bonsai suiseki magazine nº3 março 2010
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BONSAI & SUISEKI MAGAZINE: THE FIRST OPEN-MAGAZINE
We think this self-made journal is destined to be for the elite, a precious icon only for a few. It is not meant to be for many,
we are not interested in the number of readers, but in quality as bonsai and suiseki are products of excellence. It is not in
competition with any other magazine on the market because owing to its features, it has no competitors, no market, no
editors and therefore it is in the condition of being independent of the economic power that regulates every mechanism
and affects thought in modern society. This is a magazine whose sole and basic interest lies in the best qualified
dissemination of bonsai and suiseki. We will define this journal with the English term “fanzine, which translated into
Italian as “rivista amatoriale/amateur magazine“ comes from the contraction of the English words fan and magazine It is
linked to do-it-yourself practice also thanks to the possibility of printing color copies at a cost of only a few cents. A fanzine
is a real organ of independent press, as an alternative to so-called mainstream publishing. This magazine is still growing
in terms of content and graphics; it is not static: each issue varies depending on the articles and reports that the Editorial
Committee decides to publish. It is the first magazine to offer equal space and dignity to suiseki, with the aim of giving it a
greater dissemination. From a structural-organizational point of view, the magazine is directed by IBS Instructor Antonio
Ricchiari which cooperates with an Editorial Committee composed of IBS Instructors, Luca Bragazzi, Luciana Queirolo,
Antonio Acampora, and Carlo Scafuri who are also in charge of the entire editorial process and of external relations. The
magazine is an informative, scientific and technical instrument open to all and this flexibility has given it a work in
progress quality that other organs of specific sector media do not possess. So, this magazine has developed various
forms of assistance for its readers. The context in which such a collaboration operates implies that the Editorial
Committee is committed to develop continuously the “containers” of the topics, that the reader is willing to take part in
the magazine, and that the staff is ready to stake the whole approved communication system for it. A non rhetorical place
for bonsai and suiseki ,therefore, implies that the reader must be ready to play along with it: it is no longer the plant or the
stone to be the aesthetic pole, but the rapport, the way we look at the things will introduce us to the work of art itself, as is
hinted in the aphorism by Tzara “poetry will resemble you”. The strength, therefore lies in the initiative that has made the
magazine tangible and real, the ways in which its visibility has risen remarkably since issue Number One and especially
the play of dispositions of the range of coverage which we have put in an ordinary context through an extraordinary
medium: that is online communication.
BONSAI y SUISEKI MAGAZINE: EL PRIMERO OPEN MAGAZINE
Un auto de esta revista se cree que están destinados a ser para la elite, un icono de unos preciosos. Esta revista no
pretende ser para muchos, no nos interesa el número de lectores, pero la calidad como el bonsái y suiseki son un
producto de excelencia. No es una revista en competencia con las otras del mercado porque por sus peculiaridades no
tiene a competidores, no tiene mercado, no tiene a editores y por lo tanto está en las condiciones de mantenerse
independiente del poder económico que regula cada mecanismo en la sociedad moderna y que condiciona el
pensamiento. Y’ una revista cuyo interés único y esencial es solamente la mejor y calificada difusión del bonsai y el
suiseki. Ésta es una revista que definimos con un término angloparlante “fancine.” El término fancine, que podemos
traducir como en italiano “vuelta a ver amatoriale”, deriva de la contracción de las palabras ingleses hinchas,
fanatico/appassionato y magazine, revista. Se derrite con la práctica del doy it yourself, error solo, gracias también a la
posibilidad de imprimirla en copias a colores al coste de pocos céntesimos. El fancine es un real órgano de prensa
independiente, en alternativa a la asillamada industria editorial mainstream. La revista del punto de vista de contenidos
y gráfica está en continua expansión, no es estática, varia cada número en función de los escritos y los servicios que el
Comité de Redacción decide publicar. Del punto de vista estructural-organizativo el magazine es dirigido por el Instructor
IBS Antonio Ricchiari con el que colabora un Comité de Redacción compuesto por los Instructores IBS Luca Bragazzi,
Luciana Queirolo, de Antonio Acampora y de Carlo Scafuri que también se ocupa de toda la fase editorial y de las
relaciones externas. El Magazine es un instrumento informativo, científico y técnico abierto a todas las colaboraciones y
esta flexibilidad lo lleva a haber adquirido un work en progress que otros órganos de prensa sectorial no poseen. Así este
magazine ha elaborado varias formas de intervención por sus lectores. El contexto en el que funciona este tipo de
colaboración implica el empeño de parte del Comité de Redacción a acrecentar continuamente los “contenedores” de
los argumentos, la disposición del lector a intervenir en la revista, la disposición de los colaboradores a poner en juego
todo el sistema mismo de la comunicación homologada. Una colocación no retórica, pues, del bonsai y del suiseki
implica la disposición de parte del lector de estar al juego: no es la planta o la piedra más a ser el polo estético pero la
relación, nuestra mirada por las cosas nos introduce en el funcionamiento de la obra misma, como para aludir al
aforismo de Tzara “la poesía os se parecerá”. En fin este magazine representa el arquetipo del digital native generation,
la generación crecida a “pan e internet”. Una revelación y una promesa: convertirse en la revista leída en otros Países del
mundo. La velocidad del web ha hecho el resto.
E
E
ditoriale
di Sandro Segneri
C
ari lettori, Vi ringrazio in anticipo per l’attenzione che porrete nel leggere questo spazio. Nel movimento
bonsaistico italiano, da decenni esistono delle realtà che si sono dedicate con passione e perseve-
rante impegno a diffondere il bonsai e il suiseki.
Queste realtà, molto tangibili nel nostro Paese, hanno fatto si che nel tempo fossero attivate iniziati-
ve più o meno importanti, più o meno interessanti, che hanno contribuito alla crescita dell’informazione di
questo mondo, che può apparire misterioso, aiutando a sfatare questa diceria.
Credo quindi che noi tutti dobbiamo un doveroso grazie a quanti, all'interno di queste realtà, hanno contri-
buito in maniera evidente a una corretta informazione per praticare queste
arti.
Mi riferisco in primis a coloro che hanno dato inizio alla conoscenza e che
sovente hanno dovuto faticare per scoprire, per cercare di capire, per speri-
mentare e approfondire le pratiche sia culturali che colturali, spesso
inventandosi le tecniche per "arrivare", gli attrezzi e quant’altro necessario
alla propria passione e che, successivamente, si sono impegnati nella diffu-
sione delle informazioni assunte ai nuovi adepti che via via si sono a loro
avvicinati per conoscere e approfondire queste arti.
Sono molteplici i personaggi che hanno lasciato testimonianze scritte con
articoli e pubblicazioni e che con dimostrazioni, seminari e work-shop,
mettendo a disposizione la loro storia e la loro esperienza, hanno svelato
aspetti culturali e tecnici che sono di attualità nel bonsai moderno.
Non da meno un ruolo significativo è stato svolto dalle associazioni, prima sparute e non coese e
ora molto distribuite sul territorio; ognuna con le proprie finalità, metodi organizzativi e gestionali; di que-
ste, molte oggi si riconoscono nell’associazione nazionale U.B.I. (Unione Bonsaisti Italiani) associazione
che cura gli aspetti amatoriali e di promozione dell'arte.
Altro contributo va riconosciuto alla didattica, gli istruttori, che con il loro lavoro e metodo hanno
contribuito efficacemente alla crescita media del bonsaismo italiano, attuando quelle dinamiche concettua-
li che si basano su una corretta informazione e che hanno saputo svilupparsi raggiungendo attualmente
una professionalità specialistica estremamente evidente e fruibile.
In questo settore della didattica, il Collegio Nazionale degli Istruttori del Bonsai e del Suiseki - IBS rappre-
senta il motore trainante dell’evoluzione “moderna” del Bonsai, del Suiseki.
Sono tantissime le energie e il lavoro d’informazione che i singoli istruttori IBS divulgano, da quindi-
ci anni, in modo capillare e che hanno segnato una svolta epocale che è oggi rappresentata in modo elo-
quente nell’immagine ed il livello raggiunto dal bonsai e suiseki italiano.
In questo ultimo trascorso, si sono stabiliti ruoli associativi che hanno attivato sinergie ade-
guate e funzionali che hanno reso possibile la nascita di scuole che oggi operano con metodologie
diversificate, comunque efficaci, e capaci a tal punto da essere presenti, oltre che nel territorio
Nazionale, anche in Europa ed oltreoceano; scuole la cui valenza è stata riconosciuta dall’UBI, e
oggi anche dall’IBS, per gli appartenenti al collegio, con valutazioni meritocratiche basate sul rea-
le operato e contributo dei caposcuola alla crescita del movimento ed alla rappresentatività
bonsaistica italiana nel mondo. Questa riflessione mi fa scaturire l'invito di promuovere in tutte le
associazioni percorsi formativi corretti, pedagogici ed efficaci per far si che ogni singolo apporti
energia e sinergia per incentivare una sempre più corretta divulgazione, ignorando percorsi propo-
sti da chi non ha: requisiti, metodo e capacità riconosciute.
Buon bonsai
Sandro Segneri
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conformità alla normativa vigente in materia di tutela del diritto d’autore applicabile (in particolare, alla Convenzione di Berna ed alla L.
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ed il Magazine si riserva il diritto di potere utilizzare il materiale concesso. La pubblicazione di articoli sul Magazine presuppone la
conoscenza e l’accettazione di questo Disclaimer Legale.
Anno II - n. 3 - Marzo 2010
in collaborazione con
Ideato da: Luca Bragazzi, Antonio Ricchiari, Carlo Scafuri
Direttore: Antonio Ricchiari - [email protected]
Direttore Responsabile: Antonio Acampora - [email protected]
Caporedattore: Carlo Scafuri - [email protected]
Art directors: Salvatore De Cicco - [email protected] Carlo Scafuri
Comitato di redazione: Antonio Acampora Massimo Bandera - [email protected] Luca Bragazzi - [email protected] Luciana Queirolo - [email protected] Antonio Ricchiari Carlo Scafuri Sandro Segneri - [email protected]
Redazione: Daniele Abbattista - [email protected] Sandra Guerra Giuseppe Monteleone - [email protected] Dario Rubertelli - [email protected] Pietro Strada - [email protected] Marco Tarozzo - [email protected]
Impaginazione: Giuseppe Monteleone Carlo Scafuri Pietro Strada Hanno colalborato: Nicola Crivelli - [email protected] Gian Luigi Enny - [email protected] Tiberio Gracco - [email protected] G.Kyoosuke - Bonsai&News - [email protected]
Davide Lenzi Antonio Morri Carlo Oddone Giacomo Pappalardo - [email protected] Gianfranco Rossi - [email protected] Elisabetta Ruo - [email protected] Francesco Santini - [email protected] Anna Lisa Somma - [email protected] Federico Springolo Axel Vigino In copertina: Federico Springolo Franchi Bonsai Luciana Queirolo
Sito web:
http://bonsaiandsuisekimagazine.blogspot.com
Indirizzo e-mail: [email protected]
>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki
06 Le vaschette nei giardini giapponesi di G. L. Enny10 Un luogo Museale dov'è protagonista
il Bonsai di A. Ricchiari15 Costantino Franchi.
Il ricordo di un AMICO di A. Ricchiari17 XIV Congresso Nazionale UBI - Talenti Italiani
a confronti di A. Morri
>> Bonsai-do: pratica e sapere
22 Cioosen: la sfida di M. Bandera
>> Mostre ed Eventi
28 Sotto il cielo d'inverno andando verso la
primavera - "Backstage" di F. Santini34 Yon Shun-Ten di N. Crivelli
>> Dalle pagine di Bonsai&News
40 Specie da fiore e da frutto di G. Kyoosuke
>> In libreria
44 Come creare raffinati giardini giapponesi
di A. Ricchiari
>> Bonsai ’cult’
45 Bonsai o Penjing di A. Ricchiari
>> La mia esperienza
47 Phillyrea Angustifolia - Prima impostazione
di D. Lenzi51 Nel laboratorio di un artista di T. Gracco, C. Scafuri56 La mantide religiosa di G. Pappalardo
>> A lezione di suiseki
62 Vita breve di una pietra giapponese:
una Luuuuunga Storia, ai nostri occhi di L. Queirolo
>> Noi... di Bonsai Creativo School
70 Larice. Essenza meravigliosa di F. Springolo
>> L’opinione di...
80 Lorenzo Agnoletti di G. Monteleone
>> A scuola di estetica
86 Sokan: il doppio tronco di A. Ricchiari
>> L’essenza del mese
90 La carmona di A. Acampora
>> Non tutti sanno che...
94 L'acero di E. Ruo
>> Note di coltivazione
98 L'utilizzo dell sfagno nelle pratiche bonsaistiche
di L. Bragazzi
>> Tecniche bonsai
100 Propagazione per talea di A. Acampora
>> L’angolo di Oddone
104 Il ligustro di C. Oddone
>> Vita da Club
108 Spazio Bonsai di G. Rossi
>> Il Giappone visto da vicino
109 L'abito da sera. Quel che non ci aspetteremmo
da Yukio Mishima di A. L. Somma110 Le ultime Geishe di A. Ricchiari
>> Axel’s World
114 Lo shintoismo di A. Vigino
>> Che insetto è?
116 Gli atrezzi come veicolo di malattie.
I vettori antropici di trasmissione di L. Bragazzi
>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki
06
- Gian Luigi Enny -
LE VASCHETTE
nei giardini giapponesi
L
e vaschette di pietra furono introdotte nei
giardini giapponesi assieme alla tradizione
del giardino del tè (XVI secolo), divenendo
così un elemento irrinunciabili assieme
alle lanterne, caratteristiche del suo arredo.
Ne esistono fondamentalmente due mo-
delli, il primo tipo è la vaschetta chiamata “Chotsu-
bachi” di maggiore altezza, dimensione e
semplicità che serviva esclusivamente per lavarsi
le mani ed era collocata generalmente all’entrata
del giardino in cui poteva essere utilizzata appena
entrati. L’altro tipo di vasca, detta “Tsukubai”più vi-
cina alla stanza del tè, era utilizzata prima di acce-
07
- Gian Luigi Enny -
dere alla cerimonia del tè ed
era formata da una vaschetta
più piccola della precedente
sempre in pietra naturale e da
un raggruppamento di rocce
impiegate per appoggiare la
lanterna, ( visto che molte volte
il cerimoniale si svolgeva
all’imbrunire) e il mestolo di
bambù, utensili tipici del rituale
del tè.
Il termine tsukubai preci-
samente comprende oltre la va-
sca, una breve tubazione in
bambù (“Kakehi”), che convo-
glia l’acqua all’interno del baci-
le, il mestolo generalmente di
bambù, necessario per preleva-
re l’acqua da portare alla
bocca per purificarsi simbolica-
mente prima di accedere alla
cerimonia, più alcune pietre po-
sizionate a breve distanza.
Prima di entrare nella
stanza del tè, l'ospite doveva
attraversare il giardino se-
guendo un percorso ben preci-
so, segnato da pietre per il
camminamento, in tal modo ci
si preparava spiritualmente;
arrivati alla tsukubai, l'ospite
bagnava le mani e la bocca
con l'acqua della vaschetta,
tutto ciò stava a significare
simbolicamente la purificazio-
ne del corpo e della mente, so-
lo dopo queste abluzioni, il
padrone di casa e l'ospite si
preparavano per la cerimonia
1. "Kakehi"
2. Modello di vasca tsukubai comunemente usato per i giardini
giapponesi
08
- Gian Luigi Enny -
disponendosi uno di
fronte all'altro nella
stanza del tè apposita-
mente preparata se-
condo il rituale.
Attualmente le
tsukubai sono onnipre-
senti nella maggior
parte dei giardini co-
minciarono a essere
utilizzate come parte
della decorazione alla
fine del periodo Edo,
così non è raro tro-
varle nei Ryokan
(alberghi tradizionali),
o nei giardini privati.
Nei giorni no-
stri quasi più nessuno
esercita la cerimonia
del tè, però queste va-
schette sono molto
considerate dai mae-
stri giardinieri nella co-
>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki
3. Visione insolita di un intero
complesso “tsukubai” - 4. Pie-
tre per il camminamento fino
alla vasca - 5. “Tsukubai” in
un giovane giardino nostrano
in stile giapponese - 6. ”Chotsubachi” in un moderno
giardino - 7, 8. “Chotsubachi”
con giovani geishe - 9. Modello di vasca tsukubai
usata per i giardini nipponici.
09
- Gian Luigi Enny -
struzione dei nuovi giardini
nipponici, assieme alla
lampada in pietra sono uti-
lizzate come arredo, dando
all’intera struttura quel fasci-
no misterioso molto ricercato
in chi pratica la filosofia zen.
La loro disposizione non è
più connessa agli schemi rigi-
di che riguardava l’intera
pratica del tè, ma sarà le-
gato al buon gusto dei mae-
stri giardinieri che dovranno
disporre il tutto dando alla lo-
ro realizzazione quel fascino,
quell’emozione e quella natu-
ralezza ricercata proprio in
chi pratica quest’arte.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L
a storia è costituita da eventi e da uomini, anzi sono gli uomi-
ni che determinano gli eventi e Costantino Franchi è stato
uno dei personaggi del bonsai italiano che ha creduto con
lungimiranza al bonsai fin dagli albori.
La passione per il bonsai ha superato di gran lunga l'aspetto
commerciale dell'azienda che Franchi ha fondato a Pescia e che co-
stituisce oggi uno dei più sicuri e qualificati punti di riferimento del
bonsai in Italia. Quando si parla di bonsai di Olivo il riferimento è il Vi-
vaio Franchi perché l'allevamento e la formazione di questi esemplari
è stata ed è la specializzazione del Centro. Vivaista da sempre, ha
10 - Antonio Ricchiari -
fatto del suo Centro l'eccellenza nella produzio-
ne di bonsai di Olivo e di altre specie autoctone.
È grazie all'iniziativa di Costantino che il bonsai
di Olivo ha suscitato l'interesse dei giapponesi
che ne hanno incrementato la coltivazione e
guardato con notevole interesse lo stile di questi
esemplari.
La sua curiosità per l'Oriente lo ha
portato a raccogliere la collezione più ricca di va-
rietà di essenze per bonsai, a promuovere una se-
rie di manifestazioni a carattere nazionale e
internazionale, e incontri di grande importanza di-
dattica, con la partecipazione di maestri della
portata di Kimura, Robinson, Terakawa, Pall e i
maggiori esperti italiani.
Franchi organizzò, dal 29 aprile all’1
maggio 1995 a Pescia, un indimenticabile
incontro con il maestro Masahiko Kimura. Furo-
no tre irripetibili giornate durante le quali l’Oya-
kata, assistito da Salvatore Liporace, lavorò
alcune piante. Ebbi la fortuna di parteciparvi co-
me inviato della rivista Bonsai Italiano e di fare
un dettagliato reportage.
In quell'occasione, in vista della venuta di
Kimura in Italia, Liporace gli domandò quale fos-
se il suo ideale artistico: egli rispose che "[ ... ]
nel realizzare un bonsai mi pongo sempre la do-
manda: in che modo posso esprimere la
grandezza nel contesto di un vaso così piccolo e
limitato? Insomma, cerco di fare immaginare, a
chi guarda le mie opere, il tempo che è trascorso
lasciando il proprio segno sulla pianta e allu-
dendo allo spazio e alle dimensioni di un
paesaggio reale".
Il Kokufu-Ten è la più prestigiosa manife-
stazione di bonsai al mondo e si tiene ogni anno
in Giappone. Il Centro Bonsai di Franchi ebbe
l'onore di partecipare alla sua settantunesima
edizione e per l'Italia bonsaistica fu un evento
davvero prestigioso. L'eccezionalità era dovuta al
fatto che in quell'occasione, per la prima volta,
una pianta occidentale era stata ammessa a ta-
le prestigiosa manifestazione. Vi partecipano
infatti, e solo dopo una severa selezione delle
piante presentate, i principali maestri di arte
bonsai. Le richieste di ammissione per quella edi-
zione ammontavano a circa 600, molte delle qua-
li presentate dai più grandi maestri. Di queste
solo 200 furono accolte: fra esse anche la
pianta allevata nei vivai Franchi.
11- Antonio Ricchiari -
La pianta, un Ficus retusa, notata dal mae-
stro Kobayashi nel Museo di Pescia, fu spedita in
Giappone a radice nuda. Il Ficus presentato fu
molto apprezzato dai maestri giapponesi, tanto
che alla fine della manifestazione l'esemplare fu
lasciato, su richiesta del Maestro, nella Collezio-
ne di Kunio Kobayashi, affinchè potesse essere
ammirata da esperti e appassionati, oltre ad es-
sere esibita in altre manifestazioni che si tengo-
no in Giappone.
Inoltre Costantino Franchi e la moglie
Alda furono invitati all'inaugurazione del Kokufu-
Ten a Tokyo. Qui furono ricevuti dai maggiori mae-
stri di bonsai giapponesi, come Kimura e Kobaya-
shi, che li accompagnarono nella visita alle
maggiori collezioni di Bonsai del Sol Levante,
compresa quella di Daizo Iwasaki e di Reiji Taka-
gi. Il bonsai di Ficus ammesso alla mostra fa
parte del libro fotografico del Kokufu-Ten dell'edi-
zione del 1997.
Vorrei ricordare soltanto l’ultima iniziativa
ad opera di Nara Franchi che ha raccolto l’eredi-
tà morale di Costantino e che ora dirige con
grande competenza il Vivaio ed il Museo: una tre
giorni organizzata presso la sede con il Maestro
Shinji Suzuki nei giorni 26, 27, 28 febbraio
2010, cui hanno fatto da cornice una mostra di
scroll ed una Conferenza.
In memoria di Costantino Franchi, la fami-
glia ha istituito nel 2008, in occasione
dell'annuale manifestazione di Arco Bonsai, un
premio che porta il suo nome e che premia le mi-
gliori piante. Il memorial continuerà negli anni a
venire a futura memoria.
È un atto dovuto a chi fa parte ormai a
pieno titolo della storia del bonsaismo italiano.
Il Museo Franchi – L’altra iniziativa riguarda la
fondazione del Museo Bonsai, inaugurato a Pe-
scia nel giugno del 1992, conta una varietà di
esemplari davvero eccezionali. Il Museo è aperto
tutti i giorni della settimana dalle ore 8,00 alle
13,00 e dalle 14,30 alle 19,00 e le piante sono
curate sotto la supervisione di Lorenzo Agnoletti.
Il tema del rapporto fra uomo e natura
venne affrontato implicitamente nella costruzio-
ne di un Museo che accogliesse esemplari
bonsai. Un Museo che è anche un luogo non
equivoco nel quale il visitatore è anche spettato-
re di una realtà vissuta nei primi momenti come
fantastica rappresentazione di una cultura
12 - Antonio Ricchiari -
>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki
“altra”.
Il Museo ideato da Costantino ha, per scopi e
contenuti, l’altezza morale e fantastica di una location as-
soluta e incorruttibile della mente e dello spirito. E’ un luo-
go mitico per l’esaltazione della natura. E’ curioso
osservare le reazioni del visitatore impreparato alla visio-
ne di questi piccoli capolavori.
E’ intrigante l’avvicinarsi ed il penetrare una cultu-
ra che non ci appartiene ma che ci attrae fortemente e di
cui possiamo essere a buon diritto fruitori. Il Museo è luo-
go violabile in tutta la sua sacralità dove si celebra pe-
rennemente la liturgia del bonsai.
C’è chi, al cospetto di un bonsai, lo interpreta co-
me un sogno, come qualcosa che porta in un’altra di-
mensione, o che comunque ci racconta qualcosa della
natura, in modo originale e talvolta spiazzante. E tutto
questo Franchi lo aveva sperimentato ed attuato quando
il bonsai non apparteneva ai fenomeni modaioli dell’occi-
dente frivolo e superficiale
Il Museo è la dimensione di un Uomo che ha volu-
to dedicare la propria dedizione alla Natura consacrando
la sua esistenza alla cura delle piante e dei bonsai. E di
questo gliene siamo riconoscenti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
13- Antonio Ricchiari -
Q
uesta non è una
commemorazione,
perché le commemo-
razioni sono sempre
un fatto sterile di circostanza,
ma è il ricordo di un amico, di
una persona onesta e retta
(razza tristemente in estinzio-
ne) di uno dei personaggi che
hanno fatto il bonsai italiano
e la sua storia, Costantino
Franchi, purtroppo
scomparso da poco tempo.
La memoria è labile quando i
personaggi non sono più in vi-
ta, ma è doveroso rendere
omaggio e fissare nel tempo
ciò che Costantino ha fatto.
Ed è molto.
Franchi inizia la sua
carriera come vivaista per di-
venire poi amante del bonsai.
15
- Antonio Ricchiari -
il ricordo di un
AMICO
COSTANTINO FRANCHI
>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki
Stiamo parlando di un periodo
che vedeva gli albori del bonsai
e che era poco popolare. Un pe-
riodo pionieristico, insomma.
Con una sensibilità ed
una perspicacia da vero mana-
ger, Costantino ha investito
moltissimo in questa sua attivi-
tà, creando nel tempo attorno
a sé uno staff di collaboratori
ed esperti che hanno fatto poi
del Centro il leader nella produ-
zione in particolare di bonsai di
olivo e di molte altre specie au-
toctone.
La genialità e la percezio-
ne di Franchi è stata quella
della specializzazione, di avere
approfondito le tecniche di colti-
vazione soltanto per alcune spe-
cie, primo fa tutti l’olivo.
Essenza tipica mediterranea
che poi susciterà il profondo
interesse dei Maestri giappone-
si che ne stanno apprezzando
e valorizzando le caratteristi-
che ed i pregi estetici.
Il suo sogno nel cas-
setto era quello di creare una
collezione privata che riuscisse
ad esprimere lo spirito delle di-
verse scuole orientali unite al
meglio dell’allora giovane
bonsaismo occidentale.
La curiosità per
l’Oriente lo ha portato nel
1992 a raccogliere la collezio-
ne più ricca di essenze uti-
lizzate per bonsai ed in
quell’anno potè inaugurare a
giugno di quell’anno il Museo a
Pescia, che conta oggi oltre
350 esemplari di 240 specie.
La storia è costituita da
eventi e da uomini, anzi sono
gli uomini che determinano gli
eventi e si può tranquillamente
affermare che Costantino
Franchi è stato uno dei perso-
naggi del bonsai italiano che
ha creduto con lungimiranza al
bonsai fin agli albori.
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- Antonio Ricchiari -
TALENTI ITALIANI
A
CONTRONTO
Paolo Licari - Talento Italiano 1998
Iniziai ad occuparmi di bonsai all'inizio del 1990. All'ora facevo
parte del bonsai club palermo.In quei tre anni ebbi l'opportunita
di lavorare (e precisamente nel 91-92-93 ) con Hotzumi Terakawa
in occasione di tre work shop di 3 ore ciascuno e dimostrazioni
del suo modo eccezionale nel mettere il filo e di impostare le
piante. Inizia da subito a raccogliere piante in natura, non scorde-
ro mai la prima una Tamarix, raccolta nel 90' e dopo un anno
scolpita e impostata a palchetti come fosse un ginepro. Nel 91 a
Palermo in occasione di una mostra annuale fu invitato il profes-
sor Giovanni Genotti, che quando vide la mia Tamarix la volle pre-
miare, non per l'impostazione (che era sbagliata) ma per la
lavorazione della legna morta. Nel 96 in occasione della mostra
drago verde (Messina) conobbi Gianni Picella, fondatore e all'ora
presidente dell'UBI. In mostra c'erano alcune mie piante fra la
quale un cipresso raccolto in natura e da me impostato a bunjin,
quando Gianni lo vide si informo di chi fosse quella pianta, e sapu-
to che ero io mi volle al talento italiano a Martina Franca nel 97.
Vinsi il talento italiano e terzo al talento europeo a Fermo nel 98.
Ora dopo tanti anni posso dire che la colpa della sconfitta fu
indubbiamente l'emozione, dopo di allora ho partecipato a molte
mostre regionali e nazionali, l'ultima "il grande sogno per un
bonsaista" il congresso mondiale del 2008, portando un carrubo
premiato con il premio Casinò Vallè. Dopo 18anni da bonsaista
autodidatta credo di poter esser abbastanza sodisfatto
17
- a cura di Antonio Morri -
Nato a Frosinone si avvicina al bonsai nel 1993, senza pre-
tese o particolari ambizioni ne vive le applicazioni tecniche
e culturali con semplicità cercando riscontro e confronto in
rare occasioni. Nel 2001 partecipa alla selezione per il ta-
lento italiano UBI e acquisisce il titolo.
Nello stesso anno si aggiudica il premio nazionale per auto-
ri d’arte bonsai So-Saku Bonsai Award riconoscimento asse-
gnatogli dal giudice unico Hotsumi Terakawa-
Nel 2002 Rappresenta l’Associazione nazionale al congres-
so EBA di Rouen (Francia) classificandosi al 2° posto. Il
suo percorso continua negli anni collaborando in numerose
lavorazioni con Sandro Segneri.
Mario Segneri - Talento Italiano 2001
Roberto Raspanti - Talento Italiano 2002
Dal 1997 frequenta regolarmente la scuola “Bonsai creativo Europe School” ottenendo
nel 2001 la qualifica di “istruttore di 3° livello”. Si interessa di realizzazioni di piccoli
spazi verdi, con riferimenti specifici circa il giardinaggio orientale, la realizzazione di
giardini acquatici e di laghetti per koi. Nov.97: 3° class. nel concorso “Bonsai Creativo”
svolto a Frosinone. Nov. 98: 3°class. nel concorso “bonsai creativo” svolto a Latina.
Set. 2000: cura la progettazione e la realizzazione dello spazio espositivo dell’associa-
zione “Pistoia Bonsai” alla Biennale del fiore di Pescia (medaglia d’oro come migliore
spazio espositivo presentato da amatori). Mag. 01: un allestimento bonsai dal titolo
“tra i rami soffiano venti antichi” vince il premio di” miglior Tokonoma” a Roma presso
l’Orto Botanico. Giu. 02: a S. Sofia (FO), vince la selezione nazionale “Talento italiano
2002”. Tale affermazione lo candida come il bonsaista rappresentante l’Italia nel
Concorso “Talento Europeo 2003” che si svolgerà a Maggio nella Repubblica Ceca,
nell’ambito del congresso Europeo del Bonsai (EBA). Set. 02: cura la progettazione e la
realizzazione dello spazio espositivo del “Coordinamento dei Bonsai Clubs della Tosca-
na” alla Biennale del fiore di Pescia ( medaglia d’oro come migliore spazio espositivo
presentato da amatori). Ott. 02: viene invitato in qualità di dimostratore alla manifesta-
zione bonsai So-Saku tenutasi a Roma. Diversi articoli vengono pubblicati su bonsaita-
lia. Numerosi articoli sono stati pubblicati in internet e all’interno del “Notiziario del
coordinamento bonsai clubs della Toscana”. Apr. 03: in occasione del Congresso Nazio-
nale UBI, tenutosi a Fermo, vince il premio IBS per il bonsai. Mag. 03: in occasione
della mostra del Coordinamento Bonsai Club della Toscana, svoltasi a Pisa una sua
pianta vince il premio “Miglior Bonsai”. La stessa pianta si aggiudica inoltre il premio
“Memorial Elio Boni” , quale miglior pianta autoctona presente in mostra. Giu. 03: in
occasione del congresso EBA tenutosi a Jihlava (Repubblica Ceca) risulta il vincitore del
concorso “new talent contest”, il più ambito premio per i giovani bonsaisti emergenti, al
quale partecipano i rappresentanti di tutte le associazioni nazionali europee. Set. 03:
entra a far parte del Collegio Nazionale I.B.S. Ott. 03: viene invitato quale dimostratore
alla seconda edizione della mostra So-Saku tenutasi a Roma. Dic. 03: riceve l’attestato
di “Arte e Mestiere” presso la Bonsai Creativo Europe School. Mag. 04: con la lavorazio-
ne di un cipresso si aggiudica il prestigioso trofeo “Arcobonsai” riservato agli istruttori.
Mag. 05: dimostratore Congresso EBA Arco di Trento. Ott. 05: Menzione di merito So-Sa-
ku Roma (buxus). Ott. 06: vincitore trofeo So-Saku Demo Award Roma (cupressus). No-
v. 06: premio presidente UBI Napoli (cupressus). Feb. 07: menzione di merito
Congresso UBI Fermo (cupressus). Set. 07: Giudice unico mostra bonsai centro italia Fo-
ligno - giudice unico per il bonsai 10° coordinamento Emilia Romagna e S. Marino (Ce-
sena). Set. 08: Espositore e dimostratore BCI-IBS Congress St. Vincent (Olea oleaster &
demo cupressus). Set. 09: menzione di merito per il bonsai categoria istruttori Giareda
R. Emilia (pinus silvestris). Set. 09: secondo classificato demo istruttori a confronto Gia-
reda R. Emilia (juniperus sabina)
Istruttore B.C.A.S. (bonsai Creativo Accademy School)
Si avvicina al Bonsai quasi per gioco nel lontano 1994.
Incuriosito da quest’arte orientale il semplice interesse si trasforma in
profonda passione.
Ciò lo induce , allo scopo di affinare le proprie conoscenze, ad
approfondire le tematiche e gli aspetti tecnico - didattici della materia
frequentando nel contempo corsi e seminari con maestri orientali e
Istruttori Italiani. Ha tenuto dimostrazioni in molte manifestazioni
Italiane ed Europee sia singolarmente che in collaborazione con la
“Bonsai Creativo Accademy School” . Nell’anno 2003 vince il concorso
per il talento italiano UBI. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti in
mostre italiane ed europee. Attualmente risiede a Formia (Lt), dove
riceve i suoi allievi, vive e coltiva la sua passione.
Palmares:
1999. Roma Orto Botanico: Premio del Dipartimento di botanica
Università la Sapienza di Roma “Miglior Bonsai esposto” – Mostra di
Primavera;
2003 – Fermo (Ap): Vincitore del concorso Talento Italiano U.B.I. (Unione
Bonsaisti Italiani)
2006 Napoli: Kokoro – no Bonsai Ten Premio I.B.S. (collegio Istruttori
Bonsai & Suiseki) per il Miglior Bonsai esposto;
2007 – Fermo (Ap): Mostra Nazionale Unione Bonsaisti Italiani:
Menzione di Merito 2007;
2007 - Roma - Orto Botanico: Premio del Dipartimento di botanica
Università la Sapienza di Roma “Miglior Bonsai esposto” – Mostra di
Primavera.
2007 – Roma: Sosaku Bonsai International Exibition: Certificato di
merito II classificato ex equo;
2007 – Gent (Belgio): Certrè Europe Award miglior abbinamento pianta
– vaso.
Matteo Caldiero - Talento Italiano 2003
Si avvicina al mondo del bonsai alla fine degli anni ‘80
grazie a suo padre, Santini Renzo. Dopo aver frequentato
diversi seminari e workshop, nel 2001 inizia il suo percorso
didattico nella “Bonsai Creativo School” di Sandro Segneri.
Nel 2004 vince il concorso “Nuovo Talento Italiano”.
I suoi bonsai sono pubblicati nei cataloghi UBI “Miglior
Bonsai e Suiseki” del 2004, 2005, 2006, 2007 e 2009.
Al congresso UBI 2009 cura la dimostrazione per conto
della “Bonsai Creativo School”.
Dal 2007 cura la collezione privata di Gianfranco Giorgi,
uno dei padri fondatori del bonsaismo in Italia.
Dal 2009 collabora alla creazione e al mantenimento degli
esemplari del Museo “Costantino Franchi” e dell’azienda
“Nara Franchi” di Pescia (LU).
È istruttore della “Bonsai Creativo School” dove svolge
attività didattica di base e avanzata.
Dal 2009 è istruttore IBS.
Francesco Santini - Talento Italiano 2004
Mi chiamo Michelotti Marcelo, vengo dall'Argentina e mi tro-
vo in Italia dal 1983. La mia passione per i bonsai nacque
circa sette anni fa, dopo che visitai una mostra organizzata
da un vivaio situato vicino a Collodi in provincia di Pistoia. Ri-
masi affascinato da queste piante, dal loro movimento nello
spazio e capii che ogni bonsai è una vera e propria opera
d'arte vivente.Fu così che cominciai a leggere libri e riviste
del settore e iniziai a lavorare anche qualche pianta ma non
ero soddisfatto del risultato; in seguito ho avuto la fortuna
di conoscere il "gruppo di bonsaisti medio Valdarno". Sono
entrato a far parte del club e così ha avuto inizio la mia
avventura. Successivamente, entrai a far parte della Bonsai
Creativo School nel 2002, e devo dire che qui ho veramente
capito che fare bonsai è un'arte. Grazie all'insegnamento di
Sandro Segneri ho avuto grandi soddisfazioni nel mondo
bonsai.
1° classificato talento toscano nel 2004 - 1° classificato ta-
lento italiano nel 2005 - 2° classificato eba new talent
contest 2006 (talento europeo Polonia)- premio "miglior alle-
stimento" mostra Napoli 2006 - diplomato istruttore della
"Bonsai Creativo School" nel 2005 - allievo dell'accademia
"European Bonsai School" - Assistente di Sandro Segneri al
congresso UBI 2006, ad Alberobello; in altre numerose occa-
sioni, ho dimostrato insieme a Francesco Santini, come ad
esempio al congresso UBI 2009 a Salerno per conto della
"Bonsai Creativo School".
Marcelo Michelotti - Talento Italiano 2005
Ho incontrato il mio primo bonsai, nel negozio di Elio Piccin
a Milano, all’età di 13 anni. Successivamente ho iniziato a
leggere tutto ciò che riguardava l’argomento, e per alcuni
anni ho continuato il mio percorso da autodidatta fino al
1999, quando ho conosciuto Salvatore Liporace. Dopo un
periodo di perfezionamento sotto la guida di Donato Danisi
e Patrizia Cappellaro, ho cominciato il mio apprendistato
presso lo Studio Botanico. Per quasi tre anni ho lavorato
quotidianamente a fianco di Salvatore, contribuendo attiva-
mente alla cura, alla ristrutturazione e alla realizzazione di
moltissimi bonsai. Nel 2005 inizio a collaborare con la
OltreilVerde, centro bonsai di Cernusco sul Naviglio. Nel
settembre dello stesso anno comincio ad occuparmi delle le-
zioni per il bonsaiclub Amici del Verde. Nel 2006 ho vinto il
concorso per il talento italiano. Nel gennaio dello stesso
anno realizzo il mio sito web dedicato al bonsai: www.bonsai-
lab.it in cui racconto la mia attività ed i miei lavori. Dal 2007
mi occupo dell’organizzazione della OltreilVerde Bonsai
Competition. Nel 2009 sono stato accettato nel collegio na-
zionale IBS. In questi anni ho presentato e preparato di-
verse piante per mostre nazionali ed internazionali,
ricevendo diversi riconoscimenti. Sono stato inoltre invitato
per dimostrazioni sia in Italia che in diversi paesi europei.
Continuo questo percorso insieme a tutte le persone che
incontrerò
Alfredo Salaccione - Talento Italiano 2006
Nato nel 1972, si avvicina al mondo del bonsai all’età di 20
anni circa. Prosegue per lungo periodo il proprio cammino
come autodidatta, documentandosi su libri e riviste e pre-
senziando alle mostre e lavorazioni sul territorio locale.
Nel 2004, conosce Enrico Savini e Stefano Frisoni (istruttori
IBS) fondatori della scuola bonsai Progetto Futuro, al quale
si affida per mettere a fino le proprie conoscenze nel campo
del bonsai e per imparare le tecniche moderne di lavorazio-
ne e modellatura.
Tra il 2004 ed il 2005, collabora con la scuola bonsai Pro-
getto Futuro, alla realizzazione di alcuni filmati didattici
sulla lavorazione del bonsai. Nel 2005, apre una sede della
scuola Progetto Futuro in Lombardia dove offre insegna-
menti ed organizza corsi bonsai. Dal 2006 ad oggi, tiene
work shop ed incontri didattici in Italia ed all’estero. Numero-
se anche le lavorazioni svolte in pubblico. Nel 2007, vince il
premio Talento Italiano 2007, durante il concorso orga-
nizzato al XI congresso UBI. Aprile 2008 partecipa al
concorso New Talent Contest EBA e guadagna il titolo di
Nuovo Talento Europeo 2008. Maggio 2008 viene nominato
Consigliere UBI. Settembre 2008, diventa Istruttore IBS.
Ivo Saporiti - Talento Italiano 2007
Giovane artista bonsaista nasce a Milano nel 1977, diplomatosi come
perito agrario, si avvicina al bonsai all’età di 14 anni con Salvatore Lipo-
race presso lo Studio Botanico. L’incontro con queste opere della natu-
ra fa scaturire subito in lui una grande emozione e nel 1996 consegue
un riconoscimento dall’Università del Bonsai di Crespi sotto la supervi-
sione del maestro Noburo Kaneko, partecipando inoltre a workshop
con diversi maestri internazionali e giapponesi. Nel 2005 incontra Enri-
co Savini e la scuola Progetto Futuro, qui ha la possibilità di affinare la
propria tecnica, interpretando e lavorando periodicamente su bonsai di
altissimo livello provenienti dei maggiori collezionisti e professionisti del
settore. Nell’ottobre 2007 si aggiudica la DEMO AWARD (concorso per
dimostratori alla So Saku Award di Roma giudice unico Marc Noe-
landers). Nel 2008 gli viene assegnato il titolo di TALENTO ITALIANO ad
Arco (Tn) in occasione del XIII Congresso UBI dove è anche espositore.
Inizia a tenere numerosi work shop, dimostrazioni e incontri didattici in
vari club, numerose le lavorazioni svolte in pubblico in Italia e all’estero,
inoltre cura e stilizza esemplari di collezionisti. Nel 2009 rappresenta
l’Italia in occasione del XXV anniversario del Congresso dell’ EBA tenuto-
si a Lorca in Spagna, aggiudicandosi il titolo di NEW EUROPEAN TALENT
2009. Sempre nel 2009 gli viene conferito il prestigioso riconosci-
mento all’albo degli Istruttori del Bonsai e del Suiseki dal Collegio Nazio-
nale IBS. Attualmente risiede a Cattolica (RN) dove ama lavorare bonsai
di qualsiasi genere e stadio, qui ha creato “SPAZIO BONSAI” luogo
d’insegnamento dell’arte bonsai dove far confluire interpretazione e
mezzi espressivi libero da concetti predefiniti ma al tempo stesso custo-
de di creatività artistica. Il privilegio dell’incontro con la natura non è so-
lo per pochi prediletti. L’arte come epressione di comunione dell’uomo
con la natura è una ricchezza dell’individuo e un patrimonio della
collettività da ritrovare, coltivare e tutelare.
Gianfranco Rossi - Talento Italiano 2008
Foto Angelo Attini
Dopo il primo incontro tre anni prima in Italia, l’anno do-
po in Giappone e lo stesso anno in Lussemburgo, ho fi-
nalmente la fortuita occasione di lavorare per la prima
volta con il mio futuro maestro, in Svizzera nel maggio
1993. L’esperienza della “prima volta” fu terribile e stu-
pefacente allo stesso tempo, incredibile, un vero pila-
stro della mia vita e dell’insegnamento nella tradizione
giapponese. Alla fine il maestro disse solo una parola:
Cioosen, la sfida.
CIOOSEN: la sfida
>> Bonsai-do: pratica e sapere
P
er comprendere l’esperienza che ho ricordato,
che segna anche la base per l’inizio dell’episto-
lario col maestro e l’inizio degli studi con lui, vi
riepilogo il racconto per sommi capi.
Il primo Maggio 1993 il mio amico Pius Notter organizza
un seminario col Maestro a casa sua, a Boswil in Svizze-
ra, con persone provenienti ognuna da uno stato euro-
peo. Come italiano partecipavo evidentemente io. Con
la mia prof. di giapponese, Sawa, e Maria Teresa inizia-
mo l’avventura di questo giorno mitico. La saletta è un
po’ piccolina e i seminaristi molto seri e composti. Si ini-
zia a lavorare: il Maestro chiede le idee dei partecipanti
su ogni bonsai. L’unico folle dei cinque seminaristi ad
aver portato una pianta importante ero io, gli altri, sotto
consiglio degli organizzatori, avevano portato piantine
semplici e veloci.
Questo seminario infatti non era in programma,
perché il Maestro era lì per una vacanza dopo il congres-
so europeo in Lussemburgo; del resto si sa che Kimura
sensei nei seminari non interviene sulle piante, e tanto
meno fa scultura.
Con il mio Ginepro che era evidentemente da
scolpire, esulavo dal programma, e già questo causava
malumori. Ad un certo punto, dopo interventi minimi, il
sereno Maestro in vacanza mi dice di passare alla le-
gatura dei rami. Ora questo voleva dire non scolpire,
cioè non fare quello per cui avevo sperato e lavorato
tanto… protesto e chiedo di intervenire sul legno; il Mae-
stro mi spiega in tutta pacatezza, come un saggio taoi-
sta, che la scultura con utensili elettrici non è una cosa
che si fa nei seminari, e, comunque, è una cosa difficilis-
sima da realizzare bene. Non contento, un po’ deluso e
un po’ incosciente, prendo la fresa in mano ed inizio a
scolpire.
D’un tratto, come se un pianeta maligno lo aves-
se acceso d’ira, col volto tramutato in una maschera da
demone del teatro NO, mi lancia un’occhiata fulminante
2. Logo di Giuseppe Attini derivato dal
bonsai “La Sfida” simbolo della Fuji
Kyookai Bonsai scuola d’avanguardia
6. Lo studio dei controvena nello shari…
8. ...il dono...
9. ...solo nello stanzino...
10. ...ad opera compiuta...
11. La dedica “CIOOSEN” sulla fascia del
kimono
12. "La sfida" appena tornata a casa.
CIOOSEN: la sfida
e mi dice: “No! La fresa
disturba gli altri!”. La mia
impensabile, inaccettabile
disubbidienza ed impertinenza
lo aveva alterato e la cosa si sta-
va mettendo male… senza in
realtà decidere il tutto per
tutto, disperato e fors’anche
piangente, insisto nel mio
imperdonabile atteggiamento,
e, su consiglio dell’amico Pius,
vado nello stanzino buio
accanto e continuo ad usare la
fresa e cercar di scolpire il mio
pure pungente bonsai.
Ogni tanto il Maestro
apre la porta, mi guarda ogni
volta con una maschera di-
versa, tra furia e ferocia,
sguardi crucciati e truci, gesti
d’ira e scatti di violenza,
sempre sbattendo la porta, ri-
chiudendomi nello stanzino, so-
lo con il mio bonsai e le mie
infrante speranze. Ormai il
tempo passava irrefrenabile,
disperato, tento il tutto per
tutto.
Del tutto casualmente
mi ero portato un regalino per il
Maestro da donargli a fine lavo-
ro in ringraziamento, non tanto
del seminario, quanto della sua
opera d’artista d’avanguardia
bonsai con il quale mi sarebbe
piaciuto avere un confronto
culturale. Allora come oggi ho
una tale ammirazione per il
Maestro, come uomo e artista,
24
- Massimo Bandera -
forse perché nelle montagne in
cui vivo abbondano forme con
componenti scultoree …lo stu-
dio dei controvena nello shari…
in Larici, Pini e Ginepri, che rive-
do nella sua opera, una grande
bellezza naturale.
Decido quindi di dargli il
dono lì, in mezzo a tutti, a metà
seminario, nel tumulto e nel ma-
rasma generale, sperando che
almeno questo importante do-
no lo smuovesse. Sawa inco-
mincia a tradurre, un po’
divertita, un po’ esterefatta,
mentre il Maestro si mette
sull’attenti e accende la siga-
retta come fa di solito quando ri-
ceve doni.
L’importante regalo che
mi ero portato consisteva in un
bracciale egizio del Medio Re-
gno, in Faience, antico di oltre
tremila anni.
Non appena Kimura
sensei comprende la rarità del
dono, appassionato a mia insa-
puta di egittologia, si tra-
sforma, sconvolto e stupefatto
come un bambino, corre per la
stanza a passo svelto gridando
ai suoi assistenti giapponesi di
questo meraviglioso dono che
gli avevano fatto!
Attivato e acceso, come
vero artista può fare, si compli-
menta, scolpisce, insegna.
Oltre a fresare personalmente
e spiegare cose incredibili, prati-
camente trasforma il seminario
in una dimostrazione collettiva.
Ricordo il fotografo che si lancia-
va da una parte all’altra della
sala, come appeso a liane, per
fare fotografie e godersi lo
spettacolo. Gli altri seminaristi,
intanto, tramavano la mia
morte per digiuno a vita!
In quella dimostrazione
il Maestro spiegò molte tecni-
che, dall’importanza della
alternanza nella scultura tra
parti semplici e parti comples-
se per non creare una figura
troppo complessa: alternanza
tra piccolo e grande, tra dentro
e fuori. I vecchi rami che
scendono dalla chioma se-
guendo le curve del tronco, e le
pieghe a spacco che non
danneggiano i rami, almeno
nelle sue mani, così come la
puntura d’un’ape non fa nulla.
Ed ancora trasporti di vene e ta-
gli contro vena davvero inimma-
ginabili.
Il Maestro era molto
creativo ed eccitatissimo, ecco
perché ha creato un capolavo-
ro, cosa che raramente ha fatto
nelle dimostrazioni.
A fine lavoro mi dona
delle fotografie del suo più bel
bonsai, “il dragone”, che aveva
portato come dono a Felipe
Gonzales, allora presidente
della Spagna e suo importante
cliente, e mi fa una dedica
sulla cintura del Kimono: CIOO-
SEN, la sfida.
Ho chiamato questo
25
- Massimo Bandera -
bonsai “La sfida”, da cui deriva
il logo, opera di Giuseppe Attini,
della mia scuola, la Fuji Kyoo-
kai Bonsai, e quando al crepu-
scolo vedo le pieghe di quel
tronco scolpito, oltre al ricordo
di quel memorabile giorno, mi
vengono in mente i lavori su
marmo del divino Michelange-
lo.
In una sua lettera del di-
cembre dello stesso anno il
Maestro mi dirà: “Il gioiello è
esposto in sala con altri doni di
amici. La sfida è come due fa-
mosi pionieri velisti, Kenichi Ho-
rie che va e diventa la prima
persona ad attraversare a vela
l’Oceano Pacifico nel 1962,
vince, e diventa un eroe, e
l'altro, Naoki Uemura, tenta la
stessa impresa ma fallisce e
muore". Non deve stupire se il
maestro cita due persone impe-
gnate nella “navigazione estre-
ma”, forse non tutti sanno che
Kimura sensei è appassionato
di caccia e pesca, soprattutto
di pesca d’altura: quando si
concede un po’ di tempo fuori
dal bonsai va con un gruppo
d’amici a pesca nell’Oceano.
Per Lui Kenichi Horie è un eroe.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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- Massimo Bandera -
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>> Mostre ed Eventi
P
arte della mia giovane storia bonsaistica
inizia proprio da qui….11 anni fa! Quando
nel 1999 l’azienda Franchi organizzò una
manifestazione con ospite d’onore Kunio
Kobayashi, io c’ero! Ero tra quel gruppo che parte-
ciparono al laboratorio, che seguì la dimostrazio-
ne, attratto e affascinato da quel maestro venuto
da così lontano.
Mi ricordo tutto di quei giorni: la faccia del
maestro, i suoi consigli, le foto e la stretta di ma-
no. E quell’attestato di partecipazione è ancora lì,
incorniciato e appeso al muro di casa mia! Era giu-
sto il periodo in cui il mio fervore di imparare a fa-
re bonsai era alle stelle e ricordo quell’incontro
con grande piacere e un pizzico di nostalgia. Co-
stantino Franchi ci aveva abituati a manifestazioni
con nomi altisonanti e i bonsaisti non facevano
mancare la loro presenza ad avvenimenti del gene-
re.
Che si voglia o no questo è un luogo storico
del bonsai italiano. Venti anni fa, tutti gli appassio-
nati passavano da queste serre. Un vero punto
d’incontro…un crocevia di bonsaisti alla ricerca di
informazioni e qualche nuova pianta da mettere in
collezione.
Anche il mio babbo ci veniva spesso e io
ero sempre con lui. Mi ricordo di quando fu inaugu-
rata la collezione Paccagnella, quando c’erano le
dimostrazioni di Lorenzo Agnoletti, Edoardo
Scardo, Carlo Bazzali, e tantissimi altri. Le mura di
questo centro bonsai hanno significato tanto per
me… e credo per molti bonsaisti.
Da allora, per motivi conosciuti, c’è stato
un lungo periodo di silenzio. Una pausa comprensi-
bile durata fino all’avvicendamento di Nara
Franchi a capo dell’azienda di famiglia.
Questo cambiamento ha dato nuova vita
28
- Francesco Santini -
ed entusiasmo: l’obiettivo di Nara è preciso, da-
re continuità a un lavoro già intrapreso dal pa-
dre, ma mettendoci le proprie idee, la propria
personalità, il proprio impegno!
Quando Nara mi mise al corrente della vo-
lontà di organizzare una manifestazione con ospi-
te un grande maestro giapponese, rimasi
veramente colpito. “Finalmente!” pensai.... si!
perché in un attimo mi vennero in mente le emo-
zioni vissute qui… e l’idea di organizzare qualco-
sa che potesse regalare una simile spinta
emotiva nei giovani appassionati mi piaceva da
matti.
Ecco perché questa voglia di “ricomincia-
re” è stata accolta con tutto il mio entusiasmo. Il
lavoro da fare è tantissimo. Mettere in piedi una
manifestazione di questo livello dopo tanti anni ri-
chiede un grande lavoro, a volte molto radicale.
Ed è qui che appare la forza di questa
realtà. Parlare di azienda è corretto solo sotto il
punto di vista commerciale. La percezione che si
ha nel lavorare qui non è quella di un’azienda
ma di una grande famiglia. È questa l’impronta
che la famiglia Franchi ha dato a questa realtà.
Avete presente quando tutta la famiglia è
coinvolta nell’organizzazione del pranzo di Nata-
le? Tutti hanno dei compiti, tutti con la voglia e la
partecipazione necessaria, tutti con la volontà di
fare le cose al meglio e di accogliere gli ospiti
nel miglior modo possibile.
Ecco! Dal mio punto di vista abbiamo
organizzato questa manifestazione con questa
ottica, con questo stile… in un ambiente così la-
vorare è più facile, più bello. Grazie anche alla
32
- Francesco Santini -
>> Mostre ed Eventi
preziosa collaborazione di Lorenzo Agnoletti è
stato fatto un lavoro veramente splendido a co-
minciare dal programma: Il maestro Suzuki, una
mostra di bonsai e di scroll, conferenze, dimostra-
zioni, workshop. Gli ingredienti ci sono tutti!
La fatidica data si avvicina. I giorni stringo-
no e come sempre ci sembra che non sia tutto
pronto, invece tutto fila liscio. Il museo, la sala
conferenze, le aree per le varie attività prendono
forma. Tutto è in ordine….tutto è pronto!
Entusiasmo! Questo è lo stato d’animo
con cui io, ma credo tutti i membri dell’azienda,
hanno vissuto questi giorni della manifestazione.
Man mano che la gente cominciava ad
arrivare la preoccupazione era quella di metterla
a proprio agio, e come sempre le cose più attese
scivolano via con una velocità impressionante.
Come per i viaggi... appena partiti, ci scopriamo
già di ritorno. Sembra di non averla nemmeno vis-
suta da quanto è stata veloce!
Solo a mente fredda ci si può finalmente
fermare a pensare a quello che è stato. Penso a
quante persone ho salutato, alle strette di ma-
no, penso ai molti partecipanti alla mostra, ai la-
boratori alle demo, penso all’emozione di
lavorare fianco a fianco a un maestro del calibro
di Suzuki.
La cronaca della manifestazione ha poco
senso... quello che è stato importante è aver vi-
sto tanta gente sorridente e soddisfatta; i tanti
complimenti che ci sono giunti hanno ripagato
ampiamente tutto il lavoro fatto, che vi assicuro
è stato tanto!
Ripenso a un momento particolare vissu-
to in questi giorni: alla fine delle dimostrazioni,
quando l’affluenza del pubblico era al massimo,
ho sentito la voglia di allontanarmi un attimo; so-
no salito al museo, quello che considero quasi
una seconda casa. Da solo mi sono affacciato
alla finestra e mi sono messo a osservare quel
piazzale pieno di gente. Vedo quel brulichio di
persone, chi parla, chi osserva i bonsai, chi esce
dalla mostra…è come se il tempo non fosse pas-
sato, è come se 11 anni fossero volati via in un
attimo. C’e’ stato un momento che mi è
sembrato di vedere il mio babbo lì su quel piazza-
le, a parlare di bonsai con tutti gli altri! Mi sono
commosso!
Dal mio punto di vista questa manifesta-
zione aveva un significato ben preciso: doveva es-
sere un giusto tributo alla figura di Costantino
Franchi per quello che ha fatto per il bonsai in Ita-
lia, ma soprattutto un caloroso benvenuto a
Nara, che chi ha avuto la fortuna di conoscere vi
ha riconosciuto la degna erede di suo padre!
A lei va tutto il mio ringraziamento, il mio
benvenuto in questo pazzo mondo del bonsai
con la convinzione che il suo impegno e la sua
impronta non potrà che giovare a tutti noi “ma-
lati” di bonsai!
È giunto il momento di non guardare più
al passato con nostalgia. Il presente è già una
bella conferma. Non resta che guardare al futuro!
© RIPRODUZIONE RISERVATA
YON SHUN-TEN
>> Mostre ed Eventi
35
- Nicola Crivelli -
N
ella fine di settimana dal 19 al 21
marzo si è svolta a Landsberg am Le-
ch, in Germania, la 4a edizione della
YON SHUN-TEN, mostra internazionale
di primavera. Sono stato invitato a fare due dimo-
strazioni durante la manifestazione.
Gli altri dimostratori erano, dal Giappone,
Hirotoshi Saitho, dimostratore ufficiale della
Nippon Bonsai Association. Inc., dalla Svizzera
Hartmut Münchenbach ed io, Falko Hamann,
Udo Fischer, Carmen Ganzenüller dalla Germa-
nia.
C’era anche un’esposizione di ikebana,
realizzati dalla signora Ingrid Eichinger, della
scuola Ikenobo.
La mostra è stata allestita in una splendi-
da cornice, lo Stadtmuseum, (http://www.mu-seum-landsberg.de)
I bonsai sono stati esposti tra antiche
statue che rappresentavano angeli, madonne e
santi: un’atmosfera molto wabi sabi.
L’allestimento della mostra è stato curato
da Udo Fisher; la prima sala conteneva sette to-
konoma con luce interna, dove i bonsai ri-
saltavano al meglio.
La mostra, nell’insieme, è stata curata in
ogni minimo dettaglio, con alternanza di conifere
e latifoglie, piante grosse, chuhin e shohin. Non
mancavano le essenze da fiore, uno stupendo
chojubai del signor Lehner, una camelia, un cory-
lopsis ed altre essenze da fiore.
La giuria era composta da Hirotoshi Sai-
tho, Harald Lehner e da me. Molte le piante meri-
tevoli, ed io ho preparato la mia lista
(naturalmente non avevo votato le mie piante)
ed è stata una vera sorpresa, quando sabato se-
ra durante la premiazione, il mio abete si è aggiu-
dicato il primo premio. Sembra che sia molto
36
- Nicola Crivelli -
37
- Nicola Crivelli -
piaciuto al Maestro Hirotoshi
Saitho; il secondo premio è
andato ad un abete di Udo Fi-
scher, il terzo ad un larice di
Karin Wittich. Per quanto ri-
guarda i suiseki il primo pre-
mio è stato aggiudicato a
Holger Göbel, il secondo al dr.
Michal Sebo e il terzo a Lise-
lotte Weller.
Le dimostrazioni, di tre
ore l’una, sono state tutte
molto interessanti, peccato
per la lingua, io non parlo il te-
desco.
Sabato mattina ho lavo-
rato due shohin di itoigawa,
mentre domenica mattina una
ceppaia di taglia chuhin di ezo-
matsu.
Sugli shohin si trattava
di dare una prima impostazio-
ne, il primo materiale era abba-
stanza ramificato ed ha
richiesto più tempo ed una la-
vorazione più dettagliata. La
ceppaia era molto vecchia, ed
aveva perso la sua forma origi-
naria, il lavoro è stato quasi
tutto di potatura, per ridargli i
vuoti ed i pieni oramai
scomparsi.
Tra una cosa e l’altra
sono riuscito anche a far una
visita alla magnifica casa del
the realizzata dai signori
Lehner nel loro giardino.
Un sentito ringrazia-
mento alla famiglia Lehner ed
il suo staff, per l’accoglienza e
l’organizzazione: tutto era
perfetto ed è filato liscio senza
intoppi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
40
- Gun Kyoosuke -
41
- Gun Kyoosuke -
42
- Gun Kyoosuke -
>> Dalle pagine di Bonsai&News
43
- Gun Kyoosuke -
H
o letto, come si suol dire, tutto d’un fiato il lavoro pubblicato
da Gian Luigi Enny. Un testo sintetico ma ben articolato e
strutturato che offre al lettore un panorama completo sui
giardini giapponesi: argomento molto attuale che interessa
ed affascina una vasta platea di lettori e non solo gli appassionati di
orientalismo.
I testi sono redatti da Enny con efficace stile giornalistico e
chiara didattica e accompagnano il lettore lungo un percorso completo
che inizia dai concetti filosofici che si celano dietro i giardini orientali
per passare ad una fase pratica che illustra tutti gli elementi
necessaria alla costruzione del giardino.
Progetti pratici arricchiscono i contenuti del lavoro di Gian Luigi
e dimostrano l’elevata preparazione dell’Autore. Ho molto apprezzato
le numerosissime foto che corredano il libro. E’ un testo che non può
mancare nelle nostre biblioteche e in quelle di tutti gli appassionati
non solo di bonsai e suiseki, ma di tutto quello che attiene all’Oriente.
Complimenti Gian Luigi e devo sottolineare il fatto che
devolverai i tuoi diritti d’autore: questo è un valore aggiunto che ti fa
molto onore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
GIARDINI GIAPPONESI
recensione a cura di Antonio Ricchiari
44
- Antonio Ricchiari -
>> In libreria
C
hi si è avvicinato al bonsai negli anni
settanta (e non solo, anche dopo) si è
fatta l'idea che la coltivazione di queste
piante avesse una origine esclusiva-
mente giapponese. Si sentiva parlare poco della
Cina e se ne sapeva ancora meno. In quegli anni
la Cina era chiusa all'Occidente e non si poteva
conoscere granché sulla sua eventuale cultura
bonsai.
La forma del bonsai era quella cui princi-
palmente si ispirava chiunque si occupasse della
coltivazione di alberi in miniatura: soprattutto
l'America e più tardi l'Inghilterra l'avevano resa co-
me un preciso riferimento estetico. Negli Stati Uni-
ti, già prima del secondo conflitto mondiale,
vivevano dei giapponesi naturalizzati che si occu-
pavano di bonsai e questi alla fine delle ostilità di-
ventarono i primi maestri e depositari della
cultura e della tecnica, come l'avevano appresa
in Giappone. Basti pensare a questo riguardo
all'Associazione Bonsai della California ed al
grande John Joshio Naka.
Il primo libro ricco di immagini della famo-
sa collezione di Wu Yee-Sun di Hong Kong. Fece
scoprire così tutto un nuovo mondo sul penjing,
come lo chiamano i cinesi. Spesso rifiutato, e a
noi, aveva tuttavia qualcosa di piuttosto inconsue-
to, ma anche di "artistico". Il libro di Wu Yee-Sun
ci fece comprendere alcune cose: che le origini
del penjing erano molto antiche e che i giappone-
si avevano tratto ispirazione per il bonsai da que-
sto aspetto della cultura cinese e che, come
avevano fatto in molti altri casi, l'avevano assimi-
lata e poco per volta inglobata. Per ultimo che il
penjinq era ancora ben vivo nella Cina odierna,
anche se molto in sordina e poco conosciuto.
All'inizio degli anni ottanta la Cina mise
sul mercato i primi penjing, presentandoli in va-
rie esposizioni, come Le Floralies di Gand in
Belgio, la Chelsea Show di Londra ed anche in
Germania. Alcuni rifiutarono nettamente la produ-
zione cinese, altri ne furono affascinati: il ri-
sultato fu una discreta confusione. Ciò che
comunque diede ai cinesi una presa sicura in
Occidente furono le numerose varietà di alberi
provenienti da regioni tropicali o sub-tropicali.
Le opinioni, ancora più che per il bonsai
giapponese, restano divise. Per molte persone le
forme del penjing restano estranee; altri conside-
rano poco impegnativa questa arte cinese così
poco convenzionale. Questa decisa ripulsa o il po-
co interesse per il penjing sono legati, secondo
me, al tipo di informazione avuta: se ci si
accontenta di formarsi un opinione su quanto si
vede in certi vivai è impossibile capirne l'essenza.
Cominciamo dalla Cina, dove vi è una anti-
ca tradizione di giardinaggio, che tuttavia,contra-
riamente a quella giapponese, è decisamente
poco conosciuta. Se un giardino non lo si sa
Bonsai o
Penjing?
45
- Antonio Ricchiari -
Bonsai 'cult' <<
“leggere", non se ne può comprendere il signifi-
cato e se ne vede magari solo l'aspetto grottesco
o bizzarro.
Credo che il penjing tragga le sue radici
proprio nell'arte dei giardini e poi di qui ne è evo-
luto: quanto più imparo sui giardini cinesi, tanto
meglio comprendo il penjing.
La Cina ancora oggi ha dei paesaggi
montagnosi stupendi: incredibilmente selvaggi e
bizzarri, ripetutamente celebrati dagli artisti
nelle loro pitture, poesie e canzoni. Sono una
parte essenziale di ciò che i cinesi chiamano
"bellezza". Anche il Taoismo ha contribuito a far
sentire questa coscienza di unità con la natura.
La differenza tra i bonsai ed i pen-jing si
può spiegare facilmente attraverso la diversità
della natura e del carattere dei due popoli. Il pae-
saggio cinese presenta: violenti contrasti di zone
montagnose e pianure, e rivela le ampie escursio-
ni termiche di un clima continentale. La popola-
zione è lieta e spensierata, amante dei colori e
delle novità. Il Giappone è un caos di montagne
vulcaniche, un isola con un assortimento di
piante ricco quasi quanto la Cina. ma con un cli-
ma assai più mite durante tutto l'anno, che non
conosce estreme temperature invernali ed esti-
ve, ma lunghe primavere ed autunni.
Ogni intervento è assai accurato, ma dissi-
mulato come fosse casuale. Le potature sulle
piante sono importanti, poiché esse devono ave-
re una forma armoniosa, ma non si deve notare
dove è stato fatto il taglio. Questa diversità
nell'atteggiamento mentale vale anche per il pen-
jing ed il bonsai: La Cina accomodante intende il
"naturale" in modo completamente diverso dal
Giappone.
Ciò che appare naturale deve essere
rappresentato e realizzato in modo spontaneo,
mentre i giapponesi. più formali. simulano la
naturalezza senza però lasciarlo vedere. Certa-
mente gli antichi pen-jing cinesi sono caricati di
simbolismi e ciò non può stupire, poiché così
tanto dell'antica Cina è ricco di simbologia. Ciò si
evidenzia ancora oggi nei vecchi penjing salvati-
si dalla Rivoluzione Culturale. In questo spirito si
devono guardare gli alberi foggiati a forma di ele-
fante o drago o a simulare un ideogramma o
una ruota: non come banali curiosità ma piutto-
sto espressioni di una cultura ricca e variegata,
anche se lontana dalla nostra.
Ogni teoria generale dell’arte deve co-
minciare da questo presupposto: che l’osservato-
re reagisca alla forma dell’oggetto presente ai
suoi occhi, in questo caso l’albero, e che la visio-
ne deve risolversi in una sensazione di piacere.
L’assenza di questa sensazione porta all’indiffe-
renza, se non ad un disagio e ad una repulsione
vera e propria. Il senso di rapporti piacevoli è il
senso del bello; l’opposto è il senso del brutto. Il
senso della bellezza è un fenomeno assai
fluttuante che, nel corso della storia, si manife-
sta in maniere molto incerte e spesso molto
sconcertanti.
La maggiore o minore diffusione del pen-
jing rispetto al bonsai deriva da diversi fattori. Co-
me per le forme d’arte o le correnti artistiche va
fatta un’analisi accurata che coinvolge il periodo
storico, le aggettivazioni sociali, culturali ed etni-
che. Un’arte non ha maggiore o minore successo
perché è più o meno bella o esteticamente
coinvolgente. La diffusione del penjing è stata
innanzitutto limitata poiché la nazione cinese ha
avuto nei secoli delle chiusure ermetiche dal
punto di vista geopolitico, culturale ed artistico.
La Cina non ha mai avuto alcun interesse
ad esportare oltre i propri confini tutto ciò che
attiene alla scienza, all’arte etc. Diciamo allora
che dal punto di vista comunicativo e divulgativo
il Giappone ha avuto dall’Ottocento in poi signifi-
cative aperture. La cosiddetta rivoluzione cultura-
le di Mao – scoppiata alla fine degli anni ‘60
dello scorso secolo - è stata dal punto di vista
culturale-artistico un notevole regresso per la Ci-
na e per l’interscambio con l’Occidente. Furono
distrutti la maggior parte degli esemplari: il poco
che sopravvisse alla stolta logica delle rivoluzioni
deve la sua salvezza alla passione e all’amore di
singoli coltivatori. Il penjing perse in Cina
quell’importanza e quel valore che gli appartene-
vano da secoli.
Prevale fra le varie motivazioni il fatto che
sono stati per primi i giapponesi a fare conosce-
re e divulgare i bonsai. Il penjing è rimasto per
molto, troppo tempo sconosciuto all’Occidente.
Quella che si chiama “educazione artistica” ha
imposto per primo il gusto verso il bonsai. Il pen-
jing rimane apprezzato e seguito da un numero
minore di appassionati, ma questa è una valuta-
zione che non ha nulla a che fare con il valore
intrinsecamente estetico dello stile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
46
- Antonio Ricchiari -
>> Bonsai 'cult'
47
- Davide Lenzi -
La mia esperienza <<
L
'essenza presa in esame è una Fillirea.
Originaria della Grecia, in Italia ne esisto-
no due specie: Phillyrea Latifolia e Philly-
rea Angustifolia. Quest'ultima è la più
diffusa e vive allo stato spontaneo in tutto il baci-
no del Mediterraneo. Le sue carattetistiche sono
l'adattamento a tutti i tipi di suolo, resistenza agli
inquinamenti atmosferici e soprattutto ai venti
marini. Grazie a queste caratteristiche, alla
corteccia vecchia e rugosa, ed alla ridotta di-
mensione delle foglie, si adatta benissimo alla
coltivazione bonsai.
La Fillirea descritta in questo articolo è
stata raccolta sulle colline Livornesi nella prima-
vera del 2007, precisamente a fine Marzo. Il
terreno nel quale viveva era composto da argilla,
gabbriccio e roccie varie che ne hanno reso la
raccolta molto difficoltosa; difatti la pianta è rima-
sta in stasi vegetativa per tutto un anno fino alla
primavera successiva. Dopodichè è stata colti-
vata con concimi organici a lenta cessione, poca
acqua e tanto sole all'interno di un terreno abba-
stanza drenante, ben areato e ricco di sali mine-
rali, per garantire una crescita ottimale
48
- Davide Lenzi -
>> La mia esperienza
all'apparato radicale (30% di terriccio universale,
35% di pomice a granulometria media e 35% di
lapillo vulcanico medio).
Quando la Fillirea ha raggiunto un ottimo
stato di salute, ho deciso di lavorarla dandogli la
prima impostazione dopo tre anni di coltivazio-
ne. Inizialmente viene ripulito il nebari per trova-
re le radici principali, poi, dopo aver studiato
bene la struttura del tronco e dei rami primari, si
progettano i vari tipi di soluzioni mettendo in ri-
salto le parti belle più importanti e nascondendo
o rendendo belle quelle parti poco interessanti,
che possono essere identificate come difetti.
Nel caso di questa Fillirea le soluzioni era-
no due: intervenire sulla parte del tronco sinistro
tagliandolo, per eseguire un Moyogi o uno Sho-
kan (eretto informale o inclinato); oppure toglie-
re la parte destra per sviluppare un Han-kengai
(semicascante). Visto le caratteristiche del
tronco e l'andamento molto naturale della pianta
ho deciso di scegliere la seconda soluzione ese-
guendo un semicascante ed evitando anche di
fare un bonsai abbastanza usuale e simile a
molti altri.
49
- Davide Lenzi -
Prima di tutto spoglio la parte destra per
decidere di tenerla oppure trasformarla in un
lungo jin. Dopodichè pulisco la parte sinistra per
leggere meglio il resto del tronco: la vegetazione
nascondeva uno Shari naturale molto bello; non
ho più dubbi la parte pulita è molto più interes-
sante, cosi' procedo.
Trasformo le parti dei rami spogliati dalla
vegetazione i lunghi jin, per realizzare se occorre-
ranno alla struttura finale del bonsai e li pro-
lungo con delle parti scortecciate lungo il tronco
per rendere il tutto più naturale possibile. Poi
metto del mastice lungo gli Shari ottenuti per pro-
teggerli da eventuali ritiri di linfa eccessivi ed ini-
zio a basculare la pianta per scegliere l'
inclinazione giusta ed il futuro fronte del bonsai.
Scelti inclinazione e fronte noto che la li-
nea di forza del jin destro è in contrasto con
quella della direzione della pianta, cosi' decido di
tagliarlo e di ridurlo molto piccolo. Dopo aver la-
vorato con sgorbie le parti rese secche, mi dedi-
co alla filatura della pianta con del rame cotto e
all' impostazione finale del bonsai.
Il risultato finale è molto soddisfacente!
Pensando che si tratta di una prima lavorazione
devo dire che questo futuro bonsai di Fillirea mi
darà delle ottime soddisfazioni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
50
- Davide Lenzi -
S
in dalla nascita della
mia passione per i
bonsai, sono sempre
stato affascinato dai va-
si. Il vaso non è semplicemente
un anonimo contenitore per un
albero in miniatura, ma un pre-
zioso e ricercato completa-
mento per quel che è una
rappresentazione artistica di
un vecchio albero in natura.
Parlare di un vaso di qualità, si-
gnifica prima di tutto entrare a
contatto di un mondo formato
da mille sfaccettature... l'età, il
tipo di gres, la forma, il colore,
lo smalto, la patina, la produzio-
ne, sono soltanto alcune delle
peculiarità che fanno di un va-
so un vero e proprio oggetto
d'arte.
Senza arrivare a parlare
delle preziose produzioni di To-
koname, o degli inarrivabili Ko-
watari cinesi, c'è da dire che
l'Europa si è distinta negli ultimi
anni per la presenza di artigiani
vasai dalle eccellenti qualità,
tra cui John Pitt, Bryan Albright,
Morea Pubben, e in Italia, Ma-
51
- Tiberio Gracco, Carlo Scafuri -
La mia esperienza <<
Nel laboratorio di un
ARTISTA
rio Remeggio e, dulcis in fundo,
Tiberio Gracco.
Avere Tiberio tra i soci
del club al quale appartengo, il
Napoli Bonsai Club, è stata
una vera fortuna per noi tutti. Ti-
berio ha saputo con zelo,
umiltà e modestia, doti inscindi-
bili del suo carattere, partire
da zero ed imparare tutto ciò
che riguarda la creazione di un
vaso di qualità. Ha fatto sue le
varie tecniche di produzione,
l'utilizzo degli smalti, la scelta
dei diversi gres, l'estetica ce-
lata dietro ogni forma, ha perfe-
zionato negli anni le sue
creazioni fino al punto di sba-
lordire gli stessi “ammiratori”
dei tanto blasonati Tokoname.
Infine, la qualità dei
suoi lavori ha fatto in modo che
si concretizzasse una speciale
collaborazione con Sandro Se-
gneri, che ha portato allo stu-
dio ed alla successiva
realizzazione di vasi unici nel lo-
ro genere!
Durante una delle mie
visite al suo laboratorio, Tiberio
ha voluto che io assistessi alla
creazione di un vaso che lo
stesso Sandro gli aveva dise-
gnato per un suo olivastro chu-
hin.
Mentre parliamo, si avvi-
cina al tornio spiegandomene
l'utilità ed i principi di funziona-
mento. Mi spiega che quella
del tornio è una tecnica
antichissima, basata
sull'utilizzo di un piano ro-
tante collegato ad una gros-
sa ruota in pietra che,
fungendo da volano, pro-
lungava il moto del piano
rotante che veniva fatto ruo-
tare dall'artigiano vasaio
con i piedi. Al giorno d'oggi,
invece, grazie all'utilizzo del
motore, non solo il lavoro
risulta più agevole e meno
stancante, ma è possibile
variare la velocità di rotazio-
ne adattandola alle varie fa-
si di lavorazione.
Prima di mettersi
all'opera col tornio, però, si inizia a
studiare il progetto del vaso, tenendo
in considerazione che per giungere
alle misure definitive del vaso, biso-
gna tener presente della percentuale
di restringimento dell'impasto che
può variare dal 6 al 10%. Si passa
quindi a preparare l'impasto di gres
in una apposita macchina detta “de-
gasatrice”, che provvede all'elimina-
zione delle bolle d'aria presenti
nell'impasto stesso, questo al fine di
evitare spiacevoli rotture rendendo il
manufatto più resistente.
53
- Tiberio Gracco, Carlo Scafuri -
>> Tecniche bonsai
Quel che vedo dopo è un mix
di manualità, tecnica, bravura... e
magia. Tiberio posiziona una palla di
gres sul tornio, centrandola con la
forza delle mani sul piano rotante ed
utilizzando del gres fluido (la cosi-
detta “barbottina”) per ridurre l'attri-
to tra le mani e l'impasto. In questa
fase viene data una prima modellatu-
ra a quel che fino ad un attimo pri-
ma era un ammasso informe di gres.
Il ritmo cambia, ed in men
che non si dica viene arrotondato il
profilo del vaso e vengono
abbozzate le “corde” sulla sua su-
perficie. Con una spugna imbevuta
viene ammorbidito il tutto ed il vaso
comincia ad assumere quel che sarà
la sua forma definitiva. Mentre sul
mio volto si stampa la tipica espres-
sione inebetita di chi ha visto mate-
rializzarsi magicamente un vaso dal
nulla, con l'ausilio di un filo metallico
in tensione Tiberio stacca il vaso dal
tornio adagiandolo delicatamente al
contrario.
Non appena il vaso raggiunge
una precisa consistenza, gli viene
dapprima attaccata una striscia di
gres da cui vengono ricavati i piedi-
ni, gli vengono praticati e rifiniti i fori
di drenaggio ed ancoraggio, ed infi-
ne gli vengono apposti i timbri.
Il vaso è praticamente ulti-
mato, Tiberio mi spiega che per
considerarsi davvero finito dovrà pri-
ma asciugarsi lentamente e poi veni-
re infornato e smaltato.
È ora di prendere commiato
da questo grande artista vasaio che
ho l'onore di considerare amico, non
prima però di farmi promettere di
avere le foto finali del vaso una volta
cotto e smaltato... inutile dirvi che Ti-
berio ha poi mantenuto la promes-
sa!!!
© RIPRODUZIONE RISERVATA
55
- Tiberio Gracco, Carlo Scafuri -
MMAANNTTIIDDEEI
l Ginepro comune ha una vasta diffusione in tutto
l’emisfero settentrionale, dove vive spontaneo dal li-
vello del mare fino a notevole altitudine, tanto che
nella forma arbustiva nana e prostrata, raggiunge i
3700 m nel Monte Rosa. E' pianta molto longeva (può vi-
vere fino a 1000 anni) e frugale, adattabile a qualsiasi
condizioni di clima e di terreno, vegeta in ambienti aperti
e luminosi, tollera aridità e forte vento.
La pianta protagonista di questo articolo è un Gine-
pro comune var. “Emisferica” che vive in Sicilia e sporadi-
camente in Calabria, in entrambi i posti lo si trova in
alcuni monti a partire dai 1000 fino ai 2200 metri di
altezza. E' una varietà che assume in natura un porta-
mento strisciante formando dei cuscini più o meno grandi
di forma tondeggiante, da qui il nome latino “Emisferica”.
Quindi, pur essendo molto longeva, raggiunge di rado
grandezze di tronco di un certo livello.
Il materiale in questione catturò inizialmente la
mia attenzione per la grandezza del tronco, inusuale per
questa essenza, e subito dopo per i movimenti del tronco
stesso e per la legna secca molto vissuta. Stranamente,
dopo pochi minuti di osservazione della pianta, avevo già
chiaro in mente il disegno finale, cosa che mi capita rara-
mente soprattutto con materiale così complesso.
Il progetto che avevo in mente avrebbe dato come
risultato uno stile bunjin insolito, perché solitamente
rappresentato da tronchi sottili e vegetazione leggera,
56
- Giacomo Pappalardo -
>> La mia esperienza
religiosa
la
mentre la pianta in questione aveva un tronco
notevole ed una chioma poco leggera, ma il tutto
era molto naturale anche perché sfruttavo delle
curve drastiche naturali. Lo stile bunjin a mio
avviso è lo stile più complicato da realizzare, ed
anche se in molti si cimentano a farlo, sono po-
chissime le piante che si avvicinano veramente
a questo stile, “libero” ma allo stesso tempo
ricco di significato.
Dopo un periodo di pieno recupero della
pianta iniziai la prima lavorazione, nel Maggio
2005, consapevole del fatto che il disegno che
avevo in mente non si sarebbe potuto realizzare
in un intervento. Iniziai con la pulitura delle vene
in modo da capire quali zone delle piante ali-
mentavano e devo ammettere
che non e’ stato facile. Capita
spesso che nei ginepri, so-
prattutto nei soggetti molto
vecchi, le vene o fasci linfatici
si incrocino e col tempo si saldi-
no insieme per poi dividersi e
alimentare due zone opposte,
oppure che radici avventizie tro-
vino una zona di terreno più pro-
fondo e si ingrossino fino a
diventare un tutt'uno con il
tronco. Parliamo comunque di
processi che la pianta mette in
atto in decine e decine di anni,
e molto spesso in centinaia di
anni.
Dopo la pulitura delle ve-
ne iniziai la lavorazione della le-
gna secca cercando di non
toccare assolutamente le parti
naturali lavorate in molti anni
come solo madre natura sa fa-
re, mi limitai soltanto a
raccordare i tagli dei jin che era-
no stati tagliati al momento
della raccolta ed a eliminare
una grossa parte di legna
secca in basso (molto proba-
bilmente una grossa radice che
formava il tronco ormai secca e
inattiva da diversi anni). La
maggior parte del lavoro di le-
gna secca lo feci con la tecnica
dello strappo, mentre per le
parti più grosse che dovevo eli-
minare completamente mi
servii di una smerigliatrice ad
alta velocità.
La prima lavorazione
della chioma in un ginepro ad
aghi non da quasi mai un ri-
sultato piacevole perché spes-
so si ha poca vegetazione
secondaria, ma si lavora per se-
lezionare e dirigere la ramifica-
zione primaria che serve al
disegno che ci siamo prefissati
ed eliminare il superfluo; come
risultato la pianta, se è sana ed
è stata ben concimata, vegete-
rà abbondantemente creando
la vegetazione secondaria, che
se cimata al momento giusto
può regalarci nello stesso anno
una seconda vegetazione
creando la vegetazione di rifini-
tura.
Il risultato finale della prima la-
vorazione corrispondeva al dise-
gno che avevo in mente anche
se c’era la zona bassa della
pianta che mi creava problemi perché nel dise-
gno che avevo in mente andava eliminata, ma a
lei era legata la sopravvivenza della vena che
parte dalla sinistra del tronco per poi girare so-
pra per andare ad alimentare i due palchi in bas-
so, mentre la zona in alto era alimentata dalla
vena di destra.
Decisi momentaneamente di lasciare
quella zona e prendermi un po’ di tempo per
pensare ad una possibile soluzione. Lo stesso
anno della lavorazione decisi di rinvasare la
pianta, pur sapendo di rischiare preferivo farlo
subito per eliminare il lapillo vulcanico con cui
era stata rinvasata la pianta, che se in Sicilia ed
in genere al Sud Italia è un ottimo terriccio per la
coltivazione, ma in Piemonte dove abitavo, si ri-
schia, soprattutto con questa essenza, un marciu-
me radicale.
La pianta (ben concimata precedente-
mente) rispose bene al rinvaso e mi regalò
anche una discreta vegetazione.
Nella primavera del 2006 prima del risve-
glio reimpostai la pianta accorciando ulte-
riormente i famosi tre palchi in basso
lasciandone solo uno, che se pur fastidioso per il
disegno, mi permetteva di tenere in vita la vena.
Ma feci male i miei conti perché come ben sappia-
mo ma spesso dimentichiamo abbiamo a che fa-
re con esseri viventi (ed io aggiungo pensanti,
anche se a modo loro) e non con delle rocce o
del legno secco che possiamo forgiare a nostro
piacimento. La pianta percependo che la vegeta-
zione alimentata da quella ve-
na era insignificante rispetto
al resto della chioma ali-
mentata dall’altra vena, fece
scattare il processo di econo-
mia delle risorse e quindi di sacrificare la zona
più debole, non produttiva, a favore della zona
più forte, più efficiente.
Conclusione: il rametto che avevo lasciato
ritiro’ la linfa e seccò e con lui la vena di sinistra.
Alla fine poco male perché comunque la vena di
destra che alimenta adesso tutta la chioma e’
ben visibile dal fronte. Per il resto non ci furono
più imprevisti, la pianta continuò a vegetare ge-
nerosamente per tutto l’anno.
Nell’Ottobre 2006 fu presentata a Roma
alla “So-saku Bonsai Awards” aggiudicandosi il
Premio per Autori. Nella primavera del 2007 fu
rinvasata in un vaso “prototipo” realizzato su mia
richiesta dall’amico e artista Piero Cantù. Que-
sta volta portai la pianta a radice nuda elimi-
nando così l’ultima parete di zolla che avevo
lasciato al primo rinvaso in modo da escludere
qualsiasi pericolo di ristagni d’acqua.
Voglio chiarire che questi interventi così
ravvicinati possono sembrare eccessivi e in
effetti lo sono ma sono frutto di anni di espe-
rienza sommata all’utilizzo di prodotti di ultima
generazione che se saputi utilizzare al meglio
con l’aggiunta dell’esperienza possono accorcia-
re di parecchio i tempi di risposta e di recupero
della pianta a certi interventi invasivi. Quindi se
non si ha l’esperienza necessaria consiglio di
continuare a eseguire gli interventi di rinvaso
mantenendo parte di zolla e con i canonici due
tre anni di recupero tra un intervento e l’altro.
Nel 2007 fu presentata alla Ginko Award
>> La mia esperienza
dove venne selezionata per il Mondiale
2008 in Italia. Nel 2008 durante il congres-
so di Arco di Trento in Italia, si aggiudicò il
premio UBI.
Sempre nel 2008 la pianta si e’
distinta alla “Bonsai Award Certre’
International on line” aggiudicandosi la se-
sta posizione.
Buon bonsai a tutti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Vita breve di una pietra
giapponese:
una Luuuuunga Storia, ai nostri occhi ….
Tratto da:
“The Sen-En-Kyo: COLLECTION OF JAPANE-
SE VIEWING STONES” di Sen-En-Kyo -
Supervisore editoriale: Kin-ichi Yoshimura
La vacca od il bue sono un simbolo della diffusione della cultura buddista. In Giappone, il bue mansueto ha il nome speciale di Gagyu.
Un'antica storia zen cinese è rappre-sentata in dieci antichi disegni: “Le dieci icone del toro domato”. Per gli antichi mo-naci cinesi Chan; in seguito, anche per i monaci Zen dopo, rappresentano i dieci passi che portano lungo la via alla sco-perta della Verità.
Un pastore vuole ritrovare il bue che ha perso. Il bue, prima disobbediente ed irruento, rappresenta la mente incline a correre qua e là. Il mandriano che tenta di legare il bue ad un albero è lo yoghi; quando il solido punto fermo sarà fissato, il mandriano potrà allontanarsi senza ti-more di perdere nuovamente il bue, ormai tranquillo e sottomesso: metafora calzante per la pratica della meditazione.
“Proprio come un uomo legherebbe ad un paloUn vitello che dovrebbe essere addomesti-cato,Così pure uno dovrebbe qui legare stretta-menteLa propria mente all'oggetto di consapevo-lezza”.
N
el maggio 2005, fu la prima volta in
cui vidi il famoso Gagyu-ishi (prece-
dentemente, di proprietà di Kamiya
Yoanken). Prima, lo avevo visto solo in
fotografia. La Pietra mi apparve piccola, ma ave-
va una dignitosa e massiccia apparenza.
Vi è una profonda connessione tra la pietra ed il
Kofu-En Bonsai Garden. Il Gagyu-ishi, (pietra
amata da Bejo, il fondatore del Giardino Taiko-En
Bonsai) fu dapprima data a Yoshimura Toshiji da
Hanjiro, il titolare di seconda generazione di Tai-
ko-En nel 1924, come un riconoscimento per
l'apertura del Toshiji Bonsai Garden.
Beio, nato nell’anno del Toro aveva una
smodata passione per la pietra.
Nonbei, una mano da maestro nel creare
suiban, aveva anche fatto una figura di bue per il
compleanno di Beio, ma sfortunatamente era bru-
ciata quando scoppiò un incendio, durante il
grande terremoto di Kanto, nel 1923.
Kin-ichi Yoshimura dice che, quando si tro-
va faccia a faccia con la pietra, è come se Beio
fosse in realtà di fronte a lui. Anche se non ha
mai avuto familiarità con Beio, la pietra gli somi-
glia esattamente come suo padre Toshiji gli ave-
va descritto: grande, pesante, e calvo, con una
faccia rotonda. Le sue mani erano abbastanza
grandi. Quando Toshiji fu suo apprendista, si
soffiava i pugni durante il lavoro ed erano piutto-
sto doloranti.
Il Gagyu-ishi è stato venduto dal Kofu-En
Garden diverse volte ma, stranamente, torna
sempre indietro come un boomerang, dopo un
pò. E' come presente… un senso di relazione pre-
destinata tra la pietra e il Kofu-En. Nei primi me-
si del Showa la pietra fu trasferita a Kyoto da
Kamija Yoanken, che è stato un appassionato di
suiseki e che gestiva una grande borsa di vendi-
ta.
Per qualche ragione, egli ha venduto tutte
le sue pietre di Tokyo, il 22 settembre 1941. Il
prezzo del Gagyu-ishi allora fu di 551 Yen. Il no-
me di Toshiji era elencato nella lista degli agenti
per la vendita, per cui, poi, si pensò che la pietra
fosse stata comperata in quel momento.
Nel 1945, anno in cui finì la guerra, vi era-
63
- a cura di Luciana Queirolo -
no due suiseki rinomati, al Kofu-En Bonsai
Garden: la pietra Gagyu e una pietra crisantemo
chiamata "Hagoromo". La Pietra "Hagoromo" fu
scambiata per del riso, ma Toshiji non abbandò
la Gagyu-ishi.
Nel 1965, quando il collezionismo Suiseki
era all'apice del boom, Toshiji fu avvicinato da
Hashimoto Masukichi, un importante cliente, al
Kofu-En Garden, e la pietra gli fu venduta.
Ma Toshiji sognò la pietra, quella notte, e nel
sogno la pietra gli disse che voleva ritornare; così
il giorno dopo Toshiji andò a spiegare il suo
sogno e se la fece ridare. Questo episodio è
famoso.
Nuovamente, nel 1975, La pietra fu
trasferita a Katayama Teiichi su sua richiesta e
dopo passò a Chuji Sugii. La pietra è stata
inclusa negli "Importanti Suiseki e Utensili
Certificati dalla Japan Suiseki Association”
come un importante suiseki di sua proprietà
(registration n ° 66)
Nel maggio 2005, Quando Chuji Sugii
ebbe intenzione di vendere la pietra, molti
entusiasti richiesero di comprarla, così decise di
consultare Arishige Matsuura, presidente della
Japan Suiseki Association. Egli fu dell’avviso che
la pietra dovesse appartenere a Kofu-En Bonsai
Garden e, di conseguenza, Sugii concluse di
venderlo alla Kofu-En. Kin-ichi Yoshimura
osservò, dopo aver ottenuto la pietra: "Ho
sognato di mio padre (Toshiji) la notte scorsa. E’
apparso accanto al mio letto ed ha
semplicemente sorriso." È come se Toshiji fosse
contento che la pietra Gagyu tornasse al Kofu-
En. Ora la pietra è sotto le cure di Ikki Yoshimura,
che è il figlio di Kin-ichi ed ora è in formazione
sotto di lui.” (nota di redazione:!!!!!!!).
“… Nel giugno 2006, Ikki Yoshimura ha assunto
l'incarico di direttore della Japan Suiseki
Association. È’ come se Toshiji avesse portato la
pietra al Kofu-En per sostenere Ikki. Mi auguro
che la pietra possa rimanere, per una lunga
durata, tesoro del Kofu-En e spero per l'ulteriore
sviluppo del Kofu-En.”
© RIPRODUZIONE RISERVATA
COSA NOI SUISEKISTI DOBBIAMO SAPERE
YUJI YOSHIMURA nasce nel 1921,
secondo di 12 figli, dalla famiglia di Toshiji
Yoshimura, uno dei massimi leader del
bonsaismo mondiale, samurai e famoso de-
signer di giardino, proprietario del Kofu-en
Bonsai Nursery, situata in un sobborgo di
Tokyo; fino al 1960, uno dei tre giardini dal
periodo Meiji. Toshiji, uomo di gusto estre-
mamente raffinato e di grande istruzione,
annoverava tra i suoi clienti la crema della
società giapponese: artisti ed aristocrazia.
“L’estetica della Kofu-En Nursery è stata per una bellezza interiore oltre che leggiadria esteriore, favorendo l'eleganza piuttosto che l’impatto. Quando guardi un piccolo albero, il tuo cuore si sente rilas-sato e puoi sentire soffiare il vento; più di quello che può essere visto con gli occhi e l'albero assume una bellezza eterea. Yuji imparò questa estetica dal padre e l’ha insegnata al mondo Occidentale, prima in
Giappone e poi negli Stati Uni-ti. Visse nel mondo occidentale per più di trentacinque anni, studiando le differenze tra le culture occidentali ed orientali. Yuji Yoshimura è stato un arti-sta bonsai giapponese che, vi-vendo al di fuori del Giappone per molti anni, divenne un lega-me diretto tra le tradizioni del bonsai classico giapponese e
l'approccio progressivo occi-dentale. Il risultato è stato una scuola elegante e raffinata del bonsai adattato per il mondo moderno.”
Il 27 agosto 1975, il pa-
dre, Toshiji Yoshimura, muore.
Il fratello di Yuji, Kanekazu, di-
viene titolare della Kofu-En:
molto attiva all’interno della
Nippon Bonsai Association e
della Nippon Suiseki Asso-
ciation, in cui Yuji è stato tra i
fondatori.
Nel 1984, in collabora-
zione con Vincent T. Covello,
pubblica “L’Arte Giapponese dell’Apprezzamento della Pietra, Suiseki e il suo uso col Bonsai” . Li-
bro che rimane a tutt’oggi la
Bibbia di ogni nuovo appassio-
nato del Suiseki.
65
- a cura di Luciana Queirolo -
Larix decidua
LLaarriicceemeravigliosa essenza
Testo e foto di Federico Springolo
Larice
ESSENZA MERAVIGLIOSA
Testo e foto di Federico Springolo
L
a sua corteccia grigia come la
cenere, il suo legno dalle ve-
nature rossofuoco e dal profu-
mo inconfondibile, i suoi aghi
verde tenue e leggeri come piume, il
giallo oro in autunno e la sua veste nu-
da in inverno, fanno di questa es-
senza una delle mie preferite e
quando, durante le mie gite a
“caccia” di esemplari mi imbatto in lui
è difficile che torni a casa senza!
La pianta che presento è un
esemplare molto grande di questa me-
ravigliosa essenza, pianta che
raccolsi una decina di anni fa e che
per circa otto è rimasta a dimorare
all’interno di una cassa di legno che
costruii appositamente. Dicevo otto
anni, tutto questo tempo mi è servito
per apprezzare le sue risposte alle sta-
gioni, ammirare il suo mutare di colo-
re e creare con lei quell’armonia che
mi ha portato a operare degli
interventi avendo il massimo rispetto
per la sua vetustà e saggezza.
Per la prima lavorazione ho
approffitato di un incontro con
Sandro Segneri alla Bonsai Creativo
School, anche il grande Sandro, nono-
stante veda continuamente materiali
di potenzialità elevatissima, è rimasto
colpito ed entusiasta di ciò che aveva
davanti ed ha approvato, dopo averlo
analizzato attentamente, il progetto
che gli ho sottoposto.
Il progetto non facile, perché il
“laricione” presentava una grossa
porzione di tronco arcuata e di poco
interesse che allungava la pianta e
non conferiva carattere, prevedeva,
per conferire quel carattere latente di
operare una scelta drastica, scelta
che mi portava a eliminare tutta la
parte apicale, simulando un incidente
meccanico, e ridurre “al secco” una
porzione importante della vegetazio-
70
- Federico Springolo -
>> Noi... di Bonsai Creativo School
ne. Ero, e sono convinto, che quello che
era un difetto sia divenuto oggi un
punto focale dell’insieme.
Questa operazione mi ha
successivamente portato, negli
interventi futuri, a lavorare il legno
secco del moncone e operare il suo
spostamento, con le tecniche della sfi-
bratura e l’ausilio del fuoco, in avanti di
oltre 60 gradi. In questa prima fase, pe-
rò, non ho previsto di lavorare il legno
ma solamente di concentrarmi
sull’abbassamento del ramo principale,
per simulare uno stile KENGAI (ca-
scata) O HAN KENGAI (semicascata) e
una prima allargatura dei rami primari
per favorire l’amissione di nuovi germo-
gli. Ho eseguito una legatura
importante del ramo, sopra una protezione di ba-
nale camera d’aria posizionata su di uno strato
doppio di rafia, l’ho abbassato aiutandomi con
delle leve e, giunto alla posizione desirata, l’ho
ancorato con dei tiranti. Per il punto di partenza
della curva ho sfruttato una biforcazione causata
da un evento drastico naturale.
Ho lasciato riposare la pianta per tutta la stagio-
ne vegetativa e, a Giugno, prima di spostarla co-
me al solito in montagna dove può migliorare le
sue funzioni vitali visto che le condizioni di
temperatura le sono più favorevoli della pianura,
ho operato un dimensionamento delle branche
71
- Federico Springolo -
primarie che si erano allungate anche di 35/40
cm.
A gennaio, ho deciso d’intervenire sul legno secco
e di operare una seconda definizione dei palchi.
La lavorazione del legno, come detto in prece-
denza, implicava lo spostamento del moncone in
avanti e una piega di questo di circa 60° per
enfatizzare il punto di rottura e rendere il difetto
accennato in un punto d’interesse.
Ho operato quindi la sanificazione della
cassa di legno che, come si vede dalle foto, stava
cedendo in tutte le sue parti.
Ecco questo è stata la mia prima fase di la-
vorazione con il “laricione” ora, con il tempo si
succederanno altri lavori da eseguire e chissà se,
magari un giorno, potra darci emozioni dal vivo in
qualche esposizione.
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72
- Federico Springolo -
>> Noi... di Bonsai Creativo School
73
- Federico Springolo -
Nasce a Padova nel 1976, nel 1990 inizia a seguire i corsi base presso l’Associazione Eu-
ganea Bonsai. Fonda con Luigi Toso nel 1992 il Bonsai Gymnasium. Nello stesso anno
frequenta dei corsi di formazione e perfezionamento con alcuni dei più noti istruttori ita-
liani quali: Segneri, Andolfo, Cetorelli, Dal Col, Liporace e simultaneamente partecipa a
dei workshop tenuti da H. Terakawa, H. Suzuki e M. Noelander. Nel 1994 inizia a seguire,
come assistente, Luigi Toso nelle dimostrazioni e nei workshop tenuti dallo stesso. Si di-
ploma in agraria nel 1995. Dal 1997 è ammesso al Collegio Nazionale IBS. Da allora ha
partecipato a manifestazioni nazionali e in alcune di queste le sue piante ricevono citazio-
ni e premi, tra queste ricordiamo: Sacile nel 1998 e Ferrara nel 1999. Nel 1999, dopo
lungo apprendistato, intraprende l’attività professionistica di realizzazione di parchi e
giardini fondando l’azienda Oltre il Verde Giardini snc. Nel 2001, alla mostra nazionale di
Arco (TN), effettua la sua prima dimostrazione in pubblico come Istruttore. Il periodo
immediatamente successivo lo vede impegnato in una lunga ed autonoma fase di ricerca
sull’estetica delle forme e studio delle piante autoctone. Sviluppa quindi la passione per
essenze mediterranee ed alpine del nostro territorio. Si specializza nella raccolta di pini,
larici, abeti e quercus affiancando contemporaneamente artisti della lavorazione e
dell’intaglio del legno. Dal 2007 frequenta la Bonsai Creativo School, diretta da Sandro
Segneri, dove sta approfondendo le nozioni di estetica e le metodologie di lavorazione
delle piante con l’applicazione di tecniche avanzate. Nel 2009, insieme ad alcuni amici
che condividono la stessa passione, rifonda il BonsaiGymnasium, con sede a Galta di Vi-
gonovo (VE); nell’Associazione ricopre la carica di vicepresidente e istruttore. Cultore
dell’estetica la sua specializzazione nel campo bonsaistico sono le forme naturali e la la-
vorazione del legno secco, predilige l’uso di utensili manuali a quelli elettrici.
>> Noi... di Bonsai Creativo School
B
entrovati amici, con il primo numero di primavera vi regaliamo una
chicca, l'intervista ad uno dei pionieri della nostra passione, Lo-
renzo Agnoletti. Ha iniziato a conoscere i bonsai all’Università di
Agraria di Firenze.
Partecipa alla prima mostra di bonsai a Pisa nel 1980 ed è cofondatore del
club ATABS di Firenze nel 1984, oltre che dell’Associazione Italiana Bonsai
(AIB). Nel 1985 inizia la sua collaborazione con un centro bonsai dove ha
l’occasione di lavorare ed assistere diversi professionisti: Naka, Suzuki, Ro-
binson, Kobayashi e Terakawa. Il primo viaggio in Giappone risale al 1989
per il primo Congresso Mondiale Bonsai. Ne seguiranno altri fino allo stretto
rapporto con Il Maestro Kobayashi e la permanenza nel suo giardino nel
2002 per cinque mesi. Ha partecipato a molte manifestazioni in Italia ed
all’estero come espositore concorrente e giudice. I suoi bonsai, tutti di specie
europee, hanno vinto concorsi nazionali ed internazionali.
Buona lettura.
Giuseppe Monteleone
>> L'opinione di...
80
- Giuseppe Monteleone -
Devo confessare che intervistare
uno dei pionieri del bonsai in Italia
mi desta una certa emozione. A
maggior ragione per il fatto che,
ultimamente, di te non si hanno
molte notizie, a cosa è dovuto que-
sto “isolamento mediatico”?
La mia relativa assenza è
dovuta ad impegni nella costruzio-
ne del mio nuovo giardino e in
parte dal mio desiderio di rallenta-
re e selezionare le mie partecipa-
zioni a manifestazioni e media.
Potrei dire che ogni tanto mi piace
vedere quello che fanno gli altri.
Ho l´inconfessato desiderio di
tornare ad essere un semplice
appassionato bonsai. Per l´isola-
mento mediatico potreste pro-
pormi una collaborazione o un
articolo sul vostro magazine.
Come sempre, a me piace far tra-
sparire da queste righe un po'
dell'uomo che c'è dietro ogni
bonsaista, tu che tipo di persona
ti definisci?
Penso di essere una perso-
na complessa, con un carattere ri-
servato ma molto curioso del
mondo e degli altri. Dal punto di vi-
sta del bonsai sono sicuramente
un epicureo, cerco di trarne tutti i
piaceri possibili.
Il debutto nel mondo del bonsai ri-
sale al 1980 con la tua prima mo-
stra a Pisa, che ricordo hai di quei
giorni?
Radioso! Come possono es-
sere i 19 anni ed una 500 verde,
usata in viaggio per Pisa a vedere
i bonsai. E´stato emozionante
incontrare quei pochi che allora co-
noscevano questa arte. Ho rivisto
tempo fa un catalogo della mo-
stra: le piante bonsaisticamente
erano impresentabili in compenso
c´era una bella atmosfera un po'
anarchica e naif.
Oggi qualunque appassionato si vo-
glia cimentare con quest'arte non
ha certo difficoltà a reperire
informazioni, a trovare scuole e
maestri, ma i tuoi inizi non sono
stati certo così semplici, credi che
le difficoltà di allora siano state ri-
pagate in termini di soddisfazioni?
Dal giorno del tuo debutto non ti
sei più fermato, innumerevoli le
splendide piante che sono venute
fuori dalle tue mani, ma ce n'è
una alla quale credo tu sia partico-
larmente affezionato, il famoso ci-
presso che ormai tutti conoscono,
sbaglio se dico che è ormai quasi
parte di te e della tua storia?
Vedi ho la presunzione di ri-
tenere che tutti i miei bonsai sia-
no parte di me. Tutti i bonsai del
mio giardino sono stati lavorati da
zero e solo da me, per questo non
ho un bonsai preferito. Il mio ci-
presso e ´stato apprezzato da
altri e questo mi fa piacere.
Il tuo percorso formativo ti ha
portato a frequentare alcuni dei
più famosi artisti giapponesi fino
a farti approdare nel 2002 nel
giardino del Maestro Kobayashi.
Che ricordo ti porti di quei cinque
mesi?
Mi ricordo la gioia e la fre-
nesia del mio maestro Kobayashi
che tutto può essere fuorché un ti-
pico giapponese. Ho vissuto per
un periodo con un uomo che ha
avuto dei sogni e li ha realizzati:
Avere un giardino bonsai creato
dal nulla, partecipare e vincere a
manifestazioni importanti, costrui-
re un museo di vasi antichi, di-
vulgare il bonsai oltre i confini
nazionali, insegnare ad allievi
stranieri. Mi porto dentro la lezio-
ne quotidiana, mai esplicata ma
messa in pratica che il bonsai non
è tecnica ma arte. Per questo noi
allievi eravamo trascinati a lezioni
di calligrafia, visite a mostre di
pittura, collezioni di bonsai e vasi,
giardini e luoghi naturali famosi.
Per Kobayashi il bonsai è parte
del “Kazari” che è l'arte di armo-
nizzare ed estetizzare il mondo
attorno a noi e per farlo ci vuole la
nozione del bello.
Rifacendomi alla domanda prece-
dente, io credo che per un occi-
dentale, essere “preso a bottega”
da un grande Maestro giapponese
rappresenti un onore. La mia è
una visione romantica o è ancora
così?
Sicuramente è stato un pri-
vilegio essere stato il suo primo
studente straniero di lungo perio-
do. Un onore è stato l'avermi affi-
dato la lavorazione e preparazione
di tanti bonsai per clienti
importanti e per il Kokufu oltre a
l'avermi dato la sua amicizia.
Tra tutte le altre cose, sei anche
uno dei fondatori della Sakka Kyoo-
kai Bonsai Europe, estensione in
Europa della Sakka Kyookai Ja-
pan. Credi che mantenere un
cordone ombelicale molto stretto
con il Giappone sia positivo per il
movimento bonsaistico europeo
ed italiano in particolare?
Sì, sono stato uno dei
fondatori della Sakka Kyookai Euro-
pe e da questo anno ne sono il
nuovo presidente. Prima di ri-
spondere vorrei precisare che co-
sa è la Nippon Bonsai Sakka
Kyookai, che è nata per divulgare
i valori della tradizione nel bonsai
e non il bonsai tradizionale. I mae-
stri della Sakka non cercano di ri-
petere le forme dei bonsai delle
epoche passate, anzi alle loro
esposizioni ci sono bonsai molto di-
versi tra di loro e mai ripetitivi o
accademici. Le loro esposizioni so-
no legate al Kazari che forse si po-
trebbe tradurre con la parola
italiana armonia. Con questa pre-
messa io credo sia importante co-
noscere ed apprezzare la cultura
giapponese soprattutto per indivi-
duare i punti di contatto e il comu-
ne sentire, al contrario trovo
velleitari e inutili i tentativi d'imita-
zione. La Nippon Bonsai Sakka
Kyookai Europe è nata per far cono-
scere i valori della tradizione ma
nello stesso tempo è consapevole
che noi europei veniamo da cultu-
re altrettanto antiche e più artico-
late di quella giapponese e quindi
aggiungeremo qualcosa di nostro
all'arte bonsai. Penso sia
importante rimarcare anche tutto
quello che ci differenzia dal
Giappone in tutti gli aspetti che ri-
guardano il bonsai.
Una delle particolarità che mi
hanno colpito è che tutti i tuoi
bonsai sono di specie europee. È
un po' singolare per un artista
che, oltre ad aver vissuto un perio-
do in Giappone, ha avuto a che fa-
re con Naka, Suzuki, Kobayashi.
Qual è il perchè di questa scelta?
Spesso si legge che un
lungo viaggio inizia con il primo
passo ma non si specifica in quale
direzione. La mia direzione nel
mondo bonsai è stata verso le spe-
cie autoctone perché ho sempre
avuto un sentimento di intimità
con gli alberi che conoscevo fin da
bambino. Come avviene che
apprezzo la cultura di altri paesi
ma non la faccio propria, allo stes-
so modo ho solo specie europee
nel mio giardino. In passato ho
chiesto anche mostre bonsai con
solo specie europee ma forse
l'ignoranza del nostro patrimonio
naturale e forti interessi economi-
ci le rendono per il momento
impossibili.
Visto che tra le tue attività puoi
annoverare anche la cura del mu-
seo Franchi, ci racconti che emo-
zione dà occuparsi degli
esemplari custoditi in un museo
così prestigioso?
Le emozioni sono quelle di
ogni grande e varia collezione,
principalmente le emozioni di
tutte le variazioni stagionali dei
bonsai ma anche il piacere conti-
nuo e pacato della manutenzione,
con tutti quei lavori tecnici e non
per migliorare e far star bene ogni
esemplare.
E della recente manifestazione te-
nutasi proprio dai Franchi, che
impressioni hai avuto?
Ho avuto una buona
impressione, la manifestazione ha
attirato molti appassionati che
non vedevo da molto tempo ed è
stata un buon ricominciare per la
famiglia Franchi dopo l'ultima di
10 anni fa. Il maestro Suzuki è
stato di una competenza e disponi-
bilità esemplari ed anche i parteci-
panti ai laboratori, mostra e
82
- Giuseppe Monteleone -
conferenze sono rimasti soddisfatti.
Visto il fervore che sembra animare il mondo
bonsaistico italiano, cosa pensi delle nuove leve
che stanno venendo su in questi ultimi anni?
Per fortuna non posso esprimere giudizi,
per esperienza personale credo che saranno ne-
cessari 10 anni prima di vedere i risultati della
strada che hanno intrapreso. Avrei solo un consi-
glio da fare: è innegabile che in questi ultimi
anni nel bonsai è aumentata la parte che ri-
guarda il valore economico tanto che i bonsai so-
no stati quasi ridotti ad un oggetto, per questo
penso sia importante leggere e studiare poeti e
scrittori, interessarsi di altre arti e guardare la
natura perché solo la conoscenza può arginare
questa mercificazione.
Leggendo di te, in una intervista di qualche
tempo fa dicesti “Vorrei fosse possibile creare
un senso estetico occidentale ed una somi-
glianza che faccia esclamare “Accidenti che Pi-
no!” e non “Accidenti che bonsai!” “. Ho
riflettutto a lungo su questa frase e anche se
credo di aver compreso il tuo pensiero, mi piace-
rebbe che fossi tu stesso a spiegarne il signifi-
cato.
Uno dei principi fondamentali del bonsai
è che nelle nostre realizzazioni prendiamo a mo-
dello gli alberi in natura e le loro numerose varia-
zioni,attenzione dico numerose e non infinite
variazioni, per questo trovo ridicoli se non
offensivi per l'albero i tentativi di farlo assomi-
gliare ad un'altra specie. In parole semplici non
sono in empatia con un bonsai di olivo che ha la
forma di un bonsai di pino a 5 aghi.
Altra cosa assolutamente singolare ed in contro-
tendenza è un'altra tua affermazione “Sono
contento di aver partecipato al bonsai italiano e
83
- Giuseppe Monteleone -
solo oggi dopo 25 anni comincio a
comprenderne qualcosa”. Una di-
chiarazione del genere dovrebbe
far riflettere tutte quelle persone
che approcciano il bonsai senza
alcun rispetto per gli insegna-
menti del tempo. Tu, dopo più di
25 anni di bonsai cosa e quanto
pensi di aver imparato nel modo
di fare bonsai?
Penso di aver acquisito
una notevole capacità tecnica e
pratica e la netta sensazione che
ho ancora molto da fare in altre di-
rezioni. Quanto ho imparato lo si
può vedere nei miei bonsai, su di
loro ho riversato tutta la mia espe-
rienza. Da quando abbiamo
fondato la Sakka ci siamo resi
conto che abbiamo ancora molto
da fare nella presentazione dei
bonsai.
Nel tuo cammino hai partecipato
ad una serie innumerevole di mo-
stre, in alcune come espositore in
altre come giudice, in quali panni
ti sei trovato più a tuo agio?
In quelli di giudice perché
è impegnativo e mi piace la tensio-
ne che si prova nel cercare di
comprendere i bonsai degli altri.
Tornando all'argomento mostre, se-
condo te, sarebbe il caso di trova-
re un sistema che standardizzi, in
qualche modo, il giudizio in modo
da evitare veleni e sospetti, o ritie-
ni che la discrezionalità del giudi-
ce non debba essere messa in
discussione?
Per me il bonsai è l'espres-
sione individuale immersa nella
natura. Cercare uno standard è
inutile e nemico della creatività.
Meglio sarebbe non avere mostre
a premi ma se questo pare impro-
ponibile allora con un minimo di
tre giudici competenti e senza ta-
belle di giudizio si risolve la que-
stione. Per quanto riguarda i
veleni e i sospetti mi dispiace ma
sono ineliminabili.
Da quello che mi è sembrato di
capire, non sei attirato dalle
forme esasperate e dalla spettaco-
larizzazione della pianta, è davve-
ro così?
Al contrario, nella mia colle-
zione ho anche bonsai con forme
estreme e non comuni, vale per lo-
ro sempre il principio della natura-
lezza e di armonia delle parti,
trovo che ai bonsai spettacolari
manca sempre quel senso di miste-
ro e di abbandono delle cure tipici
di un bonsai maturo. Aggiungo
che in alcuni modi di fare l'albero
mi pare si voglia spostare l
attenzione dello spettatore dal
bonsai all'autore.
Vivi e lavori nel Chianti dove orga-
nizzi corsi. Come rispondono i tuoi
allievi al tuo modo di concepire la
nostra arte?
Organizzo poche lezioni du-
rante l'anno e principalmente per
bonsaisti esperti. Si lavora molto,
si scherza e si ride, parlo loro di
quello che penso del bonsai e dei
punti fondamentali ma non
impongo la mia visione. Mi fa pia-
cere vedere che i loro bonsai mi-
gliorano e tutti gli anni ritornano,
non credo lo facciano solo perché
mia moglie cucina bene.
Veniamo alle tue preferenze ri-
guardo alle piante. Da buon tosca-
no anche tu hai una predilezione
per i cipressi? Quali altre essenze
ami lavorare?
Non ho particolari prefe-
renze la mia collezione è compo-
sta in larga parte da sempreverdi,
provenienti da tutti gli ambienti
naturali europei. Il clima dove abi-
to mi permette, con i dovuti
accorgimenti, di coltivare specie
alpine e mediterranee.
L'importante per realizzare un
bonsai è che ne conosca il porta-
mento in natura.
Ringraziandoti per il tempo che ci
hai concesso, ed augurandoti
ancora tanti anni di divulgazione
della nostra magnifica arte, ti chie-
do un saluto per i nostri lettori.
Un saluto a tutti i lettori di
questo mezzo di divulgazione che
mi ha piacevolmente impressio-
nato per la varietà degli argomenti
trattati visto che anche in Giappo-
ne si lamentano che le loro riviste
bonsai scrivono quasi totalmente
di tecnica.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
84
- Giuseppe Monteleone -
>> L'opinione di...
Sokan:
il doppio tronco
P
roseguiamo con la de-
scrizione degli Stili
perché, come già
detto, la loro cono-
scenza è essenziale ad ogni
bonsaista per potere approda-
re poi ad elaborazioni che
permettano una personalizzazio-
ne nella progettazione delle
piante.
Lo Stile trattato, il Doppio
Tronco, è chiamato molto pitto-
rescamente dai giapponesi "pa-
dre e figlio" proprio per la
differenza di diametro e di
altezza che distingue i due
tronchi o addirittura “marito e
moglie”. Ma per la dimensione
molto diversa dei tronchi si pre-
ferisce il termine “padre e fi-
glio” perché la similitudine
calza di più.
Consiste, essenzialmente, in
un'unica pianta con due
tronchi molto ravvicinati, con ra-
dice unica. Caratteristica es-
senziale è che questi si
dividano alla base, quindi "a fi-
lo" di terreno. V'è da dire che
questo è l'unico caso in cui si ri-
scontra un numero pari di
tronchi in un bonsai perché,
com'è noto, le composizioni
hanno - secondo i canoni
orientali - sempre un numero
dispari di piante. Il soggetto si
può impostare secondo lo stile
casuale, inclinato e prostrato
sempreché la chioma abbia
una silhouette come se si
trattasse di un solo tronco.
La mia idea, a proposito del nu-
mero sempre dispari dei
tronchi, non è in linea con que-
sta "regola" perché se un bo-
schetto o quant'altro che
preveda l'impiego di diverse
piante risulta perfettamente
armonioso con un numero pari
di piante, nulla osta che si pos-
sa infrangere la regola: d'altro
canto il nostro è un bonsai
"fatto in Italia" e non in Giappo-
ne.
Tronco e rami - Costituisce di-
fetto la visione di un Sookan
(così è chiamato dai giappone-
si) che abbia il tronco minore
che si divide a qualche centime-
tro dal suolo: sembrerebbe allo-
ra più un ramo che un tronco.
86
- Antonio Ricchiari -
>> A scuola di estetica
Inoltre, nella sistemazione in vaso del bonsai, è
necessario che uno dei due tronchi risulti spo-
stato più in avanti dell'altro per esaltarne
l'effetto prospettico, essenziale in ogni Stile e
per conferire la profondità senza la quale la
pianta risulterebbe piatta. L'equilibrio tra massa
vegetativa e vaso va racchiusa in un triangolo
asimmetrico così che la parte aerea dia la sensa-
zione di un'unica pianta.
Come impostare questo StileSi prestano bene a rappresentare questo
Stile molte specie, non dimenticando che il
punto focale primario è costituito dai due tronchi
quindi :
- il tronco principale va fatto crescere per evi-denziare la differenza con quello più piccolo;
- l'andamento dei tronchi va eventualmente corretto per armonizzarli fra loro;
- il diametro dei tronchi è proporzionale alla mas-sa vegetativa;
- pianificare la struttura dei rami nel rispetto dell'alternanza e della profondità;
- mantenere il principio dei vuoti e dei pieni consi-derando le cosiddette aree negative.
L'impostazione della pianta prende
spunto dagli altri Stili per cui, come si evince in
parte dalle immagini, si può avere un doppio
tronco Informale, Eretto Formale, Literati, Battu-
to dal Vento e via di seguito, come abbiamo pri-
ma accennato.
Il fattore primario è quello di riuscire ad
armonizzare i due tronchi perché ne venga fuori
un'unica pianta e non importa quale sia la diffe-
renza di altezza fra i due: quello che conta è l'abi-
lità del bonsaista nel riuscire ad integrarne i fusti
con i rami e la massa vegetativa.
Per una certa altezza dalla base l'interno
dei tronchi deve risultare libero e la successiva
ramificazione deve fondersi senza che si aggrovi-
gli o dia un effetto visivo confuso, quindi va ri-
spettata l'alternanza dei rami che rispetti quella
del tronco limitrofo.
Una alternativa possibile. Quando non si ha a
disposizione un soggetto unico, è quello di proce-
dere con due soggetti scelti preferibilmente con
le caratteristiche che occorrono: altezza e diame-
tro di tronco diversi.
Alla base del tronco si opererà una incisio-
ne e si scorteccerà la zona che deve coincidere
87
- Antonio Ricchiari -
con quella dell'altro fusto. Le parti vengono pro-
tette con pasta cicatrizzante per evitare infezioni
e poi unite saldamente con filo di rafia.
A cicatrizzazione avvenuta non rimarrà alcun se-
gno dell'operazione anche perché, se del caso,
si interverrà con una fresa o con scalpellini per
mimetizzare eventuali imperfezioni. Quindi si pro-
cederà con tutte le usuali operazioni di imposta-
zione di rami e tronchi e potature.
Quando si inizia da talea, si procede sce-
gliendo i due rami che sono posizionati in modo
ottimale e poi si posiziona la talea in un vaso
abbastanza capiente o, meglio ancora, in piena
terra, soluzione ideale per permettere un rapido
sviluppo della pianta. In questo caso gli
interventi sono mirati a stimolare la ramificazio-
ne e alla formazione dei tronchi.
Bisogna evitare le forme ad U,
molto frequenti nei materiali di partenza, ma che
sono estremamente disarmoniche soprattutto
nella parte subito sopra al piede. Normalmente
si dice che un vero doppio tronco ha la partenza
dal nebari del tronco più piccolo, ed oltre ad una
certa altezza non è più considerato uno stile so-
kan. Questa regola molte volte non viene segui-
ta, anche se effettivamente è difficile incontrare
un soggetto con la partenza del doppio tronco in
alto che conservi allo stesso tempo la conicità es-
senziale alla naturalezza; comunque sia in natu-
ra questi casi si possono incontrare, ed hanno
un certo rilievo nell'evoluzione dello stile
dell'avanguardia. Nelle latifoglie i rami caratteristi-
ci di questo stile hanno normalmente una
grande ramificazione fine, proprio perché si imi-
ta un albero normalmente di grandi dimensioni,
dove l'effetto di miniaturizzazione dev'essere ri-
cercato attraverso un grande numero di rami fini
e a delle foglie piccole.
Queste concezioni tipicamente giappone-
si possono essere utili per ricercare delle sugge-
stioni legate alla sottile profondità estetica,
anche se possono rischiare di portare a delle
concettualità un po' fuori dal campo della natu-
ra. Il rapporto padre figlio è forse quello più inte-
ressante da utilizzare, anche perché
normalmente la dimensione dei doppi tronchi ha
il rapporto uno a tre, cioè se il tronco dell'albero
più alto è tre volte più grosso di quello più picco-
lo, anche l'altezza sarà tre volte maggiore. Molte
volte negli aceri i tronchi hanno dimensioni qua-
si uguali o con il rapporto uno a due, cosa che
viene ricercata per enfatizzare l'ampiezza della ra-
mificazione in modo da esaltare il carattere mo-
miji delle magnifiche foglie degli Aceri palmati.
Nel sokan la struttura a due costituisce il perno
portante di tutti gli elementi estetici, ma è so-
prattutto il movimento che permette, attraverso
l'armonia, di guidare lo sguardo dell'osservatore
verso le finzioni che l'autore intende presentare,
un po' come un genitore che porta il figlio a sco-
prire una cosa nuova.
Nell'architettura dell'albero a doppio
tronco, la natura porta normalmente ad avere
sempre il tronco più alto più grosso e quello
più piccolo più sottile, anche se è possibile os-
servare il caso inverso, soprattutto per doppi
tronchi che sono due piante differenti.
Un elemento d'animata discussione è anche la
distanza che dev'essere ricercata tra i due
tronchi, che va calibrata essenzialmente nella ri-
cerca della naturalezza estetica, tenendo ben
presente il progetto da portare avanti per quel
certo bonsai; nel doppio tronco, infatti, il livello di
compattezza può essere estremamente variabile
in base alla specie.
Jin e ShariLe parti di legno morto, siano esse jin, ma
soprattutto shari, sono da tenere in rapporto di-
retto tra i due tronchi, nel senso che
normalmente, se lo shari è presente sul tronco
grande sarà presente anche sul tronco piccolo.
Questo carattere è tipico delle conifere, che è
molto importante rispettare per raggiungere un li-
vello buono di naturalezza, proprio perché il
doppio tronco è formato da due piante
normalmente coetanee o con poca differenza di
età tra il tronco grande e quello piccolo. Negli
eretti informali, jin apicali sono normalmente nel
tronco più grande e più alto: difficilmente, infatti,
in natura il fulmine colpirebbe l'apice del tronco
più basso.
I movimenti dei jin e degli shari, essendo
particolarmente evidenti, devono essere molto
armonici tra di loro, evitando linee e direzioni
contrapposte: per aiutarsi nella ricerca di questo
effetto è consigliabile pensare allo stile vortico-
so, dove su un'immaginaria spirale, oraria o antio-
raria, si posizionano i jin, rispettando ovviamente
anche la triangolarità. Esistono casi molto sugge-
stivi nei quali l'effetto drammatico arriva a lavora-
re a jin l'intero tronco, normalmente quello
piccolo: un caso non frequente in natura, anche
se può essere teorizzato per ambienti estremi co-
me i deserti.
88
- Antonio Ricchiari -
>> A scuola di estetica
Specie adatte allo stileI bonsai nello stile sookan possono esse-
re praticamente realizzati con qualunque specie.
Normalmente l'uso delle conifere, soprattutto pi-
ni ed abeti, tassi e tsughe, è legato a forme
snelle e slanciate, sia che si tratti di tronchi mos-
si che di eretti formali, con un occhio di riguardo
per le specie che possano miniaturizzare moltissi-
mo gli aghi proprio per mantenere un certo li-
vello di monumentalità del soggetto. Le latifoglie
possono essere utilizzate indifferentemente
dalla specie, privilegiando soprattutto le varietà
che in natura possono crescere nella forma a
ceppaia, come aceri, faggi, olmi, azalee, ste-
varzie e carpini. L'uso delle azalee nel doppio
tronco o nel tronco multiplo è molto interessante
perché rispecchia la struttura monumentale e
l'architettura della specie. Nel caso in cui il
doppio tronco si sia formato da due piante diffe-
renti, bisogna privilegiare le varietà che possono
fondere i piedi in un unico blocco, come aceri e
faggi, evitando le conifere che difficilmente fonde-
ranno la pianta in un unico blocco. Nel caso del
sookan formato da due tronchi di specie diffe-
renti, caso raro ed estremo, bisogna almeno
cercare due specie affini nelle esigenze di coltiva-
zione, soprattutto per quanto riguarda l'esposizio-
ne ed il terriccio.
VasiLa casistica dei vasi utilizzati per i doppi
tronchi rientra normalmente nella scelta di vasi
molto larghi e piatti, normalmente rotondi od ova-
li. Queste scelte sono legate alle esigenze di
orizzontalità che impone un piede normalmente
molto allargato. Anche l'effetto del doppio tronco
allarga molto il piede alla base e la struttura
doppia richiede dal vaso un effetto di stabilità
che il vaso piatto e largo può dare. Non sono ri-
cercati toni di imponenza nella struttura del va-
so, al massimo si può ricercare il bordo e le
pareti laterali con un carattere più arrotondato
per tronchi mossi, o più rigido per i doppi tronchi
formali. Le colorazioni saranno legate alla varie-
tà ed ai colori delle foglie, ma per le latifoglie pos-
sono essere ricercati vasi anche molto colorati,
considerando che l'altezza del vaso non impone
un effetto troppo sfacciato. Normalmente si uti-
lizzano vasi con piedi particolarmente bassi o ine-
sistenti, proprio per enfatizzare l'effetto di
naturalezza e stabilità estetica. Le superfici e le
colorazioni dei gres per i sookan di conifera
vanno abbinate con le solite regole dei bonsai
informali, privilegiando gres molto lisci per i gine-
pri ed i tassi, e superfici molto rugose (fino alla
buccia di pera) per abeti e pini. La larghezza dei
vasi di un doppio tronco può raggiungere quasi
quella della chioma per dare ampiezza alla
struttura monumentale dell'albero, non ancora
essenzializzato. L'uso del vaso rotondo o esago-
nale è anch'esso molto interessante per la capa-
cità di raccordare tronchi molto esili dall'aspetto
delicato, soprattutto di conifere e piante da fiore,
con inclinazioni e movimenti abbastanza
accentuati. In questo caso il vaso sarà molto
piccolo, proprio per enfatizzare le inclinazioni e
potrà avere anche piedini alti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
89
- Antonio Ricchiari -
L
a Carmona appartiene alla famiglia delle
Borraginaceae. Si può trovare col nome
di Carmona microphylla, d’Ehretia micro-
phylla o Ehretia buxifolia. Originaria
della Cina meridionale è diffusa anche in altre zo-
ne: Taiwan, Vietnam, Corea e Giappone. È un
albero tropicale che può raggiungere i dieci me-
tri d’altezza. Le foglie, di forma ovale, sessili o
spicciolate, presentano una pelosità ruvida e bre-
ve. Sono perenni, di piccola dimensione e di colo-
re verde scuro brillante. Fiorisce in primavera ed
in estate emettendo fiori bianchi, con infiore-
scenze cimose, in pannocchie terminali; il calice
è a cinque divisioni, la corolla ha cinque lobi ottu-
si e patenti. Il frutto è una piccola drupa, spesso
delle dimensioni di un pisello, di colore verde nel
momento dello sviluppo, rosso quando maturo.
Essendo una specie "da interno", il perio-
do di fioritura varia a secondo delle condizioni
ambientali presenti, infatti, la Carmona può fiori-
re anche in inverno, se le variabili luce-calore so-
no quelle ideali e la concimazione è corretta. La
sua corteccia grigia, negli esemplari maturi divie-
ne rugosa. Queste piante, piuttosto delicate, so-
no state introdotte nel nostro continente già da
circa centocinquant'anni. Si sono diffuse so-
prattutto nei paesi a clima caldo, dove sono spes-
so utilizzate nella formazione di parchi pubblici
allo scopo di collocare qualcosa d’originale ri-
spetto alla consueta cerchia d’arbusti. Economi-
camente, l'interesse verso questa pianta si
estende anche al suo legname, particolarmente
pregiato per la costruzione di svariati utensili e,
soprattutto in passato, di ruote di carri e
carrozze, impieghi da cui si può dedurne il ca-
rattere elastico. L’uso delle sue foglie è diffuso
specialmente nelle Filippine per ricavarne una be-
vanda sostitutiva del tè.
90
- Antonio Acampora -
>> L'essenza del mese
La Carmona come bonsaiLa specie come detto è importata dai paesi
orientali ed arriva a noi nelle più svariate di-
mensioni e già in vaso. Quando proviene dalla Ci-
na, spesso è accompagnata da rocce con
sculture d’argilla in miniatura rappresentanti mo-
naci, pagode, ponti, ecc. In Italia i bonsai di
Carmona si trovano facilmente in commercio; la
loro diffusione è stata caratterizzata sia dalla pos-
sibilità di mantenerli all'interno, sia dal loro
prezzo generalmente piuttosto contenuto. Assie-
me all'Olmo cinese, alla Sagerethia, al Ficus e
alla Serissa costituisce una delle specie da
interno più conosciute. Può essere formata in
quasi tutti gli stili.
Metodi d’ottenimentoI sistemi d’ottenimento adatti a questa specie so-
no da seme, da vivaio e da talea. II seme è la
forma più comune poiché il frutto, cadendo,
germoglia sulla stessa superficie del substrato
del bonsai, se costituito da akadama e terriccio.
Nel caso in cui non si ha intenzione di attendere
che la casualità faccia il suo corso, è possibile
raccogliere i frutti già maturi per poi porli in un se-
menzaio, provvisto di fori di drenaggio, in una mi-
scela costituita da un 60% d’akadama e per il
restante 40% da torba e sabbia. I semi s’interra-
no, dopo averli ripuliti dalla polpa, a 1 cm di
distanza l'uno dall'altro ed alla profondità corri-
spondente al loro diametro. Il tempo di germoglia-
zione varia secondo l'epoca di semina.
Generalmente è meglio seminare all'inizio dell'au-
tunno, ponendo il contenitore all'interno dell'abita-
zione e riscaldandolo ad esempio sopra alla
mensola di un calorifero; in primavera si può inve-
ce collocarlo all'esterno, ma va coperto con un ve-
tro. Per quanto riguarda l'annaffio, appena il
terreno inizia ad asciugarsi va bagnato nuova-
mente. Le pianticelle, una volta germogliate,
vanno collocate in vasi singoli di coltivazione,
usando la stessa miscela utilizzata per la semi-
na. Se si vuole conservare il seme fino alla prima-
vera successiva, bisogna ricordarsi di spolparlo e
mantenerlo in luogo fresco e asciutto. La riprodu-
zione per talea non comporta alcuna difficoltà,
va considerato però che più è legnosa, più ovvia-
mente tarda a radicare. Generalmente la talea si
applica in primavera avanzata o all'inizio
dell'estate, quando i nuovi germogli cominciano
a maturare, ma non sono ancora del tutto lignifi-
cati. Con germogli di 4/6 cm di lunghezza, che
non abbiano internodi lunghi, si ottengono
abbondanti gemme. Le talee s’interrano al massi-
mo per 2 cm, applicando prima ormoni fitoradi-
canti in polvere. Il composto ideale è: 60°o
d’akadama, 30% di torba e 10% di sabbia. Se le
condizioni sono favorevoli le talee, radicheranno
in tre, quattro settimane ma è meglio attendere
la fine dell'estate per piantarle in vasi singo-
li. Alla fine di settembre, infatti, le pianticelle sa-
ranno già abbastanza forti e pronte per essere
trapiantate in vasi di plastica o terracotta di 10-
15 cm di diametro. Dalla primavera successiva si
potranno iniziare a modellarle con la potatura.
Nei vivai, come accennato, la Carmona è molto
diffusa e i prezzi sono accessibili. Tuttavia, prima
dell'acquisto, è bene accertarsi circa le sue
condizioni di salute. Soprattutto nel caso
d’esemplari medi e grandi è meglio optare per
alberi senza cicatrici dovute a potature drastiche
evitando di acquistare piante con cicatrici mal
dissimulate e ramificazioni troppo deboli, anche
se lo stato della ramificazione deve preoccupare
meno poiché è possibile ristrutturarla fa-
cilmente, e senza difficoltà particolari, appli-
cando una potatura adeguata.
EsposizionePoiché si tratta di un albero d’origine tropicale, ri-
chiede di temperature elevate costanti, ecco
perché è identificato come bonsai da interno.
Mentre dalla primavera inoltrata in poi la Carmo-
na può essere collocata sul terrazzo o sul balco-
ne o in giardino, nel momento in cui la
temperatura esterna scende al di sotto dei 13-
15° C è necessario posizionarla all'interno, o co-
munque in un luogo riparato, dove sia possibile
garantirle una fonte luminosa a meno di 1 metro
e una temperatura compresa fra i 15° e i 24° C.
Quando posta all'esterno, sopporta senza alcun
problema il sole diretto, ad esclusione dei mesi
estivi più caldi, durante i quali va collocata a
mezz'ombra.
AnnaffiaturaL'annaffiatura per questa specie deve essere
abbondante e regolare, facendo asciugare il
terreno fra un annaffio e l'altro. Non ama i rista-
gni d'acqua, pertanto il drenaggio va tenuto
sempre sotto controllo. La carenza d'acqua è
una delle cause principali di moria delle Carmo-
ne, e purtroppo è difficile accorgersi della soffe-
renza di questa pianta in tempo utile, poiché non
91
- Antonio Acampora -
92
- Antonio Acampora -
>> L'essenza del mese
manifesta i sintomi dovuti alla mancanza
d'acqua (rinsecchimento delle foglie) se non
quando è ormai troppo tardi.In caso d’eccesso
d'acqua invece, in breve tempo, le punte delle fo-
glie diventano nere e gradualmente cadono.
PotaturaLa potatura drastica può essere effettuata in qua-
lunque periodo dell'anno, anche se va detto che
il momento più adatto è l'inizio della primavera,
e il meno consigliato è quello invernale. Nono-
stante la Carmona non si debiliti partico-
larmente a causa dell'operazione, è
indispensabile coprire i grossi tagli con mastice
cicatrizzante. Per formare la Carmona si applica
il metodo Lignan che consiste nel "lasciar cresce-
re e potare": gli alberi modellati con questo siste-
ma sono caratterizzati da angoli marcati,
fenditure brusche e cicatrici mezze chiuse,
quindi da un aspetto piuttosto vetusto e affasci-
nante. La potatura utilizzata più spesso è co-
munque quella di sfoltimento, con la quale si
eliminano i rami che crescono in posizioni inade-
guate: s'incrociano con altri, si sviluppano verso
l'alto o verso il basso, ecc. Si tratta di una tecni-
ca applicata soprattutto nei mesi primaverili, spo-
radicamente in inverno.
AvvolgimentoL'avvolgimento si utilizza solo in casi estremi,
cioè esclusivamente se non vi sono alternative
per dar forma ad un ramo, poiché la Carmona,
malgrado il suo aspetto, presenta ramificazioni
molto fragili. Inoltre la sua corteccia è partico-
larmente delicata ed il filo può inciderla perfino
nella fase stessa d’avvolgimento se si esercita
troppa pressione. Se proprio si ritiene di dover
applicare il filo è meglio usare il sistema dei ti-
ranti, ancorando il filo ad una parte più bassa
del tronco o al contenitore. Con questo metodo è
possibile abbassare i rami che nascono dal
tronco e tendono verso l'alto invece di svi-
lupparsi orizzontalmente.
PinzaturaPer rifinire la struttura e la silhouette dell'albero
si applica la pinzatura dei germogli troppo
lunghi. Il modo migliore per effettuarla è tramite
l'uso di forbici specifiche per bonsai, tagliando a
2 o 3 foglie ogni volta che i germogli ne presenta-
no 7/10.La Carmona non tollera la pinzatura
con le dita, salvo che non si desideri arrestare
completamente la crescita di un ramo. Questa
tecnica è
applicata du-
rante tutta la
stagione ve-
getativa.
RinvasoIl trapianto
si effettua
ogni 2/3
anni in tarda
primavera o
inizio estate.
La mescola
di terricci più
adatta consi-
ste in akada-
ma (60%),
terriccio (30%) e sabbia (10%). Nel caso del pri-
mo trapianto l'operazione più delicata è togliere
la maggior parte della terra argillosa che
accompagna gli alberi importati e che non
permette una corretta annaffiatura. Nei trapianti
successivi si elimina 1/3 della terra sulla parte
esterna del ceppo, accorciando le radici troppo
lunghe.
ConcimazioneSi utilizza concime organico a lenta cessione una
volta al mese oppure liquido, ogni 10/15 giorni
ad esclusione dei mesi più caldi (luglio-agosto),
mentre nel corso dell'inverno un paio di concima-
zioni saranno sufficienti. Se non si fertilizza, le fo-
glie ingialliscono progressivamente e malgrado
non cadano, l'albero blocca la sua crescita; a
questo punto risulterebbe talmente debilitato
che qualsiasi altro problema potrebbe risultargli
fatale. Ma attenzione, anche l'eccesso di conci-
me ne blocca la crescita: i germogli si atrofizza-
no e assumono un colore verde scuro, le foglie
cadono e i rami si seccano.
MalattieGli agenti patogeni che di solito attaccano la
pianta sono afidi e cocciniglie, contro i quali si
consiglia di usare un insetticida sistemico alla
comparsa dei primi sintomi. In ogni caso, se la
pianta è curata adeguatamente, difficilmente è
attaccata da insetti, acari o funghi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
93
- Antonio Acampora -
L'ACERO
C
ome bonsai vengono più usate le specie
giapponesi (palmatum, buergerianum)
ma io prediligo trattare le piante autocto-
ne, quindi l’acero campestre che
appartiene alla famiglia delle aceraceae, e ha co-
me nomi comuni : loppio, testucchio, ma nelle di-
verse regioni d’Italia viene così chiamato: apice,
oeggio, loipu( Liguria), obi, isalabre, aghero (Pie-
monte), rompich, agher, opol ( Lombardia), opolo
nero, pontezo, aierela, fagaro ( Veneto), ajar, voul
(Friuli), tostone, loppo (Emilia), albero di vite, fi-
stucchio, loppio (Toscana), testuccio, testone
(Umbria), foppo, schiaccio(Lazio), averiello,
coppolo( Abruzzo), ficaia,ceriello(Campania), aci-
na, rocchia (Basilicata), uppiolo, aciaro( Cala-
bria), agghiaru, occhiu (Sicilia), acra ( Sardegna).
Il nome, di antica derivazione latina, signi-
fica aspro, duro, nemico, ma acer che significa
94
- Elisabetta Ruo -
>> Non tutti sanno che...
anche "appuntito" indica la caratteristica forma
delle foglia con lobi acuminati, con la zona perife-
rica dentata, che porta anche il nome di "Mano
Tagliata". Tutti conosciamo l'acero per la sua fo-
glia a cinque punte, simbolo della bandiera cana-
dese.
Anni fa, quando l'agricoltura era ancora
condotta a livello familiare, l'Acer campestre era
molto usato dai vignaioli dell'Italia settentrionale
come supporto ai tralci delle viti. Oggi, temendo
che le radici dell'acero possano entrare in compe-
tizione con quelle delle viti e avere dunque
qualche chilo di uva in meno, i loppi sono stati so-
stituiti da orrendi pali di cemento.
AspettoQuest’albero è spesso solo un arbusto
abbastanza grande e quando lo si incontra in
forma arborescente è ben raro che superi i 15
metri. E’ un albero deciduo a portamento co-
lonnare o contorto, a chioma stretta e
compatta o globosa. I rami giovani sono ini-
zialmente verdi, ma poi con la crescita diventano
bruno-rosso chiaro, con delle lunghe striature
longitudinali bruno chiare. Spesso si nota sui ra-
mi la formazione di coste longitudinali di sughe-
ro. Ha crescita lenta, ma è abbastanza longevo.
Le foglie sono di forma palmata, larghe al
massimo 12 cm, divise in 5 lobi variamente
dentati; di questi i due laterali sono piccoli ed il
centrale è grande; il colore è verde intenso di so-
pra e verde chiaro nella pagina inferiore che è
più o meno pelosa/vellutata specie lungo le
nervature. Durante la primavera e l'estate que-
sto albero ha il fogliame decisamente di un
verde lucido mentre in autunno le foglie si colora-
no dal giallo fino al rosso carminio. Le foglie so-
no un ottimo foraggio per pecore e capre.
I fiori, distinti in maschile e femminile
hanno i petali inseriti in un disco nettarifero, essi
sono riuniti in corimbi, sono piccoli e color
bianco verdastro. I fiori forniscono
abbondante nutrimento per le api.
I frutti sono delle samare formate da 2 se-
mi, ciascuno munito di ala divergente
orizzontalmente, a differenza di quelle di altre
specie di acero che formano un angolo più o me-
no acuto; quelle ali, facendo girare vorticosa-
mente il seme quando cade lo fanno allontanare
dalla pianta che lo ha prodotto favorendo la disse-
minazione. Si dice che Sikoskej uno degli invento-
ri dell’elicottero, abbia avuto l’idea vedendo
cadere un seme di acero.
CortecciaLa corteccia dei rami giovani è di colore
bruno. La corteccia del tronco adulto invece è
piuttosto chiara, grigio-bruna, con screpolature
che individuano piccole placche suberose che
poi cadono spontaneamente.
La drogaLa parte usata è la corteccia dei rami gio-
vani e non sugherificati. Si raccoglie: in primave-
ra (marzo, aprile) quando è più facile staccarla,
tagliando dei rami non molto vecchi; si praticano
2 tagli anulari congiunti da uno longitudinale, si
inserisce la punta del coltello e facendo leva si
distacca la corteccia. Si conserva essiccandola
al sole e riponendola in sacchi di carta quando è
ben asciutta.
Principi attivi: tannini, fitosteroli, allantoina, colina.
L’acero in genere è una pianta di uso do-
mestico, molto comune per la possibilità, ancora
oggi molto diffusa, di ottenere dalla linfa primave-
rile di una sua varietà uno sciroppo zuccherino,
che, oltre a sostituire il comune zucchero di
canna o di barbabietola ha proprietà rinfre-
scanti. Nel nostro paese l’acero “da zucchero”
non è diffuso, dell’acero che alligna in Italia si
può utilizzare, per uso esterno, la corteccia. Per
il suo contenuto in tannini essa è indicata come
rinfrescante astringente. Viene inoltre utilizzata
per applicazione locali o bagni su pelli arrossate
e fragili.
Fitoterapia Si usa la corteccia dei giovani rami per de-
cotti che hanno grande potere rinfrescante e de-
purativo.
Uso internoLa corteccia come astringente intestina-
le, facendo un decotto con 3 g in 100 ml di
acqua. Se ne bevono 2-3 tazzine al giorno.
Uso esternoLa corteccia per pelle arrossate. Si fa il
decotto con 5 grammi in 100 ml di acqua, si
applicano le compresse di garza imbevute di de-
cotto, sulle parti interessate per 15 minuti.
Uso cosmetico
95
- Elisabetta Ruo -
Basta una manciata di corteccia, gettata
nell’acqua del bagno per dare beneficio a pelli
particolarmente fragili e delicate.
GemmoterapiaProprietà Le gemme di acero riducono le
betalipoproteine, il colesterolo totale e manifesta-
no una blanda attività anticoagulante.
Indicazioni• Herpes intercostale.
• Tendenza all’arteriosclerosi.
• Calcolosi delle vie biliari (Fraxinus excelsior).
• Sequele di paralisi o poliomielite.
• Nevrosi fobica (Tilia tomentosa).
Posologia MG 1 DH, 50 gocce, diluite in un po’
d’acqua, 1-3 volte al dì.
Sinergie Fraxinus excelsior (litiasi biliare), Tilia to-
mentosa (nevrosi fobica).
Il dono più prezioso dell’Acero è la linfa
zuccherina, ma la raccolta ha bisogno di tratta-
menti specifici, inoltre ci vogliono circa 40 litri di
linfa per ottenere 1 litro di sciroppo.
Sciroppo d'aceroProprietà: lo sciroppo derivato da questa
linfa, molto zuccherino, ha grandi poteri
emollienti, rinfrescanti ed energizzanti, visto il
suo alto contenuto in sali minerali; è utile in tutti
i casi di gastrite, di costipazione intestinale, di co-
lite spastica. Lo sciroppo di acero è un dolcifi-
cante di antichissima origine, uno dei pochi ad
essere estratto direttamente da due alberi, l'ace-
ro da zucchero e l'acero rosso (Acer saccharinum
e Acer rubrum ) che producono una linfa chiara
costituita prevalentemente da acqua 97%. Viene
utilizzato principalmente per dolcificare. Il potere
dolcificante è 25 volte maggiore dello zucchero
raffinato. Il sapore delicato, simile al miele d'aca-
cia, lo rende particolarmente gradevole come
dolcificante naturale disciolto nelle bevande o
nella preparazione di dolci, il vantaggio è che
apporta una quantità di calorie ridotta e per que-
ste ragioni è consigliato ai diabetici e in alcuni re-
gimi dietetici.
Come si usa: con lo sciroppo d'acero si
può addolcire il latte nella colazione dei bambini.
Grazie al suo alto potere energetico e depurativo
può essere usato per un giorno di "depurazione":
si deve bere (senza toccare altro cibo) due litri di
acqua dove siano stati sciolti quattro cucchiai di
sciroppo di acero: in questo modo verranno as-
sunti tutti i principi attivi della linfa di acero utili
per disintossicarci e depurarci; alla fine della
giornata ci sentiremo più puliti e più "sgonfi". (
OVVIAMENTE è sconsigliato se non si gode di otti-
ma salute o si fa uso di medicinali)
LegnoL’alburno roseo chiaro è semitenero, ma
tenace e di lunga durata. Il legno di acero è
molto pregiato e dunque molto richiesto dagli
ebanisti, inoltre è impiegato nella fabbricazione
di attrezzi agricoli e di calci da fucile, sèsole, pa-
le per i panettieri, plantari per le galosce, ludìns
(sci per la slitta) e sci, scàneve (collari per gli ani-
mali). Usato molto per gli attrezzi da cucina e
agricoli, perchè si mantiene pulito, duro e liscio.
Il legno più frequentemente identificato nei re-
perti archeologici di strumenti musicali anglo-sas-
soni (come le arpe) è quello dell’Acero
campestre. Nel Rinascimento e nel periodo Ba-
rocco era in voga l’usanza di impiegare questo le-
gno, con cui si poteva lavorare di precisione, per
costruire strumenti musicali. Antonio Stradivari
fu il primo a utilizzarne il legno per la costruzione
dei suoi leggendari violini. Ottimo combustibile.
Letteratura“Bello ed elegante ma di facciata.
Sembra forte e sicuro di se, invece è fragile, si
96
- Elisabetta Ruo -
>> Non tutti sanno che...
arrende subito, si lascia dominare. Ha bisogno di
luce...” (Le voci del bosco, Mauro Corona)
"L'acero nelle cui parti secrete tanti diversi e bei
colori nasconde…" (Le Metamorfosi , Ovidio)
Cenni storiciDodoens (1557 d.C.) riporta l’indicazione
di Serenus Samonicus, medico latino del III sec.:
‘Le radici di acero, macerate nel vino e bevute, so-
no utili nelle algie del costato’.
CuriositàQuest'ultimo viene spesso paragonato al
rosso sangue, non a caso si dice che in alcune
antiche tradizioni venisse associato al funesto.
Nella mitologia Greca era l'albero di Fobos, il Dio
della paura. Col trascorrere del tempo in Europa,
nel suo folklore , fece in modo di non colpire più
l'uomo, ma le sue paure: pipistrelli e streghe. In
Alsazia e in Lorena pare che le cicogne mettesse-
ro un ramo di acero nei loro nidi per impedire ai
pipistrelli di andare ad uccidere i loro piccoli
ancora dentro le uova.
Piantando alcune zeppe di legno d'acero
allo stipite della porta si tenevano lontane le
"streghe". Fu nel XIX sec. Che questo albero si ri-
scattò della sua nefasta immagine arrivando ad
essere il simbolo delle bandiera Canadese.
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L'UTILIZZO DELLO SFAGNO
NELLE PRATICHE BONSAISTICHE
A
ppartenenti alle Briophyte, i muschi si di-
vidono in base alla loro struttura; Mu-
schi veri (Brydae) , Muschi di montagna
(Andreaeidae) a fibra corta e Sfagno
(Shagnidae) a fibra lunga. Quest’ultimo
maggiormente utilizzato durante le fasi di coltiva-
zione, si differenzia dal muschio a fibra corta (ti-
po Ceratodon purpureus, Bryum argenteum),
che viene utilizzato maggiormente per scopi orna-
mentali durante le esposizioni per migliorare
l’aspetto estetico della superficie della miscela
di substrato nei pressi del nebari.
Lo sfagno (Sphagnum), la cui struttura a fi-
bra lunga è caratterizzata appunto da strutture
vegetali con ramificazioni a grappoli, si sviluppa-
no in zone umide e ne esistono circa 300 specie.
La sua presenza assicura una maggior aerazione
alle strutture su cui viene adagiato: la pratica
della pacciamatura su vasi le cui piante sono
state appena rinvasate, infatti, garantisce un mi-
glior attecchimento, in quanto mantiene l’umidi-
tà necessaria e costante nei pressi di capillari
superficiali, permettendo nel contempo una
perfetta aerazione, che evita la formazione di zo-
ne asfittiche (foto 1, 2).
In un mio precedente studio, effettuato
durante le fasi di decomposizione di concimi
organici, si è già notato quale importantissimo
contributo assicuri l’applicazione di sfagno, che,
infatti, garantisce meglio la formazione di flora e
fauna terricola, utili nelle fasi di cessione del nu-
triente, proprio grazie anche al trasferimento di
ioni H+ da parte delle strutture vegetali dello
stesso sfagno che rendono l’ambiente
tendenzialmente acido. Descritta in maniera
dettagliata durante lezioni di agronomia appli-
cata al bonsai, questa utilissima pratica è ad
oggi, in maniera indiscussa, una tra le migliori e
più efficaci operazioni adottate in campo bonsai-
stico, al fine di migliorare le fasi di concimazio-
ne, con annessi impianti di inoculo di micorrize e
utilizzo di acidi umici (foto 3, 4). Quest’ultima
applicazione lo vede come acceleratore delle fa-
si di germinazione delle spore di funghi micorrizi-
ci, diminuendo così il tempo di instaurazione
della simbiosi con le strutture radicali.
Lo sfagno, annovera, tra i benefici
apportati, anche un effetto antisettico (cessione
98
- Luca Bragazzi -
>> Note di coltivazione
ioni H+), capace di inibire la formazione di batte-
ri, che provocano la marcescenza dei concimi
soggetti ad ambienti umidi. Il suo utilizzo come
struttura pacciamante deve essere preceduto da
una separazione dei diversi fasci vegetali, per evi-
tare che l’addensamento provochi uno strato
impermeabile, capace di inibire il passaggio di
acqua agli strati sottostanti: uno strato di sfagno
di 2-3 cm su di un vaso di circa 35 cm di lato,
infatti, riesce ad assorbire circa due litri d’acqua,
impedendo che questa penetri fino alle radici.
L’adozione dello sfagno nelle fasi di coltiva-
zione è consigliabile solo durante la concimazio-
ne e il rinvaso e nei periodi estivi, limitatamente
ai due mesi più caldi (Luglio-Agosto). Durante
tutti gli altri periodi, il suolo deve poter interagire
con l’atmosfera negli scambi di gas rimanendo li-
bero e pulito e lo sfagno rappresenta una limita-
zione.
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99
- Luca Bragazzi -
Propagazione
pe
r
TALEA
I
l metodo di moltiplicazione
per talea o sashiki è molto
più veloce di quello per se-
me e ha in più i vantaggi di
rendere impiegabili i rami po-
tati dagli altri bonsai per creare
nuove piantine ad un costo
nullo, e quello di formare
soggetti che conservano esatta-
mente le caratteristiche della
pianta madre, cosa questa che
non avviene sempre per la ripro-
duzione da seme, ed inoltre si
hanno nuove piantine senza
fittone. Viene tagliata una
parte della pianta con lo scopo
di metterla nella terra e farla ra-
dicare, ottenendo così un'altra
pianta. Questo avviene perché
il cambio emette prima un callo
di cicatrizzazione, e quindi pro-
duce una nuova crescita di cellu-
le che sotterrate ed umide, si
formano come radici. Esistono
quattro categorie di talee: 1) ha-
zashi, che è la talea di foglia, 2)
shinme-zashi o talea di germo-
glio, 3) eda-zashi o talea di ra-
mo o legna e 4) ne-zashi, che è
la talea di radici. Ci occupere-
mo di talee di ramo o legna,
perché sono le più usate nella
coltivazione bonsai.
Talee di legno teneroSono i germogli dell’anno in
corso, che si tagliano in primave-
ra inoltrata con un taglio obli-
quo. La temperatura ideale del
terreno per la maggior parte
delle specie è da 23°C a 27°C,
con una temperatura ambienta-
le di 21°C. Conviene collocare
la parte inferiore del vaso nel
suolo, lasciando la porzione su-
periore del vaso e le talee in
ombra. Emettono radici in
quattro/cinque settimane. Le
migliori talee sono quelle che si
asportano dalla parte più vigo-
rosa dell’albero madre, ed è
importante che presentino
almeno due nodi (gemme o
ascelle di foglie - fig. 1). Si
strappano le foglie della parte
che rimarrà interrata, e si abbia
cura di lasciare interrate un pa-
io di gemme (fig. 2). Il
substrato può essere sabbia di
torrente, o un composto di
sabbia e torba. Dopo aver ba-
gnato a fondo, si pongono le ta-
lee in ombra.
Talee di legno semiduroQueste sono più dure delle pre-
100 - Antonio Acampora -
>> Tecniche bonsai
cedenti e si asportano in estate. Sono adatte per
la riproduzione d’Azalea, Cotoneaster, Pyracanta,
Gelsomino, Chamaecyparis, Evonymus, Agrumi,
Olivi, e Fichi. Sono lunghe da sette a quindici
centimetri e si piantano togliendo le foglie della
metà inferiore. Le talee semidure si asportano
dalla pianta madre con un taglio a smusso o
doppio smusso, e si piantano inclinate in modo
che la zona esposta del cambio rimanga sempre
in posizione orizzontale (fig. 5) Anche per questo
tipo di talee il calore del suolo stimola il radica-
mento. E’ bene assicurarsi che il terriccio aderi-
sca alle talee, ed è importante anche un buon
drenaggio.
Talee di legno duroE‘ il tipo più usato in bonsai, poiché il fusto radi-
cato presenta già un certo spessore come
tronco. E’ il più lento ad emettere radici, rispetto
ai precedenti. Si possono tagliare dalla pianta ma-
dre in autunno, oppure alla fine dell’inverno,
quando la legna è completamente maturata ed
ha sufficienti risorse: si tratta di legna di uno o
due anni. Il taglio inferiore deve essere sotto la
gemma e quello superiore anche, lasciando sul
fusto almeno due gemme. I più comuni tagli
delle talee di legna dura sono a smusso, doppio
smusso, piantando poi la talea, quasi diritta, di
tallone, conservando nella parte inferiore un
tratto di legna vecchia, di cuneo, che consiste
nel praticare una o più incisioni nella base della
talea, separandole poi con delle pietruzze. Que-
sto schema assicura una maggiore zona di
cambio esposta. Sono adatte per la riproduzione
d’alcune piante da fiore e frutto (berberis, came-
lia, chaenomeles, ecc.).
Molti tipi di piante possono essere ottenu-
ti per talea, ma soprattutto abeti, ginepri, cipres-
si, aceri, azalee, cotoneaster, melograni,
gelsomini, olivi, olmi, salici, zelkova. Numerose ta-
lee, come, per esempio, quelle di salice e di zelko-
va emettono le radici molto facilmente, basta
semplicemente immergerle in acqua.
Si possono, in teoria, fare talee in ogni pe-
riodo dell'anno, ma risultano migliori quando i
germogli dell'anno in corso sono sufficiente-
mente maturi per sopportare tale processo. In li-
nea di massima, le talee di piante a foglie
decidue dovrebbero essere prese all'inizio
dell'estate, quando non sono eccessivamente
indurite. Il tempo necessario per la loro radicazio-
ne, varia secondo la specie e del clima, in ogni ca-
so quelle verdi o erbacee impiegano meno
tempo, ma necessitano di un certo calore e di
maggiori cure, mentre quelle legnose radicano
più lentamente, ma sono più resistenti.
Le talee di conifere non sono facili da rea-
lizzare perché stentano a radicare, richiedono
molta umidità ambientale, luce e ormoni. Per
una buona talea i rami da scegliere devono esse-
re maturi, avere in pratica da uno a tre anni
d’età, devono essere robusti, sani non rovinati
dagli insetti.
Una polvere o un liquido radicanti a base
d’ormoni è sempre molto utile perché stimola un
precoce sviluppo delle radici; le modalità d'impie-
go di questi prodotti variano secondo il tipo
scelto, ma tutti contengono sempre istruzioni
ben dettagliate alle quali attenersi. Una volta
raccolti i rametti, si pongono in piccole serre
sotto vetro e già nella primavera successiva si do-
vrebbero avere le piantine. La lunghezza delle ta-
lee di latifoglie dovrebbe essere tale da
contenere almeno da quattro a sei paia di foghe,
quindi da quattro a 10 centimetri, secondo la
specie e della distanza esistente fra foglie stesse
( fig. 3, 4).
Il taglio della talea va eseguito con ceso-
ie, o con una lama affilata, subito sotto
l'attaccatura di un picciolo sul fusto. Si eliminano
poi la parte tenera della cima e le foglie nel
tratto che deve essere interrato, si fa quindi il
trattamento radicante e si mettono i rametti nei
contenitori, che possono essere di qualsiasi tipo,
purché forniti di fori di drenaggio, riempiti con
sabbia piuttosto grossa, che deve essere natu-
ralmente di fiume oppure lavata perché la
sabbia di mare, contenendo sale, li farebbe irri-
mediabilmente morire.
La sabbia favorisce l'emissione delle radi-
ci, ma non contiene elementi nutritivi sufficienti
alla vita delle piantine, per cui non appena le ta-
lee avranno attecchito sarà necessario rinva-
sarle. I contenitori possono essere riempiti
anche con una miscela di torba e sabbia in pro-
porzioni uguali, in questo caso le talee possono
rimanervi più a lungo. Una volta riempito il conte-
nitore con il substrato prescelto, che deve essere
pressato con delicatezza, si praticano dei fori e
vi s'inseriscono le talee ben spaziate fra loro per
una profondità di qualche centimetro, si preme
la terra intorno alla base perché rimangano
ferme, e si annaffia con un getto molto sottile.
Per evitare il rischio dell'eccessiva traspi-
razione, si può mettere un pezzo di plastica tra-
101- Antonio Acampora -
sparente sopra al vaso, fis-
sandola al bordo di questo; dei
bastoncini di legno saranno più
che sufficienti per tenerla
staccata dalle talee. Questo pro-
cedimento è un tentativo di ri-
produzione dell'ambiente
ideale per far radicare le talee:
una serra con alta percentuale
d'umidità. Come per tutti gli
altri sistemi di moltiplicazione
delle piante, l'esposizione mi-
gliore dei contenitori di talee do-
vrebbe essere riparata dal
vento, lontana dai raggi diretti
del sole e con una temperatura
quanto più è possibile co-
stante.
E’ importante ricordare
che le talee hanno molto biso-
gno d'umidità, si controlli
quindi frequentemente insieme
al substrato, che, specie nel ca-
so della sabbia, deve essere ba-
gnato spesso per rimanere
sempre umido. Appena sono
spuntate le radici, evento que-
sto riconoscibile dall'emissione
di nuovi germogli, si può co-
minciare a sollevare la plastica,
prima per poche ore e poi gra-
datamente sempre più a lungo,
così che le piantine abbiano mo-
do di abituarsi un po' alla volta
al mutamento, senza bruschi
sbalzi di clima e di temperatu-
ra.
Quando l'apparato radi-
cale ha raggiunto un buono svi-
luppo, si può procedere ad un
primo trapianto in vasi singoli
(fig. 6) dopo il quale, come si è
più volte ripetuto, le piante
andranno tenute al riparo per
un periodo congruo, che di soli-
to si aggira, per una completa ri-
presa, intorno alle tre, quattro
settimane, trascorse le quali, sa-
rà possibile esporre gra-
dualmente i vasetti al sole,
evitando però che sia troppo
forte e violento. I fertilizzanti
vanno usati solo dal momento
in cui le radici sono sufficiente-
mente forti da sopportarli,
perché altrimenti potrebbero
bruciarsi e la pianta morire; le
dosi saranno sempre molto ri-
dotte, in particolare modo
all'inizio.
Durante l'inverno si
abbia cura di proteggere le
piantine dalle intemperie e so-
prattutto dal gelo. Le talee le-
gnose, essendo molto più forti
e resistenti di quelle erbacee
possono essere piantate
anche direttamente all'aperto e
in piena luce, il che permette
una migliore fotosintesi, ma de-
vono sempre essere protette
dal sole vivo. Il trattamento
bonsai può essere iniziato sulle
talee già dopo uno o al massi-
mo due anni, dipenderà solo
dalla specie e dalla velocità di
sviluppo delle radici.
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102 - Antonio Acampora -
IL LIGUSTRO
104 - Carlo Oddone -
>> L'angolo di Oddone
SPECIE E VARIETÀ SPERIMENTATE. LORO CARATTERISTICHE.- Ligustrum sinesis, un sempre-
verde un po’ delicato, ma capa-
ce di performances da
campione. Il fogliame già in
partenza minuto, riduce assai
le sue dimensioni, mentre la ra-
mificazione si divide fittamente.
- L. jonandrum o delavayanum,
sempreverde, va protetto dalle
gelate.
- L. lucidum, sempreverde con
foglie un po’ grandi e lucide,
ma che si riducono.
- L. japonicum, spogliante e ra-
gionevolmente rustico.
- L. vulgare, nostrano, spo-
gliante e disponibile un po’ in
tutta Italia.
- L. ibota, giapponese. E’ quello
che, visto in fotografia sul libro
di Yoshimura, mi ha conqui-
stato e fatto tentare con i Ligu-
stri reperibili qui da noi. Era il
bonsai più albero che avessi
mai visto! C’è poi una varietà
che ogni tanto leggo sui catalo-
ghi, ma non sono mai riuscito a
trovare: il Ligustro pendulo “S.
Fiorano”. Se qualcuno fosse
più fortunato di me...
Tutti i Ligustri radicano molto fa-
cilmente come talee o
margotte. Non è difficile otte-
nerli come da seme. Essendo a
foglie opposte ramificano fitta-
mente. Il Ligustro si presta be-
ne come portainnesto per vari
tipi di syringa o Lillà, in particola-
re il sinesi che non produce
polloni radicali.
STILI PIÙ ADATTI E PERCHÉIl Ligustro si lascia guida-
re facilmente a rappresentare
la fisionomia di un albero quie-
to e possente, ed è forse l'es-
senza che meglio si adatta
all'idea del bonsai soft. Grazie
alla estrema semplicità con cui
si può infittirne la chioma si pre-
sta a realizzare quel tipo di
bonsai che simboleggia l'albero
nella sua espressione più tradi-
zionale: solido tronco, belle radi-
ci, una ramificazione regolare
ed ampia e densa chioma a cu-
pola. Un riferimento preciso al
senso di pace che la natura ci
dovrebbe ispirare. Un poco di si-
curezza ed equilibrio in mezzo
alle brutture ed alla confusione
del mondo d'oggi. Per chi abbia
più creatività il Ligustro si pre-
sta ad essere educato in una
quantità di stili e Il suo vigore ri-
chiede solo un poco di attenzio-
ne, se portato prostrato o a
cascata, controllare i suoi getti
che tentano di andare verticali.
Il legno vecchio e compatto
accetta persino di durare
qualche tempo esposto come
shari o come jin.
TRAPIANTO, RACCOLTA E SUBSTRATIEssendo una pianta di
poche esigenze e molto tolle-
rante, il trapianto o i rinvasi
non pongono difficoltà al colti-
vatore. Le sue radici assai fitte
rigenerano rapidamente persi-
no dopo riduzioni drastiche.
Data la densità del fogliame, e
quindi il suo rapido uso dell’umi-
dità del terriccio, anche i proble-
mi di trovare un substrato
giusto vengono facilmente supe-
rati con l’uso di quello
standard. Neppure il drenaggio
riveste una particolare
importanza. Si potrebbe dire
che un Ligustro si arrangia a vi-
vere bene ovunque lo si metta.
POTATURA DI FORMAZIONEIl comportamento del Li-
gustro è talmente lineare che
sembra addirittura banale do-
ver riferire qui le tecniche più
consuete di coltivazione. Al soli-
to si deve lasciar crescere ogni
ramo finché abbia raggiunto il
diametro che interessa e poi lo
si accorcia subito sopra le due
gemme al punto in cui si vuole
la biforcazione.
Per creare la struttura
della ramificazione dato che le
gemme compaiono opposte,
occorre però intervenire per pri-
vilegiare lo sviluppo di quello
dei due rami che si vuole fare
crescere come leader, appena
lo si è identificato, accecando
l'apice al suo simmetrico, e de-
stinandolo così a diventare un
laterale. La brevità degli
internodi moltiplica le opportu-
nità di scegliere le corrette pro-
porzioni della struttura a tutti i
livelli della ramificazione.
Generosi con i vecchi -
Se si parte dal ceppo di una
vecchia pianta conviene
metterlo in piena terra; lasciare
che ricacci tranquillamente; a
metà estate tagliare via i rami
(che sono cresciuti volti all'insù
conservando pochi millimetri
alla base di quelli posti al
punto giusto; alla successiva
cacciata eliminare tutti i su-
perflui e incominciare ad edu-
care la nuova struttura nella
posizione e forma adatta al pro-
getto del bonsai che si vuole
realizzare. Il Ligustro qualche
volta esagera nel reagire, tanto
che conviene ricordarsi di ci-
marlo solo mentre è in fase di
sviluppo e non in riposo, per
non trovarsi con tronco e bi-
forcazioni invase da una miria-
de di nuovi germogli il più delle
volte indesiderati
APPLICAZIONE DEL FILOL’applicazione del filo e
l'educazione del Ligustro vanno
eseguite sulle varie parti finché
sono relativamente giovani e
flessibili, poiché il legno tende
a diventare rigido (e fragile) già
sin dal primo-secondo anno e a
diametri di pochi millimetri.
Sulle parti che stanno
105- Carlo Oddone -
106 - Carlo Oddone -
>> L'angolo di Oddone
crescendo il ritmo di sviluppo è tale che si
possono avere danni alla corteccia in soli
20 giorni. Bisogna quindi fare attenzione e
seguirne l'evoluzione con sollecitudine per
togliere il filo in tempo. D'altra parte questa
pianta è talmente generosa nel fare nuovi
getti che si può altrettanto bene gestirne la
forma con delle ripetute (e oculate) cimatu-
re.
CIMATURE E POTATURE SPECIALI IN FASE VEGETATI -VA
Grazie al suo speciale buon caratte-
re, è facile ottenere dal Ligustro reazioni
adeguate ad ogni nostro intervento. Una so-
la cautela forse, dovuta al vigore col quale ri-
sponde alle cimature. Una volta creata la
struttura sono necessarie frequenti cimatu-
re, che mentre infittiscono la ramificazione
periferica riducono sempre più la dimensio-
ne delle foglie. Proprio stimolati da questi
interventi nascono qua e là dei getti più vigo-
rosi degli altri che dirigono verticalmente
verso l'alto, spesso nascosti dall'intrico
della vegetazione. Se li si lasciasse cresce-
re, pareggiandoli semplicemente all'altezza
delle restante chioma, potrebbero creare
delle vistose diseguaglianze nel diametro
del ramo che li genera. Questi esuberanti
vanno perciò identificati ed eliminati vicino
alla base prima che combinino dei guai.
Per non perdere il profumo - I fiori
compaiono come pannocchiette di fiori
bianchi, piccoli e molto profumati, all'estre-
mità dei germogli (dopo che hanno 4/6
coppie di foglie) nati da gemme apicali pre-
senti sin dall'autunno precedente. Attenzio-
ne allora a non tagliarli via all'inizio della
primavera: è meglio aspettare a cimare che
si distinguano le infiorescenze, accorciare i
rami che ne sono privi ed accettare che i fio-
ri si aprano un poco fuori del profilo del
bonsai. La forma si ritocca alla fine.
Innaffiature scarse a partire da fine inverno
riducono l'entità della crescita e quindi del
"danno" estetico.
CONCIMAZIONI ED ALTRI TRATTAMENTICome in qualsiasi essenza l'uso dei
fertilizzanti segue l'andamento della loro evo-
luzione fisiologica e stagionale. Vanno bene
i concimati azotati per i soggetti in crescita,
ma con fosforo e potassio più abbondanti
alla fine dell'estate.
Quando, dopo qualche anno, inizia a
fiorire, pure il Ligustro vuole essere aiutato,
per cui, oltre alla dose autunnale, anche in
inizio primavera la fertilizzazione va ricca di
fosforo e potassio. L'azoto si aggiunge solo
dopo la fine della fioritura, e neanche
troppo presto, se si vogliono vedere i fruttici-
ni: un eccesso di azoto ora ne impedisce
l'allegagione. Quando il terriccio contiene
argilla ed è sufficientemente fertile, è raro
che il Ligustro manifesti disordini o carenze.
Una condizione necessaria è però che i
rinvasi si seguano ad intervalli ragionevoli:
da uno a quattro anni a seconda dello sta-
dio del soggetto.
PREVENZIONE E CURA DELLE MALATTIEA questo punto non vorrei far crede-
re che la mia descrizione del Ligustro sia
condizionata da una passione dissennata.
Si tratta di una grande pianta per fare
bonsai, ottima per dare incoraggiamento ad
un principiante, e che nelle mani di un
esperto può rivelare qualità speciali.
Qualche difetto, per obiettività, bisogna pe-
rò riconoscerlo: pur essendo piuttosto resi-
stente alle malattie crittogamiche, qualche
volta viene aggredito da una varietà di
insetto (Rincote) di aspetto cotonoso che si
annida sotto le foglie, e ogni tanto si trova-
no delle formiche nel suo vaso.
Nel primo caso conviene asportare
manualmente i parassiti non appena identi-
ficati e subito dopo applicare un insetticida
per liberarsi delle eventuali neanidi. Se si
nota un andirivieni di formiche è consigliabi-
le controllare anche la zolla, estraendola
dal vaso: potrebbero vedersi sulla sua su-
perficie delle macchiette lanuginose bianca-
stre più o meno espanse: sono gruppi di
afidi particolari che stanno banchettando
sulle radici. Granuli al diazinone (o simili) so-
no efficaci se distribuiti sul terriccio: le
annaffiature fanno poi scendere il medica-
mento insetticida poco per volta.
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107- Carlo Oddone -
SpazioBonsai
S
pazio bonsai nasce due anni fa, dall’entusiasmo di
tre amici accomunati da una stessa passione per il
bonsai. E’ un club che ha come scopo principale
quello di divulgare quest’arte attraverso il lavoro e
l’interpretazione delle proprie piante. Una volta la settimana
si incontrano principianti, amatori, collezionisti e tutti coloro
che credono nella spiritualità dell’essenza creativa. E’ un club
dove si lavora la propria pianta pensando a come renderla
unica, coltivandola nel tempo.
In questo modo, la ricerca dell’originalità e dell’unicità
del bonsai frutta una nuova consapevolezza della percezione
del tempo alla scoperta di una possibile strada che nessuno
ha percorso ancora.
Spesso si tende ad avere un concetto standard del bonsai, li-
mitando l’immaginazione e la spiritualità che sono fonda-
mentali in qualsiasi forma d’arte.
Spazio Bonsai è anche un luogo d’insegnamento, do-
ve oltre alla tecnica e alla modellatura si apprende la botani-
ca. L’obiettivo è quello di modellare piante comuni
trasformandoli in bonsai dall’aspetto maturo e vetusto. Il privi-
legio dell’incontro con la natura non è solo per pochi predi-
letti. L’arte come espressione di comunione dell’uomo con la
natura è un patrimonio della collettività a cui non possiamo, e
non dobbiamo, rinunciare: un patto da ritrovare, coltivare e tu-
telare. Soprattutto, Spazio Bonsai è sì un club, ma anche una
bottega dove lavorare alla scoperta di un’alternativa, una via
diversa attraverso la quale raccontare, anche, qualcosa di noi.
Un viaggio, un’avventura e una sfida per un percorso
di crescita che superi le frontiere personali, alla conquista di
uno spazio, nostro, in equilibrio con il mondo che ci circonda:
una ricchezza da condividere con il prossimo.
Tra arte e natura, un viaggio verso sé
SOTTOTITOLO
recensione a cura di Anna Lisa Somma
http://bibliotecagiapponese.wordpress.com
R
eazionario, drammatico, estremo: così la maggior parte del pubbli-
co dei lettori è solita considerare Mishima. E le sue opere che
rammentiamo meglio - Confessioni di una maschera, Il padiglione d'oro, Lezioni spirituali per giovani samurai - paiono confortare i
nostri (pre)giudizi.
Senz'altro, Hiraoka Kimitake (questo il suo vero nome) è stato un
personaggio complesso, ma della sua caleidoscopica e proteiforme personali-
tà la cultura occidentale ha voluto eternare soltanto l'immagine militarista e
bieca d'un uomo vittima del suo credo politico e delle sue nostalgie nazionali-
ste. Forse anche per questa ragione l'Abito da sera, suo romanzo "frivolo" del
1966 (e dunque appartenente a un'epoca in cui la fama di Mishima era già
ben consolidata in patria), è stato pubblicato in Italia da Mondadori solo due
anni fa ed è tuttora sconosciuto ai più.
Un'opera inaspettata, lontanissima dai consueti clichés sullo scrittore
e sul genere affrontato (una storia dalle tinte rosa destinata ad una rivista
femminile). E non solo: l'argomento, le situazioni e i personaggi in questione
ad un primo sguardo appaiono quanto di più estraneo possa esservi all'uni-
verso eroico di Mishima col quale siamo abituati a confrontarci. In queste pa-
gine, infatti, siamo dinanzi al racconto del fidanzamento e dei primi mesi di
matrimonio della giovane e candida Ayako con Toshio, affascinante enfant prodige stanco della mondanità esasperata in cui è vissuto a causa della ma-
dre, donna Takigawa. Se Kawabata nel Suono della montagna esplora il poeti-
co e quasi impalpabile rapporto tra il protagonista e la nuora, Mishima
all'opposto nel suo romanzo evidenzia le sottili strategie messe in atto dalla
suocera per dominare gradualmente la sposa del figlio.
L'abito da sera si presenta come un romanzo dal duplice piano di
lettura: ad un primo livello, scorgiamo le vicende melodrammatiche dei perso-
naggi, rappresentate in modo brillante e coinvolgente, ma, scavando a fondo,
tutto ciò si rivela una dura critica all'ipocrisia e alla vacuità di un'esistenza de-
dita ai valori e ai piaceri altoborghesi (l'equitazione, i ricevimenti, lo shopping
di lusso...), il cui simbolo è l'abito da sera cui allude il titolo. Un abito da sera
che, se da un verso, attira sguardi d'invidia e dona l'illusione di una vita do-
rata, dall'altro è soffocante come una prigione.
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QUEL CHE NON CI ASPETTEREMMO DA YUKIO MISHIMA
recensione a cura di Anna Lisa Somma
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109- Anna Lisa Somma -
Il Giappone visto da vicino <<
a cura di Antonio Ricchiari
U
na delle massime espressioni di perfe-
zione estetica della gestualità, dei mo-
vimenti, delle norme comportamentali
in generale è costituita dalla geisha,
da questa figura tipica della società giappone-
se che ha stimolato la fantasia dei viaggiatori e
dei letterati occidentali, allietando con la loro
arte raffinata riunioni private e pubbliche.
D’estate, a Kyoto, recita una poesia
molto popolare, la voce delle cicale “penetra la
roccia”. I piedi a mollo, lasciati sulla riva gli sga-
bellini di legno che fungono da sandali, due gei-
she conversano sovrastando l'incessante frinire,
e lanciano piccoli acuti spezzati sulla superficie
increspata del fiume Kamo. Parlano per metafo-
re. “La rugiada dice che ha dormito con la
canna”, fa una. “La canna dice che non ha
dormito con la rugiada”, le risponde l’amica.
“Oh, dice di aver dormito, sì!”. “No, dice di non
aver dormito”, nega l'interlocutrice,
drappeggiata in un kimono di seta color bana-
na. Una pausa, poi la prima riprende: "Fiorita è
la canna, e si è saputo tutto". Di nuovo,
echeggiano le loro risatine composte e malizio-
110 - Antonio Ricchiari -
>> Il Giappone visto da vicino
se. I pivieri che pattugliano con
puntiglio il limo del Kamo, spa-
ventati, si alzano in volo.
Si possono trovare, que-
sti limicoli, a Pontochó, il più fa-
moso quartiere di Kyoto. Però
dipinti sulle lanterne in carta di
riso che segnalano proprio le
ochaya, cioè le case da tè fre-
quentate dalle ultime geishe.
Da tempo immemorabile il chi-
dori, il piviere, e l'emblema rio-
nale delle ragazze di Pontochó.
Kyoto, che otto secoli addietro
era la capitale dell'impero e
“dei sensi” del Giappone, oggi ri-
mane il centro del karyiikai, il
“mondo dei fiori e dei salici”, co-
me viene chiamato oggi il
mondo delle geishe. Gli abi-
tanti di questa cittadina, disse-
minata di templi shintoisti,
hanno visto il Kamo vestirsi di
mille arcobaleni. Nei laboratori
artigianali disposti lungo il fiu-
me sono tradizionalmente ela-
borate le tinte vegetali e
minerali con cui vengono
trattati i kimono destinati alle
persone d’arte. Così suona,
infatti, la traduzione della paro-
la geisha, dove gei sta per arte
e sha per individuo. E certa-
mente molta lirica giapponese
è nata da quei pazienti ri-
sciacqui di seta nel Kamo.
Dunque, chi sono le gei-
she? Un enigma. Una
sconcertante categoria antropo-
logica (diversi etriologi ne
hanno intrapreso lo studio, co-
me di fronte a una qualche po-
polazione aborigena) che da
sempre imbarazza il turista occi-
dentale. Ma che oggi rischia
l'estinzione. Un tempo show-
girls senza troppe pretese e
contemporaneamente balleri-
ne, cantanti e musiciste, le loro
prestazioni professionali sono
diventate sempre più preziose,
più elitarie. In effetti sono po-
che le ragazze che intraprendo-
no la carriera di geisha, ma
sono pochi anche coloro che
per una cena, un tè o una parti-
ta di shangai a fianco di una gei-
sha in una sera spendono un
bel po’ di yen. Secondo lo
scrittore Junichi Mita, entro po-
co tempo, le geishe faranno la
stessa fine degli indiani d'Ameri-
ca: si esibiranno soltanto per i
turisti.
Donne di piacere? Sa-
cerdotesse di un complicato ga-
lateo? Poetesse? Sofisticate
cameriere? Donne schiave, o
donne libere dal giogo anti-
femminista della regola di
Confucio? Tutto questo e
anche più, benché per noi una
simile fusione di ruoli scateni
inevitabilmente molte contraddi-
zioni. Solo a nominarle, la fanta-
sia si accende. La colpa,
probabilmente, è di Charles
Baudelaire e del termine "japo-
nisme" (neologismo coniato,
appunto dal poeta francese)
che si verificò poco più di un se-
colo fa tra gli artisti che viveva-
no a Parigi. Pittori come Degas,
Manet, Toulouse-Lautrec, la se-
ra si ritrovavano nel loro caba-
ret preferito, il famoso "Divan
Japonais", dove alle cameriere
era addirittura imposto il kimo-
no.
Uno scrittore come Emi-
le Zola a quel tempo decorava
le scale della sua casa parigina
con stampe erotiche giappone-
si, che descriveva agli amici co-
me "furiose fornicazioni",
mentre, nel 1885, Pierre Loti si
accingeva a sbarcare per pri-
mo, tra tanti sognatori, nel
porto di Nagasaki. II Giappone,
terra della diversità, per Loti (e
per l'Occidente romantico) di-
venne subito lido di avventure
sentimentali: il suo libro Mada-
me Chry-santheme, scritto nel
1887 in pieno clima di "japoni-
sme", ebbe 25 ristampe in
cinque anni. Gauguin e Van Go-
gh ne restarono fulminati.
Giacomo Puccini,
quando ne vide una riduzione
teatrale a Londra nel 1900,
volle far suo il soggetto. L'ope-
ra diventò Madame Butterfly.
Dove l'eroina, in clima di ro-
manticismo ormai decadente,
compie infine il leggendario ha-
ra-kiri (cosa che nessuna gei-
sha farebbe, e che comunque
sarebbe più corretto chiamare
seppuku), espropriando di tale
prerogativa addirittura i samu-
rai. Gran pasticcio questo "japo-
nisme", insomma. Equivoci,
confusione di ruoli, esotismo
quale categoria generica che
nasconde una sostanziale
impenetrabilità.
E allora, ripetiamo, chi
sono le geishe? Non prostitute
d'alto bordo, è bene chiarirlo
subito. La professione più anti-
ca del mondo in Giappone è
esercitata dalle yújo, amanti
mercenarie edotte nell'arte di
confezionare mix afrodisiaci
con salamandre giganti e
anguille carbonizzate. Prostitu-
te occasionalmente prese per
geishe sono, o meglio erano, le
famose hakujin: le carbonaie,
mogli degli zatterieri in servizio
tra Kyoto e Osaka sul fiume Ka-
mo, che non hanno mai disde-
gnato d'incontrare stranieri, in
assenza dei mariti.
L'equivoco nacque forse
per l’abitudine delle hakujin
d’impiastricciarsi il viso con
polvere bianca, per coprire la
patina di fuliggine dovuta alla
loro dura occupazione quotidia-
na. La voce che le geishe gira-
vano "ingessate" come le
bamboline di porcellana era
ben nota agli stranieri, che, per
il resto, non andavano troppo
per il sottile.
Nient’affatto. Le geishe
sono soprattutto artiste delle
111- Antonio Ricchiari -
buone maniere orientali. Perciò, con la fame di
Occidente che ha caratterizzato il Giappone dal
dopoguerra in poi, oggi corrono il rischio di spari-
re. La loro educazione artistica, che inizia in eta
prepuberale, è durissima, quasi monastica. Ma
a Dio, nel loro caso, se vogliamo conservare il
paragone, va sostituito l’uomo: con le sue esi-
genze, i suoi piaceri e le sue passioni. "Le prosti-
tute si occupano del corpo degli uomini", dice
Inoue Yachiyo, la più venerabile delle anziane gei-
she, dichiarata in Giappone "Tesoro vivente nazio-
nale", "noi invece ne coltiviamo lo spirito". Ma
qui la spiritualità e la materialità non sono forze
chiaramente contrastanti. Anzitutto i giapponesi
non condannano affatto il soddisfacimento dei
piaceri dei sensi. Anzi, li considerano qualcosa di
positivo e certamente degni di essere coltivati,
pur sostenendo la necessità di saperli sempre
controllare in modo che non interferiscano con
le cose "serie" della vita. Evidentemente non
hanno l’iprocrisia di facciata degli occidentali!
Quali sono questi piaceri? II sonno, il ba-
gno, il rilassamento, il cibo, la poesia, la musica,
il sesso. Essi sono dunque lontanissimi dall'assu-
mere, riguardo a quest'ultimo, un atteggiamento
di tipo moralistico. Il sesso è considerato una ma-
nifestazione naturale della vita, benché di se-
condaria importanza. In questa cultura esiste
invece una netta distinzione tra la sfera dei
rapporti coniugali e quella dell’attività erotica, ri-
creativa, distensiva. Essere serviti e intrattenuti
da belle fanciulle così abbigliate e dalle maniere
cerimoniosamente perfette è uno dei piaceri
della vita. E non è raro il caso che la stessa mo-
glie del cliente paghi a fine mese il conto della ca-
sa da tè che il marito frequenta dopo il lavoro.
Se poi la legittima consorte dovesse venire a co-
noscenza di una relazione più intima allacciata
nel frattempo con la geisha (sempre possibile!)
non ne farebbe una tragedia. Anche perché nes-
suno in Giappone sarebbe così pazzo da lasciare
la famiglia per mettersi con una vera geisha:
troppo costosa, troppo ambiziosa, troppo libera.
Troppo potente, in definitiva, come donna.
La tenutaria della casa da tè in cui lavora-
no le geishe è una specie di madre superiora
chiamata okasan, cioè "signora madre", e tutte
le ragazze sono "sorelle" tra loro. Le vecchie gei-
she spesso finiscono per farsi vere monache nei
conventi buddisti.
Il noviziato, durante il quale l’aspirante gei-
sha è chiamata maiko, dura diversi anni e si
conclude con la deflorazione rituale della ra-
gazza ad opera di un gentiluomo scelto dalla oka-
san, generalmente anziano e abbastanza ricco
da poter offrire, in cambio del privilegio, un inte-
ro guardaroba di kimono di seta alla novella gei-
sha. Non potrebbe esistere una geisha illibata,
ma neppure una geisha maritata: questi ruoli, co-
me a Venezia al tempo delle cortigiane, sono
incompatibili.
C’e un’arte supplementare richiesta alle
geishe del XX secolo: quella di combinare sedute
di affari. In effetti, ricchi finanzieri giapponesi
hanno preso l'abitudine di trovarsi in compagnia
di geishe, ormai perfettamente istruite anche in
materia di codice civile e in diritto amministrati-
vo. La ragazza, pagata da uno degli aspiranti
contraenti, si darà squisitamente da fare per
portare la conversazione sugli aspetti vantaggio-
si dell’accordo, impiegando un linguaggio figu-
rato a sfondo naturalistico, com’è in uso nel
“mondo dei fiori e dei salici”, che apparente-
mente non ha nulla a che vedere con azioni, de-
positi e interessi.
Ma nonostante questo adeguamento allo
spirito dei tempi, il tè servito dalle sapienti mani
della geisha è una cerimonia in via di estinzione.
Quante sono, oggi, le geishe? Difficile stabilirlo.
Sono purtroppo lontani gli antichi splendori, il
via vai di risciò che un tempo portavano da un
quartiere all’altro di Kyoto le uniche donne in
Giappone munite del privilegio di agire, di muo-
versi e di bere pubblicamente, come solo gli uo-
mini potevano fare.
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112 - Antonio Ricchiari -
>> Il Giappone visto da vicino
Lo shintoismo
di Axel Vigino
114 - Axel Vigino -
C
iò che mi ha sempre affascinato, fra tutte
le mille sfaccettature del Giappone, sono
tutti i valori, gli insegnamenti spirituali e le
forme culturali che ruotano attorno alla
sua misteriosa religione: lo shintoismo.
Lo shintoismo (o più semplicemente shinto)
è una dottrina religiosa sviluppatasi in Giappone.
Nel passato è stata la religione di stato. In essa pre-
vale l’adorazione dei kami, parola che può essere tra-
dotta in spiriti naturali o, più semplicemente con il
termine generico “divinità”.
Kami sono gli dei che ho abbozzato negli arti-
coli precedenti, ma anche gli illustri e coraggiosi eroi
e gli antichi avi ormai defunti da molto tempo, che
stanno al fianco, guidano e proteggono i viventi
appartenenti alla loro famiglia.
La parola “shinto” deriva dall’accostamento
di due ideogrammi (kanji): il primo, shin, significa “di-
vinità”e il secondo, to, significa ”via”,”sentiero” e in
senso filosofico rappresentano il cammino di cresci-
ta verso una pratica o una disciplina.
La terribile sconfitta della seconda guerra
>> Axel's World
mondiale ha segnato la fine dello shintoismo come re-
ligione nazionale; infatti alcuni riti e insegnamenti
che durante il conflitto erano ritenuti basilari in
quanto volti alla salvezza del Paese o dell’imperatore
(come gli attacchi suicidi a bordo di caccia contro le
navi nemiche che presero il nome di kami-kaze) ora
non sono più praticati né insegnati.
La storiaLe origini dello shintoismo sono talmente anti-
che che si sono perse nel tempo, tuttavia si crede
che questa dottrina sia tanto arcaica quanto lo è il po-
polo giapponese, che discende probabilmente da po-
polazioni dell’Asia centrale o dell’Indonesia. Quando
giunsero nell’arcipelago i primi abitanti fondarono i pri-
mi rudimentali villaggi. Ognuno aveva le proprie divini-
tà protettrici con rituali ad esse collegate, e non vi
era alcuna relazione tra un culto locale e l’altro.
Il panteon stabile che conosciamo oggi deriva
probabilmente dagli antenati della famiglia imperiale,
ma anche ai giorni nostri le divinità sono innumerevo-
li, in quanto sono considerate manifestazioni della
natura che per i giapponesi è sacra in ogni sua forma.
A partire dal V secolo, il sistema di credenze
scintoiste fu radicalmente riformato a causa
dell’invenzione della scrittura e dall’arrivo dalla vicina
asia del buddismo. All’alba del periodo Nara, nel
712, furono scritti il Kojikiri (Memorie degli eventi anti-
chi) e, nel 720, il Nohonshoki (Annali del Giappone).
Questi due scritti avevano una duplice funzione:
innanzitutto, attraverso la scrittura, narrando di miti e
leggende legate alla religione taoista e buddista,
impressionare l’Impero cinese, dimostrando che la
cultura giapponese non era inferiore alla loro e, come
secondo, quello di enfatizzare tramite i racconti mito-
logici, la natura della famiglia imperiale, facendola
discendere direttamente dalla dea Amaterasu.
Quando vennero stese le prime copie di que-
sti volumi, gran parte dell’arcipelago nipponico era
sotto il dominio imperiale, fatta eccezione per alcune
minoranze etniche ostili, che quindi andavano elimi-
nate. Per fare ciò, l’imperatore doveva esercitare una
forte autorità sul suo popolo.
Con l’introduzione del Buddismo, prove-
niente dalla vicina Asia Orientale, tutti i fedeli
shintoisti temevano il peggio. Si pensava infatti
che la nuova religione avrebbe lentamente sgreto-
lato il vecchi shinto, mettendo in discussione e
quindi in pericolo la natura divina dell’imperato-
re. Queste nuove credenze, invece, non fecero
altro che rafforzare la fede shintoista. Questa
dottrina straniera, infatti, considerava gli dei
giapponesi come entità divine intrappolate nel ci-
clo delle rinascite e, talvolta incarnazioni del
Buddha stesso. La definitiva scissione tra le due
differenti dottrine avvenne in seguito alla “Re-
staurazione Meiji”.
Dopo la restaurazione lo shintoismo divenne
religione di stato ed ogni tentativo di unione e avvici-
namento verso il buddismo vennero dichiarate illega-
li, credendo infatti che la religione fosse l’unica
speranza per difendere il Giappone dalle invasioni
straniere e mantenerlo unito aumentando la devozio-
ne verso l’imperatore.
Nell’anno 1817 venne istituito un Ministero
delle divinità e, successivamente, un Ministero della
religione. Esso commissionò ai sacerdoti shintoisti di
diffondere tutti gli ideali ed insegnamenti di tale
dottrina nelle scuole o luoghi pubblici, talvolta alcuni
di questi vennero eletti al governo dello stato. Nel
1890 venne promulgato il Kyoiku Chokgo, uno scritto
che imponeva a tutti gli studenti a giurare di offrire la
propria vita per salvare il Paese e la famiglia imperia-
le. L’era del grande shintoismo di stato ebbe termine
alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando
l’imperatore disse in pubblico di rinunciare al suo
stato di divinità e non discendere dalla dea Amatera-
su.
Ora lo shinto è ritornato ad essere la religione
che era un tempo e i suoi valori continuano ad esse-
re le fondamenta della vita e della mentalità giappo-
nese. Quella loro meravigliosa mentalità che li spinge
e cercare quella perfetta armonia in tutte le cose che
noi occidentali invano cerchiamo di inseguire senza
mai afferrare del tutto.
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115- Axel Vigino -
I vettori antropici di trasmissione
N
ello studio della patologia vegetale e
delle varie componenti che influenza-
no la diffusione e lo stadio di alcune
malattie, i maggiori fattori su cui
maggiormente si concentrano le nostre attenzio-
ni sono i metodi di lotta principalmente preventi-
vi, intesi solitamente in
trattamenti a base di presidi
fitosanitari. Questi, opportu-
namente alternati secondo
dei calendari formulati all’ini-
zio di ogni stagione di cresci-
ta, hanno come principale
scopo quello di scongiurare
attacchi molesti per la salu-
te della pianta. Il maggiore
controllo viene effettuato
verso insetti considerati
vettori di agenti più aggressivi, quali virus, batteri
e funghi.
Nella trattazione, per esempio, degli afidi
o delle cocciniglie, abbiamo visto che questi so-
no patogeni non molto nocivi per il danno mate-
riale che provocano, bensì pericolosissimi perché
considerati vettori di malattie virotiche e batteri-
che di inesistente risoluzione. In natura, le ma-
lattie, al fine di arginarne la propagazione,
vengono studiate anche in base al modo con cui
esse si diffondono in certi areali. Se consideria-
mo i modi con cui un agente patogeno viene
diffuso, vediamo che esiste una diffusione di ti-
po animale, veicolata dalle attività trofiche e
cataboliche (escrementi) della fauna selvatica e
di allevamento; una diffusione di tipo anemofila,
ovvero tramite gli spostamenti dovuti al vento, in
cui spore e insetti volatili sfruttano le correnti
d’aria; e l’ultima, forse la meno considerata,
quella di tipo antropico, ovvero favorita dalle atti-
vità umane legate alle diverse fasi di coltivazio-
ne.
Spesso chi coltiva bonsai, anche con i più
ineccepibili propositi, può trasformarsi, a sua
insaputa, in un pericoloso vettore di malattie. Il
più classico modo per diffondere malattie più o
meno gravi di tipo batterico, fungino e virotico, è
l’utilizzo di strumentazione infetta, utilizzata su
diversi esemplari, senza che questa venga
disinfettata nel passaggio da un esemplare
all’altro. Con l’inasprirsi negli ultimi anni delle
condizioni atmosferiche stagionali, l’aggressività
di molti patogeni si è acuita e la loro attività si è
fatta di gran lunga più deleteria nei confronti de-
gli ospiti vegetali. Questo è indice di una loro
maggiore resistenza a sopravvivere nel momento
in cui, dovendo passare da un esemplare
all’altro, si mantengono in vita per più lungo
tempo, pur al di fuori di condizioni a loro confa-
centi. è il caso, appunto, che si verifica quando
si utilizzano attrezzi infetti, che, se non
disinfettati subito dopo un’operazione, possono
incubare diversi patogeni, pronti ad infettare
piante sane.
Le principali fitopatie trasmissibili attra-
verso attrezzi infetti sono di tipo batterico, quali i
cancri, e di tipo virotico, oltre che malattie di ori-
gine fungina, quali ruggini, tracheomicosi ecc. Le
116 - Luca Bragazzi -
>> Che insetto è?
malattie cui si è appena accennato non devono
assolutamente essere sottovalutate: la loro pre-
senza nelle collezioni bonsai è spesso dettata da
incuria e superficialità nella gestione delle
attrezzature dal punto di vista fitosanitario.
La pulizia degli atrezzi consiste in sempli-
ci passaggi:
1. eliminazione dei depositi grossolani dovuti ai
succhi vegetali e delle porzioni di tessuti meriste-
matici tramite pietra pomice (o similari) (foto1, 2);
2. pulitura di lame e impugnature con alcool de-
naturato (foto 3, 4);
3. sterilizzazione delle lame con fiamma di micro-
saldatore di precisione (foto 5);
4. oleatura di lame e impugnature, al fine di pre-
servarle da attacchi di ruggine, laddove il mate-
riale non sia di acciaio inossidabile (foto 6, 7).
L’accortezza nell’eseguire queste semplici
operazioni dovrebbe essere alla base di una colti-
vazione coscenziosa, attenta e meticolosa; so-
prattutto i professionisti del mondo bonsaistico
non dovrebbero mai sottovalutare questo
aspetto, adottando come normale prassi la puli-
zia degli attrezzi.
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117- Luca Bragazzi -