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BATTUTE VARIE A CURA DI GIUSEPPE MEZZADRI
VITA DEI BORGHI
Cioldi
Richén raccontava di quando Cioldi, facchino alla “Piccola”, andò a farsi visitare dal
suo medico che era figlio di un suo collega. Dopo una visita scrupolosa, il medico
sentenziò: «A m‘ dispiäz bombén, cära al me Cioldi, mo bizòggna ch’a t’ tóga al vén
». «Coza!?» Esclamò indignato Cioldi che non era preparato a ricevere una simile
notizia. «E a to pädor veh, an gh’al tót miga al vén ch’al nin béva quator fiasch al
di!?» - «Ma io sto visitando lei, cosa c’entra mio padre?», rispose seccato il medico.
«Mo và a girär và, zmorgagnón!» detto questo Cioldi se ne andò.
Gianni
Racconta Giannini che, quando fu evacuato borgo delle Carra, Pisseri, lo storico
fotografo, fece diverse fotografie durante i traslochi. In una foto molto bella si
vedevano alcuni camion con i facchini che scaricavano le masserizie. C’era anche un
camion attorno al quale, però, non si vedeva nessuno. «Cme mäi ’taca coll camion li
a n’ gh’é nisón?» chiese qualcuno. «I sràn i mobil ‘d Carlén, a gh’ja sposta i pjóc’».
Il Stmani dal Cmón
Nel primo dopoguerra il Comune organizzava settimane di lavoro per aiutare i
disoccupati. Erano le famose “Stmani dal Cmón”. Scalopén, era stato assunto e
lavorava in Cittadella. Verso le dieci di mattina, a Scalopén, ormai in riserva, venne
voglia di bere per cui sgattaiolò verso l’uscita per cercare un’osteria. Sul portone
d’ingresso, però, si imbattè nel caporale che gli chiese: «Scalopén indo vät? An n’è
miga mezdì ancòrra!» - «Andäva fóra a ciapär ’na bocäda d’aria» rispose Scalopén,
che non aveva trovato di meglio.
Budlo
A Budlo il vino piaceva molto, specialmente perché difficilmente pagava lui. Dopo una
visita medica, costernato, si recò dall’amico Stiliano per sfogarsi e per farlo partecipe
della sua disgrazia. «Mo pénsa co’ m‘à ditt al dotór. An pos pu bévor! Dimmol ti
Stiliano cme posja fär?» - «L’è semplicissim » rispose Stiliano «A n’è basta ch’a
t’cominc‘ a tirär fóra la to pärta».
Re Gisto
Molte delle sortite di Re Gisto, il simpatico ladruncolo caro al poeta Zerbini, non
avevano scopo di guadagno ma solamente di divertimento. Un giorno, entrò da un
bottegaio assieme ad un amico col quale fingeva di altercare. Gisto disse al
salumiere: «Ch’al me péza coll salam lì». Il salumiere obbedì: «Un chilo e dozént» -
«Ch’al la taja par piazér» aggiunse Gisto. Il commerciante affettò il salame. «Ch’al la
péza ancòrra» gli disse nuovamente Gisto. Pazientemente il salumiere ripesò il
salame: «Un chilo e dozent!» Gisto, rivolgendosi all’amico, disse: «A t’ l’äva ditt,
stupidd, che anca tajè l’éra sémpor al medézim péz!» Ed entrambi scapparono in gran
fretta.
Giné
Giné, amava giocare con le parole. A chi gli chiedeva, ad esempio, «Magnot di
fazólén? Rispondeva: «Mo gnan’ di Sandrón» – Oppure: «Fät ‘na scòvva? » - «No,
ja cómpor bélle fati». Entrato in un negozio di calzature, disse: «A vräva dil scärpi»
– «Nummor?» Domandò il negoziante» – «Do, vunna p’r ogni pe».
Mór e cägapoj
I ragazzi dei borghi le vitamine andavano a cercarle dov’erano. I frutteti di periferia
erano presi di mira ma, in mancanza di meglio, anche mór e cägapoj andavan bene.
Raccontava Dario: «Mi, al cägapoj, al ciam frut parchè par nojätor ragas l'éra un frut,
nin fävon 'na brancäda e la butevon in bocca. J éron brussch mo i s‘magnävon
vlontéra. A nojätor i s‘parävon bón. J ò volsù sintir miga tant témp fa, i fan schifo. I
mór sì ch‘j éron bón dabón. A rampäva su ‘na pianta, un bél chels a 'n broch e i mór i
gnävon zo ch’l‘ éra ‘na blèssa. 'Na volta, coj me sosi, són ste sinch ór ataca a 'na
pianta äd mór; quand èmma fnì la paräva zläda!»
Al pajón
In borgo dei Minnelli venne chiamato il medico per un bambino che non stava bene.
Questi, sollevato il lenzuolo, vide che era pieno macchioline dovute alle morsicature.
«Dotór coza gh’ordénnol?» Chiese ansiosa la madre. «Njént, bruzigh al pajón e l’é
bélle guarì!».
Le “feste”
Sotto le feste non era raro che qualcuno allevasse qualche capo in casa come aveva
fatto anche la signora Gina. La donna aveva appena fatto un po’ di tortelli e stava
riassettando, quando sentì che qualcuno stava salendo le scale. Rapidamente decise di
nascondere i tortelli nella camera, sotto il letto, per non invitare l’ospite, come
imponeva la tradizione popolare. Questi, non finiva più di chiacchierare. Si
avvicinava l’ora di pranzo e la padrona di casa era sulle spine. A metterla
maggiormente in difficoltà ci pensò l’innocenza di uno dei bambini che, gridò: «Ma,
véna a vèddor in-t-la cambra, gh’é l’oca ch’la magna tutt i tordlètt sott’al lét!».
Il cliente
Giorgio, storico barbiere di borgo Colonne, ad un cliente mai visto prima, chiese:
«Cme gh’ja taija i cavì?» – «In silénsi». Terminato il taglio, l’uomo chiese:
«co’gh’vén?». Giorgio si limitò ad indicargli il tariffario esposto. L’uomo si alzò,
controllò l’importo, pagò e se ne andò senza salutare e senza essere salutato.
Le frutta “indietro”
Pattani era un ortolano ambulante il cui carretto stazionava spesso in via Bixio. Una
signora, che continuava a rovistare tra le mele, gli disse: «Pattani, queste mele sono
indietro» - «Sjora, ch’la tira avanti al carètt».
Bonierbi
«Pattani ha del prezzemolo?» Chiedeva un’altra. «No sjora» rispose l’ortolano alla
donna che intanto continuava ad esplorare. «Pattani, ma questo è prezzemolo!?» -
«No sjora, quelle sono bornierbe».
VARIE
L’aragosta
Un vetrinista della Salvarani aveva fatto tardi e si fermò al primo ristorante
incontrato. Mangiò aragosta ma, quando presentò il conto in azienda, il ragioniere si
arrabbiò: "Mi j ò sinquant’an’ e n'ò mäi magnè l'aragosta !" - "L’à fat mäl
ragionér, l’é bón’na bombén".
I “ferri”
Gigén era un tinteggiatore che amava arrotondare. Arrivarono in cantiere due
carabinieri mentre era sul ponteggio. Il capo cantiere gli urlò: "Gigén, vén zo, gh'é
du vestì cómpagn chi t’sércon". - "Tóghia su i fér ?" - "No, i fér i gh’ j àn lór!”
I separè
Era un barcaiolo ma talvolta aiutava la moglie nel classico negozio-bar di paese dove
c’era di tutto. Era solo in negozio, quando entrarono tre eleganti signore che chiesero:
«Scusi, c’è un separè?» Lui si voltò, esplorò gli scaffali, poi, ad alta voce, rivolto alla
moglie che era nel retro, domandò: «Cisa, a gh’èmmia ammò di separè? (ancora)»
La riga giälda
Quintavalla Paolo allenava i giovani della Rugby Parma, agli uomini della mischia
diceva: «Vuätor gh’i da ésor cme la riga giälda dal cesso ch’l’àn va mäj via!»
Nostalgia
Antonio Guerci, caro amico scomparso, ex console dei parmigiani a Milano, quando
era fuori casa aveva una segreteria che diceva: «Questo è il telefono di Antonio
Guerci, parmigiano esule a Milano, temporaneamente assente.»
Eclisse Il mio amico Andrea, stava preparando l’attrezzatura per fotografare un’eclisse di sole. La madre lo osservò, guardò fuori della finestra, poi gli disse: «An gh’é dubbi ch’a véna l’eclisse, a gh’é un sól!»
GIASBO
Giasbo, è stato un bel personaggio della Parma di un tempo. Aveva battute ironiche
molto belle. Un giorno, nell’Oltretorrente, tre facchini che stavano scaricando un
camion di legna, gli chiesero: “Giasbo, vénot a däros ‘na man?” - “Si, si, adés a
vén; di via ‘l cärti intant!”
Era tempo di guerra e venne fermato, di sera tardi, da una pattuglia. “Ma lei lo sa cos’è
il coprifuoco?” – E lui: ”L’é la sènndra!”.
Era corista e il Maestro Gandolfi lo stava correggendo: “Giasbo, pu bas al re”. E poi,
spazientito: “J ò ditt pu bas al re!” E Giasbo, che non riusciva: “S’al vól un re bas,
ch’al vaga a Ròmma”.
Una sera d’estate, passeggiando con un amico, Giasbo, in piazzale Inzani, vide
Florio, detto “Garlatti” perché amava le biciclette, che dormiva su di una panchina.
Rivolgendosi all’amico disse: «Guärda cme l’é distrat Florio. Al dorma e al s’è
scordè avèrt il fnéstri».
A teatro Giasbo e Stopaj avevano ottenuto due biglietti per il Regio ma uno era di platea e l’altro per il loggione. Andarono entrambi in platea ma Stopaj era preoccupato: «Sa vén un controll, co faghia, mi ch’a gh’ò ’l biljètt dal logión?». – «Digh acsì ch’a t’si caschè zò’» suggerì Giasbo Giasbo amava le freddure. Un uomo, giunto trafelato alla fermata dell’autobus, gli chiede: «L’autobus, él partì?» – “No, l’é par tutti».
▪ La madre, che non voleva che Giasbo bevesse tanto, una sera gli aveva messo in tavola una bottiglia d’acqua. Lui si alzò, prese carta e penna, scrisse un biglietto e poi lo attaccò alla bottiglia. La madre andò a leggere. C’era scritto: «solo per uso esterno».
ALBERTO MONTACCHINI
Alberto, uno dei personaggi più simpatici e brillanti che la nostra città abbia avuto,
era andato a Fiuggi per curarsi. Acqua e solo acqua. Inviò una cartolina agli amici
firmandosi: “Idro Montacchini”.
Era tempo di guerra e Alberto, che era uno specialista a tener su le compagnie, con
alcuni amici era stato invitato in campagna dove si fermò due giorni. C'era ogni ben
di Dio e Alberto commentò: «Ragas, sperèmma ch'a n’ scopja miga... la päza !»
BAGOLÓN
Tèllo
Provo simpatia per quei ”bagolón” che le balle le raccontano tanto grosse da non
pretendere di essere creduti. Li trovo divertenti. Un esempio era il ”Tèllo” del detto
”cala Tèllo e crèssa Cilién”. Cala Tèllo, non nel senso della statura ma nel senso di
spararle meno grosse. Raccontava con la massima serietà, ad esempio, di quando
sotto le armi era attendente di un colonnello e aveva il compito di accompagnare a
scuola la figlia di 13 anni che, un giorno, attirò l'attenzione di due depravati che le si
avvicinarono con brutte intenzioni. «Ò cavè un päl dal telefono e j’ò miss al
zvis’ciasädi!»
Angelo
suonava il violino e per un certo periodo fece parte dell’orchestra della Rai di Milano
che, un giorno, venne diretta da Toscanini. Il maestro salì sul podio e l’orchestra
attaccò. Non erano passati dieci minuti che la prova venne fermata da Toscanini che
disse: «Alt! Chi in meza a gh’é un pramzàn!» Fermò tutti gli strumenti meno i violini
e poi, dopo alcuni minuti, disse: «Lalù!» Indicando Angelo agli sbalorditi professori.
L‘Harem
Una tournée della sua orchestra portò Angelo in India. Suonarono per un maraja e la
sua corte. Egli eseguì un assolo di violino che entusiasmò talmente il monarca che gli
permise di fare il galletto nel suo harem. «Cme éla andäda?» gli chiesero i suoi amici.
«I m‘ scriv’n ancòrra ».
Renato
Un altro simpatico ”bagolón” che, negli anni ’70, ho conosciuto personalmente era
Renato. Ero con un gruppo di amici che lo invitarono a raccontarmi le sue avventure
in Africa. Non si fece pregare e io, che avevo con me il registratore, potei registrare la
”lezione” di cui riporto uno stralcio. La guerra lo aveva portato in Etiopia. La
”lezione africana“ cominciò così: «Al Nilo l’é grand cme la Pärma. Mi a l’ò pasè a
nód e m’è córs adrè trénta cocodrìll mo an gh’äva miga paura parchè al cocodrìll l’é
cme ‘n ringol e al gh’à paura dal cioch. Al Nilo al nasa dal lago Tana, ch’l’é lóngh di
chilometro e po’ l vén a cascär in Egitt. Al cocodrìll al fà ‘d j óv chi päron di mlón e
il sarpént pitón, al gh’j a và a bévor. Anca la jena la béva j óv». La lezione venne
interrotta da Carlón: «Renato, se tutt i bévon j óv alóra a nin nasa miga ‘d cocodrìll» -
«Ragas, siv co’ v’diggh? Andigh a vèddor vojätor cme i fan a nasor!» Renato è un
po’ offeso dall’incredulità dei suoi amici ma continua ugualmente: «’Na giornäda a
séra a Addis Abeba, quand, in citè, a m’vèdd davanti du león sedù in-t-la sträda e mi,
va a tór ‘na rejj (rete) e cuchia tutt du. J éron mas‘c‘ e femmna….»
GARZONI
Emergenza
Un garzone, spingendo un carretto, stava rientrando nell’officina di fianco
all’Annunziata. Aveva un violento mal di pancia e, per dirla con il Galaverna, “al
sentiva col puntór ch’fa marciär j imperatór”. Da via Mazzini voleva imboccare di
corsa il ponte di Mezzo ma il vigile che era sulla rotonda, ignorando il suo problema,
lo fermò con un “alt” perentorio. Quando si voltò invitando ad affrettarsi, disse:
«Via, via» - « Si, adés» piagnucolò il ragazzo al quale la sosta era stata fatale.
La fnéstra
I garzoni, un tempo, erano meno smaliziati come ad esempio quello che entrò nella
bottega di Carra, falegname di serramenti dell’Oltretorrente, chiedendo: «Sjor Cara,
són gnu a tór ’na fnéstra» - «Averta o saräda?» gli domandò seriamente il falegname.
«Coll i m‘ l’àn miga ditt» rispose il ragazzo imbarazzato. Farò acsì: «A t’nin darò
vunna saräda se po l’àn va miga bén a t’la gnirè a cambiär».
STORIE DI PRETI
La gallina rubata
Un tale aveva rubato una gallina al prete. La moglie gli ingiunse: «Và dal prét e portla
indrè». Andò dal prete e gli disse: «Reverendo ò robè ‘na galén’na, són pentì e la
vriss där indrè al so padrón, la vólol lu?» - «No assolutamente». Il “penitente”
continuò: «Vede signor parroco, mi són in cla situasjón chi. A vriss där indrè la
galén’na mo al so padrón al ne la vól miga. Co faghja?» - «E magnla!»
Il prete di un paese di montagna, sceso in città e incontrati alcuni paesani, fece con
loro un giro in Ghiaia. Mentre passavano tra le bancarelle, un robusto ortolano,
fingendo di parlare ad un collega, disse ad alta voce: «Chi a s'vedda soltant che äd
j’äzon di prét». - Il prete gli chiese a bruciapelo: «Ch’al digga, él un prét lu?» - «Mi
no!» - «Alóra l’é ‘n äzon».
Don Martino
Don Martino, che in tempo di guerra aveva sfidato i tedeschi, non era certo in
soggezione di fronte ai lazzi contro i preti, un tempo non infrequenti. Ad un tale che
diceva: ”I prét ja masariss tutt”, rispose: ”Béla forsa, a masär i prét a s’fariss
prést, a gh’ n’é, al masim, vón par paéz. L’é a masär tutt i cojón ch’l’é dificcil. A
gh’ sarissov in trop”.
Scaramanzia
Un giorno, a uno che al suo passaggio si toccava le parti basse, disse: “Ti potevi
toccare la testa ch’l’éra la medézma coza!”
•A un tale, che al suo passaggio faceva il verso della cornacchia: “Cra, cra”, disse: “I
cornación i stan sémpor avzén al caròggni”.
•A chi, al suo passaggio, diceva: “Tòcca fér” offriva il suo mazzo di chiavi.
Benedizioni pasquali – la gallina
Prete e campanaro si stavano trasferendo da una cascina all’altra per le benedizioni.
"Reverendo", disse eccitato il campanaro,"A gh’é ‘na galen’na da le, lóntana da
tutt il ca." Il prete guardò, diede anche un’occhiata in giro, poi rispose: "A t’gh’è
ragión, mèttla in-t-la sporta primma ch’a pasa un lädor."
Benedizioni pasquali – i salami
Prete e campanaro avevano girato tutto il giorno per le benedizioni ed erano stanchi.
Verso sera il campanaro disse: "Reverendo, parchè bendissol miga l’ultma ca da
stär chi, za tant il bendisjón i pason sètt mur". - "A t’si cojón veh, il bendisjón i
pason sètt mur, mo i salam no".
L’asino del prete
Un prete entrò in città con il suo biroccino e si fermò alla "porta". Uscirono due guardie
del dazio; mentre una ispezionava, l’altra, che stava a guardare, osservò: "Che bél
caval. L’é finna un p’chè ch’a gh’ l’abja un prét". - "A t’ gh’è ragión", rispose il
prete, che continuò: "A dir la vritè mi vräva tór un äzon mo an n’ò miga catè
parchè j éron bélle tutti in-t-il guärdji dal dasi".
Clergy man
•Mi raccontava un sacerdote che, quando smise la veste per il “clergyman”, una
signora, sua parrocchiana, gli disse: “Lei si è tolto la veste e va in giro senza, mi an
vén pu a confesärom da lu!”. - “Faccia come crede, signora, l’importante è che
non vada lei, in giro per strada senza la veste”.
Il bere
•Un prete di montagna amava anche giocare a carte e bere qualche bicchiere all’osteria.
Qualcuno si lamentò con il vescovo che, alla prima occasione, gli disse: “So che sei
bravo e ti vogliono bene. Ci sarebbe solo una cosetta. Mi hanno detto "quanto"
bevi". - "Mo in gh’àn miga ditt "quanto" a gh’ò sèjj!"
Il prete e il falegname
•Mi trovavo a Ugozzolo dal falegname Gino Carpi quando entrò nel suo cortile don
Enore Carattini, suo anziano amico. Mi venne l’idea di stuzzicare il falegname e gli
dissi: "Certo ch’a tribulla méno al prét". Il falegname abboccò subito e disse: "S’a
tór’n a nasor a fagh al prét". - "E mi", rispose don Enore, "S’a tór’n a nasor a fagh
al maringón. Parchè al Sgnór, fintant ch’l’à fat al maringón la gh’é andäda bén,
mo cuand al s’é miss a fär al prét, i l’àn miss in cróza".
Il prete di un paese di montagna, sceso in città e incontrati alcuni paesani, fece
con loro un giro in Ghiaia. Mentre passavano tra le bancarelle, un robusto
ortolano, fingendo di parlare ad un collega, disse ad alta voce: «Chi a s’vedda
soltant che äd j’äzon di prét». – Il prete gli chiese a bruciapelo: «Ch’al digga, él
un prét lu?» – «Mi no!» – «Alóra l’é ‘n äzon».
MEDICA
La colazione
Al papà di un mio amico, di 95 anni, che aveva accusato qualche disturbo, il medico
voleva togliere il bicchiere di vino e il sigaro mattutini. L’anziano chiese: «Quant’ ani
gh’al dotór?» - “Quarantacinque, rispose il medico. «Ch’al pénsa äd scampär ätor
sinquant’an cme mi e po al me gnirà a dir cme j ò da fär la clasjón».
La visita e il marito
Una signora, che accusava vari disturbi, era stata dal medico. Un’amica le chiese: «Co
t’àl ditt al dotór?» - «Ch’a staga a ripoz. Riposo assoluto». - «E to marì co t’àl ditt?»
- «Ch’a cambia dotór»!
Spese mediche
La mamma di un mio amico mostrò gli esiti degli esami al proprio medico che la
rassicurò di non avere niente. Arrivata a casa, seccata, disse: «Pénsa j ò spéz séntmilla
franch e i m’àn catè njént!»
Pensione bassa
Una sera, appena entrato al bar, disse: "Elà, anca stasira ò snè con pan e lat." -
"Gh'ät la presjón älta?", gli chiesero. "No, gh'ò la pensjón basa."
Fibrillazione
Il medico stava spiegando a Gigi la sequenza del suo intervento per una fibrillazione
atriale. Spiegò che prima di tutto gli avrebbero dato l’anestesia, poi una scossa per
fermare il cuore e dopo un’altra scossa per farlo ripartire al ritmo giusto. “Dotór, e
se ‘l cór al ne ripartissa miga?”- “An te t’n’acorzarìss gnan’!”
Un tirabación
Adalberto, al “Pronto soccorso”, spiegava ad una donna medico che la sua
fibrillazione era dovuta ad una corsa per prendere l’autobus. Il medico gli disse: “Me
mädra la me dzäva sémpor, a j autobus e a j òmmi, mäi corrorgh adrè. A nin
pasa sémp’r un ätor.
Futuro
Antonio, la sera prima dell’intervento per un by-pass era molto preoccupato. Quando
passò la visita, chiese al medico: “Dottore, dopo un intervento così, cosa vede lei
nel mio futuro?” - “Ch’a t’morirè anca ti cme fa tutt ch’ j ätor!”
VECCHIAIA
Aldo
Incontrando l’amico Aldo lo salutati con calore: "Cme vala, vecchio Aldo?" - "Véc’
miga tant". - "L'é un complimént". - "I complimént ja sarniss mi".
Si parlava di anziani che vogliono a tutti i costi fare i giovani e lui commentò: "Se vón
äd s’sant’an’ al diz ch’al se sénta cme vón äd vint, l’é bélle vóra ch’ al comincia
la cura".
La vecchiaia brutta
Ad un gruppo di giovani che si prendeva gioco, in modo pesante, di un anziano con
battute tipo. «L’é brutta la vciära an nonón!?” Egli disse loro: «A gh’ì proprja
ragión. la v’ciära l’é brutta bombén. A v’avgur ‘d rivärogh miga!”
Perdor di cólp
Mio cugino Giorgio, ormai su d’età, mi stava spiegando una cosa, non gli veniva una
parola e la moglie, prontamente, gliela suggerì. Successe ancora e dopo il terzo
“suggerimento”, si fermò e mi disse: «Vèddot Giuseppe, ormäi sèmma tant vec’ e
imbambì ch’a gh’ vól in du a fär un ragionamént». Poi aggiungeva: «Dvintär vec’ è
miga un bél lavór mo l’é l’unica manéra par scampär».
Ugo
Ugo ex calzolaio di 90 anni, ricoverato all’infermeria del Romanini, pensava di
essere in albergo. Ero con lui quando un infermiere, dopo cena, gli portò un bicchiere
di caffè. Ugo storse la bocca. Gli dissi: «Ugo costa l’é ‘na bón’na locanda. La gh’à
‘l difét chi dàn poch vén». E lui: «Al n’è miga un difét tant picén!»
•Nell’osteria di Gino Picelli, un muratore, volendo gigioneggiare, gli disse: «Gino
gh’ät miga i bicér col manogh?» - «Al manogh a gh’ l’à ‘l badil, a t’ l’é drovè tutt
al dì, n’ät miga ‘vu basta?»
Soncio
«Io ho sposato la Chiesa», diceva a “Soncio” il fratello sacerdote. «E’ vero che tu hai
sposato la Chiesa», ribattè «Mo s’a t’ vè a ca tärdi la ne t’bräva miga!»
Qualche giorno fa, incontratolo al bar, gli dissi: «Soncio, gh’ò bizòggna äd parlärot».
E lui: «Tutti mi vogliono parlare e nisón ch’a m’ vója scoltär, e méno äd tutti me
mojéra ch’la pärla sémpor le».
Ottimismo
•Ci sono persone che sanno vedere il lato positivo in ogni circostanza. Un amico al
quale chiesi come andassero le cose con i suoi figli, mi rispose: «Bene. Dil volti i m’
spud’n ados, mo so ch’ j én san!»
Le pentole della nonna
Un bambino disse al papà: «Papà, facciamo una sorpresa alla nonna? Andiamo a
cena a casa sua?” - «Si, ma non di sorpresa parchè la nona la gh’à al cór grand mo
la dróva dil brónzi picén’ni bombén».
MATRIMONIO
Il papà di un giovane, di recente lasciato dalla moglie, così spiegava il naufragio di
quel matrimonio: «Mi a m’al sintiva che coll matrimmoni lì al duräva miga. Mi la
génta la giudicch anca da cme la magna. Ch’la ragasa lì la magnäva al yogurt!»
I nonni
Vedendo l’amico Fornili e la moglie che spingevano una carrozzina, ho chiesto loro:
«Co ciapiv a fär coll lavór lì?» - «Un grasja». - «Alóra a ciapì bélle pu che mi». - La
moglie, per non farmi sentire inferiore, aggiunse: «Però miga sémpor».
Consigli matrimoniali
Ho un cugino che non mi ha mai fatto mancare i suoi consigli di vita specialmente in
fatto di donne. "La mojéra tóla ch’la gh'abja di sold parchè za tant la gh’cmandarà
le, almeno ch’la gh'abja di sold! E tóla gionnva che vécia la la dventarà anca
trop". Concludeva con il più personale dei consigli: "La mojéra tóla miga tanta béla
se no la piäz anca a ch' j ätor. Però miga fär cme mi ch'a l'ò tota tanta brutta ch'la
ne m’piäz gnan’ a mi".
Il papà di un giovane, di recente lasciato dalla moglie, così spiegava il naufragio di
quel matrimonio: «Mi a m’al sintiva che coll matrimmoni lì al duräva miga. Mi
la génta la giudicch anca da cme la magna. Ch’la ragasa lì la magnäva al
yogurt!»
COME RIDEVANO UNA VOLTA
La sposina
La condizione delle sposine era spesso oggetto di racconti di questo tipo. La mattina
dopo la prima notte di nozze una sposina scende in cucina per fare la colazione:
«Gh’é la polenta» dice il marito premurosamente. «A mi l’am piäz rostida!» accenna
lei timidamente. «Comincemia con il lifgnerij?(golosità)».- Interviene severamente la
“nonna”.
Barani
Barani viveva un po' di carità, un po' con qualche lavoretto e un po’con qualche
furtarello. Un giorno prese una delle camice del prete che erano appese ad asciugare,
se la infilò e se ne andò a spasso in paese. Incontrò il prete che gli chiese: «Ciao
Barani, cme vala?" - «L'é un po' granda mo la va ben listess!» - «Ti te gh'n'è sempor
vunna dill tovvi» - «E no. Costa l'é propria vunna dill sòvvi» ribattè Barani. Il gelato La moglie di un famiglio da spesa diceva ai suoi bambini: «Ragas, s’a sti bräv adman a v’ port dala séza a vèddor i sjori chi magnon al gelato». La spilla Maria, quando si chinava al pozzo, pudicamente aggiungeva ai bottoni della camicia, una spilla da balia. Nel cortile della fattoria sedeva sempre un vecchietto che, saputo che era rimasta incinta, le disse: «Maria, a t’ l’äv da ganciär pu in bas la spilla!»
L’uva scelta
Il vecchio Ferrari osservava il padrone che stava preparando la “quota” di uva che
spettava a lui come famiglio da spesa. Dalle casse destinate al famiglio toglieva i
grappoli più belli e li rimetteva nelle proprie. Il vecchio esclamò risentito: «Éla costa
la me uvva?» - «Si, parchè la vrävot sarnida?» - «No, a la vräva sarnida méno!»
•La moglie di un famiglio da spesa diceva ai suoi bambini: «Ragas, s’a sti bräv
adman a v’ port dala séza a vèddor i sjori chi magnon al gelato».
La suflén’na
Mi piace molto questa storiella. Non è molto buffa ma ha una sua morale che la rende
interessante. Un tale, mentre stava andando alla fiera in un paese vicino, incontrò un
conoscente: «Indò vät?» – «Vagh ala féra» – «A m’tót ‘na suflén’na?» – «Va bén»,
rispose un po’ seccato. Ne incontrò un altro: «Indò vät?» – «Vagh ala féra» – «A
m’tót ‘na suflén’na?» – «Va bén». Incontrò anche un terzo: «Indò vät? – «Vagh ala
féra – «Chi gh’è i sold, a m’tót ‘na suflén’na?» – «Ti sì, ch’a t’ suflarè!»
Campanilismo
In un paese pedemontano era sindaco un abitante di un paese vicino con il quale
esisteva la classica rivalità. Tra i suoi amministratati c’era chi vociferava che il
sindaco, mentre stava aiutando il padre in cantina, avesse detto: «Papà, la tén’na l’é
pién’na, a gh’nin mèttia ammò?»
Le parmigiane 1
Un insegnante di latino al Romagnosi, per fare un esempio di battuta parmigiana,
raccontava quella che aveva udito da un vigile che, al passaggio di una donna
giovane, bella e formosa, esclamò: «Che prepoténsa ‘d cärna!»
Le parmigiane 2
Questa battuta me ne ricorda una di mio zio Enzo. Stavamo salendo le scale della
Ghiaja, quando, vedendo davanti a noi una ragazzona ben dotata, esclamò: «To là, e
po i dizon ch’a gh’é l’inquinamént!»
I treni di Ferragosto
Tanti anni fa avevo invitato questo zio a passare il ferragosto nel campeggio di
Chiavari dove ero con la mia famiglia. La tenda era vicina alla ferrovia ma noi, al
rumore del treno avevamo fatto l’abitudine mentre lui no. La notte del 15 passava un
treno lunghissimo, tatàn, tatàn, tatàn…Lo zio gli urlò: «Maledètt ti e t’à fat, mo con
girot d’intórna?!»
SCORSAMÄRA
Scorsamära è un parmigiano dalla battuta facile, un po’sbruffone, che
ama la compagnia, molto il vino e poco il lavoro.
Scorsamära era rientrato ubriaco. La moglie, disgustata, esclamò: «Sémp’r 'al solit!»
- «Parchè? Nin vrävot ‘n ätor?»
Gli avevano regalato (?) un gatto già frollato. Entrato in casa disse alla moglie: «A
t’ò portè un gat» - «A n’al vój miga, t’al sè chi sporcon!» - «Coste chi a n’ gh’é
dubbi ch’al sporca».
Quando vuole è uno specialista nel “torlir”. Un giorno, volendo prendere in mezzo un
amico del bar, gli disse: «Sät chi t’me ricord? Cl’artista äd Modna…» - «Artista äd
Modna? Mo chi él?» Si chiedeva lusingato l’uomo. «Sandrón!».
Aveva accettato di fare un lavoretto di tinteggio nella casa nuova di un amico. Vi
andarono assieme ma siccome l’amico non aveva ancora le chiavi, il portiere, che non
lo conosceva, non li lasciò entrare. Scorsamära lo guardò in faccia e gli disse: «Lu ’l
n’é miga un portér! Lu l’é ’n tarsén!».
Qualcuno gli chiese: «Scorsamära, vät semp'r a pescär?» - «Si» - «E s'nin ciapa ?»
- «Poch. I paizàn j én gnù difidént. Tomachi, sigolli, gruggn…i sèmnon tutt ataca a
ca».
Un giorno Scorsamära lo stava aiutando a vendere un carretto di piselli, “reviot ’d
séconda, tri chilo sént franch”. Preparò tre chili di merce per un cliente e, per
curiosità, aprì una bacca. «A gh’era un bégh ch’al paräva un marinär in branda!».
Sottovoce, chiese istruzioni a Pattani: «Co’fèmmia? » - « Daghni un chilo ’d pù». E
le vendite proseguirono.
Scorsamära era entrato in bar con la faccia scura. «Co gh’ät Scorsamära sit
preocupè?» – «Si, gh’ò da pagär dil bolètti e ‘n so miga cme fär. – «Pénsa che
l’important l’è la salute – «Ricordot che quand vón al gh’à gnan un bòrr almeno tre
linei ‘d fréva al gh’ j à sémpor».
Parlando della sua infanzia diceva: «Mi da ragas, dal parsutt, j ò sémpor visst sól che
l’os. A s’éra cme i gat, che ‘l salam i n’al conosson miga e i pénson ch’al sia fat
soltant äd péla. Meno male che po è rivè ‘l “Musichiere».
Poi continua: «A ca mèjja il bistècchi i s’ magnävon sóltant che ...pociädi».
In un negozio, una signora, osservandolo gli disse: «La sua faccia non è nuova»... «La
gh’à ragión, siora. La gh’à pu äd ‘stant’an!»
Un amico gli chiede: “Scorsamära, a ti ch’ a t’ magn ‘d tutt e ch’a t’ piäz tutt,
gh’é almeno un piat ch’a ne t’ piäz miga? - “Si, al piat vód!
Per strada incontra un amico che conosce bene la sua passione per il vino, che gli
chiede: “Cme t’vala Scorsamära? – “Sperèmma bén, adman a vagh a fär j
analizi dal sangov”. – “Ah si? E indò vät? Al cantinón?”
In bar parlavano di automobili. Va pu bén la mèjja, la mèjja la magna poch, e via
discorrendo. Uno gli chiede: “Scorsamära, ti co’ fät con un littor? – “Un past…e
tanti volti gnan’ dal tutt!”
Stava vivendo un momento no. Incontra un amico, che non vedeva da tempo, che gli
chiede: “Cme t’vala, co’ fät äd bél? – “A fagh al poeta”. – “Al poeta?” - E co’
fät?” - A fagh di vers.” – “Di vers? E che vers fät?” – “Di vers da gat!”
Sempre in quel periodo balordo si era messo a corteggiare una donna brutta ma con
un sacco di soldi. Lei, sorpresa; gli chiede: “Come posso piacerle io che non sono
bella” – “ Siorén’na, sarò ‘d cativ gusst mo le la m’ piäz”
Sul treno per La Spezia, stanco di stare in piedi, sposta una borsetta che teneva
impegnato un posto. Quando tornò, la proprietaria gli disse: "Scusi, perché ha
spostato la borsetta ?" - "Parchè m’ éra d’äviz ch'l'a fuss miga straca".
gli avevano regalato un salame “gentile”, bello e grosso. Per combinazione capita suo
fratello che, come lo vede, dice: “Eh che bél salam! Mi gh’ò ‘na cantén’na ch’la
pär fata aposta p’r i salam!” – “Ah si? Porta chi la cantén’na!”