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Anno 32 - 2013 Volume 31, n. 1 Il latte d’asina nell’allergia alle proteine del latte vaccino Der p1: allergene ed adiuvante Th2? Dermatite atopica: highlights La Sindrome della Enterocolite Allergica. Dalla pratica alla teoria ALLERGOLOGIC N OTIZIARIO ISSN 2038-2553

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Anno 32 - 2013 • Volume 31, n. 1

Il latte d’asina nell’allergia alle proteine del latte vaccino

Der p1: allergene ed adiuvante Th2?

Dermatite atopica: highlights

La Sindrome della Enterocolite

Allergica. Dalla pratica

alla teoria

ALLERGOLOGICNOTIZIARIO

ISSN 2038-2553

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Anno 32, 2013 - Volume 31, n. 1

direttore responsabileGianni Mistrello

redazioneFabrizio Ottoboni

progetto graficoMaura Fattorini

Stampato da:

Àncora Arti Grafiche

via Benigno Crespi, 30 - 20159 Milano

amministrazione e pubblicità

Lofarma S.p.A.Viale Cassala 40, 20143 - Milanotel. +39 02 581981fax +39 02 8322512e-mail: [email protected]

Registrazione Tribunale di Milano n. 306 dell’ 1.8.1980

Pubblicazione Quadrimestrale

Il Notiziario Allergologico è on-line su

www.lofarma.itFotografia di Daniela Ottoboni

In copertina: Asteraceae, Taraxacum officinale

Il T. officinale, Weber ex F.H.Wigg. 1780 (taràssaco, dente di leone, soffione, dandelion in inglese) è la pianta a fiore (Angiosperma) che segnala l’arrivo della primavera con il suo giallo intenso, semplice e spontaneo come un bambino a cui viene di solito raccontato che chi lo coglie la notte bagnerà il letto (da cui il nome pisalét). Fin dall’antichità è usato in cucina e nella farmacopea popolare, la tarassaco terapia.

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sommarioNotiziario Allergologico, Anno 32 - 2013 - Volume 31, n. 1

editoriale 3Il filo conduttore: James Hillman Fabrizio Ottoboni

recensioni Fabrizio Ottoboni

Immunoterapia orale nell’allergia all’uovo 37Burks AW, Jones SM, Wood RA, Fleischer DM, Sicherer SH, Lindblad RW, Stablein D, Henning AK, Vickery BP, Liu AH, Scurlock AM, Shreffler WG, Plaut M, Sampson HA.

I biscotti ai chicchi di cereali sono tollerati dai bambini 38allergici al grano?Turner P, Wong M, Varese N et al.

Acqua, diclorofenoli e allergie 40Jerschow E et al.

Battericidi sintetici 40Bertelsen RJ, Longnecker MP, Løvik M, Calafat AM, Carlsen KH, London SJ, Lødrup Carlsen KC.

La gomma arabica (E414) è un potente immunoregolatore 41Xuan NT, Shumilina E, Nasir O, Bobbala D, Götz F, Lang F.

Il latte d’asina nell’allergia alle proteine del latte vaccino 3Giovanna Monti.

La Sindrome della Enterocolite Allergica. Dalla pratica alla teoria 13Stefano Miceli Sopo, Monica Greco.

Premio Giuseppe Centanni 24

Dermatite atopica: highlights 25Arianna Dondi, Lorenza Ricci, Iria Neri, Giampaolo Ricci, Annalisa Patrizi.

aggiornamenti

calendario congressi Redazione

Maggio-Dicembre 2013 48

il punto Gianni Mistrello

Der p 1: allergene ed adiuvante Th2 43

Effects of Lyoprotectants on the stability of cysteine protease Der p1 allergen from mites 45Secundo F, Vittorini M, Zanoni D, Roncarolo D, Mistrello G.

Disfunzione erettile: L’ ITS serve? 36

sillogismo Fabrizio Ottoboni

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editoriale

Il filo conduttore:James Hillman

Fabrizio Ottoboni

Bisogna pur cominciare da qual-che parte. Questa volta scelgo di cominciare con James Hillman

un grande psicologo americano e dal suo Puer Aeterrnus, un libricino della Adelphi di 161 pagine. Morto nel 2011 il grande junghiano in questo testo ci consente di riconoscere nella nostra psi-che, in tutti i loro camuffamenti, i tratti dell’eterna giovinezza che lottano contro il senex coperto dalla cortina della mo-rale. Nessun riferimento alla situazione italiana attuale, anche se…Il bimbo dipende ed ha fiducia nei geni-tori, invece, “arriva la volta in cui, a dispetto della promessa, si mette di mezzo la vita, succede l’incidente e si cade lunghi e distesi.” E questo implica che “quando si spezza la fiducia originale, il Dio puer muore e nasce l’uomo”……In questo numero del Notiziario Allergologico anche noi par-liamo del puer.Giovanna Monti ci spiega tutto sull’allergia al latte vaccino e

sul latte di asina, una tradizionale ma trascurata alternativa al latte materno da rivalutare.Stefano Miceli Sopo, con uno stile accat-tivante e didattico, ci spiega con accu-ratezza la difficoltà di apprendere a dia-gnosticare la sindrome dell’enterocolite allergica e come curarla.Annalisa Patrizi e Arianna Dondi aggior-nano le conoscenze sulla dermatite ato-pica: cause genetiche e non, e le novità terapeutiche per trattare il primo stadio della marcia atopica. Il Not Allergol prosegue con la necessaria

risposta al trailer presentato nel numero precedente e tante re-censioni dedicate al puer. Le recensioni segnalano alcune cause dell’incremento delle allergie e soprattutto alcune soluzioni.Infine una nuova descrizione del principale allergene del Der-matophagoides pteronyssinus e delle sue molteplici attività.

Buona lettura

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aggiornamenti

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allergia alle plv in età pediatrica

L’allergia alle proteine del latte vaccino (PLV)interessa circa il 3% dei bambini di età inferiore ai 3 anni (1,2). Benché la maggior parte dei pazienti acquisisca la tolleranza entro il quinto anno di vita, circa il 15% dei bambini con APLV IgE-mediata mantiene la sua allergia anche nella seconda decade e il 35% di essi presenta reazioni allergiche anche ad al-tri alimenti (1).La terapia consiste nell’eliminazione delle proteine del latte vaccino (PLV) dalla dieta: in caso di allattamento ma-terno esclusivo, l’eliminazione delle PLV dalla dieta della nutrice conduce gene-ralmente ad una remissione dei sintomi allergici. Nel caso in cui il latte materno (LM) sia indisponibile o insufficiente, la scelta di una formula o di un alimento dietetico alternativo é sempre necessaria nei primi 12-24 mesi di vita (3), ma é fondamentale anche sopra i due anni, qualora i bambini presentino una al-lergia alimentare (AA) multipla e/o ga-strointestinale con malassorbimento e

Giovanna MontiServizio di AllergologiaOspedale Infantile Regina MargheritaAO Città della Salute e della Scienza - Torino

Il latte d’asina nell’allergia alle proteine del latte vaccino

scarso accrescimento. La formula o l’alimento alternativo do-vrebbe idealmente possedere caratteri-stiche di: • ipo- o anallergenicità; • non cross-reattività con il latte vaccino;• adeguatezza nutrizionale (nei primi

due anni di vita, ed in particolare nel primo, il latte pastorizzato o in for-mula adattata e i suoi derivati rappre-

sentano gli alimenti con cui il bam-bino soddisfa almeno la metà del suo fabbisogno energetico e nutrizionale; essi rappresentano inoltre la princi-pale fonte di calcio alimentare, il cui fabbisogno è molto elevato in questa fascia di età);

• palatabilità, un requisito fondamenta-le, vista l’età dei piccoli pazienti;

• costo contenuto.

Donkey’s milk in cows’ milk allergyNot Allergol 2013; vol. 31: n.1: 3-12.

riassunto

Parole chiave e sigle

• APLV (allergia alle proteine del latte vaccino) • formule sostitutive • DM (latte d’asina)

Nel bambino con allergia alle proteine del latte vaccino non allattato al seno è necessaria la scelta di una formula o di un alimento dietetico alternativo, soprattutto nella prima infanzia. Non vi è consenso tra le diverse linee-guida su quale formula debba essere considerata di prima scelta e l’uso delle formule attualmente disponibili è ostacolato dal loro sapore estre-mamente sgradevole. Il latte d’asina è risultato essere una valida alternativa in termini di tol-lerabilità clinica, adeguatezza nutrizionale e palatabilità. Se questi risultati fossero confermati in un studio multicentrico, il latte d’asina potrebbe essere considerato un alimento naturale “ipoallergenico” per il trattamento dell’APLV, in accordo con le linee guida internazionali.

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summary

Key words and Acronyms• CMA (cows’ milk allergy) • alternative milk substitutes • DM (donkeys’ milk)

Not exclusively breastfed children with cows’ milk allergy require a formula or other alternati-ve food, especially in early infancy, but past and present guidelines differ concerning the best choice. Furthermore, use of the currently-available formulas is hampered by their extremely unpleasant taste. In subjects with CMA, donkey’s milk was found to be a valid alternative fo-odstuff, in terms of clinical tolerability, palatability and nutritional adequacy. If this result will be confirmed in a multi-centre study, DM could be considered a natural “hypoallergenic” food for treatment of CMA, according to international guidelines.

quali latti alternativi?

Le formule sostitutive sono rappresentate da formule a base di proteine intere di soia (soy-protein-based formulas, SF), idroli-sati estensivi di PLV (extensively hydroli-zed formulas, eHF) o di proteine di riso (RHF) e formule a base di aminoacidi di sintesi (amino-acid formulas, AAF).Non esiste al momento attuale la for-mula ideale, così come non vi è con-senso tra le diverse linee-guida, più re-centi (3-5) o pubblicate in precedenza

(6,7), su quale formula debba essere considerata di prima scelta nella tera-pia dell’APLV, qualora il LM non sia disponibile o debba essere integrato. Il punto di maggior disaccordo riguarda le indicazioni all’uso delle SF. Esse non sono infatti raccomandate come prima scelta dalle linee-guida europee (4,6), mentre sono ammesse in casi selezionati di APLV dalle linee-guida americane e australiane (5,7); in tutti i casi comun-que esse sono controindicate in alcune forme di APLV gastrointestinali e al di sotto dei 6 mesi di età per l’alto rischio di sensibilizzazione (3,7). Benché tutte le suddette formule ga-rantiscano un adeguato accrescimento staturo-ponderale, restano aperti su di esse alcuni importanti interrogativi di carattere nutrizionale (8-15) e mancano studi prospettici a lungo termine. Il loro limite principale poi, con l’unica possi-bile eccezione delle SF, è rappresentato dalle grandi difficoltà che si incontra-no nel farle accettare dai bambini con APLV, già a partire dall’anno di età, a causa del loro sapore estremamente

sgradevole (16).Per tutti questi motivi, negli ultimi anni è stata valutata la possibilità di utilizzare per i bambini con APLV il latte di altre specie di mammiferi, quali bufala, ca-pra, pecora, cammella (17-19), cavalla e asina (20-27). Il latte di bufala ha mostrato un’ampia cross-reattività in vitro con il LV, a diffe-renza di quanto osservato per il latte di cammella, usato come sostituto del LM nei bambini allattati artificialmente in molte parti del mondo, che non ha mo-strato alcuna reattività crociata in vitro con il LV (17). Il latte di pecora e il latte di capra (LC) sono com’è noto controindicati nella te-rapia dell’APLV (4-7) per l’ampia cross-reattività in vivo e in vitro con le PLV (18,19,25). Il latte di capra inoltre è nutrizionalmente inadeguato, in quan-to carente in acido folico, vitamina B6, B12 e ferro; può determinare inoltre nel lattante un eccessivo carico di soluti, a causa dell’elevato contenuto in sali mi-nerali e proteine.

il latte equino nella terapia dell’aplv

i presupposti nutrizionali e allergologici

La composizione del latte equino é più simile al LM rispetto al LV (28-32). Esso presenta uno scarso contenuto in sostanza secca, materia grassa e proteine, mentre è ricco in lattosio e in calcio.

Il lattosioIl contenuto in lattosio (6.23%) è simile a quello del latte materno. Esso stimola

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l’assorbimento intestinale del calcio e riveste il ruolo di probiotico, rappresen-tando il substrato ideale per un corretto sviluppo della flora microbica intestina-le; ad esso infine si deve inoltre il sapore dolce e la conseguente gradevolezza del latte equino.

Contenuto in calcio e altri mineraliIl rapporto calcio/fosforo (1.7) é inter-medio tra quello del LM e quello del LV e ottimale per il metabolismo e l’as-sorbimento del calcio. Nel latte di asina (donkey’s milk, DM) la concentrazione media del potassio è leggermente infe-riore rispetto al LM, quella di cloro e magnesio mediamente simili e quella del sodio leggermente superiore.

ProteineIl latte equino contiene tenori simili al LM in caseine e sieroproteine, nonché un’elevata concentrazione in aminoacidi essenziali, così come un basso carico re-nale di soluti (proteine e sostanze inor-ganiche). Da uno studio recente ese-guito con tecniche di proteomica sono state identificate nel DM sei differenti specie di proteine: l’α-s1-caseina, l’α-s2-caseina, la β-caseina, la k-caseina, l’α-LA e due varianti della β-LG, la β-lattoglobulina I e II (28).

• CaseineIl contenuto totale in caseine del DM è inferiore a quello del LV, con un rap-porto caseina/proteine sieriche simile a quello presente nel LM (28).L’α-s1-caseina contenuta nel DM non è stata ancora completamente sequenzia-ta, ma l’α-s1-caseina del latte di caval-

la (la cui sequenza è nota) mostra una maggiore identità (42,9%) con l’α-s1-caseina del LM rispetto a quella conte-nuta nel LV (32,4%). Questa maggiore somiglianza con la controparte umana potrebbe contribuire a spiegare l’elevata tollerabilità del latte equino nell’APLV.Mentre l’α-s2-caseina rappresenta nel LV circa il 10% della frazione caseinica totale, essa sembra essere presente solo in minima quantità nel DM, analoga-mente a quanto si osserva nel LM ove essa è addirittura assente. Järvinen et al. (33), utilizzando un decapeptide sinteti-co, hanno riportato nel siero di soggetti con APLV IgE-mediata persistente la presenza di IgE legate ai residui 33-42, 87-96 e 159-168 dell’α-s2-caseina bovi-na; Natale et al. (34) hanno rilevato che il 90% di 20 lattanti con APLV aveva IgE sieriche dirette contro l’α-s2-caseina bovina. Quest’ultima sembrerebbe esse-re pertanto uno dei principali allergeni

del LV e la presenza di livelli molto bassi di tale proteina nel DM potrebbe con-tribuire a spiegare l’elevata tollerabilità del DM negli allergici alle PLV.La presenza di β-caseina nel DM é stata riportata e analogamente a quanto os-servato nel LM essa è la caseina predo-minante nel DM (28,31).In uno studio su 20 lattanti con APLV IgE-mediata è stata dimostrata una ca-pacità sensibilizzante della β-caseina bovina piuttosto bassa (15%) (34). In un altro studio è stato riportato che tale proteina condivide con le altre frazioni della caseina bovina un epitopo costitu-ito da 5 aminoacidi in sequenza (SerP-SerP-SerP-Glu-Glu), in un sito maggio-re di fosforilazione altamente conservato e che il legame delle IgE specifiche a tale epitopo è influenzato dal grado di fosforilazione (35). Il medesimo pep-tide nella β-caseina del latte di cavalla sembra essere significativamente diverso

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(SerP-SerP-Asn-Glu-Pro), e questa ca-ratteristica potrebbe anche contribuire a spiegare l’elevata tollerabilità del latte equino nell’APLV.La quantità di κ-caseina recentemen-te identificata nel DM sembra essere inferiore rispetto a quella del latte di giumenta e di gran lunga molto più bassa rispetto a quella presente nel LV e nel LM (49). Nello studio di Natale, già citato, circa il 50% dei lattanti con APLV IgE-mediata era sensibilizzato alla κ-caseina bovina. La presenza di più bassi livelli di tale proteina nel DM po-trebbe contribuire a spiegare la sua ele-vata tollerabilità nell’APLV.

• α-lattoalbumina (ALA)Anche se l’ALA non sempre è conside-rata uno dei principali allergeni proteici del LV, la presenza di epitopi confor-mazionali è stata considerata [34], ed è risultata essere di importanza critica in 11/19 pazienti nello studio di Maynard, che ha anche dimostrato la presenza di epitopi sequenziali esposti attraverso denaturazione proteica (36). È interes-sante notare che è stato identificato un epitopo sequenziale nella regione 5Lys-18Tyr dell’ALA bovina, riconosciuto dal-le IgE specifiche di pazienti allergici al LV (37). La sequenza aminoacidica dei 14 residui compresi nella regione mostra solo l’85,6% di somiglianza (57,1% di identità) tra ALA umana e bovina, men-tre quella umana e quella del DM mo-strano una analogia del 100% (78,6% di identità) nella stessa regione. Anche questo dato può aiutare a spiegare la ele-vata tollerabilità del DM nell’APLV.• β-lattoglobulina (b-LG)

La b-LG è la componente proteica prin-cipale del LV, ove rappresenta oltre il 50% della frazione proteica del siero; essa è stata riscontrata anche nel DM, ove rappresenta però meno del 30% del-le proteine del siero di latte.Si riteneva in passato che tale proteina fosse presente solo nel latte dei rumi-nanti, e che essa fosse quindi l’allergene maggiormente responsabile delle reazio-ni allergiche al LV. Dopo la scoperta e la caratterizzazione della b-LG nel latte di cavalla, questa proteina è stata trovata nella maggior parte dei latti animali, ivi incluso quello di asina. Da allora il ruolo della b-LG bovina nel provocare reazio-

ni allergiche è stato rivalutato ed è ormai generalmente accettato che siano le casei-ne i principali allergeni proteici del LV. La b-LG non è stata trovata nel LM, ove però è presente un’altra proteina, la glicodelina, che fa parte anch’essa come la b-LG della famiglia delle lipocaline e che è stata indicata come l’omologo umano glicosilato della b-LG.Il risultato più interessante dell’analisi proteomica effettuata in uno studio sul-le proteine del DM è l’apparente glico-silazione delle isoforme della b-LG (28). Il confronto tra le coppie di b-LG I del DM e la glicodelina del latte umano eseguito in questo studio ha mostrato

Tabella 1 Parametri nutrizionali

T0 Tc Significatività media (DS) media (DS) statistica mediana (IQR) mediana (IQR) emoglobina 11.93 (0.99) 12.43 (0.95) p = 0.008•(g/dl) 11.80 (1.55) 12.50 (1.00) sideremia 76.78 (43.36) 89.55 (35.25) p = 0.006••(g/dl) 73.00 (39.50) 80.00 (42.50)

transferrina 20.78 (9.50) 23.78 (9.71) p = 0.005••satura (%) 18.00 (9.50) 23.00 (13.50) Vitamina D 73.39 (15.06) 64.37 (15.69)1,25-(OH)2 71.20 (14.85) 65.00 (13.65) p = 0.019••(pg/ml) prealbuminemia 17.62 (4.29) 19.14 (3.81)(mg/dl) 18.00 (4.50) 19.00 (6.50) p = 0.039•

• t-test per dati appaiati•• Wilcoxon-test per dati appaiati•••I parametri nutrizionali erano volti a indagare il bilancio marziale, calcio-fosforico, proteico e lipidico, oltre ai livelli ematici di rame e zinco.

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una identità del 54.4% in 160 residui di sovrapposizione, simile a quella tra la b-LG del LV e quella del DM (56.9%) e superiore a quella tra glicodelina del latte umano e b-LG del LV (43.9%). Se gli studi sulla b-LG del DM dovessero confermare un pattern di glicosilazione di questa proteina simile a quello della glicodelina del LM, anche questa forte somiglianza strutturale potrebbe essere un dato alla base della elevata tollerabi-lità del DM negli allergici alle PLV.

Lattoferrina, lisozima e lattoperossidasiIl DM contiene infine le proteine latto-ferrina, lisozima e lattoperossidasi (pre-senti solo in tracce nel LV), ad impor-tante azione antibatterica (28,30-32).

LipidiIl DM si differenzia in modo significativo dal LM e dal LV per il ridotto contenuto lipidico totale, principale determinante del basso apporto calorico di questo latte (408 Kcal/l, vs 690 Kcal/l e 660 Kcal/l del LM e del LV rispettivamente); esso contiene pochi acidi grassi saturi, pochi monoinsaturi e una quantità di polinsa-turi analoga a quella del LV e inferiore rispetto a quella del LM; tutto questo rende il DM inadeguato come alimento esclusivo nel primo anno di vita.Un altro aspetto che non rende il DM idoneo come alimento esclusivo sotto l’anno di età è il basso contenuto in acidi grassi polisaturi (polyunsaturated fatty acids – PUFA) ω

6, con particolare

riferimento all’acido arachidonico (acA-RA) e all’acido docosaesaenoico (DHA).I lipidi contenuti nel DM sono tutta-

via altamente biodisponibili (29). Esso è inoltre ricco in PUFA a lunga cate-na, che prevalgono anche nel LM (52-54%), con un basso rapporto ω

6 /ω

3 ,

simile a quello del LM.

il latte equino nella terapia dell’aplv:

gli studi clinici

Il latte equino è stato oggetto in pas-sato di studi clinici su casistiche esi-gue (22,23) e recentemente di studi su casistiche più ampie, condotti solo in vivo (21,25,26) o in vivo e in vitro (20,24,27). Il latte di cavalla (LCav) è stato ogget-to nel 2000 di uno studio in vitro e in vivo eseguito su 25 bambini con APLV IgE-mediata. E’ stata riscontrata una minima cross-reattività in vitro tra LCav e LV e 24 dei 25 bambini sottoposti al challenge (FC) con il LCav hanno mo-strato di tollerarlo clinicamente (20). Nel 2009 è stato pubblicato uno stu-dio condotto in doppio cieco crossover sull’utilizzo del LCav in 23 bambini af-fetti da DA e APLV, che lo hanno con-sumato per un periodo di 16 settima-ne. Durante tale periodo lo SCORAD index si è ridotto (P<0.05) in tutti i pazienti; in 7 di essi il miglioramen-to è stato particolarmente significativo (p<0.01) e si è osservato un aumento dei bifidobatteri fecali dal 4.6% all’11.9% (P<0.05) (21). Il LCav presenta tuttavia come principale inconveniente la gran-de difficoltà di approvvigionamento in Europa.Il latte di asina é più facilmente reperibi-le in Italia; esso è stato valutato nel 1992

e nel 2000 in due studi eseguiti rispet-tivamente su 9 e 21 lattanti con APLV per lo più IgE-mediata, allergia alla soia e alle eHF, per i quali non era disponibi-le il LM (22,23). Il DM è stato tollerato al FC dalla totalità dei soggetti studiati; 9/9 e 18/21 hanno continuato a tollera-re il DM per l’intero follow-up (rispet-tivamente 15-20 mesi e 1-8 anni). Gli Autori hanno riportato in entrambi gli studi la buona palatabilità e l’adeguatez-za nutrizionale di tale latte. Nel 2007 è stato pubblicato uno studio condotto in singolo cieco, randomizzato e crossover sull’utilizzo del LC e del DM in 26 bambini affetti da DA e APLV (età 6 – 44 mesi, mediana 30 mesi) (25). Ben 23/26 bambini (88.4%) hanno mostrato al termine del periodo di stu-dio di non tollerare il LC, mentre uno soltanto su 26 (3.8%) non ha tollerato il DM, senza presentare reazioni gravi. Un ulteriore bambino, assegnato in par-tenza al gruppo che assumeva il LC, ha abbandonato lo studio per la comparsa di una grave reazione a quest’ultimo. Nel 2009 sono state valutate in 25 bam-bini (età 6 mesi – 10 anni, mediana 4.5) con APLV per lo più IgE-mediata non severa la tollerabilità e l’efficacia del DM come sostituto del LV (26). Il DM è stato tollerato dal 96% dei bambini (24/25), al FC e per tutto il follow-up (4-6 mesi). I parametri auxologici han-no mostrato in tutti un miglioramento significativo. Il DM è stato infine recentemente og-getto di due studi in vivo e in vitro, con-dotti dal nostro gruppo in collaborazio-ne con l’U.O. di Torino dell’ISPA-CNR e la Cattedra di Neonatologia dell’Uni-

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aggiornamenti

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versità di Torino, rispettivamente su 46 bambini (età 12-149 mesi, mediana 24) e su altri 92 (età 7.5-121.5 mesi, me-diana 19.5) con diagnosi accertata di APLV, IgE-mediata in 33/46 (71.7%) e in 69/92 (75%)(24,27).

La parte in vivoA differenza delle precedenti casistiche, i pazienti arruolati in questi ultimi due studi includevano anche forme severe di APLV (pregressa anafilassi, FPIES seve-ra, esofagite o gastroenterocolite eosino-fila), oltre che forme di AA gastrointe-stinale con malassorbimento e/o deficit di accrescimento ponderale. Nel 75% (35/46) e nell’ 89% dei casi (82/92) era presente poi al reclutamento una AA multipla.Per nessuno di questi pazienti era dispo-nibile il LM, né era possibile utilizzare al reclutamento alcun sostituto del LV (SF, eHF, RHF o AAF). Per una parte di essi infatti già alla prima osservazione erano presenti forme gastrointestinali allergiche per le quali era inappropriato l’uso delle SF, mentre gli altri avevano sviluppato un’allergia alla soia tra la pri-ma osservazione e il reclutamento nello studio. Tutti erano accomunati dal rifiu-to categorico e reiterato degli eHF/RHF o AAF, alcuni già al momento della pri-ma osservazione, altri dopo aver assunto tali formule per un periodo di tempo variabile (in media 12 mesi). Si trattava pertanto di pazienti altamente proble-matici, per i quali era di fondamentale importanza reperire un alimento sosti-tutivo, vuoi per l’elevata percentuale di casi con AA multipla, che li costringeva a diete restrittive, vuoi per il fatto che la

grande maggioranza dei soggetti presen-tava all’arruolamento valori di Z-score negativi per il peso. L’alimento alternati-vo al LV doveva essere inoltre gradevole (oltre che tollerato e nutrizionalmente adeguato), essendo i nostri pazienti par-ticolarmente esigenti da questo punto di vista, vuoi per l’età, vuoi per la monoto-nia e la ripetitività della dieta cui erano sottoposti. La tollerabilità clinica del DM si è dimo-strata elevata (82.6%, 38/46 e 90.2%, 83/92) considerando anche la partico-lare selezione della casistica, e indipen-dente dalla tipologia della reazione aller-gica alle PLV (IgE- o non IgE-mediata).

Il DM è stato gradito e tollerato per l’intero follow-up (in media 10 mesi e 15.48 mesi rispettivamente), sufficiente-mente lungo da consentire di escludere la comparsa di reazioni cliniche conse-guenti ad una sensibilizzazione primaria al DM. La quantità di latte consumata è stata in media di 300 ml al giorno.Lo Z-score per il peso e per la lunghezza hanno mostrato un incremento signifi-cativo per tutto il periodo della valuta-zione in entrambi gli studi. Nel secondo studio sono state riscontrate differenze significative per alcuni dei parametri bioumorali valutati tra il reclutamento (T

0) e dopo 6-12 mesi di assunzione del

Figura 1 Elettroforesi nativa e immunoblotting del DM

Elettroforesi nativa e immunoblotting: la Fig. 1A mostra la separazione delle DMP in con-dizioni native. L’identificazione delle proteine contenute nelle 10 bande numerate è stata effettuata mediante spettrometria di massa MALDI-TOF ed é riportata in Tabella 2.Le bande 6,7 e 8 (in grassetto nella figura 1 A) sono specifiche per i soggetti allergici al DM (numeri 7,8,10, 15 e 17 evidenziati in grassetto nella Fig. 1B)

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DM (Tc) (Vedi Tabella 1).

Il DM non ha mai indotto al FC reazio-ni sistemiche severe di tipo immediato. I test allergometrici specifici hanno mo-strato in entrambi gli studi una buona predittività negativa sull’esito del FC al DM, ma una scarsa predittività positiva sia sull’outcome del FC al DM, sia sulla comparsa di reazioni cliniche immedia-te al FC. L’elevato numero di false po-sitività osservate sia al PbP sia al RAST per il DM potrebbe essere imputabile alla presenza di sIgE primitivamente di-rette contro epitopi del LV e che cross-reagiscono con epitopi del DM, senza peraltro essere responsabili di reazioni cliniche verso quest’ultimo.

La parte in vitroNei saggi in vitro eseguiti nel primo stu-dio, volti ad identificare le proteine al-lergeniche sia del LV che del DM, con-dotti mediante elettroforesi denaturante (SDS-PAGE) seguita da immunoblot-ting (IB), i sieri dei pazienti RAST posi-tivi per le PLV hanno mostrato tutti una chiara reattività nei confronti di queste ultime (principalmente caseine e b-LG), mentre verso le proteine del DM ave-vano tutti mostrato una debole e aspe-cifica reattività, indipendentemente dal fatto che il paziente avesse avuto o no una reazione al FC per il DM.Non era stato pertanto possibile in que-sto studio identificare le proteine cross-reattive tra DM e LV. Poiché tuttavia l’IB in condizioni de-naturanti evidenzia soltanto gli epitopi lineari, era stato ipotizzato che la reatti-vità crociata in vivo tra i due latti fosse dovuta per lo più a epitopi conforma-

Tabella 2 Identificazione delle proteine nelle bande da 1A a 8 della fig. 1

Band pI MW Protein Maldi Mass kDa (accession number) Spectrometry Identification matching peptides (coverage %)

1A (fig. 2A) 5.78 25511 Beta-casein precursor 6 (21) (Q9GKK3 horse) 6.02 25305 Alpha-s1 casein (Q8SPR1 horse) 4 (13)1B (fig. 2°) 6.78 25511 Beta-casein precursor 6 (21) (Q9GKK3 horse) 6.61 76141 Serotransferrin precursor 8 (19) (transferrin) (P27425 horse) 2 (fig. 2A) 6.02 25305 Serum albumin precursor 26 (45) (Q5XLE4) 8.32 75420 Lactotransferrin precursor 7 (15) (fragment)(lactoferrin)(O77811)3 (fig. 2A) - - Not identified -4 (fig. 2A) 4.85 18500 Beta-lactoglobulin I precursor 18 (81) (variant B) 4B (fig. 2A) 4.79 18528 Beta-lactoglobulin I precursor 6 (42) (P13613) 5 (fig. 2A) 4.85 18500 Beta-lactoglobulin I precursor 13 (67) (variant B) 6.61 76141 Serotransferrin precursor 11 (25) (transferrin) (P27425 horse) 6 (fig. 2A) 6.61 76141 Serotransferrin precursor 11 (29) (transferrin) 4.70 18530 (P27425 horse) 7 (52) Beta-lactoglobulin-2 (beta-LG-2), (beta-lactoglobulin II, minor monomeric) (P19647)7 (fig. 2A) 4.70 18530 Beta-lactoglobulin-2 7(52) (beta-LG-2), (beta-lactoglobulin II, minor monomeric) (P19647)8 (fig. 2A) 5.78 25511 Beta-lactoglobulin-2 (beta-LG-2), (beta-lactoglobulin II, minor monomeric) (P19647) 6.61 76141 Serotransferrin precursor 8 (19) (transferrin) (P27425 horse)

L’identificazione è stata ottenuta tramite spettrometria di massa MALDI TOF e MALDI TOF/TOF I punti 6-7-8 vanno evidenziate con un riquadro, come nell’originale

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zionali. Per verificare tale ipotesi, l’IB è stato eseguito nel secondo studio uti-lizzando DM sottoposto a elettroforesi in condizioni native e non denaturanti (Vedi Figura 1). L’ipotesi è stata in questo modo con-fermata, in quanto i pazienti allergici al DM hanno mostrato bande di reazione specifiche, non visibili nei soggetti al-lergici solo al LV. Le tre bande di reazio-ne evidenziate hanno dimostrato con-tenere β-caseina (β-cas) e b-LG (Vedi Tabella 2).Poiché per la β-cas umana è stata ripor-tata l’esistenza di un epitopo cross-reat-tivo verso le sIgE per la b-LG bovina, si può ipotizzare che l’unica proteina del LV in grado di stimolare la produzione di IgE cross-reattive con le proteine del DM sia la b-LG. Trattandosi comunque per entrambe le proteine (β-cas e b-LG II del DM) di epitopi cross-reattivi di tipo conformazionale, sarà interessante valutare la persistenza di tale cross-re-attività verso le sIgE elicitate dalle PLV anche in seguito a diversi trattamenti tecnologici del DM (ad es. pastorizza-zione).

conclusioni

La scelta di un latte alternativo nell’ allergia alle proteine del latte vaccino deve tenere conto delle caratteristiche cliniche del bambino allergico (età, gra-vità dei sintomi, presenza e severità di sintomi gastrointestinali, meccanismo immunologico coinvolto ed entità della sensibilizzazione allergica, presenza di allergie alimentari multiple). In base a tutti questi elementi e alle linee guida

delle più importanti e accreditate socie-tà scientifiche internazionali, è possibi-le mirare in modo efficace la scelta del latte sostitutivo più adatto alle esigenze del singolo paziente. Nella pratica cli-nica, la scelta del latte alternativo deve essere inoltre effettuata nell’ambito dei latti la cui sicurezza e adeguatezza nu-trizionale siano state sufficientemente validate da studi controllati. Tutti gli studi eseguiti sul latte di asina hanno ottenuto risultati di tollerabilità e di adeguatezza nutrizionale più che in-coraggianti, che necessiterebbero di ul-teriori conferme su una popolazione più generale di pazienti allergici alle PLV e di varia provenienza geografica. L’opportunità di eseguire uno studio ancora più ampio e coinvolgente più Centri, in grado di trarre dati sufficien-temente conclusivi sulle indicazioni all’uso del DM nei pazienti con APLV, sta anche nel fatto che le iniziali difficol-tà di reperimento di questo latte stanno attualmente lasciando il posto ad una sua maggiore disponibilità. In Italia in-fatti il latte di asina è oggi venduto fre-

sco – pastorizzato o no – e/o liofilizzato, sia nella grande distribuzione organiz-zata, sia presso allevamenti di asine da latte presenti in molte Regioni italiane. Questo espone i pazienti allergici al ri-schio di una gestione autonoma e di una autoprescrizione da parte dei genitori, senza alcun controllo allergologico, cli-nico, auxologico e nutrizionale. Qualora in un ampio studio multicen-trico eseguito su soggetti dimostrata-mente allergici alle PLV si confermasse che il DM è tollerato da almeno il 90% dei pazienti, con IC del 95%, non solo al test di provocazione (in doppio cieco verso placebo), ma anche nei giorni ad esso successivi e nel corso di un follow-up di sufficiente durata, il DM potrebbe soddisfare i criteri di “ipoallergenicità” richiesti dalle linee-guida internazionali e potrebbe essere quindi considerato un alimento naturale ipoallergenico per la terapia dell’APLV.Esso potrebbe rappresentare per i sog-getti allergici alle PLV una delle alter-native possibili, senz’altro più gradevole al gusto rispetto alle formule sostituti-ve. Esso si è dimostrato infatti valido sotto questo punto di vista: in tutti gli studi i bambini lo hanno trovato gra-devole e lo hanno assunto volentieri, anche per lunghi periodi. Il problema della palatabilità in età pediatrica è un fattore che non va trascurato. Mentre nei primi mesi di vita questo non rap-presenta generalmente un problema, nelle età successive il sapore sgradevo-le e il retrogusto amaro delle formule alternative possono causare infatti una scarsa o nulla compliance all’assunzione di queste ultime. Il rifiuto reiterato e ca-

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tegorico da parte del bambino può in-durre il genitore a sostituire di propria iniziativa la formula con un prodotto di erboristeria, (ad es. una bevanda a base di acqua di riso), erroneamente defini-ta “latte”, la cui assunzione prolungata può causare importanti squilibri nutri-zionali. A questo proposito va comunque sem-pre tenuto presente che il DM non è idoneo come alimento esclusivo sotto i 12 mesi, se pure esso possa rappresenta-re una base ideale per la preparazione di una formula adeguata anche per questa fascia d’età. Tra i 9 e i 12 mesi può esse-re utilizzato solo qualora il bambino sia già svezzato e la dieta deve essere sem-pre bilanciata da un dietista esperto in nutrizione pediatrica o dal pediatra.

Un ostacolo oggettivo al consumo di questo latte è rappresentato dal costo elevato, pari o lievemente inferiore a quello delle formule di aminoacidi. Questo è causato da una serie di fattori, i più importanti dei quali sono rappre-sentati dalla scarsa capacità volumetrica della mammella dell’asina e dalla pro-duzione del latte limitata al periodo di allattamento, con cessazione della pro-duzione al divezzamento. Qualora si riuscisse a ottimizzarne la produzione, il costo potrebbe essere più contenuto. Mancano infine normative nazionali “ad hoc” che disciplinino tutta la linea produttiva di questo latte. E’ necessario quindi mettere ordine nella materia, selezionando allevatori in grado di for-nire latte con parametri di composizio-

ne standardizzabili, oltre che di gestire correttamente gli allevamenti (corretta igiene ambientale e controlli clinico-veterinari sugli animali) e di trovare la modalità più idonea alla conservazione del latte (refrigerazione o altro tratta-mento termico) che ne preservi le carat-teristiche nutrizionali e ne garantisca la sicurezza sotto il profilo igienico-sanita-rio. Poiché tale alimento sarebbe inoltre destinato ad una popolazione di bam-bini allergici, tutta la linea produttiva dovrebbe sottostare a rigorose norme e controlli non soltanto di tipo igienico-sanitario, ma anche di tipo allergologi-co, secondo la normativa CEE in merito agli allergeni, evitando in primis la pro-miscuità animale (compresenza nell’al-levamento di bovini e ovini).

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preludio

(allegretto con scherzo)

Mi è stata sollecitata una introduzione, con-vengo che nelle buone famiglie ci vuole, bi-sogna essere introdotti, in caso contrario ci si potrebbe spaesare, si perderebbe il bando-lo prima ancora di aver compreso di averlo trovato. E’legittimo, e dunque introdurrò, magari alla maniera de Il Gatto nel Sacco, che esordì proprio 10 anni fa, giusto con un pizzico di adeguamento ai tempi moderni. Leggetevi dunque il racconto di sotto ascol-tando su Youtube “Dire Straits - Sultans of Swing (Alchemy Live)” eppoi, senza solu-zione di continuità (fantastica espressione, la metterei ovunque !), “Mark Knopfler and Emmylou Harris - I Dug Up A Diamond”. Al termine della lettura (e della visione del-le clip), riflettete su come si cambia in soli 30 anni o poco più, anch’io sono cambiato, sono molto più suscettibile (ed è tutto dire).

nella vita ci vuole fortuna

Sara

Sara ha assunto piccoli quantitativi di latte artificiale (30 ml) nella prima setti-

Stefano Miceli Sopo, Monica GrecoAmbulatorio e Day Hospital di Allergologia Pediatrica Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

La Sindrome della Enterocolite Allergica. Dalla pratica alla teoriaFood Protein Induced Enterocolitis Syndrome. From practice to theoryNot Allergol 2013; vol. 31: n.1: 13-23.

riassunto

Parole chiave e sigle

• Allergia alimentare • SEA (sindrome della enterocolite allergica) • vomito

La Sindrome della Enterocolite Allergica (SEA) è una malattia allergica, probabilmen-te non IgE-mediata, ad espressione prevalentemente gastrointestinale. Il sintomo più caratterizzante è infatti il vomito: importante, ripetuto, debilitante. Insorge a 2-6 ore di distanza dall’inizio dell’ingestione dell’alimento colpevole e si accompagna, solita-mente, ad ipotonia ed iporeattività. Oltre a questi due, che sono i sintomi più eclatanti, vi può essere diarrea e, nel 10%-20% dei casi, ipotensione grave. Molto caratteristica-mente tutto si risolve in qualche ora, al massimo una dozzina, e il bambino sta bene come prima dell’esordio dei sintomi: questo aspetto è di grande aiuto nella diagnosi differenziale. Esistono dei criteri diagnostici codificati e di facile applicabilità. La dia-gnosi di SEA non è comunque immediata, la media degli episodi pre-diagnosi è pari a 2, con punte di 6 episodi: il motivo di ciò è verosimilmente riconducibile alla scarsa diffusione della conoscenza di questa sindrome, anche se negli ultimi anni si è assistito ad un moltiplicarsi delle occasioni di formazione in merito e il numero delle diagnosi è effettivamente aumentato. L’alimento più frequentemente coinvolto è il latte vaccino, seguito dal riso e, almeno in Italia e Spagna, dal pesce; molti altri alimenti sono stati individuati come responsabili di SEA. La terapia è l’eliminazione dell’alimento colpevole. La prognosi è, generalmente, buona in pochi anni: intorno ai 3-4 anni quasi tutti i bambini acquisiscono spontaneamente la tolleranza.

mana di vita senza reazioni avverse. Il 20 Giugno le è stata preparato dalla nonna (la mamma, medico, era al lavoro) un biberon con 120 ml di latte artificiale, la bimba lo ha bevuto completamente

presentando vomito subito dopo il ter-mine della poppata. Dopo circa 2 ore ha assunto altri 60 ml di latte artificiale senza alcun problema, poi solo latte ma-terno per i successivi 2 mesi (la mamma,

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Not Allergol Anno 32 - 2013 • Vol. 31, n. 1

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summary

Key words and Acronyms• Food allergy • FPIES (Food Protein Induced Enterocolitis Syndrome) • vomiting

Food Protein Induced Enterocolitis Syndrome (FPIES) is an allergic disease, probably non IgE-mediated, with predominant expression in the gastrointestinal tract. The most characteristic symptom is vomiting: important, repeated, debilitating. It occurs within 2-6 hours from the ‘ingestion of causative food and is accompanied usually with hypotonia and hyporeactivity. In addition to these two, which are the most striking symptoms, there may be diarrhea, and in 10% -20% of cases, severe hypotension. Very typically the clinical condition resolves within a few hours, at most a dozen, and the baby feels fine like before the onset of symptoms: this aspect is of great help in the differential diagnosis. Some encoded diagnostic criteria are avai-lable and easy to apply. However the diagnosis of SEA is not immediate, the average number of episodes before diagnosis is equal to 2, with peaks of 6 episodes: the reason is probably due to the scarce diffusion of knowledge about this syndrome, although in recent years the educational events on the topics increased in number and the number of diagnoses is actually increased.The most frequently involved food is cow’s milk, followed by rice and, at least in Italy and Spain, by fish; a lot of other foods have been identified as responsible for SEA. Therapy consists in the elimination of the culprit food . The prognosis is generally good in a few years: around 3-4 years of age almost all children spontaneously acquire tolerance.

sempre medico, in estate non ha lavo-rato). All’inizio di Settembre Sara, che era raffreddata, presentava occasionali episodi di rigurgito/vomito di muco e di latte dopo le poppate con latte ma-terno. Il 10 Settembre, alle 11.30 circa, Sara beve 120 ml di latte artificiale ad integrazione di una piccola quantità di latte materno, poi si addormenta per circa 1 ora e mezzo. A questo punto la bimba, infastidita dalle difficoltà respira-torie secondarie al raffreddore, si risve-glia e, dopo qualche minuto, comincia vomitare ripetutamente. Alle 15.00 circa, la bambina appare iporeattiva, pallida, ipotonica, sonnolenta e difficil-mente risvegliabile. All’arrivo in pronto soccorso viene assistita in prima battuta

dal pediatra della terapia intensiva (tanto appariva grave, un codice rosso), vengo-no riscontrati normali valori di ossime-tria e frequenza cardiaca, non si conosce il valore della pressione arteriosa, dopo poco la bambina ritorna spontaneamen-te (senza somministrazione di farmaci) in condizioni di pieno benessere e viene valutata quindi dal pediatra generalista del pronto soccorso. L’episodio viene in-terpretato come reazione vagale associata a vomito, viene posto il sospetto diagno-stico di reflusso gastroesofageo sulla base dei dati anamnestici di sonno irrequie-to e posizione di opistotono durante lo stesso, Sara è rinviata a domicilio con il suggerimento di effettuare una visita gastroenterologica. Durante quella gior-

nata ha poi presentato una evacuazione di feci abbondanti, liquide, di odore particolarmente acre. Il gastroenterologo pediatra visita dunque Sara e decide che può proseguire la vita che faceva prima, al più aggiungendo una crema di riso al latte per ispessirlo. Comunque la madre, di sua volontà, non somministra alla bambina altro latte che quello materno, perché per il momento è sufficiente. Il caso volle che alla visita in pronto soc-corso assistesse una specializzanda in pe-diatria che frequentava l’allergologia pe-diatrica. La giovane dottoressa sospetta che ci possa essere qualcosa di diverso di una reazione vagale in corso di rigurgi-to e dispone per una visita allergologica. Così Sara effettua i test allergometrici epicutanei, cioè i prick test, che risultano negativi per le proteine del latte vaccino (LV). Un mese dopo l’episodio critico effettua anche un Test di Provocazione Orale (TPO) con LV in Day Hospital (DH). La bimba ingerisce metà della dose che il 10 Settembre aveva scatena-to i sintomi, cioè 60 ml, e 2 ore dopo l’inizio dell’ingestione inizia a vomita-re e presenta pallore ed iporeattività; la pressione arteriosa risulta pari 112/72 mmHg; si somministra idrocortisone per via intramuscolare; piccoli vomiti in-sieme con il pallore e l’iporeattività con-tinuano per 1 ora almeno, poi solamente l’iporeattività e tendenza al sopore. La pressione, in particolare diastolica, inizia a scendere, fino a 81/35 mmHg, risa-le quando la bambina viene risvegliata scuotendola un po’, e poi riscende. Alla fine, persistendo pure l’iporeattività, si praticano 0.1 mg di adrenalina per via intramuscolare. Tre ore dopo l’esordio

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dei sintomi appare meno soporosa, ma presenta un nuovo vomito, poi si addor-menta di un sonno normale, come è giu-sto alla sua età visto che ha saltato il piso-lino mattutino. Alle 14 sta bene e viene dimessa con la conferma del sospetto di Sindrome dell’Enterocolite Allergica (SEA) da LV, che la specializzanda aveva (nel suo cuore) emesso durante l’accesso in pronto soccorso. Viene rimandata a domicilio con il suggerimento di esclu-dere il LV dalla sua dieta, di assumere un idrolisato spinto di caseina in sostituzio-ne, e di effettuare un TPO in DH con una miscela di cereali, legumi (tra cui la soia), e pollame.

AlessioAllattato al seno materno esclusivamen-te fino a 5 mesi, poi alimentazione com-plementare. All’età di 7 mesi ha assun-to il merluzzo cotto al vapore almeno due volte senza problemi. Dopo pochi giorni dall’ultima assunzione di mer-luzzo, ha assunto alle 12 di un giorno di giugno 50 grammi di sogliola cotta al vapore. Alle 14 ha iniziato a vomita-re, ha vomitato in tutto 3 volte, appa-riva ipotonico, iporeattivo, accasciato; dopo qualche ora ha presentato una evacuazione diarroica. Dopo 5 ore circa dall’inizio dei sintomi stava nuovamente bene, come se nulla fosse successo. Non è stato portato in ospedale, non è stato ricoverato, non sono stati somministra-ti farmaci. La zia medico ha suggerito di riprovare con il pesce dopo qualche tempo. E quindi Alessio dopo un mese ha mangiato con inizio alle 19 un omo-geneizzato di platessa e intorno alle 23 ha ripresentato i sintomi del precedente

episodio in forma più grave. Agli inizi di Settembre (quindi all’età di 10 mesi) alle ore 13 la madre somministra mez-zo barattolo di omogeneizzato di orata e Alessio alle 15 ha ripresentato sempre gli stessi sintomi. Nel secondo e terzo episodio la diarrea non si è presentata. Il bimbo non è stato mai portato in ospedale, mai visitato da un medico, mai somministrati farmaci, ha sempre presentato una risoluzione completa dei sintomi a 5-6 ore dall’esordio degli stessi. Collateralmente si registra che ha già assunto senza problemi cereali, car-ne di pollame, legumi, LV, che non ha mai presentato né dermatite atopica né broncospasmo e non ha familiarità al-lergica. Dopo il terzo episodio la madre si decide e porta Alessio dall’allergolo-go, vengono effettuati i prick test con gli alimenti naturali coinvolti: soglio-la cotta al vapore = negativo, sogliola cruda = negativo, omogeneizzato di orata = negativo. L’allergologo pediatra conclude che Alessio è affetto da SEA da pesce. E prescrive che il bimbo può assumere liberamente tutti gli alimenti salvo quelli provenienti dal mare. Per questi ultimi, però, non vale il divieto assoluto di ingestione per tempi lunghi: con molluschi e crostacei, eppoi con merluzzo, pesce spada e tonno si potrà provare in ambiente ospedaliero, cioè potrà essere effettuato un TPO con i suddetti alimenti, ci sono probabilità che vada bene.

dalla pratica alla teoria

Sara è stata fortunata, il racconto del suo primo episodio è stato ascoltato

da una specializzanda che conosceva la SEA e ha intuito, e così il suo secondo episodio è stato indotto in un ambiente adeguatamente attrezzato a valutarne e fronteggiarne le conseguenze. Alessio invece se ne è dovuti fare tre di episodi e tutti a casa con il serio rischio che qual-cosa andasse storto. Le due storie, come nella migliore tradizione, esemplificano molti (anche se non tutti) degli aspetti noti e meno noti che si conoscono ad oggi sulla SEA:• La sua patogenesi: non IgE-mediata• L’età più frequentemente coinvolta: i primi 9 mesi di vita• L’alimento più frequentemente coin-

volto in Italia: il LV• L’alimento solido più frequentemente

coinvolto in Italia: il pesce• I sintomi e la loro evoluzione: vomito,

iporeattività e ipotonia, diarrea a volte• I provvedimenti terapeutici farmaco-

logici in acuto: cortisone, fluido tera-pia, (adrenalina ?)

• I provvedimenti dietoterapeutici: esclusione dell’alimento colpevole certamente, ma non solo

• I criteri diagnostici: almeno 2 episodi tipici

• Il ritardo diagnostico: fino a 6 episodi prima del sospetto

Adesso accenneremo un po’più diffu-samente (non troppo e non ordinata-mente) a questi aspetti e veramente si comprenderà come noi impariamo dalle storie che ci capitano e come sia dunque importante registrarle accuratamente: dalla pratica alla teoria, appunto.Scrivono Anna Nowak-Wegrzyn e i suoi amici nel 2003.La Sindrome enterocolitica indotta da

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proteine alimentari (Food Protein-In-duced Enterocolitis Syndrome, FPIES, in italiano SEA) è una grave forma di ipersensibilità al cibo cellulo-mediata, non IgE-mediata, causata tipicamente dal latte vaccino e dalla soia. Ma sono, più raramente, coinvolti cibi solidi (uovo, pesce, riso, legumi, pollame). La SEA è caratterizzata da vomito e diarrea profusi, con progressione verso la disi-dratazione e lo shock nel 20% dei pa-zienti (1).Per una più precisa elencazione dei sin-tomi si può guardare alla tabella 1 (trat-ta da Leonard et al, 2012 - modificata). In essa si dice anche della forma cronica della SEA, oggi veramente molto rara, su 45 casi della nostra casistica persona-le di SEA, solamente due appartengono alla forma cronica (3).Prima di Anna e dei suoi amici, la SEA è stata studiata e definita da Powell (4) che, molto rilevantemente ne scrisse i criteri diagnostici, li trovate nella tabella 2 dove sono confrontati con quelli ela-borati nel 2012 da Stefania Leonard e Anna Nowak-Wegrzyn (2), commentia-moli brevemente entrambi.

1° criterio. La SEA si manifesta per la prima volta prima dei 9 mesi se prima dei 9 mesi si assume l’alimento incrimi-nato. Ciò, talora, non accade con alcu-ni cibi solidi, ad esempio con il pesce, ed infatti la SEA da pesce può avere un esordio più tardivo che non i 9 mesi di età. E vi sono, pur rare, delle segnalazio-ni di SEA esordita in età adolescenziale e adulta, l’alimento implicato essendo i crostacei. Quindi, non vi formalizzate troppo su questo criterio.

2° criterio. La tipologia dei sintomi (in primis il vomito imponente e ripetuto, l’ipotonia e l’iporeattività, il pallore, le condizioni generali compromesse) e la relazione temporale del loro esordio con l’inizio dell’ingestione (2-4 ore di latenza) sono veramente cruciali quanto a criterio diagnostico. Come lo è la bre-ve durata (6 ore di solito) dello stato di malessere, dopo alcune ore pare come se nulla fosse accaduto, incredibile! 3° criterio. Difficile ammettere che ipo-

tonia, iporeattività e pallore siano sinto-mi imputabili all’apparato gastrointesti-nale. E’possibile che siano determinati da una ipotensione, forse a sua volta do-vuta alla perdita di liquidi con il vomi-to, ma più probabilmente ad uno stato tossiemico determinato dall’invasione citochimica, conseguente alla flogosi allergica, nel torrente ematico. Il ter-zo criterio di Powell non mi convince, preferisco quello di Leonard, in effetti una orticaria che compaia insieme a vo-

Tabella 1 Manifestazioni cliniche e parametri di laboratorio della sindrome da enterocolite allergica cronica ed acuta.

SEA cronica SEA acuta

Clinica Vomito intermittente Vomito ripetuto (esordio 1-3h)

Diarrea Letargia

Letargia Pallore

Perdita di peso Disidratazione

ritardo di crescita Diarrea (esordio 5-8 h)

Nella SEA cronica grave: Nella SEA acuta grave:

diarrea ematica diarrea ematica

Distensione addominale Distensione addominale

Disidratazione Ipotensione e temperatura <36°C

Laboratorio Anemia Neutrofilia >3500 cellule/ml con il picco a 6 ore

Ipoalbuminemia Trombocitosi >500.000/mmc

Linfocitosi con deviazione Leucociti elevati a sinistra nel succo gastrico >10/hpf a 3 ore

Eosinofilia Acidosi metabolica

Acidosi metabolica metaemoglobinemia

metaemoglobinemia Leucociti ed eosinofili nelle feci

sostanze riducenti nelle feci

tratta da Leonard et al, 2012 e modificata

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mito ripetuto e iporeattività a 2 ore di distanza dall’ingestione di un alimento mi farebbe dubitare della diagnosi di SEA: l’orticaria non ci sta bene, e nean-che l’asma e la rinite (sintomi classici da allergia IgE-mediata).Il 4° criterio è identico per Powell e per Leonard ed è un pilastro della diagnosi delle allergie alimentari, quindi anche della SEA, indiscutibile.L’ultimo criterio è ancora una volta identico per le due ricercatrici e non sempre è osservato nella pratica clinica. La SEA fa paura a chi l’ha conosciuta, il bambino sta veramente male. E allora, a fronte di una descrizione tipica, molti allergologi rinunciano al TPO, anche se l’episodio è unico, anche in letteratura sono stati pubblicati casi di SEA dia-gnosticata a seguito del racconto di un solo episodio. Io non sono d’accordo, m’è capitato di credere fortemente che un bambino avesse una SEA e invece al TPO ha tollerato l’alimento sospettato, aveva raccontato di un solo episodio. Io credo che il 5° criterio di Powell e di Leonard vada rispettato: e così Sara ha fatto il TPO perché aveva avuto un solo episodio, mentre Alessio no perché di episodi compatibili ne aveva avuti già 3. Naturalmente i genitori devono essere d’accordo, mi è capitato che non lo fossero, il TPO non è stato fatto, la diagnosi è rimasta dubbia, amen.

il ritardo diagnostico

Pensate forse che la zia medico di Alessio sia una rarità ? No, è la norma, almeno fino ad oggi e non solamente in Italia, la SEA non la conoscono, non tutti. E

pochi anni fa non sono stato da meno della suddetta zia, guardatemi con Gaia il 19 Febbraio del 2004 (San Corrado).

La storia di Gaia, l’IncompresaLa bimba effettua un accesso in DH per effettuare un TPO in aperto con sogliola (che è il pesce che ha mangiato abitual-mente in passato e che le ha causato i sintomi). Ha presentato in più occasioni vomito (senza altri segni o sintomi) en-tro due ore dall’assunzione di pesce. La ricerca delle IgE specifiche nei confronti del pesce, effettuata mediante esecuzione di prick tests con estratti commerciali, è sempre risultata negativa. I prick test si ripetono anche il giorno del TPO con l’alimento naturale, sogliola cruda e cot-ta e risultano negativi. Gaia ingerisce cir-ca 30-40 grammi di sogliola cotta e poi non ne desidera più. Tuttavia, precisano i genitori, la quantità ingerita è stata sufficiente in altre occasioni a scatena-

re il vomito entro le due ore dall’inizio dell’assunzione. E, naturalmente, dopo circa 2 ore e mezza Gaia presenta vomi-to e sudorazione. Ed io cosa scrivo sulla relazione di dimissione ? “Si propone ai genitori di somministrare a Gaia nuo-vamente il pesce in forma “nascosta” a domicilio”. Capito ? Credevo che si trat-tasse di disgusto, non di allergia, di una finta. Scrivo ancora: “Inoltre si program-ma per il prossimo futuro un test aller-gologico diverso da quelli attuati finora, e cioè l’Atopy Patch Test (APT)”. Gaia non l’ho vista più, ma dell’APT in corso di SEA qualcosa ho letto, ne par-liamo tra un attimo, adesso finiamo con il ritardo diagnostico e la stranezza cor-relata. Dunque, non si pensa subito alla SEA: nella casistica italiana che abbiamo pubblicato nel 2012 (per il momento la più numerosa descritta al mondo) la media degli episodi acuti prima di ot-tenere la diagnosi è stata pari a 2, ma

Tabella 2 I criteri diagnostici della SEA nel 1996 (a sinistra) e nel 2012 (a destra)

Powell 1996 Leonard 2012

Età di esordio inferiore ai 9 mesi Età inferiore ai 9 mesi alla diagnosi iniziale

L’esposizione all’alimento incriminato ha L’esposizione ripetuta all’alimento causalescatenato vomito ripetuto e/o diarrea entro scatena sintomi gastrointestinali4 ore in assenza di altre cause dei sintomi in assenza di cause alternative

Sintomi limitati al tratto gastro-enterico Assenza di sintomi che possano suggerire una natura IgE-mediata della reazione

L’esclusione dalla dieta della proteina causale L’allontanamento dell’alimento causaleha determinato la risoluzione dei sintomi si traduce in una risoluzione dei sintomi

Un test di provocazione alimentare La riesposizione o un test di provocazionestandardizzato o l’isolata riesposizione orale scatena i sintomi tipici entro 4 oreha scatenato i sintomi tipici

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qualche bambino è arrivato sino a 10 episodi (!) e il 10% (non mi pare poco) ha superato i 4. Il tempo occorrente per giungere alla diagnosi è stato in media di 8 mesi. Però, però … nonostante quanto sopra, le diagnosi di SEA sono in aumento, dapprima se ne sono accor-ti gli australiani, eppoi anche noi, vedete la figura 1 sulla nostra casistica italiana, nel 2008 c’è stato un deciso incremento seguito da un plateau (Figura 1).Insomma, da un lato sembra non ci si pensi e dall’altro sembra che ci si pen-si molto (troppo?). Almeno per quanto riguarda l’Italia la spiegazione di questo fenomeno è in verità semplice: per ragio-ni che non saprei identificare, ad un cer-to momento qualcuno tra gli allergologi

pediatri se ne interessò e cominciò a par-larne agli altri allergologi e si cominciò a riconoscerla. Però la si poteva riconosce-re solamente quando il paziente veniva inviato al secondo o terzo livello da parte del medico di primo livello, il pediatra di famiglia nella fattispecie, o per iniziativa autonoma dei genitori. E il pediatra di famiglia ancora, diciamo fino al 2011, non aveva familiarità con la SEA. Invece adesso la conoscenza della SEA si è mol-to allargata, a tutti i livelli. Fino ad un certo punto, leggetevi la storia di Vitto-ria, la conobbi nel Novembre del 2011.Vittoria ! Vittoria !! Vittoria !!! All’età di 5 mesi e mezzo ha iniziato a mangiare un omogeneizzato di frut-ta contenente il 3% di riso macina-

to. Dopo una settimana di assunzione (con aumenti progressivi della quantità) manifestò, a 2 ore dall’inizio dell’inge-stione, vomito ripetuto (4-6 vomiti), pallore, iporeattività, la mattina dopo diarrea. Condotta in pronto soccorso, fu ricoverata per l’importanza della com-promissione generale e fu diagnosticata una gastroenterite acuta. Dopo 15 gior-ni assunse crema di riso (2 cucchiaini) e dopo 2 ore presentò nuovamente i sintomi suddescritti. Nuovamente rico-verata, nuovamente è stato pensato ad una gastroenterite. Durante il ricovero, a distanza di 7 giorni dall’ingresso e in pieno benessere, ha riassunto la crema di riso e si fa il suo 3° episodio di vomi-to, pallore, iporeattività e diarrea. Il caso volle che quel giorno facesse la visita in reparto una pediatra con competenze al-lergologiche e così per la bimba fu emes-sa la diagnosi di SEA da riso. La storia di Vittoria non è finita qui, l’ultimo pezzo lo raccontiamo dopo. Adesso serve sottolineare che certamen-te la gastroenterite acuta è la misdiagno-si più frequente, ma non la sola. La SEA è stata e viene scambiata con la sepsi, l’addome acuto chirurgico, l’intossica-zione, le malattie metaboliche, l’enterocolite necrotizzante. Nessuna di queste patologie ha una risoluzione completa a poche ore dal suo esordio, questo è un tratto molto caratteristico della SEA, anche se valutata al suo primo episodio. La SEA viene confusa anche con l’anafilassi e questa, contrariamen-te alle altre misdiagnosi, si risolve in poche ore (quando si risolve) come la SEA. Ma ha, per definizione, segni e sintomi di tipo IgE-mediato (l’orticaria fra tutti) che, sempre per definizione, mancano nella SEA.

Figura 1 Incidenza su 7 anni di nuove diagnosi di SEA.

Dati del Servizio di Allergologia Pediatrica dell’Università Cattolica del Sacro CuorePoliclinico Agostino Gemelli - Roma

181614

12

10864

20

2004

2005

2008

2006

2009

2007

2010

2004

2006

2005

2007

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p<0.001 N° casi

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la patogenesi e i test diagnostici

Riprendiamo ora il suggerimento che diedi inconsapevolmente a Gaia nel lontano 19 febbraio 2004, sto cercando di mantenere un filo e un legame con le storie, ricordate che impariamo da esse, dalla pratica alla teoria. Insomma, dissi che avremmo provato a fare gli APT con il pesce, fui involontariamente profeti-co, non potevo sapere di Fogg che sola-mente nel 2006 pubblicò il suo articolo (5) asserendo che il Valore Predittivo Negativo dell’APT nella SEA era pari al 100%. Magari ! Avremmo potuto esclu-dere la diagnosi di SEA in tutti quei bambini per i quali il sospetto ci fosse sorto dopo un solo episodio e per i quali l’APT fosse risultato negativo, In realtà Zapatero (6) prima e Jarvinen (7) dopo

hanno spietatamente demolito questa speranza. Niente APT per la SEA, pun-toeaccapo.E purtroppo niente IgE specifiche (con il 5% di eccezioni, queste forme con IgE specifiche positive sono dette atipiche). Sara, Alessio, Gaia e (anche se non l’ho scritto) Vittoria ci insegnano che i prick test (ma anche la ricerca delle IgE speci-fiche sieriche) risultano negativi. Mettiamoci pure che ci sono delle se-gnalazioni di variazioni in aumento (TNF-alfa) o in diminuzione (TGF-beta) di alcune citochine (8) e la ipotesi della patogenesi cellulo-mediata è bella che servita, è quello che si pensa della SEA. Ma è veramente così ? Comin-ciano a sorgere dei dubbi, si comincia a pensare che le IgE alla fin fine giochi-no un ruolo, magari sono presenti sola-mente a livello gastrico, nella tabella 3

espongo le ragioni che mi inducono ad immaginare che la SEA sia una allergia al guado, tra IgE-mediate e non IgE-mediate (Tab. 3).L’ultimo punto della tabella 3 potrebbe avere delle conseguenze molto concrete sulla qualità di vita dei piccoli pazienti. Infatti, e almeno allo stato attuale delle conoscenze, solamente per le allergie ali-mentari (AA) IgE-mediate è prevista la possibilità di tollerare l’alimento colpe-vole se molto cotto (al forno) o, per il LV, se sottoposto a stagionatura protratta (il parmigiano di 36 mesi). Le AA cellulo-mediate non possono avere, per il loro peculiare meccanismo immunologico, questo privilegio. Epperò io ci ho provato e, seppur in pochi casi, ho rilevato, in 3/4 bambini con SEA da LV in atto, la tolle-ranza allo stesso alimento contenuto in prodotti da forno (ciambellone, biscot-ti) (11). Insomma, come del resto scrive Jean Caubet nel 2011, che le IgE c’entri-no in qualche modo nella patogenesi del-la SEA non è cosa che si possa escludere con certezza (8). Magari esistono diversi fenotipi, per alcuni dei quali le IgE sareb-bero (almeno un poco) importanti.

quali sono gli alimentipiù frequentemente

implicati

In testa a tutti c’è il LV, dappertutto sal-vo che in Australia, lì in testa c’è il riso. Che, comunque, è il primo degli ali-menti solidi responsabili di SEA in tut-to il mondo, salvo che in Italia, dove la spunta il pesce. Negli Stati Uniti, sono state pubblicate casistiche riportanti una doppia reattività al LV e alla soia nel

Tabella 3 Gli indizi a favore di un ruolo patogenetico delle IgE specifiche nella SEA

■ Esistono, come detto, casi con positività (pur a basso titolo) della ricerca delle IgE specifiche nei confronti dell’alimento colpevole

■ In un bambino è stato riportato un comportamento citochinico simile a quello delle reazioni allergiche IgE-mediate (aumento dell’Interleuchina-4 e riduzione dell’Interferone-gamma) nel corso dell’episodio acuto di SEA da riso (9)

■ La latenza di 2 ore circa dell’esordio dei sintomi, rispetto all’inizio dell’ingestione dell’alimento colpevole, non è tipica né delle classiche forme IgE-mediate (che esordiscono molto prima di 2 ore) né delle classiche forme non IgE-mediate (che esordiscono molto dopo 2 ore)

■ Esistono casi che passano dai sintomi classici della SEA a quelli classici della Anafilassi gastrointestinale (che è una allergia alimentare IgE-mediata), sempre a seguito dell’ingestione dello stesso alimento (10)

■ Esistono segnalazioni di tolleranza all’alimento molto cotto nel caso di SEA da LV (11)

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50% dei bambini, e questo ha dato ori-gine ad una indicazione dietoterapeu-tica preventiva, ne diremo tra poco. In Israele, invece, nessuno dei 44 bambini con SEA da LV osservati ha avuto pro-blemi con la soia. Insomma, si rilevano diversità geografiche, la SEA non è dap-pertutto uguale e di conseguenza non possono essere uguali i comportamenti gestionali, almeno non ugualissimi. Tra gli alimenti solidi, responsabili di SEA sono stati riportati, oltre al riso e al pe-sce, l’avena, l’orzo, il pollo, il tacchino, l’uovo, i piselli, le arachidi, le patate, la frutta, i molluschi. Più recentemente, abbiamo riportato un caso di SEA da mais, dunque anche questo alimento si aggiunge all’elenco (13).Nella nostra esperienza il LV è stato l’ali-mento colpevole nel 67% dei casi, ha stravinto. Il pesce, secondo alimento in causa, ha interessato il 12% dei nostri bambini con SEA (3). Nei casi di SEA da pesce che seguiamo, almeno in chi ha aderito alla proposta, ho provato a som-ministrare, naturalmente in ambiente ospedaliero e con tutte le precauzioni del caso, pesci diversi da quello noto come colpevole, nella tabella 4 troverete

qualche dettaglio: bene, 3 dei 4 bambini in cui la prova è stata effettuata hanno tollerato altri pesci, tutti e tre i bambini avevano una SEA (magari anche) da so-gliola, ma ritengo si tratti solamente di una coincidenza dovuta al largo consu-mo che di questo pesce si fa, specie in età pediatrica. Anche Zapatero et al. (2005) hanno riportato che i pesci più frequen-temente coinvolti nei loro 17 casi erano sogliola e merluzzo, che sono i pesci più frequentemente consumati in Spagna (6). La tolleranza ad altri pesci non paia tanto strana, nelle AA IgE-mediate al pesce è stata già riportata, perché non verificare se anche questo aspetto sia re-plicabile nella SEA?

la dietoterapia, singola e multipla

Però l’alimento colpevole, quello deve ri-gorosamente essere eliminato dalla dieta del bambino. La SEA non prevede, come invece accade nella AA IgE-mediate, la possibilità di avviare una Desensibilizza-zione Orale Per Alimenti (DOPA) allo scopo di indurre attivamente la tolleran-za. Non è mai stata provata la DOPA

nella SEA, verosimilmente perché la tolleranza spontanea si acquisisce rela-tivamente presto e non vale la pena far correre i rischi della DOPA per questa, in fondo breve, attesa. Non possono essere date neppure picco-le quantità del cibo colpevole, non si co-nosce (ed è molto difficile che questa in-formazione possa essere acquisita vista la latenza dei sintomi) la quantità minima in grado di indurre un episodio acuto. Eppoi quantità piccole frequentemen-te somministrate potrebbero causare la forma cronica della SEA (questa è sola-mente una mia ipotesi, non dimostrata neanche lontanamente).Ma il divieto, almeno teoricamente e secondo Scott Sicherer (12), non è limi-tato al cibo dimostratamente colpevo-le, come si può leggere nella tabella 5. Scott, insomma, suggerisce, per esempio nel caso di SEA da LV, di evitare almeno fino al compimento del 1° anno di vita, la soia e i cereali; nel caso di SEA da cibi solidi, evitare il LV, i cereali, i legumi, il pollame; naturalmente ciò vale se gli alimenti in questione non sono stati già assunti, e senza problemi, dal bimbo. Il suggerimento è nato dall’osservazione, fatta in alcune casistiche statunitensi composte da 30-50 individui, di una reattività anche verso i suddetti alimenti dopo l’esordio causato ad esempio dal LV. Ma la SEA non è ancora comple-tamente conosciuta e una affermazione fatta oggi può essere smentita domani. Così quando sono state pubblicate le ca-sistiche australiana, israeliana ed italiana, si vide che questa possibilità di una SEA con più alimenti coinvolti è veramente bassissima, nella mia esperienza non più

Tabella 4 Tolleranza ad altri pesci nella SEA da pesce

Pesce scatenante (n° di pazienti) Pesce tollerato dopo OFC

Merluzzo (4) Non testato

Merluzzo e sogliola (1) Salmone e pescespada

Merluzzo e orata e salmone (1) Non testato

Sogliola (1) Merluzzo e tonno

Sogliola e trota (1) Orata, merluzzo e pesce persico

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del 15% dei casi, abbastanza bassa da non ritenere vantaggiosa una dieta allar-gata per tutti i bambini con SEA al loro esordio. (Tabella 5).Però, però… do you remember Vitto-ria qualche pagina fa? La sua storia non era terminata, all’età di 6 mesi e mezzo ha assunto mais e tapioca e alla secon-da somministrazione ha presentato il 4° episodio di SEA. Ha assunto quindi lenticchia, patata e semolino di grano come TPO in ospedale: con il grano ha presentato un episodio di SEA. A casa ha assunto il cece e alla seconda sommini-strazione ha avuto il suo sesto episodio

di SEA. Insomma, se a Vittoria avessimo applicato i suggerimenti di Scott Siche-rer forse gli avremmo risparmiato 3 dei suoi 6 episodi di SEA.Ma, ripeto, la probabilità che ci capiti Vittoria è molto bassa, tra i nostri 45 casi lei sola c’è. Allora abbiamo deciso di adottare un compromesso, tipico no? Come abbiamo detto di fare a Sara, e come Sara ha fatto, noi effettuiamo un TPO in DH con una miscela di cerea-li, legumi, pollame. Non suggerimmo la stessa cosa ad Alessio ma ci siamo premurati di scrivere che il ragazzo, al momento in cui lo conoscemmo, que-

ste cose le aveva già mangiate senza pro-blemi. Invece di evitarli almeno fino al compimento del 1° anno di vita, li som-ministriamo tutti insieme in ambiente ospedaliero, la probabilità di gran lunga più elevata è che vada tutto bene, e così è stato finora, in tal modo evitiamo una dieta allargata a bambini che in verità non ne hanno necessità.

prognosi riservata

(alla SEA da APLV, per le altre non si sa)

Quando termina la SEA? Fino a qual-che anno fa avremmo giurato che a 3

Tabella 5 Tolleranza ad altri pesci nella SEA da pesce

Condizione Approccio Razionale Bambino Liquidi: alimentare con formula altamente Il 50% rischia di reagire alla soiacon diagnosi di SEA idrolizzata di caseina o allattamento al seno da latte: primo anno Il 32% rischia di reagire ai cibi solidi. La maggior parte dei frutti Solidi: considerare un ritardo nell’introduzione e dei vegetali non sono coinvolti. Maggiori incertezze se presente ed evitare cereali come primi alimenti dermatite atopica.

Bambino Liquidi: alimentare con formula altamente Reazioni ai cibi solidi si verificano tipicamente in un bambinocon diagnosi di SEA idrolizzata di caseina o allattamento al seno che evita già latte vaccino/soia: il 65% reagisce a latte vaccino/soia.da cibi solidi: primo anno Solidi: no cereali, legumi o pollame Il 50% reagisce ad altri cereali. L’80% reagisce a più di una proteina alimentare

Un anno di età Liquidi: considerare un test di provocazione Dopo 1 anno le SEA di nuovo esordio verso un alimentocon storia di SEA prima per alimenti ad alto rischio non precedentemente non introdotto non sono comunemente precedentemente provati ma esclusi a priori riferite (ma non sono state ben studiate quindi possono per appartenenza alla categoria; attendere verificarsi). circa 18 mesi o più dalla reazione per eseguire test di provocazione con Presumere che un ritardo maggiore l’alimento incriminato nell’introduzione sia più probabilmente tollerato. Presumere che un test di provocazione negativo ad un alimento della categoria (soia per altri semi, riso o avena per altri cereali) aumenti la probabilità che i prodotti associati siano tollerati

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anni era tutto finito per tutti, e invece no, qualche bambino rimane allergico più a lungo, pochi però, pare in parti-colare quelli con la SEA da pesce, sulla lista dell’APAL (www.apalweb.it) se ne segnalò uno dell’età di 12 anni e noi ab-biamo un bambino con SEA da soia di 5 anni e uno con SEA da LV di 6. Solo su quest’ultima si sa qualcosa di un po’più preciso, nelle nostre mani la tolleranza in caso di SEA da LV è stata mediamen-te raggiunta a 2 anni e mezzo, e già a 18 mesi si è avuto il 60% di probabilità di passare indenni il TPO. Altri autori hanno riportato età anche inferiori, per i coreani ad un anno ci sono molte pro-babilità di essere guarito.Per gli altri alimenti veramente non si sa, no ancora, noi effettuiamo un TPO all’anno fino a raggiungimento della tol-leranza. Si dice che i casi di SEA atipica (cosiddetta per l’insorgenza tardiva, ol-tre i 9 mesi di età, e/o per la presenza di IgE specifiche positive per l’alimento colpevole) abbiano una durata maggio-re, si dice, noi facciamo ugualmente un TPO l’anno come per gli altri.

a proposito di sea atipica, eccovi fata carabina

Fata Carabina ha assunto il LV 4 vol-te nella sua vita. La prima a 10 giorni di vita con esito in due rigurgiti sul cuscino scoperti il mattino dopo dai genitori. La seconda a 3 mesi (30-40 grammi di LV, un’aggiunta), seguita a distanza di 3 ore circa da vomito ripe-tuto, diarrea, pallore, stato collassiale. La terza e quarta volta i sintomi sono stati gli stessi, in misura più imponen-

te, la quantità di latte somministrata è stata sempre la stessa. Nel 4° episodio la pressione rilevata a distanza di 1 ora dall’esordio dei sintomi era pari a 60/40 mmHg. L’indomani Fata Carabina stava bene, sempre. I prick test sono risultati negativi per caseina, beta-lattoglobulina e lattoalbumina, risultò positivo (4 mm) quello con LV fresco. Emettemmo la diagnosi di SEA atipica, rinunciando al TPO diagnostico, e, dall’età di 8 mesi, Fata Carabina assunse un idrolisato spinto come sostituto del LV. All’età di 16 mesi, a distanza di un anno dall’ul-timo episodio critico, Fata Carabina effettuò un TPO in DH, ingerendo 200 ml di LV senza presentare nulla di avverso, la sua dieta venne liberalizzata, sbagliando non ripetemmo i prick test. Fata Carabina ha tollerato senza pro-blemi il LV in quantità più che normali per 5 giorni, salvo che per piccoli pomfi orticarioidi nei punti dove il LV veniva a contatto con la pelle; eritema in regio-ne perilabiale veniva osservato a seguito dell’ingestione di parmigiano nella mi-nestrina. Il 6° giorno vomitò a seguito di un accesso di tosse dopo 20 minuti dall’ingestione di circa 200 ml d LV al

mattino, le condizioni generali si sono mantenute buone. Il 7° giorno il vomi-to si presentò dopo 40 minuti, la tosse no, e nella parte anteriore del corpo, lì dove il latte vomitato aveva toccato la pelle, comparvero numerosi pomfi di orticaria ed eritema. Venne effettuato un 2° TPO a 8 giorni dal precedente; i prick test risultarono positivi per LV fresco (5 mm), beta-lattoglobulina (3 mm) e lattoalbumina (4 mm), negativo quello con caseina; Fata Carabina ingerì 220 ml in unica soluzione (come aveva fatto tutte le mattine nella precedente settimana), comparvero alcuni pomfi di orticaria dove il latte era un po’scolato. A distanza di circa 20 minuti dal ter-mine dell’ingestione la bimba presentò breve tosse stizzosa e vomito. Dove il latte vomitato toccò la pelle del corpo (ad esempio le gambe) si formarono eri-tema e pomfi orticariodi. Per Fata Cara-bina si è assistito ad una evoluzione da SEA ad Anafilassi gastrointestinale, una evoluzione ignota fino a quel momento. Insomma, io credo che esistano diversi fenotipi di SEA, per alcuni di essi il ruolo delle IgE è più importanti, e il quadro cli-nico, pur mantenendosi centrato sul vo-mito, può assumere connotati differenti.

gestione acuta della sea

Liquidi e cortisone per via venosa, tutto qua, null’altro, in questo consiste la tera-pia del tanto terribile quadro clinico del-la SEA acuta. Helen Powell dettò i criteri per l’assistenza in corso di TPO e previde che una via venosa fosse preparata prima di iniziare l’ingestione dell’alimento in

Figura 2 Il logo di RISEA

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causa. Ci sono dubbi sulla utilità della somministrazione dell’adrenalina per via intramuscolare, che per esempio è obbli-gatoria nell’anafilassi IgE-mediata, noi in almeno due occasioni di particolare gra-vità l’abbiamo adoperata e mi è sembra-to che facesse svoltare, ma due casi non fanno primavera, si sa. Questo è quanto è scritto finora. Poi, di recente sono stati pubblicati comporta-menti differenti. Per esempio, gli israe-liani non incannulano preventivamente una vena e se la cavano con la reidrata-zione per via orale; e anche noi dal 2008 non facciamo quasi mai nulla, gli episodi provocati dal TPO si risolvono spon-taneamente, Sara è stata una eccezione: la nostra percentuale di prolungamen-to notturno della degenza per decorso peggiore del TPO è bassa tanto quanto

quella di altri centri italiani che adottano tute le misure previste nel 1986 da He-lena Powell. Del resto, la maggior parte degli episodi acuti di SEA avvengono a domicilio e non ricevono assistenza me-dica. Decessi a causa di SEA non sono stati segnalati fino ad oggi.

finalino con registro

Spero che adesso non vi sfuggirà più l’op-portunità di sospettare una SEA quando ve ne capiterà l’occasione. Vi deve basta-re che vi siano gli elementi per porre il sospetto, non dovete mica essere certi a tutti i costi, sarà poi l’allergologo pediatra ad emettere la diagnosi definitiva e a sta-bilire l’iter gestionale necessario.Avrete notato che vi sono, come spesso

accade in medicina, aspetti “grigi” della SEA, in fondo i casi pubblicati alla fine del 2012 non superano le 400 unità. Ma non perché la SEA sia poco diffusa, uno studio prospettico l’ha registrata nello 0.5% dei nuovi nati e si trattava solamen-te della SEA da LV, ma perché è poco conosciuta e poco studiata. Per ovviare a tale handicap, abbiamo creato il Registro Italiano della Sindrome della Enterocoli-te Allergica (RISEA) (Fig. 2): se tutti i pe-diatri italiani vi inserissero quei 2-3 casi che sicuramente hanno visto arriverem-mo in tempi brevi ad un migliaio di casi, una fonte preziosa di informazioni, e poi, come abbiamo ripetuto, si passerà dalla pratica alla teoria come dice il famoso detto. Abbiamo disegnato personalmente il logo del registro, lo trovate nella figura 2, a noi pare suggestivo, a voi no?

Bibliografia

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LaisL o f a r m a

Ampia biodisponibilità in tutta sicurezza

SLIT con Allergoide

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introduzione

La dermatite atopica (DA) o eczema atopico è la più frequente patologia cu-tanea dell’infanzia coinvolgendo fino al 20% dei bambini secondo il report ISAAC del 2006 (1). Nonostante l’ele-vata prevalenza di questa malattia ed i molti studi condotti, l’eterogeneità clinica della DA e l’associazione non costante con l’allergia presente anche nell’80-90% dei casi hanno impedi-to ad oggi di comprendere a fondo i meccanismi eziopatogenetici alla sua origine e la possibilità di prevederne il decorso negli anni. Di seguito saranno sintetizzati alcuni aspetti emersi dalla ricerca clinica più recente; non si vuole proporre una trattazione esaustiva del-la malattia, ma segnalare, anche se in modo frammentario, alcuni spunti che possono risultare utili sia sotto l’aspetto speculativo che pratico nella gestione di una malattia apparentemente semplice da diagnosticare e gestire, ma di fatto complessa e con un forte impatto sulla qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie.

geni e barriera cutanea

Dai dati attualmente disponibili sulla ge-netica della DA emergono due principali gruppi di geni implicati: a) geni coinvol-

ti nel mantenere l’integrità della barriera cutanea (Fig. 1); b) geni collegati con l’immunità sia innata che adattativa, con particolare riferimento alla regolazione della produzione di IgE.

Arianna Dondi1,2, Lorenza Ricci1, Iria Neri1, Giampaolo Ricci2*, Annalisa Patrizi11Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale,Università di Bologna2Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Bologna*Co-seniorship

Dermatite atopica: highlights

Atopic Dermatitis: highlights.Not Allergol 2013; vol. 31: n.1: 25-35.

riassunto

Parole chiave e sigle

• dermatite atopica • filaggrina • SCORAD • emollienti • qualità della vita • profilassi ambientale • immunoterapia • vitamina D

La dermatite atopica (DA) è una patologia complessa dove si intersecano differenti aspetti immu-nopatogenetici: di seguito verranno riportate le più recenti acquisizioni relative alla individuazio-ne dei difetti di barriera cutanea che sono alla base della patogenesi della malattia. Il deficit di Filaggrina (FLG), riscontrato solo in una parte dei casi di DA, determina un’ alterazione della cute, rendendo pertanto possibile la penetrazione di sostanze esogene quali allergeni e costituendo così uno dei meccanismi che determinano la sensibilizzazione allergica. Il legame con l’allergia, non sempre presente, è più evidente nelle forme clinicamente severe. In particolare, gli acari della polvere rappresentano l’allergene che peggiora il quadro cutaneo e verso il quale, oltre alle misure di profilassi ambientale, si sta cercando di verificare l’efficacia di una immunoterapia specifica.Le indicazioni più recenti sulla gestione della DA sottolineano l’importanza di una terapia emolliente che non abbia solo un ruolo coprente, ma che porti, con effetto proattivo, alla ricostituzione della barriera cutanea.La cronicità della DA rende ragione di possibili ripercussioni psicologiche e sulla qualità di vita. La considerazione di questi aspetti deve guidare il clinico nella gestione della malattia con un approccio integrato.

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summary

Key words and Acronyms• atopic dermatitis • filaggrin • SCORAD • emollients • quality of life • environmental avoidance • immunotherapy • vitamin D

Atopic dermatitis (AD) is a complex disease where different immunopathogenetic aspects in-teract: the most recent findings on the identification of skin barrier defects that underlie the pathogenesis of the disease are reported. Filaggrin deficiency was found only in part of the patients affected by AD; other proteins that constitute and regulate the integrity of the skin barrier have been identified. The skin alteration can cause the penetration of exogenous aller-gens and constitute one of the mechanisms of the allergic sensitization. Allergy is not always associated with AD, but it is more frequent in the clinically severe forms. In particular, dust mites are the allergens that more often worsen the skin picture and against which, in addition to prophylactic environmental measures, studies are trying to verify the efficacy of specific immunotherapy.In AD exacerbations, S. aureus often plays a role with different mechanisms including the release of ?-toxin, a cytolysin that induces cell necrosis through the formation of pores pe-netrating through the lipid bilayer and that binds to several receptors such as sphingomyelin and disintegrin.Recent studies about AD therapy suggest the importance of an emollient not only having a covering effect, but also leading to the reconstitution of the skin barrier through products that are as similar as possible to the lipid structure of the cellular matrix of the skin. Due to its chronicity, AD can cause serious psychological consequences and an impairment of the quality of life. Taking these issues into account, the clinician should manage patients affected by AD with an integrated approach, involving dermatologists, pediatricians, allergo-logists and psychologists at the same time, similarly to what proposed by the German “Berlin Model”, after which significant improvements and a reduction in the amount of steroid the-rapy was reached.

L’osservazione che nella ittiosi volgare dominante era presente una mutazione del gene che codifica la filaggrina (FLG) ha indotto a studiare alterazioni di que-sta proteina anche nella DA. Nel 2006 Palmer e coll. (2) hanno pubblicato un innovativo articolo in cui si evidenziava il legame fra DA e mutazione nel gene della FLG; questa associazione era stata osservata inizialmente in un gruppo di

soggetti del Nord Europa, e successiva-mente, anche se con mutazioni diverse, anche in una popolazione asiatica e in una statunitense (3,4). La FLG viene liberata dai granuli F di cheratoialina presenti nello strato granuloso come precursore inattivo (profilaggrina) e con-vertita successivamente in forma attiva a seguito di proteolisi (da parte di diverse proteasi come caspasi14 e matripasi) e

fosforilazione. La sua funzione princi-pale è quella di creare un citoscheletro per i filamenti di cheratina formando macrofibrille. La degradazione della FLG in peptidi porta alla formazione di acido urocanico e aminoacidi liberi che partecipano, insieme a ioni cloro e sodio, lattati e urea, alla costituzione del fattore naturale di idratazione (NMF). Il deficit di FLG determina diverse con-seguenze strutturali e biochimiche ridu-cendo il legame della barriera cutanea e modificando l’effetto del NMF. La mu-tazione si associa ad un inizio più preco-ce e ad una maggiore severità della DA, compreso la suscettibilità alle infezioni virali erpetiche sovrapposte (5). La mu-tazione della FLG aumenta il rischio di secchezza cutanea ed eczema, indipen-dentemente dalla presenza di una sensi-bilizzazione allergica (Fig. 2). Tuttavia, le alterazioni della FLG sono presenti in non più del 30% dei soggetti con DA, per cui è stato necessario ricer-care altri fattori responsabili della malat-tia. Tra i geni chiamati in causa, alcuni fanno parte del complesso di differenzia-zione epidermica che è posizionato sul cromosoma 1. A questo livello (1q21), oltre a quello che codifica la FLG, sono localizzati circa 60 geni coinvolti nella differenziazione degli epiteli. È inoltre opportuno menzionare il gene SPINK 5 (serine protease inhibitor Kazal-type 5), codificato in 5q32 e anch’esso implicato nel mantenimento della integrità della barriera cutanea grazie alla produzione di un inibitore delle proteasi cutanee (LEKTI) e la cui alterazione determina forme severe di eczema e sensibilizzazio-ne IgE, tra cui la sindrome di Nether-

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ton (6). Varianti di SPINK5 sono state associate con la DA sia in popolazioni europee che asiatiche, come pure in un modello murino ove si è osservata DA determinata da deficit di LEKTI (7).Come sopra accennato, altre protei-ne, oltre alla FLG, sono implicate nel mantenimento dell’integrità della bar-riera cutanea. Mentre la FLG vede nello strato corneocitario la sua localizzazione funzionale, nello strato granuloso sot-tostante sono le claudine a svolgere un ruolo significativo, in quanto costituenti le tight junctions, o giunzioni strette. È quindi di particolare interesse sottolinea-re come esistano stretti legami funzionali fra i diversi componenti della barriera nel mantenere la sua integrità(8).

il coinvolgimento del sistema immunitario

e i fenotipi di da

Le difese cutanee nei confronti di agenti patogeni esterni sono costituite da una barriera fisica, legata in prevalenza allo strato corneocitario e alle tights juctions, una barriera chimica dove i peptidi an-timicrobici (defensine e catelicidine) prodotti dai cheratinociti interagiscono con il microbioma cutaneo (batteri colo-nizzatori) e con i batteri patogeni, e una barriera immunologica che coinvolge l’immunità innata e adattativa. Bisogna segnalare che anche il microbioma cuta-neo può essere ritenuto una barriera di difesa, in quanto interviene nel contra-stare i patogeni mantenendo l’omeostasi cutanea (Fig.3).I toll like receptors (TLR) 2 e 9 sono i recettori i cui polimorfismi sembrano es-

Acronimi:

DA Dermatite Atopica,

FLG Filaggrina,

NMF Fattore di Idratazione Naturale,

ISAAC Studio Internazionale dell’Asma e Allergia nell’Infanzia,

SPINK5 inibitore della Serin Proteasi, Kazal tipo 5,

LEKTI Lympho-epithelial Kazal-type-related inhibitor,

TRL Toll Like Receptor,

IL Interleuchina,

TH Linfociti T Helper,

FCεRI Recettore IgE ad alta affinità,

TEWL Perdita di Acqua Transepidermica,

ADAM Disintegrina A e Metalloproteasi,

SCORAD Scoring della Dermatite Atopica,

POEM valutazione eczema orientata sul paziente,

ITS Immuno Terapia Specifica.

Acro

nim

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sere più frequentemente coinvolti nella espressione clinica dei diversi fenotipi di DA; il TLR2 in particolare è stato cor-relato con la severità della malattia (9), il TLR9, invece, con le forme non-IgE mediate (10). Tra gli altri recettori e me-diatori che sono stati associati alla DA sono da segnalare IL-4 e FCεRIa, legati rispettivamente alla risposta di tipo IgE e alla sensibilizzazione allergica. I TLR2 sono recettori, presenti in particolare nei cheratinociti e, quando vengono attivati da batteri come lo S. aureus, aumenta-no l’espressione di alcune proteine come claudina 1, occludina e zonula occlu-dens 1 (11). Si è visto che, nei soggetti

con DA, una ridotta espressione epider-mica dei TLR2 è inversamente correlata con un aumento della perdita d’acqua transcutanea definita come Transepider-mal Water Loss o TEWL (12). Elevati livelli di IgE totali e/o specifiche (sIgE) rappresentano indubbiamente i biomarkers più spesso individuabili nei soggetti con DA, tanto che la loro pre-senza o assenza permette di distinguere i due fenotipi principali di DA: le forme IgE-associate (definite anche estrinse-che) e non IgE-associate (o intrinseche) (13). Le sIgE, in particolare, sembrano determinare il profilo individuale carat-teristico di ogni singolo paziente (13).

Questi due fenotipi possono tuttavia essere condizioni transitorie: nei pri-mi mesi o anni di vita si osserva spesso una fase non-IgE che transita negli anni successivi verso la forma IgE associata. Esiste comunque una percentuale, sep-pure ridotta, di soggetti che presenta una forma non-IgE associata anche per tutta la vita e soggetti che fin dalla prima in-fanzia sviluppano una DA IgE-associata. Il legame con l’atopia è molto frequente nei pazienti con DA, soprattutto nelle forme moderato-severe dove è presente fino all’80-90% dei casi, per cui diventa indispensabile una corretta valutazione di questa condizione, specie nell’età pe-diatrica (14). In una recente review (15), Thomas Bie-ber descrive l’importanza di definire bio-markers che permettano di distinguere i diversi fenotipi di DA, anche in relazio-ne alle basi genetiche sottostanti. Sotto questo profilo può essere interessante anche la speculazione relativa ad una transizione della DA in età adulta verso una forma autoimmune, similmente a quanto accade nella psoriasi.

staphylococcus aureus e da

Le lesioni della DA sono spesso peggio-rate dalla presenza dello S. aureus, il cui fattore più importante di virulenza è la α-tossina; questa è una citolisina che induce necrosi cellulare attraverso la formazione di pori che attraversano il doppio strato lipidico. Recettori coin-volti in questo legame con la α-tossina sono sfingomielina (un costituente del doppio strato lipidico), disintegrina e

Figura 1 Processo di differenziazione dell’epidermide

Le cellule dell’epidermide migrano dallo strato basale, attraverso gli strati spinoso e granuloso, fino allo strato corneo, trasformandosi da cellule vive e in riproduzione a squame piatte e morte.

Tratta da Hoffjan S, Stemmler S- On the Role of the Epidermal Differentiation Complex in Ichthyosis Vulgaris, Atopic Dermatitis and Psoriasis. The British Journal of Dermatology. 2007;157(3):441-449.

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metalloproteasi 10 (ADAM 10) (16). Un recente lavoro (17), ha dimostrato che la FLG inibisce in modo significativo la patogenecità dello S. aureus mediata dalla α-tossina. Inoltre, aumentando la secre-zione di sfingomielinasi, un enzima che agisce clivando la sfingomielina in cera-mide e fosfocolina, riduce i possibili re-cettori per la α-tossina. Questi dati quin-di suggeriscono una possibile spiegazione del motivo per cui lo S. aureus facilmente determina esacerbazioni nei soggetti con DA, quando è presente un’alterazione nella espressione della FLG.

la valutazione clinica

Sia nel corso di studi clinici che nella pra-tica assistenziale è utile conoscere la gravi-tà della DA utilizzando parametri ogget-tivi. Nel 1992 una Task Force Europea ha sviluppato lo SCOring on Atopic Der-matitis index, più noto come SCORAD index, validato in seguito in numerosi studi clinici (18). Questo indice è idoneo nel valutare l’efficacia di un trattamento in un certo periodo, mentre, dato l’anda-mento cronico- recidivante della DA, non

riesce a dare una valutazione complessiva del decorso della malattia. Un’autovaluta-zione, qualora fosse realizzabile, si adatte-rebbe meglio a tale scopo, costituendo un efficace strumento di comunicazione fra paziente e medico e richiedendo un forte coinvolgimento del paziente, diventando quindi anche d’aiuto nella compliance te-rapeutica. Diversi score di autovalutazio-ne, di cui solo il Patient-Oriented Eczema Measure (POEM) (19) era stato validato, sono stati proposti, ma nessuno di que-sti aveva permesso una comparazione con la valutazione del medico. È stato

Figura 2A Struttura dell’epidermide e processo di formazione e degradazione della filaggrina

Lo strato corneo è il prodotto di un processo di differenziazione altamente spe-cializzato dove i cheratinociti dello strato basale dell’epidermide attraversano lo strato spinoso e granulare. La profilaggrina, il maggiore costituente dei granuli di cheratoialina dello strato granulare, è costituita da multiple copie di FLG af-fiancate nella sequenza N-terminale da un dominio S100 legante il calcio, da un dominio A e B e, nel dominio C-terminale, da un’unica sequenza di coda. L’inattivazione di LEKTI è necessaria per l’avvio del processo di differenziazione: la profilaggrina viene defosforilata e clivata in monomeri funzionali di FLG da una serie di proteasi, il dominio N- terminale libero della profilaggrina trasloca nel nucleo, dove potrebbe avere funzione di segnale, mentre la funzione del dominio C- terminale è attualmente sconosciuta. Si ritiene che nello strato corneo i mo-nomeri di FLG si aggreghino e si allineino con i fasci di cheratina, contribuendo alla compattazione delle squame, alla resistenza meccanica e all’integrità dello stesso strato. Negli strati superiori dello strato corneo, i monomeri di filaggrina sono deiminati da deiminasi, tra cui peptidilargina deiminasi (PAD), isoforma 1 e 3, e degradati da proteasi, rilasciando così aminoacidi liberi. I prodotti della degradazione della FLG, di cui trans-UCA e PCA rappresentano i maggiori me-taboliti, costituiscono i fattori naturali di idratazione (NMF) che contribuiscono all’idratazione epidermica e alla funzione di barriera, al mantenimento del pH cutaneo, fattore chiave per molte funzioni dello SC; e ad un un possibile ruolo nella protezione da raggi UV.

Le figg 2A e 2B sono tratte da McAleer MA and Irvine AD – The multifunctional role of filaggrin in allergic skin disease. J Allergy Clin Immunol 2013;131(2):280-291.

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quindi creato un nuovo strumento con l’intento di integrare la valutazione og-gettiva del medico e quella soggettiva del paziente. Il patient-oriented SCORAD (PO-SCORAD) (20) utilizza gli stessi criteri fondamentali dello SCORAD, ma è stato semplificato in modo da essere un mezzo agile anche per il paziente, pur mantenendo dei parametri ben definiti che vengono illustrati in una breve gui-da. Questo strumento è stato validato di recente: confrontato con lo SCORAD in-dex, si è osservata una buona correlazione

nel definire la severità della DA. Il PO-SCORAD, quindi, può essere di ausilio anche nella pratica clinica quotidiana per monitorare i quadri di DA più severi e va-lutare l’efficacia delle terapie.

vitamina d

Negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi articoli sul ruolo della vitamina D nelle malattie allergiche ed in modo particolare nella DA. Questo deriva dall’osservazione che la vitamina D gio-

ca un ruolo nella risposta immunologi-ca sia innata che adattativa (Fig. 4). La vitamina D stimola la produzione cuta-nea di catelicidina, un peptide antimi-crobico attivato dai TLR, in particolare TLR2 e TLR4 (21). Inoltre inibisce la produzione di IL-12, riducendo la ri-sposta di tipo TH1 e favorendo quella di tipo TH2 con incremento di IL-4 e IL-5. Tuttavia, in contrasto con le pre-cedenti osservazioni, si è visto che la vitamina D in vitro sembra diminuire la produzione di IgE, favorita da IL-4.

Figura 2B Conseguenze biofisiche e strutturali dell’epidermide con deficienza di filaggrina e relativi effetti fisiopatologici ai vari livelli

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Anche i dati clinici sono in parte con-traddittori: se un’iniziale osservazione indicava un’azione pro-allergica, basata sul fatto che si era osservato un incre-mento di allergie legato all’assunzione di vitamina D per la prevenzione del rachitismo carenziale, studi successivi mostravano che bassi livelli di vitamina D potevano contribuire ad un aumen-to delle allergie. Dati conflittuali sono stati riportati anche per la DA: un in-cremento dell’assunzione di vitamina D in gravidanza si accompagnava ad una riduzione del wheezing nei bambini, ma non ad una diminuzione della DA; un

aumento dei livelli di vitamina D nel-la gravida era associato ad un aumento del rischio di DA a 9 mesi nel bambi-no (22,23). D’altra parte diversi studi osservavano che un deficit di vitamina D contribuiva alla comparsa di DA e la somministrazione di vitamina D deter-minava una riduzione del rischio di DA o un miglioramento clinico. Da segna-lare il lavoro di Peroni e coll. (24) che ha dimostrato un’associazione inversa fra il livello di vitamina D e severità della DA. Queste osservazioni sono al momento attuale ancora insufficienti per una chiara definizione del rappor-

to fra vitamina D e DA. I bassi livelli di vitamina D possono essere causa di un aggravamento della DA, ma è anche possibile che le alterazioni della cute dei pazienti con DA ed il conseguente alte-rato assorbimento della luce solare pos-sano favorire un calo della vitamina D.

misure di profilassi ambientale

Gli allergeni inalanti, come pollini e aca-ri della polvere, possono aggravare l’evo-luzione della DA in soggetti sensibiliz-zati. Gli acari, specie attraverso l’attività

Figura 3 La funzione di scudo della cute

La funzione di scudo impenetrabile della cute è permessa dall’associazione di diverse barriere:una barriera fisica (strato corneo e giunzioni strette a livello dello strato granuloso);una microbica (microbioma cutaneo, che regola le difese immunitarie locali e impedisce la colonizzazione ai batteri patogeni);una chimica (peptidi antimicrobici prodotti dai cheratinociti);una immunologica (cellule del sistema immunitario che vengono richiamate se necessario).

Tratta da Kuo IH, et al.-The cutaneous innate immune response in patients with atopic dermatitis. J Allergy Clin Immunol 2013;131(2):266-278.

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enzimatica di alcune loro componenti, possono penetrare nel nostro organismo sia attraverso le vie respiratorie che at-traverso la cute e determinare, se appli-cati con patch test, le lesioni eczematose della DA. Anche la somministrazione di acari per via respiratoria in un challenge bronchiale si è dimostrata responsabile di un aggravamento delle lesioni cuta-nee. Le misure di profilassi ambientale possono determinare un miglioramento clinico nei bambini con DA, come già

evidenziato da alcuni anni da diversi au-tori: Tan e coll. (25) hanno osservato un significativo miglioramento clinico in un gruppo di adulti e bambini con DA e allergia agli acari dopo un estensivo pro-gramma di prevenzione ambientale. An-che il nostro gruppo ha osservato che, in bambini con sensibilizzazione per acari, la severità della DA, valutata con SCORAD index, migliorava significa-tivamente con l’applicazione di misure di prevenzione ambientale e si correlava

con una riduzione della concentrazione di acari nella polvere domestica presente nel letto del bambino, passando da 1,84 a 0,73 µg-1 di Der p 1 + Der f 1 (26). Tuttavia l’applicazione di misure pre-ventive non è sempre possibile e talvolta difficile da realizzare, soprattutto in am-bienti extradomestici.

immunoterapia specifica

Dall’osservazione del legame fra aggra-vamento clinico della DA e allergia agli acari sono state sviluppate ricerche sull’ efficacia della immunoterapia allergene specifica (ITS). L’ITS era stata effettuata inizialmen-te solo se la DA era associata a quadri clinici respiratori come rinite e asma, e proseguita qualora questa terapia non determinasse un peggioramento del-le lesioni cutanee stesse. Sulla scorta di prime isolate osservazioni positive, l’ITS sottocutanea è stata successiva-mente effettuata anche in pazienti affet-ti solamente da DA e con allergia agli acari con risultati non significativi, se si considerava il gruppo in toto, però con differenze se venivano considerati sepa-ratamente i casi più severi (27). Con la comparsa dell’ITS orale, ma soprattutto sublinguale sono stati pubblicati studi interessanti anche in merito al suo im-piego nella DA: da segnalare quello con-dotto da Pajno e coll. (28) che con l’ITS sublinguale hanno osservato un miglio-ramento clinico dello SCORAD index, ma solo nelle forme lievi-moderate e non nelle severe. Di particolare interes-se per il numero di pazienti inclusi e la

Figura 4 Azione della vitamina D sul sistema immunitario

Macrofagiproduzione NOcatelicidinafagocitosichemotassi

Linfociti Bproduzione IgE (in vitro)

differenziazione plasmacellule

Cellule dendritichematurazionemigrazione

Linfociti Th1IL-12produzione di linfociti Th1

Linfociti Th17IL-23produzione di linfociti Th17

Linfociti Th2IL-4, IL-5, IL-10deviazione dei linfociti versoil fenotipo Th2

Linfociti T regolatoriconversione dei linfociti CD4+ in linfociti regolatori

VITAMINA D

+

++

-

- -

-

Tratta da Benson AA, Toh JA, Vernon N, Jariwala SP - The role of vitamin D in the immunopathogenesis of allergic skin diseases. Allergy 2012; 67:296–301.

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metodologia usata è il recente studio in doppio cieco randomizzato in un grup-po di adulti con DA, che utilizza l’ITS sottocutanea con estratto depigmentato polimerizzato di acari (29); in questo lavoro si osserva che il miglioramen-to a livello cutaneo è presente solo nel gruppo con maggiore severità della DA. Nello stesso lavoro si rileva un aspetto di sicurezza importante: l’assenza di effetti collaterali importanti nel gruppo trat-tato, con caratteristiche sovrapponibili rispetto al gruppo placebo.Ad oggi, in mancanza di ampi studi controllati e randomizzati, non è possi-bile dare un giudizio definitivo sull’im-piego dell’ITS per gli acari della polvere nei soggetti affetti da DA, anche se gli ultimi dati sono incoraggianti.

i nuovi emollienti

Nella composizione della barriera cuta-nea, oltre alle molecole che svolgono un ruolo di legame fra i corneociti e all’in-terno dei corneociti stessi, è di estrema importanza la composizione della ma-trice extracellulare, costituita da lipidi e idrolasi lipidiche, secreti dai corpi la-mellari dello strato granuloso. L’azione delle idrolasi determina la formazione di acidi grassi liberi, colesterolo e soprattu-to ceramidi; questi ultimi costituiscono circa il 50% di questa matrice.I nuovi orientamenti della terapia non farmacologica della DA non sono rivolti soltanto a ridurre i danni di un’alterata barriera, ma a promuovere, come trat-tamento proattivo (31), una ricostitu-zione dei lipidi mancanti. Un approccio relativamente nuovo è quello che utiliz-

za prodotti in cui siano presenti tutti i lipidi che costituiscono la matrice e con una quota di ceramidi predominante per recuperare la normale composizione cutanea. A differenza degli emollienti tradizionali, che formano una barrie-ra occlusiva superficiale, gli idratanti a base di ceramidi sono ideati per pe-netrare nello strato corneo. Bisogna sottolineare che i diversi tipi di lipidi, se utilizzati isolatamente, riducono in modo significativo il loro effetto rispet-to alle formulazioni dove i rapporti fra i diversi lipidi sono mantenuti ai livelli fisiologici pari a un rapporto ideale fra ceramidi, colesterolo e acidi grassi libe-ri. Emollienti correttamente formulati, incrementano inoltre le difese cutanee normalizzando il pH della pelle e dimi-nuendo la TEWL. Alcuni studi hanno osservato che l’utilizzo di questi emol-lienti nelle forme lievi-moderate di DA inducono miglioramenti simili a quelli di una terapia steroidea (30).La ricerca del migliore emolliente si è rivolta anche verso altre formulazio-ni, come ad esempio quelle contenenti acido glicirretico che sembra avere un effetto di riparazione della barriera cu-tanea simile a quello degli idratanti con ceramidi.

la prevenzione della marcia atopica

Vista la notevole frequenza della DA, da diversi anni si è cercato di individuare strategie preventive, in particolare nei soggetti a rischio, ma non sono state ot-tenute evidenze significative. Una recen-te revisione Cochrane (31) sulla efficacia

della esclusione dietetica evidenza che la prescrizione, durante la gravidanza, di una dieta di eliminazione nelle donne con bambini ad alto rischio di allergia non riduce sostanzialmente nel bam-bino lo sviluppo di malattie atopiche, mentre una tale dieta può influire nega-tivamente sulla nutrizione della madre, del feto o di entrambi. La prescrizione di una dieta della donna durante l’allat-tamento può ridurre il rischio del suo bambino di sviluppare DA, ma ulteriori prove sono necessarie. Diversi lavori sulla possibile preven-zione da parte dei probiotici sono stati effettuati senza chiare evidenze confer-mate; da segnalare un recente studio neozelandese che ha osservato che la supplementazione prolungata con Lac-tobacillus rhamnosus nelle mamme e nei lattanti sembra avere una efficacia preventiva a lungo termine per la com-parsa dell’eczema (32). Da segnalare uno studio con lisati bat-terici, randomizzato contro placebo in neonati con almeno un genitore al-lergico (33), il cui razionale consisteva nel tentativo di modulare la risposta immunitaria innata mediata dai TLR utilizzando acido lipoteicoico e lipo-polisaccaridi batterici. I neonati dalla quinta settimana di vita fino alla fine del settimo mese assumevano un lisato batterico contenente E. Coli e Entero-cocco fecale. Si è osservata una riduzio-ne della DA nel gruppo trattato (10%) rispetto al placebo (19%), differenza più accentuata nel gruppo di bambini con familiarità paterna per atopia (11% vs 32%). Questa differenza, tuttavia, tende a ridursi negli anni.

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qualità di vita

L’esordio precoce, la sintomatologia pru-riginosa associata, le recidive frequenti e il decorso cronico rendono la DA, specie di grado severo, una malattia con im-portanti conseguenze psicologiche che influenzano la qualità della vita dei bam-bini, degli adolescenti e delle loro fami-glie. I bambini affetti presentano spesso problemi comportamentali, caratterizza-ti principalmente da un aumento della dipendenza emotiva, ansia e ridotta sti-ma di sé. Il prurito, che è uno dei prin-cipali sintomi della malattia, influenza la qualità del sonno e l’umore dei pazienti e di conseguenza della famiglia. Il de-corso cronico o recidivante e le terapie protratte per periodi prolungati incido-no negativamente sulla qualità della vita familiare, sia economicamente che psi-cologicamente, producendo ansie, fru-strazioni e sentimenti di colpa e rabbia. Gli adolescenti con DA presentano una

maggiore vulnerabilità e insicurezza, ma sono ancora pochi gli studi condotti fi-nora a riguardo. In quest’ottica ci sembra rilevante sottolineare l’importanza di un approccio multidisciplinare (dermatolo-go, pediatra, allergologo, psicologo), che è opportuno proporre con diverse moda-lità a seconda dell’età del paziente e delle caratteristiche del centro di riferimento. Dai risultati ottenuti (34), dai gruppi tedeschi (34) che hanno proposto un modello definito “Berlin Model”, sono partite iniziative in diversi paesi europei con la formazione di gruppi di lavoro che coinvolgono i centri più avanzati nello studio della DA. In questi centri viene affiancato alla terapia tradizionale un approccio educazionale (a gruppi o singolarmente) il cui obiettivo prima-rio, oltre al controllo della malattia, è quello di migliorare la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie. I dati pubblicati finora dimostrano che questo approccio è valido sia in termini di con-

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trollo del sintomo, con riduzione della terapia steroidea (35), sia per disporre di strumenti che permettano una migliore predisposizione nell’affrontare le diverse situazioni negative che si presentano nel-le prime età della vita (prurito inconte-nibile, risvegli frequenti con perdita del sonno) come nelle età successive (perdita di stima della propria immagine, feno-meni di bullismo).

conclusioni

La ricerca attuale si muove su diversi li-velli: genetico, immunologico, clinico e preventivo. È evidente che la DA è una condizione complessa che comprende diversi fenotipi clinici con peculiari bio-markers associati. La caratterizzazione di queste condizioni dovrebbe permettere, specie se associata all’individuazione di una specifica alterazione genetica, un ap-proccio terapeutico individualizzato e un’ azione preventiva più precoce ed efficace.

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TRAILER

ALLERGOLOGICALLERGOLOGICNOTIZIARIO

Premessa maggiore:i pazienti con rinite ed asma allergica severi sono a rischio di disfunzione erettile.

Premessa minore:la SLIT cura asma e rinite allergica anche severi.

Conclusione:la SLIT previene il rischio di disfunzione erettile.

Nel prossimo numero del Not Allergolverificheremo la validità scientifica di un sillogismo aristotelico nato dalla lettura di queste due pubblicazioni.

Allergic rhinitis and risk of erectile dysfunction: a nationwide population-based studySu VY-F, Liu C-J, Lan M-Y, Chen Y-M, Su K-C, Lee Y-C, Chen T-J, Chou K-T.

Allergy 2013; DOI: 10.1111/all.12100.

Conclusions Patients with AR appeared to be at higher risk of future ED, possibly in a severity-dependent manner.

Asthma and risk of erectile dysfunction:a nationwide population-based study. Chou K-T, Huang C-C, Chen Y-M, Perng D-W, Chao H-S, Chan W-L, and Leu H-B.

J Sex Med 2011;8:1754–1760.

Conclusions Asthma may be an independent risk factor for ED, and risk of ED probably increases in accordance with asthma severity.

Disfunzione erettile: L’ITS serve?

Q ual è l’attività sessuale degli asmatici e dei rinitici? La do-manda è semplice e diretta, non un generico “qualità della vita”. Questi due lavori sono i primi a cercare di rispondere

in maniera scientifica al quesito. Il gruppo taiwanese guidato da Chou ha utilizzato i dati del National Health Insurance che dal 1995 copre tutti i cit-tadini di Taiwan per verificare se la rinite e l’asma allergico hanno un ruolo nello sviluppo della disfunzione erettile (ED). In quest’ultima è importante il processo di aterosclerosi e guarda caso mediatori dell’infiammazione, leucotrieni ed IgE, e cellule quali i mastociti sono implicati nella patologia ed anche nella rinite ed asma. In questi due studi retrospettivi sono stati indagati soggetti di età compresa tra 18 e 55 anni, diagnosticati come rinitici o asmatici, senza precedenti esperienze di disfunzione erettile, negli anni 2000-2008 in una coorte di 999.953 soggetti. I criteri di esclusione sono stati molto rigidi.I soggetti con rinite hanno sperimentato la disfunzione erettile molto più spesso dei controlli (95% CI,1,24-1,52, P <0,001) e i casi di ED sono stati

più elevati nei soggetti che avevano richiesto più visite specialistiche e medicazioni per oltre 4 settimane in un anno.I soggetti con asma hanno anch’essi sperimentato la disfunzione erettile molto più dei controlli (95% CI,1,276-2,856, P <0,002) e i casi di ED sono stati più elevati nei soggetti che avevano richiesto più visite specialistiche per attacchi d’asma (12-24) in un anno.Dai due lavori emerge chiaramente che rinite ed asma sono fattori di ri-schio indipendenti per la disfunzione erettile e quest’ultima probabilmen-te è incrementata dalla severità delle due patologie allergiche. Cos’altro emerge? Pochi asmatici con disfunzione erettile…forse merito della dieta evidentemente migliore di quella mediterranea…Nelle placche aterosclerotiche è stato evidenziato in molti studi la pre-senza di IgE, cellule dendritiche, macrofagi e soprattutto varie citochine pro-infiammatorie. Facile concludere che lo stato infiammatorio causato dall’allergia locale abbia ripercussioni sistemiche.L’immunoterapia specifica è la sola terapia in grado di modificare il siste-ma immunitario riportandolo ad uno stadio di omeostasi, cioè in grado di “tollerare” le sostanza innocue come i sani.L’ITS, nelle sue varie forme quale la SLIT, può, riducendo lo stato infiamma-torio diminuire sicuramente anche l’incidenza della disfunzione erettile…il sillogismo è valido… Il primo problema, però, è convincere una madre a vaccinare il figlio per contrastare la marcia atopica, il secondo ottenere un’aderenza da parte del figlio alla terapia per decine di anni!Chiosa finaleL’ITS può curare la rinite e l’asma allergico, la disfunzione erettile, l’atero-sclerosi etc. ma non va preso un’ora prima del rapporto bensì per 15 anni prima dello stesso. Una programmazione stupefacente… FO

Rinite AsmaPazienti Controllo Pazienti Controllo64059 64059 3466 13836Con ED Senza ED Con ED Senza ED844 (1,32%) 611 (0,95%) 34 (0,98%) 80 (0,58%)95% CI,1,24-1,52, 95% CI,1,276-2,856, P <0,001 P <0,002 Rischio del 37% Rischio del 91%

sillogismo

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recens ion i

37Not Allergol Anno 32 - 2013 • Vol. 31, n. 1

Immunoterapia orale nell’allergia all’uovo

Oral immunotherapy for treatment of egg allergy in children.

Burks AW, Jones SM, Wood RA, Fleischer DM, Sicherer SH, Lindblad RW, Stablein D, Henning AK, Vickery BP, Liu AH, Scurlock AM, Shreffler WG, Plaut M, Sampson HA.

Consortium of Food Allergy Research (CoFAR).N Engl J Med. 2012 Jul 19; 367(3):233-243.

L’ ipersensibilità all’uovo è considerata la seconda prin-cipale causa di allergia alimentare e all’età di due anni e mezzo la prevalenza stimata è del 2.6%, con rea-

zioni che variano in intensità fino all’anafilassi. Il 70% circa dei bambini affetti supera tale condizione entro i 16 anni. Tuttavia livelli di IgE specifiche elevati vengono considerati un marcatore predittivo di allergia persistente in età successiva. L’allontanamento dell’uovo dalla dieta rappresenta a tutt’oggi la strategia gestionale più comune, sebbene un allontanamento assoluto sia difficile da mantenere. Questo infatti rappresenta una sfida di non trascurabile impatto per la qualità della vita del paziente e di chi se ne prende cura, oltre a non protegge-re dal rischio di assunzioni accidentali. Per questo motivo la ricerca di nuovi trattamenti è stata oggetto di ricerca, ma la desensibilizzazione orale rappresenta una pratica ancora non generalizzabile nella routine clinica (1).Il lavoro scientifico di Burks, pubblicato su rivista di elevato prestigio, ha richiamato l’attenzione di numerosi ricercatori, sollevando un dibattito costruttivo. Gli Autori condussero uno studio multicentrico randomizzato, in doppio cieco, controlla-to verso placebo analizzando 55 bambini da 5 a 11 anni di età affetti da allergia all’uovo trattati con immunoterapia orale per studiare la comparsa di tolleranza mediante test di provocazione orale a differenti cadenze temporali. Fu interessante notare che a distanza di 22 mesi, nessuno nel gruppo placebo (15 sogget-ti), ma il 75% dei soggetti che avevano ricevuto il trattamento attivo (40 soggetti)era in grado di superare il test di provocazio-

ne, pertanto era da considerarsi desensibilizzato. In 11 soggetti (28%) tale protezione si era mantenuta fino al ventiquattresi-mo mese e a 36 mesi tutti i bambini che avevano superato il challenge precedente potevano assumere l’uovo. Questi risul-tati clinici positivi erano accompagnati da una riduzione della reattività cutanea specifica verso l’allergene, da un aumento dei livelli serici di IgG4 specifiche (senza modifiche nelle IgE)e da una ridotta attivazione indotta dei basofili (BAT).Per quanto riguarda sicurezza, sette bambini (5 nel gruppo attivo e 2 nel gruppo placebo) vennero persi prima di concludere la fase di induzione della terapia (13%), ovvero entro 5 mesi e mezzo dall’inizio del protocollo per comparsa di reazioni (per lo più oro-faringee) o altra causa; un ulteriore paziente uscì dopo il challenge a 22 mesi. Nessuna delle reazioni fu comunque se-ria e la frequenza di reazioni avverse, riferite prevalentemente entro i 10 mesi e con successiva importante tendenza al calo, venne stimata al 25% delle 11,860 dosi somministrate.Gli Autori conclusero che l’immunoterapia per l’ uovo è in grado di desensibilizzare una elevata percentuale di bambini al-lergici, favorendo l’innalzamento della soglia di scatenamento, e di indurre una protezione sostenuta nel tempo.Tali affermazioni stimolarono alcune riflessioni meritevoli di menzione. Venne infatti osservato che lo studio non aveva con-templato un test di provocazione orale iniziale per confermare la diagnosi, nonostante non fosse controindicato per l’assenza di reazioni anafilattiche anamnestiche. Altri Colleghi fecero presente che le componenti proteiche del bianco d’uovo di dif-ferenti specie aviarie presentano un certo grado di variabilità per cui sarebbe erroneo attribuire una protezione generalizzata.

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38 Not Allergol Anno 32 - 2013 • Vol. 31, n. 1

Infine venne rimarcato il dubbio di trascurare una eventuale esofagite eosinofilia indotta dalla cura basata su una intensa esposizione allergenica delle mucose.Prima di questo studio altre ricerche caratterizzate da differenti modelli sperimentali avevano mostrato che l’immunoterapia per l’uovo è relativamente ben tollerata ed in grado di desensi-bilizzare con successo in età pediatrica, sebbene la protezione fornita apparisse solo transitoria a seguito dell’interruzione del-la cura (2). Recentemente tre studi randomizzati e controllati in aperto hanno fornito risultati incoraggianti ma evidenzian-do un non trascurabile rischio di reazioni avverse nelle condi-zioni allergiche moderato-gravi (3-5).Inoltre suggerivano che brevi trattamenti con dosi relativamente basse possono proba-bilmente fornire solo una protezione di breve durata, mentre una reale tolleranza verso l’alimento può richiedere trattamenti più lunghi e a dosi superiori. Lo studio di Burks e colleghi ri-sulta incoraggiante grazie al rigoroso modello sperimentale,ma lascia intuire che ulteriori trials di questo tipo sono necessari prima di esprimere ferme conclusioni sulle capacità di prote-zione a lungo termine dell’immunoterapia per uovo. EC

Bibliografia

1. Hasan SA, Wells RD, Davis CM - Egg hypersensitivity in review. Allergy Asthma Proc. 2013;34(1):26-32.2. Buchanan AD, Green TD, Jones SM, Scurlock AM, Pons L, Helm RM, Lee LA, Burks AW - Egg oral immunotherapy in nonanaphylactic children with egg allergy. J Allergy Clin Immunol 2007; 119(1):199-205.3. Meglio P, Giampietro PG, Carello R, Gabriele I, Avitabile S, Galli E - Oral food desensitization in children with IgE-mediated hen’s egg allergy: a new protocol with raw hen’s egg. Pediatr Allergy Immunol. 2013;24(1):75-83.4. Fuentes-Aparicio V, Alvarez-Perea A, Infante S, Zapatero L, D’Oleo A, Alonso-Lebrero E - Specific oral tolerance induction in paediatric patients with persistent egg allergy. Allergol Immunopathol (Madr). 2012 Jul 24. [Epub ahead of print] 5. DelloIacono I, Tripodi S, Calvani M, Panetta V, Verga MC, Miceli Sopo S - Specific oral tolerance induction with raw hen’s egg in children with very severe egg allergy: A randomized controlled trial. Pediatr Allergy Immunol. 2013;24(1):66-74.

I biscotti ai chicchi di cereali sono tollerati dai bambini

allergici al grano?

Tolerance to wheat in whole-grain cereal biscuit in wheat allergic children

Turner P, Wong M, Varese N et al.J Allergy Clin Immunol 2013;13:920-923.

C ome noto le proteine del frumento implicate nella sensibilizzazione allergica non sono completamente definite e da quanto si sa il potenziale allergenico del-

lo stesso non sembra influenzato da alcuni processi di lavora-zione a cui viene sottoposto come per es. il calore. Per questo motivo i soggetti allergici al frumento generalmente evitano la assunzione di tutti quegli alimenti che contengono il fru-mento come pane, pasta, pizza, biscotti ai chicchi di cereali (whole-grain wheat cereal biscuits, WWCBs, Fig. 1). L’aller-gia al frumento si manifesta in tenera età e in molti casi tende a risolversi spontaneamente verso i 3-5 anni ed è facilmente verificabile sottoponendo i soggetti ad un test di provocazione orale (TPO). Quest’ultimo viene generalmente realizzato con uno degli alimenti citati sopra.In questo lavoro (presentato come lettera agli Editori) gli Au-tori presentano il caso particolare di due bambini affetti da allergia al frumento in grado di tollerare una certa quantità

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di WWCBs ( come dimostrato al test di provocazione orale) ma non di altri alimenti contenenti il frumento. Si tratta di due bambini con una storia di allergie alimentari multiple e dermatite atopica. Il primo presentava già dall’infanzia un ec-zema atopico con esacerbazione dei sintomi dopo assunzione di frumento o latte vaccino. All’età di due anni il suo eczema risultava ben controllato, ragion per cui i genitori decisero di introdurre nella sua dieta il frumento sotto forma di WWCBs ma il bambino sviluppò una reazione orticarioide generaliz-zata con angioedema facciale nel giro di pochi minuti. Un anno più tardi il bambino fu sottoposto in ospedale ad un ulteriore test di provocazione orale e risultò in grado di tolle-rare una quantità significativa di WWCBs, pur continuando a mostrare un prick positivo al frumento ed un livello elevato di IgE specifiche nel siero. Una volta a casa, pensando che la sua allergia si fosse risolta, fu dato al bambino un pasto a base di pasta e pane, scatenando nello stesso a distanza di po-chi minuti vomito e orticaria. Questi sintomi continuavano a persistere dopo assunzione di alimenti come pane e pasta mentre il bambino continuava a tollerare significative quan-tità di WWCBs. Il secondo bambino presentava un quadro allergologico più complesso con SPT positivo per diversi alimenti (frumento, latte, soia, uovo, arachide). Sottoposto all’età di 5 anni ad un TPO risultò tollerare una quantità significativa di WWCBs. Qualche settimana più tardi, il bambino sviluppò nausea e vomito subito dopo aver consumato un pasto a base di ta-gliolini e pane. Sottoposto ad un TPO con pane fatto in casa manifestò sintomi analoghi mentre persisteva la tolleranza nei confronti di WWCBs. Il prick verso il frumento risultava positivo così come particolarmente elevato il livello di IgE specifiche verso lo stesso.Per tentare di spiegare un simile comportamento gli Autori hanno preparato, partendo dal frumento, dalla farina e dai WWCBs, degli estratti che hanno poi sottoposto ad una analisi SDS-PAGE e successivamente a immunoblotting sia con il siero dei due bambini che con sieri di soggetti allergici al frumento e ai WWCBs, usati come controllo. I risultati mostrano che rispetto ai sieri dei soggetti controllo, il siero dei due soggetti tolleranti ai WWCBs presenta una ridotta attività IgE-binding nei confronti dell’estratto di frumento,

e un riconoscimento molto debole verso i WWCBs, circo-scritto comunque alla frazione gliadinica. La produzione di WWCBs comprende una fase di pressure-cooking. E’ noto dalla letteratura che questa fase di pressure –cooking altera per esempio la struttura delle proteine del lupino che determina una ridotta reattività nei pazienti allergici. Gli Autori ipotiz-zano quindi che la fase di pressure –cooking prevista nella pre-parazione dei WWCBs possa aver rimosso alcune delle protei-ne del frumento coinvolte nel fenomeno di sensibilizzazione dei due bambini, rendendo i WWCBs tollerabili agli stessi. Sulla base di questi risultati gli Autori suggeriscono una cer-ta cautela nell’usare solo i WWCBs nel test di provocazione orale per individuare i soggetti allergici al frumento, pena il rischio di falsi negativi. D’altro canto l’impiego degli stessi nel TPO può essere utile ad individuare i soggetti tolleranti che così potrebbero inserire i WWCBs nella loro dieta. GM

Figura 1Figura 1 Il più famoso biscotto ai chicchi di cereali

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recensioni

40 Not Allergol Anno 32 - 2013 • Vol. 31, n. 1

Acqua, diclorofenoli e allergie

Dichlorophenol-containing pesticides and allergies: results from the US National Health and Nutrition

Examination Survey 2005-2006

Jerschow E et al. Asthma & Immunology 2012;

109(6):420-425.

L o studio condotto dal gruppo di Elina Jerschow mo-stra che una delle cause dell’aumento delle allergie alimentari potrebbe essere dovuta ai pesticidi a base

di diclorofenolo (figura1) che è presente anche nell’acqua del rubinetto.Gli studiosi dell’Albert Einstein College of Medicine di New York hanno misurato i livelli di diclorofenolo nelle urine di

2211 dei 10348 partecipanti allo US National Health and Nu-trition Examination Survey nel periodo 2005 – 2006. Il do-saggio delle IgE specifiche ha individuato 1427 casi di allergia, 411 ad allergeni alimentari e 1016 ad allergeni ambientali. In coloro che presentavano alti livelli di diclorofenolo, la pro-babilità di essere allergici ad almeno un tipo di alimento au-mentava dell’80% (OR 1,8;95% CI 1,2-2,5; P=0,003). Nessu-na associazione significativa è stata trovata con gli aeroallergeni.Gli Autori concludono che i diclorofenoli possono spiegare in parte l’incremento esponenziale delle allergie alimentari veri-ficatosi negli ultimi anni. Parallelamente è aumentato anche l’inquinamento ambientale, in particolare da pesticidi.I risultati dello studio suggeriscono che queste due tendenze potrebbero essere collegate, e che un maggiore utilizzo di pe-sticidi e di altre sostanze chimiche è associato ad una maggiore prevalenza di allergie alimentari.Ricordiamo che in casa vengono usati prodotti quali l’anti-batterico triclosan, che perdendo una molecola di cloro può originare il diclorofenolo. FO

Figura 1Figura 1 formula chimica del DCF

C1 C1

CH

Battericidi sintetici

Triclosan exposure and allergic sensitization in Norwegian children.

Urinary levels of triclosan and parabens are associated with aeroallergen and food sensitization.

Bertelsen RJ, Longnecker MP, Løvik M, Calafat AM, Carlsen KH, London SJ, Lødrup Carlsen KC.

Allergy. 2013;68(1):84-91.

Savage JH, Matsui EC, Wood RA, Keet CA.J Allergy Clin Immunol. 2012;130(2):453-460.

T ra gli antimicrobici sintetici il triclosano (fig.1) riveste un ruolo importante e l’85% della produzione mon-diale entra nella costituzione di prodotti per l’igiene

personale (saponi, dentifrici, colluttori ed altri prodotti per l’igiene orale) e della casa.

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41Not Allergol Anno 32 - 2013 • Vol. 31, n. 1

recensioni

L’esposizione avviene principalmente per via orale (compreso il latte materno) e cutanea. Il triclosano viene escreto per la maggior parte nelle successive 24 ore, mentre la parte residua può persistere per molti giorni grazie al legame con proteine plasmatiche.Nel primo lavoro i norvegesi Bertelsen e Coll.hanno dosato la molecola di triclosano nelle urine di 623 bambini valutati allergici mediante prick-test e dosaggio delle IgE specifiche, e arruolati a partire dal 2001.In sintesi le conclusioni cui sono arrivati e che forniscono un’ulteriore prova di un’associazione tra triclosan e allergia, sono state:

• le concentrazione urinaria del battericida erano associate alla sensibilizzazione allergica, soprattutto a inalanti e allergeni stagionali, ma non allergeni alimentari;

• alte concentrazioni di triclosano erano associate alla rinite, ma non all’asma.

Nel secondo lavoro Savage e Coll. della Johns Hopkins Divi-sion of Allergy and Clinical Immunology di Baltimora hanno esaminato 860 bambini clinicamente allergici coinvolti nel

Figura 1Figura 1 Formula chimica del triclosano5-cloro-2-(2,4 - diclorofenossi) fenolo

CI

CI OH

CI

O

La scheda tecnica del prodotto può essere scaricata dal sitohttp://gestis-en.itrust.de/nxt/gateway.dll?f=templates&fn=default.htm&vid=gestiseng:sdbeng

La gomma arabica (E414) è un potente immunoregolatore

Stimulation of mouse dendritic cells by gum arabic

Xuan NT, Shumilina E, Nasir O, Bobbala D, Götz F, Lang F.

Cell Physiol Biochem 2010;25:641-648.

L a gomma arabica o gomma d’acacia viene ottenuta da Acacia senegal e A. seyal incidendo la corteccia delle piante e sfruttando il fenomeno noto come gommo-

si (Fig.1). E’ un eccipiente, noto come E414, molto usato nell’industria alimentare dalle caramelle, ai vini e alla Coca Cola. Da un punto di vista chimico è composta da polisac-caridi idrosolubili abbastanza ramificati (peso molecolare 250.000-300.000 dalton) e da glicoproteine.

National Health and Nutrition Examination Survey negli anni 2005/6 per verificare gli effetti immunomodulatori di alcuni interferenti endocrini (bisfenolo A, triclosano, benzo-fenone 3, e 4 parabeni).I risultati della ricerca possono essere riassunti così:

• la probabilità di una sensibilizzazione ad aeroallergeni era correlata ai livelli urinari di bisfenolo A, triclosano e due parabeni;

• nei soggetti maschi la probabilità di una sensibilizzazione ad allergeni alimentari era fortemente legata ai livelli di triclo-sano (P=0,03).

La domanda successiva è ovvia: come può il triclosano favori-re lo sviluppo di allergie?L’azione può essere sintetizzata in 3 punti:1 riduce la diversità microbica nell’ambiente;2 cambia il biota nella mucosa orale;3 regola negativamente i segnali che attivano la risposta

Th1 e favorisce la risposta Th2 FO

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recensioni

42 Not Allergol Anno 31 - 2012 • Vol. 30, n. 3

L'azione della gomma arabica, essendo una fibra, si svolge nel tratto gastrointestinale dove la sua fermentazione porta alla formazione di molti prodotti di degradazione compresi acidi grassi a corta catena ed anche può incrementare i livel-li serici del butirrato. Nell'intestino, le gomma arabica può modificare la funzione del riassorbimento da parte delle cel-lule epiteliali e può modificare anche la funzione delle cellule dendritiche che protrudono nel lume intestinale. Gli Autori di questo interessante studio hanno voluto esplo-rare se l'esposizione delle cellule dendritiche alla gomma ara-bica può modificare la loro funzione, confrontandola a quella determinata dal lipopolisaccaride (LPS) batterico. A questo fine hanno utilizzato cellule dendritiche murine esponendole alla gomma arabica ed al LPS, e confrontandole con cellule analoghe non esposte, per valutare la capacità immunomo-dulante di questi prodotti.Gli Autori hanno determinato 1) i marcatori di maturazio-ne delle cellule dendritiche, CD86, CD 54, CD 40 e MHC II; 2) l'attività fagocitaria; 3) la produzione di citochine; 4) la stimolazione dei linfociti CD4+ in co-colture. Il risultato rivela un effetto modulante della gomma arabica che è ca-pace di modificare la maturazione delle cellule dendritiche. Analogamente al LPS batterico l'esposizione delle cellule alla gomma arabica porta un incremento di molti marcatori di esposizione quali CD86 e CD40, che sono caratteristici del fenotipo tollerogenico delle cellule dendritiche, e del MHC II che è critico per la presentazione dell'antigene ai linfociti. Il trattamento con gomma arabica ed LPS stimola la forma-

zione di molte interleuchine, in particolare IL-6, IL-10, IL-12 e TNF, però in modo diverso. La gomma arabica ha in particolare un grande effetto su IL-6 e IL-10, due citochine che sono regolatori importanti del-la risposta immune deviandola verso la tolleranza, in pratica l’E414 ha effetti anti-infiammatori e può contribuire all'ome-ostasi dell'intestino, anche incrementando la risposta Th2. Gli Autori concludono che la gomma arabica è un potente stimolatore della maturazione delle cellule dendritiche e della produzione di citochine da parte delle stesse e potrebbe essere utilizzato come nuovo nutriente immunoregolatore. FO

TRAILER

ALLERGOLOGICALLERGOLOGICNOTIZIARIO

Esiste un meccanismo d'azione comune

tra alcol, oppio, acaro e batterio?

Nel prossimo numero del Not AllergolLa spiegazione del comune meccanismo d'azione.

Figura 1Figura 1 Acacia senegal e gommosi

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il punto

43Not Allergol Anno 32 - 2013 • Vol. 31, n. 1

Der p1: allergene ed adiuvante Th2? Negli ultimi anni sono stati

pubblicati diversi lavori su una possibile correlazione tra

attività proteolitica e sensibilizzazione allergica. Si è così osservato che diver-si allergeni sono dotati di una attività proteasica. In quest’ ambito, l’allergene Der p1, uno degli allergeni maggiori del Dermatofagoides pteronyssinus della pol-vere di casa, è stato oggetto di numerose indagini che hanno evidenziato la sua appartenenza alla famiglia delle cistein-proteasi. L’attività cistein-proteasica del Der p1 sembra giocare un ruolo impor-tante nella sua capacità di elicitare una risposta immunologica IgE-mediata verso gli acari della polvere di casa, come una rilevante “body of evidence” sembra sostenere.L’allergene Der p1 si è infatti dimostra-to in grado di rimuovere dalla superficie dei linfociti B, la molecola CD23, una glicoproteina di membrana di 45 kD, nota costituire il recettore a bassa affi-nità delle IgE. I frammenti del recetto-re CD23 rilasciati conseguentemente all’azione del Der p1 potrebbero poi promuovere direttamente la sintesi di IgE. Alternativamente la rimozione del recettore potrebbe amplificare la rispo-sta IgE, eliminando un meccanismo di feedback inibitorio che in condizioni normali limita la sintesi di IgE. Recen-temente l’espressione della molecola CD23 è stata osservata anche sulla su-perficie dei monociti e delle cellule den-dritiche. Altre evidenze dimostrano che il Der p1 è in grado di degradare un’al-tra molecola di superficie , la sub-unità alfa del recettore per l’interleuchina 2 (IL-2) nota come CD25, presente sulla

Gianni Mistrello

superficie dei linfociti T; questo deter-minerebbe una marcata diminuzione della capacità proliferativa e di produr-re la citochina interferon gamma, che ha un effetto rilevante sulla attivazione dei linfociti Th1. Più recentemente con il miglioramento delle conoscenze sul ruolo dei basofili come “antigen presen-ting cells” è stato osservato che l’allerge-ne Der p1, quando aggiunto in vitro a basofili umani, è in grado di stimolare la produzione di citochine di tipo Th2 (interleuchine 4, 5 e 13) ma non quelle di tipo Th1 (interferon gamma). In aggiunta l’osservazione secondo cui gli acari della polvere di casa determi-nano più facilmente sintomi allergici a carico dell’apparato respiratorio potreb-be trovare conferma tenendo proprio conto della attività cistein-proteasica del Der p1. E‘ noto che lo strato di cellule epiteliali delle vie aeree, grazie alle “tight junctions” che ne favorisce lo stretto contatto, agisce da barriera impedendo l’ingresso di possibili invasori. Un ruolo importante nel promuovere il suddetto contatto è svolto da una serie di com-ponenti proteiche di transmembrana (claudina, occludina). Il Der p1 in virtù della sua attività proteasica è in grado di degradare le suddette componenti con conseguente lesione delle tight jun-

ctions. Questo faciliterebbe l’ingresso di allergeni attraverso lo strato di cellule epiteliali, contribuendo quindi a pro-muovere la sensibilizzazione allergica. In effetti i pazienti affetti da asma mostra-no un “impairment” dello strato epite-liale delle vie aereeUna parte degli effetti attribuibili all’at-tività proteasica del Der p1, come ricor-dato sopra, viene annullata quando gli esperimenti sono realizzati in presenza di inibitori specifici dell’enzima cistein-proteasi, confermando che la suddetta attività enzimatica può rappresentare un fattore critico nel determinare il poten-ziale allergenico di una molecola.L’insieme di queste osservazioni sugge-riscono quindi che la molecola Der p1, proprio in virtù della sua attività prote-asica, possa agire non solo da allergene ma anche da promotore di allergenicità; in altre parole esso potrebbe fungere da adiuvante Th2, favorendo probabilmen-te la sensibilizzazione allergica anche nei confronti di altre proteine non dotate di attività enzimatica presenti negli acari (per es. il Der p2, l’altro allergene mag-giore degli acari della polvere di casa) ovvero esacerbare i sintomi allergici in soggetti con una funzione compro-messa della barriera epiteliale. Diversi esperimenti usando un modello murino

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il punto

44 Not Allergol Anno 32 - 2013 • Vol. 31, n. 1

(KCNO), l’altra su una combinazione in successione di due procedure, la pri-ma con KCNO e la seconda con fenil-gliossale (PGO), che è in fase di messa a punto*. La determinazione dell’attivi-tà proteasica è stata valutata utilizzando uno specifico substrato. I risultati di questi esperimenti indicano chiaramen-te che il KCNO è in grado di ridurre si-gnificativamente l’attività proteasica del Der p1, la quale viene ulteriormente ri-dotta usando la combinazione KCNO/PGO (Table 2). Ulteriori esperimenti basati sull’impiego di tecniche partico-lari di indagine (dicroismo circolare e fluorescenza) evidenziano che le suddet-te procedure di modifica chimica non determinano cambiamenti significativi della conformazione strutturale del Der p1 (Figura 1 e poster).La conclusione di questo poster è che la modifica basata sull’impiego del KCNO, che ha portato allo sviluppo dell’attua-

suddetta molecola, soprattutto quando isolata dalle altre componenti protei-che presenti in un estratto di acari, è poco stabile e tende ad autodegradarsi ovvero a formare aggregati nella fase di liofilizzazione, quest’ultima necessaria per raggiungere una concentrazione soddisfacente del Der p1. La procedura che prevede l’aggiunta di saccarosio alla concentrazione di 10 mg/ml si è dimo-strata la più appropriata per mantenere l’attività proteasica espressa dal Der p1 (Table 1). Nella seconda parte del poster si offre una risposta molto suggestiva alla domanda che ci siamo posti: le proce-dure di modifica chimica dell’allergene Der p1, note per determinare una ridu-zione significativa del potenziale IgE-binding dello stesso, hanno un effetto anche sulla sua attività proteasica? Sono state quindi prese in considerazione due procedure di modifica chimica, una ba-sata sull’impiego di cianato di potassio

hanno confermato questa ipotesi; infatti l’esposizione al Der p1, creando un mi-croambiente ottimale, favorirebbe l’in-staurarsi di una sensibilizzazione allergi-ca anche nei confronti di altre proteine con un potenziale allergenico non parti-colarmente elevato come quello espresso per esempio dalla ovalbumina. Il poster (di cui mostriamo il testo in-tegrale), realizzato in collaborazione con l’Istituto di Riconoscimento Molecolare del CNR di Milano è stato presentato in occasione di un Congresso sulla stabili-tà delle proteine (ProSta, Graz, Austria, 2011). Tale Poster include due impor-tanti osservazioni. Nella prima parte si mostrano i risultati dei vari esperimenti effettuati al fine di individuare le con-dizioni sperimentali ottimali per man-tenere integra la molecola Der p1, una volta purificata dall’estratto mediante tecniche di cromatografia di affinità. E’ noto infatti agli addetti al lavoro che la

Ruolo della cistein-proteasi del D. pteronyssinus nella sensibilizzazione allergica Figura 1

L’allergene Der p1 in virtù della sua attività proteasica compro-mette la funzione di barriera delle cellule epiteliali delle vie aeree agendo sulle componenti proteiche delle tight junctions. Questo facilita l’ingresso dell’allergene che viene intercettato dalle cel-lule dendritiche. In aggiunta l’allergene induce una overexpression di un fatto-re, TSLP (thymic stromal lymphopoietin), da parte delle cellule epiteliali. L’insieme di questi fenomeni stimola la maturazione delle cel-lule dendritiche con conseguente produzione di citochine in-fiammatorie (in particolare IL-4, IL-5 e IL-13) che favorendo il reclutamento di linfociti di tipo Th2, provocherebbe la sensibiliz-zazione allergica.

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terali decisamente superiore, tanto più perché devono essere somministrati ad alti dosaggi per essere efficaci.

*Le due procedure hanno target diversi e più precisamente mentre il KCNO modifica in maniera specifica i residui lisinici presenti nella molecola Der p1, il PGO esprime il suo effetto sui residui argininici della stessa.

lità del LAIS. Essere riusciti a dimostrare che il KCNO può esercitare il suo ef-fetto anche sull’attività proteasica dello stesso, riducendo quindi la sua capacità di fungere da promotore di allergenicità, offre un ulteriore elemento di distinzio-ne del LAIS rispetto ai vaccini tradizio-nali basati sull’impiego di estratti nativi, che mostrano un rischio di effetti colla-

le LAIS, ancor oggi l’unico allergoide monomerico somministrabile per via sublinguale, ha messo in luce un altro effetto estremamente interessante di questa procedura. Finora si era osservato che il KCNO è in grado di ridurre in maniera significativa il potenziale IgE-binding del Der p1 e questo sembrava sufficiente a spiegare la elevata tollerabi-

IntroductionDer p1 (an enzyme with cystein-protease activity) is considered the most important allergen of house dust mites of genus Dermatopha-goides pteronyssinus known to induce specific allergy in humans (1). It is found in faeces’ mite in high concentration and its enzymatic activity might have a role in the pathogenesis of the allergy incre-asing the permeability of allergenic substances through the human respiratory epithelium (2). The mature form of this enzyme has 222 amino acids (molecular mass 25 k-Da), it is obtained after hydroly-sis of the pro-peptide (a fragment of 80 amino acid residues) and it is glycosilated, in position N16 and N195. The three-dimensional structure of recombinant Der p1 reveals a V shaped configuration,

very similar to that of papain, which is typical of CA and C1 cystein-proteases. The availability of purified native Der p1 from mites is a priority for a better biochemical and immunological characterization of this enzy-me. Nevertheless, such protein after purification, lyophilization and redissolution in buffer tends to aggregate giving rise to an opale-scent material. Aim of our work was to identify experimental condi-tions able to overcome the above troubles.

Experimental sectionDer p1 purificationDer p1 was purified from a 5% acqueous extract of Dermatopha-goides pteronissinus mites. It has been purified by affinity chroma-tography using a CNBr-Sepharose column cross-linked with Der p1 specific Mab 4C1 (developed in Res Dept, Lofarma). Bound Der p1 was eluted applying 50% Ethylenglycol in 5mM Glycin pH10, then dialysis against 15 mM PBS was performed in order to eliminate elu-ting buffer. Aliquotes of purified Der p1, added with 5, 10, 25 mg/ml sucrose or 1, 5 mg/ml PEG or without

Chemical modification of Der p1An aliquote of purified Der p1 was reconstituted in a tenth of the ini-tial volume with water then gel-filtered on a Sephadex PD10 column

Effects of lyoprotectants on the stability of cysteine protease Der p1 allergen from mites

Secundo F. (1), Vittorini M. (1), Zanoni D. (2), Roncarolo D. (2), Mistrello G. (2)

(1) Istituto di Chimica del Riconoscimento Molecolare, CNR, via Mario Bianco 9, 20131 Milano, Italy(2) Research Dept., Lofarma S.p.A., Viale Cassala,40-20143 Milano, Italy

P O S T E R

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(GE Healtcare) conditionated in 20mM Phosphate buffer. KCNO-modified Der p1 was obtained adding 0.5M KCNO and 0.1M sodium Tetraborate to the solution and allowing it to react at 40°C for 16h. KCNO excess was removed by gelfiltration as above. A fraction of KCNO-treated Der p1 was then modified by reaction with PGO. Brie-fly, pH was raised to 8 with NaHCO3 0.1M then a molar excess =800 of PGO was added to the solution. After 4 h at room temperature sample was gelfiltrated as above.

Enzyme assayContinuous rate assays were conducted adapting the procedure de-scribed in Schulz et al., 1998. Briefly, hydrolysis of the substrate (8 mM) Boc-Gln-Ala-Arg-AMC from Sigma (AMC, 7-amino-4-methyl-coumarin; Boc, N-tertbutoxy-carbonyl) was carried out in 50 mM sodium phosphate buffer, pH 7.0, containing 1 mM EDTA and 1 mM dithiothreitol (DTT) and in a total volume of 1 ml at 25°C. AMC for-mation was monitored using a Jasco fluorescence spectrophotome-ter, with lex= 380 nm and lem = 460 nm and results were related to an AMC standard curve (0–1000 nM). Setting the sensitivity of the spectrofluorimeter on medium 1 nmol of coumarin emited 37 IF. The assays were started by adding DTT activated Der p1 to a final con-centration of 0.18-0.28 mM. Protein assay was carried out by Biorad Protein Assay (Bradford). Circular dichroism analysesFar-UV circular dichroism (CD) spectra were recorded with a Jasco 600 A spectropolarimeter over the 200-250 nm range, the optical path being 0.1 cm and the temperature 25°C (conditions of measu-rements: one accumulation, scan speed 10 nm/min, response 4 sec). Native or chemically modified Der p1 concentration was 0.43 mg/mL. All the spectra were corrected by subtraction of the blank spectrum and smoothed using Jasco Spectra Analysis software (method: me-ans-movement, convolution width 21).

Fluorescence analysesIntrinsic fluorescence emission spectra were recorded with a Jasco FP-550 spectrofluorimeter over the 270–400 nm range, with excita-tion at 295 nm. The protein concentration of lipase was, in all cases, 0.16 mg/mL, and the concentrations of N-acetyl-L-tryptophan ethyl ester was 0.5 mg/mL. All spectra were recorded at 25°C.

Results

Table 1. Activitya of wild type Der p1 after lyophilization in the presence and in the absence of sucrose or PEG

a Reaction conditions: 7mg of Der p1 were added to [Boc-Gln-Ala-Arg-AMC] 0.008mM in 50mM NaP, pH7, containing 1mM EDTA and 1mM DTT. Temperature 25°C, final volume di 1 mL. bOne unit (U) is the amount of enzyme able to hydrolyse 1 mmol of Boc-Gln-Ala-Arg-AMC per mi-nute. cMolecular mass 1500 Da.

Table 2. Activity of wild type Der p1 after chemical modification.

a Reaction conditions as described in Table 1 but adding 4.7 mg of Der p1. bm all cases Der p1 samples were freeze-dried from solution contai-ning of 10 mg/ml of sucrose.

Table 1. shows that the the addition of sucrose and PEG before the freeze-drying step allows a stabilization of w.t. Der p1. In particular, an optimal stabilization was obtained adding sucrose up to a concentration of 10 mg/ml. From Table 2 it can be noted that the chemical modifications with KCNO or KCNO and PGO cause a inhibition of the Der p1 catalytic ac-tvity that was 3.2- and 6.4-fold lower than that of w.t. Der p1 for w.t. Der p1-KCNO and w.t. Der p1-KCNO/PGO, respectively.

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il punto

Figure 1. Far-UV circular dichroism (CD) spectra of w.t. Der p1, w.t. Der p1 modified with KCNO and w.t. Der p1 modified with KCNO and PGO.

CD spectra show difference in intensity but a similar shape with minima at around 216 and 210 nm (Figure 1). This latter results suggests that the enzyme secondary structure is not significantly affected by the che-mical modification with KCNO and KCNO/PGO. It is important pointing out that the modification of the amino acid side chains in chemically modified Der p1 might itself produce a CD signal and be responsible for the small variations of the CD spectra compared to that of w.t. Der p1 (4). Fluorescence spectra also suggest that the chemical modification does not cause significant conformational changes (Figure 2). Indeed, w.t. Der p1 and its chemical modified counterparts show very similar lmax of emission, being 349 nm for w.t. Der p1 and w.t. Der p1-KCNO and 347 nm for Der p1-KCNO/PGO. The difference of intensity might be caused by a quenching of the emission caused by the added chemical groups linked to the amino acids side chains.

Figure 2. Fluorescence spectra of w.t. Der p1, w.t. Der p1 modified with KCNO and w.t. Der p1 modified with KCNO and PGO. Values in the graph indicate maximum of emission.

Conclusion

The experiments above described show the addition of sucrose before freeze-drying step of Der p1 purified protein significantly improves its stability. This prior observation allowed to verify subsequently the effect of KCNO or KCNO/PGO treatment (already known to reduce IgE-binding of Der p1 allergen and therefore its allergenic potential), on both its conformational state and enzymatic activity. The similarity of the far-UV CD spectra and of the lmax of emission measured by fluorescence suggests that chemical modification with KCNO/PGO and with KCNO do not cause significant conformational changes. This observation and the fact that both allergenic and enzymatic activities of chemically mo-dified Der p1 samples are significantly decreased makes Der p1-KCNO e Der p1-KCNO/PGO optimal candidates for a safer immunotherapy of allergic diseases.

AcknowledgementsThe present work has been performed within the project financed by Regione Lombardia ( MD2005 ID09 ATI)

References

1) P. Lind: Purification and partial characterization of two major al-lergens from the house dust mite Dermatophagoides pteronyssinus, Journal of Allergy and Clinical Immunology, 1985, 76, 753-761.

2) H. Wan, H. L. Winton, C. Soeller, E. R. Tovey, D. C. Gruenert, P. J. Thom-pson, G. A. Stewart, G. W. Taylor, D. R. Garrod, M. B. Cannell, C. Robinson: Der p 1 facilitates transepithelial allergen delivery by disruption of tight junctions, The Journal of Clinical Investigation, 1999, 104, 123-133.

3) O. Schulz, H. F. Sewell, F. Shakib , A sensitive fluorescent assay for measuring the cysteine protease activity of Der p 1, a major allergen from the dust mite Dermatophagoides pteronyssinus J Clin Pathol: Mol Pathol 1998, 51, 222–231.

4) D.G. Fasman, 1996, Circular Dichroism and the Conformational Anay-sis of Biomolecules, Plenum Press, New York and London.

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