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MERCOLEDÌ 30 MAGGIO 2012 15 Cultura «Leggere bene è uno dei grandi piaceri che la solitudine può concederci» Harold Bloom Letti per voi Lisa Oppici PEDAGOGIA, PAOLA CADONICI SPIEGA AI BIMBI COME FINISCE LA VITA NELLA «MORTE IN SOFFITTA» I l tema è ben più che affascinante, per chi ha a che fare con i bimbi ma non solo. In «La morte in soffitta» (sottotitolo, fondamentale: «E se i bam- bini la trovano?») la pedagogista, psico- terapeuta e logopedista parmigiana Pao- la Cadonici affronta un vero e proprio tabù, e lo «smitizza»: lo allontana in- somma dall’intoccabilità (e dalle spine) del tabù e prova a trattarlo normalmen- te. Come un argomento che può/deve far parte della quotidianità. Per l’autrice la prima regola per parlare della morte, ai bimbi ma non solo, è proprio questa: to- glierla dalla soffitta in cui è stata relegata, dalla bolla del «non si dice» in cui è spes- so confinata. «Per parlare di morte senza trasmettere angoscia gli adulti devono a loro volta averla superata. La difficoltà non sta nel trovare le parole giuste, ma nell’avere la serenità interiore per cercarle. Solo se si accetta la morte, come parte integrante della vita, si può insegnare ad accettarla. Ma per accettare la morte bisogna accettare la vita, amarla e perseguirla nella sua pienezza. Ecco perché il libro non parla della morte in senso stretto, ma anche di tutto ciò che svilisce la vita e la uccide», si legge nell’introduzione.Ecco dunque che, come spiega la stessa Cadonici, non di sola morte si tratta. Anzi, tutt’altro: il libro è di fatto «un inno alla vita» in cui ritroviamo molti dei temi cari alla pe- dagogista parmigiana: dall’elogio della lentezza e della semplicità (contro la fretta, addirittura quasi la frenesia, che caratterizza il nostro tempo) alla con- danna della tv e dei suoi «programmi sciocchi», dalla critica incondizionata del consumismo alla diseducatività di certi messaggi pubblicitari, dalla poten- za dei classici alla forza di storie, fiabe e leggende, che sono «un bel modo di rac- contare la complessità della vita ai bam- bini» e rappresentano un ottimo stru- mento formativo. Anche questo è un viaggio, come tutti i libri di Paola Ca- donici: che si appoggia al consueto mix di fiabe, canzoni, libri e film e che trae insegnamento dalle esperienze dirette con i suoi pazienti per farci da guida. Una guida «saggia», come sempre, che invita in primo luogo a guardarsi den- tro: a conoscersi, a cercarsi. Questa, sembra dire l’autrice, rimane la via mae- stra: anche per parlare di morte. La morte in soffitta Aracne, pag 126, 9,00 Intervista Salvatore Veca Filosofo e autore del romanzo «Sarabanda» C apita di rado, leggendo un’opera letteraria, di essere rapiti dalla potenza amma- liatrice della poesia che si fa racconto. Mentre tanti orro- ri vanno devastando la civiltà, ci con- forta la voce della «poiesis» che si spri- giona da «Sarabanda. Oratorio in tre tempi per voce sola» di Salvatore Veca (Feltrinelli, pag. 109, 12 euro). Una car- retta sul mare al largo di una costa pro- babilmente italiana reca a bordo una folla di migranti in fuga dalla guerra, dalla fame, dalla tirannia «con il sogno opaco di un altrove». Nella narrazione di un vecchio, carico di anni e di sag- gezza - una sorta di sciamano che ha vissuto, in tempi diversi, molte vite in molti luoghi del mondo - prendono cor- po tragedie storiche che trascinano la loro sanguinosa vicenda su questo lacri- moso teatro della terra. L’arte mimetica di Veca, esponente tra i più insigni della filosofia contemporanea (è attualmente ordinario di Filosofia politica all’Istituto universitario di Studi superiori di Pa- via), ci offre un racconto pregnante di storia e umanità, nel quale la scrittura entra in gara con la lingua del teatro, dando vita a intrecci senza numero tra immaginazione lirica e meditazione fi- losofica. Professor Veca, all’esordio del suo «Oratorio» leggo: «In principio era la voce. La voce che canta. Che implora. O sussurra. Che ingiunge e comanda. O piange e seduce. Voce di nenie e di fiabe e di canti e di lunghi poemi». E’ un omaggio all’epica, quale fonte del- la sua ispirazione? Ho scritto una prima versione di Saraban- Dramma senza fine Un barcone gremito di migranti tra la Sicilia e Malta. Arte Mostra a Viareggio Il '900 nelle raccolte civiche fiorentine II Il Comune di Viareggio, d’intesa con il Comune di Firenze, ha inaugurato alla GAMC Lorenzo Viani di Viareggio, una mostra (aperta fino al 25 novem- bre) dedicata ai capolavori de Il ‘900 nelle raccolte civiche fiorentine, a cura di Alessandra Belluomini Pucci, diret- tore della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, organizzata da Per- corsi d’Arte. Una selezione di 80 opere, tra dipinti e sculture, facenti parte del corpus delle collezioni del '900 custo- dite nei depositi dei Musei Civici fio- rentini, poco note al grande pubblico. La mostra, allestita seguendo un or- dine cronologico, suggerisce un parti- colare percorso nell’arte italiana del Novecento di oltre sessant’anni, a par- tire dal 1913 per arrivare fino al 1978, attraverso dipinti e sculture di: Baccio Maria Bacci, Afro Basaldella, Mirko Ba- saldella, Vinicio Berti, Renato Birolli, Floriano Bodini, Gino Bonichi (Scipio- ne), Antonio Bueno, Corrado Cagli, En- nio Calabria, Massimo Campigli, Do- menico Cantatore, Arturo Carmassi, Carlo Carrà, Felice Casorati, Mauro Chessa, Galileo Chini, Pietro Consagra, Primo Conti, Antonio Corpora, Giovan- ni Costetti, Roberto Crippa, Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis, Piero Dorazio, Agenore Fabbri, Enzo Faraoni, Pericle Fazzini, Ferruccio Ferrazzi, Salvatore Fiume, Lucio Fontana, Oscar Ghiglia, Emilio Greco, Virgilio Guidi, Renato Guttuso, Giovanni Korompay Carlo Le- vi, Moses Levy, Riccardo Licata, Osval- do Licini, Mino Maccari, Alberto Ma- gnelli, Mario Marcucci, Marino Marini, Arturo Martini, Carlo Mattioli, Giusep- pe Migneco, Sante Monachesi, Giorgio Morandi, Ennio Morlotti, Fausto Pi- randello, Domenico Purificato, Mario Radice, Domenico Rambelli, Mario Reggiani, Manlio Rho, Ottone Rosai, Aligi Sassu, Pio Semeghini, Gino Se- verini, Mario Sironi, Ardengo Soffici, Alberto Sughi, Emilio Vedova, Giusep- pe Zigaina e altri maestri. Narratore e poeta Claudio Piersanti. Carrette del mare, epica del dolore «Alla diversità e alla ''porosità'' dei confini ho dedicato le mie ricerche. E' una sfida per tutti noi, in un mondo che cambia» di Sergio Caroli Il '68 raccontato attraverso una vicenda ambientata a Urbino. Rigoroso realismo e delicatezza psicologica Paolo Lagazzi II Tra i poeti e i narratori giunti a espri- mersi in Italia dopo Pasolini, credo che nessuno abbia saputo esplorare così lu- cidamente il terreno vasto e dissestato del Sessantotto come Umberto Piersan- ti. Già nella sua seconda raccolta di ver- si, «Il tempo differente», apparsa nel ‘74, il poeta cominciò a interrogarsi sul senso delle assemblee continuamente proclamate dal Movimento Studente- sco nelle università occupate, e nel ro- manzo «L'uomo delle Cesane», uscito vent'anni dopo, alcune pagine cruciali tornarono a evocare episodi, personaggi e momenti di quella «stagione di vento» e di fuochi, di pietre, di rabbia e di sogni. cerche filosofiche sul paradigma dell’in- certezza e dell’incompletezza. E credo si tratti di una sfida per tutti noi, in un mondo che cambia. Il vecchio scruta forse le sorti dell’Oc- cidente su cui pare incombere la ca- tastrofe? Nel terzo tempo dell’Oratorio i migranti sono sbarcati e il vecchio rimane solo. Nel crepuscolo e, poi, nella notte. Sulla scena rimane lui e rimane la carretta del mare, che affonda lentamente, come l’animale morente. Il vecchio non ri- sponde più alle domande dei migranti. E’ lui che pone domande a se stesso. E ini- zia l’indagine sul senso delle cose. Le voci che ora ascolta, mentre la barca affonda, sono l’eco dei grandi repertori di saggez- za, di speranza e di civiltà. Il vecchio ha visioni: visioni occidentali e visioni orientali. Alla fine, sembra che del sogno di una cosa resti ben poco. E che il si- lenzio sia destinato a prevalere. Alla fine, sembra che il bilancio conosca più per- dite che profitti, per dirla con T. S. Eliot. C'è luce di speranza? Credo di sì. Ma lascio al lettore o all’ascoltatore della voce e delle voci d’umanità la risposta. Alla fine, quando è ormai buio, il vecchio scorge nell’acqua scura, vicino al pontile, la testa del bam- bolotto di Nelson, il piccolo di Chika. Con un occhio vuoto. Il vecchio la rac- coglie e quel piccolo occhio vuoto gli ri- corda le piccole porte da cui può venire un Messia, di cui parlava Walter Ben- jamin. Il vecchio si alza, e riprende il suo viaggio. Forse, la speranza sta sempli- cemente in questo semplice gesto. Sarabanda Feltrinelli, pag. 109, 12,00 da per il teatro Nohma di Milano. Per questo, il tema della voce è naturale e, del resto, accompagna l’ascoltatore o il lettore dall’inizio alla fine. Vi è una voce che nar- ra e vi sono mille voci d’umanità nell’Ora- torio. E’ il mio omaggio all’epica e alla «phoné», come avrebbe detto Carmelo Bene. Ed è anche il promemoria semplice del nostro rivolgere parole ad altri. Con- tro la condanna al silenzio. O all’afasia. Nel primo tempo ci sono tre donne. Che cosa rappresentano? Laila, l’afghana, è la prima delle tre donne che sulla zattera del mare narrano la loro esperienza della fuga e dell’angoscia di una decisione terribile: quella dell’addio a un paese e a un mondo che non lascia speranza. Laila vuole fare pediatria, ma non può. Vuole scegliere il suo futuro di donna, ma non può. L’altra è Chika, che con il suo piccolo Nelson viene dalla So- malia e scappa per fame e condanna alla solitudine. La terza è Zahra, che fugge da Teheran dove non può fare musica all’aperto, né amare all’aperto. Il vecchio sciamano risponde alle loro domande con voci di donna. Con voci di poesie di don- ne, da Saffo a Achmatova, a Dickinson. Il secondo tempo parla delle cose d’amore. Perché questo tema? Il tema dell’amore irrompe nel secondo tempo con la storia di Yamila e Shahbal. Due giovani iraniani che si reincontrano sulla barca, dopo l’estate della speranza e della oppressione a Teheran, al tempo del- la grande partecipazione giovanile alle elezioni del 2009. Cose d’amore possono aver luogo anche sulle carrette del mare. Il tema dell’amore chiama in causa la forza suprema del desiderio che salva, o può sal- vare, il riconoscimento d’umanità anche nelle condizioni della perdita e della più dura minaccia. Ma, come quello della vo- ce, anche il tema dell’amore, nelle sue me- tamorfosi, accompagna chi legge sino alla fine dell’Oratorio. Nel secondo tempo, vi è luce aurorale, dopo la notte di bonaccia. E il vecchio riconosce nel volo dei gabbiani il promemoria della Sarabanda d’umanità. Grazie alle cose d’amore. E alle voci che nel tempo le salvano e le custodiscono. «Sarabanda» è una selva di significati e allegorie. Quale le piace sottolineare? Alla base, il riconoscimento del fatto o del valore della diversità. L’umanità è, o dovrebbe essere, riconosciuta come un pasticcio di modi diversi di essere diver- si. In fondo, Sarabanda è un termine che designa una danza un po' «disordina- ta». Alla questione della diversità e della variabilità o della porosità dei confini di un qualche «noi» ho dedicato le mie ri- La storia Un vecchio saggio risponde alle domande dei migranti in fuga dalla guerra alte della vita: la bellezza degli ornelli e degli aceri, degli scòtani o dei bianco- spini; la dolcezza delle diverse ore di luce nei cieli tra Urbino, le Cesane, l’Appen- nino e il mare; la tenerezza fragile, forte e radiosa dei corpi delle ragazze da ac- carezzare, abbracciare, penetrare... Tut- te le forme di stupore e incantagione attraversate dal poeta e dal narratore nei suoi libri precedenti tornano esaltate dalla forza di un contrasto tra l’ideologia e la vita teso fino all’estremo, fino a un aut aut senza scampo, senza compro- messi possibili. Mai le lucciole hanno tanto brillato nel profumo delle notti estive, mai i tramonti hanno striato, co- me i pennelli di un maestro del Rina- scimento, l’azzurro disteso tra i crinali, mai la chiostra dei monti attorno a Ur- bino è stata così «luminosa e perfetta» come in queste pagine schiuse allo sguardo di chi desidera sottrarsi alla morsa delle parole astratte e delle idee preconcette, senz'anima. Le fughe di Andrea non sono mai semplici immersioni in un’arcadia. Gli stati di grazia o di estasi, sospesi «dentro gli anni e le vicende» come raggi lunari, epifanie angeliche o vascelli lievissimi di nubi - per quanto, allo stesso tempo, con- creti come la pelle delle donne, la cor- teccia degli alberi o il buon cibo delle tavole contadine - sono minacciati senza tregua dal tempo: anche i giorni più belli si concludono troppo presto, così come gli incontri d’amore. Questa potenza di- struttiva del tempo genera a tratti dolore o sgomento nel protagonista, eppure la sua forza sta proprio nell’accettare che ogni esperienza si consumi, perché solo attraverso la fine tutto ricomincia: il pal- pito dell’alba come il mormorìo di un ruscello odoroso di «canna verde e ra- ganelle», la possibilità di ritrovare l’amo- re come quella di perdersi tra le quercelle o i carpini, i prugnoli o gli anemoni... Nato come necessario rendiconto di un ragazzo con le grevi illusioni sessan- tottesche, il romanzo si conclude ideal- mente con alcune pagine dedicate alla più magica festa di Urbino, quella degli aquiloni, a cui anche Andrea partecipa. Tra gli aquiloni multicolori che si in- trecciano e volano «nella limpida luce di settembre», uno, dipinto di blu, s'innal- za più degli altri, fugge verso le Cesane... Ormai è irraggiungibile, come ogni at- timo della nostra vita quando si perde nei cieli della poesia. Cupo tempo gentile Marcos y Marcos, pag. 224, 18,00 Narrativa «Cupo tempo gentile», romanzo di Claudio Piersanti Stagione di sogni e di rabbia Ora il romanzo «Cupo tempo gentile» riprende e dilata quegli spunti riflessivi e narrativi creando un arazzo di figure, d’incontri e scontri che ha anzitutto il respiro fosco, crudo e dissonante di un’età a suo modo appassionata ma sof- focata dalle angustie dell’ideologia. Al centro di questa pullulante tessitura sta Andrea, esplicito alter ego dell’autore. Mentre racconta i dibattiti e le oc- cupazioni nelle scuole di Urbino, Pier- santi sa restituire i diversi volti del Mo- vimento con un realismo rigoroso, direi filologico nella fedeltà delle inquadra- ture. Benché tra i protagonisti e i com- primari del Sessantotto marchigiano non manchino giovani segnati da una specie di leggendaria, romantica bellez- za, ciò che soprattutto emerge dalle pa- gine del libro è il lato dogmatico della contestazione: le sue parole d’ordine, le acritiche, infantili esaltazioni di Stalin e Mao, la sistematica negazione di ogni vero confronto di idee. Rispetto a tutto ciò, Andrea, per quanto coinvolto in pri- ma persona dalle iniziative dei «com- pagni», si sente molto presto portato a un dissenso personale che lo pone, ai loro occhi, in una zona a parte, quasi come un individuo ambiguo o un «re- visionista». In realtà questo ragazzo condivide sinceramente l’esigenza della propria generazione di cambiare la storia, di li- berarla dalle troppe storture e ingiusti- zie che l’imprigionano, ma ciò che lo rende diverso è la sofferta consapevo- lezza di quanto inadeguate a realizzare questa esigenza siano le violente, rozze scorciatoie «rivoluzionarie» proposte da troppi suoi coetanei. Ciò che egli so- gna nel profondo dell’anima è un mon- do più «gentile», franco e delicato, ca- pace di sciogliere i rapporti tra gli esseri dalle catene della falsità, dell’ipocrisia e del moralismo. Poiché lo spirito dei suoi giorni si mostra sordo a questa sete di gentilezza, o di umana schiettezza, egli cerca per proprio conto degli sbocchi, dei passaggi verso le verità più semplici e

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MERCOLEDÌ 30 MAGGIO 2012 15

Cultura«Leggere bene è uno dei grandi piaceri

che la solitudine può concederci»Harold Bloom

Letti per voi

LisaOppici

PEDAGOGIA, PAOLACADONICI SPIEGAAI BIMBI COMEFINISCE LA VITANELLA «MORTEIN SOFFITTA»

Il tema è ben più che affascinante,per chi ha a che fare con i bimbi manon solo. In «La morte in soffitta»

(sottotitolo, fondamentale: «E se i bam-bini la trovano?») la pedagogista, psico-terapeuta e logopedista parmigiana Pao-la Cadonici affronta un vero e propriotabù, e lo «smitizza»: lo allontana in-somma dall’intoccabilità (e dalle spine)del tabù e prova a trattarlo normalmen-te. Come un argomento che può/deve farparte della quotidianità. Per l’autrice laprima regola per parlare della morte, aibimbi ma non solo, è proprio questa: to-glierla dalla soffitta in cui è stata relegata,

dalla bolla del «non si dice» in cui è spes-so confinata. «Per parlare di morte senzatrasmettere angoscia gli adulti devono aloro volta averla superata.

La difficoltà non sta nel trovare leparole giuste, ma nell’avere la serenitàinteriore per cercarle. Solo se si accettala morte, come parte integrante dellavita, si può insegnare ad accettarla. Maper accettare la morte bisogna accettarela vita, amarla e perseguirla nella suapienezza. Ecco perché il libro non parladella morte in senso stretto, ma anche ditutto ciò che svilisce la vita e la uccide»,si legge nell’introduzione.Ecco dunque

che, come spiega la stessa Cadonici, nondi sola morte si tratta. Anzi, tutt’altro: illibro è di fatto «un inno alla vita» in cuiritroviamo molti dei temi cari alla pe-dagogista parmigiana: dall’elogio dellalentezza e della semplicità (contro lafretta, addirittura quasi la frenesia, checaratterizza il nostro tempo) alla con-danna della tv e dei suoi «programmisciocchi», dalla critica incondizionatadel consumismo alla diseducatività dicerti messaggi pubblicitari, dalla poten-za dei classici alla forza di storie, fiabe eleggende, che sono «un bel modo di rac-contare la complessità della vita ai bam-

bini» e rappresentano un ottimo stru-mento formativo. Anche questo è unviaggio, come tutti i libri di Paola Ca-donici: che si appoggia al consueto mixdi fiabe, canzoni, libri e film e che traeinsegnamento dalle esperienze direttecon i suoi pazienti per farci da guida.Una guida «saggia», come sempre, cheinvita in primo luogo a guardarsi den-tro: a conoscersi, a cercarsi. Questa,sembra dire l’autrice, rimane la via mae-stra: anche per parlare di morte.�

�La morte in soffittaAracne, pag 126, €9,00

Intervista Salvatore Veca Filosofo e autore del romanzo «Sarabanda»

Capita di rado, leggendoun’opera letteraria, di essererapiti dalla potenza amma-liatrice della poesia che si faracconto. Mentre tanti orro-

ri vanno devastando la civiltà, ci con-forta la voce della «poiesis» che si spri-giona da «Sarabanda. Oratorio in tretempi per voce sola» di Salvatore Veca(Feltrinelli, pag. 109, 12 euro). Una car-retta sul mare al largo di una costa pro-babilmente italiana reca a bordo unafolla di migranti in fuga dalla guerra,dalla fame, dalla tirannia «con il sognoopaco di un altrove». Nella narrazionedi un vecchio, carico di anni e di sag-gezza - una sorta di sciamano che havissuto, in tempi diversi, molte vite inmolti luoghi del mondo - prendono cor-po tragedie storiche che trascinano laloro sanguinosa vicenda su questo lacri-moso teatro della terra. L’arte mimeticadi Veca, esponente tra i più insigni dellafilosofia contemporanea (è attualmenteordinario di Filosofia politica all’Istitutouniversitario di Studi superiori di Pa-via), ci offre un racconto pregnante distoria e umanità, nel quale la scritturaentra in gara con la lingua del teatro,dando vita a intrecci senza numero traimmaginazione lirica e meditazione fi-losofica.Professor Veca, all’esordio del suo«Oratorio» leggo: «In principio era lavoce. La voce che canta. Che implora.O sussurra. Che ingiunge e comanda.O piange e seduce. Voce di nenie e difiabe e di canti e di lunghi poemi». E’un omaggio all’epica, quale fonte del-la sua ispirazione?Ho scritto una prima versione di Saraban-

Dramma senza fine Un barcone gremito di migranti tra la Sicilia e Malta.

Arte Mostra a Viareggio

Il '900 nelleraccoltecivichefiorentineII Il Comune di Viareggio, d’intesa conil Comune di Firenze, ha inauguratoalla GAMC Lorenzo Viani di Viareggio,una mostra (aperta fino al 25 novem-bre) dedicata ai capolavori de Il ‘900nelle raccolte civiche fiorentine, a curadi Alessandra Belluomini Pucci, diret-tore della Galleria d’Arte Moderna eContemporanea, organizzata da Per-corsi d’Arte. Una selezione di 80 opere,tra dipinti e sculture, facenti parte delcorpus delle collezioni del '900 custo-dite nei depositi dei Musei Civici fio-rentini, poco note al grande pubblico.

La mostra, allestita seguendo un or-dine cronologico, suggerisce un parti-colare percorso nell’arte italiana delNovecento di oltre sessant’anni, a par-tire dal 1913 per arrivare fino al 1978,attraverso dipinti e sculture di: BaccioMaria Bacci, Afro Basaldella, Mirko Ba-saldella, Vinicio Berti, Renato Birolli,Floriano Bodini, Gino Bonichi (Scipio-ne), Antonio Bueno, Corrado Cagli, En-nio Calabria, Massimo Campigli, Do-menico Cantatore, Arturo Carmassi,Carlo Carrà, Felice Casorati, MauroChessa, Galileo Chini, Pietro Consagra,Primo Conti, Antonio Corpora, Giovan-ni Costetti, Roberto Crippa, Giorgio DeChirico, Filippo De Pisis, Piero Dorazio,Agenore Fabbri, Enzo Faraoni, PericleFazzini, Ferruccio Ferrazzi, SalvatoreFiume, Lucio Fontana, Oscar Ghiglia,Emilio Greco, Virgilio Guidi, RenatoGuttuso, Giovanni Korompay Carlo Le-vi, Moses Levy, Riccardo Licata, Osval-do Licini, Mino Maccari, Alberto Ma-gnelli, Mario Marcucci, Marino Marini,Arturo Martini, Carlo Mattioli, Giusep-pe Migneco, Sante Monachesi, GiorgioMorandi, Ennio Morlotti, Fausto Pi-randello, Domenico Purificato, MarioRadice, Domenico Rambelli, MarioReggiani, Manlio Rho, Ottone Rosai,Aligi Sassu, Pio Semeghini, Gino Se-verini, Mario Sironi, Ardengo Soffici,Alberto Sughi, Emilio Vedova, Giusep-pe Zigaina e altri maestri.�

Narratore e poeta Claudio Piersanti.

Carrette del mare,epica del dolore«Alla diversità e alla ''porosità'' dei confini ho dedicato le miericerche. E' una sfida per tutti noi, in un mondo che cambia»di Sergio Caroli

Il '68 raccontato attraversouna vicenda ambientataa Urbino. Rigoroso realismoe delicatezza psicologica

Paolo Lagazzi

II Tra i poeti e i narratori giunti a espri-mersi in Italia dopo Pasolini, credo chenessuno abbia saputo esplorare così lu-cidamente il terreno vasto e dissestatodel Sessantotto come Umberto Piersan-ti. Già nella sua seconda raccolta di ver-si, «Il tempo differente», apparsa nel‘74, il poeta cominciò a interrogarsi sulsenso delle assemblee continuamenteproclamate dal Movimento Studente-sco nelle università occupate, e nel ro-manzo «L'uomo delle Cesane», uscitovent'anni dopo, alcune pagine crucialitornarono a evocare episodi, personaggie momenti di quella «stagione di vento»e di fuochi, di pietre, di rabbia e di sogni.

cerche filosofiche sul paradigma dell’in -certezza e dell’incompletezza. E credo sitratti di una sfida per tutti noi, in unmondo che cambia.Il vecchio scruta forse le sorti dell’Oc -cidente su cui pare incombere la ca-t a s t ro f e ?Nel terzo tempo dell’Oratorio i migrantisono sbarcati e il vecchio rimane solo.Nel crepuscolo e, poi, nella notte. Sullascena rimane lui e rimane la carretta delmare, che affonda lentamente, comel’animale morente. Il vecchio non ri-sponde più alle domande dei migranti. E’lui che pone domande a se stesso. E ini-zia l’indagine sul senso delle cose. Le vociche ora ascolta, mentre la barca affonda,sono l’eco dei grandi repertori di saggez-za, di speranza e di civiltà. Il vecchio havisioni: visioni occidentali e visioniorientali. Alla fine, sembra che del sogno

di una cosa resti ben poco. E che il si-lenzio sia destinato a prevalere. Alla fine,sembra che il bilancio conosca più per-dite che profitti, per dirla con T. S. Eliot.C'è luce di speranza?Credo di sì. Ma lascio al lettore oall’ascoltatore della voce e delle vocid’umanità la risposta. Alla fine, quandoè ormai buio, il vecchio scorge nell’acquascura, vicino al pontile, la testa del bam-bolotto di Nelson, il piccolo di Chika.Con un occhio vuoto. Il vecchio la rac-coglie e quel piccolo occhio vuoto gli ri-corda le piccole porte da cui può venireun Messia, di cui parlava Walter Ben-jamin. Il vecchio si alza, e riprende il suoviaggio. Forse, la speranza sta sempli-cemente in questo semplice gesto.�

�SarabandaFeltrinelli, pag. 109, € 12,00

da per il teatro Nohma di Milano. Perquesto, il tema della voce è naturale e, delresto, accompagna l’ascoltatore o il lettoredall’inizio alla fine. Vi è una voce che nar-ra e vi sono mille voci d’umanità nell’Ora -torio. E’ il mio omaggio all’epica e alla«phoné», come avrebbe detto CarmeloBene. Ed è anche il promemoria semplicedel nostro rivolgere parole ad altri. Con-tro la condanna al silenzio. O all’afasia.Nel primo tempo ci sono tre donne.Che cosa rappresentano?Laila, l’afghana, è la prima delle tre donneche sulla zattera del mare narrano la loroesperienza della fuga e dell’angoscia diuna decisione terribile: quella dell’addio aun paese e a un mondo che non lasciasperanza. Laila vuole fare pediatria, manon può. Vuole scegliere il suo futuro didonna, ma non può. L’altra è Chika, checon il suo piccolo Nelson viene dalla So-

malia e scappa per fame e condanna allasolitudine. La terza è Zahra, che fugge daTeheran dove non può fare musicaall’aperto, né amare all’aperto. Il vecchiosciamano risponde alle loro domande convoci di donna. Con voci di poesie di don-ne, da Saffo a Achmatova, a Dickinson.Il secondo tempo parla delle cosed’amore. Perché questo tema?Il tema dell’amore irrompe nel secondotempo con la storia di Yamila e Shahbal.Due giovani iraniani che si reincontranosulla barca, dopo l’estate della speranza edella oppressione a Teheran, al tempo del-la grande partecipazione giovanile alleelezioni del 2009. Cose d’amore possonoaver luogo anche sulle carrette del mare. Iltema dell’amore chiama in causa la forzasuprema del desiderio che salva, o può sal-vare, il riconoscimento d’umanità anchenelle condizioni della perdita e della piùdura minaccia. Ma, come quello della vo-ce, anche il tema dell’amore, nelle sue me-tamorfosi, accompagna chi legge sino allafine dell’Oratorio. Nel secondo tempo, vi èluce aurorale, dopo la notte di bonaccia. Eil vecchio riconosce nel volo dei gabbiani ilpromemoria della Sarabanda d’umanità.Grazie alle cose d’amore. E alle voci chenel tempo le salvano e le custodiscono.«Sarabanda» è una selva di significati eallegorie. Quale le piace sottolineare?Alla base, il riconoscimento del fatto odel valore della diversità. L’umanità è, odovrebbe essere, riconosciuta come unpasticcio di modi diversi di essere diver-si. In fondo, Sarabanda è un termine chedesigna una danza un po' «disordina-ta». Alla questione della diversità e dellavariabilità o della porosità dei confini diun qualche «noi» ho dedicato le mie ri-

La storiaUn vecchio saggiorisponde alle domandedei migranti in fugadalla guerra

alte della vita: la bellezza degli ornelli edegli aceri, degli scòtani o dei bianco-spini; la dolcezza delle diverse ore di lucenei cieli tra Urbino, le Cesane, l’Appen -nino e il mare; la tenerezza fragile, forte eradiosa dei corpi delle ragazze da ac-carezzare, abbracciare, penetrare... Tut-te le forme di stupore e incantagioneattraversate dal poeta e dal narratore neisuoi libri precedenti tornano esaltatedalla forza di un contrasto tra l’ideologiae la vita teso fino all’estremo, fino a unaut aut senza scampo, senza compro-messi possibili. Mai le lucciole hannotanto brillato nel profumo delle nottiestive, mai i tramonti hanno striato, co-me i pennelli di un maestro del Rina-scimento, l’azzurro disteso tra i crinali,mai la chiostra dei monti attorno a Ur-bino è stata così «luminosa e perfetta»come in queste pagine schiuse allosguardo di chi desidera sottrarsi allamorsa delle parole astratte e delle ideepreconcette, senz'anima.

Le fughe di Andrea non sono maisemplici immersioni in un’arcadia. Glistati di grazia o di estasi, sospesi «dentrogli anni e le vicende» come raggi lunari,epifanie angeliche o vascelli lievissimi dinubi - per quanto, allo stesso tempo, con-creti come la pelle delle donne, la cor-

teccia degli alberi o il buon cibo delletavole contadine - sono minacciati senzatregua dal tempo: anche i giorni più bellisi concludono troppo presto, così comegli incontri d’amore. Questa potenza di-struttiva del tempo genera a tratti doloreo sgomento nel protagonista, eppure lasua forza sta proprio nell’accettare cheogni esperienza si consumi, perché soloattraverso la fine tutto ricomincia: il pal-pito dell’alba come il mormorìo di unruscello odoroso di «canna verde e ra-ganelle», la possibilità di ritrovare l’amo -re come quella di perdersi tra le quercelleo i carpini, i prugnoli o gli anemoni...

Nato come necessario rendiconto diun ragazzo con le grevi illusioni sessan-tottesche, il romanzo si conclude ideal-mente con alcune pagine dedicate allapiù magica festa di Urbino, quella degliaquiloni, a cui anche Andrea partecipa.Tra gli aquiloni multicolori che si in-trecciano e volano «nella limpida luce disettembre», uno, dipinto di blu, s'innal-za più degli altri, fugge verso le Cesane...Ormai è irraggiungibile, come ogni at-timo della nostra vita quando si perdenei cieli della poesia.�

�Cupo tempo gentileMarcos y Marcos, pag. 224, €18,00

Narrativa «Cupo tempo gentile», romanzo di Claudio Piersanti

Stagione di sogni e di rabbiaOra il romanzo «Cupo tempo gentile»riprende e dilata quegli spunti riflessivie narrativi creando un arazzo di figure,d’incontri e scontri che ha anzitutto ilrespiro fosco, crudo e dissonante diun’età a suo modo appassionata ma sof-focata dalle angustie dell’ideologia. Alcentro di questa pullulante tessitura staAndrea, esplicito alter ego dell’autore.

Mentre racconta i dibattiti e le oc-cupazioni nelle scuole di Urbino, Pier-santi sa restituire i diversi volti del Mo-vimento con un realismo rigoroso, direifilologico nella fedeltà delle inquadra-ture. Benché tra i protagonisti e i com-primari del Sessantotto marchigianonon manchino giovani segnati da unaspecie di leggendaria, romantica bellez-za, ciò che soprattutto emerge dalle pa-gine del libro è il lato dogmatico dellacontestazione: le sue parole d’ordine, leacritiche, infantili esaltazioni di Stalin eMao, la sistematica negazione di ognivero confronto di idee. Rispetto a tuttociò, Andrea, per quanto coinvolto in pri-

ma persona dalle iniziative dei «com-pagni», si sente molto presto portato aun dissenso personale che lo pone, ailoro occhi, in una zona a parte, quasicome un individuo ambiguo o un «re-visionista».

In realtà questo ragazzo condividesinceramente l’esigenza della propriagenerazione di cambiare la storia, di li-berarla dalle troppe storture e ingiusti-zie che l’imprigionano, ma ciò che lorende diverso è la sofferta consapevo-lezza di quanto inadeguate a realizzarequesta esigenza siano le violente, rozzescorciatoie «rivoluzionarie» proposteda troppi suoi coetanei. Ciò che egli so-gna nel profondo dell’anima è un mon-do più «gentile», franco e delicato, ca-pace di sciogliere i rapporti tra gli esseridalle catene della falsità, dell’ipocrisia edel moralismo. Poiché lo spirito dei suoigiorni si mostra sordo a questa sete digentilezza, o di umana schiettezza, eglicerca per proprio conto degli sbocchi,dei passaggi verso le verità più semplici e