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Antropologia - Lezione 8^ Capitolo I Storia di una ricerca: l’antropologia nella Bibbia e nella Tradizione (l’Antropologia prima e dopo il Vaticano II)

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Page 1: Antropologia - Lezione 8^ Capitolo I Storia di una ricerca: lantropologia nella Bibbia e nella Tradizione (lAntropologia prima e dopo il Vaticano II)

Antropologia - Lezione 8^

Capitolo I

Storia di una ricerca:

l’antropologia nella Bibbia

e nella Tradizione

(l’Antropologia prima e dopo il Vaticano II)

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Per fortuna sono cristiano! Il cristianesimo mi mantiene con qualcosa di giovanile e allegro, di appagato, di

gradito, di sereno. Alla presenza sempre viva di Cristo devo il fatto di non ribollire di collera nei riguardi degli altri e di me stesso. Questa è la mia fortuna, anomala,

impensata: essermi stato dato di credere in Dio e in Cristo. Solo perché sono cristiano mi visita la felicità, strana vittoria. Solo grazie al cristianesimo non giro corrucciato, offeso, le strade diurne e notturne della città. Il cristianesimo è tranustanziazione, non degli

elementi chimici ma dell’uomo. La metànoia. Questo è il grande miracolo di Cristo Dio: la trasformazione

della persona. Fin dove può arrivare: alla richiesta di crocifissione con la testa all’ingiù di Pietro,

che l’aveva rinnegato (N. Steinhardt, monaco rumeno, prigioniero nel lager)

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Ripresa della QUESTIONE: il deficit cristologico in antropologia (durato per secoli)

Due motivi:

Primo motivo:

• la giustapposizione e separazione dei due

piani• L’ipotesi (diventata tesi!) che Dio avrebbe

creato una “natura pura”

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Sopra-natura

E

natura

Ha la sua teorizzazione all’interno della teologia manualistica che distribuisce così i trattati:

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Sopra-naturaDe Deo elevante

De Gratia e

natura De Deo creante

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Il deficit cristologico in antropologia è causa di una visione non cristiana della persona, con ricadute negative in molti settori della teologia.

Ad esempio:

1) La teologia del matrimonio

2) La teologia del laicato

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Teologia del matrimonio

Sopra-natura: sacramento = la grazia di Cristo e natura: contratto =

tria bona

Can. 1055: il matrimonio è elevato alla dignità di sacramento

? = i cristiani non praticanti e non più credenti

Una traslocazione dell’umano nel divino

o una innervatura del divino nell’umano?

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Teologia del laicato

Sopra-natura la Chiesa

“i consacrati” spazio sacro

e

natura IL MONDO

“i laici” spazio profanoTra la vita di un sacerdote e quella di un semplice uomo retto deve sussistere la stessa differenza che vi è tra il cielo e la terra (Pio X – Enciclica Haerent animo, 1908)

Una vita santa non è un dono straordinario riservato a qualche persona, mentre le altre se ne andrebbero a mani vuote: la santità è il compito generale e il dovere comune per tutti (Pio XI – Enc. Rerum omnium, 1923).

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Sopra-natura

E

natura Cristo NON c’è qui!

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• Siccome non posso dare per scontato la vostra conoscenza dei testi patristici in

cui si parla del Verbo creatore

• consideriamo alcuni passi degli scritti dei Padri:

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S’Atanasio contro gli Ariani (Disc. 2,78-79: PG 26,311)

Cristo è la Sapienza creatrice e le cose create portano la sua immagine

In noi uomini e in tutte le altre cose si trova l’immagine creata della Sapienza (Cristo). Lui che è creatore non

è oggetto di creazione. Lui dice “Chi accoglie voi, accoglie me” (Mt 10,40) poiché in noi è delineato il suo

ritratto. Nelle cose create vengono prodotte la sua forma e la sua figura e cioè, in certo senso, lui

stesso. La ragione per cui nelle cose create vi è lo stampo della Sapienza è perché il mondo conoscesse

il Padre. Ciò che viene donato agli uomini non è la natura divina della Sapienza, che è in sé indivisa e unigenita, ma la sua immagine che risplende nel creato. La Sapienza creatrice è il modello della

sapienza creata e sparsa nel mondo.

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Pietro Crisologo (Disc. 117: PL 52,520-521)

Il Primo Adamo fu creato dal secondo Adamo, dal quale ricevette l’anima per vivere. È il secondo Adamo che plasmò il primo e gli impresse la

propria immagine. E così venne poi che egli ne prese la natura ed il nome, per non perdere ciò

che egli aveva fatto a sua immagine. C’è un primo Adamo e c’è un ultimo Adamo. Il primo ha un

principio, l’ultimo non ha fine. È proprio quest’ultimo infatti ad essere veramente il primo, dal momento che dice: “Sono io, io solo, il primo e

anche l’ultimo” (Is 48,12)…

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Fa poi un’applicazione alla ri-creazione battesimale:

Quelli che la sorgente fangosa aveva messo al mondo nella povera condizione di terrestri, il nuovo fonte partorisce celesti e li conduce

alla somiglianza del loro divino autore. Perciò, ormai rigenerati, ormai riformati a immagine del nostro creatore… portiamola tutta l’immagine

del nostro Autore, portiamola con totale somiglianza, non nella maestà che a lui

compete, ma in quella innocenza, semplicità, mitezza…

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Il modello amartiocentrico: la centralità del peccato

Secondo motivo del deficit cristologico

in antropologia

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La teologia manualistica porta in sé un altro forte condizionamento alla comprensione del-l’uomo e della salvezza: la sua impostazione amartiocentrica.

al centro della storia sta l’esperienza dell’amartia, ossia del “peccato”

La storia della salvezza si trova letteralmente divisa in «due»: due tempi, distinti e successivi,

creazione e redenzione.

Questa prospettiva dà al peccato un ruolo centrale, considerandolo il perno attorno al quale lo sviluppo della salvezza ha effettivamente ruotato.

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Ecco l’esposizione della storia della salvezza:

L’uomo, concretamente, è stato creato con un duplice fine (naturale e soprannaturale),

ma storicamente ha peccato, precludendosi così la via alla salvezza, il raggiungimento del fine superiore e soprannaturale.

Gli è ormai impossibile ottenere quella felicità piena per cui Dio lo aveva creato ed elevato

precisamente per questo Gesù Cristo entra nella storia: incarnandosi ridona la grazia all’uomo e lo salva. Ecco la redenzione.

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Schematicamente si può ricondurre

la storia della salvezza al

ritmo:

creazione – peccato - redenzione

(o grazia)

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Di fronte ad una simile esposizione il giudizio parrebbe spontaneamente positivo: non è forse avvenuto storicamente così?

E, soprattutto, lo stesso racconto biblico non segue questo ordine?

Certo, lo sviluppo cronologico degli eventi è visibilmente stato questo. Tuttavia, ci si deve interrogare seriamente se questo è sufficiente per dire l’effettiva verità delle cose, oppure se l’assolutizzazione del ritmo cronologico

non impedisca di vedere alcuni elementi e momenti essenziali della storia.

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In altri termini, elevare l’ordine storico o cronologico degli eventi a livello ontologico, ossia come ordine di comprensione sistematico, non ha precluso la loro comprensione?

è avvenuto così: prima questo, poi quello;

dunque la realtà è così: prima c’è questo, poi quello… prima il peccato poi Cristo!

Critica elenchiamo quattro motivi per cui il

modello amartiocentrico ci appare insufficiente e riduttivo per leggere la storia della salvezza:

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1) come afferma il termine stesso, al centro sta il peccato, non Gesù Cristo. Questo, dunque, sarebbe il perno della storia.

L’effettivo «anno zero» sta nel peccato dell’Eden e non nell’incarnazione del Figlio. Ma è questo ultimo evento ad aver cambiato il corso della storia. Nell’impostazione amartiocentrica l’evento che ha determinato il senso e la direzione della storia è stato il peccato, non Gesù Cristo.

2) Ciò è talmente evidente che di Gesù Cristo si parla solo dopo il peccato. Anzi, lentamente si arriva a pensare che interviene proprio perché c’è stato il peccato: senza la colpa Cristo si sarebbe incarnato lo stesso?

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Questo interrogativo rimane senza alcuna risposta poiché rientra nell’ordine dei possibili e, dunque, delle ipotesi. Non possiamo fare la storia coi se e coi ma. Dobbiamo, infatti, accogliere la realtà così come si è data. Il problema che invece sta a monte di questa domanda è un altro: Gesù Cristo non ha alcun legame con l’uomo che non sia dovuto al peccato?

Ossia, prima ancora dell’atto dell’incarnazione o meno, non si dà alcun rapporto tra i due? Occorre, in positivo, recuperare l’originaria relazione Cristo-uomo che è quella costitutiva, quella che ha effettivamente determinato il corso ed il senso della storia.

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3) Nella visione amartiocentrica Gesù Cristo entra solo «in un secondo tempo» nella vita dell’uomo: dopo e a motivo del peccato. All’ori-gine, invece, nel «primo tempo», pare non entrare in alcun modo.

La conseguenza è che il ruolo di Cristo è ridotto a quello di Redentore. Il suo rapporto con il mondo, con l’uomo e con la storia è ricondotto unicamente a quello di redentore dal peccato.

Dunque, anche la sua presenza nel mondo è condizionata dal peccato.

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4) Ma se questo non ci fosse stato, non solo l’uomo avrebbe potuto tranquillamente fare a meno di Lui, ma Cristo stesso non avrebbe avuto niente a che fare con la storia umana.

A che titolo avrebbe potuto rivendicare un ruolo nella definizione dell’uomo (se non come Salvatore dal peccato/morte)?

È, dunque, una tesi riduzionista anche dal

punto di vista cristologico oltre che antropologico: impoverisce la figura-opera di Cristo

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Alcune considerazioni conclusive alla luce delle 4 critiche fatte:

la problematicità di questo modello soteriologico amartiocentrico

s’intreccia

con la questione precedente della antropologia del duplice ordine

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Ne risulta che:

il rapporto uomo-Cristo rimane “secondo” nella definizione di uomo.

Dunque, estrinseco, aggiuntivo, e non costitutivo ed originario.

Gesù Cristo non è il punto di partenza per la comprensione dell’uomo (Colui in cui è stato creato), bensì è un «di più».

E in questo senso, è qualcosa di cui si può anche fare a meno. Vi si può prescindere senza perdere nulla di essenziale.

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L’uomo “cristiano” è creato, pensato, capito anche a prescindere da Gesù Cristo.

Gesù entra in campo solo dopo il peccato. Ciò implica: dal punto di vista cristologico una dimenticanza completa del ruolo originario di Gesù Cristo nella creazione.

L’affermazione “Egli è Colui nel quale tutte le cose sono state create”: diventa una tesi filosofica. Dal punto di vista antropologico: l’uomo è descrivibile a partire dall’azione creatrice, è un qualcosa che Dio ha «fatto». E, dunque, può realizzarsi da se stesso, ad un piano puramente naturale.

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L’intervento di Gesù Cristo viene a colmare il vuoto in cui era caduto con la colpa, serve a riequilibrare una lacuna, non a definire l’essenza, la natura del progetto divino.

Così, però, si insinua la convinzione che, senza il peccato, l’uomo avrebbe comunque potuto realizzarsi anche senza di Cristo.

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BilancioIn definitiva, sia la teologia del duplice ordine che

la prospettiva amartiocentrica (non cristocentrica) trovano il loro limite fondamentale nella pretesa di definire l’uomo a prescindere da Cristo.

Poi non si recupera più il rapporto con Lui, se non come un qualcosa di “secondo” che, però, rimane estrinseco.

In questo modo, inevitabilmente parlano dell’uo-mo in dipendenza di qualche precompren-sione filosofica o culturale e fanno apparire aggiuntivo ciò che Cristo dà all’uomo.

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Prospettive aperte prima del ConcilioSe il limite del percorso storico – fissatosi

rigidamente soprattutto nella teologia manuali-stica – risiede nell’insufficienza del riferimen-to cristologico

si intuisce che il recupero coerente della centralità di Cristo fornirà un nuovo punto di partenza

ripensare l’antropologia a partire da Gesù Cristo, quale criterio interpretativo di tutto l’umano, piuttosto che da un concetto previo di “natura”

ciò aprirà la possibilità di un nuovo e fecondo incontro anche con la cultura.

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«La prospettiva che si ricava dalla storia prevede non solo il

superamento della separazione tra il De deo creante et elevante e il De Gratia, ma il ripensamento

sistematico di tutti i temi antropologici a partire dal cristocentrismo e in particolare

dalla tesi della predestinazione di tutti gli uomini in

Cristo» (F.G.Brambilla)

CONCLUSIONE DALLA STORIA DELL’ANTROPOLOGIA:

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L’antropologia teologica

nel Concilio Vaticano II

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L’immediato preconcilio

I contributi di:

M. FlickK. Rahner

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Le istanze da affrontare in Concilio:

1) la svolta antropologica in teologia ha reso necessario ridare unità al tema rispetto alla trattazione frammentata della manualistica

2) la priorità di un orientamento teologico, non filosofico (recuperando la rivelazione biblica come punto di riferimento)

3) il superamento del limite costantemente rimarcato: la perdita del cristocentrismo e dell’orizzonte storico-salvifico, di fronte ad una visione astratta dell’uomo.

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Una correzione né improvvisa, né istantanea!

Il decennio precedente il Vaticano II fu la fucina di pensiero che raccoglie i fermenti da tempo presenti nella cultura e prepara il terreno anche all’interno della chiesa per quel passaggio di mentalità che avverrà col Concilio stesso e che cercherà in seguito di maturare.

1955: la prima proposta di rivisitazione del manuale classico Maurizio Flick, «La struttura del Trattato “De Deo creante et elevante”», Gregorianum 36 (1955) 284-290.

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chiede una «revisione» del manuale, di cui denuncia due evidenti limiti:

1) la mancanza di unità tra i momenti che lo compongo (creazione, PO, giustificazione, grazia)

2) e il taglio “filosofico” con cui si tratta della creazione:

«quella serie di tesi che vanno dalla creazione del mondo all’Immacolata Concezione sembrano legate tra loro in modo piuttosto

estrinseco. Inoltre, è assai difficile comprendere il valore propriamente

teologico del De Deo creante, in cui si ha l’impressione che si cerchi soltanto una

conferma ex fontibus revelationis di verità già dimostrate in teodicea o in psicologia»

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Flick riconduce questi limiti alla «storia della formazione» del trattato, che si è composto in «modo quasi fortuito» in seguito alla contro-versia baianista (la “natura pura”).

Contrappone la convinzione che è possibile «arrivare ad un’intrinseca ed organica unità di tutto il trattato soltanto dando ad esso, nella sua totalità, un’impostazione strettamente teologica».

L’obiettivo è di ritornare al senso teologico del trattato sulla creazione ritrovando, coerente-mente, il nesso tra creazione dell’uomo e la chiamata all’ordine sovrannaturale.

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Per recuperare il valore teologico della creazione, Flick la collega alla historia salutis, ossia a quella «serie progressiva d’interventi di Dio che hanno per fine di portare l’umanità a vivere pienamente la vita di grazia in Cristo, nella Gerusalemme celeste».

Secondo la tradizione più recente «il centro di quest’historia salutis è l’incarnazione redentiva», il «termine è segnato dal ritorno di Cristo giudice» e «l’inizio, secondo non pochi autori è la vocazione di Abramo».

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Dunque, nei trattati recenti è positivo il recu-pero della nozione di storia della salvezza, ma è ancora parziale:

La creazione non rientra nella “serie” delle azioni salvifiche di Dio

confermando ulteriormente il suo carattere non teologico, quasi fosse semplicemente la “premessa” per l’intervento salvifico.

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Flick si distacca dai luoghi comuni e recupera la tradizione antica di Agostino che, nel De civitate Dei risale fino alla creazione:

«questo primo articolo infatti non è una specie di “portico dei gentili” in cui ci

incontriamo coi filosofi in un terreno neutro per la fede. Già professiamo in

esso di credere al Dio Uno e Trino che ha creato il mondo per collocarvi il genere umano elevato all’ordine

soprannaturale». Flick recupera il legame originario tra

crea-zione e storia della salvezza, riconoscendo nella creazione la prima tappa di questo progetto divino.

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Titolo: se la creazione è già l’inizio della sal-vezza, Flick propone che il trattato sulla creazione venga chiamato non più De Deo creante et elevante, ma De primordiis Salutis (= sugli inizi della Salvezza).

Lo schema del trattato diviene il seguente: la creazione del mondo materiale, che

insiste sulla «totale dipendenza del mondo da Dio», piuttosto che «sull’analisi del concetto filosofico di creazione»

l’uomo collocato nel mondo materiale, rispetto al quale emerge il suo “primato”; attenzione alla sua struttura – anima e corpo – e discendenza di tutti da un’unica coppia

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la vocazione a vivere la vita della grazia: la descrizione della vita paradisiaca di Adamo ed Eva = «si ha un’immagine dell’“historia salutis” quale sarebbe stata se il peccato non fosse avvenuto»

la risposta umana: il peccato di Adamo ed Eva con il conseguente stato di peccato per tutti gli uomini

gli angeli, quali aiuto per la salvezza;

La Mariologia ormai costituiva già un trattato a se stante.

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1957: Karl Rahner Un secondo intervento autorevole è quello di K.

Rahner nella voce Antropologia teologica per il Lexikon für Theologie und Kirche

dopo due contributi dedicati all’antropologia dal punto di vista biblico e filosofico, Rahner presenta la prospettiva teologica, in un articolo che porta per la prima volta il titolo “antropologia teologica”: una disciplina ancora inesistente all’epoca!

critica la persistente frammentazione della materia, suddivisa in diversi trattati, e propone una sistema-tizzazione coerente ed unitaria, che prenda le mosse da un comune punto di partenza:

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«La costruzione propriamente detta dell’antropologia (teologica) non è ancora

avvenuta. La antropologia viene ancora ripartita nei differenti trattati senza un’elaborazione

del fondamento sistematico della sua totalità.

La antropologia nel senso qui indicato è ancora un compito non realizzato dalla teologia,

naturalmente non nel senso che le affermazioni concrete e di contenuto di tale antropologia debbano ancora essere trovate per la prima volta – si tratta per supposto di affermazioni della rivelazione sull’uomo -, ma nel senso che

la teologia cattolica ancora non ha sviluppato nessuna antropologia completa partendo da un punto di vista originario»

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Tale punto di partenza dev’essere «teologico» (non filosofico) e «dogmatico» (non di teologia fondamentale) = si tratta di definire che cosa è l’uomo a partire dalla rivelazione.

L’unico punto di partenza che soddisfa tutte queste caratteristiche è l’affermazione che l’uomo è un essere interpellato da Dio nella storia. Tale chiamata di Dio alla comunione con Lui è la sua stessa comunicazione libera e per grazia.

Questo costituisce dal punto di vista dogmatico il punto di partenza per definire l’essere umano: l’uomo si trova sempre nell’«esistenziale soprannaturale».

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Rahner abbozza una distribuzione ipotetica della materia nel trattato di antropologia teologica.

• Ne indica i quattro punti fondamentali:

La connotazione creaturale dell’uomo:

è interpellato da Dio proprio perché non è Dio.

La condizione creaturale è caratterizzata dalla sua originaria apertura di fronte a Dio.

L’uomo è un uditore della Parola.

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Immediatamente, però, occorre affermare che l’uomo si trova, subito, come creatura aperta a Dio, nell’ordine della grazia.

Grazia che è anzitutto l’autocomunicazione personale del Dio triunitario.

Si pone sin dall’origine il rapporto natura / grazia, non in un momento posteriore, poiché l’esistere nell’ordine di grazia dell’autocomu-nicazione di Dio appartiene all’essenza stessa dell’essere umano concreto.

Non basta la nota della creaturalità a definire l’uomo (= uomo creatura di Dio), ma: uomo creato nella grazia di Dio

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Questo uomo, creato nell’ordine di grazia dell’autocomunicazione di Dio, è un essere storico. Ciò cosa comporta?

che la sua interpellazione avviene nella sua realtà di famiglia, di determinazione sessua-le, di etnia, di cultura, di personalità ecc.

questo uomo storico da una parte è chiamato alla vita divina, dall’altra è un uomo peccatore

l’interpellazione si realizza storicamente: dentro la storia, in modo storico (parole/gesti), secondo le leggi della storia (es. le età della vita e la risposta alla vocazione)

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④ Il rapporto Cristo/uomo Rahner riprende l’idea di Flick.

L’interpellazione storica che Dio rivolge all’uomo, non gliela rivolge soltanto nella previsione che il Suo Figlio dovrà incarnarsi, ma accade proprio in quel fatto

L’incarnazione è lo spazio di chiamata e autocomprensione dell’uomo

pur avendo “effetti retroattivi” fino alla creazione in Cristo.

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La grande interpellazione all’uomo storico è Dio che entra nella storia (= Marco 1,15: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo»).

Spesso in teologia si è partiti dal fatto che si sapeva già che cosa fosse l’uomo - dice Rahner - senza mettere in discussione la definizione di uomo alla luce di Cristo.

Bisogna invece ritornare alla mentalità dei Padri della Chiesa, dove è la stessa defini-zione di uomo a essere messa in gioco, quando si parla del rapporto con il Cristo incarnato e non soltanto la sua eventuale redenzione.

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Si noti, infine, che in un altro articolo del

Lexikon sulla Grazia, Rahner sostiene che bisogna leggere anche il trattato sulla grazia in luce cristologica:

l’oggetto del trattato sulla grazia non è “la grazia” (come un quid entitativo), ma l’uomo in quanto riceve questa grazia, l’uomo in quanto riceve l’autocomunicazione del Dio Triuno (la grazia è l’uomo cristificato)

dunque non fare della grazia un’entità sepa-rata dall’uomo che è il destinatario di questa autocomunicazione divina

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Conclusione sul preconcilio Il duplice ed autorevole riferimento a Flick e Rahner

mostra l’esigenza di rinnovamento avvertita nella teologia cattolica alla vigilia del Concilio Vaticano II:

«negli anni immediatamente precedenti al Concilio Vaticano II, si esprimeva questa

necessità di raggruppare in modo articolato i contenuti che si riferivano all’uomo. Ed è

significativo il fatto che sia precisamente la chiamata dell’uomo alla comunione con Dio, e conseguentemente la relazione tra cristologia

e antropologia, l’asse intorno al quale si vuole realizzare questa nuova articolazione»

(L. Ladaria)

Ciò fornisce il contesto e rende ragione del cambiamento autorevolmente avviato dal concilio.

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L’antropologia e il

Concilio Vaticano II

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«Il Concilio Vaticano II non ha dedicato espressamente nessuno documento all’uomo. Però è ugualmente chiaro che la costituzione pastorale Gaudium et Spes sulla chiesa nel mondo contemporaneo ci offre, soprattutto all’inizio, una valida sintesi di antropologia»

(L. Ladaria) un riferimento privilegiato, non esclusivo:

la Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo «Gaudium et Spes»

occupa la sessione IX, approvata il 7 dicembre 1965, nell’ultima sessione del concilio, che terminò l’8 dicembre 1965.

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Fasi dell’elaborazione di Gaudium et Spes

La storia dell’elaborazione della GS si presenta travagliata e frutto di continue riprese e discussioni

per alcuni è come la sintesi del volto della “nuova chiesa” cui mirava il Vaticano II, mentre per altri costituisce il “cimitero” o “il cestino dei rifiuti” di molti schemi che non avevano trovato altra espressione nel dibattito conciliare

in effetti, numerosi argomenti, in particolare relativi a “temi di morale sociale” confluirono in questo documento.

Vediamo i 3 fondamentali passaggi per arrivare allo schema definitivo.

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1) Nel maggio 1963 una Commissione “mista”, composta da membri di altre due commissioni (Teologica e Apostolato dei Laici), e formata da 60 vescovi e altrettanti periti, dopo 5 mesi di lavori elaborò il cosiddetto “Schema 17”, sulla Presenza della Chiesa nel mondo odierno. Il contenuto era suddiviso in 6 capitoli e già presentava i temi che qualificheranno poi la GS:

La meravigliosa vocazione dell’uomo La persona umana nella società Matrimonio e famiglia Promozione e progresso della

cultura Ordine economico e giustizia sociale La comunità dei popoli e la pace.

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2) Alla fine del gennaio 1964 una sottocom-missione centrale presieduta da Mons. Guano, Vescovo di Livorno - notoriamente amico di Montini -, elaborò una nuova edizione. Comprendeva un Proemio e 4 capitoli:

La vocazione completa dell’uomo La Chiesa dedita al servizio di Dio e

degli uomini Il modo di comportarsi dei cristiani

nel mondo entro cui vivono I compiti principali ai quali sono

chiamati i cristiani d’oggi – e una conclusione

(in tutto 25 paragrafi). Nel luglio 1964 il testo veniva inviato ai Padri.

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3) Nel febbraio 1965, la commissione tenne una riunione decisiva ad Ariccia.

Il “Documento di Ariccia” fu sostanzialmente il testo finale, eccetto i ritocchi avvenuti nel dibattito durante l’ultima sessione conciliare.

Ora passiamo a visionare lo schema di GS:

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Lo Schema di GSproemio (1-3)esposizione introduttiva: la condizione

dell’uomo nel mondo contemporaneo (4-10)

parte I: la chiesa e la vocazione dell’uomo

• proemio (11)• cap. I La dignità della persona umana (12-

22)• cap. II La comunità degli uomini (23-32)• cap. III L’attività umana nell’universo (33-39)• cap. IV La missione della chiesa nel mondo

contemporaneo (40-45)

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parte II: Alcuni problemi più urgenti

proemio (46)• cap. I Dignità del matrimonio e della

famiglia e la sua valorizzazione (47-52)• cap. II La promozione del progresso della

cultura (53-62)• cap. III La vita economico-sociale (63-72)• cap. IV La vita della comunità politica (73-76)• cap. V La promozione della pace e la

comunità dei popoli (77-90)

Conclusione (91)

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Proemio (1-3)

Un nuovo paradigma per il

rapporto Chiesa nel mondo

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Nonostante il concilio non abbia esposto una antropo-logia cristiana organica, nella Gaudium et Spes si dichiara, sin dall’inizio, che l’uomo ne è l’interesse centrale:

«è l’uomo dunque, ma l’uomo singolo integrale, nell’unità di corpo ed anima, di cuore e coscienza, di intelletto e volontà, che sarà il

cardine di tutta la nostra esposizione. Pertanto il santo sinodo, proclamando la grandezza somma della vocazione

dell’uomo e affermando la presenza in lui di un germe divino [divinum quoddam semen], offre all’umanità la cooperazione

sincera della chiesa al fine di stabilire quella fraternità universale che corrisponda a tale

vocazione» (GS 3).

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I riferimenti testuali all’antropologia si ritrovano quasi totalmente nella prima parte, ed in specie nel cap. I:

«la visione dell’uomo che ci viene offerta nei primi capitoli della GS costituisce la tratta-zione più esaustiva che su questo punto tro-viamo nei documenti conciliari» (L. Ladaria)

Proprio perché il punto di riferimento è l’uomo in quanto tale, i destinatari del discorso non sono semplicemente i cattolici né i cristiani in generale o gli uomini religiosi, ma ci si rivol-ge «indistintamente a tutti gli uomini» (n. 2), seguendo lo stile della Pacem in terris.

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L’aspetto più significativo nell’apertura della GS è la novità d’atteggiamento che la chiesa indi-ca, nei confronti dell’uomo e del mondo moderno.

Evidenziamolo in tre passaggi:

La scelta del titolo stesso non è casuale:

si tratta della

“chiesa nel mondo contemporaneo” e non tanto

del rapporto “chiesa e mondo”.

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La sfumatura non è di poco conto, ma acqui-sisce consistenza se posta sullo sfondo del cammino storico precedente: con una simile dichiarazione si intende già superare la separazione tipica dell’epoca moderna, tra chiesa e mondo.

«La chiesa non si considera dirimpettaia, tanto meno contro, rispetto al mondo,

ma sua parte, dentro di esso» (L. Sartori).

La novità è evidente. I numeri che seguono cercano di declinare la direzione della non-separazione

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GS 1 descrive genericamente la relazione in termini di “solidarietà” :

«Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri

soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le

tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro

cuore [...] Perciò essa si sente realmente e intimamente solidale

con il genere umano e con la sua storia».

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GS 3 A servizio dell’uomo.Il Concilio, testimoniando e proponendo la fede di tutto

intero il popolo di Dio riunito dal Cristo, non potrebbe dare una dimostrazione più eloquente di solidarietà,

di rispetto e d’amore verso l’intera famiglia umana, dentro la quale è inserito, che instaurando con questa

un dialogo sui vari problemi sopra accennati, arrecando la luce che viene dal Vangelo, e mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che la

Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. Si tratta di salvare l'uomo, si tratta di edificare l'umana società.Pertanto il santo Concilio, proclamando la grandezza somma della vocazione

dell'uomo e la presenza in lui di un germe divino, offre all'umanità la cooperazione sincera della Chiesa, al

fine d’instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione.

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GS 3 si impegna maggiormente a definire il rap-porto chiesa-mondo utilizzando due categorie:

dialogo e cooperazioneSartori dà molta importanza alla novità del-

l’atteggiamento, ossia del metodo più ancora che dei contenuti. In questo infatti riconosce il valore della GS, nonostante tutte le ambiguità e le critiche cui è andata incontro. «Il nodo sta nel tentativo di mettersi

“dalla parte dell’uomo” ... di ripensare, reinterpretare, rileggere e

riesprimere i dati teologici nello specchio dell’uomo, nel loro riflesso sull’uomo, sul

versante del loro valore per l’uomo (L. Sartori)

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Metodo

Rispetto alla LG non si assume un metodo de-duttivo, “discendente” ( da Dio all’uomo), ma uno induttivo «che cerca di salire, insieme con l’uomo: dall’uomo a Dio, dalla natura al Creatore».

Con questo sforzo, la GS cerca di recepire il contributo della cosiddetta “svolta antropolo-gica” entrando in dialogo con la cultura contemporanea.

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Sartori vede in questo il tentativo di superare finalmente la frattura tra chiesa e mondo, tra teologia e cultura propria dell’epoca moderna.

Si passa dalla separazione al dialogo:

«la chiesa ha dovuto porsi sulla difensiva ed è stata quasi costretta ad aggravare il

distanziamento e la separazione nei confronti del “mondo moderno”. Ma con il concilio è

giunta finalmente l’ora del dialogo»

(L. Sartori).

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Contenuti Va fatto notare che l’accenno di GS 3 al riconoscimento di un «seme divino»

nell’uomo e l’altezza della sua vocazione

(l’indeducibilità dell’elevazione soprannaturale) non fa alcun riferimento al legame

cristologico .

Ciò è giustificabile in un paragrafo introduttivo, ma nell’insieme del decreto riapparirà talvolta come limite da denunciare.

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Esposizione introduttiva:

le condizioni dell’uomo nel mondo contemporaneo (4-

10)

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La «esposizione introduttiva» su «la condizione dell’uomo nel mondo contemporaneo» delinea «le caratteristiche più rilevanti del mondo» d’oggi:

speranze ed angosce (n. 4) profonde mutazioni (n. 5) mutamenti sociali (n. 6)mutamenti psicologici, morali e religiosi (n. 7)squilibri del mondo contemporaneo (n. 8)le aspirazioni più diffuse dell’umanità (n. 9)fino agli interrogativi più profondi

dell’uomo (n. 10).

Quest’ampio sguardo panoramico intende raccogliere il dato fenomenologico, potremmo dire «i segni dei tempi» che riguardano tutti, credenti e non.

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La scelta di tale approccio dal basso giustifica la mancanza in questi inizi di un immediato riferimento al mistero di Cristo, a favore dell’analisi dell’esperienza umana comune.

Inoltre, a questo proposito non va dimenticata la «dimensione pratica, “pastorale”» tipica di questa costituzione (non dogmatica), ossia l’intento dialogico con il mondo.

Il vertice va ritrovato, però, nel n. 10 che costituisce il «testo programmatico» su cui occorre fissare la nostra attenzione:

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«in verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con

quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. E’ proprio

all’interno dell’uomo che molti elementi si contrastano a vicenda. Da

una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti;

dall’altra parte si accorge di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato a una vita superiore. Sollecitato da molte

attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle

altre. Inoltre, debole e peccatore, non di raro fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe. Per cui soffre in se

stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi

discordie nella società.

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Certamente moltissimi, che vivono in un materialismo pratico, sono lungi

dall’avere la chiara percezione di questo dramma, o per lo meno, se sono oppressi

dalla miseria, non hanno modo di rifletterci. Molti credono di trovare pace in una interpretazione della realtà proposta in assai differenti maniere. Alcuni poi dai soli sforzi umani attendono una vera e piena liberazione della umanità, e sono persuasi che il futuro regno dell’uomo

sulla terra appagherà tutti i desideri del loro cuore. Né manca chi, disperando di

dare uno scopo alla vita, loda l’audacia di quanti, stimando vuota di ogni senso

proprio l’esistenza umana, si sforzano di darne una spiegazione completa solo col

proprio ingegno.

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Con tutto ciò, di fronte all’evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più

numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli

interrogativi capitali: cos’è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della

morte che malgrado ogni progresso continuano a sussistere? Cosa valgono

queste conquiste a così caro prezzo raggiunte? Che reca l’uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita? Ecco, la chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché l’uomo possa rispondere

alla suprema sua vocazione; ne è dato in terra un altro nome agli uomini in cui

possano salvarsi.

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Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro

e il fine di tutta la storia umana. Inoltre la chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo

fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli. Così nella

luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature,

il concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell’uomo e per

cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del

nostro tempo» (GS 10)

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Alla domanda «chi è l’uomo?», si deve rispon-dere partendo da Cristo. Se ne può, dunque, concludere che la questione dell’uomo che viene posta al n.3 (la altissima vocazione dell’uomo) deve essere risolta alla luce del n. 10 (nella luce di Cristo si illustra il mistero dell’uomo).

In questo richiamo, si evidenzia ancora il tono pastorale del concilio, preoccupato non solo di «illustrare», spiegare teologicamente, ma anche di «risolvere» i problemi sociali. L’inizio stesso del n. 10, infatti, indicava in Cristo colui che «dà all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché l’uomo possa rispondere alla suprema sua vocazione».

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Ormai alla fine della prima sezione del docu-mento (n. 10,2), troviamo il primo riferimento esplicito a Gesù Cristo, in relazione all’uomo:

la densità delle domande esistenziali che descrivono l’esperienza storica di ogni uomo, trovano «nella luce di Cristo ... primogenito di tutte le creature» (Col 1,15) illustrazione e – potremmo dire – una via di soluzione pratica.

Va notata la dichiarazione relativa al legame di Cristo con la storia umana di cui è «la chiave, il centro e il fine». È importante il recupero del ruolo cristologico nell’interpretazione della storia

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tuttavia, questo passaggio pare ancora incompleto: Cristo è il centro e il (la) fine della storia, ma non la sua origine. Questo, almeno, non è esplicitato.

L. Ladaria ammette che si può al massimo riconoscere come «insinuata» la relazione di Cristo con la creazione (il primogenito…).

Tra queste due sottolineature, emerge alla fine quella che per noi costituisce l’affermazione fondamentale del nesso antropologia-cristologia: la chiesa «nella luce di Cristo [...] illustra il mistero dell’uomo».

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In questo passaggio, Cristo viene presen-tato in una duplice veste:

• in relazione a Dio, quale imago Dei • e in rapporto all’uomo, quale

primogenito di tutte le creature. (cfr. Col 1)

L’insieme di questi spunti permette di riconoscere come un dato di fatto il riferimento cristologico per compren-dere l’uomo, pur nella complessità ed articolazione del loro nesso.

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• Il limite rimane il fatto che al di là della dichiarazione di principio - che evoca i titoli cristologici di Col 1 -, non si precisa come e perché Cristo illumini la condizione dell’uomo.

• Ciò poiché non si è ricondotto il legame antropologia-cristologia sino alla sua radice originaria, ossia fino alla creazione in Cristo.