banche centrali e questione democratica

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Francesco Morosini Banche centrali e questione democratica Il caso della Banca Centrale Europea (BCE) Edizioni ETS

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Page 1: Banche centrali e questione democratica

Francesco Morosini

Banche centralie questione democratica

Il caso della Banca Centrale Europea (BCE)

Edizioni ETS

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Page 2: Banche centrali e questione democratica

www.edizioniets.com

© Copyright 2014EDIZIONI ETS

Piazza Carrara, 16-19, I-56126 [email protected]

DistribuzionePDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

ISBN 978-884674002-1

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Prefazione di Mario Bertolissi 13

Capitolo IINTRODUZIONE

1.1. Il progetto euro

1.2. Sovranità e questione democratica nell’Eurozona

Capitolo IIDEMOS E MONETA

2.1. Moneta e democrazia: il quadro generale

2.2. La democrazia pluralistico/madisoniana come premessa dell’Euroarea

2.3. Moneta e divisione dei poteri come via alla stabilità dei prezzi

2.4. Neutralità ed indipendenza delle banche centrali2.4.1. Il dilemma democratico della politica monetaria

Capitolo IIILE BANCHE CENTRALI

COME ARGINI COSTITUZIONALI ALL’INFLAZIONE

3.1. Banca centrale e magistrature costituzionali: le analogie

3.2. La “forza” della BCE

3.3. Il banchiere centrale conservatore tra diritto ed economics

Capitolo IVLA STABILITÀ DELLA MONETA: IDEE DAL ’500 ITALIANO

4.1. Il proto-monetarismo e la zecca del Principe

4.2. Contro il “Principe inflattivo”

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4.3. Dal Ducato di Ferrara a Berlino: alle radici della Weltanschaung moneta-ria di Maastricht

Capitolo VLA SOVRANITÀ MONETARIA

5.1. Sovranità, moneta, Principe

5.2. La favola aurea e l’indipendenza delle banche centrali: antigeni politici contro la discrezionalità monetaria del Principe

5.3. Tra Oskar Lafontaine e Scaruffi: l’apertura nascosta di Maastricht alla poli-tica5.3.1 Il precedente della BUBA5.3.1.1. Stabilità dei prezzi o tenuta dell’Euroarea?

Capitolo VILA TUTELA POLITICA DELLA SOVRANITÀ MONETARIA

6.1. La stabilità monetaria oltre la lotta all’inflazione

6.2. Dalla sovranità “classica” a quella “monetaria”6.2.1. Il normativismo di Kelsen e la politica monetaria a-democratica

6.3. La sovranità e la stabilità dei prezzi oltre la lotta all’inflazione6.3.1. L’ombra del sovrano schmittiano

6.4. La BCE e le BCN: la condizione necessaria per la sovranità monetaria

Capitolo VIILA “COSTITUZIONALIZZAZIONE MONETARIA” DI MAASTRICHT

7.1. Il paradosso democratico del Regolatore monetario a-democratico

7.2. Banche centrali tra necessità della finanza pubblica e nascita del suffragiodi massa

7.3. Il modello “orientato alle banche centrali” come paradigma monetario del-l’Eurozona

7.4. BCE e BUBA: i parallelismi

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Capitolo VIIIIL “REGIME MONETARIO EUROPEO”

8.1. La separatezza della BCE

8.2. Banca mista e rigetto dell’inflazione

8.3. L’exit strategy di Karlsruhe

8.4. La derogabilità del principio democratico a favore della stabilità monetaria

Capitolo IXTEORIA DELLE FORME DI STATO E DI GOVERNO

E IL REGIME MONETARIO EUROPEO

9.1. La Costituzione senza Stato

9.2. La divisione dei poteri e la Banca centrale: un tema in fieri

9.3. La teoria del balance of power e l’Istituto di emissione

9.4. Lo sguardo della dottrina italiana sul futuro: dall’art. 47 Cost all’anticipa-zione della “filosofia di Maastricht”

9.5. Maastricht monetarista: un mito da superare

Capitolo XLE SFIDE A MAASTRICHT

10.1. Premessa10.1.1. Moneta federale e Unione confederata: il difficile rapporto

10.2. L’e-money: c’è un futuro per le autorità monetarie? La sfida radicale a Maastricht10.2.1. La Banca centrale dinnanzi alla sfida del liberismo finanziario e della moneta nata dal mercato10.2.2. Sul diritto di signoraggio10.2.3. L’e-money come fine del potere monetario?

Capitolo XIEURO E DEMOCRAZIA DOPO MAASTRICHT

11.1. La chimera antidemocratica della moneta senza Sovrano

11.2. La questione democratica dell’equità

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11.3. Ancora su moneta endogena, sovranità popolare e costituzionalismo mone-tario

11.4. Il difficile trade off tra moneta e democrazia

Capitolo XIIMAASTRICHT: UNA SOVRANITÀ MONETARIA A-DEMOCRATICA?

12.1. L’Istituto di Francoforte: tra la discrezionalità tecnica e sovranità mone- taria

12.2. Le criticità dell’euro12.2.1. La criticità geopolitica12.2.2. L’UME tra balcanizzazione e accountability

12.3. Ancora su moneta e democrazia

Capitolo XIIILA “VISIONE MONETARIA” DI MAASTRICHT

13.1. I princìpi ispiratori

13.2. La Grundnorm dell’euro

Capitolo XIVCONCLUSIONI

14.1. L’economia monetaria moderna come forma della sovranità

14.2. Il paradosso dell’UME

14.3. La politicità della moneta e la mission della BCE

14.4. La BCE: la sfida del futuro

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PREFAZIONE

di Mario Bertolissi

1. Ho un ricordo personale da spendere. Studente nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova – correva l’anno 1970 –, il professore di diritto internaziona-le d’allora, Benedetto Conforti, raccontò a noi studenti di un libro che aveva appena letto. Non concordava con le tesi dell’autore, ma l’opera era di indubbio interesse, per-ché lo aveva costretto a riflettere. Ecco, la mia ultima preoccupazione è quella di far sapere se concordo o no con l’articolazione e le conclusioni dell’ampio saggio di Fran-cesco Morosini. Non me lo sono neppure chiesto, dal momento che chi studia, riflette a lungo e scrive ha, innanzi tutto, il diritto di esprimere se stesso, dando voce alla sua sensibilità, alle proprie passioni, alla sua visione del mondo, piccola o grande che sia1.

In ogni caso – non è una laudatio, ma un dato di fatto –, se qualcuno si interroga – come lui si interroga – sui rapporti tra democrazia ed euro; se si chiede come un’istitu-zione possa reggersi in presenza di una specie di assurdo, quale è l’attività di governo della moneta, essendo quest’ultima, vale a dire la moneta stessa, il fondamento di essa; se individua nel rapporto tra voto e politica monetaria ragioni di forte dubbio circa l’inveramento in concreto della teoria – che corrisponde a una dottrina liberale del potere – della balance of power: se si è in presenza di queste e di tante altre domande, è chiaro che la questione riguardante la responsabilità democratica della BCE diven-ta un problema. È un problema che va considerato non dimenticando quali sono le relative, principali funzioni. Su di esse l’autore insiste a ragion veduta, perché blocco dell’inflazione e stabilità dei prezzi consentono di realizzare una stabilità monetaria che è strumento, indiretto ma essenziale, della tutela delle libertà e dei diritti previsti e garantiti dalla Costituzione2.

2. Tuttavia – afferma Francesco Morosini, con le parole di Jean Paul Fitoussi – “… se le democrazie nazionali accettano di legarsi le mani per permettere alla casa pub-

1 È scritto pensando al modestissimo – per non dire miserabile – lavoro svolto da larga parte delle com-missioni di abilitazione alla docenza universitaria. I loro componenti, estratti a sorte, sono davvero frutto del caso e non, invece, di una scelta che ha come obiettivo quello di far sì che a giudicare siano i più autorevoli. A giudicare al di fuori di qualunque condizionamento, che non sia di carattere scientifico e culturale. E aggiungo che, con simili, diverse premesse, l’errore, del tutto scontato, è senz’altro capito.

2 In sintesi, ma con la dovuta chiarezza, formula analoghi rilievi M. Giampieretti, Art. 47, in aa.VV., Commentario breve alla Costituzione, a cura di S. Bartole e R. Bin, Cedam, Padova, 2008, 474 ss., in tema di credito e risparmio, che ovviamente sono condizionati dalle decisioni della BCE.

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blica di divenire europea, ma allo stesso tempo la casa pubblica su scala europea non è governata secondo i principi della democrazia, allora emerge un deficit democratico a livello sia degli Stati che dell’Unione”3. Già! Però – osserva poco oltre, criticamente, l’autore – “il fine costituzionale [che istituisce e fonda la BCE] è quello di evitare una gestione del denaro pubblico che sottometta la stabilità dei prezzi all’acquisizione del consenso politico”. Con ciò pone quello che, forse, è il problema dei problemi, vale a dire il mistero di ciò che è, come si atteggia e come opera la politica, la quale è guidata dall’idea, che si fa ossessione, di durare e conservare se stessa il più a lungo possibile nel tempo4. La politica e, dunque, i politici sono guidati dalla logica della convenien-za5: al di là di ogni ragionevole dubbio.

D’altra parte, sono le vicende, non proprio commendevoli, che hanno portato il nostro Paese ad accumulare nel tempo un enorme debito pubblico, destinato a ricadere sulle spalle incolpevoli delle future generazioni6, a offrire la prova di come i meccani-smi della democrazia rappresentativa possano non funzionare: ad esempio, se non sono corretti attraverso l’attivazione di istituti di democrazia diretta7 oppure per il tramite di contrappesi. Come si è osservato, infatti, “nel corso degli anni Ottanta [del secolo scorso] il debito subì un’impennata clamorosa che lo portò dal 60 al 100 per cento del Pil”8. Perché mai? Perché – ha chiarito Giuliano Amato, protagonista di quelle vicende – “all’epoca fu ritenuto necessario usare la spesa pubblica e non compensarla con l’adeguamento dei tributi per non lasciare spazio al Pci”9. Se, prima di allora, il debito pubblico aveva una consistenza fisiologica, era perché a governare erano stati chiamati politici meno irresponsabili, attenti al rapporto entrate-spese e alla loro dina-mica10. Rapporto – si badi – che può allegramente sfuggire anche a istituzioni neutrali e tecniche, quali sono le autorità regolatrici: altrimenti, non si spiegherebbero i fatti

3 J.P. Fitoussi, Il dittatore benevolo. Saggio sul governo dell’Europa, il Mulino, Bologna, 2003, 8, del quale v., altresì, Il dibattito proibito. Moneta, Europa, povertà: come integrare stabilità finanziaria e sviluppo, il Mulino, Bologna, 1997.

4 I giuristi si occupano dell’involucro – delle forme e delle procedure – del potere e si dimenticano, molto spesso, di riflettere sulla circostanza che il medesimo obbedisce a proprie regole sostanziali: come ben sapevano Cosimo il Vecchio e, soprattutto, N. machiaVelli, Il Principe, Bur, Milano, 1996.

5 V., in proposito, ampiamente M. Bertolissi - R. meneGhelli, Lezioni di diritto pubblico generale, Giappichelli, Torino, 1996. V., altresì, R. meneGhelli, Frammenti di filosofia minima, Giappichelli, Torino, 1993; id., Sotto il velo della convenzionalità, Giappichelli, Torino, 1997.

6 Quanto al debito, ora denominato sovrano, v. I. musu, Il debito pubblico. Quando il governo spende di più di quel che incassa, il Mulino, Bologna, 2006. A proposito dei rapporti intergenerazionali e della sordità delle classi dirigenti, v. aa.VV., Un diritto per il futuro. Teorie e modelli dello sviluppo sostenibile e della responsabilità intergenerazionale, a cura di R. Bifulco e A. D’Aloia, Jovene, Napoli, 2008.

7 Questo non accade, di certo, in Italia, ove si ritiene che i medesimi abbiano carattere eccezionale: v., infatti, L. paladin, Diritto costituzionale, Cedam, Padova, 1998, 204 ss.

8 A. Friedman, Ammazziamo il Gattopardo, Rizzoli, Milano, 2014, 33. 9 A. Friedman, Ammazziamo il Gattopardo, cit., 33.10 Mi limito al richiamo di un’unica figura: di Ezio Vanoni, a proposito del quale v. Il pensiero dei padri

costituenti. Ezio Vanoni, a cura di A. Magliulo, «Il Sole 24 Ore», Milano, 2013.

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Prefazione 15

che hanno dato luogo agli eventi del 2008 e le cause prossime e remote che li hanno determinati11.

Per non dire di un’ulteriore circostanza che concerne la conoscenza e la sua strut-tura12. A quest’ultimo proposito – è un rilievo essenziale, perché riduce largamente il divario che corre tra politica e tecnica –, si è notato che “in tutto il mondo i regolatori stentavano a capire come si incastrassero tutti i pezzi. In seguito Greenspan avrebbe ammesso che persino lui non aveva afferrato con esattezza cosa stesse succedendo. ‘Sono piuttosto preparato in matematica’ dichiarò a due anni dalla sua uscita dalla Fed. ‘Ma alcune delle complessità di certi strumenti che andavano a finire nei cdo mi disorientavano. Non riuscivo a capire cosa stessero facendo, o come riuscissero di fatto a ottenere quel genere di ritorni dai livelli intermedi e dalle varie fette di cdo. E mi chiedevo: se non riesco a capirlo io, che ho accesso a qualcosa come duecento dottorati, come può capirlo il resto del mondo?’. Non era il solo a essere perplesso. Persino i Ceo delle Società che vendevano quei prodotti non li capivano”13. Di recente ha riconosciu-to i limiti culturali – perché di cultura si tratta – degli economisti dei numeri, distaccati volutamente da una realtà sconosciuta, che hanno avuto la pretesa di governare14. Con quali risultati, è noto a tutti.

3. Il fatto è che, oggi in particolare, siamo quotidianamente alle prese con la “per-fezione del nulla”15. E i conti, con tutto ciò, li deve fare quel che ancora denominiamo democrazia. C’è una relazione che va capita e spiegata che si sviluppa all’interno della

11 A.R. sorkin, Il crollo. Too big to fail, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 2010. Ricorda, tra l’altro, come l’allora Ministro del tesoro Paulson non riuscisse “a smettere di pensare al piano e a quello che avrebbe significato per uno come lui – un repubblicano, un uomo dei mercati – chiedere l’autorizzazione di investire il denaro dei contribuenti degli Stati Uniti nelle due istituzioni che erano forse le maggiori responsabili del boom e del crollo immobiliare” (ivi, 208-209). Quanto a “il Maestro”: Alan Greenspan, dice di lui così: egli “stava alla regolamentazione fiscale come Warren Buffet stava agli investimenti. Greenspan era stato a capo della Federal Reserve in un periodo di prosperità senza precedenti, uno spettacolare mercato al rialzo che era iniziato durante l’amministrazione Reagan ed era andato avanti per oltre vent’anni. Non che qualcuno al di fuori dell’ambiente economico avesse la più vaga idea di cosa Greenspan facesse, o dicesse, tutto il tempo. L’ermetismo dei suoi discorsi pubblici era leggendario, e non faceva che aggiungere misticismo alla reputazione di uomo di straor-dinario intelletto” (ivi, 89). Per parte mia, ho avuto modo di riflettere su Mario Monti: v., infatti, Osservazioni generali, in aa.VV., Agenda Monti parliamone, Centro Studi sulle Istituzioni, Padova, 2013, 17 ss.

12 V., sul punto, senza alcuna pretesa, ad es., G. reale, Quando la tecnica vuole farsi Dio. La sfida blasfema tradisce l’uomo, in «Corriere della Sera», 2 febbraio 2013, 47; G. sartori, L’economia del Prozac, ivi, 23 gennaio 2013, 1, il quale ricorda che “il crac è figlio di una cultura che ‘premiando l’ottimismo ha indebolito la capacità di pensare criticamente, ha anestetizzato la sensibilità al pericolo’”, nonché M. Ferraris, L’illusione economica, in «la Repubblica», 12 gennaio 2013, 45, che opportunamente precisa: “Dopo l’egemonia dei giuristi, oggi la politica è dominata dagli studiosi di discipline finanziarie. Ma anche questa scienza, come tutte quelle sociali, è costruita sulle interpretazioni”.

13 A.R. sorkin, Il crollo, cit., 94-95.14 M. motterlini, La conversione di Alan, in «Corriereconomia», 24 marzo 2014, XII. 15 F. Ferrarotti, La perfezione del nulla. Promesse e problemi della rivoluzione digitale, Laterza, Bari,

1997.

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disamina di cui qui si discute: quella che intercorre tra i criteri di decodificazione della realtà, che possono indurre a comprensione o incomprensione di essa, e deter-minazioni normative conseguenti, finalizzate alla realizzazione degli obiettivi cui si è fatto espresso riferimento fin dall’esordio di questo sintetico appunto. In gioco ci sono inflazione, andamento dei prezzi e stabilità monetaria e, con essi, le tutele costituzio-nali essenziali. In una parola, il bene della vita dell’uomo, “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, come ricorda l’art. 2 Cost.

Francesco Morosini richiama, con apprezzabile coerenza, alcune parole-chiave, che rappresentano altrettanti elementi costitutivi del dibattito interno al costituzionalismo: depoliticizzazione, autonomia, indipendenza. Ciascuna di esse, ove le si esamini con un minimo di attenzione, la si può intendere in due modi, distinti se non contrapposti: come effettivamente realizzabile, e allora assume il carattere del mito; oppure come tendenza, che sconta un naturale distacco tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è. Così, si può dire, pure, della parola neutralità, che equivale al “non patteggiare per alcuna delle parti contendenti o contrapposte”16. Il fatto è che, se si distingue la tecnica dalla politica e dal relativo rapporto di rappresentanza17; e si intende la tecnica nel senso e con i significati che attualmente si ritiene di dover ad essa attribuire18, rimane ferma – a mio modo di vedere – la critica sviluppata nei confronti della pretesa avalutatività del relativo sapere19. Questa si fonda sulla premessa che la scienza è “neutra, eticamente indifferente … è una razionalità puramente interna … perfezione priva di scopo – perfezione formale, razionalità procedurale, che taglia i ponti con i problemi specifici della convivenza umana”20. Anche il principio di separazione dei poteri si può iscri-vere in un simile contesto e ridurre lo stesso a discorso formale. Ma anche la forma produce connessioni sostanziali e la tecnica si esprime in decisioni e in atti. Si pensi, incidentalmente soltanto, a quel che disponeva il testo originario dell’art. 81 Cost. e a quanto stabilisce ora, in tema di equilibrio tra entrate e spese, questo disposto, novel-lato dalla legge costituzionale n. 1/201221. Fu voluto allora ed è voluto ora da tecnici. Tuttavia “il problema del pareggio del bilancio, che è il punto più sensibile della crisi economica, non può essere risolto con le riforme tecniche perché è un problema dei contribuenti”22. Dunque, la “neutralità della decisione monetaria” può essere soltanto

16 Dizionario italiano, a cura di T. De Mauro, Paravia, Milano, 2000.17 V., ad es., M. Fracanzani, Il problema della rappresentanza nella dottrina dello Stato, Cedam, Padova,

2000.18 V., in particolare, E. seVerino, La filosofia futura. Oltre il domino del divenire, Bur, Milano, 2006; id.,

Il declino del capitalismo, Bur, Milano, 2007; id., La tendenza fondamentale del nostro tempo, Adelphi, Milano, 2008, nonché U. GalimBerti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano, 1999.

19 V. le osservazioni delineate, con ampia prospettiva, da M.G. losano, Introduzione a H. kelsen, Il problema della giustizia, Einaudi, Torino, 1975, IX ss.

20 F. Ferrarotti, Partire, tornare. Viaggiatori e pellegrini alla fine del millennio, Donzelli, Roma, 1999, 13. 21 aa.VV., Costituzione e pareggio di bilancio, Jovene, Napoli, 2012.22 P. GoBetti, La rivoluzione liberale, Einaudi, Torino, 1974, 158.

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Prefazione 17

“supposta” – come sottolinea l’autore – perché la politicità è un carattere indefettibile di qualunque azione umana che abbia ad oggetto, direttamente o indirettamente, un sistema di valori.

Del resto, si osserva che vi sono autorità slegate da qualunque rapporto con l’eletto-rato, autonome e indipendenti, quali la Banca d’Italia, che fanno largo uso della moral suasion, “riferita all’attività di indirizzo esercitata nei confronti degli istituti bancari in via informale (ad esempio nel corso di riunioni periodiche con i vertici delle maggiori banche), ma con un grado di effettività assai elevato”23. Sennonché, quando si formu-lano un tal genere di rilievi, si aggiunge – con una sottolineatura critica che non va passata sotto silenzio – che “la soft law mette in discussione il principio di tipicità delle fonti e degli atti amministrativi con valenza regolatoria, che costituisce un’esplicazione del principio di legalità”24.

4. Molto probabilmente25, l’unico errore da evitare è di ritenere che la democrazia possa inverarsi secondo schemi predeterminati, in larga misura fissi, per non dire im-mutabili. Innanzi tutto, i suoi elementi costitutivi, per così dire classici, si sono diver-samente atteggiati nel tempo e nelle differenti realtà istituzionali in cui si sono concre-tizzati26. Ora, siamo alle prese con varianti e variabili che pongono seri interrogativi, le cui risposte dipendono non tanto da soluzioni certe, quanto dalla consapevolezza delle relative criticità. Ha ragione chi parla di “disagio della democrazia” e auspica “il rilancio del suo significato umanistico”27; ed anche chi chiede che si connettano “rappresentanza e partecipazione”28, nella consapevolezza che si tratta di risolvere il problema di “come la democrazia tradizionale possa continuare ad esistere a lungo quando il liberalismo tradizionale si (è) gravemente indebolito”29, allorché “la logica del mercato dischiude quello scenario che prevede il dominio della cosa sull’uomo, del prodotto sul produttore perché, in un processo di totale reificazione, è la cosa a definire l’uomo”30.

23 M. clarich, Manuale di diritto amministrativo, il Mulino, Bologna, 2013, 87.24 M. clarich, Manuale di diritto amministrativo, cit., 87.25 È preferibile esprimersi così, perché si deve sempre riconoscere la relatività di un punto di vista, in

particolare del proprio, e la possibilità che quello altrui sia davvero convincente. 26 È un richiamo superficiale. Tuttavia, v., ad es., S.N. eisenstadt, Paradossi della democrazia. Verso de-

mocrazie illiberali?, il Mulino, Bologna, 2012; L. canFora, La democrazia. Storia di un’ideologia, Laterza, Bari, 2006. A prescindere, B. constant, La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni, RCS, Milano, 2010.

27 C. Galli, Il disagio della democrazia, Einaudi, Torino, 2011.28 P. GinsBorG, La democrazia che non c’è, Einaudi, Torino, 2006.29 J. lukacs, Democrazia e populismo, Longanesi, Milano, 2006. Due riflessioni, sulle quali meditare: è

in atto un “indebolimento della democrazia liberale e parlamentare”; soprattutto – è l’opinione di Kierkegaard – “gli uomini non usano quasi mai la libertà che posseggono, per esempio, la libertà di pensare; in compenso, chiedono invece la libertà di parola” (ivi, 194).

30 Così, U. Galimberti, cit. da S. acquaViVa, L’eclissi dell’Europa. Decadenza e fine di una civiltà, Editori Riuniti, Roma, 2006, 38, in un contesto che valorizza questo significativo appunto. V., altresì, dell’illustre so-ciologo, La democrazia impossibile. Monocrazia e globalizzazione nella società, Marsilio, Venezia, 2002. Sullo

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18 Banche centrali e questione democratica

Certo, la moneta e il soggetto che la governa – la BCE – possono apparire entità estranee alla democrazia rappresentativa classica. Tuttavia, al pari di tante altre novi-tà – chi mai poteva pensare alla categoria dei beni immateriali, quando si ragionava soltanto di cose, ad esempio? –, pure questa istituzione svolge – perché non può non svolgere, come ha chiarito e ripetutamente sottolineato Francesco Morosini – un’attivi-tà rilevante per la polis. Lo fa in vece di altri – vale a dire, in sostituzione dei supremi organi dello Stato, sottraendo ad essi la mercificazione del consenso e, dunque, pre-sidiando valori costituzionali certi – e con essi concorre alla definizione, in concreto, della politicità. Al pari di quel che avviene per l’informazione, il cui diritto è assicu-rato non dalla attendibilità dei contenuti ma dal pluralismo delle fonti, qui pure la democraticità è garantita dall’insieme: dal concorso attivo di istituzioni che convivono nel rispetto reciproco dei loro ruoli e delle relative funzioni. Perché – come osserva conclusivamente l’autore, dopo aver argomentato ampiamente, dando conto della com-plessità dei problemi – “il discorso sulla moneta è inseparabile da quello sulla politica”, dal momento che “l’economico racchiud[e] il politico”.

La moneta è politica. La politica implica la separazione dei poteri. La separazione dei poteri postula il contradditorio. Il contradditorio produce pensiero. Il pensiero è tale se è “pensiero consapevole”31.

sfondo: N. BoBBio, Quale democrazia?, Morcelliana, Brescia, 2009 e, soprattutto, per un’indagine sui limiti della democrazia, quale prodotto dell’esperienza umana, R. meneGhelli, Stato e democrazia visti dall’alto, Cedam, Padova, 1999, nonché L. canFora, La natura del potere, Laterza, Bari, 2009.

31 J. lukacs, Democrazia e populismo, cit., 209, del quale vale la pena di riprendere questo esordio in cui si colloca la sintetica citazione del testo: “In tutto questo piccolo libro ho cercato di attirare l’attenzione sull’im-portanza delle idee, ma soltanto nella misura in cui queste idee rappresentano un pensiero consapevole: su come nascono e si affacciano, su come si muovono, su come invadono il pensiero – giacché, mi sia permesso ripeterlo, gli uomini non hanno idee, ma le scelgono. È un argomento difficile, per almeno due ragioni. Una è filosofica (più precisamente: epistemologica): c’è una sovrapposizione tra idee, fedi, credenze. È sempre stato così, e non ha senso addentrarsi nelle loro specifiche, distinte definizioni filosofiche. L’altra difficoltà è che dobbiamo tener conto del fatto che l’antica, quasi perenne differenza tra ciò che gli uomini credono e ciò che pensano e dicono è ora diventata più complicata a causa di un fenomeno democratico e populista: la differenza tra ciò che gli uomini pensano di credere e ciò che credono davvero”.

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