 0 .

(II) Sia A = (1, 3],

f(x) =1

x− 1, g =

x√x− 1

, x ∈ A .

f e g divergono positivamente per x → 1; f e un infinito di ordine α = 2rispetto a g, infatti

limx→1

g2(x)

f(x)= lim

x→1x2 = 1 .

La parte principale di f rispetto a g e

x2

x− 1.

In RA consideriamo il sottoinsieme costituito dalle funzioni che divergono nel puntox◦ e poniamo

f � g ⇐⇒ f e un infinito di ordine minore o uguale a g.

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IV.20. Confronto di due infiniti 119

La relazione � e, nell’insieme suddetto, un ordinamento parziale.

Teorema IV.20.2. Siano f , g, F , G quattro funzioni definite in A e divergenti perx che tende a x◦. Supponiamo che

(i1) F e un infinito di ordine inferiore a f ,

(i2) G e infinito di ordine inferiore a g.

Allora

limx→x◦

f(x) + F (x)

g(x) +G(x)= λ⇐⇒ lim

x→x◦f(x)

g(x)= λ , λ ∈ R (IV.20.5)

La dimostrazione di questo teorema e perfettamente uguale a quella del teoremaIV.20.2.

Il teorema IV.20.2 costituisce quello che viene chiamato il “principio di sostitu-

zione degli infiniti” ed e assai utile nello studio del limite del rapportof

gnel caso di

indeterminazione±∞±∞

. Vediamo qualche esempio.

Esempi.

(I) f(x) = x2 + 3x, g(x) =√x3 + 2 + x, x ∈ (0,+∞).

f e g divergono positivamente per x→ +∞. Inoltre

3x e infinito di ordine inferiore a x2;

x e infinito di ordine inferiore a√x3 + 2.

Quindi

limx→+∞

x2 + 3x√x3 + 2 + x

= limx→+∞

x2

√x3 + 2

= limx→+∞

√x4

x3 + 2= +∞ .

(II) Sia

f(x) =1

sen2 x+

1

x, g(x) = tang

(π2− x), x ∈

(0,π

2

).

f e g divergono per x che tende a 0, inoltre 1sen2 x

e infinito di ordine 2 rispettoa 1x

in quanto

limx→0

1sen2 x(

1x

)2 = limx→0

( x

senx

)2

= 1 .

Osserviamo infine chetang

(π2− x)

=cosx

senx.

In conseguenza di tutti questi fatti risulta

limx→0+

1sen2 x

+ 1x

tang(π2− x) = lim

x→0+

1sen2 xcosxsenx

= limx→0+

1

senx · cosx= +∞

* * *

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120 Capitolo IV. Limiti

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Capitolo V

FUNZIONI CONTINUE ESEMICONTINUE

V.1 DEFINIZIONI E PRIME PROPRIETA’

Siano E ed F due spazi metrici con metriche d e δ; sia f una applicazione di E in F .

Definizione V.1.1. Si dice che f e continua nel punto x◦ ∈ E se ∀ ε > 0 esisteun η > 0 tale che

x ∈ E e d(x, x◦) ≤ η =⇒ δ(f(x), f(x◦)) ≤ ε . (V.1.1)

Cio e equivalente a dire che f e continua in x◦ se per ogni sfera I(f(x◦), ε) in Fesiste una sfera I(x◦, η) in E tale che

x ∈ I(x◦, η) =⇒ f(x) ∈ I(f(x◦), ε) (V.1.2)

oppure:per ogni intorno U di f(x◦) in F , esiste un intorno V di x◦ in E tale che

x ∈ V =⇒ f(x) ∈ U . (V.1.3)

La prima definizione di continuita fa intervenire essenzialmente la metrica, la terzadefinizione invece fa intervenire soltanto la nozione di intorno e mostra come lacontinuita sia una proprieta topologica.

Se l’applicazione f non e continua in x◦ si dice che f e discontinua in x◦. Se fe continua in ogni punto di E dice che f e continua in E.

Si dimostrano facilmente le seguenti proposizioni:

(I) f e continua nel punto x◦ ∈ E se e solo se ogni intorno U di f(x◦) ha comeimmagine inversa f−1(U) un intorno di x◦.

(II) f e continua in E se e solo se ogni aperto A ⊂ F ha come immagine inversaf−1(A) un aperto di E.

Dimostrazione di (I) Supponiamo f continua in x◦ allora per ogni intorno U dif(x◦) esiste un intorno V di x◦ tale che f(V ) ⊂ U . Quindi f−1(U) ⊃ V e pertantof−1(U) e intorno di x◦. Il viceversa e ovvio.

121

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122 Capitolo V. Continuita

Dimostrazione di (II) Sia A un aperto di F e sia f continua in A. Consideriamof−1(A); dire che questo insieme e aperto equivale a dire che se f(x) ∈ A esiste unasfera I(x, ε) tale che f(I(x, ε)) ⊂ A.

Poiche A e aperto e quindi intorno di f(x), per definizione di continuita in x,esiste una sfera I(x, ε) tale che f(I(x, ε)) ⊂ A.Viceversa, supponiamo che

A aperto di F =⇒ f−1(A) aperto di E.

Fissiamo un punto x◦ in E e una sfera I(f(x◦), ε) aperta. La immagine inversaf−1(I(f(x◦), ε)) sara un aperto che contiene x◦ e quindi un intorno di x◦. Quindi fe continua in x◦.

Potra succedere che f non sia definita su tutto E ma soltanto su un sottoinsiemeA ⊂ E. Poiche un sottoinsieme di E e uno spazio metrico con la distanza indotta daE, le definizioni precedenti restano valide pur di sostituire gli intorni di x◦ in E congli intorni di x◦ in A. In concreto: una funzione f : A → F e continua in x◦ ∈ Ase per ogni intorno U di f(x◦) in F esiste un intorno V di x◦ in E tale che

x ∈ V ∩ A =⇒ f(x) ∈ U . (V.1.4)

Un punto x◦ ∈ A puo essere un punto isolato di A oppure un punto di accumu-lazione per A. Nel primo caso ogni funzione f : A → F e continua in x◦ perche epossibile scegliere un intorno V di x◦ tale che V ∩ A = {x◦} e quindi

f(V ∩ A) = {f(x◦)} ⊂ U per ogni intorno U di f(x◦).

Se invece x◦ e un punto di accumulazione per A, confrontando la definizione dicontinuita in x◦ con la definizione di limite per x→ x◦, si constata facilmente che

(i) f e continua in x◦ se e solo se limx→x◦

f(x) = f(x◦).

(ii) f converge per x che tende a x◦ e ha per limite L se e solo se la funzione f

f(x) =

f(x) per x ∈ A − {x◦}

L per x = x◦

e continua nel punto x◦.

Siano E, F , G tre spazi metrici, sia f una applicazione di E in F e g unaapplicazione di F in G.

Teorema V.1.2. Se f e continua nel punto x◦ ∈ E e g e continua nel puntoy◦ = f(x◦) ∈ F allora h = g◦f e continua nel punto x◦.

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V.1. Definizione e prime proprieta 123

Dimostrazione Sia U un intorno di g(y◦) in G; poiche g e continua in y◦, esisteun intorno W di y◦ in F tale che

y ∈ W =⇒ g(y) ∈ U . (V.1.5)

D’altra parte f e continua in x◦ e quindi esiste un intorno V di x◦ in E tale che

x ∈ V =⇒ f(x) ∈ W . (V.1.6)

Da (V.1.5) e (V.1.6) segue che

x ∈ V =⇒ g(f(x)) ∈ U .

Quindi h = g◦f e continua in x◦.

Corollario V.1.3. Se f e continua in E e g e continua in F allora l’applicazionecomposta h = g◦f e continua in E.

* * *

Consideriamo il caso particolare in cui E = F = R, cioe il caso in cui f e unafunzione reale di una variabile reale. Supponiamo che f sia definita su un insiemeA ⊂ R e che x◦ ∈ A.In accordo con la definizione data precedentemente, f e continua nel punto x◦ seper ogni ε > 0 esiste un δ > 0 tale che

x ∈ A e |x− x◦| < δ =⇒ |f(x)− f(x◦)| < ε . (V.1.7)

Se x◦ e un punto di accumulazione per A, f e continua in x◦ se e solo se limx→x◦

f(x) =

f(x◦). Questa osservazione e importante perche permette di dedurre molte proprietadelle funzioni reali continue dai teoremi relativi alle funzioni reali convergenti cheabbiamo dimostrato a suo tempo. Per esemplificare elenchiamone alcune:

Teorema V.1.4. Se la funzione f : A → R e continua nel punto x◦ ∈ A e sef(x◦) 6= 0, esiste un intorno V di x◦ tale che

segno di f(x) = segno di f(x◦) ∀x ∈ V ∩ A . (V.1.8)

Teorema V.1.5. Se f e g sono funzioni reali definite in A e continue nel puntox◦ ∈ A allora

f + g , f g , λ f con λ ∈ Rsono funzioni continue in x◦. Se e g 6= 0 in A anche f

ge continua in x◦.

Teorema V.1.6. Se f : A→ R e continua in x◦ ∈ A anche |f | e continua in x◦.

Teorema V.1.7. Se f e g sono funzioni reali definite in A e continue in x◦ anche

f ∨ g e f ∧ g

sono continue in x◦.

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124 Capitolo V. Continuita

Teorema V.1.8. Se f : A → R e continua in x◦ ∈ A e se B e sottoinsieme di Ail quale contiene x◦ allora f|B e continua in x◦.

Teorema V.1.9. Se f : A → R e continua in x◦ ∈ A, f e limitata in un intornodi x◦.

I teoremi V.1.5 e V.1.7 assicurano che il sottoinsieme di RA costituito dallefunzioni continue nel punto x◦ ∈ A e una sottoalgebra di RA e un reticolo.

Esempi:

(I) La funzione f : R → R, f(x) = x e continua in ogni punto di R. Infatti∀x◦ ∈ R

limx→x◦

x = x◦ .

(II) Una funzione costante e continua, quindi e continua anche la funzione

f : R→ R , f(x) = 3x2 + 2 .

Infatti x→ x e continua quindi x→ x2 = x · x e continua, quindi x→ 3x2 econtinua, quindi x→ 3x2 + 2 e continua.

Piu in generale sono funzioni continue su R i polinomi in x.

(III) Le funzioni f , g, h definite in [−1, 1] nel seguente modo

f(x) =

1 se x 6= 0

0 se x = 0g(x) =

1 se x ≥ 0

−1 se x < 0h(x) =

1

xse x 6= 0

0 se x = 0

sono tutte e tre discontinue nel punto x = 0.

0 1−1

f

0 1

−1

1

−1

g

0 1

−1

h

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V.1. Definizione e prime proprieta 125

(IV) Le funzioni x→ senx e x→ cosx, definite su R, sono continue in ogni puntodi R

Infatti si ha la maggiorazione

0 ≤ | senx| ≤ |x|

Quindi, se x◦ e un punto fissato di R, risulta

| senx− senx◦| = 2

∣∣∣∣cosx+ x◦

2sen

x− x◦

2

∣∣∣∣ ≤ 2

∣∣∣∣x− x◦2

∣∣∣∣ = |x− x◦|

| cosx− cosx◦| = 2

∣∣∣∣senx+ x◦

2sen

x− x◦

2

∣∣∣∣ ≤ 2

∣∣∣∣x− x◦2

∣∣∣∣ = |x− x◦|

Ne segue che

limx→x◦

(senx− senx◦) = 0

limx→x◦

(cosx− cosx◦) = 0

Definizione V.1.10. Una funzione reale f definita su un insieme A ⊂ R si dice se-micontinua superiormente (inferiormente) nel punto x◦ se ∀ ε > 0 esiste un intornoV di x◦ tale che ∀x ∈ V ∩ A

f(x) < f(x◦) + ε [f(x) > f(x◦)− ε] . (V.1.9)

Si dice che f e semicontinua superiormente (inferiormente) in A se e semicontinuasuperiormente (inferiormente) in ogni punto di A.

Riferendoci all’esempio III, la funzione f e semicontinua inferiormente nel pun-to 0, la funzione g e semicontinua superiormente nel punto 0, la funzione h non e nesemicontinua superiormente ne semicontinua inferiormente nel punto 0.Appare quindi chiaro che una funzione discontinua in un punto x◦ non e necessa-riamente semicontinua. E’ altresı evidente che f : A → R e continua nel puntox◦ ∈ A se e solo se f e semicontinua tanto superiormente che inferiormente in x◦.Si dimostrano facilmente le seguenti proposizioni nelle quali si suppone che x◦ sia diaccumulazione per A:

(I) f e semicontinua superiormente in x◦ se e solo se

lim′′x→x◦

f(x) ≤ f(x◦)

(II) f e semicontinua inferiormente in x◦ se e solo se

lim′x→x◦

f(x) ≥ f(x◦) .

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126 Capitolo V. Continuita

V.2 TEOREMI SULLE FUNZIONI REALI CON-

TINUE E SEMICONTINUE

Un insieme A della retta reale si chiama connesso se

a, b ∈ A =⇒ [a, b] ⊂ A . (V.2.1)

In altri termini, se A contiene i punti a e b allora A contiene tutto l’intervallochiuso [a, b]. Gli insiemi connessi della retta reale sono (oltre a R) gli intervalli e lesemirette.

Indichiamo con C◦(A) l’insieme delle funzioni reali definite in A e continue in A.C◦(A) e uno spazio vettoriale reale, un’algebra e un reticolo.

Teorema V.2.1. Se A e un sottoinsieme connesso di R e f ∈ C◦(A) l’immaginef(A) e connessa.

Dimostrazione Siano h e k due elementi di f(A), per fissare le idee h < k;dobbiamo dimostrare che

h < λ < k =⇒ λ ∈ f(A) . (V.2.2)

Esistono due elementi a e b appartenenti ad A tali che

h = f(a) e k = f(b) .

Supponiamo a < b. Poiche A e connesso, l’intervallo chiuso [a, b] e contenuto in A.Poniamo

E = {x : x ∈ [a, b] , f(x) < λ} .

L’insieme E non e vuoto perche a ∈ E. Sia

x◦ = supE . (V.2.3)

Evidentemente x◦ ∈ [a, b] 1 quindi f e definita e continua in x◦. Affermiamo che

f(x◦) = λ . (V.2.4)

Se fosse f(x◦) < λ allora sarebbe x◦ < b e, per la continuita di f in x◦, esisterebbeun intervallo [x◦, x◦ + δ] ⊂ [a, b], con δ > 0, tale che

f(x) < λ ∀x ∈ [x◦, x◦ + δ] .

Cio e assurdo perche contraddice la (V.2.3).

Analogamente, se fosse f(x) > λ, sarebbe x◦ > a e, per la continuita di f in x◦,esisterebbe un intervallo [x◦ − δ, x◦] ⊂ [a, b], con δ > 0, tale che

f(x) > λ ∀x ∈ [x◦ − δ, x◦] .

Anche questo e assurdo perche contraddice la (V.2.3). Quindi (V.2.4) e vera.

1Perche x◦ e aderente ad [a, b] e questo intervallo e chiuso.

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V.2. Teoremi sulle funzioni reali continue e semicontinue 127

Dal teorema ora dimostrato si deducono alcuni semplici corollari:

Corollario V.2.2. Sia f una funzione reale definita e continua sull’intervallo [a, b].Se

f(a) f(b) < 0 (V.2.5)

esiste almeno un x ∈ (a, b) tale che 2

f(x) = 0 .

Infatti l’ipotesi (V.2.5) equivale a dire che f assume valori di segno opposto in ae b. Supponiamo ad esempio f(a) < 0 < f(b). Per il teorema V.2.1 e [f(a), f(b)] ⊂f([a, b]) e quindi 0 ∈ f([a, b]).

Corollario V.2.3. Sia A connesso, f ∈ C◦(A), infAf < 0 e sup

Af > 0. 3 Esiste

almeno un punto x ∈ A in cui f(x) = 0.

Infatti, per definizione di estremo superiore e inferiore, esistono due punti x1 e x2 ∈ Atali che

f(x1) < 0 < f(x2) .

Poiche A e connesso, l’intervallo di estremi x1 e x2 appartiene ad A e siamo ricondottialla situazione del corollario V.2.2.

Corollario V.2.4. Sia A connesso e f ∈ C◦(A). Allora

infAf < λ < sup

Af =⇒ λ ∈ f(A) . (V.2.6)

In altri termini f assume tutti i valori compresi tra il suo estremo superiore e il suoestremo inferiore in A. Infatti devono esistere almeno due punti x1 e x2 di A taliche

infAf ≤ f(x1) < λ < f(x2) ≤ sup

Af .

Poiche A e connesso, f(A) e connesso e quindi

[f(x1), f(x2)] ⊂ f(A) .

In particolare λ ∈ f(A).

Teorema V.2.5. Se A e un sottoinsieme compatto di R e f ∈ C◦(A) allora f(A) ecompatto.

Dimostrazione Sia n → yn una successione reale a valori in f(A). Dobbiamo di-mostrare che da questa successione se ne puo estrarre una convergente a un elementodi f(A) (cfr. paragrafo 12, cap. IV). Esiste una successione {xn} in A tale che

f(xn) = yn ∀n ∈ N2f(a) f(b) < 0 =⇒ 0 ∈ f([a, b]).3In particolare potrebbe essere inf

Af = −∞ e sup

Af = +∞.

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128 Capitolo V. Continuita

A e compatto, quindi da {xn} si puo estrarre una successione {x∗n} convergente aun elemento x◦ di A

limn→∞

x∗n = x◦ .

A questo punto interviene l’ipotesi che f sia continua in A (in particolare in x◦) percui

limn→∞

f(x∗n) = f(x◦) ∈ f(A) .

Il teorema e dimostrato in quanto {f(x∗n)} e una successione estratta da {yn}.

Teorema V.2.6. (di Weierstrass) Se A e un sottoinsieme compatto di R e f ∈C◦(A) allora f assume in A un valore massimo e un valore minimo. 4

Dimostrazione Dal teorema V.2.5 sappiamo che f(A) e compatto e quindi elimitato e chiuso. Allora

−∞ < infAf ≤ sup

Af < +∞ .

D’altra parte infAf e sup

Af sono punti aderenti a f(A) e quindi appartengono a f(A)

in quanto f(A) e chiuso.

Il teorema di Weierstrass costituisce una proprieta molto importante delle funzio-ni continue. E’ facile vedere con esempi che se si toglie l’ipotesi che A sia compatto ilteorema V.2.6 puo non essere vero. 5 Si considerino ad esempio queste due funzioni

(1) f : x→ tang x definita e continua sull’intervallo limitato ma aperto(−π

2, π

2

).

(2) g : x→ x definita e continua sull’insieme chiuso, ma non limitato, [0,+∞).

0f

0

g

4Cio significa che esistono almeno due punti x◦, y◦ ∈ A tali che

f(x◦) = supAf , f(y◦) = inf

Af

5Cio significa che si possono trovare funzioni continue per le quali il teorema e ancora vero efunzioni continue per le quali il teorema non e vero.

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V.2. Teoremi sulle funzioni reali continue e semicontinue 129

La prima funzione non ha ne massimo ne minimo, la seconda ha minimo ma non hamassimo.

Per le funzioni semicontinue si puo dimostrare un teorema di Weierstrass in unaforma piu debole.

Teorema V.2.7. Se A e un sottoinsieme compatto di R e f e una funzione realesemicontinua superiormente in A allora

supAf ∈ f(A) . 6 (V.2.7)

Dimostrazione Sia L = supAf . L ∈ R e L e un punto aderente a f(A) (nella

topologia di R). Quindi esiste una successione n→ yn a valori in f(A) tale che

limn→∞

yn = L . (V.2.8)

Sia {xn} una successione in A scelta in modo che f(xn) = yn per ogni n ∈ N. A ecompatto quindi da {xn} si puo estrarre una successione {x∗n} la quale converge aun elemento x◦ ∈ A

limn→∞

x∗n = x◦

{f(x∗n)} e una successione estratta da {yn} e quindi per (V.2.8)

limn→∞

f(x∗n) = L . (V.2.9)

La funzione f e semicontinua superiormente in x◦ quindi, fissato ε > 0, esiste unintorno U di x◦ tale che

f(x) < f(x◦) + ε ∀x ∈ U ∩ A .

Poiche gli x∗n appartengono, definitivamente, ad U risulta definitivamente

f(x∗n) < f(x◦) + ε . (V.2.10)

Da (V.2.9) e (V.2.10) segue che

f(x◦) ≤ L ≤ f(x◦) + ε .

Per l’ arbitrarieta di εL = f(x◦) .

Ragionando in modo del tutto analogo si dimostra che

Teorema V.2.8. Se A e compatto e f : A → R e semicontinua inferiormente inA allora

infAf ∈ A . (V.2.11)

6In altre parole, f e limitata superiormente ed ha un valore massimo in A.

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130 Capitolo V. Continuita

E’ facile provare con esempi che una funzione semicontinua superiormente (infe-riormente) su un compatto A puo non avere minimo (massimo) in A. Si considerinoad esempio queste due funzioni:

f : [0, 1]→ R , f(x) =

1− 1

xse x 6= 0

0 se x = 0

0

f

g : [0, 1]→ R , g(x) =

1

x− 1 se x 6= 0

0 se x = 0

0

g

L’intervallo [0, 1] e un compatto; f e semicontinua superiormente e ha massimo 0 manon ha minimo; g e semicontinua inferiormente e ha minimo 0 ma non ha massimo.

V.3 FUNZIONI INVERTIBILI CON INVERSA

CONTINUA

Siano A e B due sottoinsiemi di R e sia f una funzione biunivoca di A su B. Inquesta ipotesi f e invertibile. La funzione f−1 e biunivoca e applica B su A. Ilproblema che ci poniamo e questo:

f continua su A =⇒ f−1 continua su B ? (V.3.1)

Dimostreremo che la risposta e affermativa in questi due casi:

A connesso

A compatto.

E’ facile costruire esempi di funzioni, definite su un insieme A non connesso enon compatto, le quali sono continue su A e invertibili ma l’inversa non e continuasu B = f(A).

Consideriamo l’insieme A = [0, 1] ∪ (2, 3] che non e connesso e non e compatto econsideriamo la funzione f : A→ [0, 2] definita in questo modo

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V.3. Funzioni invertibili con inversa continua 131

f(x) =

x se x ∈ [0, 1]

x− 1 se x ∈ (2, 3]

0 1 2 3

1

f e continua su A, e invertibile, ma la funzione inversa f−1 : [0, 2] → A non econtinua nel punto 1.

Nel seguito, A, B, . . . , sono sempre sottoinsiemi di R.

Lemma V.3.1. Sia f : A→ B una funzione continua e bigettiva. Se A e connessof e monotona in senso stretto.

Dimostrazione Se f non e monotona in senso stretto esistono tre punti x1, x2,x3 ∈ A, x1 < x2 < x3, tali che

f(x1) ≤ f(x2) , f(x2) ≥ f(x3) (V.3.2)

oppuref(x1) ≥ f(x2) , f(x2) ≤ f(x3) . (V.3.3)

Supponiamo che valga (V.3.2). Non puo essere f(x1) = f(x2) ne f(x2) = f(x3) inquanto f e iniettiva, quindi la situazione e questa

f(x1) < f(x2) , f(x3) < f(x2) .

Poiche A e connesso, [x1, x2] ⊂ A e [x2, x3] ⊂ A; inoltre f assume in [x1, x2] tutti ivalori compresi tra f(x1) e f(x2) ed f assume in [x2, x3] tutti i valori compresi traf(x2) e f(x3).Poniamo

M = max{f(x1), f(x3)} .

Se λ e un numero reale che verifica la relazione

M < λ < f(x2)

deve esistere un elemento ξ ∈ (x1, x2) tale che f(ξ) = λ e deve esistere un elementoη ∈ (x2, x3) tale che f(η) = λ. Ma cio e assurdo perche f non sarebbe invertibile.In modo analogo si dimostra che e assurda la situazione (V.3.3).

Lemma V.3.2. Se f : A → B e invertibile e crescente (decrescente) anche f−1 :B → A e crescente (decrescente).

La dimostrazione e evidente e si lascia al lettore.

E’ ormai facile dimostrare il seguente

Teorema V.3.3. Se A e connesso e f : A → B e continua e invertibile anchef−1 : B → A e continua.

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132 Capitolo V. Continuita

Dimostrazione f−1 e monotona in senso stretto. Supponiamo che sia crescente.Sia y◦ = f(x◦) un punto di B; poiche B e connesso (teor. V.2.1) si ha una di questepossibilita

y◦ e interno a B (V.3.4)

y◦ ≤ y ∀ y ∈ B (V.3.5)

y◦ ≥ y ∀ y ∈ B . (V.3.6)

Supponiamo che y◦ sia interno a B. Dai teoremi relativi al limite di funzionimonotone, si deduce che

limy→y◦−

f−1(y) ≤ f−1(y◦) ≤ limy→y◦+

f−1(y) .

Affermiamo che in questa relazione, anziche ≤ , vale il segno = . Con cio la tesi edimostrata.Supponiamo, per assurdo, che sia

limy→y◦−

f−1(y) = λ < f−1(y◦) = x◦ .

Allora l’intervallo (λ, x◦) non appartiene ad A. 7 D’altra parte, scelto un y∗ < y◦, siha

x∗ = f−1(y∗) < λ < x◦

e quindi, poiche A e connesso, [x∗, x◦] deve appartenere ad A. Similmente se, perassurdo,

x◦ = f−1(y◦) < λ = limy→y◦

f−1(y)

l’intervallo (x◦, λ) non appartiene ad A 8 ; d’altra parte, scelto y∗ > y◦ si ha

x∗ = f−1(y∗) > λ > x◦

e quindi, poiche A e connesso, [x◦, x∗] deve appartenere ad A.

In modo analogo (anzi piu semplice) si ragiona se valgono le (V.3.5) e (V.3.6) e inmodo analogo si ragiona se f−1 e decrescente anziche crescente.

Esempio In virtu del teorema precedente sono continue le funzioni (cfr. cap.IV,paragrafo 1, es. 4):

x→ arcsenx , [−1, 1]→[−π

2,π

2

]x→ arccosx , [−1, 1]→ [0, π]

x→ arctang x , R→(−π

2,π

2

)7 y ≤ y◦ =⇒ x = f−1(y) ≤ λy ≥ y◦ =⇒ x = f−1(y) ≥ f−1(y◦) = x◦ .

8 y ≤ y◦ =⇒ x = f−1(y) ≤ f−1(y◦) = x◦

y ≥ y◦ =⇒ x = f−1(y) ≥ λ .

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V.3. Funzioni invertibili con inversa continua 133

Teorema V.3.4. Se A e compatto e f : A → B e continua e invertibile anchef−1 : B → A e continua.

Dimostrazione Sia y◦ un punto di B. Se y◦ e un punto isolato di B non c’e nullada dimostrare, se invece y◦ e un punto di accumulazione per B proviamo che

limy→y◦

f−1(y) = f−1(y◦) .

Per far questo utilizziamo il teorema IV.12.6 del cap. IV. Sia {yn} una successionereale a valori in B − {y◦} la quale converge a y◦

limn→∞

yn = y◦ . (V.3.7)

Poniamo

xn = f−1(yn) , x◦ = f−1(y◦) ,

Si deve dimostrare che

limn→∞

xn = x◦ . (V.3.8)

Ragioniamo per assurdo; supponiamo che (V.3.8) non sia vera, allora esiste unintorno V di x◦ tale che, ∀ ν ∈ N, esiste almeno un n > ν per cui xn 6∈ V . Quindida {xn} si puo estrarre una successione {x∗n} tale che

x∗n 6∈ V ∀n ∈ N . (V.3.9)

Poiche A e compatto possiamo supporre che {x∗n} converga a un punto x◦∗ ∈ A. 9

Per (V.3.9) risulta x◦∗ 6= x◦. Tenuto conto che f e continua in x◦ si ha

limn→∞

f(x∗n) = f(x◦) = y◦ (V.3.10)

D’altra parte {y∗n} = {f(x∗n)} e una successione estratta da {yn} e quindi per l’ipotesi(V.3.7)

limn→∞

f(x∗n) = y◦ . (V.3.11)

Da (V.3.10) e (V.3.11) segue che

y◦ = y◦∗ .

Ma cio e assurdo perche x◦∗ 6= x◦ e f e iniettiva.

9Se {x∗n} non converge si puo estrarre una sottosuccessione {x∗∗n } la quale converge e allora siragiona su quest’ultima successione.

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134 Capitolo V. Continuita

V.4 FUNZIONI UNIFORMEMENTE CONTINUE

Sia A un sottoinsieme di R e f : A→ R una funzione continue in A. Per ogni ε > 0e per ogni x ∈ A esiste un numero δ(x, ε) > 0 tale che

y ∈ A e |y − x| < δ(x, ε) =⇒ |f(y)− f(x)| < ε . (V.4.1)

Fissato ε > 0, la funzione δ(x, ε) non e univocamente determinata in quanto se δrende vera la proposizione (V.4.1) per ogni δ′ che verifichi la relazione 0 < δ′ < δ laproposizione (V.4.1) e ancora vera.

Il quesito che ci poniamo e questo: ∀ ε > 0 e possibile scegliere la funzionepositiva x → δ(x, ε) in modo che essa sia costante su A? In altre parole: ∀ ε > 0esiste almeno una funzione positiva x → δ(x, ε) che rende vera la proposizione(V.4.1) ed e tale che

infAδ(x, ε) > 0 ? (V.4.2)

Si vede facilmente con esempi che per certe funzioni la cosa e possibile e per altrenon e possibile.Si consideri la funzione f : R → R, f(x) = x; f e continua su R inoltre ∀ ε > 0 e∀x ∈ R

|y − x| < ε =⇒ |f(x)− f(y)| = |x− y| < ε .

Quindi, per ogni ε > 0, si puo scegliere la funzione x → δ(x, ε) = ε costante. Siconsideri invece la funzione g : R→ R, g(x) = x2. Anche questa funzione e continuasu R; fissato ε > 0 supponiamo che esista un δ(ε) > 0 tale che ∀x ∈ R

|x− y| < δ(ε) =⇒ |x− y| · |x+ y| < ε .

Posto x− y = h, si avrebbe

|h| < δ(ε) =⇒ |h| · |h+ 2x| < ε ∀x ∈ R .

Cio e assurdo perche

limx→+∞

|h| · |h+ 2x| = +∞ .

Definizione V.4.1. Una funzione reale f : A→ R si dice uniformemente continuain A se ∀ ε > 0 esiste un δ(ε) > 0 tale che per ogni coppia di punti x, y ∈ A cheverificano la relazione |x− y| < δ(ε) risulta |f(x)− f(y)| < ε. In simboli

x, y ∈ A e |x− y| < δ(ε) =⇒ |f(x)− f(y)| < ε . (V.4.3)

Una funzione uniformemente continua su A e anche continua su A mentre il vice-versa non e vero come si puo dedurre dall’esempio dato pocanzi.

Si possono dare delle condizioni sufficienti a garantire la uniforme continuita.Una funzione f : A → R si dice holderiana di ordine α > 0 in A se esiste unacostante positiva M tale che

|f(x)− f(y)| ≤ M |x− y|α ∀x, y ∈ A . (V.4.4)

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V.4. Funzioni uniformemente continue 135

Se f e holderiana in A allora f e uniformemente continua in A. La dimostrazione eimmediata: ∀ ε > 0 scegliamo

δ(ε) =( ε

M

) 1α,

ne viene che

x, y ∈ A e |x− y| < δ(ε) =⇒ |f(x)− f(y)| ≤ M |x− y|α ≤ M δα(ε) = ε .

Assai importante e il seguente teorema di Heine:

Teorema V.4.2. Se A e un insieme compatto, ogni funzione f : A→ R continuain A e anche uniformemente continua.

Dimostrazione Ragioniamo per assurdo. Supponiamo che f non sia uniformemen-te continua in A; allora esiste un ε > 0 tale che, comunque si scelga δ > 0, si puotrovare una coppia di punti x, y ∈ A per cui

|x− y| < δ e |f(x)− f(y)| > ε .

In particolare, scelto δ =1

n, esiste per ogni n ∈ N una coppia di punti xn, yn ∈ A

tali che

|xn − yn| <1

ne |f(xn)− f(yn)| > ε . (V.4.5)

Poiche A e compatto dalla successione {xn} si puo estrarre una successione {xnk}la quale converge a un elemento x◦ ∈ A

limk→∞

xnk = x◦ . (V.4.6)

La condizione

|xnk − ynk | <1

nk∀ k ∈ N

assicura che anche {ynk} converge a x◦ quando k → +∞ 10

limk→∞

ynk = x◦ . (V.4.7)

Da (V.4.6) e (V.4.7) e dalla continuita di f in x◦ segue che

limk→∞|f(xnk)− f(ynk)| = 0

e questo e incompatibile con il fatto che

|f(xnk)− f(ynk)| > ε

Esempi.

(I) La funzione x → f(x) =1

xdefinita per x ∈ (0, 1] e continua ma non unifor-

memente continua.

10Si osservi che nk → +∞ per k → +∞.

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136 Capitolo V. Continuita

0 1

1

(II) La funzione x → sen 2x, x ∈ [−π, π], e uniformemente continua perche econtinua e [−π, π] e un insieme compatto.

π

−π

(III) La funzione x→ f(x) = x2 definita per x ∈ (−1, 1) e uniformemente continuanonostante che (−1, 1) non sia compatto.

1−1

Le funzioni uniformemente continue hanno questa interessante proprieta di pro-lungabilita.

Teorema V.4.3. Sia f : A → R una funzione uniformemente continua in A.Esiste una e una sola funzione f ∗, definita su A, la quale e uniformemente continuaed e un prolungamento di f . 11

11Cio significa che f∗|A = f .

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V.4. Funzioni uniformemente continue 137

Dimostrazione Sia x◦ un punto di A; esiste una successione {xn} a valori in Atale che

limn→∞

xn = x◦ .

Affermiamo che la successione {f(xn)} e una successione di Cauchy. Infatti, fissatoε > 0 esiste un δ(ε) > 0 tale che

x, y ∈ A e |x− y| < δ(ε) =⇒ |f(x)− f(y)| < ε . (V.4.8)

D’altra parte, in corrispondenza di δ(ε), esiste un ν ∈ N tale che

|xn − xm| < δ(ε) ∀n,m > ν .

Conclusione: per ogni ε > 0 esiste ν ∈ N tale che

|f(xn)− f(xm)| < ε ∀n,m > ν .

Ne segue che la successione reale {f(xn)} e una successione di Cauchy e quindi econvergente. Poniamo

f ∗(x◦) = limn→∞

f(xn) . (V.4.9)

Osserviamo che se {yn} e un’altra successione a valori in A la quale converge a x◦

alloralimn→∞

f(yn) = limn→∞

f(xn) = f ∗(x◦) .

Infatti {xn − yn} e infinitesima e quindi esiste un ν ∈ N tale che

|xn − yn| < δ(ε) ∀n > ν . (V.4.10)

Da (V.4.9) e (V.4.10) segue che

|f(xn)− f(yn)| < ε ∀n > ν

quindi {f(xn) − f(yn)} e una successione infinitesima. Il numero f ∗(x◦), definitocome in (V.4.9), non dipende quindi dalla scelta della particolare successione {xn}convergente a x◦. Se x◦ ∈ A tra tutte le successioni {xn} che convergono a x◦ c’e inparticolare la successione costante n→ x◦, ∀n ∈ N, e quindi

x◦ ∈ A =⇒ f ∗(x◦) = f(x◦) .

Abbiamo cosı definito in A una funzione f ∗ la quale prolunga f . Si tratta di farvedere che f ∗ e uniformemente continua in A.

Per ogni ε > 0 esiste un δ(ε) > 0 tale che

x, y ∈ A e |x− y| < δ(ε) =⇒ |f ∗(x)− f ∗(y)| = |f(x)− f(y)| < ε (V.4.11)

Se, piu in generale, x, y e una coppia di elementi di A che verifica la condizione|x− y| < δ(ε) consideriamo due successioni {xn} e {yn}, a valori in A, convergentirispettivamente a x e a y; {xn− yn} converge a (x− y) e poiche |x− y| < δ(ε) esisteun ν ∈ N tale che |xn − yn| < δ(ε) per ogni n > ν.

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138 Capitolo V. Continuita

Quindi, per (V.4.11),

x, y ∈ A e |x− y| < δ(ε) =⇒ |f(xn)− f(yn)| < ε ∀n > ν .

Ne segue che

x, y ∈ A e |x− y| < δ(ε) =⇒ limn→∞

|f(xn)− f(yn)| = |f ∗(x)− f ∗(y)| ≤ ε .

Quindi f ∗ e uniformemente continua in A.f ∗ e l’unico prolungamento continuo di f : supponiamo che f ∗∗ sia un altro prolun-gamento continuo di f . Sia x◦ un punto di A e {xn} una successione a valori in Ala quale converge a x◦. Allora

f ∗(xn) = f ∗∗(xn) = f(xn) , ∀n ∈ N

e quindif ∗(x◦) = lim

n→∞f ∗(xn) = lim

n→∞f ∗∗(xn) = f ∗∗(x◦) .

Corollario V.4.4. Se A e limitato e f : A→ R e uniformemente continua alloraf(A) e limitato. 12

Dimostrazione Indichiamo con f ∗ il prolungamento continuo di f ad A che ecompatto; quindi f ∗(A) e limitato. Ne segue che anche f(A) e limitato perchef(A) ⊂ f ∗(A).

Si osservi che il corollario non e piu vero se f e solo continua (cfr. es. I).

V.5 FUNZIONI ESPONENZIALI E FUNZIONI

LOGARITMICHE

Indichiamo con R+∗ l’insieme dei numeri reali positivi

R+∗ = {x : x ∈ R , x > 0} .

Teorema V.5.1. Per ogni numero reale a > 0 e diverso da 1, esiste una e una solafunzione f : R→ R+

∗ continua e strettamente monotona tale che

f(x+ y) = f(x) · f(y) ∀x, y ∈ R (V.5.1)

f(1) = a . (V.5.2)

La funzione f , la cui esistenza e provata dal teorema V.5.1 si chiama funzioneesponenziale di base a e si indica con il simbolo

x→ ax .

Noi proveremo che x→ ax e crescente se a > 1 e decrescente se 0 < a < 1.

12Cioe f e limitata in A.

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V.5. Funzioni esponenziali e funzioni logaritmiche 139

0a > 1

1

y = ax

00 < a < 1

1

y = ax

Quindi la funzione x → ax e invertibile e la sua inversa e continua per il teoremaV.3.3. Questa funzione inversa si chiama logaritmo di base a e si indica con ilsimbolo 13

x→ loga x .

Anche il logaritmo e crescente se a > 1 ed e decrescente se 0 < a < 1. Inoltre da(V.5.1) e (V.5.2) segue che

loga x y = loga x+ loga y ∀x, y ∈ R+∗ (V.5.3)

loga a = 1 . (V.5.4)

0

a > 1

1

y = loga x

0

0 < a < 1

1

y = loga x

Ricordiamo che la potenza an, n ∈ Z, viene definita questo modo

a0 = 1

an = a · an−1 se n > 0

an =1

a−nse n < 0 .

Inoltre ∀ p ∈ Z e q intero positivo si pone

apq = q√ap

dove q√

e la radice aritmetica q-esima.

Lemma V.5.2. Una funzione f : R → R la quale verifica le condizioni (V.5.1) e(V.5.2) e necessariamente positiva.

13Scriveremo piu semplicemente log x in luogo di loge x.

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140 Capitolo V. Continuita

Infatti, per (V.5.1), se f si annulla in un punto x ∈ R, f si annulla identicamentesu R. Poiche questo non puo essere a causa di (V.5.2), concludiamo che e

f(x) 6= 0 ∀x ∈ R .

D’altra parte

f(x) = f(x

2+x

2

)=[f(x

2

)]2

.

Quindif(x) > 0 , ∀x ∈ R .

Lemma V.5.3. Se f : R→ R verifica le condizioni (V.5.1) e (V.5.2) allora

f(0) = 1 e f(−x) =1

f(x), ∀x ∈ R . (V.5.5)

Infatti, fissato x ∈ R, si ha

f(x) = f(0 + x) = f(0)f(x) . (V.5.6)

Poiche f(x) 6= 0, da (V.5.6) segue che f(0) = 1. Di conseguenza, ∀x ∈ R

f(x) f(−x) = f(x− x) = f(0) = 1

e quindi f(−x) =1

f(x).

Lemma V.5.4. Se a e un numero reale positivo

limn→∞

a1n = 1 . (V.5.7)

Supponiamo a > 1. Si ha, definitivamente, la doppia maggiorazione

1 ≤ a ≤ n

e quindi1 ≤ a

1n ≤ n

1n . (V.5.8)

Poichelimn→∞

n√n = 1

dalla (V.5.8) segue la (V.5.7).

Se invece 0 < a < 1 ci si riconduce al caso precedente osservando che

1

a> 1 e a

1n =

1(1a

) 1n

per cui

limn→∞

a1n =

1

limn→∞

(1

a

) 1n

= 1 .

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V.5. Funzioni esponenziali e funzioni logaritmiche 141

L’insieme dei numeri razionali Q si puo identificare con il sottoinsieme di Rcostituito dai numeri x che hanno questa proprieta: esiste un intero p e un interopositivo q tali che

x = p : q =p

q. (V.5.9)

Ovviamente la coppia di interi (p, q) per cui vale la (V.5.9) non e unica. Se x ∈ Qe (p, q) e una coppia di interi (q > 0) tale che x =

p

q, si pone

ax = apq .

Poichep

q=p′

q′⇐⇒ p q′ = q p′ =⇒ a

pq = a

p′q′ ,

la potenza ax e ben definita.

La funzione x → ax, x ∈ Q, verifica le condizioni (V.5.1) e (V.5.2); inoltre ecrescente se a > 1 ed e decrescente se 0 < a < 1. Questa funzione e anche continuasu Q. Per dimostrare cio basta far vedere che, ∀x◦ ∈ Q,

limx→x◦+

ax = limx→x◦−

ax = ax◦.

Questi limiti destro e sinistro esistono perche x → ax e monotona; per calcolare ilvalore di questi limiti basta calcolare i limiti

limn→∞

ax◦+ 1

n e limn→∞

ax◦− 1

n

Tenuto conto del lemma V.5.4, si ha che

limn→∞

ax◦+ 1

n = ax◦ · lim

n→∞a

1n = ax

◦,

limn→∞

ax◦− 1

n = ax◦ · 1

limn→∞

a1n

= ax◦.

Viceversa, se f : R → R e una funzione continua la quale verifica le condizioni(V.5.1) e (V.5.2) necessariamente la restrizione f|Q coincide con la funzione x→ ax,x ∈ Q.Incominciamo col far vedere che se x e reale e p ∈ Z allora

f(p x) = [f(x)]p . (V.5.10)

Infatti, se p > 0, da (V.5.1) segue che

f(p x) = f(x+ x+ . . .+ x) = [f(x)]p .

Se p = 0, per il lemma V.5.3,

f(0) = 1 = [f(x)]0 .

Se p < 0, per il lemma V.5.3,

f(p x) =1

f((−p)x)=

1

f(x)(−p) = f(x)p .

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142 Capitolo V. Continuita

Inoltre se q e un intero positivo si ha[f

(1

q

)]q= f

(q

q

)= a

e quindi

f

(1

q

)= a

1q . (V.5.11)

Da (V.5.10) e (V.5.11) segue che ∀ p ∈ Z e q intero positivo

f

(p

q

)=

[f

(1

q

)]p=[a

1q

]p= a

pq .

Da questa osservazione e dal fatto che Q e denso in R segue che se esiste unafunzione continua f : R→ R la quale verifica le condizioni (V.5.1) e (V.5.2) alloraf e necessariamente unica.

Per dimostrare che f esiste, dopo quanto si e detto sopra, basta far vedere che lafunzione x→ ax, x ∈ Q, ha un prolungamento continuo f : R→ R. Incominciamocol dimostrare che, ∀n ∈ N, la funzione x→ ax, x ∈ Q, e uniformemente continuasull’intervallo [−n, n] ∩Q.Supponiamo a > 1. Per la continuita di x→ ax, x ∈ Q, risulta

limx→0

ax = a0 = 1 .

Quindi, fissato ε > 0, esiste un δ(ε) > 0 tale che

x ∈ Q ∩ [−n, n] , |x| < δ(ε) =⇒ |ax − 1| < εa−n .

Ne segue che, per ogni coppia di numeri razionali x1, x2 (x1 > x2) appartenentiall’ intervallo [−n, n],

|x1 − x2| < δ(ε) =⇒ |ax1 − ax2| = ax2∣∣ax1−x2 − 1

∣∣ < an · εan

= ε .

Se 0 < a < 1 si ragiona in modo del tutto analogo: per ogni ε > 0 si sceglie δ(ε) inmodo che

x ∈ Q ∩ [−n, n] , |x| < δ(ε) =⇒ |ax − 1| < εan .

Provato questo fatto non resta che utilizzare il teorema V.4.3: ∀n ∈ N, la funzionex → ax, x ∈ [−n, n] ∩ Q, si prolunga in uno e in un sol modo mediante unafunzione fn uniformemente continua su [−n, n] ∩Q = [−n, n]. 14 Dall’unicita delprolungamento segue che se m, n ∈ N e m > n allora

fm(x) = fn(x) , ∀x ∈ [−n, n] .

Poiche⋃n[−n, n] = R, mediante il procedimento di prolungamento ora descritto,

resta definita una funzione continua f : R→ R tale che

f(x) = ax , ∀x ∈ Q14Si ricordi che Q e denso in R.

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V.5. Funzioni esponenziali e funzioni logaritmiche 143

cioe resta definito un prolungamento continuo a tutto R della funzione x → ax,x ∈ Q.

Questa funzione f e monotona come x→ ax, x ∈ Q, e verifica le condizioni (V.5.1)e (V.5.2). Ne segue, per il lemma V.5.2, che f applica R in R+

∗ .

Osservazione 1 Se a = 1 l’unica funzione f : R → R+∗ , continua, la quale

verifica le condizioni (V.5.1) e (V.5.2) e la funzione che vale costantemente 1

f(x) = 1 , ∀x ∈ R .

Infatti, ripetendo i ragionamenti precedenti, la funzione f deve valere 1x = 1 perogni x razionale e quindi ha valore 1 su tutto R. Questa funzione non e invertibile,pertanto non esiste la funzione logaritmica di base 1.

Osservazione 2 Se a e positivo, per ogni x, y ∈ R risulta

[ax]y = ax y . (V.5.12)

Questa relazione e banale se a = 1 oppure se x = 0. Supponiamo a 6= 1 e x 6= 0. Intal caso e ax > 0 e diverso da 1. Fissato x consideriamo le funzioni di y

y → f(y) = [ax]y , y → ax y

f e g sono funzioni R→ R+∗ continue e strettamente monotone; inoltre ∀ y1, y2 ∈ R

f(y1 + y2) = f(y1) f(y2)

f(1) = ax

g(y1 + y2) = g(y1) g(y2)

g(1) = ax

quindi, per il teorema V.5.1, f = g.

Esercizio 1 Se a > 1, allora limx→+∞

ax = +∞ e limx→−∞

ax = 0. Se 0 < a < 1 allora

limx→+∞

ax = 0 e limx→−∞

ax = +∞.

I limiti sopra scritti esistono per la monotonia della funzione x → ax; per calco-larli basta calcolare il limite delle successioni {an} e {a−n} in quanto {n} e unasuccessione reale che tende a +∞ e {−n} e una successione reale che tende a −∞.Supponiamo a > 1. Allora

an = (1 + (a− 1))n > 1 + n (a− 1) , ∀n ∈ N (V.5.13)

questa maggiorazione si prova facilmente. per induzione. Poiche

limn→∞{1 + n (a− 1)} = +∞

dalla (V.5.13) segue che limn→∞

an = +∞. Di conseguenza

limn→∞

a−n =1

limn→∞

an= 0 .

Se 0 < a < 1 allora1

ae ci si riconduce banalmente ai casi precedenti.

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144 Capitolo V. Continuita

Esercizio 2 Per ogni x ∈ R, a > 0, b > 0 e 6= 1 risulta

ax = bx logb a (V.5.14)

Infattia = blogb a

e quindi, per (V.5.12),ax =

[blogb a

]x= bx logb a .

Esercizio 3 Per ogni x ∈ R+∗ e per ogni a, b > 0 e diversi da 1 risulta

loga x = logb x · loga b . (V.5.15)

Infatti da (V.5.14) segue che

loga bx = x loga b (V.5.16)

e quindiloga x = loga b

logb x = logb x · loga b .

Esercizio 4 limx→+∞(1 + 1

x

)x= limx→−∞

(1 + 1

x

)x= e .

La funzione x →(1 + 1

x

)xe definita in {x : |x| > 1} e questo insieme ha come

punti di accumulazione (in R) +∞ e −∞. Indichiamo con g e h due funzioni realidefinite in R+

∗ in questo modo

g(x) =

(1 +

1

[x] + 1

)[x]

, h(x) =

(1 +

1

[x]

)[x]+1

dove [x] e la parte intera di x, cioe il massimo intero n tale che n ≤ x. Per ognix ∈ R+

∗ risulta [x] ≤ x < [x] + 1 e quindi

g(x) <

(1 +

1

x

)x< h(x) , ∀x ∈ R+

∗ (V.5.17)

Ricordiamo inoltre che

limn→∞

(1 +

1

n

)n= e

e quindi

limx→+∞

g(x) = limn→∞

(1 +

1

n+ 1

)n= lim

n→∞

(1 +

1

n+ 1

)n+1(1 +

1

n+ 1

)−1

= e

limx→+∞

h(x) = limn→∞

(1 +

1

n

)n+1

= limn→∞

(1 +

1

n

)n(1 +

1

n

)= e .

(V.5.18)Dalle (V.5.17) e (V.5.18) segue che

limx→+∞

(1 +

1

x

)x= e

In modo analogo si ragiona per calcolare il limite per x→ −∞.

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V.5. Funzioni esponenziali e funzioni logaritmiche 145

Esercizio 5 La funzione x→ (1 + x)1x e definita per x ∈ (−1, 1) − {0}. Risulta

limx→0

(1 + x)1x = e . (V.5.19)

Consideriamo le funzioni

x→ g(x) =1

x, x ∈ (−1, 1) − {0}

y → F (y) =

(1 +

1

y

)y, |y| > 1 .

Possiamo considerare la funzione composta F ◦g: si verifica banalmente che

F (g(x)) = (1 + x)1x , ∀x ∈ (−1, 1) − {0}

inoltre

limx→0+

g(x) = +∞ , limx→0−

g(x) = −∞

Quindi

limx→0+

(1 + x)1x = lim

x→0+F (g(x)) = lim

y→+∞F (y) = e

limx→0−

(1 + x)1x = lim

x→0−F (g(x)) = lim

y→−∞F (y) = e

Esercizio 6 Sia a > 0; consideriamo la funzioneax − 1

xdefinita per x ∈ R− {0}.

Risulta

limx→0

ax − 1

x= log a . (V.5.20)

Se a = 1 la (V.5.20) e ovvia; supponiamo allora a > 0 e diverso da 1. Consideriamoqueste due funzioni

x→ g(x) = ax − 1 , x ∈ R − {0}y → F (y) =

y

loga(1 + y), y ∈ (−1,+∞) − {0} = R∗∗ .

g applica R − 0 su R∗∗ e quindi possiamo considerare la funzione composta F ◦g. Siverifica banalmente che

F (g(x)) =ax − 1

x∀x ∈ R − {0}

Si hanno inoltre questi fatti:

(i1) limx→0

g(x) = 0;

(i2) g(x) e diversa da 0 in un intorno di x = 0.

(i3) limy→0

F (y) = log a .

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146 Capitolo V. Continuita

Ne segue che F ◦g converge per x→ 0 e che

limx→0

ax − 1

x= lim

x→0F (g(x)) = lim

y→0F (y) = log a

Rimane solo da verificare la (i3):

limy→0

F (y) = limy→0

1

loga

[(1 + y)

1y

] =1

loga

[limy→0

(1 + y)1y

] =1

loga e= log a .

* * *

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Capitolo VI

CALCOLO DIFFERENZIALEPER FUNZIONI REALI DIVARIABILE REALE

VI.1 DEFINIZIONE DI DERIVATA

Sia A un sottoinsieme di R, x◦ un punto di A non isolato ed f una funzione realedefinita in A. Consideriamo la funzione F : A − {x◦} → R

F (x) =f(x)− f(x◦)

x− x◦, x ∈ A − {x◦} . (VI.1.1)

Definizione VI.1.1. Se F converge per x che tende a x◦ diciamo che f e derivabilenel punto x◦ e chiamiamo derivata di f nel punto x◦ il numero λ = lim

x→x◦F (x).

La derivata di f nel punto x◦ viene indicata con uno dei seguenti simboli

f ′(x◦) ,

(d f

d x

)x=x◦

, (D f)(x◦) .

Supponiamo che A sia privo di punti isolati; si dice che f : A → R e derivabilein A se f e derivabile in ogni punto di A. In tal caso la funzione A→ R

x→ f ′(x)

si chiama funzione derivata (prima) della f in A.

Osserviamo che, se x◦ e un punto interno ad A, esiste un intorno U dello zerotale che la funzione

h→ g(h) =f(x◦ + h)− f(x◦)

h

e definita in U − {0}. Si vede allora facilmente che f e derivabile in x◦ se e solo seg converge per h→ 0 e in tal caso

f ′(x◦) = limh→0

g(h) .

Diamo qualche esempio.

147

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148 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Esempio 1 Una funzione f costante su R

f(x) = c ∈ R , ∀x ∈ R

e derivabile in R e la sua derivata e zero.

La cosa e banale perche, fissato x◦ ∈ R, si ha

f(x)− f(x◦)

x− x◦=

c− cx− x◦

= 0 , ∀x ∈ R − {x◦} .

Esempio 2 La funzione x→ xn, n intero positivo, definita su R, e derivabile su R e

Dxn = nxn−1 , ∀x ∈ R . (VI.1.2)

Fissato x0 ∈ R si ha, ∀h ∈ R− {x0},

F (x) =xn − xn0x− x0

= xn−1 + x0 xn−2 + . . .+ xn−1

0 .

Poiche un polinomio e una funzione continua ne segue che

limx→x0

F (x) = nxn−10 .

Esempio 3 La funzione esponenziale x→ ax (a > 0), definita su R, e derivabile inogni punto di R e

Dax = ax log a , ∀x ∈ R (1) (VI.1.3)

Fissato x◦ ∈ R si ha, ∀h ∈ R − {0},

ax◦+h − ax◦

h= ax

◦ ah − 1

h.

Per cui (cfr. es. 6, paragrafo 5, cap. V)

limh→0

ax◦+h − ax◦

h= ax

◦limh→0

ah − 1

h= ax

◦log a .

Esempio 4 La funzione x→ f(x) = |x|, definita su R, e derivabile in R − {0} manon e derivabile nel punto 0.

Infatti per x > 0 e |x| = x e quindi

D|x| = Dx = 1 , ∀x > 0 .

Se x < 0 allora |x| = −x e quindi

D|x| = D(−x) = −1 , ∀x < 0 .

Infine, nel punto 0, si ha

F (x) =|x| − |0|x− 0

=|x|x

e questa funzione non ha limite per x che tende a 0 in quanto

limx→0+

F (x) = 1 , limx→0−

F (x) = −1 .

1In particolare Dex = ex ∀x ∈ R.

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VI.1. Definizione di derivata 149

Esempio 5 Le funzioni x → senx e x → cosx, definite su R, sono derivabili inogni punto di R e

D senx = cosx∀x ∈ R

D cosx = − senx .(VI.1.4)

Fissato x◦ ∈ R si ha, ∀h ∈ R − {0},sen(x◦ + h)− senx◦

h= cosx◦

senh

h+ senx◦

cosh− 1

hcos(x◦ + h)− cosx◦

h= − sinx◦

senh

h+ cosx◦

cosh− 1

h

Quindi

limh→0

sen(x◦ + h)− senx◦

h= cosx◦ lim

h→0

senh

h+ senx◦ lim

h→0

cosh− 1

h= cosx◦

limh→0

cos(x◦ + h)− cosx◦

h= − sinx◦ lim

h→0

senh

h+ cosx◦ lim

h→0

cosh− 1

h= − senx◦

L’esempio 4 mostra chiaramente che una funzione f puo essere continua in unpunto x◦ e non essere derivabile in x◦. A convalida di questo fatto si possono dareanche altri esempi. Si consideri la funzione f : R→ R

f(x) =

0 se x = 0

x sen1

xse x 6= 0

Abbiamo gia visto in precedenza che

limx→0

f(x) = 0 = f(0)

quindi f e continua nel punto 0; tuttavia f non e derivabile in 0 perche la funzione

x→ F (x) =f(x)− f(0)

x− 0= sen

1

x

non ha limite per x che tende a 0.

Si ha invece il seguente teorema

Teorema VI.1.2. Se la funzione f : A → R e derivabile nel punto x◦ ∈ A alloraf e continua in x◦.

Dimostrazione Per ogni x ∈ A − x◦ risulta

f(x)− f(x◦) =f(x)− f(x◦)

x− x◦(x− x◦)

Quindi

limx→x◦{f(x)− f(x◦)} = lim

x→x◦f(x)− f(x◦)

x− x◦limx→x◦

(x− x◦) = f ′(x◦) · 0 = 0 .

Ne segue chelimx→x◦

f(x) = f(x◦) .

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150 Capitolo VI. Calcolo differenziale

VI.2 ALCUNI TEOREMI SULLE FUNZIONI DE-

RIVABILI

Sia A un sottoinsieme di R e x◦ un punto di accumulazione per A.

Teorema VI.2.1. Se f : A→ R e derivabile nel punto x◦ e λ e un numero reale,anche λ f e derivabile in x◦ e

(λ f)′(x◦) = λ f ′(x◦) . (VI.2.1)

Dimostrazione Per ogni x ∈ A − {x◦} risulta

F (x) =λ f(x)− λ f(x◦)

x− x◦= λ

f(x)− f(x◦)

x− x◦

quindi F (x) converge per x che tende a x◦ e

limx→x◦

F (x) = λ limx→x◦

f(x)− f(x◦)

x− x◦= λ f ′(x◦) .

Teorema VI.2.2. Se f : A→ R e g : A→ R sono derivabili nel punto x◦ anchef + g e derivabile in x◦ e

(f + g)′(x◦) = f ′(x◦) + g′(x◦) . (VI.2.2)

Dimostrazione Per ogni x ∈ A − {x◦} risulta

F (x) =(f + g)(x)− (f + g)(x◦)

x− x◦=

f(x)− f(x◦)

x− x◦+

g(x)− g(x◦)

x− x◦

quindi F (x) converge per x che tende a x◦ e

limx→x◦

F (x) = limx→x◦

(f + g)(x)− (f + g)(x◦)

x− x◦=

= limx→x◦

f(x)− f(x◦)

x− x◦+ lim

x→x◦g(x)− g(x◦)

x− x◦= f ′(x◦) + g′(x◦) .

Teorema VI.2.3. Se f : A → R e g : A → R sono derivabili in x◦ anche f g ederivabile in x◦ e

(f g)′(x◦) = f ′(x◦) g(x◦) + f(x◦) g′(x◦) . (VI.2.3)

Dimostrazione Per ogni x ∈ A − {x◦} risulta

F (x) =f(x) g(x)− f(x◦) g(x◦)

x− x◦=

=f(x) g(x)− f(x) g(x◦) + f(x) g(x◦)− f(x◦) g(x◦)

x− x◦=

= f(x)g(x)− g(x◦)

x− x◦+ g(x◦)

f(x)− f(x◦)

x− x◦.

(VI.2.4)

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VI.2. Alcuni teoremi sulle funzioni derivabili 151

Poiche {f derivabile in x◦} =⇒ {f continua in x◦} e quindi

limx→x◦

f(x) = f(x◦)

dalla (VI.2.4) si ottiene che

limx→x◦

F (x) = limx→x◦

f(x) · limx→x◦

g(x)− g(x◦)

x− x◦+ g(x◦) · f(x)− f(x◦)

x− x◦=

= f(x◦) g′(x◦) + g(x◦) f ′(x◦)

* * *

Dai teoremi precedenti segue, come corollario, che se f e g sono derivabili intutto A e λ e un numero reale allora λ f , f + g, f g sono derivabili in A e

D(λ f) = λDf (VI.2.5)

D(f+g) = Df + Dg (VI.2.6)

D(f g) = f Dg + gDf . (VI.2.7)

Cio equivale a dire che il sottoinsieme di RA costituito dalle funzioni derivabili in Ae uno spazio vettoriale reale e una sottoalgebra di RA.

Se E1 ed E2 sono due spazi vettoriali reali (cfr. paragrafo 2, cap. IV), unaapplicazione ϕ : E1 → E2 si dice lineare 2 se

ϕ(λx+ µ y) = λϕ(x) + µϕ(y) , ∀λ, µ ∈ R e ∀x, y ∈ E1 . (VI.2.8)

Se indichiamo con RA∗ lo spazio vettoriale delle funzioni A → R derivabili in A, le

proposizioni (VI.2.5) e (VI.2.6) assicurano che D : RA∗ → RA e una applicazione

lineare.

* * *

Teorema VI.2.4. Se la funzione f : A→ R e diversa da zero in A ed e derivabile

in x◦ anche1

f(che e definita in A) e derivabile in x◦. Si ha inoltre

(1

f

)′(x◦) = − f

′(x◦)

f 2(x◦). (VI.2.9)

2Le applicazioni lineari E1 → E2 si chiamano anche omomorfismi dello spazio lineare E1 nellospazio lineare E2. Gli omomorfismi sono applicazioni che conservano la somma e il prodotto pernumeri reali

ϕ(x+ y) = ϕ(x) + ϕ(y)ϕ(λx) = λϕ(x)

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152 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Dimostrazione Per ogni x ∈ A − {x◦} risulta

F (x) =

1

f(x)− 1

f(x◦)

x− x◦=

−1

f(x) f(x◦)

f(x)− f(x◦)

x− x◦

f e continua in x◦, quindi limx→x◦

f(x) = f(x◦). Ne segue che F (x) converge per x che

tende a x◦ e

limx→x◦

F (x) = − limx→x◦

1

f(x) f(x◦)limx→x◦

f(x)− f(x◦)

x− x◦= − 1

f 2(x◦)f ′(x◦) .

Dai teoremi VI.2.3 e VI.2.4 si ottiene, come corollario, la regola di derivazionedel quoziente f/g.

Corollario VI.2.5. Sia f : A → R, g : A → R, g(x) 6= 0 ∀x ∈ A. Se f e g

sono derivabili in x◦ anchef

ge derivabile in x◦ e

(f

g

)′(x◦) =

f ′(x◦) g(x◦)− f(x◦) g′(x◦)

g2(x◦). (VI.2.10)

Teorema VI.2.6. Sia f una funzione reale, definita su un insieme connesso A,continua e invertibile. Se f e derivabile nel punto x◦ ∈ A e f ′(x◦) 6= 0 allora f−1 ederivabile nel punto y◦ = f(x◦) e

(f−1)′(y◦) =1

f ′(x◦). (VI.2.11)

Dimostrazione Osserviamo innanzitutto che y◦ e un punto di accumulazione perf(A) in quanto f(A) e connesso (teor. V.2.1, cap. V) e che la funzione f−1, la qualeapplica f(A) in A, e continua in f(A) (teor. V.3.3, cap. V); in particolare f−1 econtinua in y◦. Infine f e f−1 sono monotone in senso stretto (lemma V.3.1, cap.V). Consideriamo le funzioni:

F (y) =

f−1(y)− f−1(y◦)

y − y◦se y ∈ f(A) − {y◦}

1

f ′(x◦)se y = y◦

g(x) =

x− x◦

f(x)− f(x◦)se x ∈ A − {x◦}

1

f ′(x◦)se x = x◦

Ovviamente F = g◦f−1; poiche f−1 e continua in y◦ e g e continua in x◦ = f−1(y◦)anche F e continua in y◦. Quindi:

limy→y◦

f−1(y)− f−1(y◦)

y − y◦=

1

f ′(x◦).

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VI.2. Alcuni teoremi sulle funzioni derivabili 153

Diamo qualche esempio in relazione con i teoremi dimostrati in questo paragrafo.

Esempio 1 La funzione x→ 3x2 + senx, definita in R, e derivabile in ogni puntodi R.

Infatti la funzione data e somma di due funzioni derivabili; ∀x ∈ R risulta

D(3x2 + senx) = D(3x2) + D senx = 3 Dx2 + cosx = 6x+ cosx .

Esempio 2 La funzione x→ x3ex, definita su R, e derivabile in ogni punto di R.

Infatti la funzione data e prodotto di due funzioni derivabili; ∀x ∈ R risulta

D(x3ex) = exDx3 + x3Dex = 3 x2 ex + x3 ex .

Esempio 3 La funzione x → tang x e definita su R esclusi i punti π2

+ nπ, n ∈ Zed e derivabile in ogni punto dell’insieme di definizione.

Poniamo R∗ = R −{π2

+ nπ , n ∈ Z}

. Risulta

tang x =senx

cosx, ∀x ∈ R∗

quindi x → tang x e quoziente di due funzioni derivabili. Utilizzando la formula(VI.2.10) si ottiene, ∀x ∈ R∗,

D tang x =cosxD senx− senxD cosx

cos2 x=

cos2 x+ sen2 x

cos2 x=

1

cos2 x(VI.2.12)

Esempio 4 La funzione x → arcsenx, x ∈ [−1, 1], e derivabile in tutti i puntiinterni all’intervallo di definizione e

D arcsenx =1√

1− x2, ∀x ∈ (−1, 1) . (VI.2.13)

Infatti la funzione x→ senx, x ∈[−π

2, π

2

]e derivabile nell’intervallo di definizione

ma la sua derivata e 0 nei punti x = −π2

e x = π2. Utilizzando la formula (VI.2.11)

si ottiene ∀x ∈ (−1, 1):

D arcsenx =1

(D sen y)y=arcsenx

=1

cos(arcsenx)=

=1√

1− sen2(arcsenx)=

1√1− x2

Esempio 5 La funzione x → arccosx, x ∈ [−1, 1], e derivabile in tutti i puntiinterni all’intervallo di definizione e

D arccosx =−1√

1− x2(VI.2.14)

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154 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Infatti x → cosx, x ∈ [0, π], e derivabile nell’intervallo [0, π] ma ha derivata nullanei punti 0 e π. Quindi, ∀x ∈ (−1, 1),

D arccosx =1

(D cos y)y=arccosx

=1

− sen(arccosx)=

−1√1− x2

.

Esempio 6 La funzione x→ arctang x, x ∈ R, e derivabile in ogni punto di R e

D arctang x =1

1 + x2. (VI.2.15)

Infatti x → tang x, x ∈(−π

2, π

2

), e derivabile con derivata sempre diversa da zero.

Quindi

D arctang x =1

(D tang y)y=arctang x

=1

1 + tang2(arctang x)=

1

1 + x2.

Esempio 7 Sia a un numero reale positivo e diverso da 1. La funzione x→ loga x,definita in R+

∗ , e derivabile in ogni punto di R+∗ , e

D loga x =1

x log a(3). (VI.2.16)

Infatti x→ ax, definita in R, e derivabile in ogni punto di R. Utilizzando la formula(VI.2.11) si ottiene ∀x ∈ R

D loga x =1

(Day)y=loga x

=1

log a · alog x=

1

x log a.

VI.3 DIFFERENZIABILITA’ E DERIVATA DI

UNA FUNZIONE COMPOSTA

Premettiamo qualche considerazione. La retta reale R e uno spazio vettoriale realee l’insieme delle funzioni lineari R → R e costituito dai polinomi p : x → a x(a ∈ R). Infatti ogni polinomio x→ p(x) = a x e una funzione lineare su R

p(λx+ µ y) = a (λx+ µ y) = λ a x+ µ a y = λ p(x) + µ p(y)

e, viceversa, se p : R→ R e una funzione lineare, risulta

p(x) = x p(1) = a x , ∀x ∈ R .

L’insieme delle funzioni lineari R → R si indica con R′. R′ e uno spazio vettorialereale e si chiama spazio duale di R.

Sia f una funzione reale definita in A ⊂ R e x◦ un punto di accumulazione perA. Per ogni polinomio p : x→ a x, poniamo

σp(x) = f(x)− f(x◦)− p(x− x◦) .

3In particolare D log x =1

x, ∀x ∈ R+

∗ .

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VI.3. Differenziabilita e derivabilita di una funzione composta 155

Si vede facilmente che la funzione f e continua nel punto x◦ se e solo se, per ogniscelta di p, la funzione x→ σp(x) e infinitesima per x che tende a x◦. Basta osservareche un polinomio p ∈ R′ e continuo in R e quindi, ∀x◦ ∈ R,

limx→x◦

p(x− x◦) = limx→x◦

[p(x)− p(x◦)] = 0 .

Definizione VI.3.1. Si dice che f e differenziabile nel punto x◦ se esiste un poli-nomio p ∈ R′ tale che la funzione

x→ σ(x) = f(x)− f(x◦)− p(x− x◦) , x ∈ A (VI.3.1)

sia infinitesima, per x che tende a x◦, di ordine superiore a (x− x◦).

Se f e differenziabile in x◦ il polinomio p e univocamente determinato. Questopolinomio p si chiama differenziale della f nel punto x◦ e si indica abitualmente con ilsimbolo df(x◦). Se il differenziale p non e identicamente nullo, p(x−x◦) rappresentala parte principale dell’infinitesimo [f(x)− f(x◦)] rispetto all’infinitesimo (x− x◦).

Per quanto si e osservato piu sopra, condizione necessaria affinche f sia differen-ziabile in x◦ e che f sia continua in x◦.

Teorema VI.3.2. Condizione necessaria e sufficiente perche f : A → R siadifferenziabile nel punto x◦ ∈ A e che f sia derivabile in x◦. In tal caso

df(x◦)(x) = f ′(x◦)x , ∀x ∈ R . (VI.3.2)

Dimostrazione Sia f derivabile nel punto x◦. Posto p : x→ f ′(x◦)x e

σ(x) = f(x)− f(x◦)− f ′(x◦)(x− x◦)

si ha, ∀x ∈ A − {x◦},

σ(x)

x− x◦=

f(x)− f(x◦)

x− x◦− f ′(x◦)

e quindi

limx→x◦

σ(x)

x− x◦= f ′(x◦)− f ′(x◦) = 0 .

Questo prova che f e differenziabile in x◦.Viceversa, se f e differenziabile in x◦ esiste un polinomio p : x→ a x tale che

x→ σ(x) = f(x)− f(x◦)− a(x− x◦)

e un infinitesimo per x che tende a x◦ di ordine superiore a (x− x◦) . Ne segue che

limx→x◦

f(x)− f(x◦)

x− x◦= a+ lim

x→x◦σ(x)

x− x◦= a .

Quindi f e derivabile in x◦ e f ′(x◦) = a.

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156 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Se indichiamo con I l’applicazione identica su R, I : x → x, si puo scriveredf(x◦) = f ′(x◦)I. La funzione I e differenziabile in ogni punto x◦ ∈ R e dI(x◦) = I.Per questo motivo la funzione I viene anche indicata con il simbolo di differenzialedx e, in accordo con questa notazione, si scrive

df(x◦) = f ′(x◦)dx . (VI.3.3)

Da questa relazione risulta evidente che “le regole di differenziazione sono ana-loghe alle regole di derivazione”:

d λf(x◦) = λ df(x◦)

d(f + g)(x◦) = df(x◦) + dg(x◦)

d(fg)(x◦) = g(x◦) df(x◦) + f(x◦) dg(x◦)

df

g(x◦) =

g(x◦)df(x◦)− f(x◦)dg(x◦)

g2(x◦)

d(f−1)(y◦) = [df(x◦)]−1 , y◦ = f(x◦) .

Dimostriamo il seguente teorema sulla derivazione di una funzione composta.

Teorema VI.3.3. Sia f una funzione reale definita in un intorno A di x◦ e g unafunzione reale definita in un intorno B di y◦ = f(x◦) tale che f(A) ⊂ B. Se f ederivabile in x◦ e g e derivabile in y◦ allora g◦f e derivabile in x◦ e

D(g◦f)(x◦) = g′(y◦) f ′(x◦) . (VI.3.4)

Dimostrazione La funzione g e derivabile in y◦ quindi

y → σ(y) = g(y)− g(y◦)− g′(y◦)(y − y◦)

e una funzione definita in B e infinitesima per y che tende a y◦ di ordine superiorerispetto a (y − y◦). Posto

ρ(y) =

σ(y)

y − y◦se y ∈ B − {y◦}

0 se y = y◦

y → ρ(y) e una funzione definita in B e continua in y◦. Ne segue che x → ρ(f(x))e continua in x◦ e

limx→x◦

ρ(f(x)) = ρ(f(x◦)) = ρ(y◦) = 0 . (VI.3.5)

D’altra parte, per ogni x ∈ A − {x◦} risulta

g(f(x))− g(f(x◦))

x− x◦= g′(y◦)

f(x)− f(x◦)

x− x◦+ ρ(f(x))

f(x)− f(x◦)

x− x◦

e quindi, al limite, tenuto conto di (VI.3.5),

limx→x◦

g(f(x))− g(f(x◦))

x− x◦= g′(y◦) f ′(x◦) + 0 · f ′(x◦) = g′(y◦) f ′(x◦)

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VI.4. Una tabella di derivate 157

Dalla (VI.3.4) si ottiene la seguente formula di composizione per i differenziali:

(dg◦df)(x◦) = d(g◦f)(x◦) .

Esempio Sia α un numero reale. La funzione x → xα definita in R+∗ (cioe per

x > 0) e derivabile in ogni punto di R+∗ e

Dxα = αxα−1 . (VI.3.6)

Infatti, ∀x ∈ R+∗ ,

xα = eα log x

La funzione t → et (t ∈ R) e x → α log x (x ∈ R+∗ ) sono derivabili, quindi anche

la funzione composta x→ xα e derivabile in R+∗ . Utilizzando la formula (VI.3.4) si

ottiene ∀x ∈ R+∗

Dxα =

(d et

dt

)t=α log x

· dα log x

dx= eα log x · αd log x

dx=

= xα · α · 1

x= αxα−1 .

VI.4 UNA TABELLA DI DERIVATE

Per comodita del lettore raccogliamo in un elenco le principali formule di derivazioneche abbiamo calcolato nei paragrafi precedenti:

D costante = 0 D arccos x =−1√

1− x2

D senx = cos x D arctang x =1

1 + x2

D cosx = − senx Dax = ax log a

D tang x =1

cos2 xD loga x =

1

x log a

D arcsenx =1√

1− x2Dxα = αxα−1 .

VI.5 RETTA TANGENTE A UN GRAFICO

Sia f una funzione reale definita su un intervallo (a, b). Supponiamo che f siacontinua in (a, b) e indichiamo con Gf il grafico di f . Sia x◦ un punto di (a, b) esupponiamo che f sia derivabile nel punto x◦. Consideriamo la funzione

x→ ϕ(x) = f ′(x◦)(x− x◦) + f(x◦) . (VI.5.1)

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158 Capitolo VI. Calcolo differenziale

a x◦ b

Gf

Il grafico di questa funzione, Gϕ, e una retta del piano R2 la quale passa peril punto (x◦, f(x◦)) ∈ Gf .

4 Questa retta si chiama retta tangente a Gf nel punto(x◦, f(x◦)).

y = ϕ(x) = f ′(x◦)(x− x◦) + f(x◦)

si chiama equazione della retta tangente a Gf nel punto (x◦, f(x◦)). 5

La retta Gϕ e caratterizzata da questa proprieta:

Gϕ e l’unica retta del piano la quale passa per il punto (x◦, f(x◦)) ed etale che

x→ F (x) = f(x)− ϕ(x) , x ∈ A

sia un infinitesimo, per x che tende a x◦, di ordine superiore rispettoall’infinitesimo (x− x◦).

Infatti se ϕ e definita come in (VI.5.1) allora

F (x) = f(x)− ϕ(x) = f(x)− f(x◦)− f ′(x◦)(x− x◦)

e un infinitesimo per x che tende a x◦ di ordine superiore a (x− x◦) in quanto f edifferenziabile in x◦.

Viceversa sia V una retta che passa per il punto (x◦, f(x◦)) di equazione

y → ϕ(x) = m (x− x◦) + f(x◦) .

Allora

F (x) = f(x)− ϕ(x) = f(x)− f(x◦)−m (x− x◦) , (x ∈ (a, b) ) . (VI.5.2)

Se, per ipotesi,

limx→x◦

F (x)

x− x◦= 0

4Cio significa che (x◦, f(x◦)) ∈ Gϕ; in altri termini ϕ(x◦) = f(x◦).5In generale si dice che un insieme G ⊂ R2 ha per equazione y = g(x), x ∈ A , se

G = {(x, y) : y = g(x) , x ∈ A} .

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VI.6. Derivate di ordine superiore 159

da (VI.5.2) segue che0 = f ′(x◦)−m

ossiam = f ′(x◦) .

Quindi V e la retta tangente a Gf nel punto (x◦, f(x◦)).La derivabilita della funzione f nel punto x◦ e equivalente al fatto geometrico cheGf ha nel punto (x◦, f(x◦)) retta tangente.

VI.6 DERIVATE DI ORDINE SUPERIORE

Sia f una funzione reale definita in un insieme A e sia x◦ un punto di A; persemplicita supponiamo che x◦ sia interno ad A. Supponiamo che f sia derivabile inun intorno U di x◦ (U ⊂ A). Consideriamo la funzione

x→ f ′(x) , x ∈ U .

Se questa funzione e derivabile nel punto x◦, (Df ′)(x◦) si chiama derivata secondadella f nel punto x◦.In modo analogo si possono definire la derivata terza, quarta, . . . , n-sima di f inx◦. La derivata n-sima di f in x◦ si indica con i simboli

f (n)(x◦) , Dnf(x◦) ,

(dnf

dxn

)x=x◦

,dnf(x◦)

dxn

Se n = 1, 2 in luogo di f (1), f (2) sono piu abituali i simboli f ′, f ′′.

Sia A un aperto 6 di R e k un intero positivo, indichiamo con Ck(A) la classe dellefunzioni reali definite in A, derivabili k volte in A e continue con le derivate fino aquella di ordine k incluso. Si dimostra facilmente che Ck(A) e uno spazio vettorialereale e che Dk e una applicazione lineare di Ck(A) in C0(A), cio significa che

f ∈ Ck(A) e λ ∈ R =⇒ λ f ∈ Ck(A) (VI.6.1)

f, g ∈ Ck(A) =⇒ (f + g) ∈ Ck(A) (VI.6.2)

Dk(λ f) = λDkf (VI.6.3)

Dk(f + g) = Dkf + Dkg (VI.6.4)

* * *

Noi abbiamo dimostrato nel paragrafo 2 che C1(A) e uno spazio vettoriale e chele formule (VI.6.3) e (VI.6.4) sono vere per k = 1. Si puo procedere per induzione.Supponiamo che (VI.6.1), . . . , (VI.6.4) siano vere per un certo k e dimostriamo cheesse sono vere per k + 1:

6Piu in generale un insieme privo di punti isolati.

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160 Capitolo VI. Calcolo differenziale

f ∈ Ck+1(A) ⇔ Dkf ∈ C1(A) ⇒ λDkf ∈ C1(A) ⇒ Dk(λ f) ∈ C1(A) ⇔ λ f ∈Ck+1(A) .

f, g ∈ Ck+1(A) ⇔ Dkf,Dkg ∈ C1(A) ⇒ Dkf + Dkg ∈ C1(A) ⇒ Dk(f + g) ∈C1(A)⇔ (f + g) ∈ Ck+1(A) .

Dk+1(λ f) = D(Dkλ f) = D(λDkf) = λD(Dkf) = λDk+1f .

Dk+1(f + g) = D(Dk(f + g)) = D(Dkf + Dkg) = D(Dkf) + D(Dkg) =Dk+1f + Dk+1g .

* * *

Per quanto riguarda il prodotto di due funzioni appartenenti a Ck(A) si ha questoteorema

Teorema VI.6.1. Se f ∈ Ck(A) e g ∈ Ck(A) allora f g ∈ Ck(A) e per ogni x ∈ Avale l’uguaglianza

Dk(f g)(x) =k∑

h=0

(k

h

)Dhf(x) ·Dk−hg(x) (VI.6.5)

con la convenzione che D0f = f e D0g = g.

La formula (VI.6.5), che va sotto il nome di formula di Leibniz, si dimostra perinduzione. La formula (VI.6.5) e vera per k = 1 (cfr. (VI.2.3)); supponiamo cheessa valga per k e dimostriamo che essa vale per k + 1. Siano f e g due funzioniappartenenti a Ck+1(A). In particolare f e g appartengono a Ck(A) e vale la formula

Dk(f g)(x) =k∑

h=0

(k

h

)Dhf(x) ·Dk−hg(x) (VI.6.6)

Il secondo membro e una somma di funzioni che appartengono tutte a C1(A), quindie una funzione di C1(A). Ne segue che Dk(f g) ∈ C1(A), quindi f g ∈ Ck+1(A).

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VI.6. Derivate di ordine superiore 161

Derivando primo e secondo membro di (VI.6.6) si ottiene

Dk+1(f g)(x) =k∑

h=0

(k

h

)D{Dhf(x) ·Dk−hg(x)} =

=k∑

h=0

(k

h

)Dh+1f(x) ·Dk−hg(x) +

k∑h=0

(k

h

)Dhf(x) ·Dk−h+1g(x) =

=k+1∑h=1

(k

h− 1

)Dhf(x) ·Dk+1−hg(x) +

k∑h=0

(k

h

)Dhf(x) ·Dk+1−hg(x) =

= Dk+1f(x) · g(x) + f(x) ·Dk+1g(x)+

+k∑

h=1

[(k

h− 1

)+

(k

h

)]Dhf(x) ·Dk+1−hg(x) =

= Dk+1f(x) · g(x) + f(x) ·Dk+1g(x) +k∑

h=1

(k + 1

h

)Dhf(x) ·Dk+1−hg(x) =

=k+1∑h=0

(k + 1

h

)Dhf(x) ·Dk+1−hg(x) .

Si definisce C∞(A) nel seguente modo

C∞(A) =⋂k

Ck(A) . (VI.6.7)

Se f ∈ C∞(A) diremo che f e infinitamente derivabile in A.

Esempi.

(I) Un polinomio x→ P (x) =n∑h=0

ahxh e una funzione di C∞(R) e, ∀x ∈ R,

DrP (x) =n∑h=r

h (h− 1) . . . (h− r + 1) ahxh−r se r ≤ n

DrP (x) = 0 se r > n

In particolareDnP (x) = n! an , ∀x ∈ R .

(II) La funzione x→ x senx appartiene a C∞(R) e, ∀x ∈ R, si ha

Dn(x senx) =n∑h=0

(n

h

)Dhx ·Dn−h senx =

(n

0

)xDn senx+

(n

1

)Dn−1 senx =

= xDn senx+ nDn−1 senx .

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162 Capitolo VI. Calcolo differenziale

0sserviamo cheD2n senx = (−1)n senx

D2n+1 senx = (−1)n cosx .

(III) Consideriamo la funzione x→ f(x) =x2

2· [segnox], definita su R. 7

y =x2

2

Questa funzione e di classe C1(R) e

Df(x) = |x| , ∀x ∈ R .

Inoltre f e infinitamente derivabile in tutti i punti di R − {0} mentre nelpunto x = 0 essa non ha la derivata seconda perche la funzione x→ |x| non ederivabile nell’origine.

VI.7 FUNZIONI CRESCENTI O DECRESCEN-

TI IN UN PUNTO. MASSIMI E MINIMI

RELATIVI

Sia f una funzione reale definita sull’ insieme A ⊂ R e sia x◦ un punto non isolatodi A.

Definizione VI.7.1. Si dice che f e crescente (decrescente) nel punto x◦ se esisteun intorno U di x◦ tale che

∀x ∈ U ∩ A − {x◦} , f(x)− f(x◦)

x− x◦> 0 [ rispett. < 0 ] . (VI.7.1)

Cio equivale a dire che

x ∈ U ∩ A e x < x◦ =⇒ f(x) < f(x◦)

x ∈ U ∩ A e x > x◦ =⇒ f(x) > f(x◦)

7segnox =

1 se x > 00 se x = 0−1 se x < 0

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VI.7. Funzioni crescenti e decrescenti in un punto. Massini e minimi relativi 163

oppure, se f e decrescente in x◦,

x ∈ U ∩ A e x < x◦ =⇒ f(x) > f(x◦)

x ∈ U ∩ A e x > x◦ =⇒ f(x) < f(x◦) .

Si osservi che se f cresce oppure decresce in un punto x◦ cio non implica che f siacrescente o decrescente in un intorno di x◦.

Si consideri ad esempio la funzione f definita su R in questo modo

f(x) =

0 se x = 0

x

2+ x2 sen

1

xse x 6= 0

(VI.7.2)

Questa funzione e crescente nel punto 0; infatti

f(x)− f(0)

x− 0=

f(x)

x=

1

2+ x sen

1

x

e poiche

limx→0

f(x)

x=

1

2

esiste un intorno U dello zero tale che

f(x)

x> 0 , ∀x ∈ U − {0} .

Tuttavia la funzione f non e crescente in alcun intorno dello zero: si fissi un intornoU dello zero e si considerino i punti

xn = 12π n

yn = 12π n+π

2(n ≥ 1 ) .

Sia i punti xn che i punti yn appartengono ad U da un certo ν in poi; inoltre

yn < xn ∀n ≥ 1

mentre da un certo ν in poi e

f(yn) > f(xn) .

Definizione VI.7.2. Si dice che il punto x◦ ∈ A e un punto di massimo (minimo)relativo per la funzione f : A→ R se esiste un intorno U di x◦ tale che

∀x ∈ U ∩ A , f(x) ≤ f(x◦) [f(x) ≥ f(x◦)] . (VI.7.3)

Invece di massimo o minimo relativo si dice anche massimo o minimo locale. Ovvia-mente un punto di massimo (di minimo) per f in A e anche un punto di massimo(di minimo) locale ma il viceversa non e vero.

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164 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Teorema VI.7.3. Sia f : A→ R e sia x◦ un punto non isolato di A. Supponiamoche f sia derivabile in x◦, allora

f crescente in x◦ =⇒ f ′(x◦) ≥ 0 (VI.7.4)

f decrescente in x◦ =⇒ f ′(x◦) ≤ 0 . (VI.7.5)

Dimostrazione Dimostriamo (VI.7.4). Esiste un intorno U di x◦ tale che

x ∈ U ∩ A − {x◦} , f(x)− f(x◦)

x− x◦> 0

quindi, per il teorema sulla permanenza del segno,

f ′(x◦) = limx→x◦

f(x)− f(x◦)

x− x◦≥ 0 .

In modo analogo si prova la (VI.7.5).

Teorema VI.7.4. Nelle stesse ipotesi del teorema precedente

f ′(x◦) > 0 =⇒ f crescente in x◦ (VI.7.6)

f ′(x◦) < 0 =⇒ f decrescente in x◦ . (VI.7.7)

Dimostrazione Dimostriamo (VI.7.6). Poiche

limx→x◦

f(x)− f(x◦)

x− x◦> 0

per il teorema sulla permanenza del segno, esiste un intorno U di x◦ tale che

f(x)− f(x◦)

x− x◦> 0 , ∀x ∈ U ∩ A − {x◦} .

In modo analogo si prova (VI.7.7).

Teorema VI.7.5. Sia f : A → R e sia x◦ un punto interno ad A. Se x◦ e unpunto di massimo o di minimo relativo per f e la funzione f e derivabile in x◦ allora

f ′(x◦) = 0 . (VI.7.8)

Dimostrazione Supponiamo che x◦ sia un punto di massimo relativo per f ; esisteun intervallo I(x◦, δ) contenuto in A tale che

f(x) ≤ f(x◦) , ∀x ∈ I(x◦, δ) (VI.7.9)

Se fosse f ′(x◦) > 0 la funzione f sarebbe crescente in x◦ e quindi esisterebbe unx ∈ (x◦, x◦+ δ) in cui f(x) > f(x◦). Cio contraddice la (VI.7.9). Se fosse f ′(x◦) < 0la funzione f sarebbe decrescente in x◦ e quindi esisterebbe un x ∈ (x◦ − δ, x◦) incui f(x) > f(x◦). Cio contraddice la (VI.7.9). Quindi e f ′(x◦) = 0.In modo analogo si ragiona se x◦ e un punto di minimo relativo.

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VI.8. Proprieta delle funzioni derivabili in un intervallo 165

Si possono fare le seguenti osservazioni: se x◦ non e interno ad A il teoremaVI.7.5 puo non essere vero.

Si consideri la funzione

x→ f(x) = x , x ∈ [0, 1]

I punti 0 e 1 sono rispettivamente punti di minimoe di massimo per la funzione f e tuttavia

f ′(0) = f ′(1) = 1 . 10

Inoltre il teorema VI.7.5 non e invertibile nel senso che f ′(x◦) = 0, x◦ interno ad A,non implica che x◦ sia un punto di massimo o di minimo per la f .Si considerino le funzioni definite nell’intervallo [−1, 1]

x→ f(x) = x3

x→ g(x) = −x3

1

−1

f

1

−1

g

Queste funzioni sono derivabili e hanno derivata nulla nello 0. Tuttavia, in 0, f crescee g decresce.

I punti x◦ ∈ A nei quali f ′(x◦) = 0 si chiamano punti stazionari della f . Vedremonel seguito delle condizioni sufficienti a garantire che un punto stazionario sia unmassimo o minimo relativo per f .

VI.8 PROPRIETA’ DELLE FUNZIONI DERI-

VABILI IN UN INTERVALLO

In questo paragrafo dimostreremo alcuni teoremi relativi a funzioni derivabili su unintervallo, cioe su un insieme connesso e limitato della retta reale.

Teorema VI.8.1. (di Rolle) Sia f una funzione reale continua sull’intervallo chiu-so [a, b] e derivabile nell’intervallo aperto (a, b). Se f(a) = f(b) esiste almeno unpunto x◦ ∈ (a, b) tale che f ′(x◦) = 0.

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166 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Dimostrazione Per il teorema di Weierstrass (V.2.6) la funzione f assume in [a, b]un valore massimo M e un valore minimo m.

a x◦ b

Siano x◦, y◦ due punti dell’intervallo [a, b] tali che

f(x◦) = m , f(y◦) = M .

Se x◦ e y◦ coincidono con gli estremi dell’intervallo [a, b] allora

f(a) = f(b) =⇒ m = M

e quindi f e costante in [a, b]; in tal caso f ′(x) = 0 per ogni x ∈ (a, b).Se invece uno almeno dei punti x◦ e y◦ e interno all’intervallo, allora la funzione f haun punto di massimo relativo oppure di minimo relativo interno all’intervallo [a, b];ne segue, per il teorema VI.7.5, che in quel punto la derivata f ′ e uguale a zero.

Teorema VI.8.2. (di Cauchy) Se f e g sono funzioni continue sull’intervallo [a, b]e derivabili nell’intervallo aperto (a, b) e se inoltre g′(x) 6= 0 per ogni x ∈ (a, b)allora esiste almeno un punto x◦ ∈ (a, b) tale che

f(b)− f(a)

g(b)− g(a)=

f ′(x◦)

g′(x◦)(VI.8.1)

Dimostrazione Osserviamo innanzitutto che e g(b) 6= g(a) perche in caso contrariola derivata g′ si annullerebbe in almeno un punto dell’intervallo (a, b). Consideriamouna combinazione lineare di f e g

F (x) = λ f(x) + µ g(x) .

Questa funzione verifica le ipotesi del teorema di Rolle se noi scegliamo i numeri λe µ in questo modo

λ = g(b)− g(a)

µ = f(a)− f(b) .

Allora esiste almeno un punto x◦ ∈ (a, b) in cui

F ′(x◦) = λ f ′(x◦) + µ g′(x◦) = 0 .

Da questa relazione segue che

f ′(x◦)

g′(x◦)= −µ

λ=

f(b)− f(a)

g(b)− g(a)

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VI.8. Proprieta delle funzioni derivabili in un intervallo 167

Teorema VI.8.3. (del valor medio) Se f e continua sull’intervallo [a, b] ed e de-rivabile nell’intervallo aperto (a, b) allora esiste almeno un punto x◦ ∈ (a, b) taleche

f(b)− f(a)

b− a= f ′(x◦) . (VI.8.2)

Questo teorema e un semplice corollario del teorema di Cauchy: basta scegliere

x→ g(x) = x .

Il teorema di Rolle e il teorema del valor medio hanno una evidente interpreta-zione geometrica. Nell’intervallo (a, b) esiste almeno un punto x◦ tale che la rettatangente al grafico Gf nel punto (x◦, f(x◦)) e parallela alla retta che congiunge ipunti (a, f(a)) e (b, f(b)).

a x◦ b

Il teorema del valor medio ha notevoli applicazioni. Ci limitiamo ad elencarnequalcuna. Altre ne vedremo in seguito.

Corollario VI.8.4. Se f e continua nell’intervallo [a, b] ed e derivabile nell’inter-vallo aperto (a, b) allora

f ′ > 0 in (a, b) =⇒ f e crescente in [a, b] . (VI.8.3)

Dimostrazione Siano x1, x2 due punti dell’intervallo [a, b] con x1 < x2. Per ilteorema del valor medio esiste un punto x◦ ∈ (a, b) tale che

f(x1)− f(x2)

x1 − x2

= f ′(x◦) > 0 .

Ne segue chef(x1) < f(x2) .

Corollario VI.8.5. Se f e continua in [a, b] e derivabile nell’intervallo aperto (a, b)allora

f ′ < 0 in (a, b) =⇒ f e decrescente in [a, b] (VI.8.4)

Corollario VI.8.6. Se f e continua in [a, b] e derivabile in (a, b) allora

f ′ = 0 in (a, b) =⇒ f e costante in [a, b] . (VI.8.5)

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168 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Dimostrazione Fissato x ∈ [a, b] esiste un punto x◦ ∈ (a, x) tale che

f(x)− f(a)

x− a= f ′(x◦) = 0 .

Quindif(x) = f(a) ∀x ∈ [a, b] .

Corollario VI.8.7. Se f ∈ C1([a, b]) allora f e holderiana [a, b] con esponente 1(lipschitziana).

Dimostrazione PoniamoM = max

[a,b]|f ′(x)| .

Per ogni coppia di punti x, y ∈ [a, b] esiste un punto x◦ ∈ (a, b) tale che

f(y)− f(x)

y − x= f ′(x◦) .

Ne segue che ∣∣∣∣f(y)− f(x)

y − x

∣∣∣∣ = |f ′(x◦)| ≤M

e quindi|f(y)− f(x)| ≤M |x− y| , ∀x, y ∈ [a, b] .

VI.9 TEOREMI DI HOSPITAL

I teoremi che ora dimostreremo riguardano lo studio del limite del rapportof

gnei

casi di indeterminazione0

0e±∞±∞

.

Supponiamo che f e g siano due funzioni continue sull’intervallo [a, b] e nullein un punto x◦ di [a, b]. Supponiamo che f e g siano derivabili nel punto x◦ esupponiamo che sia g(x) 6= 0 per ogni x ∈ [a, b] − {x◦} e g′(x◦) 6= 0. Sotto questeipotesi si dimostra facilmente che

limx→x◦

f(x)

g(x)=

f ′(x◦)

g′(x◦). (VI.9.1)

Infatti, ∀x ∈ [a, b] − {x◦}, possiamo scrivere

f(x)

g(x)=

f(x)− f(x◦)

x− x◦g(x)− g(x◦)

x− x◦

e quindi, al limite, si ottiene la (VI.9.1).

Se non siamo in questa situazione particolarmente semplice, possono essere utilii teoremi che ora enunceremo e che vanno sotto il nome di teoremi di Hospital.

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VI.9. Teoremi di Hospital 169

Teorema VI.9.1. Siano f e g due funzioni continue sull’intervallo [a, b] e nulle inun punto x◦ ∈ [a, b]. Supponiamo che

(i) f e g siano derivabili in [a, b] − {x◦},

(ii) g e g′ siano diverse da zero in [a, b] − {x◦},

(iii) esista il limx→x◦

f ′(x)

g′(x).

In queste ipotesi esiste il limite dif(x)

g(x)per x che tende a x◦ e

limx→x◦

f(x)

g(x)= lim

x→x◦f ′(x)

g′(x)(VI.9.2)

Dimostrazione Sia L = limx→x◦

f ′(x)

g′(x). L appartiene a R, cioe L puo essere reale

oppure +∞ oppure −∞. Per ogni intorno U di L (intorno nella topologia di R)esiste un δ > 0 tale che

x ∈ I(x◦, δ) ∩ [a, b] − {x◦} =⇒ f ′(x)

g′(x)∈ U . (VI.9.3)

D’altra parte, se x appartiene all’intervallo I(x◦, δ) ∩ [a, b], esiste per il teorema diCauchy VI.8.2, un punto ξ dell’intervallo aperto di estremi x◦ e x tale che

f(x)

g(x)=

f(x)− f(x◦)

g(x)− g(x◦)=

f ′(ξ)

g′(ξ). (VI.9.4)

ξ appartiene all’intervallo I(x◦, δ)∩ [a, b]− {x◦}, quindi da (VI.9.3) e (VI.9.4) segueche

x ∈ I(x◦, δ) ∩ [a, b] − {x◦} =⇒ f(x)

g(x)∈ U .

Nel caso in cui f e g sono definite su una semiretta, anziche su un intervallo, e sonoinfinitesime per x che tende a +∞, oppure per x che tende a −∞, il teorema VI.9.1e ancora valido con qualche modifica formale.

Teorema VI.9.2. Siano f e g due funzioni definite e derivabili sulla semiretta[a,+∞). Supponiamo che

(i) limx→+∞

f(x) = limx→+∞

g(x) = 0 ,

(ii) g e g′ siano diverse da zero in [a,+∞) ,

(iii) esista il limx→+∞

f ′(x)

g′(x).

In queste ipotesi esiste il limite dif(x)

g(x)per x che tende a +∞ e

limx→+∞

f(x)

g(x)= lim

x→+∞

f ′(x)

g′(x).

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170 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Dimostrazione Supponiamo a > 0. Cio non e restrittivo perche il limite dif

g, per

x che tende a +∞ dipende soltanto dai valori chef

gassume in un intorno di +∞.

Poniamo

F (x) =

f

(1

x

)per x ∈

(0,

1

a

]0 per x = 0 .

G(x) =

g

(1

x

)per x ∈

(0,

1

a

]0 per x = 0 .

Per x ∈(0, 1

a

]risulta

F ′(x) = −f ′(

1

x

)1

x2

G′(x) = −g′(

1

x

)1

x2.

Quindi

limx→0+

F ′(x)

G′(x)= lim

x→0+

f ′(

1

x

)g′(

1

x

) = limx→+∞

f ′(x)

g′(x).

Le funzioni F e G, definite sull’ intervallo[0, 1

a

], verificano tutte le ipotesi del

teorema VI.9.2 qualora si assuma x◦ = 0; pertanto

limx→+∞

f(x)

g(x)= lim

x→0+

F (x)

G(x)= lim

x→0+

F ′(x)

G′(x)= lim

x→+∞

f ′(x)

g′(x).

In questa dimostrazione si e utilizzato ripetutamente il teorema sul limite di unafunzione composta che abbiamo dimostrato a suo tempo. Lasciamo come esercizioper il lettore la formulazione di un teorema analogo nel caso in cui f e g sianodefinite su una semiretta (−∞, a] e siano infinitesime per x che tende a −∞.

Esempi.

(I) Si dimostri che

limx→0

1− cosx

x2=

1

2.

Le funzioni x → f(x) = 1 − cosx e x → g(x) = x2 sono definite su R e sonocontinue e derivabili su tutto R. Inoltre

limx→0

(1− cosx) = limx→0

x2 = 0

D(1− cosx) = senx

Dx2 = 2x

limx→0

senx

2x=

1

2limx→0

senx

x=

1

2.

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VI.9. Teoremi di Hospital 171

(II) Sia f una funzione continua su un intervallo [a, b] e x◦ un punto di [a, b].Supponiamo che

(i) f sia derivabile in ogni punto di [a, b] − {x◦};(ii) f ′ converge per x che tende a x◦.

Si dimostri che, in queste ipotesi, f e derivabile anche in x◦ e

f ′(x◦) = limx→x◦

f ′(x) .

Consideriamo le funzioni

F (x) = f(x)− f(x◦)

G(x) = x− x◦ .

Utilizzando il teorema VI.9.1 si ha

limx→x◦

F (x)

G(x)= lim

x→x◦f(x)− f(x◦)

x− x◦= lim

x→x◦f ′(x)

1= lim

x→x◦f ′(x)

(III) I teoremi VI.9.1 e VI.9.2 esprimono condizioni sufficienti per l’esistenza dellimite del rapporto.

La cosa si prova con un esempio:

g(x) = x , x ∈ R ; f(x) =

x2 sen

1

xse x 6= 0

0 se x = 0 .

Allora

g′(x) = 1 , f ′(x) = 2x sen1

x− cos

1

x, (x 6= 0) .

f e g sono infinitesime per x che tende a zero e

limx→0

f(x)

g(x)= lim

x→0x sen

1

x= 0

mentre il rapporto delle derivate

f ′(x)

g′(x)= 2x sen

1

x− cos

1

x

non ha limite per x che tende a zero.

* * *

I teoremi dell’Hospital VI.9.1 e VI.9.2 si estendono al caso in cui si ricerchi illimite di un rapporto di due infiniti.

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172 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Teorema VI.9.3. Siano f e g due funzioni definite sull’intervallo (a, b) e ivi deri-vabili. Supponiamo che

(i) f e g divergano per x che tende ad a,

(ii) g e g′ siano diverse da zero in (a, b),

(iii) esista il limx→a

f ′(x)

g′(x).

In queste ipotesi esiste il limite dif(x)

g(x)per x che tende ad a e

limx→a

f(x)

g(x)= lim

x→a

f ′(x)

g′(x)

Dimostrazione Sia L = limx→a

f ′(x)

g′(x). L e un elemento di R. Distinguiamo tre casi

L ∈ R , L = +∞ , L = −∞ .

Supponiamo che il limite sia finito (L ∈ R). In tal caso per ogni ε > 0 esiste unx◦ ∈ (a, b) tale che ∣∣∣∣f ′(x)

g′(x)− L

∣∣∣∣ < ε

2, ∀x ∈ (a, x◦) . (VI.9.5)

D’altra parte, per ogni x dell’intervallo (a, x◦) esiste un punto ξ compreso tra x ex◦ tale che

f(x)− f(x◦)

g(x)− g(x◦)=f ′(ξ)

g′(ξ)

Ne segue, per (VI.9.5), che

L− ε

2<

f(x)− f(x◦)

g(x)− g(x◦)< L+

ε

2, x ∈ (a, x◦) . (VI.9.6)

Ora, si puo scrivere 8

f(x)− f(x◦)

g(x)− g(x◦)=

f(x)

(1− f(x◦)

f(x)

)g(x)

(1− g(x◦)

g(x)

) =f(x)

g(x)ϕ(x)

e la funzione ϕ(x) = 1−f(x◦)/f(x)1−g(x◦)/g(x)

converge a 1 quando x tende ad a, in particolare

ϕ(x) e positiva in un intorno del punto a; quindi esiste un punto x1, a < x1 ≤ x◦,tale che

ϕ(x) > 0 ∀x ∈ (a, x1) .

Per ogni x ∈ (a, x1) si ha, da (VI.9.6),

8Si osservi che f(x) e 6= 0 in un intorno di a in quanto f diverge nel punto a. Possiamo supporre,per non complicare inutilmente le cose, che sia f(x) 6= 0 ∀x ∈ (a, x◦).

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VI.9. Teoremi di Hospital 173

L− ε

2ϕ(x)

<f(x)

g(x)<

L+ε

2ϕ(x)

(VI.9.7)

A questo punto osserviamo che

limx→a

L− ε

2ϕ(x)

= L− ε

2> L− ε

limx→a

L+ε

2ϕ(x)

= L+ε

2< L+ ε

pertanto esiste un punto x∗, a < x∗ ≤ x1, tale che

L− ε

2ϕ(x)

> L− ε

L+ε

2ϕ(x)

< L+ ε

∀x ∈ (a, x∗) . (VI.9.8)

Dalle (VI.9.7) e (VI.9.8) segue che

L− ε < f(x)

g(x)< L+ ε , ∀x ∈ (a, x∗) .

Questo prova che limx→a

f(x)

g(x)= L.

Se L = +∞ oppure L = −∞ si ragiona in modo analogo. Supponiamo L = +∞;per ogni ε > 0 esiste un punto x◦ ∈ (a, b) tale che

f ′(x)

g′(x)> 2 ε , ∀x ∈ (a, x◦) .

Ne segue, ragionando come nel caso precedente, che

f(x)− f(x◦)

g(x)− g(x◦)> 2 ε , ∀x ∈ (a, x◦) (VI.9.9)

e quindif(x)

g(x)>

2 ε

ϕ(x), ∀x ∈ (a, x1) 9 (VI.9.10)

Poiche

limx→a

2 ε

ϕ(x)= 2 ε > ε

esiste un punto x∗, a < x∗ < x1, tale che

2 ε

ϕ(x)> ε , ∀x ∈ (a, x∗) . (VI.9.11)

9Ci riferiamo alla nomenclatura introdotta pocanzi.

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174 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Da (VI.9.10) e (VI.9.11) segue che

f(x)

g(x)> ε , ∀x ∈ (a, x∗) .

Questo prova che

limx→a

f(x)

g(x)= +∞ .

La dimostrazione relativa al caso L = −∞ si lascia per esercizio al lettore.

Osservazione Il teorema precedente resta vero anche nel caso che f e g diverganoper x che tende a b oppure per x che tende a un punto x◦ interno all’intervallo (a, b).C’e solo da apportare qualche modifica formale all’enunciato del teorema VI.9.3 ealla relativa dimostrazione.Il teorema VI.9.3 resta altresı valido nel caso che f e g siano definite su una semirettae divergano per x che tende a +∞, oppure per x che tende a −∞. Ci si riduce ai

casi precedenti mediante l’applicazione x→ 1

x.

Esempi.

(I) Sia n un intero > 0. Si calcoli il limx→+∞

ex

xn. Le funzioni x → ex e x → xn

divergono per x che tende a +∞. Applicando un congruo numero di volte ilteorema di Hospital si ottiene:

limx→+∞

ex

xn= lim

x→+∞

ex

nxn−1= . . . = lim

x→+∞

ex

n!= +∞

(II) Sia n un intero > 0. Si calcoli il limx→0+

log x

x−n.

Le funzioni x→ log x e x→ 1xn

divergono per x→ 0+. Applicando il teoremadi Hospital si ottiene

limx→0+

log x

x−n= lim

x→0+

1x

−nx−n−1= − 1

nlimx→0+

xn = 0 .

(III) Si calcoli il limx→0+

(1

x− cosx

senx

).

Il limite e della forma indeterminata +∞−∞. D’altra parte

1

x− cosx

senx=

senx− x cosx

x senx

Scritta la funzione in questo modo, il limite si presenta nella forma indetermi-nata 0

0. Applicando il teorema dell’Hospital si ottiene

limx→0+

1

x− cosx

senx= lim

x→0+

x senx

senx+ x cosx= lim

x→0

senx+ x cosx

2 cosx− x senx= 0 .

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VI.10. Formula di Taylor 175

(IV) Si calcoli il limx→0+

xx.

Per ogni x ∈ R+∗ si puo scrivere

xx = ex log x .

Si e visto nell’esempio (II) che

limx→0+

x log x = limx→0+

log x

x−1= 0 ,

quindi

limx→0+

xx = elimx→0+

x log x= e0 = 1

VI.10 FORMULA DI TAYLOR

Sia f una funzione definita in un intervallo [a, b]. Abbiamo dimostrato nel paragra-fo 3 che, se f e derivabile in [a, b], per ogni x◦ di [a, b] esiste uno e un solo polinomiodi grado ≤ 1 10

P1(x) = f(x◦) + f ′(x◦)x

tale che la funzione

R1(x) = f(x)− P1(x− x◦)

definita in [a, b], sia infinitesima per x che tende a x◦ di ordine superiore a (x− x◦)

limx→x◦

R1(x)

x− x◦= 0 .

0ra noi ci poniamo questo problema piu generale: se la funzione f e derivabile nvolte (n > 1) in [a, b], esiste, per ogni x◦ di [a, b], un polinomio Pn(x) di grado ≤ ntale che la funzione

Rn(x) = f(x)− Pn(x− x◦)

sia infinitesima per x che tende a x◦ di ordine superiore a (x− x◦)n ?Noi daremo a questo problema una risposta positiva e dimostreremo che il polinomioPn(x) e univocamente determinato; piu precisamente dimostreremo che

Pn(x) =n∑h=0

f (h)(x◦)

h!xh (VI.10.1)

(con la solita convenzione che f (0) = f). Diremo che il polinomio Pn(x − x◦) ap-prossima la funzione f nell’intorno del punto x◦ a meno di un infinitesimo di ordinesuperiore a (x− x◦)n. Premettiamo la dimostrazione di alcuni lemmi.

10Di grado 1 se f ′(x) 6= 0.

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176 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Lemma VI.10.1. Sia f una funzione reale definita in un intervallo [a, b] e ividerivabile n volte (n ≥ 1). Supponiamo che in un punto x◦ di [a, b] risulti

f(x◦) = f ′(x◦) = . . . = f (n−1)(x◦) = 0 . (VI.10.2)

Per ogni x di [a, b] esiste un punto ξ dell’intervallo aperto di estremi x◦ e x tale che

f(x) =(x− x◦)n

n!f (n)(ξ) . (VI.10.3)

Dimostrazione Per il teorema di Cauchy VI.8.2, fissato x in [a, b], x 6= x◦, e fissatol’intero k, 0 ≤ k ≤ n− 1, esiste un punto η compreso tra x e x◦ tale che

f (k)(x)

(x− x◦)n−k=f (k)(x)− f (k)(x◦)

(x− x◦)n−k=

f (k+1)(η)

(n− k) (η − x◦)n−k−1. (VI.10.4)

Supponiamo, per fissare le idee, che sia x > x◦. Da (VI.10.4) segue che esistono npunti x1, x2, . . . , xn−1, ξ con

x◦ < ξ < xn−1 < xn−2 < . . . < x1 < x

tali che

f(x)

(x− x◦)n=

f ′(x1)

n(x1 − x◦)n−1=

f ′′(x2)

n(n− 1)(x2 − x◦)n−2= . . . =

= . . . =f (n−1)(xn−1)

n! (xn−1 − x◦)=

f (n)(ξ)

n!

e quindi la tesi e dimostrata. Analogo ragionamento se x < x◦.

Lemma VI.10.2. Se f e una funzione derivabile n − 1 volte in [a, b] e vale lacondizione (VI.10.2) e se nel punto x◦ ∈ [a, b] esiste la derivata n-esima, alloraesiste una funzione x → σ(x) definita in [a, b] e infinitesima per x che tende a x◦

tale che

f(x) =(x− x◦)n

n!

[f (n)(x◦) + σ(x)

]. (VI.10.5)

Dimostrazione Si e visto nella dimostrazione del lemma precedente che per ognix ∈ [a, b] esiste un punto ξ(x) compreso tra x e x◦ tale che

f(x)

(x− x◦)n=f (n−1)(ξ(x))

n! (ξ − x◦)(VI.10.6)

La funzione x→ ξ(x) converge a x◦ quando x tende a x◦ in quanto

|ξ(x)− x◦| < |x− x◦| .

D’altra parte la funzione f (n−1) e derivabile e quindi differenziabile in x◦ per cuiesiste una funzione ξ → ρ(ξ) infinitesima per ξ che tende a x◦ tale che

f (n−1)(ξ) = f (n)(x◦)(ξ − x◦) + ρ(ξ)(ξ − x◦) , ∀ ξ ∈ [a, b] . (VI.10.7)

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VI.10. Formula di Taylor 177

Dalle (VI.10.6) e (VI.10.7) segue che

f(x)

(x− x◦)n=

1

n![f (n)(x◦) + ρ(ξ(x))]

e la funzione x → ρ(ξ(x)) = σ(x) e infinitesima per x che tende a x◦ in virtu delteorema sul limite di una funzione composta.

Dal lemma VI.10.2 seguono questi utili corollari.

Corollario VI.10.3. Se la funzione f e derivabile n volte in [a, b], n ≥ 1, e x◦ eun punto di [a, b], condizione necessaria e sufficiente perche f sia infinitesima per xche tende a x◦ dello stesso ordine di (x− x◦)n e che

f(x◦) = f ′(x◦) = . . . = f (n−1)(x◦) = 0 , f (n)(x◦) 6= 0 . (VI.10.8)

Dimostrazione Dal lemma VI.10.2 segue subito che la condizione (VI.10.8) esufficiente; infatti vale la relazione (VI.10.5) e, se f (n)(x◦) 6= 0, si ha

limx→x◦

f(x)

(x− x◦)n=

1

n!

[f (n)(x◦) + lim

x→x◦σ(x)

]=f (n)(x◦)

n!6= 0 .

Dimostriamo che la condizione (VI.10.8) e necessaria. Per ipotesi

limx→x◦

f(x)

(x− x◦)n= K 6= 0 (VI.10.9)

quindi f e infinitesima per x che tende a x◦. Sia f (k), 1 ≤ k ≤ n, la prima derivatala quale e diversa da zero in x◦. Per il lemma VI.10.2 si ha

f(x) =(x− x◦)k

k![f (k)(x◦) + σ(x)] , ∀x ∈ [a, b]

dove x→ σ(x) e infinitesima per x che tende a x◦. Ne segue che

limx→x◦

f(x)

(x− x◦)k=f (k)(x◦)

k!6= 0 .

Questa relazione contraddice la (VI.10.9) a meno che non sia k = n.

Corollario VI.10.4. Se la funzione f e derivabile n volte in [a, b], n ≥ 1, e x◦ eun punto di [a, b], condizione necessaria e sufficiente perche f sia infinitesima per xche tende a x◦ di ordine superiore a (x− x◦)n e che

f(x◦) = f ′(x◦) = . . . = f (n)(x◦) = 0 . (VI.10.10)

Infatti se valgono le condizioni (VI.10.10) allora dalla formula (VI.10.5) segue che

limx→x◦

f(x)

(x− x◦)n= lim

x→x◦σ(x)

n!= 0 .

Viceversa, se

limx→x◦

f(x)

(x− x◦)n= 0

non puo essere f (k)(x◦) 6= 0 per un intero k ≤ n perche, in tal caso, f sarebbeinfinitesima per x che tende a x◦ dello stesso ordine di (x− x◦)k.

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178 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Ritorniamo al problema che ci siamo posti all’inizio del paragrafo: f e unafunzione derivabile n volte in [a, b], n ≥ 1, e x◦ e un punto di [a, b]. Si dimostranole seguenti proposizioni:

(i) Se Pn e un polinomio di grado ≤ n tale che

limx→x◦

f(x)− Pn(x− x◦)(x− x◦)n

= 0

necessariamente

Pn(x) =n∑h=0

f (h)(x◦)

h!xh .

Sia 11

Pn(x) =n∑h=0

ahxh

allora

P (k)n (x) =

n∑h=k

h (h− 1) . . . (h− k + 1) ahxh−k , 0 ≤ k ≤ h . (VI.10.11)

PoniamoRn(x) = f(x)− Pn(x− x◦) .

La funzione x→ Rn(x) e infinitesima per x che tende a x◦ di ordine superiorea (x− x◦)n e quindi, per il corollario VI.10.4,

Rn(x◦) = R′n(x◦) = . . . = R(n)n (x◦) = 0 .

Cio equivale a dire, tenuto conto di (VI.10.11), che

f (k)(x◦) = P (k)(0) = k! ak , per 0 ≤ k ≤ n

e quindi

ak =f (k)(x◦)

k!per k = 0, 1, . . . , n .

(ii) Se Pn(x) =n∑h=0

f (h)(x◦)

h!xh allora la funzione

Rn(x) = f(x)− Pn(x− x◦) (VI.10.12)

e infinitesima per x che tende a x◦ di ordine superiore a (x− x◦)n.

Infatti da (VI.10.12) segue che

Rn(x◦) = R′n(x◦) = . . . = R(n)n (x◦) = 0

quindi la tesi e conseguenza del corollario VI.10.4.

11I coefficienti ah possono essere tutti o in parte uguali a zero.

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VI.10. Formula di Taylor 179

Possiamo allora enunciare il seguente teorema di Taylor.

Teorema VI.10.5. Se f e una funzione reale n volte derivabile nell’intervallo [a, b],esiste uno e un solo polinomio di grado ≤ n

x→ Pn(x) =n∑h=0

f (h)(x◦)

h!xh (VI.10.13)

tale che

limx→x◦

f(x)− Pn(x− x◦)(x− x◦)n

= 0 . (VI.10.14)

Il polinomio x → Pn(x) si chiama polinomio di Taylor di grado n relativo allafunzione f e al punto iniziale x◦. Se f e n volte derivabile in [a, b] e Pn e il polinomiodi Taylor della f definito come in (VI.10.13) possiamo scrivere, per ogni x di [a, b],

f(x) = Pn(x− x◦) +Rn(x) . (VI.10.15)

Questa relazione si chiama formula di Taylor relativa alla funzione f e al puntoiniziale x◦. Rn(x) si chiama resto n-esimo. Se f e un polinomio di grado al piu n,allora Rn(x) e identicamente nullo. 12 Questa osservazione puo avere qualche inte-resse applicativo: se P e un polinomio di grado n per ogni coppia di punti x, x◦ ∈ Rrisulta

P (x) =n∑h=0

P (h)(x◦)

h!(x− x◦)h . (VI.10.16)

Se f non e un polinomio di grado≤ n il restoRn(x) della formula di Taylor (VI.10.15)non e identicamente nullo in [a, b] e si pone il problema di darne una valutazione.Per far questo noi faremo qualche ipotesi supplementare sulla f .

Supponiamo che la funzione f sia derivabile in [a, b] n + 1 volte; allora il reston-esimo Rn(x) della formula di Taylor (VI.10.15) si puo scrivere in uno di questimodi

Rn(x) =(x− x◦)n+1

(n+ 1)!f (n+1)(ξ) (VI.10.17)

dove ξ e un punto opportuno dell’intervallo aperto di estremi x e x◦;

Rn(x) =(x− x◦)n+1

(n+ 1)!

[f (n+1)(x◦) + σ(x)

](VI.10.18)

dove x→ σ(x) e infinitesima per x che tende a x◦.

In relazione con la formula (VI.10.18) si puo osservare che e sufficiente supporrel’esistenza della derivata f (n+1) nel punto x◦.Le formule (VI.10.17) e (VI.10.18) sono immediata conseguenza dei lemmi VI.10.1e VI.10.2. Dalla formula di Taylor (10.15) si ottiene che

12Infatti f(x)− Pn(x− x◦) e un polinomio di grado al piu n che ha nulle nel punto x◦ tutte lederivate di qualunque ordine e da questo fatto segue facilmente che il polinomio f(x)−Pn(x−x◦)ha nulli tutti i coefficienti, cioe e identicamente nullo.

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180 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Rn(x) = f(x)−Pn(x−x◦) = f(x)−f(x◦)−f ′(x◦) (x−x◦)− . . .− f(n)(x◦)

n!(x−x◦)n

Quindi Rn(x) e una funzione n+ 1 volte derivabile in [a, b] e inoltre

Rn(x◦) = R′n(x◦) = . . . = R(n)n (x◦) = 0

R(n+1)n (x) = f (n+1)(x)

Allora, per il teorema VI.10.5 esiste un punto ξ dell’intervallo aperto di estremi x ex◦ tale che

Rn(x) =(x− x◦)n+1

(n+ 1)!R(n+1)n (ξ) =

(x− x◦)n+1

(n+ 1)!f (n+1)(ξ)

Similmente, per il lemma VI.10.2, esiste una funzione x → σ(x) definita in [a, b] einfinitesima per x che tende a x◦ tale che

Rn(x) =(x− x◦)n+1

(n+ 1)![R(n+1)

n (x◦) + σ(x)] =(x− x◦)n+1

(n+ 1)![f (n+1)(x◦) + σ(x)]

Nota Consideriamo il polinomio di Taylor di grado n

Pn(x) = f(x◦) + f ′(x◦)x+ . . .+f (n)(x◦)

n!xn .

Il primo termine rappresenta il valore della funzione f nel punto x◦, il secondotermine rappresenta il differenziale (primo) della f nel punto x◦; per analogia si diceche

x→ f ′′(x◦)x2 , . . . , x→ f (n)(x◦)xn

sono i differenziali secondo, . . . , n-esimo della funzione nel punto x◦ e si indicanocon i simboli

d2f(x◦) , d3f(x◦) , . . . , dnf(x◦) .

Esempi.

(I) Si consideri la funzione esponenziale x → ex, definita su R e infinitamentederivabile. Scegliamo x◦ = 0. Per ogni intero n ≥ 1 e per ogni x ∈ R si ha laseguente formula di Taylor

ex = 1 + x+x2

2!+ . . .+

xn

n!+Rn(x) = Pn(x) +Rn(x) (VI.10.19)

In accordo con le formule (VI.10.17) e (VI.10.18) il resto Rn(x) puo esserescritto in questo modo

Rn(x) =xn+1

(n+ 1)!eξ

Rn(x) =xn+1

(n+ 1)![1 + σ(x)] .

(VI.10.20)

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VI.11. Ricerca dei massimi e minimi di una funzione 181

Fissato l’intervallo [−1, 1] si voglia determinare n in modo tale che, per ogni

x ∈ [−1,−1], Pn(x) approssimi ex a meno di1

10h.

Bastera scegliere n in modo che sia

|Rn(x)| < 1

10h, ∀x ∈ [−1, 1] .

Ci serviamo della formula VI.10.20; se x ∈ [−1, 1] anche ξ ∈ [−1, 1] e quindi

|Rn(x)| < 1

(n+ 1)!e , ∀x ∈ [−1, 1] .

Allora e sufficiente scegliere n in modo che sia

(n+ 1)! > e · 10h .

Ad esempio:per h = 1 basta n ≥ 4

per h = 2 basta n ≥ 5

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

(II) Le funzioni x → senx e x → cosx sono definite su R e sono infinitamentederivabili. Scegliamo x◦ = 0. Per ogni intero n ≥ 1 si hanno le seguentiformule di Taylor

senx = x− x3

3!+x5

5!− . . .+ (−1)n

x2n+1

(2n+ 1)!+R2n+1(x) (VI.10.21)

cosx = 1 − x2

2!+x4

4!− . . .+ (−1)n

x2n

(2n)!+ R2n(x) . (VI.10.22)

VI.11 RICERCA DEI MASSIMI E MINIMI DI

UNA FUNZIONE

Sia f una funzione definita su un intervallo chiuso [a, b] e continua in [a, b]. Per ilteorema di Weierstrass, f ha in [a, b] un valore massimo M e un valore minimo m.Abbiamo dimostrato nel paragrafo 7 che, se x◦ e interno ad [a, b] ed f e derivabilein x◦, condizione necessaria perche x◦ sia un punto di massimo o di minimo relativoper la f e che f ′(x◦) = 0. Ne segue che il massimo e il minimo della f in [a, b] vannoricercati

(i1) tra i valori che f assume nei punti interni ad [a, b] nei quali si annulla laderivata prima;

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182 Capitolo VI. Calcolo differenziale

(i2) tra i valori che f assume nei punti interni ad [a, b] nei quali f non e derivabile;

(i3) tra i valori f(a) e f(b) che la f assume negli estremi dell’intervallo di defini-zione.

In molti casi questa indagine e piu agevole di quanto non sembri perche ci si riducea confrontare tra loro i valori che f assume in un numero finito di punti e a sceglieretra questi valori quello che e piu grande e quello che e piu piccolo.Vediamo un esempio: sia f una funzione definita sull’intervallo A = [−π, π] in questomodo

f(x) =

√x se x ≥ 0

senx se x < 0

0

−π −π/2π

f

La funzione f e continua in A e quindi ha massimo e minimo.La funzione f e derivabile in A − {0}; nel punto 0 non e derivabile perche

limx→0+

f(x)− f(0)

x= lim

x→0+

√x

x= +∞

limx→0−

f(x)− f(0)

x= lim

x→0−

senx

x= 1 .

Nell’intervallo (0, π) la derivata prima non si annulla mai perche

f ′(x) =1

2√x> 0 per x ∈ (0, π) .

Nell’intervallo (−π, 0) la derivata prima si annulla solo nel punto −π2

perche

x ∈ (−π, 0) e f ′(x) = cos x = 0 ⇐⇒ x = −π2.

Allora per trovare il massimo e il minimo della f in A basta confrontare questiquattro numeri

f(−π) = 0 , f(−π2

) = −1 , f(0) = 0 , f(π) =√π .

Si vede agevolmente che

M = maxA

f =√π

m = minAf = −1

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VI.11. Ricerca dei massimi e minimi di una funzione 183

La ricerca invece dei massimi e dei minimi relativi di una funzione presenta, sottocerti aspetti, una maggiore complessita. Limitiamoci a considerare il caso in cui ipunti di massimo o di minimo relativo siano interni all’insieme di definizione.Sia f una funzione definita su un intervallo aperto (a, b); i punti di massimo e diminimo relativo della f vanno ricercati

(i1) tra i punti x◦ ∈ (a, b) nei quali f e derivabile e la derivata si annulla;

(i2) tra i punti x◦ ∈ (a, b) nei quali f non e derivabile.

Pero, una volta individuati questi punti, per decidere se essi sono veramente puntidi massimo o di minimo relativo bisogna fare uno studio sul comportamento dellafunzione nell’intorno dei punti medesimi. Questa indagine non e sempre agevole.Una circostanza fortunata si presenta quando la derivata prima esiste in tutto unintorno di x◦ ed e facile stabilire il segno della derivata nei punti di questo intorno.

Esempio Si consideri la funzione x → f(x) = x2, x ∈ [−1, 1]. Essa e derivabile in[−1, 1] e f ′(x) = 2 x si annulla nel punto x = 0. Inoltre e

f ′(x) < 0 se −1 ≤ x < 0

f ′(x) > 0 se 0 < x ≤ 1 .

Quindi f decresce nell’intervallo [−1, 0), cresce nell’intervallo (0, 1] ed e continuain 0. In queste condizioni il punto 0 e evidentemente un punto di minimo relativoper la funzione f .

In relazione con il problema della ricerca dei punti di massimo e di minimorelativo puo essere utile il seguente teorema.

Teorema VI.11.1. Sia f una funzione reale definita in un intervallo (a, b) la qualeabbia in (a, b) le derivate fino all’ordine n− 1 (n ≥ 2 ) e abbia la derivata n-esimain un punto x◦ ∈ (a, b). Supponiamo che

f ′(x◦) = . . . = f (n−1)(x◦) = 0 , f (n)(x◦) 6= 0 . (VI.11.1)

In tali ipotesi, se n e pari

f (n)(x◦) < 0 =⇒ x◦ e un punto di massimo relativo , (VI.11.2)

f (n)(x◦) > 0 =⇒ x◦ e un punto di minimo relativo . (VI.11.3)

Se invece n e dispari

f (n)(x◦) > 0 =⇒ f e crescente nel punto x◦, (VI.11.4)

f (n)(x◦) < 0 =⇒ f e decrescente nel punto x◦. (VI.11.5)

Dimostrazione La dimostrazione di questo teorema utilizza essenzialmente la for-mula di Taylor. Nelle ipotesi fatte sulla f , esiste una funzione x→ σ(x), definita in(a, b) e infinitesima per x che tende a x◦, tale che per ogni x ∈ (a, b)

f(x) =n−1∑h=0

f (h)(x◦)

h!(x− x◦)h +

(x− x◦)n

n![f (n)(x◦) + σ(x)] .

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184 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Tenuto conto dell’ipotesi (VI.11.1),

f(x)− f(x◦) =(x− x◦)n

n![f (n)(x◦) + σ(x)] . (VI.11.6)

Poichelimx→x◦

[f (n)(x◦) + σ(x)] = f (n)(x◦) 6= 0

esiste, per il teorema sulla permanenza del segno, un intorno U di x◦ contenuto in(a, b) tale che

segno(f (n)(x◦) + σ(x)) = segno(f (n)(x◦)) , ∀x ∈ U .

Allora, se n e pari,(x− x◦)n

n!e positivo per x 6= x◦ e quindi

segno(f(x)− f(x◦)) = segno(f (n)(x◦)) , ∀x ∈ U − {x◦} .

Da questa relazione seguono le (VI.11.2) e (VI.11.3).Se invece n e dispari, dividiamo primo e secondo membro di (VI.11.6) per (x− x◦) ;si ottiene

f(x)− f(x◦)

x− x◦=

(x− x◦)n−1

n![f (n)(x◦) + σ(x)] , ∀x ∈ U − {x◦}

e quindi, poiche n− 1 e pari,

segno

(f(x)− f(x◦)

x− x◦

)= segno(f (n)(x◦)) , ∀x ∈ U − {x◦} .

Da questa relazione seguono le (VI.11.4) e (VI.11.5).

Esempi.

(I) x→ f(x) = x3, x ∈ [−1, 1].

f ′(x) = 3x2 , f ′′(x) = 6x , f ′′′(x) = 6 .

Quindi

f ′(0) = 0 , f ′′(0) = 0 , f ′′′(0) = 6 > 0 .

3 e dispari, f ′′′(0) e positiva, ne segue chef cresce nel punto 0.

1

−1

0

(II) x→ f(x) = x log x, x ∈ (0, 1].

f ′(x) = log x+ 1, f ′′(x) =1

x, f ′′′(x) = − 1

x2, . . .

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VI.12. Funzioni convesse 185

f ′ si annulla per x =1

e∈ (0, 1) e si ha

f ′(

1

e

)= 0 , f ′′

(1

e

)= e > 0

Quindi x =1

ee un punto di minimo relativo per la funzione f .

0 11/e

−1/e

VI.12 FUNZIONI CONVESSE

Siano x1 e x2 due punti di R. La funzione

λ→ ϕ(λ) = λx1 + (1− λ)x2

e una applicazione biunivoca dell’intervallo [0, 1] sull’intervallo chiuso di estremix1, x2.

Definizione VI.12.1. Una funzione reale f , definita su un insieme connesso A ⊂ R,si dice che e convessa in A se per ogni coppia di punti x1, x2 ∈ A e ∀λ ∈ [0, 1] risulta

f(λx1 + (1− λ)x2) ≤ λ f(x1) + (1− λ) f(x2) . (VI.12.1)

Questa definizione ha un evidente significato geometrico: fissati x1, x2 in A (x1 < x2)consideriamo il segmento in R2 che ha per estremi i punti (x1, f(x1)) e (x2, f(x2)).Questo segmento ha per equazione

y = g(x) = f(x1)x2 − xx2 − x1

+ f(x2)x− x1

x2 − x1

.

x1 x2

Gf

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186 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Se f e convessa in A, per ogni scelta di x1, x2 risulta

f(x) ≤ g(x) , ∀ x ∈ [x1, x2] . (VI.12.2)

Si dice che f : A→ R e concava in A se −f e convessa in A.Le funzioni convesse godono alcune interessanti proprieta.

Lemma VI.12.2. Se f : A→ R e convessa, fissato x◦ in A la funzione

x→ F (x) =f(x)− f(x◦)

x− x◦, x ∈ A − {x◦}

e non decrescente.

Dimostrazione Siano x1 e x2 due punti di A tali che

x◦ < x1 < x2

Da (VI.12.2) segue che

f(x1) ≤ g(x1) =f(x◦) (x2 − x1) + f(x2) (x1 − x◦)

x2 − x◦

e quindif(x1)− f(x◦)

x1 − x◦≤ f(x2)− f(x◦)

x2 − x◦In modo analogo si ragiona se

x1 < x2 < x◦ oppure x1 < x◦ < x2

Il lemma VI.12.2 ha importanti conseguenze; dai risultati relativi ai limiti dellefunzioni monotone si ha che in ogni punto x◦ interno ad A esistono finiti i limiti

limx−x◦+

f(x)− f(x◦)

x− x◦e lim

x−x◦−

f(x)− f(x◦)

x− x◦

Di qui segue, in particolare, che per ogni punto x◦ interno ad A

limx−x◦+

f(x)− f(x◦) = limx−x◦−

f(x)− f(x◦) = 0

Possiamo quindi enunciare il seguente

Teorema VI.12.3. Se f : A → R e una funzione convessa in A, f e continua

in◦A.

Si verifica facilmente con esempi che una funzione convessa in un intervallo o inuna semiretta puo non essere continua nei punti estremi: la funzione

x→ f(x) =

x2 se x ∈ (−1, 1)

2 se x = 1 oppure x = −1

e una funzione convessa sull’intervallo [−1, 1] e non e continua negli estremi dell’in-tervallo.

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VI.12. Funzioni convesse 187

1−1

Supponiamo che f : A → R sia convessa in A e che sia derivabile in un puntox◦ ∈ A. Allora per ogni x ∈ A si ha la maggiorazione

f(x) ≥ f(x◦) + f ′(x◦)(x− x◦) . (VI.12.3)

Anche questa relazione ha un immediato significato geometrico, basta ricordare che

y = f(x◦) + f ′(x◦)(x− x◦)

e l’equazione della retta tangente a Gf nel punto (x◦, f(x◦)). Per dimostrare larelazione (VI.12.3) si ragiona in questo modo: supponiamo x◦ interno ad A; ilrapporto incrementale

x→ F (x) =f(x)− f(x◦)

x− x◦, x ∈ A − {x◦}

e una funzione non decrescente (lemma VI.12.2), quindi

f ′(x◦) ≤ F (x) , ∀x ∈ A tale che x > x◦

f ′(x◦) ≥ F (x) , ∀x ∈ A tale che x < x◦ .(VI.12.4)

Da queste due relazioni segue la (VI.12.3).

Se x◦ non e interno ad A il ragionamento si ripete inalterato; in questo caso siutilizzera una soltanto delle relazioni (VI.12.4).

La relazione (VI.12.3) caratterizza le funzioni convesse nel senso che ora preciseremo.

Teorema VI.12.4. Sia f una funzione reale definita su un insieme connesso A ⊂ Re derivabile in A. Se per ogni x◦ ∈ A si ha la relazione

f(x) ≥ f(x◦) + f ′(x◦)(x− x◦) , ∀x ∈ A (VI.12.5)

allora f e convessa in A. 13

13In termini geometrico-intuitivi: se il grafico di f sta al di sopra della tangente condotta in unpunto qualunque del grafico medesimo allora f e convessa.

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188 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Dimostrazione Fissiamo due punti x1 e x2 in A; dobbiamo dimostrare che perogni λ ∈ [0, 1]

f(λx1 + (1− λ)x2) ≤ λ f(x1) + (1− λ) f(x2) .

Poniamox◦ = λx1 + (1− λ)x2 .

Per ogni x ∈ A vale la relazione (VI.12.5), in particolare

f(x1) ≥ f(x◦) + f ′(x◦)(x1 − x◦)f(x2) ≥ f(x◦) + f ′(x◦)(x2 − x◦)

e quindi

λ f(x1)+(1−λ) f(x2) ≥ f(x◦)+f ′(x◦) [λx1 − λx◦ + (1− λ)x2 − (1− λ)x◦] = f(x◦)

La tesi e dimostrata.

Teorema VI.12.5. Sia f : A → R, A connesso ed f derivabile in A. Condizionenecessaria e sufficiente affinche f sia convessa in A e che f ′ sia non decrescentein A.

Dimostrazione Supponiamo che f sia convessa in A. Siano x1 e x2 due punti diA; dalla relazione (VI.12.5) si ottiene che

f(x1) ≥ f(x2) + f ′(x2) (x1 − x2)

f(x2) ≥ f(x1) + f ′(x1) (x2 − x1) .

Quindi[f ′(x1)− f ′(x2)] (x1 − x2) ≥ 0

Ne segue chex1 < x2 =⇒ f ′(x1) ≤ f ′(x2) .

Viceversa, supponiamo che f ′ sia non decrescente in A. Siano x1 e x2 due punti diA, x1 < x2. Poniamo x = λx1 + (1 − λ)x2, λ ∈ (0, 1). Per il teorema del valormedio esistono due punti ξ ed η

x1 < ξ < x < η < x2

tali chef(x)− f(x1)

x− x1

= f ′(ξ) ,f(x2)− f(x)

x2 − x= f ′(η) . (VI.12.6)

Poicheξ < η =⇒ f ′(ξ) ≤ f ′(η)

da (VI.12.6) segue che

f(x)− f(x1)

x− x1

≤ f(x2)− f(x)

x2 − x

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VI.12. Funzioni convesse 189

quindif(x)− f(x1)

1− λ≤ f(x2)− f(x)

λE di qui facilmente si ha

f(λx1 + (1− λ)x2) = f(x) ≤ λ f(x1) + (1− λ) f(x2) .

Questa relazione e banalmente vera anche per λ = 0 e λ = 1, quindi f e convessa.

Teorema VI.12.6. Sia f : A → R, A connesso ed f derivabile due volte in A.Condizione necessaria e sufficiente affinche f sia convessa in A e che risulti

f ′′(x) ≥ 0 , ∀x ∈ A . (VI.12.7)

Dimostrazione Se f e convessa, f ′ e non decrescente in A e quindi, per ognix◦ ∈ A, la funzione

x→ F (x) =f ′(x)− f ′(x◦)

x− x◦e > 0 in A − {x◦}. Ne segue, al limite, che

f ′′(x◦) = limx→x◦

F (x) ≥ 0 , ∀x◦ ∈ A .

Viceversa, supponiamo che sia f ′′(x) ≥ 0 per ogni x ∈ A. Scelti due punti x1,x2 ∈ A, x1 < x2, per il teorema del valor medio esiste un punto ξ, x1 < ξ < x2, taleche

f ′(x2)− f ′(x1)

x2 − x1

= f ′′(ξ) ≥ 0 .

Ne segue chex1 < x2 =⇒ f ′(x1) ≤ f ′(x2) .

Quindi f e convessa per il teorema VI.12.5.

Esempi.

(I) La funzione x→ f(x) = − log x, definita in R+∗ , e convessa. Infatti

f ′′(x) =1

x2> 0 , ∀x ∈ R+

(II) La funzione x → f(x) = x3, x ∈ [−1, 1], e convessa nell’intervallo [0, 1] ed econcava nell’intervallo [−1, 0].

Infatti

f ′′(x) = 6x e

≥ 0 se x ∈ [0, 1]

< 0 se x ∈ [−1, 0] .

(III) Si dimostri che se x e y sono numeri reali positivi allora ∀λ ∈ [0, 1]

xλy1−λ ≤ λx+ (1− λ) y . (VI.12.8)

La funzione t → log t e concava in R+∗ (cfr. esercizio I), quindi

log(λx+ (1− λ) y) ≥ λ log x+ (1− λ) log y = log[xλ y1−λ]. (VI.12.9)

Poiche t→ log t e crescente da (VI.12.9) segue (VI.12.8).

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190 Capitolo VI. Calcolo differenziale

VI.13 FUNZIONI CONVESSE IN UN PUNTO.

PUNTI DI FLESSO

Sia A un sottoinsieme di R, f una funzione reale definita in A e x◦ un punto internoad A. Supponiamo che f sia derivabile in x◦. Allora Gf ha retta tangente nel punto(x◦, f(x◦)) e questa retta tangente ha per equazione

y = ϕ(x) = f(x◦) + f ′(x◦)(x− x◦) . (VI.13.1)

Definizione VI.13.1. Si dice che f e convessa nel punto x◦ se esiste un intorno Udi x◦, contenuto in A, tale che sia

f(x)− ϕ(x) ≥ 0 , ∀x ∈ U . (VI.13.2)

Si dice che f e concava in x◦ se −f e convessa in x◦.

Il significato geometrico di questa definizione e evidente. Si osservi che unafunzione convessa in un punto x◦ non e necessariamente convessa in un intornodi x◦.

Definizione VI.13.2. Si dice che f ha un flesso nel punto x◦ se esiste un intornoU di x◦, contenuto in A, tale che

f(x)− ϕ(x)

x− x◦≥ 0 , ∀x ∈ U − {x◦} (VI.13.3)

oppure

f(x)− ϕ(x)

x− x◦≤ 0 , ∀x ∈ U − {x◦} . (VI.13.4)

Esempi.

(I) La funzione x→ f(x) = x3, x ∈ R, ha un flesso nel punto 0.

Infatti f ′(0) = 0, quindi l’equazione dellaretta tangente a Gf nel punto (0, 0) e

y = ϕ(x) = 0 .

Inoltre

f(x)− ϕ(x)

x=f(x)

x=x3

x= x2

e sempre positiva per x 6= 0.

0

(II) La funzione x→ f(x) = senx, x ∈ R, ha un flesso nel punto x = 0.

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VI.13. Funzioni convesse in un punto. Punti di flesso 191

Infattif ′(0) = cos 0 = 1 .

L’equazione della retta tangente a Gf nelpunto (0, 0) e

y = ϕ(x) = sen 0 + cos 0 · (x− 0) = x .

Infine

f(x)− ϕ(x)

x=

senx

x−1 < 0 , ∀x 6= 0 .

0

(III) La funzione x→ f(x) definita in R nel seguente modo

f(x) =

0 se x = 0

x2

∣∣∣∣sen1

x

∣∣∣∣ se x 6= 0

e convessa nel punto 0.

Infatti

f ′(0) = limx→0

x

∣∣∣∣sen1

x

∣∣∣∣ = 0 .

Quindi l’equazione della retta tangente a Gf nel punto (0, 0) e

y = ϕ(x) = 0 .

Infine ef(x)− ϕ(x) = f(x) ≥ 0 , ∀x ∈ R .

Si osservi che la funzione f non e convessa in un intorno dello 0. (La funzioneoscilla nell’intorno dello zero).

Supponiamo che la funzione f abbia la derivata prima in un intorno del punto x◦ ela derivata seconda nel punto x◦. In tali ipotesi si hanno questi teoremi:

Teorema VI.13.3. Condizione necessaria affinche f sia convessa in x◦ e che sia

f ′′(x◦) ≥ 0 . (VI.13.5)

Teorema VI.13.4. Condizione necessaria affinche f abbia un flesso nel punto x◦

e che siaf ′′(x◦) = 0 . (VI.13.6)

Dimostrazione Possiamo supporre che l’intorno U che compare nelle definizioniVI.13.1 e VI.13.2 sia un intervallo. Per tutti i punti x ∈ U vale la formula di Taylor

f(x) = f(x◦) + f ′(x◦) (x− x◦) +(x− x◦)2

2[f ′′(x◦) + σ(x)] (VI.13.7)

con σ infinitesimo quando x tende a x◦.

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192 Capitolo VI. Calcolo differenziale

Se f e convessa nel punto x◦, da (VI.13.2) e (VI.13.7) segue che

f ′′(x◦) + σ(x) ≥ 0 , ∀x ∈ U .

Quindif ′′(x◦) = lim

x→x◦[f ′′(x◦) + σ(x)] ≥ 0 .

Se f ha un flesso nel punto x◦ supponiamo, per fissare le idee, che valga la (VI.13.3).Allora da (VI.13.3) e (VI.13.7) segue che

(x− x◦)2

[f ′′(x◦) + σ(x)] ≥ 0 , ∀x ∈ U − {x◦} .

Quindif ′′(x◦) + σ(x) ≥ 0 se x ∈ U e x > x◦

f ′′(x◦) + σ(x) ≤ 0 se x ∈ U e x < x◦

Da queste relazioni si ottiene che

f ′′(x◦) = limx→x◦+

[f ′′(x◦) + σ(x)] ≥ 0

f ′′(x◦) = limx→x◦−

[f ′′(x◦) + σ(x)] ≤ 0 .

Conclusione: f ′′(x◦) = 0.Analogo discorso se vale la relazione (VI.13.4).

Le relazioni (VI.13.5) e (VI.13.6) non sono sufficienti a garantire che il punto x◦

e un punto di convessita o di flesso rispettivamente. La cosa si vede facilmente suun esempio: la funzione

x→ f(x) = −x4 , x ∈ R

ha, nello zero, derivata seconda nulla. Tuttavia x = 0 non e ne un punto di convessitane un punto di flesso per la funzione f .

La condizione (VI.13.4) ha una certa utilita nelle applicazioni: se f e una funzionederivabile due volte, gli eventuali punti di flesso di f vanno ricercati tra i puntinei quali si annulla la derivata seconda. Individuati questi punti e necessario fareun’indagine sul comportamento della funzione nell’intorno dei punti medesimi.

In relazione con il problema della ricerca dei punti di flesso e dei punti diconvessita di una funzione f puo essere utile il seguente teorema:

Teorema VI.13.5. Sia f una funzione reale definita in un intervallo (a, b) la qualeabbia in (a, b) le derivate fino all’ordine n − 1 (n ≥ 2) e abbia la derivata n-esimain un punto x◦ ∈ (a, b). Supponiamo che sia

f (n)(x◦) 6= 0

e, se n e maggiore di 2,

f ′′(x◦) = . . . = f (n−1)(x◦) = 0 .

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VI.13. Funzioni convesse in un punto. Punti di flesso 193

In tali ipotesi, se n e pari:

f (n)(x◦) > 0 =⇒ f e convessa in x◦ (VI.13.8)

f (n)(x◦) < 0 =⇒ f e concava in x◦ (VI.13.9)

Se invece n e dispari, x◦ e un punto di flesso per la funzione f .

Dimostrazione Sia

y = ϕ(x) = f(x◦) + f ′(x◦)(x− x◦)

l’equazione della retta tangente a Gf nel punto (x◦, f(x◦)).

PoniamoF (x) = f(x)− ϕ(x) , x ∈ (a, b) .

La funzione F (x) e derivabile n − 1 volte in (a, b), ha la derivata n-esima in x◦ einoltre

F ′(x◦) = 0

. . . . . . . . . . . . .

F (n−1)(x◦) = 0

F (n)(x◦) = f (n)(x◦) 6= 0

Quindi F verifica le ipotesi del teorema VI.11.1. Ne segue che se n e pari

f (n)(x◦) > 0 =⇒ x◦ e un punto di minimo relativo per F ,

f (n)(x◦) < 0 =⇒ x◦ e un punto di massimo relativo per F .(VI.13.10)

Tenuto conto che F (x◦) = 0, le (VI.13.10) equivalgono a dire che esiste un intornoU di x◦ contenuto in (a, b) tale che

f (n)(x◦) > 0 =⇒ f(x)− ϕ(x) = F (x) ≥ 0 , ∀x ∈ Uf (n)(x◦) < 0 =⇒ f(x)− ϕ(x) = F (x) ≤ 0 , ∀x ∈ U

Se invece n e dispari allora F e crescente oppure decrescente nel punto x◦, quindiesiste un intorno U di x◦, contenuto in (a, b) tale che

F (x)− F (x◦)

x− x◦=f(x)− ϕ(x)

x− x◦e > 0 oppure < 0 , ∀x ∈ U − {x◦} .

La tesi e dimostrata.

Esempio. Trovare i punti di flesso della funzione

x→ f(x) = x4 − 3x2 + 1 , x ∈ R .

Risulta

f ′(x) = 4x3 − 6x ; f ′′(x) = 12 x2 − 6 ; f ′′′(x) = 24 x ; f (4)(x) = 24

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194 Capitolo VI. Calcolo differenziale

e

f ′′(x) = 0 =⇒ x = ± 1√2

D’altra parte e

f ′′′(

1√2

)= 12

√2 > 0 e f ′′′

(−1√

2

)= −12

√2 < 0

Quindi1√2

e−1√

2sono (gli unici) punti di flesso della funzione f .

Il lettore completi lo studio del grafico della funzione in esame trovando i punti dimassimo, di minimo, gli intervalli di concavita e di convessita, i limiti di f per x chetende a +∞ e a −∞.

0

1

1√2

− 1√2

√3

2−√

3

2

* * *

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Capitolo VII

CALCOLO INTEGRALE PERFUNZIONI REALI DI UNAVARIABILE

In questo capitolo svilupperemo la teoria dell’integrale di Riemann per funzioni realidi una variabile reale. Definiremo innanzitutto l’integrale nella classe delle funzionisemplici e successivamente estenderemo l’operazione di integrazione ad una classepiu ampia di funzioni, che chiameremo integrabili secondo Riemann, le quali sonodefinite su tutta la retta reale e sono nulle fuori di un intervallo.

Definito l’integrale per funzioni siffatte se ne puo dedurre una teoria della misuraper insiemi della retta in modo molto semplice: si chiamano misurabili gli insiemidella retta la cui funzione caratteristica e integrabile e, per ogni insieme misurabile,si chiama misura di questo insieme l’integrale della sua funzione caratteristica.

Questo procedimento per definire l’integrale e la misura di un insieme si puoestendere, in modo del tutto formale, al caso di funzioni di piu variabili e di insiemidi Rn. Questa estensione verra considerata nella seconda parte del corso. In quellasede verra sviluppata la teoria della misura per insiemi di Rn la quale contiene,come caso particolare, anche il caso n = 1. Per questo motivo, ma sopratuttoperche ritengo scarsamente utile ai fini di questo corso una teoria della misura perinsiemi della retta, non ci soffermeremo su questo aspetto della teoria.

Introdotto l’integrale per funzioni R→ R e definiti gli insiemi misurabili si puodare la nozione di integrale per funzioni definite su un sottoinsieme misurabile di R.In accordo con quanto si e detto piu sopra, noi ci limiteremo a considerare il casoparticolare di funzioni definite su un intervallo.

Gli ultimi due paragrafi del capitolo sono dedicati alla definizione e alle proprietadell’integrale in senso generalizzato il quale costituisce una estensione abbastanzautile dell’integrale di Riemann.

195

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196 Capitolo VII. Calcolo integrale

VII.1 FUNZIONI SEMPLICI

Si chiama funzione caratteristica di un insieme A ⊂ R la funzione ϕA : R → Rdefinita in questo modo

ϕA(x) =

1 se x ∈ A

0 se x 6∈ A(VII.1.1)

In particolare ϕR e la funzione che vale 1 su tutto R e la funzione caratteristicadell’insieme vuoto vale 0 su tutto R.

Siano x0, x1, . . . , xn n+ 1 elementi di R

x0 < x1 < . . . < xn .

PostoA0 = (−∞, x0)

Ai = [xi−1, xi) i = 1, . . . , n

An+1 = [xn,+∞)

risulta

R =n+1⋃h=0

Ah .

Diremo che {Ah}h= 0, ..., n+1 costituisce una suddivisione di R.

Una funzione f : R → R si dice semplice se esiste una suddivisione {Ah}h=0,...,n+1

di R tale che, su ciascuno degli insiemi Ah, f e costante e in particolare vale zerosulle semirette A0 e An+1.

La suddivisione di R a partire dalla quale si puo definire una funzione semplicenon e unica 1 e due funzioni semplici su R, f e g, si possono sempre definire servendosidella stessa suddivisione di R 2. Poiche αϕA, α ∈ R, e la funzione che vale α neipunti di A e vale zero nei punti che non appartengono ad A, possiamo affermare cheuna funzione semplice su R non e altro che una combinazione lineare di un numerofinito di funzioni caratteristiche di intervalli aperti a destra e a due a due disgiunti;in simboli

f semplice su R ⇐⇒ f =n∑h=1

αh ϕAh (VII.1.2)

dove α1, . . ., αn ∈ R e A1, . . ., An sono intervalli aperti a destra e a due a duedisgiunti.

Indichiamo con S(R) o, piu semplicemente, con S la classe delle funzioni semplicisu R. Si dimostra facilmente che S e uno spazio vettoriale reale e un reticolo. Infatti,

1In particolare la funzione semplice che vale 0 su tutto R si puo definire a partire da unaqualunque suddivisione di R.

2Se f e g sono definite a partire dalla suddivisione di R ottenuta rispettivamente mediante ipunti x0, x1, . . . , xn e y0, y1, . . . , ym allora la suddivisione di R ottenuta mediante i punti x0, x1,. . . , xn, y0, y1, . . . , ym puo servire sia per definire la f che per definire la g.

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VII.1. Funzioni semplici 197

supponiamo che sia 3

f =n∑h=1

αh ϕAh

g =n∑h=1

βh ϕAh

(VII.1.3)

e sia λ un numero reale, allora

f + g =n∑h=1

(αh + βh)ϕAh

λ f =n∑h=1

λαh ϕAh

f ∨ g =n∑h=1

(αh ∨ βh)ϕAh

f ∧ g =n∑h=1

(αh ∧ βh)ϕAh .

E’ altresı evidente che

f ∈ S =⇒ |f | ∈ S

f , g ∈ S =⇒ f g ∈ S .

Infatti, supponendo valide le (VII.1.3), risulta

|f | =n∑h=1

|αh|ϕAh

e

f g =n∑

h,i=1

αh βi ϕAh ϕAi =n∑h=1

αh βh ϕAh(4)

Quindi S e una sottoalgebra di RR.

3Si ricordi l’osservazione fatta precedentemente secondo la quale due funzioni semplici si possonosempre definire a partire dallo stesso sistema di intervalli aperti a destra e a due a due disgiunti.

4Si osservi che, poiche gli intervalli Ah sono due a due disgiunti,

ϕAhϕAi =

0 se i 6= h

ϕAhse i = h .

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198 Capitolo VII. Calcolo integrale

VII.2 INTEGRALE DI FUNZIONI SEMPLICI

Sia f una funzione semplice su R

f =n∑h=1

αh ϕAh , Ah = [ah, bh) , h = 1, . . . , n .

Definizione VII.2.1. Si chiama integrale della funzione semplice f il numero reale

n∑h=1

αh (bh − ah) . (VII.2.1)

L’integrale della funzione semplice f si indica con i simboli

I(f) ,

∫Rf(x)dx ,

∫ +∞

−∞f(x)dx .

Osserviamo che I(f) non dipende dal particolare sistema di intervalli Ah del qualeci serviamo per definire la funzione f . La cosa risulta evidente se si pensa al signi-ficato geometrico della somma (VII.2.1); tuttavia e bene darne una dimostrazionerigorosa:Se A e l’intervallo [a, b), il numero (b − a) si chiama lunghezza o misura di A e siindica con il simbolo m(A). Cio posto, sia

f =n∑h=1

αh ϕAh =m∑i=1

βi ϕBi (VII.2.2)

Se f e identicamente nulla la tesi e banalmente vera; se f non e identicamente nullapossiamo supporre

αh 6= 0 (h = 1 , . . . , n) e βi 6= 0 (i = 1 , . . . , m) (VII.2.3)

Dobbiamo dimostrare che

n∑h=1

αhm(Ah) =m∑i=1

βhm(Bi) .

Da (VII.2.2) e (VII.2.3) segue che

Ah ∩Bi 6= ∅ =⇒ αh = βi(5) (VII.2.4)

Ah =m⋃i=1

Ah ∩Bi (h = 0 , . . . , n) (6) (VII.2.5)

Bi =n⋃h=1

Ah ∩Bi (i = 0 , . . . , m) . (VII.2.6)

5Scelto x ∈ Ah ∩Bi risulta αh = f(x) = βi.6Ovviamente e ∪mi=1Ah ∩Bi ⊂ Ah. Viceversa se x ∈ Ah allora e f(x) = αh 6= 0 e quindi x deve

appartenere ad almeno uno dei Bi.

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VII.2. Integrale di funzioni semplici 199

Conveniamo di porre m(∅) = 0; allora da (VII.2.4) segue che

αhm(Ah ∩Bi) = βim(Ah ∩Bi) h = 1, . . . , n e i = 1, . . . ,m .

mentre da (VII.2.5) e (VII.2.6) si ottiene

m(Ah) =m∑i=1

m(Ah ∩Bi) , h = 1, . . . , n

m(Bi) =n∑h=1

m(Ah ∩Bi) , i = 1, . . . ,m .

Pertanto

n∑h=1

αhm(Ah) =n∑h=1

αh

m∑i=1

m(Ah ∩Bi) =m∑i=1

n∑h=1

αhm(Ah ∩Bi) =

=m∑i=1

n∑h=1

βim(Ah ∩Bi) =m∑i=1

βi

n∑h=1

m(Ah ∩Bi) =m∑i=1

βim(Bi)

Dimostriamo alcune proprieta dell’integrale su S.

Teorema VII.2.2. Se f e g appartengono a S allora∫R(f + g)dx =

∫Rfdx +

∫Rgdx . (VII.2.7)

Dimostrazione Sia (cfr. nota 3)

f =n∑h=1

αh ϕAh e g =n∑h=1

βh ϕAh

allora

I(f + g) =n∑h=1

(αh + βh)mAh =n∑h=1

αhmAh +n∑h=1

βhmAh = I(f) + I(g) .

Teorema VII.2.3. Se f ∈ S e λ e un numero reale∫Rλ fdx = λ

∫Rfdx . (VII.2.8)

Dimostrazione Sia

f =n∑h=1

αh ϕAh

allora

I(λ f) =n∑h=1

λαh ϕAh = λn∑h=1

αh ϕAh = λ I(f) .

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200 Capitolo VII. Calcolo integrale

Teorema VII.2.4. Se f ∈ S e una funzione non negativa su R allora∫Rfdx ≥ 0 . (VII.2.9)

Dimostrazione Sia

f =n∑h=1

αh ϕAh .

Poichef(x) ≥ 0 , ∀x ∈ R ⇐⇒ αh ≥ 0 per h = 1, . . . , n

risulta

I(f) =n∑h=1

αhm(Ah) ≥ 0 .

Teorema VII.2.5. Se f ∈ S allora

|I(f)| ≤ I(|f |) . (VII.2.10)

Dimostrazione Sia

f =n∑h=1

αh ϕAh .

Allora

|I(f)| =

∣∣∣∣∣n∑h=1

αhm(Ah)

∣∣∣∣∣ ≤n∑h=1

|αh|m(Ah) = I(|f |) .

Consideriamo l’applicazione, definita sullo spazio vettoriale S a valori nello spa-zio R,

I : f → I(f) .

I teoremi (VII.2.2), (VII.2.3) e (VII.2.4) si possono riassumere nella seguente pro-posizione:

I : f → I(f) e una applicazione lineare e positiva su S.

Dalla positivita di questa applicazione segue che

Corollario VII.2.6. Se f e g appartengono ad S allora 7

f ≥ g =⇒ I(f) ≥ I(g) . (VII.2.11)

Infatti

f ≥ g ⇐⇒ f−g ≥ 0 =⇒ I(f−g) ≥ 0 ⇐⇒ I(f)−I(g) ≥ 0 ⇐⇒ I(f) ≥ I(g) .

7Ricordiamo chef ≥ g ⇐⇒ f(x) ≥ g(x) , ∀x ∈ R .

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VII.3. Funzioni integrabili secondo Riemann 201

VII.3 FUNZIONI INTEGRABILI SECONDO RIE-

MANN

In questo paragrafo prolungheremo l’applicazione I : S → R ad uno spazio vettorialedi funzioni che contiene S in senso proprio.Sia f una funzione reale, definita su R, limitata e nulla fuori di un intervallo.Indichiamo con S1 la classe delle funzioni semplici f1 che sono maggioranti della f

f1(x) ≥ f(x) , ∀x ∈ R .

Indichiamo con S2 la classe delle funzioni semplici f2 che sono minoranti della f

f2(x) ≤ f(x) , ∀x ∈ R . (8)

Per il corollario VII.2.6 si ha che

I(f2) ≤ I(f1) , ∀ f2 ∈ S2 e ∀ f1 ∈ S1 .

e quindisupf2∈S2

I(f2) ≤ inff1∈S1

I(f1)

Definizione VII.3.1. Se avviene che

supS2

I(f2) = infS1I(f1) = λ

diciamo che f e integrabile (secondo Riemann) e il numero λ si chiama integraledella f .

Se f e integrabile secondo Riemann, l’integrale della f si indica con gli stessi simboliusati nel caso delle funzioni semplici

I(f) ,

∫Rf(x)dx ,

∫ +∞

−∞f(x)dx

Dalla definizione VII.3.1 segue che

Teorema VII.3.2. Condizione necessaria e sufficiente affinche f sia integrabile eche ∀ ε > 0 esistano due funzioni semplici f1 ed f2 tali che

f2 ≤ f ≤ f1

I(f1 − f2) < ε .(VII.3.1)

Indichiamo con R(R) o, piu semplicemente, con R la classe delle funzioni inte-grabili su R. Questa classe non e vuota perche contiene S; inoltre per le funzionisemplici l’integrale calcolato secondo la definizione VII.3.1 coincide con l’integra-le calcolato mediante la formula (VII.2.1). Basta osservare che, se f e semplice,

8Le classi S1 ed S2 non sono vuote per le ipotesi fatte su f : si vede facilmente che condizionenecessaria e sufficiente perche f abbia delle maggioranti e delle minoranti in S e che f sia limitatae nulla fuori di un intervallo.

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202 Capitolo VII. Calcolo integrale

f appartiene sia alla classe S1 delle sue maggioranti sia alla classe S2 delle sueminoranti.

Nel paragrafo successivo dimostreremo con esempi che la classe R contiene pro-priamente S. La classeR e uno spazio vettoriale reale, un reticolo e una sottoalgebradi RR; inoltre l’applicazione I : f → I(f), definita in R e a valori in R, e lineare epositiva. Questo e quanto proveremo con i teoremi che seguono.

Teorema VII.3.3. Se f, g ∈ R allora (f + g) ∈ R e∫R(f + g) dx =

∫Rf dx +

∫Rg dx . (VII.3.2)

Dimostrazione Le funzioni f e g sono integrabili quindi ∀ ε > 0 esistono quattrofunzioni semplici f1, f2, g1, g2 tali che

f2 ≤ f ≤ f1

g2 ≤ g ≤ g1

I(f1)− I(f2) <ε

2

I(g1)− I(g2) <ε

2

Da queste relazioni segue che

f2 + g2 ≤ f + g ≤ f1 + g1 (VII.3.3)

e 9

I(f1 + g1)− I(f2 + g2) = I(f1)− I(f2) + I(g1)− I(g2) <ε

2+ε

2= ε (VII.3.4)

f1 + g1 e f2 + g2 sono funzioni semplici 10; quindi, per il teorema VII.3.2, f + g eintegrabile. Inoltre, per definizione di integrale, si ha che

I(f2) ≤ I(f) ≤ < I(f1)

I(g2) ≤ I(g) ≤ < I(g1)(VII.3.5)

I(f2 + g2) ≤ I(f + g) ≤ (f1 + g1) . (VII.3.6)

Dalla (VII.3.5) segue che

I(f2 +g2) = I(f2)+I(g2) ≤ I(f)+I(g) ≤ I(f1)+I(g1) = I(f1 +g1) . (VII.3.7)

Quindi, per (VII.3.6) e (VII.3.4), risulta

|I(f + g)− I(f)− I(g)| ≤ |I(f1 + g1)− I(f2 + g2)| < ε .

Questa relazione e vera per ogni ε > 0, ne segue che

I(f + g)− I(f)− I(g) = 0 .

9Si ricordi che l’integrale e lineare su S.10Si ricordi che S e uno spazio vettoriale.

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VII.3. Funzioni integrabili secondo Riemann 203

Teorema VII.3.4. Se f ∈ R e λ e un numero reale allora λ f ∈ R e∫Rλ f dx = λ

∫Rf dx . (VII.3.8)

Dimostrazione Se λ = 0 il teorema e banale. Studiamo separatamente i due casi:λ > 0 e λ < 0.

(i) λ > 0. Poiche f e integrabile, ∀ ε > 0 esistono due funzioni semplici f1 e f2

tali che

f2 ≤ f ≤ f1

I(f1 − f2) <ε

λ.

Ne segue che

λ f2 ≤ λ f ≤ λ f1

I(λ f1)− I(λ f2) = λ I(f1 − f2) < ε .(VII.3.9)

λ f1 e λ f2 sono funzioni semplici quindi λ f e integrabile.

Per definizione di integrale risulta

I(f2) ≤ I(f) ≤ I(f1) (VII.3.10)

I(λ f2) ≤ I(λ f) ≤ I(λ f1) . (VII.3.11)

Da (VII.3.10) segue che

I(λ f2) = λ I(f2) ≤ λ I(f) ≤ λ I(f1) = I(λ f1) . (VII.3.12)

Quindi, da (VII.3.11), (VII.3.12) e (VII.3.9),

|I(λ f)− λ I(f)| ≤ I(λ f1)− I(λ f2) < ε .

Questa relazione deve valere ∀ ε > 0, di conseguenza

I(λ f)− λ I(f) = 0 .

(ii) λ < 0. Per ogni ε > 0 esistono due funzioni semplici f1 e f2 tali che

f2 ≤ f ≤ f1

I(f1 − f2) < − ελ.

Ne segue che

λ f1 ≤ λ f ≤ λ f2

I(λ f2)− I(λ f1) = λ I(f2 − f1) < ε .

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204 Capitolo VII. Calcolo integrale

Quindi λ f e integrabile e si hanno le relazioni

I(f2) ≤ I(f) ≤ I(f1)

λ I(f1) ≤ λ I(f) ≤ λ I(f2)

λ I(f1) ≤ I(λ f) ≤ λ I(f2) .

Ne segue che

|I(λ f)− λ I(f)| ≤ I(λ f2)− I(λ f1) < ε.

Questo implica, per l’arbitrarieta di ε, che I(λ f)− λ I(f) = 0.

Teorema VII.3.5. Se f e integrabile e non negativa su R allora∫Rf dx ≥ 0 .

Dimostrazione Poiche e f ≥ 0, tra le funzioni semplici minoranti della f c’e anchela funzione identicamente nulla su R, quindi∫

Rf dx ≥

∫R

0 dx = 0 .

Per dimostrare che R e un reticolo premettiamo il seguente lemma

Lemma VII.3.6. Se a, b, c, d sono numeri reali e a ≤ b, c ≤ d allora

b ∨ d− a ∨ c ≤ (b+ d)− (a+ c) . (VII.3.13)

Dimostrazione Distinguiamo questi due casi

(1) b ≤ d e a ≤ c

(2) b ≤ d e a ≥ c

Nel primo caso

b ∨ d− a ∨ c = d− c ≤ d− c+ (b− a) = (d+ b)− (a+ c) .

Nel secondo caso

b ∨ d− a ∨ c = d− a ≤ d− a+ (b− c) = (d+ b)− (a+ c).

Teorema VII.3.7. Se f e g sono integrabili allora f ∨ g e f ∧ g sono integrabili.

Dimostrazione f e g sono integrabili quindi ∀ ε > 0 esistono quattro funzionisemplici f1, f2, g1, g2 tali che

f2 ≤ f ≤ f1

g2 ≤ g ≤ g1

I(f1)− I(f2) ≤ ε2

I(g1)− I(g2) ≤ ε2

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VII.3. Funzioni integrabili secondo Riemann 205

Ne segue chef2 ∨ g2 ≤ f ∨ g ≤ f1 ∨ g1 ;

inoltre, per il lemma VII.3.6 e per la monotonia dell’integrale,

I(f1 ∨ g1 − f2 ∨ g2) ≤ I(f1 + g1 − f2 − g2) < ε .

Quindi f ∨ g e integrabile.Per quanto riguarda f ∧ g l’integrabilita segue dalla relazione

f ∧ g = −(−f) ∨ (−g)

e da quanto si e dimostrato piu sopra.

Teorema VII.3.8. Se f ∈ R anche |f | ∈ R e

|I(f)| ≤ I(|f |) . (VII.3.14)

Dimostrazione f e integrabile, quindi −f e integrabile, quindi |f | = f ∨ (−f) eintegrabile. Inoltre dalla relazione

−|f | ≤ f ≤ |f |

segue che−I(|f |) ≤ I(f) ≤ I(|f |)

per cui|I(f)| ≤ I(|f |) .

Teorema VII.3.9. Se f e g sono integrabili anche f g e integrabile.

Dimostrazione Supponiamo f ≥ 0 e g ≥ 0; ∀ ε > 0 esistono quattro funzionisemplici f1, f2, g1, g2 tali che

0 ≤ f2 ≤ f ≤ f1

0 ≤ g2 ≤ g ≤ g1

I(f1 − f2) ≤ ε

I(g1 − g2) ≤ ε

Ne segue chef2 g2 ≤ f g ≤ f1 g1 (VII.3.15)

e

I(f1g1−f2g2) = I([f1−f2]g1+f2[g1−g2]) = I([f1−f2]g1)+I(f2[g1−g2]) . (VII.3.16)

Posto

G1 = supR|g1|

F2 = supR|f2|

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206 Capitolo VII. Calcolo integrale

da (VII.3.16) si ha che

I(f1g1 − f2g2) ≤ I(f1 − f2)G1 + F2 I(g1 − g2) ≤ ε(G1 + F2) . (VII.3.17)

Le relazioni (VII.3.15) e (VII.3.17) assicurano che f g e integrabile.Discorso analogo se f ≤ 0 e g ≤ 0. Infine se f e g non sono entrambe non negativeoppure entrambe non positive ci si riconduce ai casi precedenti osservando che

f = f ∨ 0 + f ∧ 0

g = g ∨ 0 + g ∧ 0 .

VII.4 ESEMPI DI FUNZIONI INTEGRABILI

(I) Indichiamo con C0◦(R) la classe delle funzioni continue su R e nulle fuori di

un intervallo. Dimostriamo che

f ∈ C0◦(R) =⇒ f ∈ R(R) . (VII.4.1)

Sia f ∈ C0◦(R) e sia [a, b) un intervallo fuori del quale f si annulla. La funzione

f e uniformemente continua su R quindi ∀ ε > 0 esiste un δ(ε) > 0 tale che

|x′ − x′′| < δ(ε) =⇒ |f(x′)− f(x′′)| < ε

b− a.

Dividiamo l’intervallo [a, b) in intervalli di ampiezza minore di δ(ε) mediantei punti

x0 = a < x1 < x2 < . . . < xn = b

e poniamoAh = [xh−1, xh)

Mh = maxAh

f h = 1, . . . , n

mh = minAh

f .

Consideriamo le funzioni semplici

f1 =n∑h=1

Mh ϕAh , f2 =n∑h=1

mh ϕAh .

Si ha ovviamentef2 ≤ f ≤ f1 .

Inoltre, tenuto conto del fatto che

Mh −mh <ε

b− a

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VII.4. Esempi di funzioni integrabili 207

per h = 1, . . . , n, risulta

I(f1 − f2) =n∑h=1

(Mh −mh)m(Ah) <ε

b− a

n∑h=1

m(Ah) = ε .

Quindi f e integrabile.

(II) Una funzione f la quale sia nulla su R eccetto che in un numero finito di puntix1, x2, . . . , xn e integrabile e ha integrale nullo.

Supponiamo

x1 < x2 < . . . < xn .

Posto 2 δ = min2≤i≤n

d(xi−xi−1), fissiamo un ε positivo e minore di δ e indichiamo

con Ah l’intervallo [xh−ε, xh+ε) con h = 1, . . . , n. Gli intervalli Ah sono apertia destra e a due a due disgiunti. Poniamo

M = max1≤h≤n

|f(xh)|

e consideriamo le due funzioni semplici

f1 =n∑h=1

M ϕAh , f2 = −n∑h=1

M ϕAh .

Ovviamente

f2 ≤ f ≤ f1

I(f1) = 2 ε n M

I(f2) = −2 ε n M

I(f1)− I(f2) = 4 ε nM .

Ne segue che f e integrabile e che

−2 ε nM = I(f2) ≤ I(f) ≤ I(f1) = 2 ε n M

ossia

|I(f)| ≤ 2 ε nM .

Per l’arbitrarieta di ε deve essere necessariamente I(f) = 0.

Ne viene come corollario che se f e una funzione integrabile e g e una funzioneche differisce da f solo in un numero finito di punti, anche g e integrabile eI(f) = I(g).

Questo ci assicura in sostanza che dovendo calcolare l’integrale di una funzioneintegrabile f noi possiamo cambiare i valori che f assume in un numero finitodi punti senza alterare il valore dell’integrale.

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208 Capitolo VII. Calcolo integrale

(III) Una funzione f continua su R, tranne che in un numero finito di punti, laquale sia limitata e nulla fuori di un intervallo e integrabile su R.

Supponiamo che f sia discontinua nei punti x1, x2, . . . , xn

x1 < x2 < . . . < xn .

Sia (a, b) un intervallo il quale contiene tutti i punti xh e tale che fuori diquesto intervallo f sia nulla. Sia

2 δ = min{d(a, x1), d(x1, x2), . . . , d(xn, b)} .

Per ogni ε positivo e minore di δ poniamo

Ah = [xh − ε, xh + ε)

A =n⋃h=1

Ah .

La funzione f ristretta a [a, b) − A e uniformemente continua quindi esiste unδ(ε) > 0 tale che

x′, x′′ ∈ [a, b) − A e |x′ − x′′| ≤ δ(ε) =⇒ |f(x′)− f(x′′)| < ε .

Dividiamo [a, b)− A in intervalli B1, B2, . . . , Bk aperti a destra e a due a duedisgiunti e di lunghezza non superiore a δ(ε).

Poniamo

L = supRf ; ` = inf

Rf ; Mi = max

Bif , mi = min

Bif (i = 1, . . . , k)

Consideriamo le funzioni semplici

f1 =k∑i=1

Mi ϕBi +n∑h=1

LϕAh

f2 =k∑i=1

mi ϕBi +n∑h=1

` ϕAh

Ovviamentef2 ≤ f ≤ f1

e

I(f1)− I(f2) =k∑i=1

(Mi −mi)m(Bi) + (L− `)n∑h=1

m(Ah) ≤

≤ ε

k∑i=1

m(Bi) + (L− `) 2 ε n ≤ ε [b− a+ (L− `) 2n] .

Questo prova che f e integrabile.

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VII.5. Integrale di funzioni definite su un intervallo 209

VII.5 INTEGRALE DI FUNZIONI DEFINITE

SU UN INTERVALLO

Sia f una funzione reale definita sull’intervallo [a, b]. Indichiamo con f ∗ il prolun-gamento di f ad R definito in questo modo

f ∗(x) =

f(x) se x ∈ [a, b]

0 se x 6∈ [a, b](VII.5.1)

Definizione VII.5.1. Diciamo che f e integrabile in [a, b] se la funzione f ∗ e in-tegrabile su R . In tal caso il numero I(f ∗) si chiama integrale della f estesoall’intervallo [a, b] e si indica con i simboli∫

[a,b]

f(x)dx ,

∫ b

a

f(x)dx .

Per quanto si e dimostrato nell’esempio III del paragrafo 4, l’integrabilita e l’inte-grale della funzione f non dipendono dai valori che f assume negli estremi a e bdell’intervallo di definizione. Quindi non e restrittivo supporre, come noi faremo nelseguito, che la funzione f sia definita su un intervallo chiuso perche a questo caso cisi puo sempre ricondurre definendo in modo arbitrario la funzione f nei punti a e b.

Gli esempi studiati nel paragrafo 4 suggeriscono alcune classi di funzioni inte-grabili su un intervallo.Sono integrabili su [a, b] le funzioni continue; piu in generale sono integrabili lefunzioni limitate e continue in [a, b] eccezion fatta per un numero finito di punti.Infatti, in entrambi questi casi, il prolungamento f ∗ e una funzione che verifica leipotesi formulate nell’esempio II del paragrafo 4 e quindi e integrabile su R.

Una funzione integrabile su [a, b] e necessariamente limitata su [a,b], pero si provafacilmente con esempi che la limitatezza non e sufficiente a garantire l’integrabilita.Si consideri la funzione di Dirichlet definita sull’intervallo [0, 1] in questo modo

f(x) =

1 se x e razionale

0 se x e irrazionale(VII.5.2)

Questa funzione e limitata ma non e integrabile sull’intervallo [0, 1]: infatti f ∗ vale 1nei punti razionali dell’intervallo [0, 1] e vale 0 in tutti gli altri punti di R. Indichiamocon f1 e f2 la classe delle funzioni semplici maggioranti e minoranti la f ∗. Ognifunzione f1 ∈ S1 e non negativa e in particolare e ≥ 1 nei punti dell’intervallo [0, 1];ogni funzione f2 ∈ S2 e non positiva. Ne segue che

supS2

I(f2) = 0 < 1 = infS1I(f1) .

Indichiamo conR(a, b) la classe delle funzioni reali integrabili sull’intervallo [a, b].Questa classe ha le stesse proprieta di struttura della classe R(R) in quanto

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210 Capitolo VII. Calcolo integrale

f integrabile su [a, b] ⇐⇒ f ∗ integrabile su R.

Quindi R(a, b) e uno spazio vettoriale reale, un reticolo e una sottoalgebra di R[a,b];inoltre

f →∫ b

a

f(x) dx

e una applicazione di R(a, b) in R lineare e positiva.

Questo significa che si hanno le seguenti proposizioni:

f, g ∈ R(a, b) =⇒ f + g ∈ R(a, b) ,

∫ b

a

(f + g) dx =

∫ b

a

f dx+

∫ b

a

g dx (VII.5.3)

f ∈ R(a, b) , λ ∈ R =⇒ λ f ∈ R(a, b) ,

∫ b

a

λ f dx = λ

∫ b

a

g dx (VII.5.4)

f ∈ R(a, b) =⇒ f g , f ∨ g , f ∧ g ∈ R(a, b) (VII.5.5)

f ∈ R(a, b) , f ≥ 0 su [a, b] =⇒∫ b

a

f dx ≥ 0 (VII.5.6)

f ∈ R(a, b) =⇒ |f | ∈ R(a, b) ,

∣∣∣∣∫ b

a

f dx

∣∣∣∣ ≤ ∫ b

a

|f | dx (VII.5.7)

Se f e una funzione reale definita su un insieme A ⊂ R e [a, b] e un intervallocontenuto in A, si dice che f e integrabile su [a, b] se f|[a,b] e integrabile su [a, b] e sipone ∫ b

a

f(x) dx =

∫ b

a

f|[a,b] dx .

E’ utile, per quanto diremo nel seguito, attribuire un significato al simbolo∫ b

a

f dx

anche nel caso in cui a = b oppure e a > b. Si pone, per definizione,∫ a

a

f dx = 0

∫ b

a

f dx = −∫ a

b

f dx se a > b .

(VII.5.8)

Cio posto dimostriamo alcune proprieta dell’integrale esteso a un intervallo.

Teorema VII.5.2. Se f e una funzione reale integrabile su [a, b] e [c, d ] e unintervallo contenuto in [a, b] allora f e integrabile su [c, d ].

Dimostrazione Indichiamo con f ∗ e f ∗1 i prolungamenti ad R delle funzioni f|[a,b]e f|[c,d ], prolungamenti che valgono zero rispettivamente al di fuori degli intervalli[a, b] e [c, d ]. Allora

f ∗1 = f ∗ · ϕ[c,d ] .

Per ipotesi f ∗ e integrabile su R e ϕ[c,d ] e integrabile su R perche e una funzionesemplice, ne segue che f ∗ · ϕ[c,d ] e integrabile su R (cfr. teor. VII.3.9).

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VII.5. Integrale di funzioni definite su un intervallo 211

Teorema VII.5.3. Se f e una funzione integrabile su [a, b] e c e un punto internoall’intervallo [a, b] allora∫ b

a

f dx =

∫ c

a

f dx +

∫ b

c

f dx . (VII.5.9)

Dimostrazione Per quanto si e dimostrato nel teorema VII.5.2, f e integrabilesugli intervalli [a, c] e [c, d ]. Si tratta di provare la relazione (VII.5.9). Poniamo

J = [a, b] , I1 = [a, c] , I2 = [c, b]

e indichiamo con f ∗, f ∗1 , f ∗2 i prolungamenti ad R delle funzioni f|J , f|I1 , f|I2 , pro-lungamenti che valgono zero rispettivamente al di fuori degli intervalli J , I1 e I2.Allora

ϕI1 + ϕI2 = ϕJ + ϕ{c}

f ∗1 = f ∗ · ϕI1f ∗2 = f ∗ · ϕI2∫Rf ∗ · ϕ{c} dx = 0 (11)

Ne segue che∫ c

a

f dx +

∫ b

c

f dx =

∫Rf ∗1 dx +

∫Rf ∗2 dx =

∫Rf ∗{ϕI1 + ϕI2} dx =

=

∫Rf ∗ dx +

∫Rf ∗ · ϕ{c} =

∫Rf ∗ dx =

∫ b

a

f dx

Se f e una funzione integrabile sull’intervallo [a, b], a < b, il numero

1

b− a

∫ b

a

f dx (VII.5.10)

si chiama media integrale di f su [a, b].

Teorema VII.5.4. Se f e integrabile su [a, b] e L e ` sono l’estremo superiore einferiore di f in [a, b] 12 risulta

` ≤ 1

b− a

∫ b

a

f dx ≤ L . (VII.5.11)

Dimostrazione Indichiamo con f ∗ la funzione definita su R la quale coincide conf nei punti di [a, b] ed e nulla fuori dell’intervallo [a, b] e indichiamo con f1 e f2

queste due funzioni semplici

f1 = Lϕ[a,b]

f2 = ` ϕ[a,b] .

11Cfr. esempio II, paragrafo 4.12Si ricordi che se f e integrabile allora f e limitata.

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212 Capitolo VII. Calcolo integrale

Ovviamente ef2 ≤ f ∗ ≤ f1

per cuiI(f2) ≤ I(f ∗) ≤ I(f1) .

Questa relazione si puo scrivere nel seguente modo

` (b− a) ≤∫ b

a

f dx ≤ L (b− a)

e di qui la tesi.

Il teorema precedente afferma che la media integrale di f su [a, b] e un numerocompreso tra inf [a,b] f e sup[a,b] f .In particolare, se f e una funzione continua su [a, b] deve esistere almeno un puntoξ ∈ [a, b] tale che

1

b− a

∫ b

a

f dx = f(ξ) . (VII.5.12)

Tenendo presente la convenzione (VII.5.9) e facile verificare che le relazioni (VII.5.11)e (VII.5.12) restano vere anche nel caso in cui a sia maggiore di b.

VII.6 OSSERVAZIONI RELATIVE ALL’INTE-

GRALE DI UNA FUNZIONE CONTINUA

Sia f una funzione reale definita sull’intervallo [a, b]. Le considerazioni che svolge-remo in questo paragrafo si possono fare per una qualunque funzione integrabile su[a, b]; tuttavia, per semplicita, noi supporremo che f sia continua su [a, b].

Dividiamo [a, b] in un numero finito di intervalli A1, A2, . . . , An, a due a due senzapunti interni a comune. In ogni intervallo Ah scegliamo un punto ξh e consideriamola sommatoria

σ =n∑h=1

f(ξh)m(Ah) . (VII.6.1)

Al variare della suddivisione {Ah}h=1, ..., n e al variare della scelta dei punti ξh, σ de-

scrive un insieme di numeri reali S. Si dimostra facilmente che∫ baf dx e un numero

che appartiene alla chiusura di S. Infatti, ∀ ε > 0 esiste un δ(ε) > 0 tale che

x1, x2 ∈ [a, b] e |x1 − x2| < δ(ε) =⇒ |f(x1)− f(x2)| < ε

b− a. (VII.6.2)

Fissato ε dividiamo l’intervallo [a, b] in un numero finito di intervalli Ai, a due a duesenza punti interni a comune e di lunghezza minore di δ(ε). Posto

`i = infAi

f , Li = supAi

f

risultaLi − `i <

ε

b− a(i = 1, . . . , n) .

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VII.6. Osservazioni relative all’integrale di una funzione continua 213

In ogni intervallo Ai scegliamo un punto ξi e consideriamo la sommatoria (VII.6.1).Si ha

n∑i=1

`im(Ai) ≤ σ ≤n∑i=1

Lim(Ai) (VII.6.3)

D’altra parte, per il teorema della media integrale,

`im(Ai) ≤∫Ai

f dx ≤ Lim(Ai)

quindin∑i=1

`im(Ai) ≤∫ b

a

f dx ≤n∑i=1

Lim(Ai) (VII.6.4)

Da (VII.6.3) e (VII.6.4) segue che∣∣∣∣∫ b

a

f dx − σ

∣∣∣∣ ≤ n∑i=1

(Li − `i)m(Ai) < ε (VII.6.5)

La dimostrazione precedente non solo prova che∫ bafdx e aderente all’insieme S ma,

di piu, che ∀ ε > 0 esiste un δ(ε) > 0 tale che la disuguaglianza (VII.6.5) sussiste∀σ ∈ S costruito a partire da una suddivisione di [a, b] in intervalli di lunghezzaminore di δ(ε) e qualunque sia la scelta dei punti ξi.

Si dimostra facilmente che questa proprieta caratterizza l’integrale∫ baf dx. In-

fatti supponiamo che λ sia un numero reale che gode la proprieta sopradetta; perogni ε > 0 scegliamo δ(ε) > 0 in modo che valga (VII.6.2); allora per ogni σ ∈ Srelativo ad una suddivisione di [a, b] in intervalli di ampiezza minore di δ(ε) si ha∣∣∣∣∫ b

a

f dx − σ

∣∣∣∣ < ε . (VII.6.6)

Inoltre esiste un δ1(ε) ≤ δ(ε) tale che ∀σ1 ∈ S relativo ad una suddivisione di [a, b]in intervalli di lunghezza minore di δ1(ε) si ha

|λ− σ1| < ε . (VII.6.7)

Possiamo supporre, data l’arbitrarieta nella scelta dei punti ξi, che σ e σ1 sianocostruiti a partire dalla stessa suddivisione {Ai}i=1, ..., n dell’intervallo [a, b] per cui e

|σ − σ1| ≤n∑i=1

(Li − `i)m(Ai) < ε . (VII.6.8)

Da (VII.6.6), (VII.6.7) e (VII.6.8) segue che∣∣∣∣∫ b

a

f dx − λ

∣∣∣∣ < 2 ε+ |σ − σ1| < 3 ε .

Per l’arbitrarieta di ε: ∫ b

a

f dx = λ .

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214 Capitolo VII. Calcolo integrale

Il fatto che

∫ b

a

f dx sia aderente ad S assicura che esistono delle successioni {σn}di elementi di S tali che ∫ b

a

f dx = limn→∞

σn .

Un modo per costruire delle successioni {σn} siffatte puo essere questo: per ognin ≥ 1 dividiamo l’intervallo [a, b] in n intervalli Ai tutti di uguale lunghezza e inognuno di questi intervalli scegliamo un punto ξi secondo una legge ben determinata(ad esempio ξi coincidente con uno degli estremi oppure con il punto di mezzodell’intervallo Ai). Posto

σn =n∑i=1

f(ξi)b− an

risulta ∫ b

a

f dx = limn→∞

σn = (b− a) limn→∞

1

n

n∑i=1

f(ξi) .

Infatti ∀ ε > 0 esiste un δ(ε) > 0 che rende vera la proposizione (VII.6.2); diconseguenza e ∣∣∣∣∫ b

a

f(x) dx − σn

∣∣∣∣ < ε

per ogni intero n >b− aδ(ε)

.

Esempio. Si voglia calcolare l’integrale∫ 1

0x dx.

Fissato n dividiamo l’intervallo [0, 1] in n parti uguali mediante i punti

xh =h

n, h = 0, . . . , n .

0 1

Per ogni h scegliamo ξh = xh. Allora

σn =n∑h=1

f(xh)(xh − xh−1) =1

n2

n∑h=1

h =n(n+ 1)

2n2.

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VII.7. Funzione integrale. Primitive. Integrale indefinito 215

Quindi ∫ 1

0

x dx = limn→∞

σn = limn→∞

n (n+ 1)

2n2=

1

2.

Naturalmente potevamo scegliere ξh = xh−1. In questo caso

σ′n =1

n2

n∑h=1

(h− 1) =n(n− 1)

2n2

e ∫ 1

0

x dx = limn→∞

σ′n = limn→∞

n(n− 1)

2n2=

1

2.

0 1

σn approssima l’integrale

∫ 1

0

x dx per eccesso mentre σ′n lo approssima per difetto:

σ′n <

∫ 1

0

x dx < σn , ∀n > 1

e

σn − σ′n =1

n.

Quindi, ∀n ≥ 1, σ′n e σn approssimano l’integrale

∫ 1

0

x dx con un errore che non e

superiore a1

n.

VII.7 FUNZIONE INTEGRALE. PRIMITIVE. IN-

TEGRALE INDEFINITO

Sia f una funzione integrabile sull’intervallo [a, b], a < b. La funzione

x→ F (x) =

∫ x

a

f(t) dt , x ∈ [a, b] (VII.7.1)

si chiama funzione integrale della f sull’intervallo [a, b].

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216 Capitolo VII. Calcolo integrale

Teorema VII.7.1. Se f e integrabile in [a, b] allora F e lipschitziana in [a, b] equindi e continua in [a, b].

Dimostrazione La funzione f e limitata in [a, b]. Poniamo

L = sup[a,b]

|f | .

Per ogni coppia di punti x, y ∈ [a, b] risulta

F (x)− F (y) =

∫ x

a

f(t) dt−∫ y

a

f(t) dt =

∫ x

y

f(t) dt .

Quindi

|F (x)− F (y)| ≤∣∣∣∣∫ x

y

|f(t)| dt∣∣∣∣ ≤ ∣∣∣∣∫ x

y

Ldt

∣∣∣∣ = L |x− y| . (VII.7.2)

Teorema VII.7.2. Se f e integrabile in [a, b] ed e continua nel punto x◦ ∈ [a, b]allora F e derivabile nel punto x◦ e

F ′(x◦) = f(x◦) . (VII.7.3)

Dimostrazione Per ogni x ∈ [a, b] − {x◦} risulta

F (x)− F (x◦)

x− x◦=

1

x− x◦

∫ x

x◦f(t) dt . (VII.7.4)

Indichiamo con `(x) e L(x) l’estremo inferiore e l’estremo superiore di f nell’in-tervallo di estremi x e x◦. Da (VII.7.4) e dal teorema della media integrale segueche

`(x) ≤ F (x)− F (x◦)

x− x◦≤ L(x) . (VII.7.5)

D’altra parte f e continua in x◦, quindi fissato ε > 0 esiste un intorno U di x◦ taleche

x ∈ U ∩ [a, b] =⇒ f(x◦)− ε < f(x) < f(x◦) + ε

di conseguenza

x ∈ U ∩ [a, b] =⇒ f(x◦)− ε ≤ `(x) ≤ L(x) ≤ f(x◦) + ε . (VII.7.6)

Da (VII.7.5) e (VII.7.6) segue che

x ∈ U ∩ [a, b] − {x◦} =⇒ f(x◦)− ε ≤ F (x)− F (x◦)

x− x◦≤ f(x◦) + ε .

Cio equivale a dire che

limx→x◦

F (x)− F (x◦)

x− x◦= f(x◦) .

Corollario VII.7.3. Se f e continua in [a, b] allora F e derivabile in [a, b] e

F ′(x) = f(x) , ∀x ∈ [a, b] .

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VII.7. Funzione integrale. Primitive. Integrale indefinito 217

Questo risultato suggerisce il seguente problema: consideriamo l’equazione differen-ziale

F ′ = f (VII.7.7)

dove f e una funzione assegnata sull’intervallo [a, b]. Ci chiediamo se esiste unafunzione F derivabile in [a, b] la quale verifica l’equazione (VII.7.7). 13 Ogni funzioneF che verifica l’equazione (VII.7.7) in [a, b] si chiama primitiva della f in [a, b].L’equazione (VII.7.7) non ha sempre soluzione, in altri termini non tutte le funzionif : [a, b]→ R ammettono una primitiva. La cosa si puo dimostrare facilmente tenen-do conto di certe proprieta di cui godono le “funzioni derivate” come, ad esempio,queste

(i) Se F ′(a)F ′(b) < 0 allora esiste un punto ξ interno ad [a, b] tale che F ′(ξ) = 0.

(ii) F ′ assume in [a, b] tutti i valori compresi tra F ′(a) e F ′(b).

A queste proprieta delle funzioni derivate corrispondono altrettante condizioni ne-cessarie cui deve verificare la f affinche l’equazione (VII.7.7) abbia soluzione.

* * *

Dimostrazione di (i). Supponiamo che sia F ′(a) > 0 e F ′(b) < 0. AlloraF (x)− F (a)

x− ae positiva in un intorno di a e

F (b)− F (x)

b− xe negativa in un intorno

di b; quindi

F (x) > F (a) in un intorno di a

F (x) > F (b) in un intorno di b.

D’altra parte F e continua in [a, b], quindi ha massimo in [a, b]; questo massimo nonpuo essere assunto ne in a ne in b, pertanto sara assunto in un punto ξ interno ad[a, b]. Ne viene, per un teorema dimostrato a suo tempo, che F ′(ξ) = 0. Discorsoanalogo se F ′(a) < 0 e F ′(b) > 0.

Dimostrazione di (ii). Supponiamo che sia F ′(a) < λ < F ′(b). Consideriamola funzione g(x) = F (x)− λ (x− a).g e derivabile in [a, b], inoltre g′(a) = F ′(a)−λ < 0 e g′(b) = F ′(b)−λ > 0 e quindi,per la proposizione (i), esiste un punto ξ ∈ (a, b) tale che g′(ξ) = 0. Cio significa che

F ′(ξ)− λ = g′(ξ) = 0 .

Quindi F ′(ξ) = λ.Discorso analogo se F ′(a) > λ > F ′(b).

* * *13Cio significa che F ′(x) = f(x) , ∀x ∈ [a, b].

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218 Capitolo VII. Calcolo integrale

In relazione all’equazione (VII.7.7) si possono fare alcune considerazioni di caratteregenerale:

(I) Se F e soluzione dell’equazione (VII.7.7) e λ e un numero reale, F + λ esoluzione dell’equazione (VII.7.7).

(II) Se F e G sono soluzioni dell’equazione (VII.7.7) allora F − G e costante su[a, b]. Posto ϕ = F −G, ϕ e derivabile in [a, b] e

ϕ′ = F ′ −G′ = f − f = 0 in [a, b] .

Ne segue che ϕ e costante in [a, b].

(III) Se F e una soluzione dell’equazione (VII.7.7) e Φ e la classe di tutte le soluzionidell’equazione medesima, allora

Φ = {F + λ , λ ∈ R} .

Questa proposizione segue banalmente da (I) e (II). Alla classe Φ si da il nomedi integrale indefinito della funzione f e si indica abitualmente con il simbolo∫f dx.

Il corollario VII.7.3 e le considerazioni precedenti ci assicurano che ogni funzionecontinua su [a, b] ha una famiglia infinita di primitive. Una primitiva di f e costi-

tuita dalla funzione integrale x →∫ x

a

f(t) dt e l’integrale indefinito della f si puo

rappresentare in questo modo∫f dx =

{∫ x

a

f(t) dt + λ , λ ∈ R}. (VII.7.8)

Dalla relazione (VII.7.8) segue questo teorema che e di fondamentale importanzaper il calcolo integrale

Teorema VII.7.4. Se f e una funzione continua sull’intervallo [a, b] e G e unaprimitiva di f in [a, b] allora 14

∫ b

a

f(x) dx = G(b)−G(a) . (VII.7.9)

Dimostrazione Esiste un numero reale λ tale che

G(x) =

∫ x

a

f(t) dt+ λ , ∀x ∈ [a, b] .

Ne segue che

G(b)−G(a) =

∫ b

a

f(t) dt+ λ−∫ a

a

f(t) dt− λ =

∫ b

a

f(t) dt .

14In luogo di G(b)−G(a) scriveremo sovente [G(x)]ba.

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VII.7. Funzione integrale. Primitive. Integrale indefinito 219

Se di una funzione continua conosciamo una primitiva allora siamo in grado dicalcolarne l’integrale. Di qui l’importanza di dare delle regole per la ricerca delleprimitive. Una tabella di primitive si ricava subito dalla tabella di derivate cheabbiamo data nel paragrafo 4 del cap. VI. Alcune regole di integrazione indefinitaverranno dimostrate nel paragrafo successivo.

Esempi.

(I) Si calcoli l’integrale

∫ π

0

senx dx.

Poiche ∫senx dx = − cosx+ λ

utilizzando la formula (VII.7.9) si ottiene∫ π

0

senx dx = − cosπ + cos 0 = 1 + 1 = 2 .

(II) Si calcoli l’integrale

∫ 1

0

x2 dx.

Poiche ∫x2 dx =

x3

3+ λ

utilizzando la formula (VII.7.9) si ottiene∫ 1

0

x2 dx =

[x3

3

]1

0

=1

3.

(III) Si calcoli l’integrale

∫ 1

0

1

1 + x2dx.

Poiche ∫1

1 + x2dx = arctang x+ λ

si ha ∫ 1

0

1

1 + x2dx = [arctang x]10 =

π

4.

Osservazione Sia f una funzione continua in [a, b]. Per ogni x◦ ∈ [a, b] e per ogniη ∈ R esiste una e una sola primitiva di f che assume nel punto x◦ il valore η. Inaltre parole, il problema

G′ = f

G(x◦) = η

ammette una e una sola soluzione. Questa soluzione e data da

G(x) = η +

∫ x

x◦f(t) dt . (VII.7.10)

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220 Capitolo VII. Calcolo integrale

VII.8 ALCUNE REGOLE DI INTEGRAZIONE

Siano f e g due funzioni continue definite su un intervallo [a, b]; indichiamo con Funa (qualunque) primitiva di f , con G una (qualunque) primitiva di g e con α unnumero reale.Si hanno le seguenti proposizioni:

∫(f + g) dx = F +G+ λ , λ ∈ R (VII.8.1)∫α f dx = αF + λ , λ ∈ R (VII.8.2)∫(fG+ gF ) dx = F G+ λ , λ ∈ R (VII.8.3)

La dimostrazione di queste proposizioni segue facilmente dalla definizione di primi-tiva e integrale indefinito e dalle proprieta della derivazione. Infatti, se F e G sonoprimitive di f e g allora F ′ = f e G′ = g; ne segue che

(F +G)′ = F ′ +G′ = f + g

(αF )′ = αF ′ = α f

(F G)′ = F ′G+ F G′ = f G+ F g

Pertanto (F +G) e una primitiva di (f + g), αF e una primitiva di α f , F G e unaprimitiva di f G+ g F .

Da (VII.8.1), (VII.8.2), (VII.8.3) e dal teorema VII.7.4 si ottengono le seguentiregole di integrazione che sono di grande utilita nel calcolo integrale:∫ b

a

(f + g) dx = [F ]ba + [G]ba (VII.8.4)∫ b

a

α f dx = α [F ]ba (VII.8.5)∫ b

a

(f G+ F g) dx = [F G]ba (VII.8.6)

La relazione (VII.8.6) si puo scrivere anche in questo modo∫ b

a

f Gdx =

[F G

]ba

−∫ b

a

F g dx (VII.8.7)

e prende il nome di regola di integrazione per parti.

Teorema VII.8.1. Siano [a, b] e [c, d ] due intervalli della retta reale e sia x→ ϕ(x)una applicazione biunivoca di [a, b] su [c, d ] di classe C1([a, b]). Allora per ognifunzione f continua su [c, d ] si ha la relazione∫ d

c

f(t) dt =

∫ b

a

f(ϕ(x)) · |ϕ′(x)| dx . (VII.8.8)

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VII.8. Alcune regole di integrazione 221

Dimostrazione Sia F una primitiva di f in [c, d ]. La funzione composta F ◦ϕ ederivabile in [a, b] e

dF ◦ϕ

dx= f(ϕ(x)) · ϕ′(x) , ∀x ∈ [a, b] .

Ne segue che ∫f(ϕ(x))ϕ′(x) dx = F ◦ϕ+ λ , λ ∈ R . (VII.8.9)

Da questa relazione e dal teorema VII.7.4 si ottiene che∫ b

a

f(ϕ(x))ϕ′(x) dx = F (ϕ(b))− F (ϕ(a)) =

∫ ϕ(b)

ϕ(a)

f(t) dt . (VII.8.10)

A questo punto osserviamo che ϕ e monotona in senso stretto in [a, b] (cfr. teoremaV.3.3 del cap. V) e quindi ϕ′ e sempre ≥ 0 oppure sempre ≤ 0 in [a, b] (cfr.teorema VI.7.3 del cap. VI).Inoltre

ϕ′(x) ≥ 0 in [a, b] =⇒ ϕ(a) = c , ϕ(b) = d

ϕ′(x) ≤ 0 in [a, b] =⇒ ϕ(a) = d , ϕ(b) = c.(VII.8.11)

Da (VII.8.10) e (VII.8.11) segue la (VII.8.8).

La relazione (VII.8.8) costituisce quella che si chiama la regola di integrazioneper sostituzione o per cambiamento di variabile.

Esempi.

(I) Si calcoli l’integrale

∫ 2

1

x log x dx .

∫ 2

1

x log x dx =

[x2

2log x

]2

1

−∫ 2

1

x2

2

d log x

dxdx

= 2 log 2− 1

2

∫ 2

1

x dx =

= 2 log 2− 1

2

[x2

2

]2

1

= 2 log 2− 1 +1

4= 2 log 2− 3

4.

(II) Si calcoli l’integrale

∫ 1

0

x arctang x dx .

Integrando per parti si ottiene∫ 1

0

x arctang x dx =

[x2

2arctang x

]1

0

−∫ 1

0

x2

2

d arctang x

dxdx =

8− 1

2

∫ 1

0

x2

1 + x2dx .

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222 Capitolo VII. Calcolo integrale

D’altra parte∫ 1

0

x2

1 + x2dx =

∫ 1

0

x2 + 1− 1

1 + x2dx =

∫ 1

0

1 dx−∫ 1

0

1

1 + x2dx =

= [x]10 − [arctang x]10 = 1− π

4.

Concludendo ∫ 1

0

x arctang x dx =π

8− 1

2

(1− π

4

)=

π

4− 1

2.

(III) Si calcoli l’integrale

∫ 1

0

1√1 + x

dx . Consideriamo la funzione

x = ϕ(t) = t− 1

ϕ applica l’intervallo [1, 2] sull’intervallo [0, 1], e biunivoca, e derivabile e ϕ′ ≡1. Allora utilizzando la formula (VII.8.8), si ottiene∫ 1

0

1√1 + x

dx =

∫ 2

1

1√tdt = 2

∫ 2

1

1

2√tdt = 2

[√t]2

1= 2

(√2− 1

).

VII.9 FORMA INTEGRALE DEL RESTO NEL-

LA FORMULA DI TAYLOR

Le regole di integrazione dimostrate nel paragrafo precedente permettono di scrivereil resto n-esimo della formula di Taylor sotto forma integrale.

Riferendoci a quanto si e detto nel paragrafo 10 del capitolo VI, supponiamoche f sia una funzione reale definita sull’intervallo [a, b], n volte derivabile in [a, b].Fissato x◦ in [a, b] vale la seguente formula di Taylor

f(x) =n∑h=0

f (h)(x◦)

h!(x− x◦)h + Rn(x) , ∀x ∈ [a, b] (VII.9.1)

Rn(x) si chiama resto n-esimo. Supponendo che f sia derivabile n + 1 volte in[a, b] abbiamo dimostrato che il resto Rn(x) si puo esprimere mediante le relazioni(VI.10.17) e (VI.10.18) del capitolo VI.

Supponiamo ora che anche la derivata f (n+1) sia continua in [a, b] 15 e dimostriamoche Rn(x) si puo scrivere in questo modo

Rn(x) =1

n!

∫ x

x◦(x− t)n f (n+1)(t) dt , ∀x ∈ [a, b] . (VII.9.2)

15Basterebbe integrabile in [a, b].

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VII.10. Funzioni integrabili in senso generalizzato 223

Dimostrazione Dalla formula di Taylor si ha che

Rk+1(x) = Rk(x)− f (k+1)(x◦)

(k + 1)!(x− x◦)k+1 , 0 ≤ k ≤ n− 1 . (VII.9.3)

Inoltre, utilizzando la regola di integrazione per parti (VII.8.7),

1

k!

∫ x

x◦(x−t)k f (k+1)(t)dt =

f (k+1)(x◦)

(k + 1)!(x−x◦)k+1+

1

(k + 1)!

∫ x

x◦(x−t)k+1 f (k+2)(t) dt .

(VII.9.4)Cio posto, la formula (VII.9.2) e vera per k = 0 in quanto

R0(x) = f(x)− f(x◦) =

∫ x

x◦f ′(t) dt

Supponiamo che la formula (VII.9.2) sia vera per un certo k, 0 ≤ k ≤ n − 1, edimostriamo che essa e vera anche per k + 1; infatti da (VII.9.3) e (VII.9.4) segueche

Rk+1(x) = Rk(x)− f (k+1)(x◦)

(k + 1)!(x− x◦)k+1 =

=1

k!

∫ x

x◦(x− t)k f (k+1)(t) dt− f (k+1)(x◦)

(k + 1)!(x− x◦)k+1 =

=1

(k + 1)!

∫ x

x◦(x− t)k+1 f (k+2)(t) dt .

Ne viene che la formula (VII.9.2) e vera per tutti gli interi positivi k ≤ n.

VII.10 FUNZIONI INTEGRABILI IN SENSO GE-

NERALIZZATO

Le funzioni integrabili secondo Riemann sulla retta R oppure su un intervallo [a, b]sono necessariamente limitate e, nel caso dell’integrale su R, sono nulle fuori di unintervallo.

E’ utile estendere l’operazione di integrazione ad una classe piu ampia di funzioniin modo da includere almeno una certa categoria di funzioni non limitate oppure difunzioni che non sono identicamente nulle in un intorno di +∞ o di −∞. Funzionidi questo tipo si utilizzano infatti anche nei calcoli piu comuni.Introdurremo a tal fine la nozione di integrale in senso improprio o in senso gene-ralizzato.

a) - INTEGRALE DI FUNZIONI NON LIMITATE NELL’INTORNO DI UN NU-MERO FINITO DI PUNTI.

Sia [a, b] un intervallo della retta reale e sia f una funzione definita su [a, b]. Sup-poniamo che f non sia limitata nell’intorno del punto b.Si dice che f e integrabile su [a, b] in senso generalizzato se

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224 Capitolo VII. Calcolo integrale

(i) ∀ c ∈ (a, b), f e integrabile nel senso di Riemann sull’intervallo [a, c]

(ii) Esiste finito il

limc→b−

∫ c

a

f(x) dx (VII.10.1)

In tal caso il limite (VII.10.1) si chiama integrale generalizzato della f esteso all’in-tervallo [a, b].

Per indicare l’integrale generalizzato useremo lo stesso simbolo con cui indichia-mo l’integrale di Riemann ∫ b

a

f(x) dx .

E’ chiaro che il valore dell’integrale improprio

∫ b

a

f(x)dx non dipende dal valore che

la funzione f assume nel punto b.In modo del tutto analogo si definisce l’integrale generalizzato della f esteso ad[a, b] nel caso in cui f non sia limitata nell’intorno del punto a (e solo nell’intornodi questo punto).Infine se f non e limitata sia nell’intorno del punto a che nell’intorno del punto b (esolo nell’intorno di questi punti) si considera un punto c interno all’intervallo [a, b] esi dice che f e integrabile in senso generalizzato su [a, b] se f e integrabile in sensogeneralizzato su [a, c] e su [c, b]; in tal caso si pone∫ b

a

f(x) dx =

∫ c

a

f(x) dx+

∫ b

c

f(x) dx . (VII.10.2)

Si vede facilmente che l’integrabilita e il valore dell’integrale della f su [a, b] nondipendono dalla scelta del punto c.

Se f e una funzione integrabile (secondo Riemann) su [a, b] allora∫ b

a

f(x) dx = limc→b−

∫ c

a

f(x) dx = limc→a+

∫ b

c

f(x) dx (VII.10.3)

e quindi per le funzioni integrabili su [a, b] l’integrale di Riemann e l’integrale gene-ralizzato coincidono. Per dimostrare la relazione (VII.10.3) basta osservare che f elimitata su [a, b] e quindi, posto L = sup

[a,b]

|f |, si ha che

∣∣∣∣∫ b

a

f(x) dx−∫ c

a

f(x) dx

∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∫ b

c

f(x) dx

∣∣∣∣ ≤ L (b− c)

∣∣∣∣∫ b

a

f(x) dx−∫ b

c

f(x) dx

∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∫ c

a

f(x) dx

∣∣∣∣ ≤ L (c− a)

∀ c ∈ (a, b)

Se f e definita in [a, b] e non e limitata nell’intorno di un numero finito di punti di[a, b]

x1 , x2 , . . . , xn

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VII.10. Funzioni integrabili in senso generalizzato 225

si divide l’intervallo [a, b] in un certo numero k di intervalli A1, A2, . . . , Ak inmodo tale che in ognuno di questi intervalli la funzione f sia non limitata al piunell’intorno dei due estremi. Si dice che f e integrabile in senso generalizzato su[a, b] se f e integrabile in senso generalizzato su ognuno degli intervalli Ai e in talcaso si pone ∫ b

a

f(x) dx =n∑i=1

∫Ai

f(x) dx (VII.10.4)

Anche in questo caso si prova facilmente che l’integrabilita e l’integrale della f nondipendono dalla suddivisione di [a, b] in intervalli Ai. Vediamo qualche esempio.

Es. 1 Sia α un numero reale positivo; la funzione f : [a, b)→ R 16

f(x) =1

(b− x)α

non e limitata nell’intorno del punto b. Questa funzione e integrabile in sen-so generalizzato su [a, b] se 0 < α < 1 mentre non e integrabile in sensogeneralizzato se e α ≥ 1.

Infatti, se 0 < α < 1,

limc→b−

∫ c

a

1

(b− x)αdx = lim

c→b−

[(b− a)1−α

1− α− (b− c)1−α

1− α

]=

(b− a)1−α

1− α

Se α = 1

limc→b−

∫ c

a

1

(b− x)αdx = lim

c→b−log

b− ab− c

= +∞ .

Se a > 1

limc→b−

∫ c

a

1

(b− x)αdx = lim

c→b−

[(b− a)1−α

1− α− (b− c)1−α

1− α

]=

=(b− a)1−α

1− α+ lim

c→b−

1

(α− 1)(b− c)α−1= +∞

Es. 2 La funzione f : (0, 1)→ R

f(x) =1√

x(1− x)

e integrabile in senso generalizzato sull’intervallo (0, 1).

La funzione f non e limitata nell’intorno dei punti x = 0 e x = 1. Scegliamoun punto interno all’intervallo (0, 1), per esempio x = 1

2, e dimostriamo che

f e integrabile in senso generalizzato sugli intervalli (0, 12] e [1

2, 1). Diamo per

acquisito il fatto che su ogni intervallo chiuso contenuto in (0, 1)∫1√

x(1− x)dx = 2 arctang

√x

1− x+ λ , λ ∈ R .

16Si puo definire arbitrariamente la funzione f anche nel punto b.

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226 Capitolo VII. Calcolo integrale

Allora si ha

limc→1−

∫ c

12

dx√x (1− x)

= 2 limc→1−

{arctang

√c

1− c− π

4

}= 2

(π2− π

4

)=

π

2

limc→0+

∫ 12

c

dx√x (1− x)

= 2 limc→0+

4− arctang

√c

1− c

}= 2

(π4− 0)

2

Concludendo∫ 1

0

dx√x (1− x)

=

∫ 12

0

dx√x (1− x)

+

∫ 1

12

dx√x (1− x)

2+π

2= π .

b) - INTEGRALE DI FUNZIONI NON NULLE FUORI DI UN INTERVALLO.

Sia f una funzione reale definita sulla semiretta [a,+∞). Si dice che f e integrabilein senso generalizzato sulla semiretta [a,+∞) se

(i) ∀ b > a, f e integrabile sull’intervallo [a, b]; 17

(ii) esiste finito il limb→+∞

∫ b

a

f(x) dx .

In tal caso si pone, per definizione,∫ +∞

a

f(x) dx = limb→+∞

∫ b

a

f(x) dx . (VII.10.5)

In modo analogo si definisce l’integrale in senso generalizzato per una funzione fdefinita su una semiretta (−∞, a].Infine se f e definita sulla retta reale R si considera un punto a ∈ R e si dice chef e integrabile in senso generalizzato su R se f e integrabile in senso generalizzatosulle semirette (−∞, a] e [a,+∞). In tal caso si pone∫ +∞

−∞f dx =

∫ a

−∞f dx +

∫ +∞

a

f dx (VII.10.6)

Si dimostra facilmente che l’integrabilita di f e il valore dell’integrale generalizzato∫ +∞

−∞f dx non dipendono dalla scelta del punto a.

Se f e una funzione integrabile su R nel senso di Riemann allora f e integrabileanche in senso generalizzato su R e l’integrale di Riemann coincide con l’integralein senso generalizzato. Basta osservare che f e nulla fuori di un intervallo I = [α, β]e pertanto ∫ α

bf(x) dx = 0 , ∀ b ≤ α∫ b

αf(x) dx =

∫If(x) dx , ∀ b ≥ β

Vediamo qualche esempio.

17Integrabile secondo Riemann o, piu in generale, in senso generalizzato.

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VII.10. Funzioni integrabili in senso generalizzato 227

Es. 3 Sia a un numero reale positivo; la funzione f : [1,+∞)→ R

f(x) =1

e integrabile in senso generalizzato sulla semiretta [1,+∞) se α > 1 mentrenon e integrabile in senso generalizzato se 0 < α ≤ 1.

Infatti se α > 1

limb→+∞

∫ b

1

1

xαdx = lim

b→+∞

[1

α− 1− 1

(α− 1) bα−1

]=

1

α− 1.

Se α = 1

limb→+∞

∫ b

1

1

xdx = lim

b→+∞log b = +∞ .

Se 0 < α < 1

limb→+∞

∫ b

1

1

xαdx = lim

b→+∞

[b1−α

(1− α)− 1

1− α

]= +∞ .

Es. 4 La funzione f : R→ Rf(x) = x e−x

2

e integrabile in senso generalizzato su R.

Basta far vedere che la funzione f e integrabile in senso generalizzato sullesemirette (−∞, 0] e [0,+∞). Diamo per acquisito il fatto che∫

x e−x2

dx = −1

2e−x

2

+ λ , λ ∈ R ;

allora si ha

limb→+∞

∫ b

0

x e−x2

dx = limb→+∞

(1

2− 1

2e−b

2

)=

1

2

limb→−∞

∫ 0

b

x e−x2

dx = limb→−∞

(1

2e−b

2 − 1

2

)= −1

2

Concludendo∫ +∞

−∞x e−x

2

dx =

∫ 0

−∞x e−x

2

dx +

∫ +∞

0

x e−x2

dx = −1

2+

1

2= 0

y = x e−x2 x

y

0

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228 Capitolo VII. Calcolo integrale

VII.11 PROPRIETA’ DELL’INTEGRALE IN SEN-

SO GENERALIZZATO

Sia A un insieme connesso della retta reale. Dalla definizione di integrale improprioe dalle proprieta del limite seguono facilmente le seguenti proposizioni:

(I) Se f e g sono integrabili in senso generalizzato su A anche f + g e integrabilein senso generalizzato e∫

A

(f + g) dx =

∫A

f dx +

∫A

g dx ;

(II) Se f e integrabile in senso generalizzato su A e λ e un numero reale, λ f eintegrabile in senso generalizzato su A e∫

A

λ f dx = λ

∫A

f dx .

In particolare la classe delle funzioni reali integrabili in senso generalizzato su Acostituisce uno spazio vettoriale reale.18

Questa classe di funzioni non costituisce un reticolo ne costituisce un’algebra. Noncostituisce un reticolo in quanto se f e integrabile su A non e detto che |f | siaintegrabile su A. Non costituisce un’algebra in quanto se f e g sono integrabili suA non e detto che f g sia integrabile su A.

A convalida di queste affermazioni elenchiamo un certo numero di esempi. Lo studiodi alcuni di questi esempi e un po’ complicato non disponendo ancora della teoriadelle serie numeriche o delle serie di funzioni; quindi ci riserviamo di ritornare suquesti esempi nel seguito.

(1) La funzione x → 1

xsen

1

xe integrabile sull’intervallo (0, 1] mentre non e

integrabile sullo stesso intervallo la funzione x→∣∣∣∣1x sen

1

x

∣∣∣∣.(2) La funzione

senx

xe integrabile sulla semiretta [1,+∞) mentre

∣∣∣senx

x

∣∣∣ non e

integrabile sulla stessa semiretta.

(3) La funzione1√x

e integrabile sull’intervallo (0, 1] mentre la funzione1√x· 1√x

=

1

xnon e integrabile sullo stesso intervallo.

(4) La funzione(−1)[x]

√x

18Si e visto precedentemente che questo spazio vettoriale contiene propriamente lo spaziovettoriale R(R); che l’inclusione sia propria e deducibile dagli esempi che abbiamo dato nelparagrafo 10.

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VII.11. Proprieta dell’integrale in senso generalizzato 229

e integrabile sulla semiretta [1,+∞) mentre

(−1)[x]

√x· (−1)[x]

√x

=1

x

non e integrabile sulla stessa semiretta. 19

Una funzione f : A→ R si dice assolutamente integrabile su A se |f | e integrabilesu A. Naturalmente l’integrabilita e da intendersi in senso generalizzato.

Supponiamo che A sia l’intervallo [a, b] e che f : A → R non sia limitata nel-l’intorno del punto b. Per definizione f e integrabile su [a, b] se e integrabile su ogniintervallo [a, x], a < x < b, e se esiste finito il limite per x→ b− della funzione

F (x) =

∫ x

a

f(t) dt .

Un criterio di Cauchy relativo al limite di una funzione ci assicura allora che:Condizione necessaria e sufficiente affinche f sia integrabile in [a, b] e che sia in-tegrabile su ogni intervallo [a, x], a < x < b, e ∀ ε > 0 esista un cε ∈ (a, b) taleche ∣∣∣∣ ∫ x2

x1

f(t) dt

∣∣∣∣ < ε (VII.11.1)

per ogni coppia di punti x1, x2 appartenenti all’intervallo (cε, b).

Questa condizione ha notevole interesse sul piano teorico. Ad esempio, in virtu diquesta condizione, noi possiamo affermare che una funzione f : [a, b] → R la qualesia integrabile su ogni intervallo [a, x], a < x < b, e sia assolutamente integrabile su[a, b] e anche integrabile su [a, b]. Basta osservare che e∣∣∣∣ ∫ x2

x1

f(t) dt

∣∣∣∣ < ∣∣∣∣ ∫ x2

x1

|f(t)| dt∣∣∣∣

Una condizione di Cauchy analoga si puo enunciare anche nel caso in cui f non sialimitata nell’intorno di a oppure nel caso in cui f sia definita su una semiretta. Perfissare le idee supponiamo che f sia definita sulla semiretta [a,+∞):Condizione necessaria e sufficiente affinche f sia integrabile in [a,+∞) e che siaintegrabile su ogni intervallo [a, b] e che ∀ ε > 0 esista un cε > a tale che∣∣∣∣ ∫ x2

x1

f(t) dt

∣∣∣∣ < ε

per ogni coppia di punti x1, x2 maggiori di cε.

Su questa “condizione di Cauchy” si fonda la dimostrazione dei seguenti criterisufficienti per l’assoluta integrabilita di una funzione:

19Ricordiamo che [x] = parte intera di x denota il massimo intero n che non supera x.

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230 Capitolo VII. Calcolo integrale

Teorema VII.11.1. Siano f e ϕ due funzioni definite sull’intervallo [a, b] e nonnegative. Supponiamo che f sia integrabile 20 su ogni intervallo [a, c], con a < c < b,e sia

f(x) ≤ ϕ(x) ∀x ∈ [a, b) (VII.11.2)

allora se ϕ e integrabile in senso generalizzato su [a, b] anche f e integrabile in sensogeneralizzato su [a, b].

Dimostrazione Per ogni ε > 0 esiste un cε ∈ (a, b) tale che risulta∣∣∣∣ ∫ x2

x1

ϕ(t) dt

∣∣∣∣ < ε (VII.11.3)

per ogni coppia di punti x1, x2 ∈ (cε, b) con x1 < x2. Ne segue, per la condizione(VII.11.2), che

cε < x1 < x2 < b =⇒∫ x2

x1

f(t) dt ≤∫ x2

x1

ϕ(t) dt ≤ ε .

Quindi f e integrabile.

Osserviamo che si poteva ragionare anche in questo modo: se f e ≥ 0 in [a, b] lafunzione

F (x) =

∫ x

a

f(t) dt

e monotona non decrescente ed e limitata superiormente in [a, b] in quanto∫ x

a

f(t) dt ≤∫ x

a

ϕ(t) dt ≤ limx→b−

∫ x

a

ϕ(t) dt =

∫ b

a

ϕ(t) dt

Quindi F converge e f e integrabile in senso generalizzato.

Nelle applicazioni e utile il seguente

Corollario VII.11.2. Sia f : [a, b]→ R una funzione non limitata nell’intorno delpunto b e integrabile su ogni intervallo [a, c], a < c < b. Se esistono due costantipositive M e α, 0 < α < 1, tali che

|f(x)| ≤ M

(b− x)α, ∀x ∈ [a, b) (VII.11.4)

allora f e integrabile in senso generalizzato su [a, b]. Se esistono due costanti positiveM e α, α ≥ 1 tali che

f(x) ≥ M

(b− x)α, ∀x ∈ [a, b) (VII.11.5)

allora f non e integrabile su [a, b] in senso generalizzato.

20Nel senso di Riemann.

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VII.11. Proprieta dell’integrale in senso generalizzato 231

Basta tener presente quanto si e stabilito nell’esempio (1) del paragrafo 10 e cioeche la funzione 1/(b− x)α e integrabile su [a, b] se α < 1, non e integrabile su [a, b]se α ≥ 1.Un teorema analogo al teorema VII.11.1 e un corollario analogo al corollario VII.11.2si possono enunciare nel caso che f e ϕ non siano limitate nell’intorno del punto a(anziche nell’intorno di b).

Teorema VII.11.3. Siano f e ϕ due funzioni definite sulla semiretta [a,+∞) enon negative. Supponiamo che f sia integrabile su ogni intervallo [a, c] e sia

f(x) ≤ ϕ(x) , ∀x ∈ [a,+∞) . (VII.11.6)

Allora se ϕ e integrabile in senso generalizzato su [a,+∞) anche f e integrabile insenso generalizzato sulla semiretta [a,+∞).

La dimostrazione e analoga a quella del teorema VII.11.1.

Corollario VII.11.4. Sia f : [a,+∞) → R una funzione integrabile su ogniintervallo [a, c]. Se esistono due costanti positive M e α, α > 1, tali che

|f(x)| ≤ M

xα, ∀x ∈ [a,+∞) (VII.11.7)

allora f e integrabile in senso generalizzato su [a,+∞).Se esistono due costanti positive M e α, 0 < α ≤ 1, tali che

f(x) ≥ M

xα, ∀x ∈ [a,+∞) (VII.11.8)

allora f non e integrabile in senso generalizzato su [a,+∞).

Basta tener presente quanto si e dimostrato nell’esempio 3 del paragrafo 10 e cioeche la funzione 1/xα e integrabile sulle semirette [a,+∞) ( a > 0 ) se α > 1 mentrenon e integrabile se α ≤ 1.Un risultato analogo si puo enunciare nel caso in cui f sia definita su una semirettadel tipo (−∞, a].

Esempi.

(I) La funzione f : x→ senx

x√x+ 1

e integrabile sulla semiretta [1,+∞).

Infatti f e continua su questa semiretta, inoltre ∀x ∈ [a,+∞)∣∣∣∣ senx

x√x+ 1

∣∣∣∣ ≤ 1

x√x+ 1

≤ 1

x√x.

La funzione x → 1

x√x

e integrabile sulla semiretta [1,+∞) (cfr. esempio 3,

paragrafo 9) quindi f e assolutamente integrabile e di conseguenza e ancheintegrabile.

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232 Capitolo VII. Calcolo integrale

(II) La funzione f : x→ 1√2x+ 3

non e integrabile sulla semiretta [1,+∞).

Infatti per ogni x ∈ [1,+∞),

1√2x+ 3

≥ 1√5x

=1√5· 1√

x

e la funzione x→ 1√x

non e integrabile sulla semiretta [1,+∞).

(III) La funzione f : x→ 1√1− x3

e integrabile sull’intervallo [0, 1].

Infatti f e continua sull’intervallo [0, 1), e positiva, e ∀x ∈ [0, 1)

1√1− x3

=1

√1− x

√1 + x+ x2

≤ 1√1− x

La funzione x → 1√1− x

e integrabile sull’intervallo [0, 1], quindi anche f e

integrabile.

* * *

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Capitolo VIII

SERIE NUMERICHE

VIII.1 PRELIMINARI

Sia data una successione di numeri reali {an}; poniamo

s0 = a0

s1 = a0 + a1

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

sn = a0 + a1 + . . . + an .

(VIII.1.1)

La successione {sn} si chiama serie costruita a partire dalla successione {an} e siindica abitualmente con i simboli

∞∑n=0

an , a0 + a1 + . . .+ an + . . . (VIII.1.2)

I numeri an si chiamano termini della serie e i numeri sn si chiamano sommeparziali della serie. La nomenclatura su questo argomento non e costante; alcuniautori ad esempio chiamano serie la coppia di successioni ({an}, {sn}).In accordo con le definizioni date per le successioni reali, si dira che una serie∑∞

n=0 an e convergente o divergente se la successione {sn} e convergente oppuredivergente. Una serie non convergente e non divergente si chiama indeterminata.

Se la serie∑∞

n=0 an converge il numero

S = limn→∞

sn

si chiama somma della serie e si scrive

S =∞∑n=0

an . (VIII.1.3)

Questa notazione, che e ormai di uso comune, puo generare equivoci perche con lostesso simbolo

∑∞n=0 an viene indicata sia la successione {sn}, sia il limite S di

questa successione. Dal contesto del discorso si comprendera, di volta in volta, se ilsimbolo

∑∞n=0 an viene usato con l’uno o con l’altro significato.

233

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234 Capitolo VIII. Serie numeriche

Data una successione {an} si costruisce, mediante le relazioni (VIII.1.1), un’altrasuccessione reale che si chiama “serie degli an”; viceversa ogni successione {sn} sipuo riguardare come la serie costruita a partire dalla successione {an} definita inquesto modo

a0 = s0

an = sn − sn−1 , n ≥ 1 .

Quindi la teoria delle serie numeriche, che svolgeremo nei paragrafi successivi, si puoriguardare come un contributo alla teoria delle successioni reali.

Ha interesse osservare come la teoria delle serie numeriche si colleghi anche conla teoria degli integrali generalizzati di funzioni definite su una semiretta.Sia data la serie numerica

∑∞n=0 an ; indichiamo con f la funzione definita sulla

semiretta [0,+∞) in questo modo

f(x) = an per n ≤ x < n+ 1, n = 0, 1, . . . (VIII.1.4)

0 1 2 3 6 74 5

a0a1

a2

a3

a4

Si dimostra facilmente che la serie∑∞

n=0 an e convergente se e solo se la funzionef e integrabile sulla semiretta [0,+∞). Detta S la somma della serie, risulta

S =

∫ +∞

0

f(x) dx (VIII.1.5)

Infatti dalla relazione

sn =

∫ n+1

0

f(x) dx (VIII.1.6)

segue che, se f e integrabile, {sn} e convergente. Viceversa, supponiamo che lasuccessione {sn} sia convergente. Allora {sn} e una successione di Cauchy; ciosignifica che esiste un ν ∈ N tale che ∀n,m > ν

|sn − sm| = |an+1 + an+2 + . . .+ am| < ε (VIII.1.7)

Ne segue che ∀n,m ≥ ν + 1∫ m

n

f(x) dx < ε , |an| < ε , |am| < ε . (VIII.1.8)

Siano x1 e x2 due numeri reali maggiori di (ν + 1) e sia n = [x1], m = [x2].Supponiamo, per fissare le idee, n < m. Allora∫ x2

x1

f(x) dx =

∫ m

n+1

f(x)dx+ an (n+ 1− x1) + am (x2 −m) .

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VIII.1. Preliminari 235

Quindi, per (VIII.1.7) e (VIII.1.8),∣∣∣∣∫ x2

x1

f(x) dx

∣∣∣∣ ≤ ∣∣∣∣∫ m

n+1

f(x)dx

∣∣∣∣+ |an|+ |am| < 3 ε .

Cio assicura, per quanto si e detto nel paragrafo 11 del cap. VII, che f eintegrabile sulla semiretta [0,+∞).Infine se la successione {sn} converge e ha per limite S e la funzione f e integrabilesulla semiretta [0,+∞) da (VIII.1.6) si ottiene che

S = limn→∞

sn = limn→∞

∫ n+1

0

f(x) dx =

∫ +∞

0

f(x) dx .

Diamo qualche esempio.

Esempi.

Es. 1 Sia a un numero reale. Consideriamo la serie

+∞∑n=0

an = 1 + a+ a2 + . . . (VIII.1.9)

Questa serie si chiama serie geometrica di ragione a. Calcoliamo sn:

sn = 1 + a+ a2 + . . .+ an =an+1 − 1

a− 1se a 6= 1 ;

sn = n+ 1 se a = 1 .

Allora, se a = 1limn→∞

sn = +∞ ;

se a > 1

limn→∞

sn = limn→∞

an+1 − 1

a− 1= +∞ ;

se |a| < 1 si ha limn→∞

an+1 = 0 e quindi

limn→∞

sn = limn→∞

an+1 − 1

a− 1=

1

1− a;

se a = −1 risulta

sn =

{0 se n e dispari ,

1 se n e pari ,

quindi {sn} non ha limite.

Se a < −1 allora

limn→∞

s2n = +∞

limn→∞

s2n+1 = −∞

pertanto la successione {sn} non ha limite.

Conclusione: la serie geometrica∞∑n=0

an

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236 Capitolo VIII. Serie numeriche

(i1) converge se |a| < 1 e ha per somma1

1− a;

(i2) diverge se a ≥ 1;

(i3) e indeterminata se a ≤ −1.

Es. 2 La serie+∞∑n=1

1

n (n+ 1)e convergente.

Osserviamo che

a0 = 0

an =1

n (n+ 1)=

1

n− 1

n+ 1per n ≥ 1 .

Quindi, per n ≥ 1,

sn = a1 + a2 + . . . + an =

=

(1− 1

2

)+

(1

2− 1

3

)+ . . . +

(1

n− 1− 1

n

)+

(1

n− 1

n+ 1

)=

= 1− 1

n+ 1

Ne segue chelimn→∞

sn = 1 .

Conclusione:∞∑n=1

1

n (n+ 1)= 1 .

VIII.2 ALCUNE PROPRIETA’ DELLE SERIE

NUMERICHE

L’insieme delle successioni reali convergenti costituisce uno spazio vettoriale reale(cfr. paragrafo 7, cap. IV); ne segue che l’insieme delle serie numeriche convergenticostituisce uno spazio vettoriale. La somma e il prodotto per scalari vengano definitinel seguente modo:

∞∑n=0

an +∞∑n=0

bn =∞∑n=0

(an + bn) (VIII.2.1)

λ

∞∑n=0

an =∞∑n=0

(λ an) (VIII.2.2)

Inoltre, se∞∑n=0

an = A e∞∑n=0

bn = B , A e B reali

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VIII.2. Alcune proprieta delle serie numeriche 237

allora

∞∑n=0

(an + bn) = A+B (VIII.2.3)

∞∑n=0

(λ an) = λA . (VIII.2.4)

Per quanto riguarda il prodotto di due serie viene spontaneo definirlo, come si efatto per le successioni, nel seguente modo

∞∑n=0

an ·∞∑n=0

bn = {sn} · {σn} = {sn σn} =∞∑n=0

(n∑

i,j=0

ai bj −n−1∑i,j=0

ai bj

)(VIII.2.5)

dove con sn e σn abbiamo indicato rispettivamente le somme parziali della serie∑∞n=0 an e della serie

∑∞n=0 bn . Definito il prodotto in questo modo allora, se le

due serie convergono e hanno per somma A e B, anche la serie prodotto converge eha per somma AB. Va osservato pero che il prodotto di due serie, definito come in(VIII.2.5), e di scarso interesse.Un modo praticamente piu utile di moltiplicare due serie e il seguente: si pone

cn = a0 bn + a1 bn−1 + . . .+ an b0 =n∑i=0

ai bn−i

e si definisce il prodotto delle serie∑∞

n=0 an e∑∞

n=0 bn in questo modo

∞∑n=0

an ·∞∑n=0

bn =∞∑n=0

cn =∞∑n=0

(n∑i=0

ai bn−i

). (VIII.2.6)

In tal caso la convergenza delle due serie non assicura piu la convergenza dellaserie prodotto. E’ necessario fare sulle due serie qualche ipotesi piu restrittiva dellasemplice convergenza. Ritorneremo sulla questione in un successivo paragrafo.

Teorema VIII.2.1. Condizione necessaria affinche la serie∞∑n=0

an sia convergente

e chelimn→∞

an = 0 . (VIII.2.7)

Dimostrazione Indichiamo con S la somma della serie. Allora, per definizione,

limn→∞

sn = S

e quindi 1

limn→∞

sn+1 = S .

Ne segue chelimn→∞

an = limn→∞

an+1 = limn→∞

(sn+1 − sn) = 0 .

1n→ sn+1 e una successione estratta dalla successione {sn}.

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238 Capitolo VIII. Serie numeriche

Ad esempio, la serie∞∑n=0

n

n+ 1non converge perche

limn→∞

n

n+ 1= 1 6= 0

La condizione (VIII.2.7) non e sufficiente per la convergenza della serie; questo fattosi prova facilmente con un esempio. Sia α un numero reale positivo; si chiama seriearmonica di ordine α la seguente serie numerica

∞∑n=1

1

nα. (VIII.2.8)

Questa serie verifica la condizione (VIII.2.7), tuttavia per α > 1 la serie convergementre per α ≤ 1 la serie non converge. Infatti, indichiamo con f la funzione definitasulla semiretta [1,+∞) nel seguente modo

f(x) =1

nαper n ≤ x < n+ 1, (n = 1, 2, . . .)

e consideriamo queste due funzioni, definite anch’esse sulla semiretta [1,+∞),

x→ ϕ1(x) =1

xα,

x→ ϕ2(x) =2α

xα.

f , ϕ1, ϕ2 sono funzioni positive e integrabili su ogni intervallo [1, a] con a > 1.Inoltre

ϕ1(x) ≤ f(x) ≤ ϕ2(x) , ∀x ∈ [1,+∞) .

ϕ1 e ϕ2 sono integrabili se α > 1 e non sono integrabili se 0 < α ≤ 1. Quindi f eintegrabile se α > 1 e non e integrabile se 0 < a ≤ 1. Ne segue che la serie (VIII.2.8)converge se α > 1 e non converge se 0 < α ≤ 1.

Sia {an} una successione reale e k un intero ≥ 0; indichiamo con∞∑n=k

an la serie

costruita a partire dalla successione, estratta da {an},

n→ bn = an+k .

In simboli∞∑n=k

an =∞∑n=0

an+k . (VIII.2.9)

La serie∞∑n=k

an si chiama resto k-esimo della serie degli an. Per k = 0 la serie resto

coincide con la serie degli an.

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VIII.2. Alcune proprieta delle serie numeriche 239

Teorema VIII.2.2. La serie∞∑n=k

an e il suo resto k-esimo hanno lo stesso com-

portamento, cioe sono entrambe convergenti, oppure entrambe divergenti, oppureentrambe indeterminate. Se la serie degli an e il suo resto k-esimo convergono ehanno per somma rispettivamente S e Sk, si ha la relazione

S = Sk + sk−1 . (VIII.2.10)

Dimostrazione Fissato k, indichiamo con sn e σn rispettivamente le somme parzialidella serie degli an e del resto k-esimo. Per ogni n ∈ N si ha la relazione

σn = sk+n − sk−1 . (VIII.2.11)

Ora e chiaro che la successione {sn} e la successione estratta {sk+n} o sono entrambeconvergenti e hanno lo stesso limite, oppure sono entrambe divergenti oppure nonhanno limite entrambe. La tesi segue allora banalmente dalla relazione (VIII.2.11).

Ferme restando le notazioni sopra introdotte, si possono fare alcune osservazioni:Supponiamo che la serie

∑∞n=0 an sia convergente; allora tutte le serie resto sono

convergenti e per ogni coppia di interi h e k, 0 ≤ h < k, risulta

Sk = Sh + ah + . . .+ ak−1 . (VIII.2.12)

Inoltre la successione {Sk} e infinitesima

limk→∞

Sk = 0 . (VIII.2.13)

Le relazioni (VIII.2.12) e (VIII.2.13) sono una immediata conseguenza della (VIII.2.10).

Supponiamo che la∑∞

n=0 an sia convergente e sia n → kn una successionecrescente di interi, con k0 = 0. Poniamo

bn =

kn+1−1∑h=kn

an = Skn − Skn+1 .

La serie numerica∑∞

n=0 bn e convergente e ha per somma S. Infatti, se indichiamocon σn le somme parziali della serie dei bn, risulta

σn = (S − Sk1) + (Sk1 − Sk2) + . . .+ (Skn − Skn+1) = S − Skn+1 .

{Skn+1} e una successione estratta dalla successione {Sk} e pertanto e infinitesimaper (VIII.2.12). Ne segue che {σn} e convergente e

limn→∞

σn = S . (VIII.2.14)

Questa proposizione (nota come proprieta associativa delle serie convergenti) none invertibile; la serie

∑∞n=0 bn puo convergere senza per questo che converga la serie

degli an. Si consideri ad esempio la serie∞∑n=0

an =∞∑n=0

(−1)n .

Questa serie non converge perche {(−1)n} non e infinitesima. Definiamo la succes-sione {bn} in questo modo

b0 = a0 + a1 , b1 = a2 + a3 , . . . , bn = a2n + a2n+1 , . . .

Allora bn = 0 per ogni n e e la serie∑∞

n=0 bn converge e ha per somma 0.

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240 Capitolo VIII. Serie numeriche

VIII.3 SERIE A TERMINI DI SEGNO COSTAN-

TE

Una serie∑∞

n=0 an si dice che ha i termini di segno costante se e

an ≥ 0 ∀n ∈ N (VIII.3.1)

oppurean ≤ 0 ∀n ∈ N . (VIII.3.2)

Queste serie hanno un quadro piu ricco di proprieta e per queste serie si dispone diregole abbastanza semplici per stabilire la convergenza o la divergenza.

Noi supporremo in tutto questo paragrafo che la serie∑∞

n=0 an sia a termininon negativi (ipotesi (VIII.3.1)) in quanto se gli an sono non positivi ci si riconduceal caso precedente mediante la semplice osservazione che

∞∑n=0

an = −∞∑n=0

(−an) .

Innanzitutto una serie a termini non negativi o converge o diverge (positivamen-te), cioe non puo essere indeterminata. Infatti, se an ≥ 0 per ogni n, la successionedelle somme parziali {sn} e non decrescente. Di piu, la serie

∑∞n=0 an e convergente

se e solo se la successione {sn} e limitata.Le serie a termini non negativi godono alcune interessanti proprieta che ora

elencheremo. Sia∑∞

n=0 an una serie a termini non negativi e sia n → kn unasuccessione crescente di interi con k0 = 0. Poniamo

bn =

kn+1−1∑h=kn

ah .

Teorema VIII.3.1. La serie∑∞

n=0 an e convergente se e solo se converge la serie∑∞n=0 bn . In tal caso le due serie hanno la stessa somma.

Dimostrazione Abbiamo gia dimostrato nel paragrafo precedente che se∑∞

n=0 anconverge anche

∑∞n=0 bn converge e le due serie hanno la stessa somma. Viceversa,

supponiamo che∑∞

n=0 bn sia convergente e abbia per somma S. Indichiamo con σnle somme parziali della serie dei bn e con sn le somme parziali della serie degli an.{σn} e {sn} sono successioni non decrescenti, inoltre {σn} e limitata superiormente

σn ≤ S , ∀n ∈ N .

Ne segue che anche {sn} e limitata superiormente in quanto ∀n ∈ N e kn ≥ n equindi

sn ≤ skn ≤ σn ≤ S .

Ne viene che {sn} e convergente. Indichiamo con S ′k la somma del resto k-esimodella serie degli an. Si ha, ∀n ∈ N,

σn = S ′ − S ′kn+1

e quindiS = lim

n→∞σn = S ′ − lim

n→∞S ′kn+1

= S ′

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VIII.3. Serie a termini di segno costante 241

Sia∑∞

n=0 an una serie a termini non negativi e sia n → kn una applicazionebiunivoca di N su N. Poniamo

bn = akn .

La serie∑∞

n=0 bn si dice che e ottenuta dalla serie degli an riordinando i termini.

Teorema VIII.3.2. Se la serie∑∞

n=0 an e convergente anche ogni serie∑∞

n=0 bnottenuta riordinando i termini e convergente e le due serie hanno la stessa somma.

Dimostrazione Indichiamo con {sn} e {σn} rispettivamente le somme parziali dellaserie degli an e della serie dei bn. Sia

S =∞∑n=0

an

rn = max{k0, k1, . . . , kn} .

Per ogni n ∈ N risultaσn ≤ srn ≤ S . (VIII.3.3)

Quindi {σn} e una successione convergente (perche non decrescente e limitata supe-riormente). Detta S ′ la somma della serie dei bn, da (VIII.3.3) segue che

S ′ ≤ S . (VIII.3.4)

D’altra parte anche la serie∑∞

n=0 an e ottenuta dalla serie∑∞

n=0 bn riordinando itermini e quindi, con analogo discorso, si ottiene che

S ≤ S ′ . (VIII.3.5)

Da (VIII.3.4) e (VIII.3.5) segue che S = S ′.

Le proprieta contenute nei teoremi VIII.3.1 e VIII.3.2 vanno sotto il nome di pro-prieta associativa e commutativa delle serie a termini di segno costante.

Siano∑∞

n=0 an e∑∞

n=0 bn due serie a termini positivi; poniamo

cn =n∑i=0

aibn−i .

La serie∑∞

n=0 cn si chiama serie prodotto (secondo Cauchy) delle serie degli an edei bn.

Teorema VIII.3.3. Se le due serie∑∞

n=0 an e∑∞

n=0 bn convergono e hanno persomma A e B rispettivamente anche la serie prodotto

∑∞n=0 cn converge e ha per

somma AB.

Dimostrazione Indichiamo con sn, σn, ρn rispettivamente le somme parziali dellaserie degli an, della serie dei bn, della serie dei cn. Per ogni n ∈ N risulta

ρn ≤ sn σn ≤ ρ2n (VIII.3.6)

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242 Capitolo VIII. Serie numeriche

esn σn ≤ AB . (VIII.3.7)

Per quanto riguarda la relazione (VIII.3.6) osserviamo quanto segue:cn e la somma di tutti i termini ai bj tali che i+ j = n. Sul piano cartesiano questecoppie di interi (i, j) danno dei punti che appartengono al segmento di vertici (0, n)e (n, 0).

0 n 2n

n

2n

cn

(n, n)

Ne segue che ρ2n e la somma di tutti i termini ai bj per i quali (i, j) appartiene altriangolo di vertici

(0, 0) , (2n, 0) , (0, 2n) .

Lo stesso discorso per ρn. Invece sn σn e la somma di tutti i termini ai bj per i quali(i, j) appartiene al quadrato di vertici

(0, 0) , (n, 0) , (n, n) , (0, n) .

Poiche ai bj sono tutti numeri non negativi le disuguaglianze (VIII.3.6) sono evidenti.Cio posto, la successione {ρn} e limitata superiormente e quindi e convergente.Indichiamo con C il limite di questa successione. Da (VIII.3.6) si ha

limn→∞

ρn ≤ limn→∞

sn · limn→∞

σn ≤ limn→∞

ρ2n

ossiaC ≤ AB ≤ C .

Quindi C = AB.

VIII.4 CRITERI DI CONVERGENZA O DIVER-

GENZA PER SERIE A TERMINI NON

NEGATIVI

In questo paragrafo dimostreremo alcuni “test” che assicurano la convergenza o ladivergenza di una serie a termini non negativi.

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VIII.4. Criteri di convergenza o divergenza 243

Teorema VIII.4.1. (Criterio del confronto) - Siano∑∞

n=0 an e∑∞

n=0 bn due seriea termini non negativi e supponiamo che esista un intero ν ∈ N tale che

an ≤ bn , ∀n > ν . (VIII.4.1)

Allora se∑∞

n=0 bn converge anche∑∞

n=0 an converge; se∑∞

n=0 an diverge anche∑∞n=0 bn diverge.

Dimostrazione Indichiamo con sn e σn le somme parziali rispettivamente dellaserie degli an e della serie dei bn. Per n > ν risulta

sn =ν∑h=0

ah +n∑

h=ν+1

ah ≤ν∑h=0

ah + σn −ν∑h=0

bh .

Allora, se {σn} converge, {σn} e limitata superiormente e quindi anche {sn} elimitata superiormente e pertanto converge.Se invece {sn} diverge (positivamente) anche {σn} diverge (positivamente).

Esempio 1. La serie∞∑n=0

n

n3 + 1e convergente.

Infatti ∀n > 0 e

0 <n

n3 + 1<

n

n3=

1

n2

e la serie∞∑n=0

1

n2e convergente (cfr. paragrafo 2).

Esempio 2. La serie∞∑n=0

n

n2 + 1e divergente.

Infatti ∀n > 0 en

n2 + 1≥ n

n2 + n2=

1

2n

e la serie∞∑n=0

1

ne divergente.

Teorema VIII.4.2. (Criterio della radice) Sia∑∞

n=0 an una serie a termini nonnegativi; allora

(i) se esiste un numero positivo K < 1 e un intero ν ∈ N tali che

n√an ≤ K , ∀n > ν (VIII.4.2)

la serie converge;

(ii) se per infiniti indici n en√an ≥ 1 (VIII.4.3)

la serie diverge.

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244 Capitolo VIII. Serie numeriche

Dimostrazione Se vale la condizione (VIII.4.2) allora e

an ≤ Kn , ∀n > ν .

D’altra parte la serie geometrica∑∞

n=0 Kn e convergente perche 0 < K < 1; quindi,

per il teorema VIII.4.1, anche la serie∑∞

n=0 an e convergente. Se vale la condizione(VIII.4.3) allora, per infiniti n, e an ≥ 1; ne segue che la successione {an} non einfinitesima e pertanto la serie degli an diverge.

Corollario VIII.4.3. Sia∑∞

n=0 an una serie a termini non negativi e sia L =lim′′n→∞

n√an. Allora

(i) se e L < 1 la serie converge;

(ii) se e L > 1 la serie diverge. 2

Dimostrazione Supponiamo che sia L < 1. Scelto un ε > 0 in modo che siaL+ ε < 1 esiste un ν ∈ N tale che

n√an < L+ ε < 1 ∀n > ν .

Ne segue, per il teorema VIII.4.2, che la serie∑∞

n=0 an e convergente. Se invece eL > 1, scelto ε > 0 in modo che L− ε sia > 1, si ha, per infiniti n,

n√an > L− ε > 1 .

Ne segue, per il teorema VIII.4.2, che la serie∑∞

n=0 an e divergente.

Esempio 3. La serie∞∑n=0

n3

n!e convergente.

Infatti ricordiamo che

limn→∞

n√n = 1

limn→∞

n√n! = +∞

per cui

limn→∞

n

√n3

n!= lim

n→∞

( n√n)

3

n√n!

= 0 < 1 .

Teorema VIII.4.4. (Criterio del rapporto) Sia∑∞

n=0 an una serie a terminipositivi. La serie converge se esiste un numero K, 0 < K < 1, e un intero ν ∈ Ntale che

an+1

an≤ K , ∀n > ν . (VIII.4.4)

La serie diverge se esiste un intero ν ∈ N tale che

an+1

an≥ 1 , ∀n > ν . (VIII.4.5)

2L > 1, in particolare L = +∞.

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VIII.4. Criteri di convergenza o divergenza 245

Dimostrazione Supponiamo che valga la condizione (VIII.4.4); allora, ∀n > ν

an ≤ K an−1 ≤ K2 an−2 ≤ . . . ≤ Kn−ν aν =aνKν·Kn .

La serieaνKν

∞∑n=0

Kn

e convergente in quanto 0 < K < 1. Ne segue, per il criterio del confronto, cheanche

∑∞n=0 an e convergente.

Supponiamo che valga la condizione (VIII.4.5); allora, se n e maggiore di ν , si ha

an+1 ≥ an .

Pertanto la successione n→ an+ν+1 (successione estratta da {an}) e monotona nondecrescente e non e infinitesima perche

limn→∞

an+ν+1 ≥ aν+1 > 0 .

Ne segue che la serie∑∞

n=0 an e divergente.

Corollario VIII.4.5. Sia∑∞

n=0 an una serie a termini positivi e sia

L = lim′′n→∞

an+1

an, ` = lim′

n→∞

an+1

an.

Allora

(i) se L e < 1 la serie e convergente;

(ii) se ` e > 1 la serie e divergente.

Questo corollario segue facilmente dal teorema VIII.4.4 e dalle proprieta caratteri-stiche del massimo e minimo limite di una successione.

Esempio 4. La serie∞∑n=0

xn

n!, x > 0 fissato, e convergente. Infatti

limn→∞

xn+1

(n+1)!

xn

n!

= limn→∞

x

n+ 1= 0 < 1 .

Teorema VIII.4.6. Siano∑∞

n=0 an e∑∞

n=0 bn due serie a termini positivi e sia

limn→∞

anbn

= L 6= 0 . (VIII.4.6)

Allora le due serie sono entrambe convergenti oppure entrambe divergenti.

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246 Capitolo VIII. Serie numeriche

Dimostrazione Per definizione di limite, esiste un intero ν ∈ N tale che ∀n > ν∣∣∣∣anbn − L∣∣∣∣ < L

2

ossia1

2L <

anbn

<3

2L

e quindiL

2bn < an <

3L

2bn .

La tesi segue allora facilmente dal teorema VIII.4.1.

Esempio 5. La serie∞∑n=2

n

n2 − 2e divergente. Infatti

∞∑n=1

1

ne divergente e

limn→∞

nn2−2

1n

= limn→∞

n2

n2 − 2= 1

Si osservi che allo stesso risultato si puo arrivare utilizzando il criterio del confronto;infatti se n ≥ 2

n

n2 − 2>

n

n2=

1

n.

VIII.5 SERIE ASSOLUTAMENTE CONVERGEN-

TI

Consideriamo una serie∑∞

n=0 an a termini di segno qualunque.

Definizione VIII.5.1. Si dice che la serie∑∞

n=0 an e assolutamente convergentese converge la serie

∑∞n=0 |an|.

Si dimostra facilmente che una serie assolutamente convergente e anche conver-gente. Indichiamo con sn e con σn rispettivamente le somme parziali della serie∑∞

n=0 an e della serie∑∞

n=0 |an|. Supponiamo che {σn} sia convergente, allora {σn}e una successione di Cauchy; cio significa che ∀ ε > 0 esiste un intero ν ∈ N tale che∀m > n > ν e

|σm − σn| = |am|+ |am−1|+ . . .+ |an+1| < ε . (VIII.5.1)

Poiche|am + am−1 + . . .+ an+1| ≤ |am|+ |am−1|+ . . .+ |an+1|

anche la successione {sn} e una successione di Cauchy e quindi {sn} e convergente.Al contrario, una serie numerica puo essere convergente senza essere assoluta-

mente convergente. Consideriamo la serie

∞∑n=1

(−1)n−1

n= 1− 1

2+

1

3− . . . +

(−1)n−1

n+ . . . (VIII.5.2)

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VIII.5. Serie assolutamente convergenti 247

Questa serie converge ma non converge assolutamente perche

∞∑n=1

∣∣∣∣(−1)n−1

n

∣∣∣∣ =∞∑n=1

1

n

e una serie divergente (cfr. paragrafo 2).La convergenza della serie (VIII.5.2) segue dal teorema che ora dimostreremo

relativo alle serie a termini di segno alterno.

Teorema VIII.5.2. Sia {an} una successione non crescente e infinitesima; allora

∞∑n=0

(−1)nan

e convergente.

Dimostrazione Osserviamo innanzitutto che i numeri an sono tutti ≥ 0 e quindi itermini della serie in esame sono, alternativamente, ≥ 0 oppure ≤ 0. Precisamentesono ≥ 0 i termini con indice pari e sono ≤ 0 i termini con indice dispari. Ne viene,tenuto conto della monotonia della successione {an}, che

s2n+2 = s2n − a2n+1 + a2n+2 ≤ s2n

s2n+1 = s2n−1 + a2n − a2n+1 ≥ s2n−1

s2n+1 = s2n − a2n+1 ≤ s2n .

(VIII.5.3)

Pertanto la successione {s2n} e non crescente mentre {s2n+1} e non decrescente.Inoltre, da (VIII.5.3) si ottiene che

s2n+2 ≥ s2n+1 ≥ s1 = a0 − a1

s2n+1 ≤ s2n ≤ s0 = a0 .

Quindi {s2n} e limitata inferiormente e {s2n+1} e limitata superiormente. Se neconclude che {s2n} e {s2n+1} sono successioni convergenti. Queste successioni con-vergono verso lo stesso limite S in quanto

limn→∞

(s2n − s2n+1) = limn→∞

an = 0 .

Poiche l’insieme degli n pari e l’insieme degli n dispari sono due insiemi la cui unionee N, possiamo concludere che anche {sn} e una successione convergente e

limn→∞

sn = S .

I criteri di convergenza dimostrati nel paragrafo precedente si possono utilizzarecome criteri di assoluta convergenza. Ad esempio, sia data la serie

∞∑n=0

cosn

n2 + 1. (VIII.5.4)

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248 Capitolo VIII. Serie numeriche

Consideriamo la serie a termini non negativi∞∑n=0

| cosn|n2 + 1

. Si puo dimostrare che

questa serie converge utilizzando il criterio del confronto (teorema VIII.4.1):

| cosn|n2 + 1

≤ 1

n2 + 1<

1

n2, n ≥ 1 .

La serie∞∑n=1

1

n2e convergente (cfr. paragrafo 2), quindi la serie (VIII.5.4) e assolu-

tamente convergente e pertanto e anche convergente.

Una serie assolutamente convergente verifica solo in parte quelle proprieta dellaserie a termini non negativi che abbiamo dimostrato nel paragrafo 3.

Sia {an} una successione reale, sia n → kn una successione crescente di interi, conk0 = 0, e sia

bn =

kn+1−1∑h=kn

ah , n ∈ N .

Teorema VIII.5.3. Se la serie∑∞

n=0 an e assolutamente convergente anche laserie

∑∞n=0 bn e assolutamente convergente e le due serie hanno la stessa somma.

Il viceversa pero e falso.

Dimostrazione Consideriamo le serie∑∞

n=0 |an|,∑∞

n=0 |bn|,∑∞

n=0 b∗n, dove

b∗n =

kn+1−1∑h=kn

|ah| , n ∈ N

Abbiamo dimostrato che

∞∑n=0

|an| =⇒∞∑n=0

b∗n convergente .

Ne segue che anche∞∑n=0

|bn| e convergente in quanto

|bn| ≤ b∗n , ∀n ∈ N

e quindi basta utilizzare il criterio del confronto.

Resta da dimostrare che le serie∑∞

n=0 an e∑∞

n=0 bn hanno la stessa somma.Indichiamo con sn e σn rispettivamente le somme parziali della serie degli an e dellaserie dei bn. Si ha

σn = skn+1−1 ,

quindi {σn} e una successione estratta dalla successione {sn} e le due successionihanno lo stesso limite.

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VIII.5. Serie assolutamente convergenti 249

Per dimostrare che la convergenza assoluta della serie∑∞

n=0 bn non implica laconvergenza assoluta della serie

∑∞n=0 an si puo considerare il seguente esempio:

∞∑n=0

an = 1− 1 +1

2− 1

2+

1

3− 1

3+ . . .+ (−1)n

1

[n/2] + 1+ . . .

dove [n/2] indica la parte intera di n/2. Questa serie e convergente ma non eassolutamente convergente mentre la serie

∑∞n=0 bn ottenuta raggruppando i termini

a due a due∑n=0

bn = (1− 1) +

(1

2− 1

2

)+

(1

3− 1

3

)+ . . . = 0 + 0 + 0 + . . .

e assolutamente convergente.

Teorema VIII.5.4. Se le due serie∑∞

n=0 an e∑∞

n=0 bn sono assolutamenteconvergenti e hanno per somma A e B anche la serie prodotto

∑∞n=0 cn , cn =

an b0 + . . .+ a0 bn, e assolutamente convergente e ha per somma AB.

Dimostrazione Consideriamo le serie∑∞

n=0 |an|,∑∞

n=0 |bn|,∑∞

n=0 |cn|,∑∞

n=0 c∗n

dovec∗n = |an b0|+ |an−1 b1|+ . . . + |a0 bn| , n ∈ N .

Per il teorema VIII.3.3,

∞∑n=0

|an| e∞∑n=0

|bn| convergenti =⇒∞∑n=0

c∗n convergente;

ne segue, per il criterio del confronto, che anche∑∞

n=0 |cn| e convergente in quanto

|cn| ≤ c∗n , ∀n ∈ N .

Poniamo C =∑∞

n=0 cn; si tratta di far vedere che

C = AB

Indichiamo con sn, σn, ρn, τn rispettivamente le somme parziali delle serie deglian, della serie dei bn, della serie dei cn e della serie dei c∗n. Se teniamo presente ildiagramma tracciato nel paragrafo 3, si vede facilmente che

|sn σn − ρn| ≤ τ2n − τn .

Quindi|AB − C| = lim

n→∞|sn σn − ρn| ≤ lim

n→∞(τ2n − τn) = 0 .

Ne segue cheAB = C .

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250 Capitolo VIII. Serie numeriche

Teorema VIII.5.5. Se la serie∑∞

n=0 an e assolutamente convergente allora ogniserie

∑∞n=0 bn ottenuta riordinando i termini e assolutamente convergente e le due

serie hanno la stessa somma.

Dimostrazione Le serie∞∑n=0

|an| e∞∑n=0

|bn| sono serie a termini non negativi e

la seconda e ottenuta dalla prima riordinando i termini. Quindi, per il teoremaVIII.3.2,

∞∑n=0

|an| convergente =⇒∞∑n=0

|bn| .

Per dimostrare che le due serie hanno la stessa somma ragioniamo in questo modo:sia

bn = akn , n ∈ N (3)

rn = max{k0, k1, . . . , kn}

e indichiamo con sn e σn le somme parziali della serie degli an e della serie dei bn.Allora

|srn − σn| ≤∞∑

h=n+1

|bn|

Quindilimn→∞

(srn − σn) = 0 . (VIII.5.5)

D’altra parte e rn ≥ n e quindi limn→∞

rn = +∞. Da (VIII.5.5) segue allora che

limn→∞

σn = limn→∞

srn = limn→∞

sn .

Una serie la quale sia convergente insieme con tutte le serie da essa ottenu-te riordinando i termini si dice che converge incondizionatamente. E’ interessantedimostrare che

Teorema VIII.5.6. Una serie converge incondizionatamente se e solo se la serie eassolutamente convergente.

Dimostrazione Se una serie converge assolutamente allora essa converge incondi-zionatamente; questo e stato provato nel teorema VIII.5.5.Si tratta di far vedere che e vero il viceversa. Premettiamo la seguente osservazione:sia data la serie

∑∞n=0 an ; consideriamo queste altre due serie 4

∞∑n=0

an ∨ 0 e∞∑n=0

an ∧ 0 (VIII.5.6)

3n→ kn applicazione biunivoca di N su N (cfr. paragrafo 3).4Ricordiamo che

an ∨ 0 =

{an se an ≥ 0

0 se an < 0, an ∧ 0 =

{0 se an > 0

an se an ≤ 0

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VIII.5. Serie assolutamente convergenti 251

e facciamo vedere che queste due serie convergono se e solo se la serie∑∞

n=0 an con-verge assolutamente. Supponiamo che le serie (VIII.5.6) siano convergenti; poiche

|an| = an ∨ 0− an ∧ 0

anche la serie∑∞

n=0 an e convergente. 5 Viceversa, supponiamo che∑∞

n=0 |an| siaconvergente; allora anche

∑∞n=0 an e convergente e poiche

an ∨ 0 =1

2{an + |an|}

an ∧ 0 =1

2{an − |an|}

anche le serie (VIII.5.6) sono convergenti. Cio posto, supponiamo che la serie∑∞n=0 an sia convergente ma non converga assolutamente. Dalle relazioni

∞∑n=0

|an| =∞∑n=0

an ∨ 0 −∞∑n=0

an ∧ 0

∞∑n=0

an =∞∑n=0

an ∨ 0 +∞∑n=0

an ∧ 0

segue che entrambe le serie (VIII.5.6) sono divergenti (la prima positivamente e laseconda negativamente). Infatti se convergessero entrambe allora sarebbe conver-gente anche

∑∞n=0 |an| e se divergesse una sola delle due allora

∑∞n=0 an non sarebbe

convergente. Ne segue che

an e > 0 per infiniti indici n ,

an e < 0 per infiniti indici n .

Poniamo

N∗ = {n : an ≥ 0}

N∗∗ = N − N∗ = {n : an < 0} .

Sia n → kn una applicazione crescente di N su N∗ e n → jn una applicazionecrescente di N su N∗∗. Poniamo

bn = akn ,

cn = ajn .

Poiche ∀m ∈ N en∑n=0

bn ≥n∑n=0

an ∨ 0

5La somma di due serie convergenti e una serie convergente.

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252 Capitolo VIII. Serie numeriche

la serie∑∞

n=0 bn diverge positivamente quindi e possibile trovare una successionedi interi positivi {pn}:

po < p1 < p2 < . . . < pn < . . .

tale che siapn∑n=0

bn > h−h∑

n=0

cn , ∀h ∈ N .

Consideriamo allora la seguente serie, ottenuta da∑∞

n=0 an riordinando i termini,

b0 + b1 + . . .+ bp0 + c0 + bp0+1 + . . .+ bp1 + c1 + bp1+1 + . . .+ bp2 + c2 + . . .

Questa serie e divergente.

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