da: carlo ricci oggetto: cronistoria cari compagni del ’68, · 2017. 12. 11. · da: carlo ricci...
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Da: Carlo Ricci
Oggetto: Cronistoria
Cari compagni del ’68,
riflettere sul sessantotto in Italia implica la necessità di inquadrare il movimento innanzitutto nel suo
contesto mondiale da cui prende le mosse.
[Gli inizi]
Il movimento ha avuto inizio in America a Berkeley nel 1964 – come una rivolta culturale e politica contro la
guerra nel Vietnam dove i giovani americani,tramite la leva obbligatoria,venivano troppo spesso mandati li a
morire.
Non va dimenticato che la guerra cominciata nel 1962 è stata voluta da quel mito americano e mondiale di
nome Kennedy. E' costata la vita a circa 40.000 giovani americani ed è terminata nel 1975 con la caduta di
Saigon.
La contestazione in America aveva dunque delle motivazioni concretissime ( era una questione di vita o di
morte per i giovani americani), ma il movimento in America è stato anche un movimento civile a favore
delle rivendicazioni dei negri americani ( Martin Luther King ). Più in generale il movimento aveva
individuato nel principio di autorità, la giustificazione di ogni potere nella società. Questo è il motivo per cui
il movimento si è mosso per svelare il reale contenuto di questo principio mostrandone la sua vera faccia
fatta troppo spesso di arbitrii, di inganni,di interessi contrari al bene comune, in una parola il contenuto
amorale spesso individuabile dietro il principio stesso di autorità.
Un'autorità che aveva perso ogni autorevolezza per diventare arbitrio.
La contestazione americana aveva sollevato anche il problema del sistema scolastico antiquato ed obsoleto e
non più al passo con le esigenze della nuova società americana che si stava velocemente evolvendo. Alcuni
eventi hanno contribuito a condizionare il movimento a livello mondiale, i più rilevanti sono stati: Ottobre
1967 la morte di Che Guevara in Bolivia. Con lui moriva l'utopia rivoluzionaria come strumento di
liberazione di tutti i popoli oppressi del mondo e per la costruzione di una società fatta di libertà e difesa
della dignità umana. Nasce però il suo mito, agli occhi di tutti i giovani d'Occidente, per cui il Che è stato, ed
è ancora, l'eroe senza macchia che ha lottato per la giustizia e la libertà dei popoli.
Nella repubblica Cinese il 68 rappresentò il momento più alto della rivoluzione culturale avviata nel 1966. Il
movimento vide, anche in questa iniziativa di Mao, una possibile alternativa al sistema capitalistico–
occidentale, un'utopia che presto si rivelò tale, non bastava il libretto rosso per cambiare in meglio il mondo.
La rivolta studentesca e popolare in Cecoslovacchia condusse alla cosiddetta primavera di Praga, soffocata
dai carri armati di Breznev, 20 agosto 1968. Come si può ben vedere siamo in presenza di una serie di eventi
che mostrano un crescente grado di instabilità delle società occidentali, in particolare, il sintomo di un
malessere diffuso che stentava a trovare uno sbocco in termini di nuovi assetti politici e soprattutto culturali
e i giovani sono stati in prima linea con le loro aspirazioni ad una maggiore libertà e ad un rinnovamento
sociale frustrati da un potere politico autoritario e culturalmente arretrato.
In Francia la rivolta studentesca prese le mosse in seguito all'approvazione di una riforma scolastica, ( la
riforma Fouchet ) volta a selezionare gli studenti più capaci, per sviluppare il settore scientifico-tecnologico
necessario allo sviluppo industriale del paese (la scuola al servizio del potere industriale francese). Nel 1968
esplose il maggio francese, una rivolta indirizzata direttamente contro lo stato francese. Le richieste degli
studenti della Sorbona e di Nanterre riguardavano la partecipazione degli studenti alla gestione degli atenei,
contro la dittatura dei baroni accademici. Il motto era; l'immaginazione al potere, l'unione degli operai e degli
studenti.
Scioperi e devastazioni ed una anarchia generale investì l'intero paese. L'Assemblea Generale venne sciolta e
furono indette nuove elezioni da parte del presidente De Gaulle. L'esito fu una vittoria schiacciante dei
gollisti che col tempo mise fine alle lotte studentesche. C'è da ricordare che nel maggio francese il generale
De Gaulle non disdegnò di far entrare i carri armati a Parigi per chiarire, ove ce ne fosse bisogno, la natura
del potere.
[In Italia]
In Italia, nel gennaio del 1966, ci fu la prima occupazione a Trento della facoltà di Sociologia contro il piano
di studi e lo statuto di quella università. Va ricordato che l'occupazione si concluse a causa dell'alluvione di
Firenze, dove accorsero molti studenti da tutte le università, anche straniere, per aiutare la città a riprendersi (
gli angeli del fango).
In quell'anno il giornale studentesco “La Zanzara” del liceo Parini di Milano, pubblicò un sondaggio
inchiesta su tematiche sessuali intitolato: un dibattito sulla posizione della donna nella nostra società-
cercando di esaminare i problemi del matrimonio, del lavoro femminile e dei sessi. Nell'articolo c'era scritto:
vogliamo che ognuno sia libero di fare ciò che vuole a patto che ciò non leda la libertà altrui,- perciò assoluta
libertà sessuale e modifica totale della cultura e della morale corrente. La religione è portatrice di sensi di
colpa.
Il preside e i redattori del giornale furono rinviati a giudizio e assolti dal giudice Luigi Bianchi d'Espinosa
con la seguente motivazione: non montatevi la testa, tornate al vostro liceo e cercate di dimenticare questa
esperienza senza atteggiarvi a persone più importanti di quello che siete.
Questo episodio, più di altri, dà l'idea di che cosa era l'Italia negli anni sessanta ( quelli del boom
economico), un paese arretrato culturalmente, autoritario, conformista e clerico-fascista, non era come si
direbbe oggi un paese per giovani, e tale rimarrà fino ad oggi. Cercheremo nel prosieguo di queste brevi note
di spiegarne il motivo.
[Scuola e Università]
Più in generale per capire la situazione della scuola e dell'università in Italia negli anni sessanta del
novecento bisogna usare un po' di numeri. Nel 1956-57 gli iscritti all'università erano 212.000, nel 1967
erano 425.000, l'università d'élite era diventata di massa. I baroni universitari avevano in mano
l'insegnamento, le aule erano super affollate, i laboratori pochi ed inadeguati, come pure i seminari, gli
insegnanti, molti dei quali precari e subordinati ai baroni, detti professori ferrovieri, apparivano solo per le
lezioni, non c'erano rapporti con gli studenti, i baroni apparivano di rado preceduti dal tappeto rosso nel
corridoio davanti alle aule e poi te li trovavi davanti agli esami.
Nel 1967 furono occupate dagli studenti le università di Pisa, Palazzo Campana a Torino, La Cattolica a
Milano e il 1° marzo 1968 – Valle Giulia a Roma, dove si svolse la famosa battaglia di Valle Giulia, fra la
polizia e gli studenti. Pier Paolo Pasolini prese l'occasione per schierarsi dalla parte della polizia in un
famoso articolo che, insieme ad altri, andrà poi a formare gli altrettanto famosi “Scritti corsari”.
Era meglio se il mito della cultura di sinistra in Italia fosse stato zitto invece di atteggiarsi a giudice
inappellabile, come troppo spesso gli piaceva apparire. Vale comunque la pena riportare le sue parole verso
gli studenti di Valle Giulia “Avete la faccia di figli di papà. Vi odio come odio i vostri papà. Buona razza
non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete pavidi, incerti, disperati. Benissimo, ma sapete anche come
essere prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati,prerogativa piccolo borghese, cari. Quando ieri a Valle
Giulia avete fatto a botte con i poliziotti io simpatizzavo con i poliziotti, perché i poliziotti sono figli di
poveri, hanno vent'anni, la vostra età, cari e care. Siamo ovviamente d'accordo contro l' istituzioni di
polizia, ma prendetevela con la magistratura e vedrete! I ragazzi poliziotti che voi, per sacro teppismo, di
eletta tradizione rinascimentale di figli di papà, avete bastonato, appartengono all'altra classe sociale. A
Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe e voi, cari, benché dalla parte della ragione,
eravate i ricchi, mentre i poliziotti, che erano dalla parte del torto erano i poveri.” Questo si che è parlar
chiaro! Come definire questo? Uno sfogo senza alcun raziocinio? Ma qui si parla di odio di “piccolo
borghesi” il termine equivale al massimo del disprezzo possibile, ma il mito degli intellettuali di sinistra non
si era accorto che fra gli studenti di Valle Giulia c'erano anche i figli degli operai e dei contadini del
mezzogiorno e che molti di loro erano più poveri dei poveri poliziotti? Ammesso che la povertà sia una
categoria benemerita, come lascia intendere Pasolini. I figli di papà di cui parla se ne infischiavano
dell'Università, tanto il loro avvenire era comunque sicuro e ben protetto, quelli a cui interessavano gli studi
e l'Università come possibile riscatto dalla condizione di subalternità sociale ed economica erano proprio gli
studenti figli di operai e contadini odiati dal Sig. Pasolini, per i quali l'Università rappresentava, diremmo
oggi, l'ascensore sociale, unico mezzo per la realizzazione dei propri sogni di riscatto sociale. Quando però
sfida gli studenti a misurarsi con i magistrati “prendetevela con i magistrati e vedrete!”. Li c'è di più, è come
dire prendetevela con il potere repressivo dello stato e vedrete come lo stato vi schiaccerà come vermi. Il
potere dello stato saprà vendicare i poveri poliziotti, che miseria! La verità è che in questo blaterare di
Pasolini c'è solo odio e disprezzo per gli studenti, mascherato con la difesa della povertà dei poliziotti
proletari, perché l'ipocrita difesa della povertà degli ultimi sarà il filo conduttore proprio degli “atteggiamenti
impegnati” di quella borghesia italiana benpensante, oggi diremmo politicamente corretta- di cui il Sig.
Pasolini, senza mai ammetterlo, ha sempre fatto parte insieme a tutti i suoi vizi.
[Cultura, sviluppo e movimento]
Tornando al movimento studentesco, nel maggio 1968 tutte le università italiane erano occupate esclusa la
Bocconi, ogni università aveva i suoi leader e i suoi miti: Mario Capanna, Luca Cafiero a Milano, Luigi
Bobbio e Guido Viale a Torino, Massimo Cacciari, Toni Negri ed Emilio Vesce a Padova, Franco Piperno e
Oreste Scalzone a Roma, Gian Mario Cazzaniga e Adriano Sofri a Pisa. Ogni università esprimeva le proprie
rivendicazioni, ma tutti contestavano le materie di insegnamento, il modo in cui venivano insegnate, i metodi
con cui gli studenti venivano valutati durante gli esami e il potere debordante dei baroni universitari. Tutti
rilevavano che l'università con il suo insegnamento oltre modo teorico era avulsa dalla realtà del paese, tutti
percepivano, specialmente gli studenti che venivano dalle scuole tecniche, abituati ad approcci empirici e
legati alle realtà professionali e produttive del paese, che quella università era fuori dal tempo inidonea a
preparare le future classi dirigenti del paese. In poche parole l' università italiana con i suoi riti, con la sua
cultura astratta dalla realtà era per tutti gli studenti una delusione. L'apertura delle università italiane agli
studenti provenienti dagli istituti tecnico-commerciali e industriali veniva sbandierata, specie dai partiti della
sinistra, come una grande conquista democratica di cui si vantavano: anche l'operaio avrà il figlio dottore, in
realtà di democratico c'era ben poco. L'apertura dell'Università ai figli degli operai, è stata semplicemente
una necessità per lo sviluppo del paese. L'Italia ambiva a diventare una potenza industriale ed economica a
livello mondiale, ma questa ambizione era preclusa perché l' università di élite di gentiliana memoria, sempre
sbarrata alle classi popolari, non produceva sufficienti laureati per raggiungere le mete che si prefiggeva. In
particolare l'industria aveva bisogno di laureati tecnico – scientifici se voleva crescere ed affermarsi nel
mondo. Ecco che l'apertura delle università agli studenti degli istituti tecnico -commerciali e industriali era
diventata una necessità non un atto di giustizia sociale come sbandierato. Recentemente Prodi ha dovuto
ammettere che il miracolo economico dell'Italia degli anni sessanta si è potuto realizzare grazie ai periti
industriali e alle loro competenze tecnico scientifiche,cioè grazie a quella cultura scientifica che produce,
direbbe Croce con disprezzo, solo pseudo concetti. Ma l'università non seppe o non volle adeguarsi a queste
necessità, rimase nei suoi contenuti educativi, nelle sue strutture e in generale nella sua cultura complessiva
formatasi nell' idealismo fascista, autoreferenziale e fatti salvi anche risultati brillanti dovuti a individualità
eccezionali ( i ragazzi di via Panisperna), arretrata.
La cultura, direbbe Pasolini, espressione di quella borghesia codarda, opportunista e aggiungo io reazionaria
e clericale propria dell'Italia. Questo sul piano culturale ed educativo, ma anche sul piano delle infrastrutture,
dei programmi d'insegnamento, del corpo docente ecc. in poche parole un pasticcio all'italiana dove gli
studenti erano la carne da cannone a disposizione della selezione baronale.
La rivolta studentesca in Italia nasce in questo contesto e non poteva essere diversamente.
Gli studenti purtroppo, sia per inesperienza sia per una intrinseca incapacità di leggere la realtà che stavano
vivendo, (di mettere a fuoco gli interessi che la contestazione minacciava di intaccare) trovarono
difficilissimo dare un senso compiuto alle loro rivendicazioni, per cui molta della protesta era di fatto sterile
e inefficace. Agli occhi di molti le rivendicazioni apparivano assurde e volte ad ottenere il famigerato “pezzo
di carta” senza studiare e senza sacrificarsi. Studenti fannulloni che pretendevano il trenta sul libretto senza
studiare, con esami collettivi e su materie scelte da loro. I professori apparivano dei poverelli alla mercé di
una moltitudine di bifolchi maleducati e violenti: questo il clima che si venne a creare.
In questo contesto invece, come già detto, si manifestava il malcontento generale e la delusione degli
studenti verso il modo in cui venivano gestiti gli studi universitari, verso i metodi didattici obsoleti ed
arrangiati alla meglio, senza alcuna attinenza con la realtà del mondo del lavoro vero, estremamente astratti a
mai comparati con quelli di altri paesi che per noi erano sconosciuti.
[La politicizzazione]
Era fatale che gli studenti volgessero lo sguardo anche al mondo del lavoro, agli operai ( spesso loro padri o
fratelli) per fare fronte comune contro il sistema di potere che dominava la società italiana di allora. Era
anche inevitabile che il movimento degli studenti del 68 facesse i conti
con le grandi ideologie che erano state e che continuavano ad essere il motore delle lotte operaie dell' otto-
novecento. La politicizzazione del movimento era nell'ordine delle cose, anche sotto la spinta dei partiti che
cercavano di accaparrarsi il suo consenso, in particolare il PCI, che tentò di fagocitare il movimento stesso.
Le utopie proprie delle ideologie di destra e di sinistra trovarono terreno fertile nelle giovani menti degli
studenti aperte a visioni di società egualitarie, giuste e libere, Che Guevara l'eroe delle rivoluzioni libertarie,
diventa il loro idolo come Mao, il già vecchio rivoluzionario con il suo libretto rosso, la summa del nuovo
sapere politico. Le delusioni per molti saranno cocenti.
Alla fine i gruppi studenteschi più estremisti e visionari rincorreranno il sogno di una rivoluzione all'italiana,
nasceranno Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Potere Operaio ed infine Le Brigate Rosse con la loro
scia di sangue; il resto è cronaca che arriva fino ai giorni nostri, ma con il segno indelebile di un grande
fallimento politico e culturale.
[Dopo il ‘68]
Gli ex giovani studenti del 68 hanno dovuto poi, come tutti, affrontare la vita che gli si parava davanti,
alcuni, nonostante tutto, si sono laureati e sono entrati nelle professioni, nella fabbriche, negli uffici, hanno
messo su famiglia, hanno messo al mondo figli, sono diventati dei borghesi; alcuni hanno fatto politica con
Berlusconi e contro Berlusconi, altri sono diventati dirigenti e pure professori universitari e spesso sono
anche diventati baroni e, lungi dell'aver migliorato l'università, hanno finito per trasformarla in un nuovo
baraccone, dove sempre più giovani non vogliono più entrare; un grande guaio che ancora nessuno capisce
come andrà a finire, alla faccia della buona scuola di Renziana memoria. Un certo numero di ex studenti del
68 non si è laureato, ma anche loro hanno singolarmente, come è capitato ai laureati, affrontato la vita che gli
si parava davanti, alcuni hanno avuto successo, altri meno, alcuni hanno fatto politica, tutti sono diventati
borghesi, hanno anche loro messo su famiglia e fatto figli e come gli altri sono lentamente ed
inesorabilmente invecchiati, ma tutte le domande, tutti i sogni, tutti i problemi, tutte le illusioni e tutte le
speranze vissute nel 68 sono in fondo ancora vive il loro, ma c'è qualcosa che comunque li inquieta e li
rattrista, la società italiana che oggi ci circonda è per buona parte il frutto del loro operato e della loro
cultura, quella che hanno appreso nelle università del 68 e che allora hanno contestato e che alla fine li ha
vinti. L'autoritarismo dei baroni è ancora lì, l'ipocrisia è dilagante, il perbenismo e il clientelismo pure, la
caccia all'interesse personale è pane di ogni giorno, come la corruzione, la truffa e il peculato; il bene
comune nessuno sa più cosa sia, quello che è stato realizzato è un paese senza più principi guida, senza valori
e senza ideali, senza speranze. Le istituzioni sono occupate da schiere di politici incompetenti e spesso
disonesti, da mandrie di burocrati parassiti e onnipotenti, la magistratura e la ipertrofica avvocatura e quindi
la giustizia nazionale sono fra le peggiori al mondo. Un quadro desolante nonostante il mito europeo in
decomposizione, la moneta unica e la potente BCE di Mario Draghi. Lo Stato è, per i tanti che lavorano
onestamente e pagano le tasse, un moloch che con le sue centinaia di migliaia di leggi sconvolge ogni giorno
la vita dei cittadini onesti, che si intromette in ogni dove fin dentro la vita privata dei cittadini per definire,
insieme alla onnipresente chiesa cattolica,arbitrariamente, ciò che è legale o illegale, ciò che è ammesso e
ciò che è vietato ciò che è bene e ciò che è male, altro che stato etico di fascistica memoria, qui siamo allo
stato totalitario dove i cittadini non contano nulla e perciò si allontanano sempre più dalla politica e dalle
istituzioni, non vanno neanche più a votare. Eppure questo stato totalitario non riesce più a garantire
l'inviolabilità dei confini nazionali che sono anche quelli europei, qui si entra e si esce a piacimento, si
accolgono milioni di diseredati da tutto il mondo in nome di un umanitarismo irresponsabile, ma questi
flussi migratori di fatto non sono governati e al novanta per cento le persone accolte, a spese dei cittadini
italiani, non hanno titolo a rimanere nel nostro paese perché non fuggono da guerre o da persecuzioni
politiche o religiose, sono emigrati economici e perciò di fatto clandestini. Questa situazione genera nuova
criminalità e la sicurezza dei cittadini non è più garantita, ma nemmeno il lavoro e la previdenza sociale lo
sono, tutto è permeato di incertezza e precarietà e di ombre sul nostro futuro e quello dei nostri figli. Quelli
che denunciano tutto questo e chiedono nuove politiche, una diversa cultura che ci guidi fuori da questa
situazione, sono chiamati spregiativamente populisti, razzisti, xenofobi ecc.
La propaganda politica, contro ogni evidenza, incita all'ottimismo, dice che la crisi economica e politico che
dura ormai da dieci anni è superata che la ripresa è in atto che ci sarà nuova occupazione specie per i giovani
che intanto, specie se laureati e preparati, fuggono dall'Italia verso altri paesi, la Germania, l'Inghilterra, gli
Stati Uniti e perfino la Spagna perché dicono che in questo paese non c'è avvenire per loro. Gli ex giovani
del 68, ormai attempati, non possono dirsi estranei a questo stato di cose, specie quelli che hanno fatto
carriera politica. Per loro la fantasia al potere non è mai esistita, sono esistite invece le vecchie visioni
ideologiche, di destra e di sinistra, poco conta ormai, dove le verità di destra e di sinistra erano già ben
definite, come pure i valori e gli ideali per cui vivere, dove i nemici dell'umanità erano ben individuati e dove
ogni sforzo razionale per capire la realtà e governarla al meglio è stato abolito. In poche parole i ribelli del
68, quelli che sognavano una nuova società libertaria, pluralista, laica, culturalmente evoluta in sintonia con i
progressi scientifici e culturali in atto, politicamente e civilmente impegnata, dove ogni cittadino è tutelato
nella sua dignità e dove la vita poteva essere vissuta al riparo dalla povertà e dalle ingiustizie, hanno fallito
insieme a tutti gli altri, anche a quelli che si sono opposti a questi sogni perché confliggenti con i loro
interessi e soprattutto con il potere economico e politico già in loro mani.
In fondo, forse senza accorgersene, hanno continuato a praticare la stessa cultura che hanno voluto contestare
e che non hanno saputo analizzare fino in fondo, forse perché gli mancavano gli strumenti concettuali.
Hanno messo la coscienza a posto diventando pacifisti, umanitaristi, terzomondisti, egualitaristi, multi etnici,
multirazziali e multi religiosi, tolleranti ed accoglienti e predicando l'uguaglianza di tutti gli uomini e donne
a livello planetario, nonché la pari dignità di ogni civiltà presente sulla terra, nonché la fratellanza universale;
in poche parole sono diventati politicamente e culturalmente corretti, allineati perfettamente ai parametri di
una certa cultura di sinistra e a quella cattolico clericale.
Molti di loro sono stati promotori entusiasti della fondazione di un partito il PD frutto della fusione degli ex
comunisti con i cattolici clericali, hanno unito le future e gloriose sorti progressive alla provvidenza divina
per il bene del mondo.
[La realtà odierna]
Cari vecchi compagni politicamente corretti vi posso informare che il mondo che voi sognate non esiste e
non è mai esistito. Il mondo non è qualcosa che si muove verso future glorie progressive scritte nel suo
DNA, a cui nessuno può opporsi, come sognava il determinista Marx e non è nemmeno il luogo della
provvidenza divina che tutto vede e che a tutto provvede per la gloria dell'umanità e di dio che l'ha creata. Il
mondo è un luogo meraviglioso, ma anche molto pericoloso, imprevedibile, contraddittorio, irrazionale ed
estremamente complesso e di difficile comprensione dove vivono gli uomini che sono una specie animale
intelligente, ma che agisce più spesso in modo irrazionale, spinta quasi sempre dai sentimenti e dalle
passioni più che dalla razionalità. E' una specie che conosce la pietà, ma nello stesso tempo è violenta, in
specie verso i suoi simili, spietata verso quelli che ritiene siano i suoi nemici, egoista e bugiarda con una
ipertrofica considerazione di sé, tanto che si ritiene creata ad immagine di dio e ha in sé una volontà innata di
potenza e di sopraffazione dei suoi simili e del mondo.
La civiltà creata da questi animali intelligenti è una leggera mano di vernice colorata sulla sostanza di cui si è
detto sopra. Preservare intatta questa vernice è cosa assai difficile che richiede un impegno continuo senza
sosta e a guidare questo impegno non può che essere l'intelligenza razionale di cui fortunatamente l'uomo è
ben dotato, unitamente ai valori etici e morali di cui ha saputo dotarsi nella sua opera di auto civilizzazione.
L'animale intelligente dovrà guardarsi bene dal creare false verità ( speriamo che abbia capito che -la verità-
è solo una chimera che ti illude e ti inganna) e falsi principi inviolabili, diritti universali che poggiano sul
nulla, e dovrà ricordarsi che sui presunti valori e sui principi inviolabili, sono state commesse le peggiori
atrocità ed ingiustizie contro l'umanità,e dovrà ricordarsi che il biasimato -buon senso comune- rimane
nonostante tutto, un pilastro solido su cui appoggiarsi.
Proclamare in pompa magna sempre nuovi diritti sociali, porre al bando la violenza, le prevaricazioni, la
guerra quando siamo letteralmente circondati dalle violenza e dalle guerre, promuovere l'edificazione di
società multi etniche, portando nel mondo la salvifica democrazia dove non è mai esistito nulla di
vagamente simile, è una pura utopia velleitaria che non cambia di un millimetro la realtà del mondo. C'era
una volta il vecchio professor Sartori che cercava di spiegare a questi “politicamente corretti” che la nostra
società non sarebbe mai riuscita ad integrare gli islamici, con tutta la più buona volontà, ma il professore, che
ha insegnato tanti anni alla Columbia University, veniva deriso con supponenza dagli intellettuali
nostrani,che non si sono mai curati di conoscere le motivazioni delle sue affermazioni, anzi le hanno
osteggiate apertamente, con argomentazioni puramente ideologiche, in seguito abbiamo potuto verificare nei
fatti come stavano le cose, semplicemente contando i morti.
Quelli che si sentono moralmente superiori, più avanzati culturalmente, più umani e più civili perché
predicano queste cose, o sono stolti o sono in malafede. Guardatevi attorno, ovunque ci sono guerre con
stragi di innocenti, soprusi di ogni genere, conflitti etnici, razziali e religiosi, il trionfo delle tirannie e dei
despoti e la democrazia in ritirata o inesistente nella maggioranza dei paesi.
[Il problema demografico]
Sempre il compianto prof. Sartori, di cui sento ogni giorno la mancanza, ha sempre cercato di spiegare, ai
politicamente corretti, che l'espansione demografica incontrollata in atto, in particolare in Africa, avrebbe
rappresentato il più grave pericolo per l'umanità, sia sotto il profilo sociale che ambientale. L'argomento,
come tutti possono constatare è un veto tabù, non si deve parlare di questo argomento, si deve solo sostenere
che la miseria dell'Africa è colpa del colonialismo e della rapina del continente da parte delle multinazionali
occidentali, che i poveri popoli africani, sono semplicemente sfruttati da noi occidentali, che lasciamo morire
di fame e di malattie i poveri bambini senza muovere un dito ecc.ecc. La chiesa ogni giorno si incarica di
informarci delle atrocità che si compiono in quel continente, mentre sollecita il versamento di soldi su
appositi conti correnti intestati a sue organizzazioni umanitarie e condanna, senza appello, l'uso di qualsiasi
contraccettivo per il controllo delle nascite, come il più grave dei peccati.
Per stare ai, fatti senza ipocrisie, riporto di seguito alcuni dati sullo sviluppo demografico di alcuni paesi del
nord Africa che si affacciano sul mediterraneo confrontando la loro popolazione del 1960 con l'attuale:
Marocco Tunisia Algeria Libia Egitto
1960 11.500.000 4.220.000 10.900.000 1.600.000 27.000.000
Oggi 32.000.000 11.000.000 38.700.000 6.250.000 94.000.000
Facciamo un raffronto grossolano, ma significativo: I cinque paesi nordafricani di cui sopra avevano nel
1960 una popolazione complessiva di 55.220.000 abitanti, l'Italia di allora da sola, ne aveva 50.600.000, una
differenza minore di cinque milioni di abitanti. Oggi l'Italia ha 62.900.000, i soliti paesi del nord Africa ne
hanno invece ben 181.950.000, una differenza di 119.050.000 abitanti. Che ne dite? Siete liberi di scegliere
quale economia applicare a questi paesi: il liberismo classico, l'economia sociale di mercato, l'economia
pianificata, l'economia mista, l'economia corporativa ? Qualunque sia la vostra scelta, una cosa è certa con
questa espansione demografica la povertà endemica è garantita con accoglienza o meno.
[Utopie e realtà]
L'umanità vive in un perenne stato di pericolo e nei migliore dei casi di grande incertezza per il suo futuro.
Non è fuggendo davanti a questa realtà con la proclamazione del bene universale, come fa ogni giorno il
papa che si migliora il mondo, ma lasciando da parte le utopie e operando con impegno ed intelligenza,
guardando la realtà senza illusioni e buonismi inutili e se è necessaria la forza bisogna usarla, l'inerme
armato solo delle sue buone ragioni e da spirito umanitario non ha mai fatto paura a nessuno e raramente ha
realizzato la pace.
La realtà, il mondo reale, la condizione dell'uomo nel mondo, l'uomo per quello che è non per quello che
dovrebbe essere è questo l'esercizio intellettuale che dobbiamo praticare ogni giorno e insegnare ai giovani.
La cultura che ci hanno propinato è esattamente il contrario di tutto questo. Il mondo e la nostra vita non
sono in viaggio per raggiungere nuovi e gloriosi traguardi futuri secondo una visione deterministica
contenuta in tutte le ideologie per cui ci siamo scannati. Non esiste nessuna provvidenza divina che tutto
vede e che a tutto provvede, a garanzia di una felicità eterna in paradiso. La condizione umana nel mondo, è
una condizione intrinsecamente difficile, per non dire tragica, e di questo dobbiamo avere coscienza e
renderci conto che, questa condizione, può essere migliorata solo ed esclusivamente attraverso il nostro agire
ed entro i limiti di quelle che sono le nostre possibilità e capacità che comunque sono limitate. Non sono
certo le metafisiche, di cui sono impregnate le ideologie, che ci possono aiutare in questo, ma il progresso
delle conoscenze scientifiche, che attraverso la verificazione empirica delle teorie, non scoprono la -verità-
come pretendono tutte le metafisiche, ma più modestamente ci dicono come presumibilmente funziona il
mondo.
Dobbiamo avere coscienza di questo e guardare in faccia la realtà senza paura, ma dobbiamo anche operare
con intelligenza per rendere la nostra vita quanto più possibile serena,spesso felice e sempre interessante.
Per questo non servono scorciatoie ed illusioni, ma razionalità, intelligenza, apertura mentale, conoscenza,
una vena di ironia e tanto coraggio, sapendo che i miracoli non esistono. Questa direte è una visione tragica,
preludio di una infelicità garantita, no! È solo prendendo atto della realtà e della nostra intrinseca debolezza e
finitezza, nasciamo e moriamo senza aver capito molto della vita e del perché abbiamo vissuto, ma se siamo
veri uomini, pur conoscendo il nostro destino nel mondo, lo accettiamo con gioia per quello che è, e
possibilmente sorridendo, ci diamo da fare per viverlo pienamente e gioendo per le piccole e grandi cose che
rendono la vita anche nel dolore meravigliosa. Filosoficamente parlando un uomo che tenta di comportarsi
così è a mio avviso il famigerato superuomo nietzschiano, il nobile di spirito, l'antitesi del piccolo borghese.
[La cultura e i saperi scientifici]
La cultura che ci è stata impartita nelle nostre scuole pubbliche, a partire dalle elementari per arrivare
all'università, non ha nulla a che fare con quanto detto sopra, anzi è la sua totale negazione.
Per evitare che voi pensiate che queste sono solo delle mie fantasie, senza alcun fondamento, vi riporto
quanto segue: “1911- 2011 L'Italia della scienza negata”, pagina culturale del Sole 24 Ore , commento al
libro di Armando Massarenti. Inizia così: immaginate di vivere in un paese in cui l'egemonia culturale è
dettata dallo spirito di un uomo che non eccelle solo nel proprio ambito, la matematica, ma è dotato anche di
una visione generale, storica, critica,dei diversi saperi scientifici, e che ama ricollocarli, nel loro continuo
intrecciarsi e progredire, entro una visione unitaria del sapere. Un uomo che, senza disdegnare le discipline
umanistiche, è ben consapevole di quanto la scienza abbia contribuito, e potrà in futuro contribuire,alla
crescita dell'industria, dell'istruzione generale, del vivere civile. Quest'uomo ha anche in mente, fin nei
dettagli, un sistema educativo critico e costitutivamente aperto - proprio come i saperi che intende rafforzare
e veicolare e come il “metodo” che ha già portato a scoprire fondamentali leggi di natura, e vuole mettere
tutto ciò al servizio di una scuola al passo coi tempi, che non sia concepita solo per una piccolissima élite,
ma che sappia stimolare l'intelligenza e la creatività del più ampio numero possibile di persone. Ora invece
pensate a un paese in cui l'egemonia è dettata da una filosofia che considera la scienza, e persino la
matematica, come una sorta di menomazione dell'intelletto, frutto di menti settoriali e limitate, soprattutto se
confrontate con le vette altissime di un sapere le cui leggi universali sono attingibili a livello metafisico da
poche menti elette, le sole capaci di nutrirsi di arte, filosofia e letteratura, cioè degli ingredienti dell'unica
cultura davvero degna di questo nome. E ora scegliete. In quale di questi due paesi preferireste essere nati?
Certo direte, nessuno dei due esiste allo stato puro, somigliano più a dei modelli archetipici che a descrizione
di mondi reali. Però se avete scelto il secondo, spero vi sia almeno chiaro che, nelle sue linee generali è
proprio quello in cui state vivendo. Almeno da un secolo a questa parte, da quando a Bologna si consumò
uno dei confronti culturali più drammatici della nostra storia. Il 6 aprile 1911 si tenne il congresso della
società filosofica italiana, fondata e presieduta dal grande matematico Federico Enriques, un formidabile
organizzatore culturale, autore di libri di storia della scienza, cofondatore della casa editrice Zanichelli e di
riviste filosofiche e scientifiche. Enriques riteneva che una filosofia degna di una società moderna non
potesse che essere pensata in stretta connessione con l'avanzare delle scienze
Così pensando si pose in aperto contrasto con l'emergente idealismo di Benedetto Croce e Giovanni Gentile,
con i quali cercò di instaurare un confronto civile, ma rimase sconcertato dalla violenza con cui questi
condussero la disputa. Quella degli idealisti non era la critica filosofica della scienza post positivista, che egli
auspicava, capace di entrare nel merito delle competenze di ambiti specifici e di contribuire alla loro crescita,
ma un modo apodittico ( evidente di per sé che non ha bisogno di dimostrazione ) di negare il connubio tra
scienza e filosofia, come se Leibniz e Cartesio non fossero stati insieme filosofi e scienziati. Ma fu proprio
quel tono sprezzante e liquidatorio ad inasprirsi durante la disputa e a segnare la sconfitta di Enriques. Gli fu
dato platealmente dell'incompetente, non solo in campo filosofico. Fu invitato in modo insultante a parlare
solo della sua materia, cioè di matematica, un sapere non per veri filosofi, ma per quegli – ingegni minuti-
che sarebbero appunto gli scienziati. Come si poteva, notò Gentile, che una rivista possa discutere in uno
stesso foglio, dell'elettro-magnetismo dell'universo, della medianità dei rapporti tra chimica e biologia, del
bisogno di luce che hanno le piante, della coscienza, della scuola elementare in Austria, della principali leggi
della sociologia, delle origini del celibato religioso, della riforma dell'insegnamento della matematica
elementare ecc. Secondo me, sentenziava Gentile, una tale rivista poteva solo incoraggiare il dilettantismo
scientifico di cui non so come possa giovarsi la scienza. Peccato che ne Croce ne Gentile potessero
apprezzare il valore dei- dilettanti – che scrivevano su Scientia, membri di quella comunità scientifica-
filosofica internazionale che,grazie anche ad intellettuali come Enriques, comprendeva anche il nostro
giovane stato nazionale. Qualche nome? Mach, Poincaré, Carnap, Rutherford,Lorenz, Russell, Einstein ecc.
ecc. Un pensiero però mi corre al miserabile Michael Faraday nato in un tugurio londinese di inizio
ottocento. La sconfitta di Enriques ha avuto conseguenze durature. Ha portato ad esempio alla costruzione
del sistema educativo gentiliano di cui noi siamo il prodotto. Enriques tenne il suo ultimo intervento
all'Accademia delle Scienze il 6 febbraio 1938. Pochi mesi prima che le leggi razziali, bandendo dalle scuole
e dalle università studenti e professori ebrei e libri di autori ebrei, gli tolgano la cattedra, la voce pubblica e
la parola scritta.
Ho voluto ricordare questi fatti perché la questione culturale è sempre centrale nella storia di un paese e la
nostra purtroppo non è fra le migliori ( fatte salve le debite eccezioni)e comunque sia che ci piaccia o no noi
siamo, culturalmente parlando, il frutto della scolarizzazione di massa i cui contenuti e la cui didattica sono
stati introdotti e definiti dai due personaggi, Croce e Gentile di cui si è detto e in linea con la loro cultura
idealista, che gli stessi hanno portato in Italia, assieme a Spaventa dalla Germania. Di fatto il loro pensiero è
una diretta derivazione dell' idealismo Hgeliano. A noi interessa in particolare il pensiero di Hegel come
espresso nella filosofia del diritto, perché la sua idea dello Stato sta, a mio parere, alla base di tutte le
ideologie totalitarie del ventesimo secolo e non è un caso che Gentile sia stato il teorico dello stato etico
fascista, in perfetta sintonia con la visione idealista Hegeliana. Non dovete pensare che io voglia farvi una
lezione di filosofia, ma alcuni aspetti dell'idealismo li dobbiamo esaminare proprio perché la nostra cultura è
stata condizionata da questa filosofia proprio attraverso Croce e Gentile. In particolare l'idea che noi abbiamo
dello stato e del suo rapporto con i cittadini. Un esame comparato per esempio con il pensiero empirista
inglese mi pare interessante. Non pensiate che la nostra costituzione,democratica per definizione,ci metta al
riparo da una cultura entro la quale, come rileva Armando Massarenti, stiamo vivendo da almeno un secolo a
questa parte. I principi fondanti della nostra costituzione, non sono estranei alla visione idealista e pertanto
non hanno arginato il debordante potere dello stato, che in quasi settanta anni ha trasformato i cittadini in
sudditi. Oggi i cittadini temono lo stato e lo considerano di fatto un nemico. Ma questa struttura dello stato
che spaventa il cittadino, da dove viene, quale è la cultura che l'ha ispirata?
Riporto l'idea di stato in Hegel ( che nella sostanza era anche quella dell'idealista Gentile) – filosofia del
diritto- L'uomo è l'individuo etico immesso nel sistema dei bisogni, che costituisce l'aspetto fondamentale
della società civile. Ma solo nello stato si realizza pienamente la sostanza infinita e razionale dello spirito. (
che realizza lo stato) – Lo stato è la realtà della libertà concreta. Esso da un lato è per l'individuo una forza
esterna che lo necessita e subordina a sé, dall'altro è il suo fine immanente, com'è il fine della famiglia e della
società civile che, rispetto ad esso, sono organismi particolari e imperfetti e devono dipendere dallo stato. -
Lo stato è volontà divina, in quanto attuale spirito esplicantesi a forma reale e ad organizzazione di un
mondo. Lo stato è strettamente collegato con la religione perché è la suprema manifestazione del divino nel
mondo; esso include perciò in sé la religione, l'arte e la filosofia e le fa valere come propri interessi, le
difende, le consolida. Quanto alla sovranità, lo stato la ricava non del popolo,che fuori e prima dello stato è
una moltitudine disorganizzata, ma da se stesso, dalla sua propria sostanza. Il popolo considerato senza il suo
monarca e senza l'organizzazione necessariamente e immediatamente connettiva della totalità, è la
moltitudine informe, che non è più stato, e alla quale non spetta più alcuna delle determinazioni che esistono
soltanto nella totalità in sé: sovranità, governo, giurisdizione, magistratura,classi, e qualsiasi altra.- Hegel
esclude pure, per lo stesso motivo, il principio democratico della partecipazione di tutti agli affari dello stato.
Il cittadino dunque entra a comporre lo stato solo in quanto svolge la sua attività concreta in una cerchia
determinata ( la classe, la corporazione ecc. ) e pertanto non sussiste una partecipazione diretta allo stato al di
fuori di questa cerchia. Detto questo si comprende che il cittadino è tale in quanto si identifica con la
struttura dello stato, fuori dallo stato non è nulla. Il benessere dello stato ha un diritto tutto diverso dal
benessere del singolo. Lo stato, come sostanza etica, ha la sua esistenza, cioè il suo diritto, in una esistenza
non astratta, ma concreta, e soltanto questa esistenza concreta, può essere principio del suo agire e del suo
comportamento. In tal modo, il principio del machiavellismo è giustificato. Ora dentro la cultura idealista,
che ha permeato la cultura italiana a partire, come detto, dal 1911 in poi e fino alla seconda metà del 900, si è
andata formando tutta la classe dirigente che ha governato l'Italia fino ai giorni nostri. Quando nel 68 ci
siamo trovati di fronte ai baroni universitari, che in quegli anni avevano un'età attorno ai 50-60 anni, non ci
siamo resi conto che questi,culturalmente parlando, si erano formati nella cultura idealista-fascista
espressione dello stato di cui si è detto sopra. Dire di quella cultura che era reazionaria e illiberale è un
eufemismo, che era antiscientifica pure, considerate che Croce bollò gli scienziati con l'espressione vi chiana
di-ingegni minuti – non degni di fare filosofia e che nel 1938 si schierò contro il darwinismo responsabile,
secondo lui di- gettare l'uomo nell'abisso degenerante del materialismo-. L'onda lunga di questa cultura si è
fatta sentire ancora di recente quando, nel 2004, nell'occasione di una riforma dell'istruzione, l'allora
ministro dell'istruzione ( se non erro Letizia Moratti ) ha tentato,per fortuna senza successo, di cancellare
l'evoluzionismo dei programmi scolastici. Non dobbiamo neanche dimenticare che il ministro Gentile aveva
preteso il giuramento di fedeltà al fascismo, nel 1927-28 , da parte di tutti gli insegnanti, delle elementari e
delle scuole secondarie e superiori e a decorrere dal 1931 da parte dei professori universitari e che nel 1938
ci fu l'epurazione di tutti i professori ebrei dalle scuole di ogni ordine e grado comprese quindi anche dalle
università. I baroni universitari di allora si erano formati in quella cultura e se erano diventati democristiani,
socialdemocratici, liberali, socialisti e perfino comunisti, poco importa perchè le etichette politiche non
possono mai nascondere la sostanza delle cose. La nuova repubblica democratica era governata da loro e da
quelli come loro. Ai baroni era stata demandata la funzione di selezionare, nelle università, la grande massa
degli studenti frutto dell'apertura degli atenei agli istituti tecnici industriali e commerciali. La selezione
scontava dunque la cultura in forza della quale la selezione stessa veniva praticata che era appunto quella dei
baroni. Dunque chi superava la selezione, e anche quelli che non la superavano di fatto, entravano
nell'ambito di quella cultura, che noi contestavamo, ma che di fatto abbiamo accettato e abbiamo contribuito
in seguito a praticare. Non siamo stati capaci di contestarla fino in fondo, per opportunismo, per pigrizia o
perché non ci rendevamo conto di come stavano le cose.
[Struttura dello Stato]
Di più, anche la struttura politica e giuridico-istituzionale della nuova repubblica democratica ha risentito
enormemente di quella cultura. Per semplificare, ma non tanto, la nuova struttura dello stato democratico,
mantiene quella preminenza assoluta dello stato sui diritti dei cittadini, e con gli anni questa struttura di
potere si è ulteriormente rafforzata a danno dei cittadini stessi. Oggi lo stato, cosiddetto democratico, in tutti
i suoi gangli, ha raggiunto livelli tali di complessità, che per governarlo deve essere affidato a vere e proprie
caste di funzionari-burocrati che di fatto sono arbitre del potere reale e che tendono ad auto riprodursi
aumentando sempre più il loro potere. Lo stato interviene ovunque, in ogni ambito della società civile
limitando sempre più la libertà dei cittadini, è una rincorsa senza fine, dove il cittadino, privato di fatto di
ogni potere, si ritrova suddito obbediente. E non ditemi che comunque ci sono i partiti politici, che ci sono le
elezioni libere e democratiche dove il popolo sceglie i suoi rappresentanti in parlamento, che c'è il
parlamento che legifera in nome del popolo, e ci sono le istituzioni di garanzia ecc.; sta di fatto che un
numero sempre maggiore di cittadini, in certi casi addirittura la maggioranza, non va più a votare perché
giudica l'istituto del voto un rito che non produce più nulla e lo ritiene inefficace al fine di risolvere i
problemi che interessano i cittadini. Infine un potere politico autoreferenziale che ha di fatto perso ogni
autorevolezza di fronte ai cittadini, ma che, guidato sempre più da capi politici in cui i partiti stessi si
identificano, lottano al fine di occupare le istituzioni dello stato per gestirle a soli fini di potere, con una
fortissima incidenza di intrecci malavitosi tra politica, poteri economico-finanziari e anche organizzazioni
criminali organizzate. I cittadini sono diventati allora moltitudine informe, che non è più stato, e alla quale
non spetta più alcuna delle determinazioni che spettano solo allo stato di cui i cittadini non fanno più parte
perché lo stato riceve la sua sovranità dalla sua propria sostanza, come diceva Hegel? Ma la sua propria
sostanza non è altro che un élite di professionisti della politica, di funzionari-burocrati, di magistrati, di
esperti economico- finanziari, di professionisti della società civile che operano su mandato dello stato e da un
potere clericale che, nel caso dell'Italia, condiziona ogni determinazione del potere statuale al punto che non
si può più parlare di laicità dello stato, ma di stato confessionale, con tutte le conseguenze che ciò implica.
Questo stato di cose non può che determinare una decadenza irreversibile del paese, non solo sul piano
culturale, ma anche economico e spiega le difficoltà che incontriamo per uscire dalla crisi economica che ci
imprigiona ormai da dieci anni. Ma come detto la decadenza, prima che morale e materiale, è culturale.
Tornando a questa nostra cultura, essa è parte integrante dell'idea totalitaria del pensiero filosofico che parte
da Platone e arriva ad Hegel, che sintetizza il suo pensiero nella famosa frase -tutto ciò che è razionale è
reale e viceversa-. Questo che cosa significa? Significa che tra la realtà materiale e la realtà spirituale, non ci
sono barriere, - ideale- significa sostanzialmente dotato di una razionalità, dotato di una logica. Dotato di un
logos. Il logos è l'elemento unificante della realtà materiale e della ragione umana. La realtà non è altro che
materia organizzata in forme razionali. Ancora, si potrebbe dire, in altri termini, che c'è una realtà oggettiva
che viene rispecchiata dalla ragione soggettiva degli uomini. E' per questo motivo che per la visione
idealista, l'uomo è potente, perché può conoscere la realtà a la può dominare con procedimenti puramente
logico razionali. Dio ha creato la realtà in forma razionale, l'uomo, che possiede come dio la razionalità, può
a sua volta creare la sua realtà. E' proprio questa visione del mondo l'inganno che culturalmente ci domina.
Se il mondo è realtà razionale, allora anche il divenire del mondo non può che essere razionale, questo
significa che tutta la realtà si muove in modo deterministico, che viviamo un destino. Gli idealisti peraltro si
riconoscono nell'innatismo, cioè nel fatto che gli uomini nascono con idee innate, con l'idea di dio, del bene e
del male del giusto e ingiusto, dell'infinito, con le capacità logiche come il principio di non contraddittorietà,
con il senso morale ecc. A questa visione culturale si è contrapposta la cultura empirista, in particolare quella
inglese. Per John Locke l'innatismo non esiste, tutto quello che troviamo nella nostra mente deriva
dall'esperienza e non esistono idee che si riscontrino nella conoscenza senza un'origine empirica di esse. In
considerazione del fatto che, di fronte all'insolubilità di certi temi, Locke è convinto che questo potere
assoluto della ragione non esiste e quindi prima di avventurarsi a creare metodi conoscitivi, dobbiamo
definire i limiti delle nostre facoltà razionali e i limiti del nostro conoscere. La negazione delle idee innate,
non era una novità nella storia della filosofia, ma invece il suo empirismo, si differenzia dagli altri perché si
fonda sulla convinzione che non esista principio, nella morale come nella scienza, che possa ritenersi
assolutamente valido tale da sfuggire ad ogni controllo successivo dell'esperienza. Fra queste idee rientrano
anche quelle del cosiddetto “giusnaturalismo” che si concretizza nel riconoscere che in natura l'uomo è
portatore di diritti inalienabili: il diritto alla vita,alla libertà, all'uguaglianza civile, alla proprietà, che non
possono essere ceduti allo stato, che invece ha il compito di tutelarli. Allo stato gli uomini non possono
cedere tutti i diritti, ma solo quelli legati all'amministrazione della giustizia. Locke, come tutti i
giusnaturalisti, sosteneva la natura pattista dello stato, per cui il potere non può essere concentrato in
un'unica entità, né tanto meno il suo potere potrà essere irrevocabile, assoluto o indivisibile. Come vi sarete
accorti, quello che abbiamo definito è lo stato liberal-democratico, che è l'esatto opposto dello stato
totalitario di cui abbiamo dianzi discusso. L'empirista Hume per completare il quadro, dichiara
indimostrabile l'idea di causa-effetto, che è alla base di tutte le idee di relazione, considerandola come una
semplice connessione di idee dalla quale non si può affermare con certezza che questa connessione
corrisponda alla realtà. Mi scuso per questa che può sembrare una inutile chiacchierata filosofica, ma siamo
al dunque. La visione empiristica, di cui abbiamo brevemente trattato, sta alla base della scienza moderna
che si fonda sulla verifica empirica delle teorie che formula. Se le teorie elaborate dalla scienza, non
reggono alla verificazione empirica vengono ritenute errate, anche se ineccepibili sotto il profilo logico
razionale. La scienza non si pone il problema della verità, che ha condizionato tutta la cultura occidentale, la
scienza stabilisce solamente quello che funziona e quello che non funziona. La scienza con i suoi metodi
indaga il mondo nella sua materialità, non si interessa di idee trascendenti, non si interessa dello spirito
assoluto, delle idee assolute, non si interessa di dio. Noi formalmente viviamo in uno stato liberal-
democratico, ma la cultura che ci è stata impartita non è la cultura che ha prodotto quello stato e
conseguentemente la società democratica. La cultura che ci è stata impartita è la cultura idealista, quella che
ha generato lo stato totalitario e le dittature fasciste e naziste. Questo è il motivo per cui non amiamo la
scienza. La scienza, come detto, si interessa delle cose materiali, del finito, del reale, la scienza misura e
costringe sempre più l'uomo ha prendere coscienza della propria condizione con la quale deve fare i conti. La
cultura che ci è stata impartita, è buona per costruire ideologie, strutture metafisiche, apparati burocratici e
giuridici, letterature romantiche, pitture futuriste e tutto quello che ruota attorno all'irrazionale nonché al
religioso e al trascendentale ecc. Questa cultura alla fine, distrugge anche le strutture formali dello stato
cosiddetto democratico, perché e inconciliabile con la democrazia stessa. Le forze politiche che operano nel
nostro paese, sono anche loro, purtroppo, portatrici di questa cultura, e non potrebbe essere diversamente,
ma sono in buona compagnia, basta assistere a quello che avviene in Europa.
[L’Europa]
L'Unione Europea, non è altro che una grande costruzione metafisica, piena di principi, di grandi valori
umani, morali etici e politici posti a difesa dell'uguaglianza di tutti gli uomini, della dignità, della libertà,
della giustizia e che più ne ha più ne metta. Per far innamorare gli europei a questa idea di Europa, fu coniata
l'espressione “Europa dei popoli”. Ma se doveva essere l'Europa dei popoli, bisognava partire dei popoli
europei, dal basso, bisognava subito decidere quale doveva essere la lingua o le lingue degli europei,
bisognava immediatamente predisporre l'insegnamento, fin dalle elementari, di questa o quelle lingue che
avrebbero permesso ai giovani europei di comunicare fra di loro, di conoscersi di instaurare tra loro rapporti
di ogni tipo, culturali, economici,sentimentali, di amicizia ecc. La lingua è il principale veicolo, lo strumento
fondamentale senza il quale non può essere instaurato alcun rapporto umano, Oggi l'Europa è ancora una
babele di lingue e non basta l'erasmus per risolvere il problema. Bisognava ridurre il più rapidamente
possibile tutte le barriere fisiche poste fra i vari paesi europei per facilitare le vie di comunicazione, in primis
dovevano essere abbattute tutte le barriere doganali interne all'unione. Il trattato di Schengen è arrivato,
applicato gradualmente, solamente nel 1996 e solo fra 22 stati dell'unione, è stato sospeso innumerevoli volte
e tuttora lo è per alcuni paesi europei,al fine di impedire l'accesso ai migranti. Il trattato comunque è stato
mal congegnato. Bisognava soprattutto predisporre piani di lavoro per la creazione di una cultura europea
comune nei vari rami del sapere, da quelli letterari a quelli scientifici comprendenti anche le scienze sociali
e storiche. La costruzione di una cultura unificante per tutti i paesi aderenti all'unione europea, doveva essere
una priorità assoluta, in particolare i testi di storia dovevano essere redatti in modo veritiero e obiettivo, in
particolare avrebbero dovuto evidenziare le tragedie causate dai vari nazionalismi europei che avevano
condotto l'Europa, per ben due volte, ad un grande campo di battaglia con milioni di morti. Le scuole italiane
ed europee, dalle elementari all'università, dovevano essere aperte ad un interscambio culturale continuo tra
studenti, insegnanti e famiglie. In breve, l'aspetto culturale doveva avere la priorità su tutti gli altri,
unitamente ai rapporti fisici fra i cittadini europei. Un lavoro minuto e quotidiano fatto dal basso fra la gente
di questa Europa, appunto dei popoli e la gente comune avrebbe da subito dovuto avere, con l'aiuto delle
istituzioni, un ruolo centrale nella costruzione concreta di questa nuova Europa. Ciò non toglie la cura anche
di tutte le altre attività politiche, economiche, diplomatiche ecc., ma sempre in una visione di apertura e
partecipazione dei popoli europei. Le istituzioni avrebbero dovuto essere il più possibile rappresentative
della volontà popolare, i progressi verso gli stati federali d'Europa, forse, sarebbero stati lenti, ma ponderati e
costanti.
Invece, da subito,ha prevalso l'opera dirigistica dall'alto. Si è creata la grande struttura istituzionale, dove il
ruolo democratico dei cittadini era ed è, di fatto, inesistente, il parlamento europeo, eletto a suffragio
universale dai cittadini europei, è un simulacro di democrazia, gli organi gestionali e di indirizzo politico,
sono esenti da ogni controllo democratico, come gli altri organismi, non esclusa la BCE. L'UE non è altro
che una enorme e costosissima macchina – legislativa e burocratico-amministrativa gestita da politici di
professione, affiancati da uno stuolo di tecno-burocrati provenienti da tutti i paesi dell'unione. Questa enorme
macchina, lentamente, ma non troppo, è diventata un' enorme centro di potere incontrollato che si muove in
mezzo ad interessi di ogni genere, politici, finanziari, economico – industriali, commerciali ecc. dove ai
cittadini è, di fatto , vietato entrare.
Sta di fatto che la grande macchina metafisica scricchiola da tutte le parti e un numero sempre più grande di
cittadini europei, considera questa enorme struttura costosa ed inutile, nonché responsabile di tutti i mali
europei. Molti partiti europeisti, la difendono esaltandone i meriti, non ultimo quello di aver realizzato
l'unione economica e doganale e dopo il trattato di Maastricht, che ha istituito l'UE, la realizzazione
dell'unione monetaria, la cittadinanza europea, l'euro, l'istituzione della BCE, e il sistema europeo delle
banche centrali, la libera circolazione dei capitali e delle persone, il patto di stabilità e crescita per il
controllo delle politiche di bilancio, il meccanismo europeo di stabilità per l'assistenza finanziaria ai paesi
dell'euro in gravi situazioni finanziarie, il meccanismo di vigilanza unica, ecc. Con il trattato di Schengen si
è resa libera la circolazione dei cittadini europei e di quelli dei paesi terzi all'interno dei paesi europei
aderenti al trattato stesso. Questo avrebbe richiesto il rafforzamento delle frontiere esterne dell'unione ma
nulla è stato fatto in tal senso. Senza la moneta unica l'Italia, dicono, sarebbe fallita e senza il quantitative
easing della BCE sarebbero fallite anche le banche italiane ed europee, sta di fatto che l'UE è una costruzione
enorme ma fragilissima che in effetti può crollare da un momento all'altro perché non ha saputo creare una
politica economica integrata fra i paesi dell'unione, nemmeno fra quelli aderenti alla moneta unica, non ha
saputo darsi una politica fiscale comune né una politica di difesa ed estera comune, non ha saputo difendere
le frontiere europee dalle ondate migratorie e il potere di indirizzo politico ed economico non è in mano al
parlamento europeo, ma al consiglio dei ministri europeo, dove i vari capi di stato e di governo non sanno
fare altro che difendere i propri interessi nazionali a scapito degli altri e di quelli europei. Fra l'altro la
moneta unica ha sì molti meriti, ma è anche la costruzione europea più fragile, nel senso che in una
economia dei 19 paesi dell'euro, così diversificata per grandezza e per solidità, le economie più deboli sono
destinate a languire all'infinito, vedi la Grecia e anche l'Italia, perché il valore della moneta unica va bene,
anzi, molto bene, per la Germania, ma non per la Grecia, il Portogallo, la Spagna e L'Italia, che avrebbero
necessità di una moneta meno forte e più a misura delle loro economie per poter competere sul mercato
internazionale. La Germania dovrebbe fare una politica espansiva per aiutare le economie europee più
deboli, ma questo rimane nel libro dei sogni, anzi la Germania, che ormai comanda l'Europa, pretende
sempre nuovi sacrifici dai paesi europei più deboli, che non riescono ad uscire dalla crisi economica. La cosa
più grave di tutte è che, dopo 60 anni e più che ci diciamo europei, i cittadini di questa Europa sono ancora
estranei tra di loro. Il futuro non appare roseo, tutt'altro. La morale della storia è questa: le grandi costruzioni
metafisiche, come l'UE, costruite sulla base di principi e valori pensati come giusti e logici per il bene degli
europei, che non tengono minimamente conto della realtà oggettiva dell'Europa, dell'Europa vera, quella dei
popoli europei, sono destinate al fallimento, a meno che non si voglia, come è spesso accaduto, piegare la
realtà agli ideali e ai valori della costruzione metafisica di cui si è detto. In questo caso, come è già successo,
prepariamoci al peggio. Le idee vanno bene quando sono concretamente realizzabili; questo implica la loro
verifica, non rispetto a semplici procedure logico-razionali, ma rispetto alla realtà concreta, ai fatti concreti e
nell'ambito delle realtà sociali entro le quali intendono agire e comunque sempre con il consenso espresso
dei cittadini che quelle idee devono condividere.
Per ultimo è necessario osservare che .l'Europa che è stata realizzata dai nostri politici di professione e dai
burocrati, dai giuristi,dagli esperti finanziari, dagli economisti ecc. ha prodotto tali e tanti vincoli di ogni
genere,soprattutto giuridici ed economici, che i vari stato dell'UE, specie quelli aderenti alla moneta unica, di
fatto, qualunque cosa succeda, non possono più uscire da questa struttura, pena enormi costi, insopportabili
per qualunque paese aderente all'Unione. Gli inglesi, che , come abbiamo visto, non appartengono alla
cultura idealista, specie tedesca,.dopo 40 anni di UE, non potendone più, hanno deciso con la Brexit, di
andarsene, sapendo di dover pagare un prezzo altissimo in termini economici. Ma, pronosticando che l'UE
non sarebbe mai cambiata, anzi, sarebbe diventata ancora di più una camicia di forza, hanno preferito pagare
per riprendersi la loro libertà. Mi pare comunque opportuno sottolineare il fatto che, se l'Europa oggi si
ritiene la più grande democrazia del mondo, lo deve all'Inghilterra che da sola si è opposta, nell'Europa
occidentale, alla grande Germania nazista e all'Italia fascista, in nome della sua grande cultura democratica.
Per i paesi del sud Europa, ci saranno ancora molti anni di compiti a casa da fare per essere promossi dalla
Germania, ma la promozione, se ci sarà, sarà comunque carissima per i popoli del sud Europa.
[Un invito]
Voglio terminare con un invito ai giovani di oggi, ai nostri figli e ai nipoti ancora giovanissimi. La realtà che
vi sta di fronte è molto complicata e difficile. Se volete vivere la vostra vita con dignità e possibilmente in un
certo benessere materiale e nella libertà, sappiate che dovrete iniziare da subito a combattere perché l'idea
che lo stato democratico si farà carico della vostra libertà e del vostro benessere è falsa. Ricordatevi che i
portatori dei diritti siete voi non lo stato. Siete voi che dovete stabilire quali sono i poteri e i diritti dello
stato e non viceversa. Visto come sono andate le cose, dovete mettere mano, da subito, ad un nuovo patto
sociale che riconsegni ai cittadini a alla società civile i propri diritti e che definisca, non sine die, i poteri
dello stato. Le varie riforme costituzionali che si sono susseguite in questi anni, non sono servite a molto,
anzi le cose sono peggiorate. Le riforme sono servite soprattutto a consolidare i poteri di chi li aveva già.
Sappiate che il benessere materiale dei cittadini, non lo produce lo stato, ma il vostro lavoro e il vostro
impegno quotidiano. Dovete abituarvi a controllare come il denaro delle vostre tasse viene speso dalle varie
pubbliche amministrazioni. Nel nuovo patto sociale, dovete stabilire che il principio di sussidiarietà deve
essere alla base di ogni attività amministrativa. Per principio di sussidiarietà si deve intendere che l'azione
della pubblica amministrazione deve essere la più possibile vicina ai cittadini che così la possono controllare.
Gli organi istituzionali devono essere limitati sia per numero che per componenti, non accentrati ma
decentrati. Le indennità dei politici devono essere stabilite da organismi tecnici. autonomi dal potere politico.
Le autonomie devono essere ampliate il più possibile e godere di proprie entrate tributarie, con la
responsabilità penale e civile diretta degli amministratori, sottoposti al controllo contabile, che dovrà essere
comunque generalizzato e trasparente. Le leggi dovranno stabilire solo i principi generali di indirizzo per le
varie materie, l'attuazione dovrà essere di tipo regolamentare. Le attività di governo,centrali e locali,
dovranno essere improntate alla massima trasparenza. Il nuovo patto sociale dovrà stabilire una sola camera
legislativa con un numero limitato di deputati e gli eletti dovranno dimostrare, con idonei titoli di studio le
loro competenze. Lo stato potrà svolgere attività economiche, qualora la situazione economica del paese lo
richieda. La attività economiche degli enti locali, in particolare nei servizi a rete, potrà essere svolta solo se
più conveniente per i cittadini di quelle svolte dai privati. I sindacati come i partiti devono potersi costituire
liberamente, ma il loro funzionamento interno deve essere regolamentato per legge e i bilanci devono essere
controllati da organi della pubblica amministrazione. La magistratura non deve essere di carriera ma elettiva,
con netta separazione tra pubblici ministeri e giudici. Dovrà essere abolito l'istituto della carcerazione
preventiva e introdotto l'uso più ampio delle giurie popolari nei processi penali. La magistratura e tutta la
giurisdizione dovrà essere sottoposta al controllo di organi eletti dal parlamento, dove il numero dei
magistrati non dovrà mai rappresentare la maggioranza dei componenti. Dovrà essere abolita ogni forma di
concordato fra lo stato e la chiesa cattolica e le altre confessioni religiose nonché ogni forma di
finanziamento delle stesse. Tutte le confessioni religiose devono rispettare le leggi dello stato. Dovrà essere
introdotto il referendum propositivo e comunque forme ampie di consultazioni referendarie. Gli ordini
professionali devono essere libere associazioni di professionisti, senza vincoli o privilegi statali. La pubblica
istruzione deve essere libera ed autonoma e aperta a tutti gli aventi diritto, i programmi di studio devono
essere predisposti autonomamente dai singoli istituti con il concorso competente della società civile in cui
operano. Gli insegnanti devono essere direttamente assunti dagli istituti con appositi concorsi pubblici.
Anche le università dovrebbero essere autonome e i corsi di studio delle varie materie dovrebbero essere
predisposti autonomamente da ogni facoltà, con il contributo degli stessi studenti. Ogni università dovrebbe
avere un congruo numero di professori stranieri nelle varie facoltà al fine di aprire lo sguardo degli studenti
su mondo culturale europeo e mondiale. La lingua franca per tutti dovrebbe essere l'inglese. Anche i
professori italiani e gli studenti italiani dovrebbero trascorrere periodi di studio in università estere. Le
facoltà dovrebbero dialogare costantemente con i vari centri di ricerca italiani ed esteri, e per le facoltà
scientifiche con le industrie dei vari settori produttivi. Vi ho dato alcune indicazioni sommarie che mi
paiono interessanti perché possiate almeno capire di che si tratta.
In poche parole dovete riorganizzare da capo tutta la struttura istituzionale e amministrativa del paese
badando soprattutto che funzioni bene, nell'interesse di tutti i cittadini, e se qualcosa. o qualche parte non
funziona, si può cambiare o migliorare , nulla è per l'eternità. Tenete presente che tutto dovrà essere attuato
nella massima trasparenza e con il consenso democratico del maggior numero possibile di cittadini.
Infine amate la cultura, tutta la cultura, anche quella scientifica; non fate come Croce e Gentile e sappiate che
la scienza e la tecnica sono quelle che hanno trasformato il mondo in cui viviamo per renderlo un luogo
migliore e continuano a farlo molto più della politica. La cultura è la vostra bussola che vi permette di
navigare nella vita da uomini liberi. Interessatevi alla politica, perché anche se non vi interessate di lei, sarà
sempre lei ad interessarsi di voi. Perdonateci, se potete, per tutto quello che non siamo stati capaci di fare
per migliorare il mondo in cui vi abbiamo messi.
Carlo Ricci