associazione ex alunni nobile collegio mondragone fondata ... · “lamerica” di manfredi pio di...

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Associazione ex Alunni Nobile Collegio Mondragone Fondata il 2 febbraio 1922 _______________________________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________ Nuova edizione semestrale dal 2001 Primo numero 14 luglio 1866 - Oggi on-line sul sito www.collegiomendragone.com N° 11 GIUGNO 2006 Il Molto Reverendo Padre Peter-Hans Kolvenbach S.I. Generale della Compagnia di Gesù con il Presidente Ferdinando Massimo, i vicepresidenti Enrico Corsetti Antonini ed Enrico Fiorelli, il segretario Vittorio Spadorcia ed i consiglieri Giuseppe Moroni Fiori e Fabio Valerj , alla Curia Generalizia a Borgo Santo Spirito in Roma. 25 Febbraio 2006

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Associazione ex Alunni Nobile Collegio Mondragone

Fondata il 2 febbraio 1922 _______________________________________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ Nuova edizione semestrale dal 2001

Primo numero 14 luglio 1866 - Oggi on-line sul sito www.collegiomendragone.com

N° 11 GIUGNO 2006

Il Molto Reverendo Padre Peter-Hans Kolvenbach S.I. Generale della Compagnia di Gesù con il Presidente Ferdinando Massimo, i vicepresidenti Enrico Corsetti Antonini ed Enrico Fiorelli,

il segretario Vittorio Spadorcia ed i consiglieri Giuseppe Moroni Fiori e Fabio Valerj , alla Curia Generalizia a Borgo Santo Spirito in Roma.

25 Febbraio 2006

Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.2 di 32

INDICE DEGLI ARTICOLI

Lettera di ringraziamento del M.R.P. Peter-Hans Kolvenbach S.I. pag. 3 Chi è Peter-Hans Kolvenback di Gianni Valente dal sito www.30giorni.it pag. 4 Il Padre Provinciale d’Italia estratto dal sito www.gesuiti.it pag. 5 Antiche Terre Pontificie di Ugo De Angelis pag. 6-7 Padre Luigi Parisi S.I. In memoria pag. 8 Nomina nuovi Padri Assistenti Spirituali della nostra Associazione pag. 8 Il Collegio Romano notizie da Internet pag. 9 Una stampa per la nostra Associazione - Dono di G. Bertelè pag .10 Istituto Massimo di Andrea Monda pag. 11 “lamerica” di Manfredi Pio di Savoia pag. 12-13 Davanti a Mondragone di Carlo Scalera ( da Il Mondragone del 1948 ) pag. 13 I quadri, dono di Gianni Salaroli per la nostra sala a Mondragone pag. 14 I primi cinque Convittori e i Presidenti della Associazione Ex Alunni pag. 15 I Gesuiti Missionari estratto dal sito www.gesuiti.it pag. 16 I Gesuiti e le missioni di Piero Gheddo pag. 16÷18 I Gesuiti in America Latina di Francesco Capece Galeota pag. 19-20 Alcune vicende della Cappella Maggiore di Rodolfo Maria Strollo pag. 21÷24 Una passeggiata in relax di Rolando Tonarelli pag. 25-26 Le strutture archeologiche nella villa Mondragone di Luigi Devoti pag. 27÷29 Le sorprese dei mercatini di Massimo Carafa Jacobini pag. 30 Alcune lettere di ringraziamento di amici” Soci Onorari” pag. 31

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Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.3 di 32

LETTERA DI RINGRAZIAMENTO DEL

M.R. PADRE PETER-HANS KOLVENBACH S.I. AL NOSTRO PRESIDENTE FERDINANDO MASSIMO

Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.4 di 32

Chi è Peter-Hans Kolvenbach di Gianni Valente (tratto da internet: http://www.30giorni.it/it/articolo.asp?id=439 )

mensile internazionale diretto da Giulio Andreotti

Padre Peter-Hans Kolvenbach in visita alla missione di Nagaland, in India, nel 1995

Un padre commerciante di Nimega e una madre dalle antiche origini italiane (si chiamava Jacoba Johanna Petronella Domesino) sono stati i genitori di Peter-Hans Kolvenbach, che nasce a Druten, nei Paesi Bassi, il 30 novembre del 1928. La formazione giovanile, al collegio Pietro Canisio di Nimega, si svolge negli anni terribili della guerra mondiale, con il Paese sotto occupazione nazista. L’entrata nella Compagnia di Gesù avviene nel ’48. Dieci anni dopo, nel settembre del ’58, Peter-Hans lascia la sua terra col primo gruppo di gesuiti olandesi assegnati al Libano, dove studia teologia all’Università Saint-Joseph di Beirut e viene ordinato sacerdote nel ’61. Nel Paese levantino il gesuita venuto dal nord passa gli anni centrali della sua vita imbevendosi delle lingue e delle tradizioni ecclesiali e liturgiche del Vicino Oriente.

I suoi studi si concentrano sull’armeno. Insegna prima filosofia, poi linguistica generale e armeno presso l’Università Saint-Joseph di Beirut. Nel ’74 è eletto provinciale della viceprovincia del Vicino Oriente, che include le comunità gesuite di Libano, Siria ed Egitto. Sono gli anni in cui il Paese dei cedri inizia ad essere dilaniato dalla guerra civile. Kolvenbach vi rimane fino all’81, quando padre Arrupe lo chiama a Roma come rettore del Pontificio Istituto Orientale. Dopo la tormentata fase finale del ministero di padre Arrupe, colpito da ictus nell’agosto del 1981, il Pontefice affida in via straordinaria la guida della Compagnia ai gesuiti italiani Paolo Dezza e Giuseppe Pittau. I due delegati pontifici “traghettano” la Compagnia fino allo svolgimento della trentatreesima Congregazione generale, che il 13 settembre ’83 elegge Kolvenbach preposito generale. Pur essendo chiamato a gestire la delicata fase successiva alla gestione “carismatica” di Arrupe, che con le sue scelte aveva finito per polarizzare anche all’interno della Compagnia entusiasmi e insofferenze, non si può dire che il suo mandato abbia avuto l’impronta della “normalizzazione”. Di indole ascetica e spirituale, padre Kolvenbach ha mantenuto anche nella guida dell’Ordine un profilo riservato e dialogante, cercando soluzioni non traumatiche alle controversie, come si è visto nel ruolo assunto nel “caso Dupuis”, scoppiato per le riserve manifestate nel ’98 dalla Congregazione per la dottrina della fede nei confronti delle opere teologiche del gesuita. Professore alla Pontificia Università. Gregoriana. Padre Kolvenbach è membro di due Congregazioni vaticane (Evangelizzazio-ne dei popoli e Istituti di vita consacrata) e consultore della Congregazione per le Chiese orientali.

Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.5 di 32

Il Padre Provinciale d’Italia

P. Francesco Tata S. I. (Franz)

Nasce a Roma il 21 maggio 1944. Frequenta qui l'istituto Pio IX e dopo il liceo classico si iscrive alla facoltà di Fisica. Nel 1963 entra nel noviziato di Lonigo (VI) e Dopo gli studi filosofico-teologici viene ordinato presbitero il 17 giugno 1972 e lavora alla Cappella Universitaria di Roma-Sapienza ove resta fino al 1976.

Termina la sua formazione con la licenza in Psicologia, alla Pontificia Università Gregoriana. Nel 1978 diviene socio (vice padre maestro) nel noviziato di Genova. Pronuncia gli ultimi voti il 31 maggio 1979. In seguito, p. Franz diventa padre maestro dei novizi, carica che ha ricoperto per 17 anni. Al termine del suo mandato come maestro, diviene rettore del Collegio Antonianum a Padova e poi rettore del Filosofato nazionale e nel 2002 viene nominato provinciale d'Italia. Il suo mandato scadrà nel 2008. Attualmente, si avvale della collaborazione dei pp. Alberto Remondini (Viceprovinciale per il Centro-Nord) e Carlo Aquino (Viceprovinciale per il Centro-Sud). E' inoltre delegato del Padre Generale per la Civiltà Cattolica, è presidente del Magis e moderatore dell'Assistenza dell'Europa meridionale. Vive a Roma e ha il suo ufficio presso la Residenza del Gesù.

(Tratto dal sito : www.gesuiti.it )

Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.6 di 32

ANTICHE TERRE PONTIFICIE Sant’Uffizio. LA TENUTA DI CONCA

DALLE FONDERIE PONTIFICIE ALLA FABBRICA DELLA CARTA PAGLIA 1568-1978

Questo contributo si inserisce nell’ambito delle diverse annose ricerche condotte dallo scrivente e oggi inserite in un più vasto programma di promozione storico-culturale, condiviso con l’Archivio Vaticano della Congregazione per la Dottrina della Fede. In questa memoria si accennano alcune notizie su vicende e personaggi che hanno contribuito a vario titolo, alla crescita e valorizzazione di un vasto territorio ricadente ai margini dell’allora Campagna Romana, in un contesto storico-temporale pre e post unitario del nostro paese. Questa vasta area in tempi più antichi è stata interessata da una gloriosa attività metallurgica gestita dall’allora Stato Pontificio XVI-XIX secolo ( in questo settore si inseriscono anche le vicende di Marcantonio Colonna, dei Doria Panphilj etc). E altresì, gli imponenti interventi di bonifica e regimentazione delle acque del fiume Astura necessari al movimento degli impianti idraulici delle Ferriere, nochè le politiche di salvaguardia e tutela del patrimoinio boschivo da parte del Sant’Uffizio.

L’autore accanto all’allora Prefetto Joseph Cardinale Ratzinger, ora Papa Benedetto XVI, presso l’edificio ex Ferriere di Conca in occasione della visita nei “luoghi della memoria” del 4 Maggio 2004. Inoltre il consolidamento della Cupola di San Pietro voluto da Papa Benedetto XIV nel 1743 ( Poleni-Vanvitelli) dove furono utilizzati i cerchioni in ferro prodotti nelle Ferriere Pontificie di Conca.

Nel 1867 il Conte Achille Gori Mazzoleni, prende in affitto dal Sant’Uffizio la Tenuta di Conca, che acquisterà qualche anno dopo dalla Giunta liquidatrice dei beni ecclesiastici . Il Conte Achille fece parte della Giunta provvisoria di Governo istituita dal Cadorna il 23 Settembre del 1870. Il figlio Attilio Gori Mazzoleni all’età di 8 anni fu uno dei convittori iscritti nel primo anno di apertura del Nobile Collegio di Mondragone istituito il 2 febbraio del 1865 dal Principe Don Marcantonio Borghese unitamente ai P.P.della Compagnia di Gesù di Frascati. (Fonte :Associazione Ex Alunni Nobile Collegio Mondragone 1865-1953)

Attilio Gori Mazzoleni entrato in collegio nel 1865, anno di apertura. (foto archivio dell’Associazione Ex Alunni Nobile Collegio Mondragone)

Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.7 di 32

Nel 1891 il Conte Attilio eredita la Tenuta di Conca ed è lì che nel 1902 presso la Cascina Vecchia si consumò il triste omicidio della povera fanciulla Santa Maria Goretti. Il luogo del martirio eletto a Santuario, oggi è una delle pricipali mete di pellegrinaggio nel contesto degli itinerari religiosi del nostro paese. Di questo territorio riecheggiano ancora i versi D’Annunziani composti nel 1900, all’amico poeta Augusto Sindici, autore di alcune “Leggende della Campagna Romana”.. (intanto passavano anche per la spiaggia latina, come nelle tue rime, le giumente cariche di carbone in lunghe file andando dalle carbonere di Conca agli imposti di Anzio, mentre tu evocavi la fiamma e il fumo nelle macchie devastate e il rumore delle accette...e li servaggi canti der tajatore...) Qualche anno dopo il Conte Gori Mazzoleni dà inizio ai lavori di trasformazione dell’edificio industriale ex Ferriere di Conca per far posto alla nuova Cartiera per la produzione di Carta Paglia. E in periodi più recenti, questo territorio è stato caratterizzato anche da una pioneristica industria della pescicoltura creata tra gli anni venti e trenta dal Cavalier Gustavo Dominici, altro illuminato mercante di campagna, di origini umbre ma romano di adozione. Nel successivo periodo, spiccano le diverse e innovative attività della Tenuta di Conca, dalla produzione silvicola, ai semi di ricino da cui si ricavava l’olio per i motori degli aerei, al formaggio esportato nel nuovo continente, e per finire alle copiose quantità degli apprezzatissimi prodotti ittici (cefali) di Conca, venduti ai mercati generali di Via Ostiense che allietavano le tavole dei romani soprattutto in occasione del tradizionale cenone natalizio.(1930-34) Nel 1934, con la successiva bonifica integrale legata ai piani di trasformazione fondiaria, l’allora governo fascista attraverso l’O.N.C. mise fine a questa florida e innovativa attività. Tali notizie, frutto di una annosa attività di ricerca, sono state ripagate dall’interesse suscitato nella Curia Vaticana e suggellate lo scorso 4 maggio 2004 dalla prestigiosa visita nei “Luoghi della memoria” del Cardinale Ratzinger oggi Papa Benedetto XVI.

Questa è l’e-mail che abbiamo ricevuto con allegato l’articolo dell’architetto De Angelis sopra pubblicato Gentile Presidente Dott.Ferdinando Massimo, nel consultare le diverse importanti notizie storiche riportate nel vostro pregevole sito web, abbiamo appreso che il Nobile Collegio di Mondragone nell’anno 1865 ha, tra l’altro, annoverato nelle proprie fila l’allora fanciullo Gori Mazzoleni Attilio ( il padre Conte Achille nel 1870 fu membro della Giunta Provvisoria di Governo e successivamente deputato al Senato per Subiaco). Come sappiamo il Conte Attilio Gori Mazzoleni è soprattutto ricordato per aver assunto a mezzadria nel proprio tenimento le due famiglie marchigiane Goretti e Serenelli che dimoravano nella Cascina Vecchia di Conca dove nel 1902 avvenne il martirio della Santa Maria Goretti. Inoltre si porta a conoscenza della S/V che da diversi anni si è avviato e condotto numerosi studi e ricerche sulla Tenuta di Conca, un vasto territorio posto ai margini della Campagna Romana, in un contesto storico- temporale compreso tra 1568 e il 1978 riguardante gli aspetti meglio specificati nell’allegata memoria. Quanto sopra quindi si chiede di valutare l’opportunità di verificare se l’Archivio del Nobile Collegio di Mondragone contenga ancora materiale documentario e o fotografico finalizzato ad implementare i pochi dati in nostro possesso, sulla vita del Conte Attilio Gori Mazzoleni. Nell’auspicare un gradito riscontro della presente si coglie l’occasione per inviare i più cordiali saluti. Ugo De Angelis, architetto.

Ugo De Angelis

Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.8 di 32

Padre Luigi Parisi S.I. (Assistente Spirituale della nostra Associazione)

Roma 05 Aprile 1922 † Roma 13 Febbraio 2006

Il P. Luigi Parisi S.I. nacque a Roma il 5 aprile 1922 ed entrò in Compagnia ad Ariccia-Galloro a 20 anni dopo la maturità classica. Frequentò le classi di filosofia (1945-1947) e teologia (1950-1954) alla PUG. Il magistero lo fece al Collegio di Mondragone (Frascati 1947-1950). A Firenze fece il terzanno di probazione (1954-1955). Il suo primo impegno fu l’ufficio di Ministro al Collegio Massimo di Roma (1955-1957 e 1960-1962) e al Collegio Mondragone (1957-1960). Dal 1962 al 1998 ebbe vari incarichi al "Foyer Catholique Européen" di Bruxelles, con una breve parentesi (1971-1973) in cui fece il Parroco a Roma S. Saba. A Bruxelles il suo ministero principale fu l’assistenza spirituale alle famiglie degli Italiani impegnati negli organismi europei; per un certo periodo è stato anche Superiore della comunità. Rientrato in Italia, aiutò nella Chiesa di Roma S. Andrea al Quirinale, soprattutto nell’anno del giubileo. Nel 2001 fu trasferito nella Parrocchia di Roma S. Roberto Bellarmino come aiuto al Parroco e vi rimase anche dopo che la Parrocchia è passata alla Diocesi di Roma 2003).

Caro Gigi, ci hai lasciati! Ci sei stato vicino lungo tutta la tua intensa vita sempre illuminata da una incrollabile fede che hai sempre trasmesso a noi con semplicità scanzonata ma con fermezza incrollabile. Ti abbiamo incontrato giovane e brillante “prefetto” di camerata del nostro Collegio, e lungo il cammino della nostra vita hai guadagnato un posto speciale nei nostri cuori, sicuri di trovare in te un riferimento fermo e sempre disponibile. In questi ultimi anni ci sei stato vicino come Assistente Spirituale della nostra Associazione, dopo mezzo secolo dalla chiusura del Collegio. Ora sei meritatamente vicino al Signore, alla cui chiamata avevi risposto, e continuerai a guidarci ed aiutarci nel nostro passaggio terreno. Ciao Gigi! Quando Dio vorrà ci ritroveremo ancora. Arrivederci Gigi!

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Negli ultimi anni è stato l’Assistente Spirituale della nostra Associazione.

IL CONSIGLIO DIRETTIVO dell'ASSOCIAZIONE EX ALUNNI

NOBILE COLLEGIO MONDRAGONE

ha nominato, nella riunione del Consiglio del 20 marzo 2006, i seguenti Padri Assistenti Spirituali dell'Associazione:

Padre Cesare Jori S.I. residente in Via degli Astalli, 16 00186 ROMA tel.: 06.697001

Padre Sauro De Luca S.I. residente in Via Silvio Spaventa, 4 50129 FIRENZE tel.: 055.579801

Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.9 di 32

Il Collegio Romano Fu istituito da Sant'Ignazio di Loyola (1491 - 1556) dopo la fondazione della Compagnia di Gesù (1550), per coprire tutto l'arco scolastico, dagli studi elementari a quelli universitari. Per volontà di Gregorio XIII fu costruita, dal 1582 al 1584, la sede definitiva del Collegio Romano nei cui locali è ospitata oggi.la.scuola.del.Visconti. . Gli insegnanti dell'antico Collegio sono stati personalità eminenti della cultura, basti pensare a Cristoforo Clavio, astronomo e matematico, altissimo esempio di umanista, scienziato stimatissimo da Galileo, oppure a Christoph Grienberger, che dal 1591 fu professore di matematica e scienze. Insegnante e rettore del Collegio fu anche Roberto.Bellarmino Il Collegio Romano fu inoltre teatro dei dotti dibattiti tra Galileo e Segneri (1624 - 1694), maestro di oratoria, Giuseppe Calandrelli (1747 - 1827) fondatore dell'Osservatorio astronomico (1787) del Collegio, Angelo Secchi (1818 - 1878), celebre astronomo e direttore dell'Osservatorio dal 1850. Nel 1551 S. Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, fondò in un palazzo romano (ora scomparso) situato alle falde del Campidoglio, nella "Via Capitolina" (oggi Piazza d'Aracoeli) la prima scuola dei padri gesuiti con annessa la prima biblioteca e fu chiamata Collegio Romano. La riuscita fu ottima, tanto che a seguito del continuo aumento del numero degli studenti si dovette procedere ad un cambio di sede. Nel 1584, infatti Papa Gregorio XIII inaugurò la nuova sede del Collegio Romano in un Palazzo

in Roma sito nell'omonima piazza tutt'ora esistente, e da tale Papa che fu detto "Fondatore e Protettore"prese il nome di "Gregoriana". Nel 1773, in seguito alla soppressione della Compagnia di Gesù, il Collegio fu affidato alla custodia del clero secolare romano, per essere riconsegnato poi alla rifondata Compagnia il 17 maggio 1824 dal Papa Leone XII. Nel 1873 il Collegio Romano subì un'altro trasferimento, questa volta la nuova sede fu individuata in Palazzo Borromeo, sempre a Roma in via del Seminario, oggi sede del Collegio Bellarmino, e fu in questo anno che il Papa Pio IX con Rescritto del 4 dicembre 1873, permise al Collegio di assumere il titolo di "Pontificia Università del Collegio Romano"; inoltre conferì al Rettore del Collegio il diritto di sottoscriversi "Rettore della Pontificia Università Gregoriana".

(notizie da internet)

Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.10 di 32

UNA STAMPA ANTICA PER LA NOSTRA ASSOCIAZIONE Dono dell’Ex Alunno Giovanni Bertelè

Milano, 5 dicembre 2005 Caro Spadorcia, come ti ho detto nel nostro colloquio telefonico della scorsa settimana, è mia intenzione donare all’Associazione ex Alunni di Mondragone una antica stampa in mio possesso che riproduce la villa - non una fotocopia come pensato in un primo momento, ma l’originale - sperando che possa trovare una collocazione nella nuova sala dedicata alla storia del Collegio.

Lo faccio nel ricordo di un periodo felice della mia vita trascorso nel Collegio e come ringraziamento a quanti lo determinarono: i Padri che furono degli amici prima che degli insegnanti e sempre rispettosi della mia persona e delle mie idee, i compagni che ricordo vivissimamente ancora oggi dopo 65 anni con molto affetto e coi quali i rapporti sono sempre stati di grande affiatamento e camerateria. Ti prego di farla incorniciare di semplice legno color noce e di applicare una discreta targhetta in ottone con la scritta Dono di Giovanni Bertelè in Collegio dal 1938 al 1941. Mi farai sapere poi la spesa, per il rimborso. Avremo occasione di risentirci, ma intanto mando a te, e a tutti gli amici, i più vivi auguri di Buone Feste !

Giovanni Bertelè (in collegio dal 1938 al 1941)

Bertelè Scrive: 05.12.02 Messaggio per Spadorcia. Domani spedisco per posta prioritaria la stampa con una lettera di cui in allegato una copia. Prego assicurarmi del ricevimento. Carissimi saluti Bertelè Spadorcia risponde: Caro.Giovanni, ho ricevuto il tuo messaggio e ho comunicato al nostro Presidente Ferdinando Massimo e al nostro Vice-Presidente Enrico Corsetti Antonini quello che stai facendo per l'Associazione. Appena riceveremo il plico sarà anche mia premura comunicare il ricevimento. Da parte di tutti noi, per ora, un enorme grazie e prendo l'occasione per inviare i migliori auguri a te e famiglia per le prossime feste. Vittorio Spadorcia

Giovanni Bertelè da convittore

Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.11 di 32

Istituto Massimo a cura di Andrea Monda

Pochi giorni dopo la presa di Porta Pia del 1870, il Collegio Romano, dalla metà del ‘500 proprietà della Compagnia di Gesù, fu requisito per dare ospitalità temporanea ad uno dei contingenti militari piemontesi affluiti nella città. Era la fine di settembre e le scuole avrebbero dovuto riaprire da lì a pochi giorni. La scuola riaprirà solo il 3 dicembre col nuovo nome di Regio Liceo Visconti. I Gesuiti non rimasero con le mani in mano. Nove anni dopo, il 9 novembre del 1879, venne inaugurato l’Istituto dell’Immacolata nella sede di Villa Peretti, edificio di proprietà del trentenne Padre Massimiliano Massimo sito nei pressi delle Terme di Diocleziano (di fronte all’attuale Stazione Termini). L’inaugurazione consistette in una funzione religiosa nella cappella domestica della villa cui parteciparono tutti i 7 insegnanti e tutti i 25 alunni . La scuola ben presto prese piede e cambiò, di fatto, anche il nome diventando, per tutti, la scuola del Padre Massimo e poi, senz’altro, Il Massimo. Nell’archivio storico dei gesuiti, a pochi metri da piazza San Pietro, abbiamo trovato queste foto di classe datate 1881. Sono scattate nei giardini di Villa Peretti, prima sede dell’Istituto voluto da P.Massimo e fondato grazie anche ad un contributo di 2.400 ducati di.Leone.XIII. Nel 1887, a causa del nuovo piano regolatore della città, l’edificio fu demolito e, proprio in quei giardini, venne costruito il grande palazzo Massimo che fino al 1960 ospiterà il liceo classico e che oggi, dopo il trasferimento della scuola al più moderno complesso dell’EUR, ospita il Museo Nazionale Romano.

Istituto Massimo Roma, 1881 Archivio Storico della Compagnia del Gesù

Tra i volti che vediamo ci saranno di sicuro alcuni di quei 7 insegnanti e di quei 25 alunni che avevano dato vita nemmeno due anni prima ad uno degli istituto scolastici più prestigiosi della Capitale. “Con un po’ di esperienza si può dedurre un’intera biografia dall’osservazione di un volto”, afferma Alan Finkielkraut ne “L’umanità perduta”. L’esperienza qui richiesta è alla portata di tutti; è quella della scuola con i suoi riti, più o meno assurdi, ordinari (la campanella, la ricreazione, la giustificazione…) e straordinari come appunto una foto di classe. Con questo bagaglio di nostalgico sgomento osserviamo questi volti intuendone il mistero della biografia. Cosa sono diventati quei ragazzi? Il legame tra il Massimo e la città di Roma è sempre stato molto forte: lo dimostra, tra l’altro, la sfilza di ben 7 ex-alunni diventati sindaci, da Ludovico Spada Potenziani a Francesco Rutelli, passando per Salvatore Rebecchini e Amerigo Petrucci. Colpisce anche l’abbigliamento dei ragazzi, più “moderno”, pur nella goffaggine con cui sono indossate giacche e cravatte, rispetto a quello dei professori che, grazie anche al loro truce volto ottocentesco ( che forse cela un’anima burbera o bonaria? ) ci ricordano i personaggi della scuola di Amarcord di Fellini. Viene da pensare a quando è stata scattata la foto, a pochi anni dalla fine del potere temporale della Chiesa, al “punto di valico” tra due mondi. 1881: in Italia viene utilizzata per la prima volta, in modo massiccio, la dinamite mentre ad Alpignano viene fondata una società per la fabbricazione di lampadine elettriche. In Russia viene ucciso lo zar Alessandro II e i rapporti tra Francia e Italia si incrinano a causa del protettorato francese su Tunisi. Escono I malavoglia, Malombra, Ritratto di signora. L’anno dopo l’Italia avrà l’allargamento del suffragio elettorale e da 600.000 elettori si passa a 2 milioni. Andrea Costa è il primo deputato socialista e a Milano viene fondato il primo partito operaio. Viene scoperto il bacillo della tubercolosi. Il 2 giugno muore Garibaldi… Cosa è arrivato di tutto questo ai ragazzi immortalati nei giardini di Villa Peretti? E cosa, della cronaca e della storia, è arrivato a noi ex-alunni di altre scuole di altre classi?

Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.12 di 32

“lamerica”

Lettera di Michele (semialfabeta(sic) di campagna) alla sua mamma. A Mà, commo tesuditto te ascrivo pena rivato a nuiorc.

Er viagio co 'lali Talia nun poli sapè commo che fù e io mo telo dico; cuannoche’ peppe me lassò ar larioporto uno che vidde cuante falicie e facotti tenevo me fa dice "pijate er carelletto" e mallunca'na specie de cariola de fero co le rotine epperò senza ir ciesto ma cor freno ammano anniscosto che se tira si lo trovi, sinno' nun se move, che io ce caricai falicie e facotti e ntrai nel rioporto che è na sala lunca lunca co tutti che spettano infila in tiana er turno devanti ar posto ndovechè ce sta 'na signiora cor vistitino verte e ‘n cappelletto buffo assede tietro ar banco co'no spazietto affianco. Pianno pianno rivo devanti a essa che me fa dice : "bijetto" commo che sur tramve e je do er malloppo de robba che me tiede la genzia; issa cuarda eppoi ricuarda e me fa dice "ndo vai?" je dico nuiorc e essa fa ah e me dice "baccai? Je fò "no nun baccaio, solo che devo da anna’ a nuiorc", i essa me fa, tutta ncavolata "dicooo...c'ai falicie?" dicodesì. "Mettele cuà" ndicanno lo spazietto li’ mbasso e io ce le metto; issa trafica collo sgrittoio, prenne du cose collose che escheno

da la machinetta e le picica ai manijoni dele falicie eppoi picica artre tichettine sur cartame, spince cuarcosa e la falicie schizzeno via e je dico "e mo ndo vanno esse?" me fa"cuelle le ripiji a nuiorc, tiette er baccajo ammano" e me ridà tutti i cosi de la genzia e dice "vadi dellà ar controllo pulizia poi ir ghet vintuno.” Boh, je faccio e vado ndove che affatto segnio co la testa, ellì 'nartra fila deggente che mano mano vanza verzo no strettoio comeche’ c'avemo noi pe le pecura che ce passeno una pe’ una pe’ la tosata o pe’ latte oppuro pe falle servi’ dar montone; li ce sta 'na gappietta invetrata co ‘n puliziotto che te chiete documenta, je do ir malloppo de la genzia, sceje er pasaporto, me cuarda, lo cuardo, timpra ir pasaporto e ristituisce tutto dopodichè vai traverso 'n archetto che cuanno passi fa bippe bippe e te fermano dicheno “se levi tutto er metallo”, metto ir reccichiavi drento er cestetto che me da’ e che va drento a na gallerietta, aripasso, bippe bippe, “levete puro loro locio” levo, cestetto, aripasso, nun bippa gnente e "bene vadi" dice e me ridà ir reccichiavi e loro locio.

Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.13 di 32

Secuo laggente e rivo a cuello che deve da esse er ghet vintuno pecche’ ce stanno tanti che parleno puro lincue incumprensibbili che penso so merecani de nuiorc che ce ritorneno. Spetta chette spetta tuttandratto na vocie incuprensibbile parla e tutti s'arzeno, se metteno infila devanti n'artra signiora cor vistitino verte e ir cappelleto buffo, je danno ir cartame che te ne strappa ‘n pezzetto eppoi vai ar corridoio stretto stretto e arfonno ciè la porta del rioplano che entri e te dicheno vadi nfonno e ce stanno tante portroncine piccule piccule tutte messe a faccia avanti che sempra er cinema der paese ma più fitto fitto che sestà uno taccato a lartro che si respiri forte antruppi er vicino. Dopodeche’ me metto assede e, spetta che te spetta ‘na voce parla che n’se capisce, tutti a senti’, poi sona ‘n dindarolo, se scureno le luci e io m’addormo che so’ stanco e ir secuito telo dico nartra vorta. Tu fijo fezionato Micchele

(Manfredi Pio di Savoia, in collegio dal 1948 al 1951)

(Carlo Scalera in collegio dal 1944 al 1948)

Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.14 di 32

I QUADRI, DONO DI GIANNI SALAROLI PER LA NOSTRA SALA

A MONDRAGONE

Gianni Salaroli (in collegio dal 1941 al 1945) Gianni Salaroli ha risposto alla richiesta della nostra Associazione e ha donato i quadri sopra riprodotti. La Associazione è molto grata e i quadri faranno bella mostra, insieme ad altri, nella sala a noi dedicata che è in corso di restauro a Mondragone. Con l’occasione si fa appello a tutti gli Ex di buona volontà a donare eventuali “memorabilia” riguardanti il Nobile Collegio Mondragone.

Il Mondragone _______________________________________________________________________________________________

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1865 I PRIMI 5 CONVITTORI: 1° febbraio 1865 Giancarlo dei Duchi Scotti Gallarati 1° febbraio 1865 Carlo Rocchi 2 febbraio 1865 Felice dei Principi Borghese 2 febbraio 1865 Camillo dei Principi Borghese 2 febbraio 1865 Gianbattista dei Principi Borghese

PRESIDENTI DELL’ASSOCIAZIONE EX ALUNNI DEL NOBILE COLLEGIO MONDRAGONE DAL 1922

1922 Primo Presidente della F.A.C. Federazione Antichi Convittori:. Principe don Camillo Francesco Massimo Principe d’Arsoli.

Entrato in Collegio nel 1874

1927 Diego Calcagno Presidente Circolo Giovanile . Entrato in Collegio nel 1926

1929 Principe don Prospero Colonna. Entrato in Collegio nel 1866

1937 Principe don Fabrizio Massimo. Entrato in Collegio nel 1877

1949 Principe don Leone Enrico Massimo. Entrato in Collegio nel 1907

1960 Com.te don Marcello Sanfelice dei M.si di Monteforte. Entrato in Collegio nel 1918

1991 Principe don Camillo Borghese. Entrato in Collegio nel 1935

2004 Principe don Ferdinando Massimo. Entrato in Collegio nel 1949

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I gesuiti "missionari"

da: www.gesuiti.it L'epopea missionaria della Compagnia di Gesù fu iniziata il 7 aprile 1541 da San Francesco Saverio: partito da Lisbona con la qualifica di nunzio apostolico, dopo avere circumnavigato l'Africa, raggiunse Goa, in India nel 1542, dopo 13 mesi di navigazione, e per due anni lavorò infaticabilmente per la conversione degli indiani della Pescheria; nel 1544 si spinse nella penisola di Malacca, di là raggiunse le Molucche (l'attuale Indonesia) e poi nel 1549 approdò nel Giappone, dove rimase oltre due anni. Nel 1552 volle partire per la Cina per aprire al Vangelo l'"impero di mezzo", ma morì il 3 dicembre 1552 alle porte della Cina, nell'isola di Sancian. Con le sue lettere inviate dall'Oriente egli creò tra i giovani gesuiti dell'Europa un incredibile entusiasmo per le missioni in Asia. Per oltre due secoli un gran numero di gesuiti si sparse per tutti i Paesi del continente asiatico: ricordiamo soltanto i nomi di Alessandro Valignano, Roberto de' Nobili, Rodolfo Acquaviva, Matteo Ricci, Alessandro de Rhodes, Adamo Schall, Ferdinando Verbiest, Costanzo.Beschi. Se ora dall'Asia passiamo all'America, rileviamo che lo stesso ardore missionario spinse i gesuiti a evangelizzare quasi tutti i Paesi di quel continente, cominciando dal Brasile col padre Emmanuele

Nobrega nel 1549, per giungere nella Florida (1566), passando per il Perù (1568), il Messico (1572), il Tucumàn (1586), il Paraguay (1588), il Cile (1592), l'Ecuador (1592). L'opera più nota dei gesuiti nell'America Latina fu la costituzione delle "Riduzioni" (Reducciones), le quali consistevano nel raccogliere gli indigeni, in particolare i guaraní (abitanti nelle foreste come nomadi) in villaggi nei quali i gesuiti insegnavano loro sia le verità della fede cristiana, sia le norme di una vita più civile, sia la coltivazione di piante più produttive. Erano perciò centri di civilizzazione e anche di difesa contro le razzie dei coloni spagnoli e portoghesi. Le Reducciones si svilupparono in tale maniera da suscitare l'invidia e la sordida cupidigia dei coloni e poi delle autorità politiche spagnole e portoghesi, tanto da essere una delle cause della soppressione della Compagnia di Gesù, avvenuta nel 1773, con l'accusa che i gesuiti avevano formato una specie di regno nel Paraguay, nemico dei regni della Spagna e del Portogallo, e dalle Reducciones avevano ricavato grandi ricchezze, sfruttando i fedeli sudditi dei Re cattolici. In realtà, i gesuiti erano colpevoli soltanto di aver portato la fede e la civiltà a tribù poverissime e sfruttate e di averle difese dalla crudeltà dei coloni europei, talvolta anche con l'uso delle armi.

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I Gesuiti e le Missioni

Articolo tratto da MONDO E MISSIONE di Piero Gheddo Il Pime ( Pontificio Istituto Missioni Estere)

Nel novembre dell'anno 1609, sei gesuiti partono da Asunciòn, dividendosi in tre gruppi e dirigendosi verso la regione abitata dagli indios Guaranì, le foreste di cui era circondato il Rio Paranà, vera spina dorsale del Sud America. Dieci anni prima, altri missionari avevano portato ad Asunciòn la notizia di una straordinaria scoperta: nelle selve tra il Rio Paranà e il Rio Uruguay viveva una razza di indios valorosi, fieri della loro lingua e cultura, i Guaranì, un materiale umano ben più prezioso, per i missionari, che gli abbaglianti sogni delle miniere d'oro e di pietre preziose che stimolavano i "conquistadores" spagnoli. Studiata l'impresa, la Compagnia di Gesù aveva chiesto alla Corona di Spagna il permesso di lavorare fra quegli indios, riservandoli alle loro

cure, per farne cittadini dell'Impero spagnolo e buoni cristiani. Il 26 novembre 1609, data che è considerata l'inizio di questa esperienza, il luogotenente generale del governatore del Paraguay e del Rio de la Plata, emanò un'ordinanza con la quale proibiva agli spagnoli di entrare nella zona del Rio Paranapanema (in lingua Guaranì) per reclutarvi indios per il servizio personale; gli indigeni erano affidati alla sola Compagnia di Gesù. Lo stesso Re di Spagna pubblica numerose leggi e decreti per condannare la schiavitù e i cattivi trattamenti a cui gli indios erano sottoposti. Ma i pregiudizi sono duri a morire, specie quando c'è sotto un grosso interesse economico. Nel diritto coloniale spagnolo (e portoghese) gli indios erano equiparati a minori bisognosi di

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protezione, di stimolo al lavoro organizzato, di organizzazione della loro vita sociale secondo schemi europei. Non si concepiva altra "civiltà" che quella europea, cui anche gli indios dovevano accedere: ma, essendo primitivi e selvatici, bisogna condurveli con metodi paternamente costrittivi, come si fa con i ragazzi, mentre li si istruisce nel cristianesimo e quindi si civilizzano i loro costumi. Partendo da questi presupposti, la Corona di Spagna affida gli indios ai colonizzatori (assistiti dai missionari per la parte religiosa), affinché li inquadrino nel lavoro, insegnando loro a lavorare la terra, istruendoli nella dottrina cristiana e avviandoli alla "civiltà". Nasce così l'istituto della "encomienda", per cui ad un colono viene affidato un vasto territorio da colonizzare: gli indios che vi sono dentro sono sotto la sua autorità e protezione. Naturalmente l'"encomienda" ha delle regole ben precise (proibito ridurre gli indios in schiavitù, chi non vuole starci può andarsene, proibito l'uso della frusta o altri maltrattamenti, ecc.) e si conoscono anche casi di coloni spagnoli condannati dai tribunali spagnoli per abusi sugli indios (quasi sempre in seguito a denunzie di missionari). Però, in pratica, nell'immenso continente quasi spopolato e senza strade, nella sua "encomienda" il colono era re e signore assoluto. Nell'America spagnola, le navi e le armate dei "conquistadores" erano sempre accompagnate dai missionari, anch'essi inviati dalla Corona spagnola, che concepiva la colonizzazione come un'opera di fede e di civiltà. È noto il travagliato rapporto fra missionari e colonizzatori spagnoli (e portoghesi in Brasile). Soprattutto sono note le proteste di non pochi missionari contro i metodi schiavisti dei coloni (Bartolomeo de las Casas è solo uno fra i tanti) e l'azione dei Papi (bolle e scomuniche contro chi praticava la schiavitù) per mitigare i metodi della colonizzazione. Com'è noto il grande lavoro teologico e giuridico della Chiesa per scalzare alla base le teorie razziste che guidavano i coloni: Francesco de Vitoria sostiene, nella prima metà del 1500 (prima ancora di Las Casas), la tesi secondo cui gli indios (anche se infedeli e primitivi) sono uomini come i bianchi, hanno i diritti dei bianchi e devono essere rispettati da tutti, soprattutto dai cristiani. Meno nota è l'epopea delle "Riduzioni" che ha rappresentato il tentativo riuscito di creare un altro tipo di colonizzazione, rispettosa dell'uomo e

delle culture, in alternativa a quella praticata da spagnoli e portoghesi nelle Americhe. Stranamente, questo capitolo glorioso delle missioni è dimenticato, mentre, credo, rappresenta bene lo spirito, gli scopi, i metodi dei missionari del passato, quando si incontravano con popoli diversi e di civiltà orale (o "primitivi"). Riprendiamo il racconto dei sei Gesuiti che, partiti da Asunciòn nel novembre 1609, arrivano nelle foreste del Rio Paranà dove vivono i Guaranì. Due di questi (Marziale Lorenzana e Francisco di San Martìn), con l'aiuto di alcuni Guaranì già convertiti, entrano in contatto con un clan della tribù e spiegano loro i vantaggi di una volontaria sottomissione alla Corona di Spagna attraverso i Gesuiti, evitando così la "encomienda" che li avrebbe messi nelle mani dei coloni spagnoli. Il 29 dicembre 1609 si fonda la prima "Riduzione" 200 chilometri a sud di Asunciòn, intitolata a S. Ignazio Guazù (maggiore, oggi in Paraguay), per distinguerla dall'altra Riduzione intitolata a S. Ignazio Mini (minore, oggi in Argentina) fondata nel 1610 da due altri Gesuiti (Simone Mascetti e Giuseppe Cataldini). L'anno seguente (1611), visti i buoni risultati delle prime due Riduzioni, le autorità spagnole emanano vari decreti che esentano dall'"encomienda" gli indios sottomessi ai Gesuiti, vietano l'accesso di spagnoli e meticci ai territori affidati ai Gesuiti; e fissano norme precise per le "encomiendas" spagnole (ad esempio, gli indios hanno diritto ad un salario fissato dalla legge), proibendo ancora la schiavitù, anche con schiavi comperati legalmente (le tribù Guaycurùs e Tupì catturavano indiani di altri gruppi tribali e li vendevano agli spagnoli). Interessante notare che ci fu, nella regione del Paraguay, una levata di scudi da parte dei coloni spagnoli ed i Gesuiti, accusati di essere all'origine di queste norme troppo garantiste per gli indios, reagirono proclamando peccato mortale la non osservanza di quei decreti del governatore spagnolo! Così incomincia l'esperienza delle "Riduzioni". Rimandando alla seconda parte del nostro servizio la descrizione dell'organizzazione interna di queste comunità, vediamo come cresce e si afferma il sistema dello "Stato gesuita", tra pericoli da parte degli indios e dei portoghesi. I primi attacchi vengono da parte degli stessi indios Guaranì delle foreste. Il "cacicco" (capo) Carupé e lo stregone Nezù, invidiosi dell'ascendente dei nuovi capi e stregoni bianchi, nel novembre 1628 fanno uccidere

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tre Gesuiti a Candelaria (la Riduzione centrale in cui vivevano i missionari a capo di tutto il sistema) e scatenano una vera guerra contro la missione: circa 1.500 indios chiamati da gruppi nell'interno della foresta si avvicinano al villaggio, seminando morte e distruzione. I Gesuiti organizzano la difesa e mandano messaggeri per chiedere aiuto: ottengono dieci archibugieri spagnoli e oltre mille guerrieri indios provenienti da altre Riduzioni dei Gesuiti e dei Francescani. La guerriglia dura circa un mese e si conclude con lo scontro decisivo del 20 dicembre 1628, vittorioso per la difesa di Candelaria. Le centinaia di prigionieri sono quasi tutti liberati e ritornano ai loro clan magnificando la potenza dei Gesuiti e il loro perdono. Solo dodici vengono impiccati dal "braccio secolare", non senza essere prima convinti dai missionari a pentirsi ed a farsi battezzare!

Acquarello del gesuita Floriàn Paucke (1749-1767) raffigurante una missione gesuitica

Molto più grave il pericolo degli assalti portoghesi, provenienti da San Paolo, città fondata nel 1554 da due Gesuiti portoghesi, José Anchieta e Manuel da Nobrega, proprio come "Riduzione" per l'istruzione e la conversione degli indiani, ma presto affermatasi come centro propulsore della conquista portoghese verso l'interno del continente e come crogiolo di razze dove nasce la nazionalità brasiliana. La popolazione paulista si è formata fin dall'inizio con un meticciato tra portoghesi, indios e altri gruppi di immigrati europei. Nel 1600 i paulisti (chiamati "mamaluchi" cioè meticci) erano un popolo forte e numeroso che, pur sottomesso alla Corona di Lisbona, avevano una loro autonomia e dimostravano una potente vitalità espansionistica verso ovest. Alleatisi con gli indios Tupì, nemici

tradizionali dei Guaran ì, estendono il dominio portoghese con delle spedizioni armate chiamate "bandeiras" (di qui il nome di "bandeirantes" dato ancora oggi ai paulisti) che avevano due scopi: esplorare il territorio scoprendo eventuali ricchezze minerarie (soprattutto oro!), affermando il possesso dei portoghesi sulle terre scoperte; e trovare indios da portare a San Paolo come schiavi. Queste spedizioni fanno indietreggiare a poco a poco, a favore del Portogallo, i confini stabiliti dal Trattato di Tordesillas (1493) fra i domini spagnoli e portoghesi in America. A partire dal 1612-1615, i paulisti incominciano ad assaltare le Riduzioni dei Gesuiti del Guayrà. La Spagna aveva proibito agli indios di usare le armi. Le Riduzioni non potevano difendersi ed essendo ben stabilite sul territorio in una regione abbastanza ristretta, rappresentavano per i mamaluchi una preda ambita (gli altri indios da catturare erano dispersi nelle foreste!). Secondo notizie del tempo, i paulisti avevano catturato, dal 1612 al 1639, ben 300.000 indios nei territori spagnoli; secondo un'altra relazione, dal 1628 al 1630 i Gesuiti perdevano 60.000 neofiti per opera dei "bandeirantes"; nel 1635-1637, ben trenta Riduzioni erano saccheggiate e distrutte dai paulisti: decine di migliaia di indios dispersi, uccisi o catturati come schiavi. Gli spagnoli del Paraguay non intervenivano, per la lontananza dei posti, per l'insufficienza delle loro forze armate e anche per l'antipatia verso l'esperienza dei Gesuiti che molti si auguravano venisse interrotta.

Acquarello di Lèonie Matthis, raffigurante la piazza di San Ignacio Mini (1940). I missionari decidono di reagire nell'unico modo possibile, cioè rendendo autonome anche nella difesa le loro Riduzioni, come già lo erano in campo produttivo, amministrativo, commerciale, ecc.

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Nel 1638 il gesuita Ruiz de Montoya, il missionario più importante nella storia delle Riduzioni, viene mandato in Spagna per ottenere il permesso di armare gli indios. La Corte rimanda la decisione al Viceré di Lima (sensibile alle ragioni dei Gesuiti perché difendono i possedimenti spagnoli dai paulisti): Le Riduzioni si armano e gli indios vengono addestrati all'uso delle armi moderne. Nel 1639 per la prima volta gli indios Guaranì si difendono e volgono in fuga gli assedianti paulisti a Caapaza Guazù. La sconfitta brucia ai paulisti che preparano una maxi spedizione per finirla con i Gesuiti spagnoli e i loro Guaranì. Nel 1641, 500 mamalucos con 2.500 Tupì, su 900 canoe e un poderoso armamento, scendono il corso del Rio Uruguay. Ma non sanno di essere attesi e che le Riduzioni hanno organizzato bene l'avvistamento e la difesa. 4.000 guerrieri guaranì, organizzati dal fratello gesuita Domingo Torres, veterano dell'esercito spagnolo, sono pronti ad accorrere al primo cenno. L'11 marzo 1641 i paulisti subiscono un imprevisto attacco a fuoco sul Rio Uruguay: i Guaranì, con 300 fucili e persino un rudimentale cannone, sbaragliano gli attaccanti. Un massacro. Dispersi nelle foreste circostanti, i paulisti chiedono una tregua che è loro rifiutata. La battaglia prosegue in acqua e per terra: alla fine, si contano circa duemila morti fra i Tupì e i mamalucos, che abbandonano ai Guaranì 600 canoe e 300 fucili e archibugi.

Questa battaglia sull'alto Rio Uruguay ha cambiato la mappa politica del Sud America: se avessero vinto i paulisti, non solo l'esperimento delle "Reducciones" sarebbe finito 127 anni prima di quanto poi è successo, ma il dominio portoghese si sarebbe esteso fino a tutto il Paraguay attuale, tagliando le comunicazioni fra i possedimenti spagnoli sul Rio de la Plata (Buenos Aires), il Perù e la Bolivia. La battaglia segna l'inizio, per le Riduzioni gesuitiche, di una pace che dura più di un secolo. Incomincia la fase di espansione e di consolidamento della missione gesuitica.

Piero Gheddo

Acquarello di Lèonie Matthis (1882-1952) raffigurante.una cerimonia davanti il portale della Chiesa di San Ignacio Mini. Collezione Museo Històrico Nacional (Buenos Aires).

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I gesuiti in America Latina di Francesco Capece Galeota

Ministro Plenipotenziario Consulente dell’Istituto Italo-Latino Americano Fatto scarsamente conosciuto e che meriterebbe essere approfondito, riguarda il ruolo avuto dalla Compagnia di Gesù in America Latina, precisamente in Argentina, Brasile, Bolivia e soprattutto Paraguay con le loro “misiones” o “riduzioni”. La loro creazione ai primi del seicento trova un solo precedente nella storia del diritto coloniale tramite la Compagnia delle Indie, da parte britannica nel mercantile. Le reducciones dei gesuiti rispondono al desiderio della Corona di Spagna di delegare i poteri centrali in zone coloniali “critiche” e molto lontane ad elementi altamente affidabili per la gestione della Monarchia Cattolica di Madrid e la

tutela (o meglio gestione) delle popolazioni indigene. Nei Paesi indicati i gesuiti si insediarono presso limitati gruppi, preservando le lingue tradizionali locali e diffondendo il Verbo Evangelico affiancato da un’opera di elevazione sociale impensabile per quei tempi. Particolarmente notevole è l’insegnamento che essi conducono nel campo dello sviluppo artistico di uno specifico barocco coloniale e nell’insegnamento della musica. L’autogestione conferita dal governo di Madrid per il taglio comunitario e sociale si può accostare come esempio moderno ai kibbutz israeliani, pur tenendo conto della differenza di epoca e di culture.

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Si è parlato di gestione teocratica autonoma con mezzi largamente assimilabili ai poteri statuali come l’esistenza di mezzi di difesa come minuscoli eserciti. Oltre l’emancipazione sociale, lo scopo di creazione delle reducciones dei gesuiti è stato anche quello di profonda difesa dei diritti umani degli indios, particolarmente i guaranti, del Paraguay situati a ridosso dei confini con l’Impero del Brasile, rapiti, secondo la storia, dai cosiddetti banderantes brasiliani per avviarli in condizioni di servaggio al lavoro delle loro terre. Come in tutti gli avvenimenti storici, l’incrocio di interesse tra Spagna e Portogallo vede cadere in disgrazia tale ruolo storico ed anomalo della Compagnia di Gesù e troncato con l’editto di Carlo III di espulsione dei Gesuiti dalle terre del regno. Questo fenomeno unico nella storia delle religioni e delle Nazioni ha lasciato in eredità un patrimonio monumentale di rilevanza come chiese, conventi ed edifici che riflettono gioielli di uno splendido barocco coloniale trasmesso anche in oggetti lignei di pregevole fattura. Per valorizzare tale patrimonio monumentale poco

conosciuto, l’Istituto Italiano Latino-Americano

(IILA),Organismo internazionale avente sede a Roma, di cui fanno parte oltre all’Italia i 20 Paesi dell’America Latina, ha stipulato nel 2004 accordi con i Governi di Buenos Aires e di Asunsion , che mirano a rivalorizzare patrimoni nazionali di immenso valore e che ricomprende Fondi Archivistici e Biblioteche.

L’IILA propone corsi di formazione per restauro, in particolare di matrice italiana, anche nei Paesi dell’area andina, culminati in un seminario a Cartagena dei responsabili di Governo e di Università di tali Paesi. Da tale simposio sono sorte proposte di allestimento di scuole-cnatiere di restauro che vedono in molti Paesi come controparti le Facoltà di Architettura delle Università Gesuitiche di tali Paesi, come l’Università Javeriana di Bogotà.

Francesco Capece Galeota (in collegio dal 1950 al 1951)

Giubileo.ignaziano-saveriano-favriano

Il 7 aprile di 2006 si compiono 500 anni dalla nascita, nel Castello di Javier, Navarra-Spagna, di Francisco di Javier, professore della Sorbona, cofondatore, con la direzione di Ignazio di Loyola, della Compagnia di Gesù, missionario nelle Indie Orientali e Giappone e figura universale che tracciò forti legami di collaborazione e comprensione tra Oriente ed Occidente. Il Governo gesuiti in Italia, la Chiesa del SS. Nome di Gesù in Roma e il Vicariato di Roma promuovono la celebrazione di un ampio programma di atti culturali, religiosi e di incontro sociale per commemorare nell'arco di un anno - dal 3 di dicembre di 2005 fino alla stessa data del 2006 - questo giubileo aperto alle iniziative di altre istituzioni ed entità ed all'interesse generale di tutte le persone.

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Alcune vicende della Cappella Maggiore

di Rodolfo Maria Strollo Con l’insediamento del Collegio nella Villa Mondragone, avvenuto nel 1865, fu subito evidente che le esigenze cultuali della vasta comunità andata a “rivitalizzare” il malconcio edificio erano ben diverse da quelle legate all’originaria funzione della struttura. Nella Villa erano presenti due cappelle: quella più antica realizzata nel 1573-4 su disegno di Martino Longhi il Vecchio per il cardinale Marco Sitico Altemps che la intitolò a San Gregorio in onore dell’amico pontefice Gregorio XIII (Ugo Boncompagni 1572-1585) e quella aggiunta, meno di mezzo secolo dopo, con l’intervento del Vasanzio curato per conto del cardinale Scipione Caffarelli Borghese; entrambe, seppur piccole dimensionalmente, erano idonee, per qualità formali e ricchezza delle decorazioni, al culto “privato” di un pontefice in una residenza “secondaria”, quale appunto una Villa Tuscolana. Nella prima cappella – sin dall’origine considerata appannaggio del Papa – erano stati realizzati numerosi affreschi che avevano visto impegnato, per l’affresco soprastante l’altare, Giuseppe Cesari, più noto come Cavalier d’Arpino, mentre nel nuovo seicentesco ambiente, ad esclusivo uso del cardinal nepote di Paolo V (Camillo Borghese 1605-1621), Annibale Durante era stato chiamato a decorare con profusione di dorature il fastoso intradosso cassettonato della volta a botte e Alessandro Turchi, detto l’Orbetto, a realizzare la pala d’altare con l’Assunzione di Maria Vergine. Con il nuovo utilizzo della Villa come struttura scolastica, entrambi gli ambienti mantennero la loro funzione, pur con nuove consacrazioni: il primo alla Vergine, il secondo al Santissimo Sacramento (quest’ultimo, però, fu poi degradato ad ambiente di passaggio nell’ambito della consistente ristrutturazione dovuta a Clemente Busiri Vici negli anni Trenta del secolo scorso). Le cappelle risultavano, tuttavia, del tutto inadeguate a ospitare la nutrita popolazione di padri, inservienti e dei sempre più numerosi allievi del Collegio e così – già nel 1868 – fu inaugurato il più ampio ambiente sacro per l’Istituto (in virtù di tale caratteristica diversamente e variamente chiamato Cappella Maggiore, Grande, Principale o anche dei Convittori).

1.La prima pagina del Mondragone del 6 maggio 1906

Ricavata dal vestibolo della Villa sottostante il Salone degli Svizzeri, la Cappella fu dotata di “un altare modesto ma non indegno con drappi ed addobbi”, come un articolo apparso sul Mondragone del 1906 ricordava (fig. 1). Una mattina dell’anno 1892 Camillo Corsetti, convittore addetto alle mansioni di sagrestano, con un’errata manovra sulle candele dell’altare causò l’incendio dell’arredo sacro. Rapidamente le fiamme si svilupparono espandendosi all’altare stesso – poiché di legno – e al quadro soprastante: una grande tela raffigurante la Sacra Famiglia con San Giovanni Battista, attribuito per l’ideazione (il cartone) al gesuita Padre Spillman e per l’esecuzione a Pietro Gagliardi, pittore di soggetti sacri, molto attivo in ambito romano per buona parte del secolo XIX (affiancato, sul finire, dal nipote Giovanni).

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È facile immaginare lo scompiglio nel quale, in breve tempo, venne a trovarsi tutto il Collegio allertato dalle grida dell’involontario “piromane”. Fortunatamente, il pronto accorrere dei padri, degli inservienti e dei convittori, con secchi d’acqua e quant’altro potesse contribuire allo spegnimento delle fiamme, limitò gli effetti dell’incendio che, comunque, risultò fatale per il quadro e per l’altare. Il padre Rettore Luigi Caterini avviò subito l’opera di ricostruzione: al professor Nobili fu commissionata la copia della tela perduta (fig. 2) e il Rettore si premurò di disegnare personalmente il nuovo altare che fece realizzare “in legno verniciato di bianco e ricco di intagli e dorature” (fig. 3); l’inaugurazione avvenne durante la festa del Patrocinio di San Giuseppe, nel maggio del 1895. La mensa - all’epoca ovviamente nella dispo-sizione “preconciliare” a ridosso dell’ancona –

2.La tela del Nobili trafugata, copia di quella di Spillman e Gagliardi (distrutta nell’incendio del 1892)

3. La Cappella Maggiore all’epoca del Collegio recava verso l’aula un pannello asportabile in modo da consentire l’esposizione della teca con le spoglie di San Claudio Provinciale, conservata nella Cappella sin dal 1870, quando il “martire giovinetto” fu spostato nel Collegio con grande solennità. La tela, disposta centralmente al di sopra della mensa, era inquadrata da due colonne che sostenevano una trabeazione con soprastante timpano curvo; le colonne erano scanalate e rudentate per il terzo inferiore e decorate con motivi vegetali stilizzati per i restanti due terzi, mentre la trabeazione (lievemente aggettante in corrispondenza dei capitelli) recava nel fregio un elemento decorativo ripetuto; il timpano curvo ospitava il simbolo dello Spirito Santo, in forma di colomba, posto entro una ricca raggiera. La doratura di tutte le decorazioni (quelle citate e le altre cornici e intagli a rilievo presenti nell’ancona e nella mensa) spiccava sul chiarore della tinta di fondo, conferendo un certo tono di “ricchezza” all’insieme.

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4. L’altare nella attuale collocazione nella chiesa della Madonna del Buon Consiglio in Colle di Fuori Due statue in gesso raffiguranti i Santi Pietro e Paolo, collocate simmetricamente entro nicchie ai lati dell’altare, con altrettante consolle in legno dorato sottostanti, completavano l’arredo “più importante” della Cappella. Dopo la chiusura del Collegio nel 1953, soltanto le statue sono rimaste sino ad oggi nella Villa (trasferite al piano superiore ove danno il nome a uno degli ambienti del Centro Congressi). Le spoglie del Santo furono traslate, nel 1977, nella chiesa parrocchiale di San Pio X in Grottaferrata. La tela del Nobili risulta che fu trafugata nei tardi anni Settanta; di essa è disponibile una riproduzione fotografica nel volume Uomini per gli altri di p. Vito Bondani (mentre la foto del dipinto originale fu pubblicata nell’articolo su Il Mondragone del 1906). Nel 1983, successivamente al passaggio di proprietà della Villa dai Padri Gesuiti all’allora Seconda Università degli Studi di Roma Tor Vergata (1981) – per interessamento di padre

Severino Mecozzi e dietro autorizzazione del Direttore Amministrativo dell’Ateneo, dott.ssa Rosa Fusco Ciccone – il gruppo dell’altare (mensa ed ancona), privato del timpano curvo e di parte del basamento, fu collocato non troppo distante da Mondragone, nella chiesa della Madonna del Buon Consiglio in Colle di Fuori, frazione del Comune di Rocca Priora (fig. 4). Questa chiesa dalle insolite (ma pregevoli) forme – che le conferiscono un aspetto vagamente “alpino” (figg. 5, 6), specialmente riguardo al campanile e alla copertura – fu costruita nel piccolo borgo rurale – emergenza di spicco nella storiografia sociale della Campagna Romana – nel 1935, per volontà del cardinale Michele Lega (vescovo titolare della Diocesi Suburbicaria Tuscolana) e su progetto dell’ingegnere Carlo Strocchi (cugino del cardinale). Il gruppo ligneo proveniente da Mondragone, nonostante l’evidente difformità stilistica, si inserisce in modo non disdicevole nello spazio sacro contribuendo, anzi, a qualificarlo; esso, peraltro – a distanza di oltre un secolo dalla sua

5. Prospettiva dal progetto dell’ing. Strocchi per la chiesa di Colle di Fuori

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6. La chiesa della Madonna del Buon Consiglio in Colle di Fuori realizzazione e con la separazione tra mensa e ancona dovuta alle nuove esigenze liturgiche – risulta ancora ben conservato. La chiesa e i suoi apparati decorativi sono stati recentemente oggetto di rilevamenti e indagini storico-documentali (dalle quali provengono alcune immagini qui presentate) nell’ambito delle

attività di esercitazione del corso di Rilievo dell’Architettura della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata (fig. 7). Il lavoro, inizialmente svolto in gruppo dagli studenti Francesca Boschi, Alberto Chiarucci, Chiara Corsi, Emanuela Serpi, Roberto Verdinelli e Chiara Rossi, è stato poi approfondito da quest’ultima quale argomento della sua prova di primo livello in Ingegneria Edile, svolta nell’ambito della stessa disciplina. La neolaureata, in virtù di tale lavoro, ha recentemente conseguito uno dei premi banditi dalla XI Comunità Montana del Lazio – Castelli Romani e Prenestini per studi e ricerche svolti sul territorio di competenza, che le è stato consegnato proprio nel Salone degli Svizzeri della Villa, alla presenza di molte autorità e del Magnifico Rettore, professor Alessandro Finazzi Agrò.

Rodolfo Maria Strollo

7. La mensa dell’altare; disegno di rilievo

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Una passeggiata in relax Uno sguardo fuori dalla finestra in un momento di pausa di lavoro. E’ il tardo pomeriggio di una giornata di fine inverno. Il cielo è sereno ed il sole ha ancora qualche ora prima di tramontare. Stanco di lavorare spengo il computer, mi infilo una giacchetta, mi metto in tasca la piccola macchina fotografica digitale ed esco di casa. Passeggio senza una méta e senza pensieri nella mente. Cammino a passo lento guardando tutto quello che ho d’intorno e che ho già visto tante altre volte ma quasi sempre senza osservare: le belle ville ed i palazzi di epoca passata, con le inferriate alle finestre e le cancellate in stile floreale, con l’edera che ricopre gran parte delle pareti e con i fiori ai balconi . Uno o due secoli or sono queste case, ed anche quella dove abito, si affacciavano sull’Olona, uno dei corsi d’acqua che allora a cielo aperto attraversavano la città e che oggi sono tutti canalizzati sotto le strade di grande comunicazione.

A quel tempo, quando circolavano solo carrozze a cavalli, forse si riusciva a sentire anche il fruscio dell’acqua che scorreva lentamente. Oggi è il traffico di mezzi e di gente che scorre, con tanto rumore e confusione. Per trovare un po’ meno di frastuono e di movimento, mi inoltro nei vialetti alberati interni.

Attraverso un giardino con una area recintata con l’altalena, lo scivolo ed altri attrezzi per far giocare i bambini. Mi soffermo a godermi, con gli occhi di nonno, le corse e le baruffe dei piccoli spensierati che si divertono sotto lo sguardo vigile delle proprie mamme o di uno dei loro nonni. Riprendo la mia passeggiata. Fiancheggio l’alto muro di cinta del parco che circonda la imponente costruzione della Università Cattolica del Sacro Cuore. Non vedo nessuno attraverso l’ampio portone di accesso semiaperto. Non è ora di lezioni : non c’è la confusione di studenti che contraddistingue le scuole. Riprendo il cammino a passo lento; il vialetto sbuca in una strada trafficata e mi ritrovo nel caotico mondo dei frettolosi.

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Mi soffermo davanti al palazzo del Pontificio Istituto per le Missioni Estere, con annessa la Chiesa di S. Francesco Saverio, e poi rientro nelle viuzze interne, a gustarmi ancora un poco di tranquillità . Camminando noto il succedersi in maniera disordinata dei fabbricati di vecchio stile con quelli di costruzione più recente. E’ il moderno che ha riempito gli spazi vuoti lasciati dalle distruzioni dell’antico causate dalle incursioni aeree durante le guerre.

Nel viale, sotto gli alberi, ci sono anche delle panchine. Ne approfitto per riposarmi qualche attimo. Il traffico scorre abbastanza lontano per sentirlo come un sordo rumore di fondo che non disturba. Arriva un signore che porta a spasso il suo cane, mi saluta con un cenno e si allontana . Passano alcune macchine, ma non corrono. Incomincia a far freddo; il sole è molto basso sull’orizzonte e l’aria si è rinfrescata. Si fa sera, è l’ora di rientrare.

Avviandomi verso casa passo davanti alla abitazione di un noto personaggio della televisione.

La si riconosce facilmente la sua casetta a due piani: nel motivo ornamentale di marmo bicolore che percorre in orizzontale la facciata della graziosa villetta si è fatto inserire le iniziali del suo nome D ed M incrociate fra loro Simpatica persona questo signore: lo si vede spesso portare a passeggio il suo cane nei giardini prospicenti la sua casa o con le borse della spesa fatta al supermercato. Modesto e riservato, e ciò non di meno, ha scelto un modo alquanto strano per distinguersi ! Sono ormai vicino a casa. Il suono della sirena di una autoambulanza che si avvicina a gran velocità mi riporta alla movimentata realtà quotidiana. Il momento di relax è finito!

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rolando tonarelli (in collegio dal 1947 al 1953 )

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Le strutture archeologiche, attualmente visibili, nella Villa Mondragone di Monte Porzio Catone.

Francesco Grossi Gondi nella prefazione al suo libro “La villa dei Quintili e la villa di Mondragone” ad un certo punto dice: “…E le memorie della sua passata grandezza, ormai in gran parte perdute, andai io con amore rintracciando in quei ritagli di tempo che mi lasciarono liberi le ordinari occupazioni…” Noi ugualmente nei ritagli di tempo, abbiamo intrapreso l’esplorazione del territorio della villa Mondragone per poter ritrovare e vedere quanto ancora è presente delle antiche strutture. E il nostro progetto ha potuto essere portato a compimento quando i Padri Gesuiti sono stati in procinto di cedere la villa alla Università di Tor Vergata. Naturalmente abbiamo seguito le tracce lasciate e dal Grossi Gondi e dal Canina soprattutto per ritrovare le opere murarie ancora presenti. Infatti abbiamo potuto ritrovare e vedere le strutture prevalentemente a carattere idraulico, come la grande cisterna che fino ad epoca recente ha fornito il teatro delle acque, primitivamente, costruita per l’alimentazione della villa dei Quintili, e poi riparata dal Cardinale Marco Sitico Altemps per il rifornimento della nuova villa fatta da lui costruire sui resti di quella dei Quintili.

Inoltre a circa metà percorso del viale che dalla Villa Vecchia sale alla Villa Parisi, già Borghese e Taverna, vi è un’altra grande cisterna verosimilmente utilizzata per il rifornimento delle costruzioni presenti nel sito, dove oggi sorge il palazzo della villa Parisi, e probabilmente anche delle costruzioni presenti nella località oggi chiamata Bargo Borghese. Quest’ultima inoltre è quella conserva che molto probabilmente ha permesso il rifornimento idrico per l’esecuzione dei lavori di costruzione della villa Angelina, Tuscolana e Vecchia. Di queste due cisterne però, non è stato possibile fare i rilievi e le necessarie osservazioni, perché tuttora ripiene completamente di acqua. Della seconda, ovvero di quella presente sulla strada che conduce a villa Parisi, tuttavia esiste un rilievo effettuato da Luigi Canina, pubblicato nel volume “Descrizione dell’antico Tuscolo” nel 1841. Una terza grande conserva per le acque inoltre si trova in corrispondenza del limite superiore a sud del territorio denominato “Macchia della Formica”, dove è presente una cava di pozzolana, attualmente non più in funzione.

Pianta e sezione della cisterna situata sulla strada che da villa Vecchia sale a villa Parisi .

Da “Descrizione dell’antico Tuscolo” di Luigi Canina del 1841.

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Infatti, dopo essere entrati nello spazio lasciato dai prelievi del materiale pozzolanico, effettuati nel tempo, è possibile vedere sulla parete nord della cava una parte delle murature della cisterna messe allo scoperto dagli scavi effettuati per il prelievo del materiale. Quest’ultima conserva è costituita da dieci navate, disposte una a fianco dell’altra, e separate ognuna da un muro di metri 0,80 di spessore, aperto ad intervalli uguali da sei porte di metri 1,60 di larghezza e metri 2 di altezza. La cisterna misura in toto metri 20 sull’asse minore e metri 31,80 su quello maggiore. Ogni navata ha una lunghezza di metri 20, una larghezza di metri 2,50 e un’altezza di metri 4. Vi sono poi aperture rettangolari di circa 2 metri di lunghezza che presentano una chiusura effettuata con opus caementicium verosimilmente subito dopo il completamento dei lavori di costruzione. Queste aperture molto probabilmente sono state lasciate aperte fino al termine dei lavori di costruzione per l’esecuzione delle rifiniture all’interno della cavità. Questa cisterna quasi certamente ha svolto la funzione di serbatoio centrale e di limarla per, poi, rifornire le cisterne della sottostante villa dei Quintili, ma, quasi certamente, anche i serbatoi delle costruzioni presenti sui luoghi oggi occupati dalla villa Parisi, dalla villa Vecchia e dal Bargo Borghese.

Cisterna di “Macchia della Formica”. Parte delle strutture murarie della cisterna viste dalla cavità lasciata dagli scavi nella cava.

Le acque pervenute a questo serbatoio possono essere state convogliate da diversi punti e precisamente : dal cunicolo originario dall’acquedotto Aldobrandini che ancora oggi raggiunge la zona sovrastante le costruzioni della villa Mondragone; dal cunicolo proveniente da Rocca priora che attraversa la zona della Montagnola; e dalla sovrastante sorgente di Formello situata al di sotto dell’Eremo di Camaldoli. La costruzione è stata realizzata utilizzando l’opus caementicium con coperture a volta a tutto sesto dove sono presenti apertura circolari e quadrate, comunicanti con pozzi, verosimilmente lasciate per poter entrare nella cisterna per eventuali ispezioni, riparazioni e pulizie.

Veduta parziale di una delle navate della cisterna di “Macchia della Formica” dove sono visibili due porte di comunicazione tra una navata e l’altra, il notevole interramento della cisterna e sulla volta una delle aperture rettangolari chiuse con una gettata di opus caementicium al termine della costruzione della cisterna. L’epoca della sua costruzione può essere compresa tra il 50 a.C. e il 50 d.C. Durante l’esecuzione dei lavori per la ristrutturazione degli edifici da destinare agli scopi dell’Università sono riapparse molte delle strutture murarie dell’antico edificio. Ma già all’epoca del Nobile Collegio, diretto dai Padri Gesuiti, numerosi ritrovamenti sono stati effettuati e sistemati sulle pareti di una sala del piano superiore a costituire un piccolo antiquarium.

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_____________________________________________________________________________________________ N° 11 – Giugno 2006 pag.29 di 32

Inoltre, sempre durante i recenti lavori di ristrutturazione nella zona pressoché centrale del grande cortile interno, sono stati ritrovati i resti murari di un’altra grande cisterna. Vogliamo, poi, dire che la via proveniente dalla nuova strada del Tuscolo e diretta alla villa Mondragone, attuale strada di accesso ad una recente lottizzazione, verisimilmente in antico è stata un percorso utilizzato per raggiungere dalla città di Tuscolo la villa dei Quintili. Le antiche strutture della strada che avrebbero permesso la sua identificazione con

esattezza, molto probabilmente sono state asportate durante la sua ristrutturazione effettuata dai Borghese con la costruzione dell’Eremo di Camaldoli e l’ampliamento della villa Mondragone per poter più agevolmente effettuare il trasferimento da una delle due località all’altra. Infine vogliamo dire che sarebbe molto interessante se nel territorio della villa venissero effettuati degli scavi, perché certamente molte strutture murarie, e non solo, potrebbero essere portate alla luce per completare la storia di questo luogo. Luigi Devoti

Pianta e sezioni della cisterna di “Macchia della Formica”.

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Le Sorprese dei Mercatini di Massimo Carafa Jacobini (in collegio dal 1942 al 1946).

Riccione: mercatino ai giardinetti del pattinaggio,una cartolina di Luigi Filippo Von Mehelem,

Carissimo Luigi Filippo, fortunatamente gli studi andavano un po’ meglio, ma un bel tratto rosso su quel “ p’ò ” con troppi accenti te lo debbo mettere. Stai comunque tranquillo che la cara zia non avrà di certo meno gradita la tua cartolina per quel piccolo errore commesso da un piccolo convittore di Mondragone il 14 Maggio 1943. Un abbraccio. Massimo Carafa Jacobini

Foto di Luigi Filippo von Mehelem appena entrato in collegio nel 1942

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GLI AMICI , AI QUALI E’ STATA INVIATA LA TESSERA DI SOCIO ONORARIO DELLA NOSTRA ASSOCIAZIONE,

CHE CI HANNO INVIATO I LORO RINGRAZIAMENTI

Ciro Cacchione Presidente della FEDEREX. _____________________

Padre Gianpaolo Salvini S.I. Direttore de La Civiltà Cattolica.

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Padre Michele Laimer S.I. Prefetto in collegio dal 1945 al 1947. Vive ad Innsbruck. _____________________

Prof. Rodolfo Maria Strollo dell’Università degli Studi di Roma TOR VERGATA

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Ferdinando Sanfelice figlio del nostro Ex Marcello Sanfelice di Monteforte in collegio dal 1918 al 1921 e Presidente della Associazione Ex Alunni Nobile Collegio Mondragone

dal 1960 al 1991. _______________________

Annapia Sciolari sorella di Angelo in collegio dal 1940 al 1946 e di Adriano Sciolari in collegio dal 1941 al 1947 _______________________

Alessandro Sciolari figlio del nostro Ex Angelo, in collegio dal 1940 al 1946.

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Maria Arnaldi vedova del nostro Ex Francesco in collegio dal 1930 al 1938. _________________________

Valentin Kakarrigi in collegio dal 1938 al 1943. Vive a Tirana.

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redatto a cura di :

Vittorio Spadorcia

[email protected]

Rolando Tonarelli

[email protected]