diritto e società tributi e accertamento fiscale · azione revocatoria e scissione - ordinanza 7...
Post on 15-Feb-2019
223 Views
Preview:
TRANSCRIPT
Diritto e società
La relazione di stima nella scissione: quando è obbligatoria e se sia possibile ricorrere ai
metodi alternativi dell’articolo 2343-ter, cod. civ.
di Manuela Grassi e Luca Szegö 2
Tributi e accertamento fiscale
Il trattamento fiscale della fusione eterogenea
di Fabio Giommoni 7
Trattamento Iva dell’assegnazione agevolata di immobili ai soci
di Marco Peirolo 16
Prassi contabile
Riflessi fiscali della “cancellazione” della sezione straordinaria del Conto economico
di Fabio Landuzzi 25
Giurisprudenza
Azione revocatoria e scissione - Ordinanza 7 novembre 2016 del Tribunale di Roma
di Alberto Bertuzzo 34
Le modifiche di clausole statutarie che dispongono quorum rafforzati richiedono
l'approvazione con quorum parimenti rafforzati: la sentenza della Cassazione n. 4967/2016
di Federico Colognato e Valeria Marocchio 42
1 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Diritto e società
2 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
La relazione di stima nella scissione:
quando è obbligatoria e se sia possibile
ricorrere ai metodi alternativi
dell’articolo 2343-ter, cod. civ. di Manuela Grassi - avvocato dello studio legale Ichino Brugnatelli e associati
Luca Szegö - avvocato dello studio legale Ichino Brugnatelli e associati
L’articolo si occupa di esaminare se, in caso di scissione, occorra stimare il patrimonio
assegnato alla società beneficiaria; si occupa altresì di esaminare se l’eventuale stima possa
essere effettuata sulla base delle previsioni dell’articolo 2343-ter, cod. civ..
L’articolo 2506-ter, cod. civ. si occupa di individuare le principali norme in tema di fusione di società
applicabili anche alla scissione societaria (sulla scorta di quanto faceva, prima della riforma del 2003,
l’articolo 2504-novies; altre norme sono richiamate dall’articolo 2506-quater, in precedenza articolo
2504-decies) e di descrivere alcuni dei passi da compiere in vista della scissione medesima.
Il suo testo è il seguente:
“1. L'organo amministrativo delle società partecipanti alla scissione redige la situazione patrimoniale
e la relazione illustrativa in conformità agli articoli 2501-quater e 2501-quinquies.
2. La relazione dell'organo amministrativo deve inoltre illustrare i criteri di distribuzione delle azioni
o quote e deve indicare il valore effettivo del patrimonio netto assegnato alle società beneficiarie e di
quello che eventualmente rimanga nella società scissa. Quando la scissione si realizza mediante
aumento di capitale con conferimento di beni in natura o di crediti, la relazione dell'organo
amministrativo menziona, ove prevista, l'elaborazione della relazione di cui all'articolo 2343 e il
registro delle imprese presso il quale tale relazione è depositata.
3. Si applica alla scissione l'articolo 2501-sexies; la situazione patrimoniale prevista dall'articolo 2501-
quater e le relazioni previste dagli articoli 2501-quinquies e 2501-sexies, non sono richieste quando
la scissione avviene mediante la costituzione di una o più nuove società e non siano previsti criteri di
attribuzione delle azioni o quote diversi da quello proporzionale.
Diritto e società
3 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
4. Con il consenso unanime dei soci e dei possessori di altri strumenti finanziari che danno diritto di
voto nelle società partecipanti alla scissione l'organo amministrativo può essere esonerato dalla
redazione dei documenti previsti nei precedenti commi.
5. Sono altresì applicabili alla scissione gli articoli 2501-septies, 2502, 2502-bis, 2503, 2503-bis, 2504,
2504-ter, 2504-quater, 2505, comma 1 e 2, 2505-bis e 2505-ter. Tutti i riferimenti alla fusione
contenuti in detti articoli s'intendono riferiti anche alla scissione”.
Ai fini delle presenti considerazioni, assume rilievo soprattutto il comma 2 e, in particolare, il secondo
periodo, recentemente introdotto dal Legislatore – tramite l’articolo 27, L. 161/2014 – al fine di dare
piena attuazione alla Direttiva 2009/109/UE in materia di relazioni e di documentazione in caso di
fusioni e scissioni.
Il Legislatore si è così direttamente occupato di una questione dibattuta in dottrina e giurisprudenza
dagli anni 90, a seguito dell’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto della scissione1.
Secondo una tesi2, i beni oggetto3 della cessione andrebbero sempre valutati ex articolo 2343, cod. civ.,
a tutela dei soci e dei terzi, onde evitare, nel primo caso, la sopravvalutazione di una partecipazione
rispetto alle altre e, nel secondo caso, che l’effettivo valore dei beni imputati a capitale sia inferiore
all’aumento del medesimo; altra parte della giurisprudenza di merito si è invece espressa in senso
contrario alla relazione di stima ex articolo 2343, cod. civ. nel caso di scissione, salvo che in alcune
ipotesi (sul che infra)4.
1 Avvenuto con il D.Lgs. 22/1991, emanato in attuazione delle Direttive del Consiglio delle Comunità Europee n. 78/855 (cosiddetta Terza
Direttiva del 9 ottobre 1978) e n. 82/891 (cosiddetta Sesta Direttiva del 17 dicembre 1982). 2 Cfr. Tribunale del Salerno, 15 dicembre 2007 (decreto), in Giur. Comm., 1999, pag. 751: “L’operazione di una o più società che intendano conferire
propri rami d’azienda ad altra società ricevendone, in corrispettivo, azioni di quest’ultima, sembra dia luogo a scissioni parziali ex articolo 2506, cod.
civ., per le quali è sempre necessaria la predisposizione della relazione di stima ai sensi dell’articolo 2343, cod. civ.”; Tribunale di Brescia, 11 marzo
1998, in Riv. notariato, 1999, pag. 752 e in Le Società, 1998, pag. 701: “In ipotesi di scissione parziale con costituzione di nuove società di capitali
beneficiarie è necessaria la redazione della perizia di stima di cui all'articolo 2343, cod. civ. in relazione ai beni e crediti conferiti alla nuova società
poiché: a) detta fattispecie non configura una mera vicenda modificativa ed organizzativa della società madre, ma comporta un conferimento da
società madre a società figlia, essendo indubbio che delle obbligazioni sorte dopo la scissione risponde esclusivamente la società figlia; b) la corretta
determinazione dei valori di patrimonio netto in capo alla società scissa non assicura altrettanto automaticamente che siano correttamente formate
anche le frazioni attribuite alle diverse beneficiarie” e Tribunale di Verona, 9 giugno 1994, in Notariato, 1995, pag. 40: “Nell'ipotesi di scissione
societaria, che determini il trasferimento di beni in natura (o di crediti) a favore di una società di nuova costituzione; è necessaria la perizia di stima
ex articolo 2343, cod. civ., onde evitare possibili fenomeni di annacquamento del capitale sociale”. 3 Non è questa la sede per entrare nel merito della questione se tali beni siano trasferiti, quale sorta di conferimento, dalla società scissa alla
società beneficiaria; oppure se il tratto caratteristico della scissione sia piuttosto la sua natura non traslativa, ma evolutiva, con la società
scissa che non conferisce dei beni in un'altra società, ma assegna (così l’articolo 2506, cod. civ.) ad essa una parte del suo patrimonio. Per una
ricognizione sulle varie tesi in merito alla natura della scissione, si veda G. scognamiglio, “La nozione di scissione”, in Trattato Colombo-Portale,
VII, tomo 2, Torino, 2004, pag. 114 ss. e A. Picciau, “sub articolo 2506”, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi,
Ghezzi e Notari, Milano, Egea-Giuffrè, 2006, pag. 1025 ss.. 4 Tribunale di Torino, 19 maggio 1995, in Giur. comm., 1996, II, pag. 667 e in Le Società 1995, pag. 1479 “La scissione non costituisce nè può
essere assimilata ad un conferimento da società madre a società figlia e la relazione di stima ex articolo 2343, cod. civ. non è necessaria quando la
parte di patrimonio trasferita sia esattamente corrispondente ai valori contabili desunti dal bilancio correttamente redatto” e «La relazione giurata di
un esperto ex articolo 2343, cod. civ., è necessaria nel solo caso di scissione mediante costituzione di società con capitale sociale di valore superiore
al valore contabile del patrimonio netto alla stessa trasferito»; Tribunale di Udine, 23 luglio 1994, in Le Società 1995, pag. 227 “La scissione, in
ogni sua forma, integra una vicenda modificativa dell'originario rapporto sociale, che continua con i conferimenti già effettuati, non riconducibile,
nemmeno in via analogica, ad un'ipotesi di conferimento di beni in natura. Da qui discende la non necessità, nel progetto di scissione parziale, della
relazione di stima di cui all'articolo 2343, cod. civ. neppure al fine di evitare l'annacquamento del capitale la cui integrità è assicurata dall'osservanza
Diritto e società
4 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Di recente, della questione si è occupata anche la Corte di Cassazione, ma in un caso particolare (la
beneficiaria era una società di persone) che non pare consentire generalizzazioni, per non correre il
rischio di dare eccessivo peso a quelli che potrebbero essere degli obiter dicta5.
In questa situazione si inserisce il recente intervento normativo, la cui interpretazione pone tuttavia
alcuni interrogativi.
Il primo e più importante riguarda il significato da dare all’inciso “ove prevista” (“… la relazione
dell'organo amministrativo menziona, ove prevista, l'elaborazione della relazione di cui all'articolo 2343 …”).
Difatti, se si ritenesse che esso vada riferito alla “relazione dell’organo amministrativo”, la stima ex
articolo 2343, cod. civ. sarebbe pressoché sempre necessaria, fatta eccezione per le ipotesi in cui possa
appunto mancare la relazione dell’organo amministrativo (cfr. articolo 2506-ter, comma 3 e 4, cod. civ.);
se, invece, l’inciso viene riferito alla “elaborazione della relazione di cui all'articolo 2343”, si pone la
questione di individuare aliunde i casi in cui essa è necessaria, perché solo in quelle ipotesi tale
relazione dovrà essere menzionata dall’organo amministrativo.
Da un punto di vista sintattico, la seconda soluzione appare preferibile perché, se il Legislatore avesse
voluto riferirsi alla relazione dell'organo amministrativo, avrebbe probabilmente scritto “la relazione
dell'organo amministrativo, ove prevista, menziona …” e non “la relazione dell'organo amministrativo
menziona, ove prevista, l'elaborazione …”. Tale conclusione è poi confermata, sul piano logico,
dall’assenza di ragioni per collegare le ipotesi in cui non occorre la relazione dell’organo amministrativo
ai motivi che rendono opportuna o inutile la stima ex articolo 2343, cod. civ..
Ragionevolmente acquisita questa interpretazione, si tratterà come detto di individuare quali siano le
ipotesi in cui la relazione di stima sia necessaria anche in caso di scissione societaria.
Scartata la soluzione secondo la quale la relazione in parola dovrebbe reputarsi inutile in quanto
logicamente compresa in quella degli esperti incaricati di verificare e attestare la congruità del rapporto
delle norme per la redazione del bilancio da parte della società scissa” Tribunale di Udine, 18 ottobre 1993, in NGCC, 1994, I, pag. 723 “La relazione
di stima di cui all'articolo 2343 cod. civ. non è necessaria nella scissione ogniqualvolta la società scissa e la società beneficiaria o quella risultante
dalla scissione siano tutte società di capitali”; Tribunale di Napoli, 23 luglio 1993, in Le Società, 1994, pag. 73 e Foro it., 1994, I, pag. 235 “La
relazione di stima ex articolo 2343, cod. civ. è necessaria in caso di scissione c.d. eterogenea o, nel caso la società scissa sia una società di capitali,
allorché il capitale della società beneficiaria sia superiore al valore del patrimonio netto trasferitole o se essa comunque proceda ad un aumento del
capitale sociale realizzato mediante conferimenti in natura; qualora, però, dette ipotesi non sussistono, la disciplina dettata per la costituzione della
società scissa, e per la formazione del suo patrimonio sarà più che sufficiente a garantire i creditori sociali”. 5 Cfr. Cassazione, n. 7914/2015 che, in motivazione, afferma quanto segue: “… la relazione di stima predisposta da esperti nominati dal presidente
del Tribunale, prevista dall'articolo 2343, cod. civ., per l'ipotesi di conferimento di beni in natura in una società di capitali, non può ritenersi necessaria
nel caso, qui ricorrente, di trasferimento di beni che trova causa in un atto di scissione parziale in favore di società di persone: la ratio della suddetta
previsione di legge (verificare l'effettiva esistenza della garanzia del capitale sociale indicato nelle società di capitali destinatarie di conferimenti di
beni in natura) non viene evidentemente in gioco quando non di conferimento bensì di trasferimento di beni si tratti, e in favore di una società di
persone. Di ciò del resto si trae conferma nelle norme codicistiche regolanti puntualmente il procedimento necessario per la valida conclusione
dell'atto di scissione, che (cfr. articoli 2504-novies e 2501-ter, cod. civ.) non fanno alcun riferimento alla necessità di una stima del patrimonio trasferito
dalla scissa alla beneficiaria, bensì considerano sufficiente la allegazione di una situazione patrimoniale delle società partecipanti all'operazione
redatta dagli amministratori con l'osservanza delle norme sul bilancio di esercizio …”.
Diritto e società
5 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
di cambio delle azioni o delle quote6, non più sostenibile anche alle luce dell’intervento legislativo in
esame7, le ipotesi individuate già da tempo da dottrina e giurisprudenza sono due8:
a) quella in cui la società scissa sia una società di persone e la società beneficiaria sia una società per
azioni o a responsabilità limitata che, a fronte della scissione, aumenta il proprio capitale (ipotesi
espressamente contemplata dall’articolo 2501-sexies, comma 7, cod. civ. richiamato per la scissione
dall’articolo 2506-ter, comma 3, cod. civ.);
b) quella in cui vi sia un disavanzo da concambio perché la società beneficiaria riceve beni di valore
superiore rispetto a quello registrato nella contabilità della società scissa e tale maggior valore sia
appostato nel capitale della beneficiaria9.
Veniamo ora al tema dell’applicabilità, in caso di scissione societaria, dell’articolo 2343-ter, cod. civ.10
che, come noto, introduce alcune ipotesi in cui non si rende necessaria la stima da parte dell’esperto
nominato dal Tribunale dei beni conferiti in natura.
6 Cfr. P. Marchetti, “Appunti sulla nuova disciplina delle fusioni”, in questa Riv. Notariato, 1991, pag. 38. 7 Tale soluzione era stata criticata già a suo tempo da G. Scognamiglio, “Sulla necessità della perizia di stima ex articolo 2343 nella scissione”, in
Riv. Notariato, 2002, pag. 1. 8 In dottrina, A. Busani e A. Fedi, “La relazione di stima della scissione”, in Le Società, 2015, pag. 5; D. Cillo, “Operazioni straordinarie e valutazione
dei conferimenti in natura”, in Riv. Notariato, 2011, pag. 31; C. Santagata, “Le fusioni”, in Trattato Colombo-Portale, VII, tomo 2, Torino, 2004,
pag. 202; G. Scognamiglio, citata alla nota 6; in giurisprudenza, Tribunale di Torino, 19 maggio 1995, Tribunale di Udine, 18 ottobre 1993 e
Tribunale di Napoli, 23 luglio 1993, citate alla nota 3.
A. Busani e A. Fedi, cit., pag. 10, osservano altresì che le due ipotesi in parola sono quelle in cui può essere valorizzata la locuzione “conferimento
di beni in natura o di crediti” utilizzata dal Legislatore, giacché in quei casi “non si assiste alla sola assegnazione di un patrimonio (che è il tratto
comune delle scissioni) ma anche a un fenomeno economicamente comparabile a un “vero e proprio” conferimento: nel primo caso, il valore del
patrimonio di una società di persone viene utilizzato per formare il capitale di una società di capitali e, dunque, deve necessariamente essere valutato,
mutandone radicalmente la funzione (evenienza che, evidentemente, non si verifica nelle scissioni “omogenee” tra società di capitali); nel secondo
caso, l’aumento di capitale della beneficiaria è “coperto” con una rivalutazione delle poste contabili provenienti dalla società scissa, per cui non si ha
“solo” una assegnazione del patrimonio scisso, ma, come si è detto, si ha pure una rivalutazione del patrimonio oggetto di apporto per scissione”. 9 Ciò nei limiti in cui siffatta “rivalutazione” sia ritenuta ammissibile.
In senso contrario deporrebbe infatti l’articolo 2504-bis, comma 4, prima frase, cod. civ. (richiamato per la scissione dall’articolo 2506-quater,
comma 1, cod. civ.), in forza del quale “nel primo bilancio successivo alla fusione le attività e le passività sono iscritte ai valori risultanti dalle
scritture contabili alla data di efficacia della fusione medesima” (c.d. principio del pooling of interest method), di modo che non sarebbe possibile,
in occasione della scissione, modificare il valore dei beni trasferiti/assegnati per adeguarli a quello corrente.
Secondo un’altra impostazione, invece “il principio della continuità dei bilanci in sede di fusione, sancito dall'articolo 2504-bis, comma 4, cod. civ.,
implica che, di regola, il capitale sociale della società risultante dalla fusione non possa eccedere la somma del capitale sociale e delle riserve delle
società partecipanti alla fusione. Tale assunto è peraltro suscettibile di deroga in caso di disavanzo “da concambio”, dovuto alla differenza tra il
capitale sociale dell'incorporata ante fusione, e l'aumento di capitale sociale deliberato dall'incorporante a servizio della fusione, in misura necessaria
per soddisfare il rapporto di cambio, qualora non vi siano sufficienti riserve (nel patrimonio netto dell'incorporata e/o dell'incorporante) per “coprire”
detta differenza. Deve infatti ritenersi consentita anche in questo caso – oltre che nell'ipotesi di disavanzo “da annullamento”, pacifica in
giurisprudenza e dottrina – l'imputazione del disavanzo da concambio “agli elementi dell'attivo e del passivo delle società partecipanti alla fusione
e, per la differenza e nel rispetto delle condizioni previste dal numero 6 dell'articolo 2426, ad avviamento”, a norma dell'articolo 2504-bis, comma 4,
seconda frase, cod. civ.. Tuttavia, posto che siffatta imputazione del disavanzo da concambio, a differenza di quello da annullamento, comporta la
formazione ex novo di capitale sociale non coperto da valori già risultanti nelle scritture contabili e nei bilanci delle società partecipanti alla fusione,
è in tal caso necessario che venga redatta anche la relazione di stima del patrimonio della società incorporata a norma dell'articolo 2343, cod. civ.,
la quale potrà pertanto essere affidata agli esperti incaricati della relazione sulla congruità del rapporto di cambio, in analogia a quanto dispone
l'articolo 2501-sexies, comma 7, cod. civ.” (cfr. Massima 72 del Consiglio Notarile di Milano). In questo senso si veda anche C. Santagata, cit. alla
nota 7, e Tribunale di Torino, 19 maggio 1995 e Tribunale di Napoli, 23 luglio 1993, cit. alla nota 3. 10 Norma inserita dall’articolo 1, comma 2, D.Lgs. 142/2008 in attuazione della Direttiva 2006/68/CE, di modifica della Direttiva 77/91/CEE,
relativa alla costituzione delle società per azioni, nonché alla salvaguardia e alle modificazioni del capitale sociale delle stesse.
Diritto e società
6 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Nonostante la norma in parola non sia richiamata dall’articolo 2506-ter, comma 2, cod. civ., in dottrina
vi è chi ritiene che sia possibile la sua applicazione quantomeno analogica11, giacché le ipotesi previste
dall’articolo 2343-ter, cod. civ. (conferimento di valori mobiliari ovvero di strumenti del mercato
monetario; conferimento di beni in base al loro “fair value iscritto nel bilancio dell'esercizio precedente
quello nel quale è effettuato il conferimento a condizione che il bilancio sia sottoposto a revisione legale e
la relazione del revisore non esprima rilievi …”; stima effettuata da un esperto indipendente) possono
verificarsi anche in caso di scissione12. Peraltro, se si scegliesse invece di negare l’applicabilità alla
scissione (e alla fusione) dell’articolo 2343-ter, cod. civ. ci si troverebbe nella situazione
apparentemente irragionevole di assoggettare tali operazioni straordinarie a modalità di stima del
capitale più complesse e costose di quelle previste in caso di costituzione ex novo di una società per
azioni, contraddicendo in questo modo anche l’esigenza di semplificazione e contenimento dei costi
espressamente alla base della Direttiva 2006/68/CE.
Altra parte della dottrina ha invece osservato che, in sede di scissione (e fusione), la funzione della
relazione ex articolo 2343, cod. civ. non si riduce alla determinazione del bene oggetto di conferimento,
ma anche ad accertare l’effettiva consistenza del patrimonio trasferito/assegnato alla società
beneficiaria13. Inoltre, ragioni di tutela dei creditori sconsiglierebbero l’applicazione dei metodi previsti
dall’articolo 2343-ter, cod. civ.14, anche perché il meccanismo di formazione progressiva della stima ivi
previsto ridurrebbe sensibilmente i tempi concessi per valutare un’eventuale opposizione alla scissione.
Il medesimo autore ricorda infine che proprio la Direttiva 2006/68/CE, pur essendo volta a modernizzare
i procedimenti di stima, precisava che non ciò sarebbe dovuto avvenire con detrimento delle tutele per
i soci e i creditori.
In difetto di interventi giurisprudenziali sul punto, resta dunque un’incertezza; vale comunque la pena
di segnalare che il Consiglio Nazionale del Notariato, nel suo studio 224-2009/I conclude per
l’applicabilità dell’articolo 2343-ter, cod. civ. anche alle operazioni straordinarie non esplicitamente
previste, sia pur con alcune limitazioni a seconda dei casi particolari che si possono presentare.
11 Laddove si ritenga che il rapporto fra l’articolo 2343, cod. civ. e l’articolo 2343-ter, cod. civ. sia quello di alternanza e non quello di regola
ed eccezione (nel secondo caso l’applicazione analogica delle previsioni dell’articolo 2343-ter, cod. civ. sarebbe infatti proibita dall’articolo 14
preleggi); in tal senso M. Maltoni, “Brevi considerazioni sulla disciplina dell’articolo 2343-ter, cod. civ.”, in Riv. Notariato, 2009, pag. 387; M. Notari,
“Il regime alternativo della valutazione dei conferimenti in natura in società per azioni”, in Riv. Soc., 2009, pag. 54; C. Ibba, “Osservazioni sulla stima
dei così detti conferimenti senza stima”, in Giur. comm., 2009, pag. 929; in senso contrario Ferri jr, “La nuova disciplina dei conferimenti in natura
in società per azioni: considerazioni generali”, in Riv. Soc., 2009, pag. 253 e L. Salamone, “Le verifiche della valutazione semplificata del conferimento
“non in contanti””, in Giur. comm., 2010, pag. 47. 12 Cfr. A. Busani e A. Fedi, cit. pag. 12. 13 Cfr. D. Cillo, cit. alla nota 7. 14 Solo all’esperto nominato dal Tribunale si applica infatti l’articolo 64, c.p.c. sulla responsabilità, anche penale, del consulente tecnico
d’ufficio, senza che un’analoga tutela sia offerta dall’articolo 2632, cod. civ., norma penale che si occupa delle responsabilità degli
amministratori in casi di trasformazione e che non è dunque applicabile analogicamente ex articolo 14 preleggi.
Tributi e accertamento fiscale
7 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Il trattamento fiscale della fusione
eterogenea di Fabio Giommoni - dottore commercialista e revisore legale
In tema di fusione eterogenea, l’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 27/E/2017, ha
chiarito il trattamento fiscale delle riserve di società commerciali incorporate in enti non
commerciali, precisando meglio le conclusioni già sostenute in passato con la risoluzione n.
102/E/2009, la quale aveva tuttavia lasciato aperti alcuni dubbi interpretativi.
Questi recenti chiarimenti offrono lo spunto per approfondire la complessa disciplina fiscale
delle fusioni eterogenee, tra società di capitali ed enti non commerciali, sia per quanto
riguarda le imposte sui redditi che le imposte indirette.
Premessa: la fusione eterogenea nella normativa civilistica
Prima della riforma del diritto societario di cui al D.Lgs. 6/2003, si riteneva che l’operazione di fusione
fosse consentita solo in ambito societario, nel senso che i partecipanti a tale operazione dovessero
rivestire unicamente la forma di società. Tale interpretazione derivava, in primo luogo, dal tenore
letterale degli articoli 2501 e ss., cod. civ. in cui viene fatto (tuttora) riferimento unicamente alla “fusione
di società”.
In secondo luogo, considerando che la fusione tra società e altri enti associativi implica, nella
sostanza, anche un’operazione di “trasformazione”, si sarebbe potuto aggirare il divieto di
trasformazione “eterogenea” che si riteneva sussistere nella disciplina civilistica previgente alla
riforma societaria del 2003.
Alla luce delle significative modifiche apportate dalla riforma all’istituto della trasformazione, con
ammissibilità della c.d. trasformazione eterogenea, da società di capitali in enti associativi diversi
(articolo 2500-septies, cod. civ.) e da enti associativi diversi in società di capitali (articolo 2500-octies,
cod. civ.), le obiezioni alla liceità della fusione a cui partecipano enti non societari sono state superate.
Infatti, se è possibile la modifica della causa societaria o associativa attraverso il nuovo istituto della
trasformazione, deve ritenersi altresì possibile tale modifica anche nell’ambito di una fusione.
Come chiarito dal Consiglio Notarile di Milano, con la Massima n. 52 del 19 novembre 2004
(“Combinazione dei procedimenti di fusione e di trasformazione eterogenea”), ogni volta che a una
Tributi e accertamento fiscale
8 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
fusione partecipa un soggetto avente forma diversa da quella del soggetto risultante dalla operazione,
ciò implica la sua trasformazione.
Dunque si avrà una preliminare trasformazione dell’entità da fondere o incorporare, nel rispetto dei
limiti previsti dalla disciplina civilistica della trasformazione, e successivamente si procederà alla
fusione.
Così, ad esempio, se una società per azioni intende incorporare un’associazione, sarà necessario
procedere alla trasformazione dell’associazione e successivamente dar luogo alla fusione tra le due
società per azioni.
Ciò premesso, nell’ambito civilistico della classificazione dei vari tipi di fusione, sulla base della natura
dei soggetti partecipanti, si distingue tra fusioni “omogenee” e fusioni “eterogenee”.
La fusione omogenea interviene tra società dello stesso tipo (ad esempio tra società di capitali), mentre
la fusione eterogenea interviene sia tra società di tipo diverso, sia tra società ed enti di tipo diverso.
La categoria delle fusioni eterogenee può essere ulteriormente distinta in 3 sottogruppi1:
1. fusioni cui partecipano società costituite secondo tipi diversi (ovvero tra società di capitali e società
di persone);
2. fusioni a cui partecipano società caratterizzate da una diversa “causa” (ovvero tra società lucrative,
società consortili, società cooperative);
3. fusioni cui partecipano, insieme a società, enti diversi dalle stesse (ad esempio società di capitali e
fondazioni).
L’ammissibilità di fusioni appartenenti al primo gruppo, di cui peraltro in passato non si dubitava, ha
trovato conferma nell'articolo 2501-sexies, penultimo comma, cod. civ. (previsione della redazione della
relazione di stima ex articolo 2343, cod. civ. in ipotesi di fusione cui partecipino società di persone) e
nell'articolo 2504-bis, ultimo comma, cod. civ. (necessità del consenso dei creditori ai fini della
liberazione dei soci dalla responsabilità illimitata cui fossero in precedenza soggetti).
L’ammissibilità di fusioni relative al secondo gruppo, pur in assenza di esplicita previsione normativa, è
indotta dagli articoli 2545-decies e 2500-septies, cod. civ., che consentono, per il tramite di decisione da
assumersi a maggioranza, il superamento della c.d. “barriera causale”.
Le fusioni facenti parte del terzo gruppo sono ritenute ammissibili alla luce degli articoli 2500-septies
e 2500-octies, cod. civ. che disciplinano le trasformazioni eterogenee.
In analogia con la classificazione prevista in tema di trasformazione, si possono distinguere le fusioni
eterogenee della terza tipologia tra “progressive” e “regressive”.
1 Cfr. Massima n. 52 del 19 novembre 2004 del Consiglio Notarile di Milano.
Tributi e accertamento fiscale
9 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Le fusioni eterogenee “progressive” intervengono allorquando enti diversi dalle società (consorzi,
società consortili, associazioni riconosciute e fondazioni) vengono fusi o incorporati in società di
capitali2.
Si è invece in presenza di fusioni eterogenee “regressive” quando una società di capitali è incorporata
o fusa in un ente diverso dalle società (ad esempio una società per azioni che viene incorporata in una
fondazione).
Il trattamento delle fusioni eterogenee ai fini delle imposte sui redditi
Come è noto, il trattamento delle fusioni nell’ambito delle imposte sui redditi è stabilito dall'articolo
172, Tuir il quale, al comma 1, dispone che "la fusione tra più società non costituisce realizzo né
distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni delle società fuse o incorporate, comprese quelle
relative alle rimanenze e il valore di avviamento".
Il comma 2, stabilisce che “nella determinazione del reddito della società risultante dalla fusione o
incorporante non si tiene conto dell’avanzo o disavanzo iscritto in bilancio per effetto del rapporto di
cambio delle azioni o quote o dell’annullamento delle azioni o quote di alcuna delle società fuse
possedute da altre”.
Infine, il comma 3 prevede che il cambio delle partecipazioni originarie non comporta l’insorgenza di
alcun tipo di reddito in capo ai soci delle società fuse o incorporate, salvo eventuali conguagli in denaro.
Queste disposizioni sanciscono il ben noto “principio di neutralità fiscale” della fusione che caratterizza
sia le società fuse o incorporate, sia le società incorporanti o risultanti dalle fusione, sia i soci delle
società partecipanti.
Il successivo articolo 174, Tuir stabilisce che "le disposizioni degli articoli 172 e 173 valgono, in quanto
applicabili, anche nei casi di fusione e scissione di enti diversi dalle società".
Tuttavia, l’applicazione del principio di neutralità alle fusioni eterogenee deve essere valutato alla
luce del fatto che, come indicato in precedenza, tale tipo di operazione comporta anche una
trasformazione.
La disciplina di neutralità fiscale delle operazioni straordinarie contenuta nel Tuir è, infatti, basata sul
presupposto che le società o gli enti interessati dall'operazione producano reddito d'impresa derivante
dall'esercizio di attività “commerciali”.
2 In analogia con quanto previsto dall’articolo 2545-decies, cod. civ. in tema di trasformazione, è ammissibile anche la fusione o l’incorporazione
di una società cooperativa in società di capitali, a condizione però che si tratti di una società cooperativa a mutualità non prevalente.
Tributi e accertamento fiscale
10 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
In altre parole, il principio di neutralità delle fusioni e delle scissioni, in base al quale il passaggio dei
beni dalle società agli enti risultanti dalle citate operazioni non dà luogo a fenomeni realizzativi, implica
che tale passaggio avvenga nell’ambito del reddito di impresa, in un sistema di rilevazione dei valori
basato sul bilancio.
Mentre per le società commerciali tutti i beni ricadono nel regime del reddito di impresa, gli enti non
commerciali possono svolgere sia attività esclusivamente non commerciale che anche attività
commerciale, purché in via non prevalente, cosicché, in questo secondo caso, il loro patrimonio sarà
caratterizzato da beni relatività ad attività di impresa e da beni estranei all’attività di impresa.
Il principio di neutralità fiscale si renderà, pertanto, applicabile unicamente con riferimento al
patrimonio relativo all’attività di impresa che rimane, post fusione, in tale ambito, mentre per i passaggi
di beni da e in favore dell’attività di impresa si renderanno applicabili le disposizioni di cui all’articolo
171, Tuir dettate in tema di trasformazione tra società di capitali ed enti non commerciali.
Ciò premesso, sarà di seguito illustrato il trattamento ai fini delle imposte sui redditi delle fusioni
eterogenee regressive e progressive.
Società di capitali incorporata in ente non commerciale
Nel caso di fusione eterogenea regressiva, che coinvolge una società di capitali che viene fusa o
incorporata in un ente non commerciale, si dovrà tenere conto delle disposizioni, dettate in tema di
trasformazione, dal primo periodo del comma 1 dell’articolo 171, Tuir. Ciò in quanto, come detto in
precedenza, nel caso di specie si realizza, nell’ambito dell’operazione di fusione, anche una
trasformazione di società commerciale in un ente non commerciale.
La predetta norma stabilisce che i beni della società trasformata si considerano realizzati in base al
valore normale, salvo che non siano confluiti nell’azienda o complesso aziendale dell’ente non
commerciale risultante dalla trasformazione.
Ne consegue che solo per i beni della società di capitali incorporata che confluiscono nel patrimonio
(azienda) relativo all’attività di impresa dell’ente non commerciale incorporante viene mantenuto il
regime di neutralità fiscale.
Dunque, l'operazione di fusione rappresentata non è da considerare "realizzativa", ma beneficia della
neutralità fiscale ex articolo 172, comma 1, Tuir limitatamente a quei beni della società di capitali (beni
in regime di impresa) che, dopo la fusione, confluiscono nell'attività d'impresa dell'ente incorporante.
Detti beni dovranno essere indicati nell'inventario, ai sensi dell'articolo 144, comma 3, Tuir.
Tributi e accertamento fiscale
11 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Invece, i beni della società di capitali che, post fusione, vengono acquisiti al patrimonio “non
commerciale” (istituzionale) dell’ente incorporante, si considerano realizzati a valore normale, in
analogia a quanto disposto dall'articolo 171, comma 1, Tuir in materia di trasformazione, generando
plusvalenze ai sensi dell’articolo 86, comma 1, lettera c), Tuir per le ipotesi di destinazione di beni per
finalità estranee all’esercizio dell’attività d’impresa.
Va da sé che se l’ente incorporante non svolge, post fusione, alcuna attività commerciale tutti i beni
della società incorporata saranno da considerare realizzati a valore normale.
Ulteriore questione si pone con riguardo alla sorte delle riserve presenti nel patrimonio della società di
capitali che viene incorporata nell’ente non commerciale.
Mentre le riserve di capitale (costituite da apporti dei soci) non subiranno alcuna tassazione in sede di
fusione, quelle di utili, in analogia con quanto previsto dal secondo periodo del comma 1 dell’articolo
171, Tuir, subiranno il seguente trattamento fiscale:
− se post fusione vengono iscritte nel bilancio dell’ente non commerciale con l’indicazione della loro
origine, si considerano distribuite ai soci o associati (e dunque tassate in capo agli stessi come dividendi)
nel periodo di imposta in cui avrà luogo l’effettiva distribuzione (o l’utilizzo per scopi diversi dalla
copertura di perdite di esercizio);
− se non vengono iscritte nel bilancio dell’ente post fusione con l’indicazione della loro origine, si
considerano distribuite ai soci o associati nel periodo di imposta successivo a quello in cui si è
perferzionata l’operazione di fusione. In tal caso, se si tratta di riserve in sospensione di imposta si
genererà da subito l’ulteriore tassazione in capo alla società incorporata conseguente alla distribuzione
ai soci di tali riserve.
Dunque, la tassazione delle riserve di utili potrà avvenire solo al momento della loro effettiva
distribuzione o utilizzazione per scopi diversi dalla copertura di perdite di esercizio, a condizione che le
stesse vengano inserite in un bilancio con indicazione della loro origine.
Assumerà pertanto fondamentale importanza la presenza di un bilancio dell’ente non commerciale
incorporante che permetta all'Amministrazione finanziaria di controllare le riserve della società formate con
utili prima dell'operazione straordinaria e che non hanno ancora scontato la tassazione in capo ai soci.
Nell’applicare dette disposizioni, previste per le trasformazioni, al caso della fusione, si deve tuttavia
ritenere che (ferma restando, in capo alla società incorporata, la tassazione delle riserve in sospensione
non ricostituite) la tassazione quale dividendo non operi per quelle riserve di utili e in sospensione di
imposta che sono annullate in sede di fusione in contropartita con il costo della partecipazione nella
Tributi e accertamento fiscale
12 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
società incorporata. Detta circostanza si verifica se l’ente non commerciale incorporante detiene una
partecipazione nella società di capitali incorporata.
Del resto tale principio dovrebbe valere anche per le trasformazioni in quanto l’articolo 171, Tuir
richiama l’articolo 170, comma 5 e quindi l’utile imponibile per il socio dovrebbe essere comunque
limitato all’eccedenza rispetto al costo della partecipazione3.
In merito al trattamento delle riserve della società di capitali incorporata l’Agenzia delle entrate ha
fornito importanti chiarimenti con la recente risoluzione n. 27/E/2017.
In tale occasione è stato precisato che la possibilità di sospendere la tassazione delle riserve di utili e
in sospensione della società incorporata, fino al momento in cui saranno distribuite o utilizzate per
scopi diversi dalla copertura delle perdite, iscrivendole nel bilancio dell’ente incorporante, è
ammissibile solo quando l’ente incorporante svolga anche un’attività commerciale.
Infatti, solo ricorrendo tale evenienza sarà possibile che le riserve vengano utilizzate per coprire “perdite
d’esercizio”, come previsto dal comma 1, lettera a) dell’articolo 171, Tuir.
Come evidenziato da alcuni autori, sembrerebbe che la preoccupazione dell’Amministrazione finanziaria
sia che le riserve di utili sfuggano del tutto alla loro naturale tassazione poiché gli enti non commerciali,
di norma, non possono distribuire utili neanche in sede di liquidazione4.
Tuttavia la posizione assunta dall’Agenzia nella citata risoluzione appare criticabile in quanto un
ente non commerciale potrebbe comunque subire “perdite d’esercizio”, di natura civilistica,
derivanti dall’attività non commerciale, le quali potrebbero essere coperte con le riserve di utili o
con quelle in sospensione d’imposta ereditate dalla società incorporata (che in tal caso non
sarebbero tassabili).
Resta il fatto che, secondo la risoluzione n. 27/E/2017, l’incorporazione di una società di capitali in un
ente non commerciale che non eserciti alcuna attività commerciale comporterebbe:
− in capo alla società partecipata che viene incorporata, la tassazione di eventuali riserve in sospensione
di imposta;
− in capo all’ente non commerciale che procede con l’incorporazione, la tassazione (come dividendi)
delle riserve di utili e in sospensione di imposta della società incorporata partecipata che, a seguito
della fusione, sono considerate distribuite al socio (ovvero all’ente non commerciale).5
3 In tal senso M. Folli, M. Piazza, “Nella fusione eterogenea vanno tassate le riserve”, in Il Sole 24 Ore dell’8 marzo 2017. 4 Cfr. M. Folli, M. Piazza, op. cit. 5 Si ricorda che se il socio riveste la forma giuridica di ente non commerciale la percentuale di esclusione dal reddito dei dividendi percepiti
risulta pari al 22,26%, anche se la partecipazione è detenuta nell’ambito dell’attività di impresa esercitata dall’ente non commerciale. Cfr.
comma 655 dell’articolo unico della L. 190/2014 (Legge di Stabilità 2015).
Tributi e accertamento fiscale
13 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Ente non commerciale incorporato in società di capitale
Nel caso di fusione eterogenea progressiva, tra un ente non commerciale che viene incorporato in una
società di capitali, si dovrà tenere conto delle disposizioni di cui al comma 2, dell’articolo 171, Tuir.
Secondo tale norma, in caso di trasformazione di un ente non commerciale in una società, i beni dell’ente
si considerano conferiti nella società (sulla base del loro valore normale ai sensi dell’articolo 9, Tuir), salvo
che non siano relativi all’azienda o complesso aziendale esercitato dall’ente non commerciale.
Pertanto, solo per i beni che ante fusione facevano parte del complesso aziendale (utilizzato dall’ente
non commerciale per l’esercizio di attività commerciale) verrà mantenuto il regime di neutralità fiscale.
Invece, per i beni che facevano parte del patrimonio “non commerciale” dell’ente (ovvero quelli relativi
all'attività istituzionale) è previsto il realizzo dei plusvalori latenti, conformemente a quanto stabilito
dall’articolo 9, comma 2, Tuir per le ipotesi di conferimento di beni in società.
In particolare, i plusvalori realizzati dall’ente non commerciale per effetto del “conferimento”
concorrono a formarne il reddito complessivo come redditi diversi ai sensi della lettera n) del comma 1
dell’articolo 67, Tuir6.
Nel caso di incorporazione di ente non commerciale in società di capitali vi è da chiedersi quale sia la
sorte delle riserve presenti nel bilancio dell’ente incorporato, atteso che nella fattispecie di
trasformazione di ente non commerciale in società la normativa tributaria nulla dispone in merito al
trattamento delle voci del patrimonio netto della società che risulta post trasformazione.
Al riguardo, tenuto conto che l'operazione di trasformazione eterogenea progressiva è fiscalmente
equiparata a un conferimento, si ritiene che la riserva della società trasformata debba essere trattata
fiscalmente come una riserva di capitale, in quanto derivante dal passaggio di beni dal patrimonio non
commerciale dell'ente trasformato al patrimonio sempre considerato “commerciale” della società
risultante dalla trasformazione.
Detto trattamento dovrebbe applicarsi anche alle riserve iscritte nel bilancio della società che ha
incorporato un ente non commerciale.
Il trattamento delle fusioni eterogenee ai fini delle imposte indirette
Nell’ambito dell'imposizione indiretta i passaggi di beni a seguito di atti di fusione o di
trasformazione di società e di analoghe operazioni poste in essere da altri enti non sono soggetti
6 Ciò sempre che sussista il presupposto imponibile che ne determina la tassazione, per cui, ad esempio, un fabbricato dell’ente non
commerciale in sede di fusione eterogenea genererà plusvalenza imponibile quale reddito diverso solo se lo stesso risulta posseduto dall’ente
non commerciale da meno di 5 anni.
Tributi e accertamento fiscale
14 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
all’imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, lettera f), D.P.R. 633/1972, bensì
a imposta di registro.
Peraltro, con la risoluzione n. 152/E/2008 l’Agenzia delle entrate ha sostenuto l’inapplicabilità dell’Iva
senza alcuna ulteriore specificazione in merito al trattamento da riservare all’eventuale passaggio di
beni dal patrimonio “commerciale” a quello “istituzionale”, che si può verificare in sede di fusione di
società commerciale in ente non commerciale.
Secondo i principi dell’Iva, infatti, l’esclusione dall’imposta sarebbe applicabile alle ipotesi di
trasformazione eterogenea senza fuoriuscita dei beni dalla sfera commerciale del soggetto sottoposto
a trasformazione7.
Nella fattispecie di fusione eterogenea regressiva che comporti il passaggio di beni della società
commerciale incorporata nel patrimonio “non commerciale” dall’ente incorporante, dovrebbe, invece,
ritenersi integrata l’ipotesi di tassazione per destinazione dei beni a finalità estranee all’impresa ai sensi
articolo 2, comma 2, n. 5), D.P.R. 633/1972.
Infatti, a seguito della fusione il bene esce dalla sfera dell’attività di impresa confluendo in quello “non
commerciale” dell’ente incorporante.
Ne conseguirebbe l’obbligo di assoggettare detti beni a Iva8, con esclusione di quelli per i quali non
fosse stata operata, all’atto dell’acquisto, la detrazione dell’imposta di cui all’articolo 19, D.P.R.
633/1972.9
Per quanto riguarda l’imposta di registro ci si chiede se nell’ambito delle fusioni eterogenee detta
imposta si applichi in misura fissa, come per le fusioni tra società, oppure in misura proporzionale.
Con la citata risoluzione n. 152/E/2008 l’Agenzia delle entrate ha chiarito che ai sensi dell'articolo 4,
comma 1, lettera b) della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 131/1986 l'applicazione alle operazioni di
fusione dell'imposta in misura fissa è subordinata alla condizione che le stesse avvengano tra società
o enti "aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale o agricola".
7 Si veda Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Documento n. 3, “La trasformazione eterogenea: profili civilistici,
contabili e fiscali”, ottobre 2009. La tassazione quale “autoconsumo” è stata chiarita nell’ambito della trasformazione di società commerciale
in società semplice, la quale, se ha per oggetto esclusivo o principale la gestione di beni non svolge attività rilevante ai fini Iva, a norma
dell'articolo 4, comma 2, n. 2), D.P.R. 633/1972 e pertanto, per effetto della trasformazione, viene persa la natura di soggetto passivo ai fini
dell’Iva (cfr. circolare n. 112/E/1999). 8 Per le operazioni prive di corrispettivo la base imponibile è determinata a norma dell’articolo 13, comma 2, D.P.R. 633/1972, il quale, alla
lettera c), prevede che per le operazioni di destinazione dei beni a finalità estranee all’impresa, la base imponibile è rappresentata dal prezzo
di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano dette operazioni. 9 In particolare, non rientrano nel campo di applicazione dell’Iva i beni che:
- sono stati acquistati da privati;
- sono stati conferiti in società da soci non esercenti attività di impresa o comunque che detenevano il bene al di fuori della sfera di impresa;
- acquistati prima del 1° gennaio 1973.
Si tratta di tutti casi in cui il bene è stato acquistato non in regime di Iva, per cui la destinazione dei beni a finalità estranee all’impresa non
costituisce un presupposto per l’assoggettamento a Iva, come chiarito dalla risoluzione n. 194/E/2002 e dalla circolare n. 112/E/1999.
Tributi e accertamento fiscale
15 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Il periodo introduttivo dell’articolo 4 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 131/1986, con il quale viene
individuato l’ambito di applicazione dell’articolo 4 medesimo, stabilisce infatti che quest’ultimo ha per
oggetto gli “atti propri delle società di qualunque tipo ed oggetto e degli enti diversi dalle società, compresi
i consorzi, le associazioni e le altre organizzazioni di persone o di beni, con o senza personalità giuridica,
aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole”.
Nel caso di fusione eterogenea, invece, partecipa all’operazione anche un ente non commerciale, per il
quale l'attività commerciale non può mai essere considerata come oggetto esclusivo o principale
dell'attività d'impresa.
Ne consegue, secondo la risoluzione n. 152/E/2008, che l'imposta di registro deve essere applicata nella
misura proporzionale del 3%, così come dispone l'articolo 9, della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R.
131/1986.
Tale conclusione è stata tuttavia criticata da autorevole dottrina10 la quale, pur evidenziando l’esclusione
nel caso di specie della disciplina delle fusioni tra società, ha evidenziato che, tenuto conto che la fusione
è un’operazione che attiene alla sfera soggettiva delle entità che vi partecipano e non invece alla sfera
oggettiva dei relativi patrimoni, pare non condivisibile l’aprioristica individuazione in tali atti di un
contenuto patrimoniale idoneo a determinare la tassazione ai fini dell’imposta di registro con aliquota
proporzionale al 3%, ai sensi dell’articolo 9 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 131/1986.
Secondo detta dottrina parrebbe più appropriato applicare l’articolo 11 della Tariffa, Parte I, allegata al
D.P.R. 131/1986 che prevede la misura fissa per gli atti pubblici e scritture private autenticate non
aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale.
Ciò salvo il caso in cui risultino previsti conguagli in denaro, per i quali si applicherebbe, limitatamente
al loro ammontare, l’imposta proporzionale.
Per quanto riguarda le imposte ipotecarie e catastali, queste sconterebbero, in presenza ovviamente di
beni immobili, in ogni caso la misura fissa, secondo quanto precisato dalla risoluzione n. 162/E/2008.
Ciò anche se i soggetti che partecipano alla fusione sono enti diversi dalle società che non hanno per
oggetto principale o esclusivo l’esercizio di attività commerciale.
In particolare, la misura fissa per quanto riguarda l’imposta ipotecaria è stabilita dall’articolo 4 della
Tariffa allegata al D.Lgs. 347/1990, mentre per l’imposta catastale, dall’articolo 10, comma 2, D.Lgs.
347/1990.
10 Cfr. E. Zanetti, “Aspetti fiscali delle fusioni eterogenee”, in Il Fisco n. 41/2009, pag. 16765.
Tributi e accertamento fiscale
16 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Trattamento Iva dell’assegnazione
agevolata di immobili ai soci di Marco Peirolo - dottore commercialista, revisore legale e componente del Fiscal Committee della
Confédération Fiscale Européenne
La L. 232/2016 (Legge di Bilancio 2017) ha prorogato al 30 settembre 2017 i termini per
avvalersi della disciplina di cui all’articolo 1, commi 115-120, della L. 208/2015 (Legge di
Stabilità 2016), riguardante le assegnazioni e le cessioni agevolate dei beni ai soci, nonché
la trasformazione da società commerciale in società semplice.
Nel presente intervento, dopo avere riepilogato le particolarità che contraddistinguono, dal
punto di vista dell’Iva, le assegnazioni di immobili ai soci, si forniscono alcuni esempi sul
trattamento impositivo applicabile a tali operazioni, distinguendo a seconda della tipologia
di immobile (strumentale o abitativo).
L’assegnazione di beni ai soci, al pari dell’esclusione da parte dell’imprenditore individuale di
immobili strumentali dal patrimonio dell’impresa, realizza un’ipotesi di destinazione a finalità
estranee all’esercizio dell’impresa, che si considera equiparata a una cessione di beni a titolo
oneroso ai sensi dell’articolo 16, comma 1, Direttiva 2006/112/CE, secondo cui “è assimilato a una
cessione di beni a titolo oneroso il prelievo di un bene dalla propria impresa da parte di un soggetto
passivo il quale lo destina al proprio uso privato o all’uso del suo personale, lo trasferisce a titolo
gratuito o, più generalmente, lo destina a fini estranei alla sua impresa, quando detto bene o gli
elementi che lo compongono hanno dato diritto ad una detrazione totale o parziale dell’Iva”.
La norma in esame, come completata dalla previsione dell’articolo 18, lettera c), della stessa Direttiva,
che offre agli Stati membri la possibilità di assimilare a una cessione di beni effettuata a titolo oneroso
“il possesso di beni da parte di un soggetto passivo o dei suoi aventi causa in caso di cessazione della sua
attività economica imponibile, quando detti beni hanno dato diritto ad una detrazione totale o parziale
dell’IVA al momento dell’acquisto …”, è stata recepita dal Legislatore nazionale nell’articolo 2, comma 2,
n. 5) e 6), D.P.R. 633/1972. È previsto, in particolare, che costituiscono cessioni di beni, rispettivamente,
“la destinazione di beni all’uso o al consumo personale o familiare dell’imprenditore o di coloro i quali
esercitano un’arte o una professione o ad altre finalità estranee alla impresa o all’esercizio dell’arte o della
professione, anche se determinata da cessazione dell’attività, con esclusione di quei beni per i quali non è
Tributi e accertamento fiscale
17 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
stata operata, all’atto dell’acquisto, la detrazione dell’imposta di cui all’articolo 19” (articolo 2, comma 2, n.
5) e “le assegnazioni ai soci fatte a qualsiasi titolo da società di ogni tipo e oggetto nonché le assegnazioni
e le analoghe operazioni fatte da altri enti privati o pubblici, compresi i consorzi e le associazioni o altre
organizzazioni senza personalità giuridica” (articolo 2,comma 2, n. 6).
Condizione di detraibilità dell’imposta in sede di acquisto
La qualificazione dell’assegnazione di beni come un’ipotesi di destinazione a finalità estranee
all’esercizio dell’impresa è di fondamentale importanza ai fini della verifica del presupposto oggettivo
dell’imposta, in quanto il n. 6) del secondo comma dell’articolo 2, D.P.R. 633/1972 non ripropone, per
l’assegnazione, la condizione di detraibilità dell’imposta “a monte” prevista, per l’estromissione, dal n.
5) dello stesso secondo comma dell’articolo 2.
Sul punto, la circolare n. 26/E/2016 ha confermato che, alla luce della corrispondente
disposizione comunitaria, come interpretata dalla Corte di Giustizia1, l’assegnazione di beni ai soci
realizza un’ipotesi di destinazione a finalità estranee all’esercizio d’impresa, sicché a essa sono
applicabili le disposizioni in materia di autoconsumo contenute nel citato articolo 2, comma 2, n.
5), D.P.R. 633/1972, laddove stabiliscono la non applicazione dell’Iva per “quei beni per i quali non
è stata operata, all’atto dell’acquisto, la detrazione dell’imposta …”. In pratica, nei casi in cui tali beni
non abbiano consentito la detrazione in ragione del loro acquisto presso un soggetto “privato”,
ovvero poiché l’acquisto è avvenuto prima dell’introduzione dell’Iva nell’ordinamento interno (1°
gennaio 1973), nonché dei casi in cui i beni sono acquistati o importati senza il diritto alla
detrazione, neanche parziale, della relativa imposta, ai sensi degli articoli 19, 19-bis1 e 19-bis2,
D.P.R. 633/1972, l’assegnazione o l’estromissione non configura un’operazione rilevante ai fini
dell’imposta.
Il principio esposto, che si pone in linea con il consolidato orientamento della prassi amministrativa2,
trova applicazione anche nel caso di acquisto dell’immobile senza applicazione dell’imposta al quale
abbiano fatto seguito interventi di riparazione e di recupero edilizio per i quali, invece, si sia provveduto
alla detrazione della relativa imposta. Nell’ipotesi considerata, infatti, la fuoriuscita del bene dalla sfera
giuridica ed economica del soggetto passivo non dà luogo ad una operazione rilevante ai fini dell’Iva,
per cui il cambio di destinazione del bene implica l’obbligo di rettificare la detrazione dell’imposta
1 Cfr. sentenza cause riunite C-322/99 e C-323/99 del 17 maggio 2001,, Fischer e Brandenstein. 2 Cfr. circolare n. 40/E/2002 (§ 1.4.11) e, più recentemente, risoluzioni n. 194/E/2002 e n. 191/E/2009.
Tributi e accertamento fiscale
18 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
assolta per le suddette spese, qualora le stesse siano incrementative del valore dell’immobile e non
abbiano esaurito la loro utilità all’atto dell’assegnazione3.
In definitiva, rilevano, agli effetti dell’imposta, tutte le assegnazioni di beni per le quali l’operatore
abbia detratto, integralmente o parzialmente, l’Iva addebitata in sede di rivalsa al momento
dell’acquisto, dell’importazione o dell’effettuazione degli interventi di riparazione e di recupero
edilizio. Viceversa, sono esclusi dall’ambito applicativo del tributo le fattispecie di assegnazione
in relazione alle quali la detrazione non è stata operata.
Determinazione della base imponibile
La qualificazione dell’assegnazione di beni come un’ipotesi di destinazione a finalità estranee
all’esercizio dell’impresa implica che a essa si applichino le stesse disposizioni che regolano, agli effetti
dell’Iva, la determinazione della base imponibile e la rettifica della detrazione.
Il riferimento normativo è rappresentato dall’articolo 74, Direttiva 2006/112/CE, secondo cui, “per le
operazioni di prelievo o di destinazione da parte di un soggetto passivo di un bene della propria impresa o di
detenzione di beni da parte di un soggetto passivo o da parte dei suoi aventi diritto in caso di cessazione della
sua attività economica imponibile, contemplate agli articoli 16 e 18, la base imponibile è costituita dal prezzo
di acquisto dei beni o di beni simili, o, in mancanza del prezzo di acquisto, dal prezzo di costo, determinati nel
momento in cui si effettuano tali operazioni”. Nella disciplina nazionale, il criterio di determinazione della
base imponibile applicabile nelle ipotesi in considerazione è quello previsto dall’articolo 13, comma 2,
lettera c), D.P.R. 633/1972, nel testo riformulato dalla L. 88/2009 (Comunitaria 2008), che dà rilevanza, in
linea con la corrispondente disposizione comunitaria, “al prezzo di acquisto o, in mancanza, al prezzo di
costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni …”.
Fermo, quindi, restando che non trova applicazione in ambito Iva la disposizione contenuta nel regime
agevolativo introdotto dalla Legge di Stabilità 2016 che consente di determinare la base imponibile
delle assegnazioni in funzione del valore catastale dell’immobile, la circolare n. 26/E/2016 ha chiarito,
coerentemente all’elaborazione della giurisprudenza comunitaria, che il criterio del prezzo di acquisto
o di costo, in sostituzione di quello del “valore normale”, di cui all’articolo 14, D.P.R. 633/1972, implica
che la base imponibile dell’assegnazione non comprenda il “ricarico” normalmente praticato sul
mercato per quel bene, bensì sia costituita dal prezzo di acquisto del bene “attualizzato” al momento
della fuoriuscita dalla sfera economica e giuridica del soggetto passivo.
3 Cfr. circolare n. 40/E/2002 (§ 1.4.11), cit. e risoluzione n. 194/E/2002, cit..
Tributi e accertamento fiscale
19 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Nello specifico, ripercorrendo le indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia, il prezzo di acquisto
del bene è dato dal suo valore residuo al momento della destinazione estranea all’impresa, che
tiene quindi conto dell’evoluzione del valore del bene tra la data dell’acquisto e quella della
destinazione estranea all’attività, cioè dell’eventuale deprezzamento o apprezzamento
intervenuto rispetto alla data di acquisto4.
Tenuto conto che l’articolo 74 della Direttiva n. 2006/112/CE, a differenza del citato articolo 13, comma
2, lettera c), D.P.R. 633/1972, dà rilevanza al prezzo di acquisto dei beni simili, anziché al prezzo di costo
dei beni simili, i giudici comunitari hanno affermato che il prezzo di costo può essere preso in
considerazione per determinare la base imponibile solo in mancanza del prezzo di acquisto del bene o
di un bene simile5. Nel caso, quindi, dell’immobile che il soggetto passivo non ha acquistato ma
costruito, se esiste un bene simile sul mercato, la base imponibile dell’Iva dovuta in sede di
assegnazione/estromissione è costituita dal prezzo di acquisto, al momento di tale destinazione, di un
immobile simile, vale a dire “la cui situazione, dimensione e altre caratteristiche essenziali siano simili a
quelle dell’immobile di cui trattasi”.
Riguardo, invece, al criterio del prezzo di costo, la Corte ha stabilito che, per prezzo di costo, s’intende
il prezzo di mercato di un bene simile, tenuto conto dei costi di trasformazione di tale bene6.
Tenendo conto delle indicazioni giurisprudenziali richiamate, la circolare n. 26/E/2016 ha precisato che,
ai fini della determinazione della base imponibile, il prezzo di acquisto non può essere limitato
all’importo pagato per acquistare il bene, ma deve comprendere anche tutte le spese sostenute per
riparare e completare il bene stesso durante la sua vita aziendale (sempreché si tratti di spese relative
ad acquisti di beni e servizi in relazione ai quali sia stata applicata l’imposta e sia stata operata la
detrazione della medesima), tenendosi, comunque, conto, anche con riferimento a queste, del
deprezzamento che il bene ha subìto nel tempo.
Restando, tuttavia, da chiarire le modalità che in concreto devono essere adottate per determinare il
deprezzamento, nella successiva circolare n. 37/E/2016, l’Agenzia delle entrate ha specificato che “tale
diminuzione di valore rilevante nel calcolo del valore residuo del bene stesso, nel periodo compreso tra la
data di acquisto e quella di assegnazione, dovrà essere calcolata di volta in volta tenendo conto delle variabili
rilevanti (variazioni significative con effetto negativo sul piano tecnologico, di mercato, economico o
normativo, obsolescenza, o deterioramento fisico per gli immobili, anche in dipendenza del grado di vetustà
4 Cfr. sentenza causa C-142/12, 8 maggio 2013, Marinov e sentenza cause C-322/99 e C-323/99, 17 maggio 2001, cit. 5 Cfr. sentenza, causa C-16/14, 23 aprile 2015, Property Development Company. 6 Cfr. Corte di Giustizia, causa C-299/11, 8 novembre 2012, Gemeente Vlaardingen.
Tributi e accertamento fiscale
20 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
etc.) in base alla tipologia di bene, non essendo possibile fornire delle indicazioni definitive e univoche su un
oggettivo fattore decrementativo suscettibile di applicazione generale”.
Lo stesso criterio, ha precisato l’Agenzia delle entrate nella circolare n. 26/E/2016, deve ritenersi
applicabile nelle ipotesi di assegnazione di beni detenuti in forza di un contratto di leasing per i
quali sia stata esercitata l’opzione di acquisto. Anche in tali casi, il valore dei beni deve
corrispondere al valore residuo degli stessi al momento del prelievo, in modo tale che si tenga
conto, come precedentemente indicato, dell’evoluzione del valore dei beni tra la data della loro
acquisizione e quella della loro assegnazione. Per effetto di tale impostazione, l’assegnazione
dopo il riscatto assume rilevanza, ai fini Iva, non già in funzione del solo prezzo di riscatto, ma di
un valore che, oltre gli apprezzamenti e deprezzamenti, va calcolato tenendo conto anche dei
canoni di leasing pagati prima dell’esercizio del riscatto.
Rettifica della detrazione
Tenuto conto che, ai sensi dell’articolo 19-bis2, comma 8, D.P.R. 633/1972, i fabbricati o porzioni
di fabbricati sono comunque considerati beni ammortizzabili e che, per essi, il periodo di
“osservazione fiscale” è pari a 10 anni, l’obbligo di operare la rettifica dell’Iva detratta al momento
dell’acquisto, con riversamento dell’imposta in un’unica soluzione, per tanti quinti o tanti decimi
quanti sono gli anni mancanti al compimento del periodo quinquennale o decennale di rettifica,
dipende naturalmente dal regime impositivo con il quale i beni ammortizzabili sono assegnati.
La rettifica della detrazione, secondo la procedura dell’articolo 19-bis2, D.P.R. 633/1972, deve essere
operata anche in relazione agli interventi di riparazione e di recupero edilizio relativi agli immobili
acquistati senza esercitare la detrazione, purché si tratti di interventi aventi natura incrementativa del
valore dell’immobile e non abbiano esaurito la loro utilità. A tale proposito, la circolare n. 37/E/2016
ha chiarito che la rettifica della detrazione deve essere effettuata non solo per le assegnazioni in regime
di esenzione, ma anche per quelle “fuori campo Iva”, in quest'ultimo caso limitatamente all’imposta
assolta sugli eventuali interventi incrementativi (che non abbiano esaurito la loro utilità) operati
sull’immobile nel corso del periodo decennale di “tutela fiscale”, dato che lo stesso è stato acquistato
senza esercitare la detrazione. Costituiscono, in particolare, operazioni “fuori campo Iva” sia le
assegnazioni di beni per i quali la detrazione dell’Iva non è avvenuta in ragione del loro acquisto presso
un soggetto “privato”, ovvero poiché l’acquisto è avvenuto prima dell’introduzione del tributo
Tributi e accertamento fiscale
21 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
nell’ordinamento interno, sia le assegnazioni di beni per i quali non è stata detratta integralmente
l’imposta ai sensi degli articoli 19, 19-bis1 e 19-bis2, D.P.R. 633/1972.
La circolare n. 26/E/2016 ha ulteriormente precisato che, in caso di assegnazione di immobili
acquisiti mediante contratto di leasing per i quali sia stata esercitata l’opzione d’acquisto, ai fini
del computo del periodo decennale di rettifica della detrazione occorre, di regola, fare riferimento
alla data di esercizio del diritto di acquisto del bene da parte dell’utilizzatore, essendo da tale
momento che, a norma del citato articolo 19-bis2, comma 8, D.P.R. 633/1972, decorre il periodo
decennale di “tutela fiscale”.
Esemplificazioni
Di seguito, si propongono alcuni esempi pratici riguardanti il trattamento Iva delle assegnazioni di
immobili ai soci.
Assegnazione di immobili strumentali
In base all’articolo 10, comma 1, n. 8-ter), D.P.R. 633/1972, le cessioni di fabbricati strumentali sono
esenti da Iva a eccezione delle cessioni:
− effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino degli stessi, entro cinque anni dalla data di
ultimazione della costruzione o dell’intervento;
− per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione.
In sostanza, le cessioni di fabbricati strumentali per natura, imponibili per obbligo di legge, sono solo
quelle poste in essere dall’impresa che li ha costruiti o recuperati entro cinque anni dall’ultimazione
dei lavori. In tutti gli altri casi, le cessioni di immobili strumentali sono esenti da Iva, fermo restando il
diritto del soggetto cedente di optare per l’imponibilità nell’atto di cessione.
Le cessioni di fabbricati strumentali imponibili (per obbligo di legge o su opzione) sono assoggettate a
Iva con applicazione dell’aliquota nella misura ordinaria (attualmente pari al 22%) o, in particolari
ipotesi, nella misura del 10%7.
La disciplina esposta, per quanto precedentemente rilevato, si applica anche in caso di assegnazione di
immobili strumentali, che a loro volta possono essere ammortizzabili o meno.
Occorre prestare particolare attenzione nell’ipotesi in cui l’assegnazione avvenga in regime di
esenzione da Iva ai sensi del citato articolo 10, comma 1, n. 8-ter), D.P.R. 633/1972, nel qual caso è
necessario distinguere a seconda che l’immobile assegnato sia ammortizzabile o meno. In particolare:
7 Si vedano, per esempio, i nn. 127-undecies) e 127-quinquiesdecies) della Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. 633/1972.
Tributi e accertamento fiscale
22 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
− l’assegnazione dell’immobile strumentale ammortizzabile non rileva ai fini del calcolo del
volume d’affari (articolo 20, comma 2, D.P.R. 633/1972) e, quindi, non concorre neppure alla
determinazione del pro rata di detrazione (articolo 19-bis, comma 2, D.P.R. 633/1972). Se
l’immobile è stato acquistato o costruito nel corso degli ultimi dieci anni occorre operare la
rettifica della detrazione per cambio di destinazione, ex articolo 19-bis2, comma 2, D.P.R.
633/1972, riversando all’Erario i decimi mancanti al compimento del periodo di “tutela fiscale”;
− l’assegnazione dell’immobile strumentale non ammortizzabile incide sul calcolo della
percentuale di detrazione dell’anno di effettuazione dell’operazione ed, inoltre, trova
applicazione la rettifica della detrazione per variazione del pro rata, di cui all’articolo 19-bis2,
comma 4, D.P.R. 633/1972, che ha carattere obbligatorio in caso di variazione della percentuale
di detrazione superiore a dieci punti rispetto a quella applicata nell’anno di acquisto o nell’anno
in cui l’imposta è stata detratta inizialmente. Tale rettifica è operata, in un’unica soluzione, per
gli anni mancanti al compimento del periodo decennale di “osservazione fiscale”.
Infine, potrebbe accadere che l’assegnazione sia “fuori campo Iva”. Tale ipotesi, come in precedenza
ricordato, ricorre quando l’immobile che fuoriesce dalla sfera giuridica ed economica del soggetto
passivo non ha dato luogo all’esercizio della detrazione, in ragione del suo acquisto presso un soggetto
“privato”, ovvero poiché l’acquisto è avvenuto prima dell’introduzione del tributo nell’ordinamento
interno o, ancora, quando l’imposta non sia stata detratta integralmente ai sensi degli articoli 19, 19-
bis1 e 19-bis2, D.P.R. 633/1972.
L’assegnazione “fuori campo Iva” non incide sul pro rata di detrazione, in quanto l’operazione è
irrilevante ai fini impositivi e, quindi, non concorre alla determinazione del volume d’affari. La
rettifica della detrazione, invece, opera limitatamente all’imposta assolta sugli eventuali
interventi incrementativi (che non abbiano esaurito la loro utilità) operati sull’immobile nel corso
del periodo decennale di “tutela fiscale”, dato che lo stesso è stato acquistato senza esercitare la
detrazione.
Le condizioni che escludono dal campo di applicazione dell’Iva le assegnazioni da ultimo considerate
sono “assorbenti” del regime di esenzione previsto dall’articolo 10, comma 1, n. 27-quinquies), D.P.R.
633/1972, che fa riferimento alle “cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto
alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi degli articoli 19, 19-bis1 e 19-bis2”, anch’esso irrilevanti
ai fini del calcolo del pro rata di detrazione.
Tributi e accertamento fiscale
23 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
È il caso di osservare, al riguardo, che sia la formulazione della normativa comunitaria che quella
della normativa interna fanno espresso riferimento alle ipotesi di indetraibilità derivanti da
ragioni di natura soggettiva, riferite cioè a soggetti i quali, svolgendo esclusivamente attività
esenti, non acquisiscono il diritto alla detrazione, o da ragioni di natura oggettiva, riferite cioè a
particolari categorie di beni per i quali è previsto uno specifico regime di indetraibilità ai sensi
dell’articolo 19-bis1 (aeromobili, navi e imbarcazioni da diporto, etc.). Ciò non consente di
estendere la previsione esentativa anche alle cessioni di quei beni per i quali la detrazione non è
stata esercitata perché non si è subita la rivalsa dell’imposta; condizione questa che può
verificarsi, a titolo di esempio, qualora l’acquisto dell’immobile è stato effettuato presso un
“privato”, che in quanto tale non ha il potere di esercitare la rivalsa, così come quando l’acquisto
immobiliare è stato effettuato presso un soggetto passivo che non ha applicato l’imposta8.
Assegnazione di immobili abitativi
In base all’articolo 10, comma 1, n. 8-bis), D.P.R. 633/1972, le cessioni di fabbricati diversi da quelli
strumentali sono soggette al regime “naturale” di esenzione da Iva, a eccezione delle:
− cessioni effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino degli stessi entro cinque anni
dall’ultimazione della costruzione o dell’intervento;
− cessioni poste in essere dalle stesse imprese anche successivamente, nel caso in cui nel relativo atto
il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione;
− cessioni di fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali per le quali nel relativo atto il cedente abbia
manifestato espressamente l’opzione per l’imposizione.
In sostanza, l’opzione per l’imponibilità è soggettivamente limitata alle sole imprese costruttrici o
attuatrici degli interventi di recupero specificamente richiamati dalla disposizione. Pertanto, le cessioni
di fabbricati abitativi effettuate da operatori economici diversi restano esenti da Iva.
La disciplina esposta, per quanto precedentemente rilevato, si applica anche in caso di
assegnazione di immobili abitativi, per cui occorre prestare particolare attenzione nell’ipotesi in
cui l’assegnazione avvenga in regime di esenzione da Iva ai sensi del citato articolo 10, comma 1,
n. 8-bis), D.P.R. 633/1972. Se, in particolare, a essere assegnato è un immobile abitativo “merce”
(cioè acquistato o costruito per la rivendita) o “patrimonio” (cioè acquistato o costruito per essere
tenuto a disposizione o per essere locato), l’assegnazione incide sul calcolo della percentuale di
8 Cfr. risoluzione n. 194/E/2002.
Tributi e accertamento fiscale
24 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
detrazione dell’anno di effettuazione dell’operazione ed, inoltre, trova applicazione la rettifica
della detrazione per variazione del pro rata, di cui all’articolo 19-bis2, comma 4, D.P.R. 633/1972,
che ha carattere obbligatorio in caso di variazione della percentuale di detrazione superiore a
dieci punti rispetto a quella applicata nell’anno di acquisto o nell’anno in cui l’imposta è stata
detratta inizialmente. Tale rettifica è operata, in un’unica soluzione, per gli anni mancanti al
compimento del periodo decennale di “osservazione fiscale”.
Infine, nell’ipotesi in cui l’assegnazione sia “fuori campo Iva”, valgono le stesse considerazioni esposte
in merito al caso in cui l’immobile oggetto di assegnazione sia strumentale.
Conseguentemente, l’assegnazione “fuori campo Iva” non incide sul pro rata di detrazione, in
quanto l’operazione è irrilevante ai fini impositivi e, quindi, non concorre alla determinazione del
volume d’affari. La rettifica della detrazione, invece, opera limitatamente all’imposta assolta sugli
eventuali interventi incrementativi (che non abbiano esaurito la loro utilità) operati sull’immobile
nel corso del periodo decennale di “tutela fiscale”.
Prassi contabile
25 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Riflessi fiscali della “cancellazione”
della sezione straordinaria del Conto
economico di Fabio Landuzzi - dottore commercialista, revisore legale
Il nuovo schema di bilancio novellato dal D.Lgs. 139/2015 prevede, come noto,
l’eliminazione dell’area del Conto economico che era deputata ad accogliere i componenti
economici “straordinari”. Il nuovo Principio contabile Oic 12 rimanda al redattore del
bilancio l’individuazione della nuova corretta classificazione di tali componenti economici,
sulla base di un’analisi di volta in volta riferita alla tipologia di evento che ha generato il
costo o il ricavo, proponendo in una tavola la ricollocazione di alcune delle fattispecie più
ricorrenti di operazioni che, nel precedente assetto bilancistico, producevano componenti
“straordinari”. Il Legislatore fiscale, con il Decreto Milleproroghe1, è intervenuto con l’intento
di regolamentare l’impatto fiscale di questa novità civilistica, e lo ha fatto scegliendo una
modalità molto selettiva ispirata al principio generale della “derivazione rafforzata”: in
pratica, si è previsto che ogniqualvolta le norme fiscali si riferiscono ai componenti
economici di cui alle lettere A) e B) dello schema di Conto economico, le stesse sono da
intendere al netto dei soli componenti derivanti dalle operazioni di trasferimento di azienda
e di rami di azienda. Nella pratica, però, sono diverse le implicazioni indotte da questa
modifica dello schema di Conto economico, e in questo contributo cercheremo di cogliere
quelle a prima vista più significative.
L’eliminazione dell’area “straordinaria” del Conto economico: prime implicazioni
bilancistiche
Fra le principali modifiche apportate dal D.Lgs. 139/2015 agli schemi del bilancio, come già
ampiamente osservato e commentato dalla dottrina, vi è la soppressione dell’area “straordinaria” del
Conto economico. A tale modifica ha, quindi, necessariamente fatto seguito la riscrittura del Principio
contabile Oic 122 al fine di disciplinare la ricollocazione di oneri e proventi straordinari nelle
appropriate voci di costo e di ricavo.
1 D.L. 244/2016, e Legge di conversione 19/2017, pubblicata in GU n. 49 del 28 febbraio 2017. 2 Intitolato “Composizione e schemi del bilancio d’esercizio”.
Prassi contabile
26 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Tuttavia, prendendo atto dell’impossibilità di identificare ex ante e univocamente le voci di destinazione
delle diverse possibili transazioni che generavano nel passato componenti “straordinarie”, l’Oic ha
preferito demandare al redattore del bilancio l’analisi della tipologia di evento che genera il costo o il
ricavo e, sulla base degli esiti di tale analisi, individuare la più adeguata classificazione nelle attuali
voci del Conto economico. In questo contesto, l’Oic 12 propone comunque una tabella di raccordo fra
la vecchia versione del documento3 e quella novellata post D.Lgs. 139/2015: in questa tabella si trovano,
quindi, già alcune precise indicazioni riguardo alla collocazione di costi e ricavi che, nella precedente
disciplina, erano classificati nella sezione straordinaria del Conto economico, e che invece ora devono
necessariamente essere riclassificate nelle altre voci dello schema di bilancio.
L’intervento del Legislatore fiscale con il D.L. 244/2016 (Decreto Milleproroghe)
La cancellazione della sezione straordinaria del Conto economico non poteva chiaramente lasciare
intatto il preesistente impianto normativo tributario in quanto sono molteplici e diffuse le disposizioni
di carattere fiscale che rinviano o assumono come riferimento le voci del Conto economico civilistico.
La scelta operata dal Legislatore fiscale, espressa con le disposizioni contenute nel Decreto
Milleproroghe4, si può sintetizzare in modo sistematico nei concetti qui di seguito riportati.
Principio generale5
Si afferma, mediante la modifica dell’articolo 83, comma 1, Tuir, il principio di “derivazione rafforzata” del
reddito imponibile ai fini dell’Ires rispetto al Conto economico civilistico per tutti i soggetti, diversi dalle
micro-imprese di cui all’articolo 2435-ter, cod. civ., che redigono il bilancio in conformità alle disposizioni
del codice civile. Per tali soggetti, quindi, e per quanto strettamente interessa ai fini del tema qui in
discussione, valgono anche ai fini fiscali i “criteri di classificazione” previsti dai rispettivi principi contabili.
Ciò significa che la classificazione del costo e del ricavo compiuta dal redattore del bilancio secondo la
corretta applicazione dei principi contabili vale anche ai fini fiscali, per i componenti reddituali rilevati
a decorrere dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015.
Norma transitoria6
Per le operazioni che risultavano diversamente classificate nel bilancio al 31 dicembre 2015,
continuano a valere le disposizioni fiscali previgenti con riguardo agli effetti reddituali e patrimoniali
che si produrranno, per dette operazioni, anche sui bilanci degli esercizi successivi.
3 Si tratta della versione pubblicata nel 2014. 4 Articolo 13-bis; D.L. 244/2016. 5 Articolo 13-bis, comma 4, D.L. 244/2016. 6 Articolo 13-bis, comma 5, D.L. 244/2016.
Prassi contabile
27 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Identificazione dei “componenti straordinari fiscali”7
Si afferma, quale principio di carattere generale, che ogni qualvolta le norme fiscali fanno riferimento
ai componenti positivi o negativi di cui alle lettere A) e B) dell'articolo 2425, cod. civ., tale riferimento
va inteso come compiuto ai componenti ivi classificati secondo i principi contabili di riferimento, ma gli
stessi ai fini fiscali vanno “assunti al netto dei componenti positivi e negativi di natura straordinaria
derivanti da trasferimenti di azienda o di rami di azienda”.
Quindi, la scelta di campo del Legislatore fiscale è stata molto chiara: le voci A) e B) del Conto
economico sono sempre rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme fiscali che a esse fanno
riferimento, così come le stesse sono determinate applicando i principi contabili di riferimento, fatto
salvo solo per la necessità di espungere, ove esistenti, i componenti positivi e negativi relativi a
“trasferimenti di azienda o di rami di azienda” i quali conservano una sorta di “straordinarietà fiscale”.
Irap8
Tanto il principio generale, quanto la norma transitoria, e infine l’identificazione dei componenti
“fiscalmente straordinari”, valgono a pieno titolo anche ai fini Irap, in forza della modifica apportata al
comma 1 dell'articolo 5, D.Lgs. 446/1997, al fine di prevedere che dal computo della base imponibile
Irap sono esclusi i “componenti positivi e negativi di natura straordinaria derivanti da trasferimenti di
azienda o di rami di azienda”.
Disciplina della deduzione degli interessi passivi ex articolo 96, Tuir9
Stante il principio generale affermato al comma 4 dell’articolo 13-bis del Milleproroghe, non vi sarebbe
stata la necessità di integrare espressamente anche l’articolo 96, Tuir. Tuttavia, il Legislatore ha
preferito probabilmente evitare equivoci e, pertanto, anche ai fini del computo del Rol di cui all’articolo
96, Tuir occorre non tenere conto dei componenti positivi e negativi relativi a “trasferimenti di azienda
o di rami di azienda”.
In via indiretta, la disciplina della deduzione degli interessi passivi di cui all’articolo 96, Tuir potrà essere
negativamente impattata anche dagli effetti delle svalutazioni di perdite durevoli di valore che, sino al
bilancio precedente, qualora indotte da circostanze straordinarie, potevano concretamente essere
classificate nell’area straordinaria del Conto economico. Nel nuovo schema di Conto economico, invece,
tali effetti saranno necessariamente iscritti nella voce B.10.c.) del Conto economico e di conseguenza
7 Articolo 13-bis, comma 4, D.L. 244/2016. 8 Articolo 13-bis, comma 3, D.L. 244/2016. 9 Articolo 13-bis, comma 2, lettera b), D.L. 244/2016.
Prassi contabile
28 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
deprimeranno il Rol fiscale in quanto non è prevista, nel testo dell’articolo 96, Tuir, la loro
sterilizzazione come avviene, invece, nel caso degli ammortamenti e dei canoni di leasing.
Vero è che, all’opposto, rileveranno gli eventuali ripristini di valore classificati ora nella voce A.5 del
Conto economico; tuttavia, l’esperienza insegna che i ripristini di valore sono casi piuttosto rari nella
vita delle imprese e soprattutto essi non possono essere mai ammessi per quanto concerne
l’avviamento, che è invece una delle poste maggiormente sensibili a fenomeni negativi dovuti a
impairment test.
Questo è, quindi, il contesto normativo tracciato dal Legislatore fiscale con l’intento di coordinare la
norma tributaria con il rinnovato schema del Conto economico.
Vi sono certamente alcuni aspetti che meritano un maggiore approfondimento e anche alcune prime
riflessioni con riguardo agli effetti che possono essere indotti dalle modifiche normative, civilistiche e
fiscali, qui in commento.
Dal “principio generale” ad alcuni casi particolari
Il principio generale, come abbiamo evidenziato, è molto chiaro: le componenti economiche di costo e
di ricavo classificate nelle voci A e B del Conto economico valgono anche ai fiscali, ogni qualvolta una
norma tributaria vi faccia riferimento, con la sola esclusione di quelle relative a trasferimenti di azienda
o di rami di azienda.
I componenti economici “relativi” ai trasferimenti di azienda
Una prima questione su cui è lecito interrogarsi attiene alla delimitazione del concetto di componenti
economici “relativi” ai trasferimenti di azienda o di rami di azienda a cui fa riferimento la novellata
norma fiscale.
Il dubbio circa l’esatta perimetrazione di questo concetto deriva dal fatto che il Legislatore non ha
utilizzato i termini “plusvalenze” e “minusvalenze” realizzate da atti di trasferimento di compendi
aziendali, bensì ha fatto riferimento a generici componenti economici per l’appunto “relativi” a detti
trasferimenti. Pertanto, la questione che si potrebbe porre riguarda il trattamento da riservare a
componenti accessorie o comunque connesse alle operazioni di trasferimento di azienda, come ad
esempio gli oneri di transazione, i costi per consulenze, l’imposta di registro, etc..
Al di là della terminologia generalista utilizzata dal Legislatore, parrebbe logico affermare che la natura
“straordinaria” ai fini fiscali del componente economico da espungere ai fini che qui interessano sia solo
relativa alla plus o minusvalenza realizzata dall’operazione. Tutte le altre componenti economiche,
Prassi contabile
29 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
quindi, devono mantenere la loro piena rilevanza fiscale senza essere incise dalla disposizione in
oggetto.
Quanto poi alla tipologia di “trasferimento” da cui derivano i componenti economici qui in rilievo, va da
sé che si tratti di vicende realizzative riconducibili sia alla cessione di azienda o di ramo di azienda, che
al caso del conferimento realizzativo avente per oggetto un compendio aziendale. Infatti, vero è che la
disciplina del conferimento di azienda non è stata modificata, e che è rimasta invariata la disposizione
di cui all’articolo 176, Tuir per cui l’operazione resta soggetta al regime fiscale di “neutralità necessaria”;
nel caso di specie, però, non sarebbe bastato il riferimento all’articolo 176, Tuir per espungere le
plusvalenze e le minusvalenze realizzate da operazioni di conferimento di azienda o di ramo di azienda
dalla rilevanza fiscale delle voci A e B del Conto economico, ove queste vengano richiamate da altre
disposizioni tributarie e per altre finalità rispetto al loro concorso alla formazione del reddito
imponibile.
I componenti economici “eccezionali” non relativi ai trasferimenti di azienda
Quando i componenti economici derivano da operazioni che non hanno per oggetto un compendio
aziendale, sebbene possano essere di entità o incidenza “eccezionale” in quanto non ragionevolmente
ripetibili nelle vicende ordinarie dell’impresa, essi restano pienamente rilevanti ai fini della
composizione anche fiscale delle voci A e B del Conto economico.
Si può trattare, quindi, di cessioni eccezionali di attività immobilizzate, di operazioni straordinarie non
afferenti un compendio aziendale, di ristrutturazioni aziendali, etc.. In tutti questi casi, anche ai fini
della disciplina fiscale, le voci A e B del Conto economico si assumono nella loro corretta e piena
determinazione civilistica.
Il “test di vitalità” nel riporto delle perdite fiscali, delle eccedenze di interessi passivi indeducibili e delle
eccedenze di Ace
Sia l’articolo 84, comma 3, lettera b), che l’articolo 172, comma 7, Tuir (e per mero rimando gli articolo
173, comma 10, e 181, comma 1, Tuir), ai fini del riporto delle perdite fiscali, delle eccedenze di interessi
passivi indeducibili e delle eccedenze di Ace in presenza di vicende straordinarie della società,
sottopongono la possibilità di utilizzare di tali asset fiscali nei successivi periodi di imposta a un test di
vitalità dell’impresa, in cui uno dei parametri è rappresentato dall’ammontare dei “ricavi e proventi
dell’attività caratteristica”.
Prassi contabile
30 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Con riferimento alla nozione di ricavi e proventi caratteristici, si rammenta che la disciplina previgente
alla Riforma fiscale del 200410 faceva esplicito riferimento alla sola voce A.1 “Ricavi delle vendite e
delle prestazioni” dello schema di Conto economico di cui all’articolo 2425, cod. civ..
A seguito delle modifiche intervenute con la citata legge di riforma, è stato cancellato il riferimento
alla voce A.1 dello schema di Conto economico al fine di consentire di prendere in considerazione tutti
i proventi della gestione caratteristica delle società le cui perdite (o meglio, i cui asset fiscali) si
intendono riportare successivamente all’operazione straordinaria (tipicamente la fusione o la scissione).
L’Agenzia delle entrate11 aveva avuto modo di precisare che dovevano essere considerati tutti i
componenti positivi di reddito che, in relazione all’attività svolta dalla società, avevano natura
ricorrente e si contrapponevano ai costi caratteristici.
Ora, alla luce del novellato contesto normativo sia civilistico che fiscale, possiamo quindi assumere che
ai fini dell’effettuazione del test di vitalità avranno rilevanza i componenti economici positivi iscritti,
per le società commerciali, alle voci A.1 e A.5 del Conto economico, fatta sola esclusione di quelli aventi
natura “straordinaria” relativi a operazioni di trasferimento di azienda o di ramo di azienda.
Per esigenze di omogeneità dei termini di raffronto del test di vitalità, lo stesso criterio dovrebbe essere
ragionevolmente assunto anche per determinare i parametri economici degli esercizi precedenti
rientranti nel periodo temporale di riferimento della norma, il che renderà necessario effettuare una
riclassificazione dei conti economici degli anni interessati al fine di ricollocare le componenti
economiche classificate originariamente alle voci E del Conto economico, ed espungere poi quanto
fosse riferito a trasferimenti di azienda o di rami di azienda.
Il “test di operatività” ai fini della disciplina delle società di comodo
Come noto, in base all’articolo 30, comma 1, L. 724/1994, sono considerate “non operative” le società il
cui Conto economico presenta un ammontare complessivo di ricavi, incrementi delle rimanenze e
proventi ordinari, inferiore alla somma degli importi che risultano applicando determinati coefficienti a
taluni asset patrimoniali.
Anche a tale riguardo, nel rinnovato contesto normativo, assumeranno rilevanza per l’esecuzione del
“test di operatività” le componenti economiche positive iscritte nelle voci di cui alla lettera A del Conto
economico, secondo i principi contabili di riferimento, fatta sola esclusione di quelle aventi natura
“straordinaria” relative a trasferimenti di azienda o di rami di azienda.
10 Attuata con il D.Lgs. 344/2003. 11 Risoluzione n. 143/E/2008.
Prassi contabile
31 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Tema del tutto analogo concerne l’ipotesi di cui alla lettera f) del Provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate dell’11 giugno 2012 quale causa di disapplicazione delle disposizioni in
materia di società in perdita sistematica. Infatti, la citata lettera f) del Provvedimento prescrive che tale
disapplicazione ricorra per le società che conseguono “un margine operativo lordo positivo”. Per
margine operativo lordo si intende la differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alla lettere
A) e B) dell’articolo 2425, cod. civ.. Il Provvedimento precisa inoltre che tale fine i costi della produzione
rilevano al netto delle voci relative ad ammortamenti, svalutazioni e accantonamenti di cui ai n. 10),
12) e 13) della citata lettera B).
In forza della disposizione in commento, pertanto, nel rinnovato contesto normativo, le componenti
economiche positive e negative iscritte nelle voci del Conto economico menzionate dalla lettera f) del
citato Provvedimento diventano rilevanti secondo i principi contabili di riferimento, fatta sola
esclusione di quelle aventi natura “straordinaria” relative a trasferimenti di azienda o di rami di azienda.
Il plafond di determinazione delle “spese di rappresentanza” deducibili
L'ammontare delle spese di rappresentanza deducibili è commisurato ai ricavi e proventi della gestione
caratteristica "risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo". L’Agenzia delle
entrate12 ha avuto modo di precisare che i componenti positivi rilevanti per le società industriali e
commerciali sono quelli iscritti alle voci A.1 e A.5 del Conto economico, mentre le società holding
"potranno considerare a tali fini anche i proventi finanziari iscritti nelle voci C.15 e C.16 del Conto
economico”13.
Pertanto, anche rispetto all’applicazione di questa disciplina, nel rinnovato contesto normativo,
assumeranno rilevanza le componenti economiche positive iscritte nelle voci di cui alle suddette voci
del Conto economico secondo i principi contabili di riferimento, fatta sola esclusione di quelle aventi
natura “straordinaria” relative a trasferimenti di azienda o di rami di azienda.
Alcune riflessioni sull’impatto nella determinazione dell’imponibile Irap
Come si è anticipato, in forza della modifica apportata al comma 1 dell'articolo 5, D.Lgs. 446/1997, nel
computo della base imponibile Irap rilevano le voci classificate nelle poste “Irap sensibili”, secondo i
principi contabili di riferimento, esclusi sempre e solo i “componenti positivi e negativi di natura
straordinaria derivanti da trasferimenti di azienda o di rami di azienda”.
12 Circolare n. 34/E/2009, § 5.1. 13 Risoluzione n. 143/E/2008 e n. 183/E/2009.
Prassi contabile
32 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
È, tuttavia, rimasto immutato il principio di correlazione temporale affermato al comma 4 dell’articolo
5, D.Lgs. 446/1997, così che i componenti positivi e negativi di reddito concorrono comunque a formare
base imponibile Irap, indipendentemente dalla loro classificazione, se sono correlati a componenti
rilevanti Irap di periodi d’imposta precedenti o successivi.
Dunque, a titolo esemplificativo, la sopravvenienza attiva derivante dall’incasso di un credito
precedentemente portato a perdita, rilevata nella voce A.5 del Conto economico, resterà esclusa dalla
base imponibile Irap, in quanto la perdita rilevata nel Conto economico di un esercizio precedente non
era stata a sua volta dedotta nella determinazione dell’imponibile del tributo regionale14.
Tuttavia, per alcune operazioni l’eliminazione della sezione straordinaria del Conto economico produce
certamente un impatto ai fini dell’Irap; a titolo esemplificativo:
4. corresponsione di indennità di perdita dell’avviamento per la cessazione di un contratto di locazione:
benché l’operazione possa presentare caratteri di straordinarietà che, secondo lo schema di Conto
economico previgente, avrebbero indotto a classificare il costo nella sezione straordinaria del Conto
economico, escludendone la rilevanza ai fini dell’Irap, nel novellato schema normativo la posta sarebbe
collocata nella voce B.14 del Conto economico e assumerebbe, quindi, piena valenza ai fini della
determinazione dell’imponibile del tributo regionale;
5. risarcimento danni in sede giudiziaria: il caso era stato oggetto di un documento di prassi emesso
dall’Amministrazione finanziaria15 e aveva avuto per oggetto somme corrisposte dalla società a titolo
di risarcimento danni a seguito del decesso di un dipendente o per accertata malattia contratta nello
svolgimento dell’attività di lavoro. Ebbene, l’Amministrazione aveva risolto il caso escludendo la
deducibilità ai fini dell’Irap di tale costo in considerazione del fatto che esso avrebbe dovuto essere
classificato nella voce E (proventi e oneri straordinari) del Conto economico.
Nell’attuale assetto normativo, venendo meno questa sezione del Conto economico, i costi in oggetto
sono da ritenersi pienamente rilevanti anche ai fini dell’Irap in quanto classificati nella voce B del Conto
economico.
Analoga conclusione deve essere accolta dal lato del componente positivo, qualora in casi differenti il
soggetto beneficiario sia una società che redige il bilancio secondo la disciplina del codice civile;
6. plusvalenze e minusvalenze da atti realizzativi “eccezionali”: al di fuori del trasferimento di azienda
o di rami di azienda, i componenti economici derivanti da atti realizzativi di singoli cespiti aziendali,
14 Analogamente, anche l’indennizzo assicurativo percepito a fronte della perdita di un credito assicurato non è soggetto a Irap in quanto
correlato a un componente non rilevante ai fini del tributo regionale, come confermato dalla Direzione Centrale Normativa in risposta a una
istanza di interpello non pubblica; si veda in proposito Il Sole 24Ore, 2 dicembre 2013. 15 Risoluzione n. 25/E/2009.
Prassi contabile
33 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
quand’anche ritenuti eccezionali, restano rilevanti ai fini dell’Irap non più in forza del principio di
correlazione, bensì per via della derivazione rafforzata dalle risultanze del Conto economico.
Una riflessione ulteriore ai fini Irap la merita anche l’applicazione della disciplina transitoria disposta
al comma 6 dell’articolo 13-bis del Decreto Milleproroghe, laddove si afferma che per le operazioni che
risultavano diversamente classificate nel bilancio al 31 dicembre 2015, continuano a valere le
disposizioni fiscali previgenti con riguardo agli effetti reddituali e patrimoniali che si produrranno, per
dette operazioni, anche sui bilanci degli esercizi successivi.
Facciamo il caso di una prestazione resa da un professionista a fronte di un progetto straordinario di
ristrutturazione aziendale che era stata accantonata per il valore di euro 100.000 con addebito della
voce E.21 del Conto economico nel bilancio al 31 dicembre 2015, stante la natura straordinaria
dell’operazione a cui essa afferiva. Si faccia ora il caso che, nel bilancio al 31 dicembre 2016, la società
abbia concordato con il professionista una riduzione dell’onorario pari a 30.000 euro e che abbia quindi
rilevato la corrispondente sopravvenienza attiva alla voce A.5 del Conto economico dell’esercizio 2016.
In questa circostanza, in forza sia del principio di correlazione temporale che della norma transitoria
sopra richiamata, la sopravvenienza attiva in questione non dovrà concorrere alla formazione
dell’imponibile Irap del 2016 in quanto afferente a un’operazione in essere nel bilancio dell’esercizio
precedente, diversamente classificata e per la quale devono perciò continuare a valere le stesse
considerazioni in ordine al relativo trattamento ai fini dell’Irap.
Giurisprudenza
34 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Azione revocatoria e scissione -
Ordinanza 7 novembre 2016 del
Tribunale di Roma di Alberto Bertuzzo - avvocato
Quando il “debitore” dispone od assegna il proprio patrimonio o parte di esso a terzi, può sorgere
il pericolo, per il “creditore”, che la “garanzia” relativa al soddisfacimento delle proprie ragioni -
costituita proprio da quel patrimonio - si riduca o venga addirittura meno. Tra i “mezzi di
conservazione” del credito - diretti a proteggere il creditore da una simile evenienza - il
Legislatore ha previsto l’“azione revocatoria”: colui che si veda spogliato della “garanzia
patrimoniale”, formata dai beni e diritti del debitore, può agire in giudizio e far dichiarare dal
giudice l’”inefficacia”, nei suoi confronti, dell’atto dispositivo che il debitore abbia posto in essere
con la consapevolezza di ledere le sue ragioni. È controverso se l’azione revocatoria possa essere
esercitata anche in presenza di un atto di scissione: in particolare, può il curatore della società
scissa, in seguito dichiarata fallita, ottenere la revoca dell’atto di scissione perfezionatosi in un
tempo precedente la dichiarazione di fallimento? Può il creditore che non abbia promosso
opposizione durante il procedimento di scissione, avviare l’azione revocatoria in un tempo
successivo al suo perfezionamento? Sul punto la giurisprudenza di merito, mancando una
pronuncia della nostra Suprema Corte sul punto, è divisa. Una parte di essa, ivi inclusa la
decisione in commento, ritiene che l’azione revocatoria non sia esercitabile perché essa è
incompatibile con i principi ed il sistema di garanzie previsto dall’ordinamento giuridico (ossia
con il principio della “irregredibilità” della scissione e del complesso dei rimedi “endosocietari”
già riconosciuti a favore del creditore) e perché non sussistono i presupposti necessari per il suo
esercizio. Altri giudici ritengono, invece - come si vedrà nella trattazione che segue - che, in
realtà, le condizioni per l’avvio dell’azione revocatoria ricorrono tutti e che essa sia, quindi,
esercitabile (e costituisca un utile mezzo di conservazione della “garanzia patrimoniale” per chi,
come ad esempio il curatore fallimentare, non possa far ricorso ad altri strumenti di tutela).
L’azione revocatoria (ordinaria e fallimentare)
Secondo uno dei principi generali del diritto, il debitore risponde dell’adempimento delle proprie
obbligazioni con “tutti i suoi beni presenti e futuri”1. In tale contesto si comprende bene come l’interesse
1 Si veda l’articolo 2740, cod. civ..
Giurisprudenza
35 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
principale del creditore sia proprio quello di mantenere immutata tale garanzia “patrimoniale”, evitando
che siano posti in essere, da parte dello stesso debitore, atti o condotte diretti a depauperare la
consistenza del complesso di beni e diritti a quest’ultimo facenti capo.
Tra i mezzi concessi al creditore per tutelare il diritto a riscuotere il proprio credito, il Legislatore ha
previsto l’“azione revocatoria”2, ossia quell’azione diretta a rendere inefficaci nei suoi confronti gli atti
del debitore volti a sottrarre, in modo fraudolento (i.e. con la consapevolezza di creare del pregiudizio
alle ragioni del creditore), i propri beni alla “garanzia patrimoniale” dello stesso creditore.
Le condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria sono diverse e si distinguono, sostanzialmente, in
condizioni soggettive (i.e. la titolarità del credito, il c.d. “consilium fraudis” del debitore ed,
eventualmente, la “partecipatio fraudis” del terzo avente causa) e condizioni oggettive (i.e. l’”eventus
damni” e la natura di atto dispositivo/traslativo dell’atto revocabile).
In particolare, per quanto riguarda i presupposti soggettivi, chi esercita l’azione revocatoria dovrà
dimostrare:
1. di essere già, al momento della proposizione della domanda, “creditore” (senza che, per altro, sia
necessaria anche l’esigibilità o la liquidità del credito);
2. che il debitore3 “era a conoscenza del pregiudizio che - con l’atto oggetto di revocatoria - arrecava
alle ragioni del creditore” e
3. che, nel caso in cui si sia trattato di un atto a titolo oneroso, il terzo avente causa fosse a conoscenza
del pregiudizio causato al creditore4 (per altro potendosi avvalere, in tali ultimi due casi, di elementi
presuntivi ai fini della prova5).
In merito ai presupposti oggettivi, due sono le condizioni che devono ricorrere (come sopra evidenziato):
1. deve sussistere l’eventus damni, ossia il “pregiudizio” alle ragioni creditorie; tale “pregiudizio” dovrà
manifestarsi non tanto - come ha avuto modo di chiarire la giurisprudenza della Suprema Corte - come
un danno attuale alle ragioni del creditore6, quanto piuttosto come “pericolo” del verificarsi del danno:
sarà, in altre parole, sufficiente per il creditore dimostrare che, con il compimento dell’atto revocabile,
si renderà più complesso e “difficoltoso”7 il recupero di quanto dovuto e
2. l’atto oggetto di revoca deve avere una funzione “dispositiva” e “traslativa”; in altre parole, l’atto
deve essere tale da generare, quale suo effetto, la “fuoriuscita” dal patrimonio del debitore di uno o
2 Si veda l’articolo 2901, cod. civ.. 3 Si veda l’articolo 2901, cod. civ., n. 1). 4 Si veda l’articolo 2901, cod. civ., n. 2). 5 Si vedano Cassazione n. 17327/2011 e n. 22591/2013. 6 Si veda Cassazione, n. 16464/2009. 7 Si veda Cassazione n. 2651/2013.
Giurisprudenza
36 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
più beni e/o diritti (quali sono, ad esempio, una vendita, una donazione e/o, anche la concessione di
una garanzia reale).
Gli effetti dell’azione revocatoria sono quelli propri della declaratoria di inefficacia parziale
dell’atto (revocato) nei confronti del creditore: l’atto di disposizione, oggetto di revoca, rimane
valido ed efficace (e il bene “trasferito” entra nella sfera del terzo avente causa a tutti gli effetti) ;
tuttavia il creditore che abbia promosso l’azione otterrà, in ragione della sentenza di revoca, una
sorta di “diritto di seguito” e potrà esercitare sul bene un’azione esecutiva (ai sensi dell’articolo
602, c.p.c.)8, godendo di una sorta di diritto di prelazione sugli altri creditori (dell’alienante e
dell’avente causa).
Nell’ambito degli strumenti giuridici diretti alla “conservazione” del patrimonio del debitore va
annoverata, quale tipologia particolare di azione revocatoria, anche la c.d. azione revocatoria
“fallimentare”. Tale azione, la cui disciplina è dettata - e non a caso – dall’articolo 64 e ss., R.D. 267/1942
(nota come “Legge Fallimentare”), può essere esercitata una volta dichiarato il fallimento del debitore e
ha la funzione precipua di recuperare alla massa attiva fallimentare tutti i beni del debitore fallito
(anche quelli - per la verità alcuni di quelli - che abbia trasferito prima della dichiarazione di fallimento),
onde garantire la par condicio creditorum (ossia il diritto di tutti i creditori a essere soddisfatti, in parti
uguali, sui beni del fallito, fatti salvi, naturalmente, i diritti di prelazione riconosciuti dalla legge9). A tal
fine, l’articolo 67, L.F. sancisce la revocabilità di una serie di atti dispositivi del debitore, compiuti anche
uno o due anni (a seconda della tipologia dell’atto dispositivo) prima della dichiarazione di fallimento,
sempre a condizione che il terzo fosse a conoscenza (o dovesse essere a conoscenza) dello stato di
insolvenza del debitore.
Revocatoria e atto di scissione – Tribunale di Roma, ordinanza del 7 novembre 2016
Nell’ambito degli atti che possono formare oggetto di azione revocatoria (sia essa ordinaria o
fallimentare) è discusso (ed ampio è il dibattito) se possa rientrarvi anche l’atto di scissione, così come
disciplinato dagli articolo 2506 e ss., cod. civ..
La scissione è quell’operazione finalizzata al “trasferimento”10 di parte o tutto del patrimonio della
società scissa (ossia della società della cui scissione si tratta) ad altra società od ad altre società (di
nuova costituzione o preesistenti, dette “beneficiarie”). In astratto, la scissione sembra poter rientrare a
8 L’articolo 602, c.p.c. regola le modalità di espropriazione contro il terzo proprietario. 9 Ossia i previlegi, il pegno e l’ipoteca. 10 Da leggersi in senso “a-tecnico”, come poi si commenterà.
Giurisprudenza
37 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
pieno titolo tra quegli atti idonei a causare un pregiudizio alle ragioni dei creditori; ciò nella misura in
cui si ritenga che l’assegnazione dei beni e diritti alla società beneficiaria determini una riduzione della
“garanzia patrimoniale” dei creditori della società scissa.
Una recente decisione del Tribunale di Roma11, a parziale riforma di una propria ordinanza12, ha tuttavia
statuito – pur ricordando che sul tema le posizioni della giurisprudenza divergono e che la Corte di
Cassazione non si è ancora pronunciata sul punto - che la scissione societaria non può formare oggetto
di un’azione revocatoria13.
La tesi del Tribunale di Roma
Il Collegio del Tribunale romano fonda la propria tesi sulle seguenti argomentazioni:
1. l’azione revocatoria è incompatibile con il “sistema di garanzie” già previsto dall’ordinamento
giuridico in materia di scissione. Sostiene, il giudice, in particolare che:
c) l’azione revocatoria non è ammissibile in ragione del disposto dell’articolo 2504-quater, cod. civ.,
che stabilisce l’“irregredibilità” della scissione una volta effettuato il deposito dell’atto di scissione
presso il Registro Imprese14;
d) l’ordinamento giuridico già riconosce a favore dei creditori dei rimedi “c.d. “endosocietari”, quali:
− la facoltà (concessa ai creditori) di opporsi alla scissione (così come previsto dall’articolo 2503,
cod. civ.)15;
− il diritto, in ogni caso, al risarcimento del danno di coloro che siano danneggiati dall’operazione
(si veda l’articolo 2504-quater, comma 2, cod. civ.) e
− la responsabilità solidale della società beneficiaria per i debiti della società scissa (così come
previsto dall’articolo 2506-quater, ultimo comma, cod. civ.). Detti rimedi rappresentano un “sistema
chiuso” di tutele, che già soddisfano le stesse esigenze che sono alla base dell’azione revocatoria
(che deve intendersi, quindi, preclusa);
i. la scissione non è né un atto a titolo gratuito né atto dispositivo e traslativo del patrimonio
della società scissa; la scissione va configurata, piuttosto, come “un’operazione societaria tipica
a formazione progressiva” nell’ambito della quale l’identità giuridica sostanziale della società
11 Tribunale di Roma, Sez. Fall., Ord. 7 novembre 2016. 12 Tribunale di Roma, Sez. Fall., Ord. 16 agosto 2016. 13 Si trattava, nella fattispecie, di un’azione revocatoria promossa dalla curatela fallimentare di una società fallita avente ad oggetto l’atto di
scissione parziale con il quale il suo patrimonio era stato suddiviso tra 2 società neocostituite. 14 Secondo l’articolo in commento l’invalidità della scissione, una volta effettuate le formalità pubblicitarie, non può più essere pronunciata
(ciò ai fini di tutelare la certezza dei rapporti giuridici scaturenti dalla stessa operazione). 15 L’articolo 2503, cod. civ. stabilisce che i creditori delle società coinvolte nell’operazione possano opporsi ad essa entro 60 giorni dal deposito
presso il Registro Imprese delle relative deliberazioni delle assemblee dei soci (nel caso in cui vi ravvisino un pregiudizio alle loro ragioni).
Giurisprudenza
38 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
scissa non muta, ma si rinnova e continua a “vivere” nella beneficiaria. In ossequio a tale
orientamento16, sostiene il giudice, viene a mancare uno dei requisiti “oggettivi” per l’esercizio
dell’azione revocatoria (ossia il presupposto della natura dispositiva/traslativa dell’atto
revocabile);
ii. la responsabilità solidale tra la società beneficiaria e la società scissa (per i debiti di
quest’ultima)17 fa venir meno l’eventus damni, ossia il pregiudizio alle ragioni del creditore, che
rappresenta (anch’esso) una condizione necessaria per l’esperimento dell’azione revocatoria.
Le tesi a favore della revocabilità della scissione
Coma ha sottolineato lo stesso giudice romano, la questione è materia di costante discussione e, in più
di un’occasione, le argomentazioni sopra illustrate sono state oggetto di vari approfondimenti (e di
critiche). Qui di seguito, cercheremo di esporre - seguendo lo schema sopra esposto - le obiezioni mosse
alla tesi del Tribunale capitolino:
1. contro la tesi che considera l’irregredibilità degli effetti della scissione quale elemento impeditivo
dell’azione revocatoria si schiera una parte della giurisprudenza18. Detta giurisprudenza ritiene che, se
da una parte, il disposto dell’articolo 2504-quater, cod. civ. abbia l’indubbio effetto di impedire ogni
azione diretta a dichiarare l’“invalidità” dell’atto di scissione (onde evitare ogni pregiudizio alla stabilità
organizzativa delle società scaturenti dalla scissione), dall’altra parte esso, in mancanza di una
previsione espressa, non può essere inteso nel senso di impedire atti volti a far dichiarare l’“inefficacia”
relativa - ossia solamente a favore dei creditori che abbiano esercitato l’azione revocatoria - dell’atto di
scissione, così consentendo ai suddetti creditori di rivalersi sui beni oggetto dell’operazione. In altre
parole, la revocabilità dell’atto di scissione è ammissibile in quanto essa (i.e. l’eventuale revoca) non va
a incidere sull’esistenza dell’operazione in sé che, invece, rimane valida (in ossequio al principio
stabilito dall’articolo 2504-quater, cod. civ.), ma ha ed avrà - solamente - l’effetto di modificare “i
rapporti di preferenza tra creditori” in caso di esercizio della conseguente azione esecutiva (in analogia
con quanto avverrebbe, del resto, nel caso di esercizio dell’azione risarcitoria prevista dallo stesso art.
2504-quater, secondo comma, cod. civ.)19;
16 Si tratta della teoria “modificativa” della scissione, la quale riconosce nella scissione “una complessa modificazione del contratto sociale”
che tuttavia permane e “continua” nella società beneficiaria, senza che ciò porti ad un “trasferimento” del patrimonio della società scissa. Tale
tesi è avvalorata da una decisione della Suprema Corte (si veda Cassazione SS.UU., ordinanza n. 2637/2006). 17 Così come prevista dall’articolo 2506-quater, ultimo comma, cod. civ.. 18 Si veda per tutti Tribunale di Venezia, sentenza 5 febbraio 2006. 19 È curioso notare come tale argomento sia stato utilizzato anche dal giudice di prima istanza del tribunale capitolino nell’ordinanza del 16
agosto 2016 (si veda nota 12).
Giurisprudenza
39 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
2. parte della giurisprudenza contesta anche l’assunto relativo all’esaustività (ed esclusività) dei rimedi
c.d. “endosocietari”20 rispetto all’azione revocatoria. Le critiche mosse a tale tesi possono essere
declinate sotto due distinti profili:
a) non vi è alcuna norma di diritto positivo che consenta all’interprete di considerare in modo tassativo
e privo di “alternative” il sistema delle tutele previsto dagli articolo 2503, 2506-ter e 2506-quater, cod.
civ. (ossia quelle norme che contemplano e disciplinano i rimedi “endosocietari”);
b) i rimedi “endosocietari” e l’azione revocatoria hanno “finalità” ed “effetti” diversi:
l’opposizione (che può esercitare il creditore entro 60 giorni dal deposito della delibera di
scissione) è atto volto a interrompere l’operazione e non, com’è invece la revoca, a renderlo inefficace
“a posteriori”; mentre l’opposizione può essere esercitata solamente dai creditori che siano tali al
momento della scissione, l’azione revocatoria potrà essere intrapresa anche dai creditori successivi
(ed, in particolare, come sovente accade, dal curatore fallimentare della società scissa che sia
dichiarata poi “fallita”);
il diritto al risarcimento del danno (così come riconosciuto dall’articolo 2504-quater, comma 2, cod.
civ.) riguarda, in generale, la lesione della garanzia patrimoniale (ed è azionabile limitatamente
all’ipotesi di invalidità del procedimento di scissione), mentre l’azione revocatoria è rimedio specifico
contro la lesione subita dal singolo creditore21;
il principio di solidarietà tra società scissa e società beneficiaria per i debiti della prima non
garantisce al creditore la stessa tutela che egli, invece, avrebbe con l’esercizio dell’azione
revocatoria: nel primo caso il creditore concorre con tutti gli altri creditori (anche quelli del soggetto
beneficiario) ed “entro i limiti del valore effettivo del patrimonio assegnato”, mentre nell’ipotesi
dell’azione revocatoria il creditore godrebbe di un diritto di preferenza sui beni oggetto di revoca
(rispetto agli altri creditori);
i. l’operazione di scissione va configurata, in realtà, proprio come atto “traslativo” (e, quindi,
rientrante nel perimetro degli atti revocabili) in ragione del fatto, per altro indubbio, che la società
beneficiaria - per effetto della scissione - diviene titolare di beni e diritti che in precedenza non
rientravano nel proprio patrimonio22;
ii. così come ha avuto modo di chiarire la stessa Suprema Corte23, l’eventus damni sussiste anche
nel caso in cui l’atto (oggetto di revoca) “renda più incerta o difficoltosa la realizzazione del
20 Ossia, come qui si ricorda, l’“opposizione” alla scissione, la “risarcibilità del danno” e la “responsabilità solidale” della società beneficiaria. 21 Così si esprime il Tribunale di Palermo, sentenza 25 maggio 2012. 22 Tribunale di Roma, ordinanza del 16 agosto 2016. 23 Si veda nota 7.
Giurisprudenza
40 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
credito”, fatto questo che va accertato caso per caso e non dedotto in modo dogmatico da una
norma di legge (quale quella sulla solidarietà ex articolo 2506-quater, cod. civ.). Va, inoltre,
segnalato che il fatto stesso che il creditore debba agire nei confronti di un soggetto terzo (la
società beneficiaria), dovendo altresì dimostrare la capienza del patrimonio trasferito rispetto al
credito24, è elemento che già di per sé - è stato ritenuto - può configurare la sussistenza del
“pregiudizio” del creditore25.
Conclusioni
In ragione di quanto osservato sopra, non si può che auspicare un intervento della nostra Suprema Corte
al fine di chiarire il contrasto giurisprudenziale sorto sul tema oggetto della presente trattazione.
Nell’attesa ci pare, nondimeno, opportuno svolgere qui di seguito alcune brevi considerazioni di
carattere generale.
Se da una parte risulta lacunosa la tesi dell’esaustività del rimedi “endosocietari”, come sopra descritti,
in mancanza di una espressa norma di legge che lo sancisca, dall’altra non convince appieno, in punta
di diritto, nemmeno la tesi dell’irregredibilità della scissione: se il Legislatore avesse inteso porre un
punto di assoluto “non ritorno” con riferimento all’atto di scissione, probabilmente avrebbe dovuto
estendere anche all’ipotesi di “inefficacia” i limiti previsti dall’articolo 2504-quater, cod. civ.26 in tema
“invalidità”: ma così non è stato, e non è.
In realtà, l’esame dell’intera questione dovrebbe essere affrontata dal punto di vista delle finalità
proprie dell’azione revocatoria. Come si può evincere dal dettato della norma (i.e. l’articolo 2901, cod.
civ.), obiettivo principale della “revocatoria” è consentire al creditore di poter aggredire quei beni del
debitore che quest’ultimo abbia intenso, scientemente, trasferire a terzi al fine di sottrarli all’azione
esecutiva: come già ricordato sopra, è essenziale che l’atto “revocabile” sia un atto di “disposizione” a
favore di un terzo e che, mediante esso, il/i bene/i esca/no dalla sfera di “controllo” del creditore. Ma se
così deve essere, siamo proprio sicuri che l’atto di scissione produca un tale tipo di effetto? Sul punto
ritengo si possa avanzare più di qualche dubbio. L’operazione di scissione, come si può evincere anche
da una decisione della nostra Suprema Corte in tema di fusione27, non porta all’estinzione e/o alla
creazione di società (se non dal punto di vista meramente formale), ma determina “solamente” una
24 Come abbia osservato, ai sensi dell’articolo 2506-quater, cod. civ., la “solidarietà” della società beneficiaria opera “solamente” nei limiti del
valore del patrimonio netto assegnato ad essa e solamente una volta che sia stata esercitata, senza esito, l’azione esecutiva contro la società
scissa (vale in altre parole il principio del c.d. beneficium excussionis). 25 Vedi in questo senso Tribunale di Benevento, sentenza 17 settembre 2012. 26 L’articolo 2504-quater, cod. civ., per intenderci, stabilisce che l’invalidità della scissione non possa essere dichiarata una volta intervenuta
l’iscrizione dell’atto presso il Registro Imprese. 27 Vedi nota 16: tale decisione risulta applicabile, per analogia, anche al fenomeno della scissione.
Giurisprudenza
41 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
modifica del contratto sociale, senza soluzione di continuità (i.e. la società scissa - si sostiene - continua
a “vivere” nelle società beneficiarie): e ciò per effetto del disposto dell’articolo 2506-quater, cod. civ.
(che, ricordiamo, stabilisce il principio di solidarietà della società beneficiaria per i debiti della scissa28).
L’effetto di tale teoria è che il bene continua a rimanere, sostanzialmente, nella disponibilità del
debitore e soprattutto, per quanto qui interessa, del creditore. Tale argomentazione potrebbe (e
dovrebbe) essere utilizzata anche per sostenere e avvalorare la tesi, per altro già fatta propria da parte
della giurisprudenza (come sottolineato nei precedenti paragrafi), che nell’operazione di scissione non
ricorra nemmeno l’eventus damni: tale presupposto, infatti, dovrebbe ricorrere ove la difficoltà nel
recuperare il credito si rivelasse, per causa dell’atto posto in essere, oggettiva ed effettiva e non, invece,
quando il creditore sia comunque in grado di “aggredire” il “patrimonio” del debitore, anche se con una
diversa modalità29 operativa.
Sulla base delle considerazioni sopra svolte, possiamo pertanto concludere rilevando come ci sembri
maggiormente meritoria (e più fondata) la tesi secondo la quale mancherebbero, nel caso della
scissione, alcuni di quei presupposti che sono, invece, necessari e devono sussistere perché l’azione
revocatoria possa essere effettivamente esercitata.
28 Così come l’articolo 2504-bis, cod. civ. (intitolato “Effetti della fusione”) prevede l’assunzione da parte della società risultante dalla fusione
dei diritti ed obblighi delle società partecipanti alla fusione. 29 Ossia attraverso un’azione esecutiva da promuoversi contro la beneficiaria.
Giurisprudenza
42 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Le modifiche di clausole statutarie che
dispongono quorum rafforzati
richiedono l'approvazione con quorum
parimenti rafforzati: la sentenza della
Cassazione n. 4967/2016 di Federico Colognato - avvocato
Valeria Marocchio - dottoressa in giurisprudenza
Con una recente sentenza la Corte di Cassazione, per la prima volta, ha affermato che i criteri di
ermeneutica contrattuale espressi dagli articoli 1362 e ss., cod. civ., in assenza di una diversa
indicazione espressa dello statuto societario, non consentono di ammettere la possibilità che
una clausola statutaria (c.d. di salvaguardia1) - nel richiedere una maggioranza qualificata per
l’adozione di talune delibere - sia modificabile con quorum inferiori.
Introduzione
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4967/20162 ha affrontato, per la prima volta, la problematica
relativa alla determinazione della maggioranza assembleare necessaria per modificare una clausola
statutaria che preveda, per l'adozione di alcune deliberazioni concernenti specifiche materie, un quorum
qualificato.
Detto in altri termini, la questione affrontata dalla Cassazione era la seguente: qualora sia presente una
clausola statutaria che richieda una maggioranza "rafforzata" per deliberare su determinati argomenti
o materie, nel silenzio dello statuto con quale maggioranza si dovrà modificare la clausola stessa?
1 Con l'espressione “clausola di salvaguardia” si fa riferimento ad una previsione statutaria che richieda per la modifica di quorum rafforzati per
determinati argomenti quorum equivalenti. Si veda C. A. Busi, “I quorum assembleari della Srl e la loro derogabilità”, pag. 49. 2 Cassazione n. 4967/2016, in Riv. Not., II, 2016, pag. 318 ss.. Per un commento alla sentenza de qua, si veda altresì R. Bencini, “Quorum
deliberativi a tutela della minoranza: scacco matto alla maggioranza”, in Il Quotidiano Giuridico, 24 marzo 2016; M. Stella Richter jr., “Può una
norma statutaria riferirsi a sé stessa?”, in Corriere Giur., VII, 2016, pag. 962 ss.; C. Marchetti e G. Terranova, “L'interpretazione delle clausole
statutarie: il recente intervento della Corte di Legittimità nell'ottica del diritto comparato – Il commento, in Notariato”, 2016, V, pag. 479 ss. (nota a
sentenza); N. De Luca, A. Napolitano, “Maggioranze rafforzate e principio di “autoprotezione”. Note sull'interpretazione degli statuti secondo comune
intenzione e buona fede (nota a Cassazione n. 4967/2016)”, in Società, VI, 2016, pag. 683 ss.; E. Ratti, “Le clausole statutarie di salvaguardia e le
maggioranze necessarie per la loro modifica, nota a Cassazione n. 4967/2016”, in Giur. it., 2016, XII, pag. 2666 ss.; A. Ruotolo, D. Boggiali, “La
modifica di clausole che prevedano quorum rafforzati richiede maggioranze parimenti rafforzate” (Cassazione n. 4967/2016), in CNN Notizie del 16
marzo 2016, pag. 2 e ss..
Giurisprudenza
43 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Devono raggiungersi le medesime maggioranze "rafforzate" o sarà possibile procedere a modificarle
con le c.d. maggioranze "ordinarie" previste dal codice civile?
La giurisprudenza di merito (anteriore alla citata pronunzia della Suprema Corte) non era mai approdata
a una soluzione univoca sul punto.
L'analisi delle decisioni di merito, infatti, rivela il formarsi di due orientamenti contrapposti tra loro: da
un lato v'è chi3 concludeva a favore della modificabilità di dette clausole statutarie attraverso
l'applicazione delle maggioranze "ordinarie" previste dalla legge, mentre altre pronunce4 ritenevano
necessaria la medesima maggioranza qualificata prevista dalla clausola, per modificare altresì la
clausola stessa.
La Cassazione è quindi intervenuta, aderendo a tale ultima posizione, conseguentemente deve dirsi che,
qualora non diversamente previsto dallo statuto, le modifiche di una clausola statutaria che preveda un
quorum rafforzato per le deliberazioni concernenti specifiche materie, sono da approvare con le
medesime maggioranze rafforzate previste dalla norma statutaria medesima.
Successivamente sono giunti a sostenere la tesi de qua, altresì i recenti Orientamenti del Comitato
Triveneto dei Notai in materia di atti societari I.F.3 e H.F.4, rispettivamente in tema di Srl e Spa5.
L'orientamento (oggi) superato: modificabilità a maggioranza ordinaria (in assenza di
una diversa espressa previsione)
Come poc'anzi accennato, secondo una prima interpretazione giurisprudenziale6, prevalente in
giurisprudenza e in dottrina7 fino alla pubblicazione della citata sentenza della Corte di Cassazione, le
3 Si veda amplius nota 6. 4 Per tale secondo orientamento, minoritario in giurisprudenza fino alla pubblicazione della citata sentenza della Corte di Cassazione, si veda
Tribunale di Genova, sentenza del 7 maggio 1991, in Società, 1991, pag. 1529r ss.; Tribunale di Napoli, sentenza n. 2516/1981, in Foro Nap., I,
pag. 260 e ss.. 5 Si veda Massima H.F.4 del Triveneto in tema di Spa (Modifiche statutarie di clausole che prevedono quorum rafforzati), pubblicata nel
settembre 2016, rinvenibile in http://www.notaitriveneto.it/dettaglio-massime-triveneto-57-spa---modifiche-dellatto-costitutivo.html;
Massima I.F.3 del Triveneto in tema di Srl (Modifiche statutarie di clausole che prevedono quorum rafforzati), pubblicata nel settembre 2016 e
rinvenibile in http://www.notaitriveneto.it/dettaglio-massime-triveneto-72-srl-modifiche-dellatto-costitutivo-in-generale.html. 6 Per l'orientamento giurisprudenziale prevalente fino alla pubblicazione della citata sentenza della Cassazione si veda in particolare, Tribunale
di Milano, sentenza 8 marzo 2007 in Giur. it., 2007, pag. 2773 ss.; Tribunale di Reggio Emilia, sezione I, sentenza 2 dicembre 2005, in Riv. Not.,
III, 2007, pag. 682 ss., con nota di S. Clericò, “Le clausole di salvaguardia e le maggioranze necessarie per la loro eliminazione”; e in Società, 2006,
pag. 1257 ss., con nota di F. Fanti, “Diritto di informazione del socio e modificabilità a maggioranza delle c.d. clausole di salvaguardia”; Tribunale
di Udine, ordinanza 21 ottobre 1998, in Società, 1998, pag. 1452 ss., con nota adesiva di P. Anello, S. Rizzini Bisinelli, “Modifica della clausola
“di salvaguardia” a maggioranza semplice”; da ultimo anche Tribunale di Ascoli Piceno, sentenza 12 aprile 2014, in Giur. it., 2015, pag. 135 ss.,
con nota adesiva di F. Occelli, “Modificazione di clausole statutarie di Srl e disposizioni di “salvaguardia””; Tribunale di Avellino, 1 giugno 2010,
in Not., V, 2011, pag. 528 ss., con nota di M. Guarini, “È sempre valida la clausola statutaria di quorum assembleari particolarmente elevati?”;
Tribunale di Trento, decreto 22 dicembre 2004, in Società, IX, 2005, pag. 1157 ss., con nota di E. L. Ntuk, “Maggioranze per la modifica dei diritti
particolari dei soci di Srl”. 7 Si veda per tutti, A. Cerrai, A. Mazzoni, “La tutela del socio e delle minoranze”, in Riv. Soc., I-II, 1993, pag. 69 ss.; A. Ruotolo, “Clausole di
“salvaguardia negli statuti societari””, Risposta a Quesito n. 174-2007/I del 22 novembre 2007, in Studi e materiali del Consiglio Nazionale del
Notariato, 2007, pag. 1613 ss.. Si veda anche S. Clericò, “Le clausole di salvaguardia e le maggioranze necessarie per la loro eliminazione”; F. Fanti,
“Diritto di informazione del socio e modificabilità a maggioranza delle c.d. clausole di salvaguardia”; P. Anello, S. Rizzini Bisinelli, “Modifica della
clausola “di salvaguardia” a maggioranza semplice”; F. Occelli, “Modificazione di clausole statutarie di Srl e disposizioni di “salvaguardia””; M. Guarini,
Giurisprudenza
44 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
clausole che impongono dei quorum assembleari per determinate deliberazioni societarie, avrebbero
innanzitutto natura eccezionale: non ne sarebbe, quindi, consentita l'interpretazione estensiva o
analogica al di là delle sole ipotesi espressamente previste dallo statuto8.
Tale ricostruzione, facendo leva sul dato letterale, ritiene che la formulazione della clausola statutaria
de qua esaurisca l'ambito interpretativo della stessa, ergo la delibera di modifica della citata clausola
potrebbe essere adottata dall'assemblea applicando gli ordinari quorum deliberativi fissati dalla legge9.
E ciò in base anche alle comuni regole di ermeneutica contrattuale di cui agli articoli 1362 e ss., cod.
civ., per le quali l'intenzione delle parti – ove il tenore letterale della clausola pattizia sia chiaro e
univoco – dovrebbe essere desunta esclusivamente dalla lettera della norma10.
Più precisamente, tale orientamento rileva come sia del tutto arbitrario ritenere che la volontà dei soci
sia sicuramente volta a “blindare” anche la clausola che preveda i c.d. quorum rafforzati, in quanto non
si comprenderebbe il motivo per cui le parti, avendo esplicitamente previsto maggioranze qualificate
per l'adozione di delibere aventi a oggetto specifiche materie, non abbiano previsto pari maggioranze
anche per la modifica della clausola che li dispone11.
“È sempre valida la clausola statutaria di quorum assembleari particolarmente elevati?”; E. L. Ntuk, “Maggioranze per la modifica dei diritti particolari
dei soci di Srl”. 8 In tal senso Tribunale di Reggio Emilia, sezione I, sentenza 2 dicembre 2005: “Il “quorum” qualificato richiesto dallo statuto per l'approvazione
delle deliberazioni concernenti specifiche modificazioni statutarie non può ritenersi necessario anche per l'approvazione della delibera modificativa
della clausola statutaria contemplante il suddetto quorum rafforzato. L'articolo dello statuto sociale, che dispone maggioranze qualificate, è, infatti,
norma eccezionale non suscettibile di interpretazione analogica o estensiva, né nel caso di specie sarebbe possibile individuare, in ordine alle materie
per le quali si prevede il quorum rafforzato, la sussistenza di diritti indisponibili che possano giustificare l'estensione delle suddette maggioranze
qualificate anche alla clausola che le dispone”. Cfr. amplius in commento al provvedimento de qua, S. Clericò, “Le clausole di salvaguardia e le
maggioranze necessarie per la loro eliminazione”, pag. 685 ss.; F. Fanti, “Diritto di informazione del socio e modificabilità a maggioranza delle c.d.
clausole di salvaguardia”, pag. 1259 ss.. 9 In tal senso, si veda Tribunale di Milano, sentenza 8 marzo 2007: “La clausola statutaria che, in una società a responsabilità limitata, prevede la
maggioranza rafforzata dei 4/5 del capitale per l'approvazione di deliberazioni di aumento del capitale sociale può essere modificata, al pari di ogni
altra clausola statutaria ed in assenza di una disciplina pattizia ad hoc, con le maggioranze di legge”. 10 Si veda amplius nota a Cassazione n. 4967/2016, in Riv. Not., pag. 322. 11 Cfr. sul punto, S. Clericò, “Le clausole di salvaguardia e le maggioranze necessarie per la loro eliminazione”, pag. 687 e 688, il quale ritiene
condivisibile l'opinione di chi, al fine di risolvere la questione dell'applicazione o meno di quorum rafforzati anche alla modifica della
disposizione che li contempla, “focalizza l'attenzione sull'interpretazione dell'atto costitutivo. La Suprema Corte ha più volte affermato che lo statuto
di un ente collettivo deve essere interpretato secondo le regole dell'ermeneutica contrattuale. Ciò determina, innanzitutto, il venir meno
dell'argomentazione basata sull'eccezionalità e, quindi, sull'inapplicabilità analogica della previsione statutaria contemplante maggioranze rafforzate.
Quello della natura eccezionale è, infatti, criterio ermeneutico che attiene all'interpretazione della legge e non del contratto, e quindi non applicabile
all'atto costitutivo di una Spa. La Suprema Corte ha, altresì, specificato che non tutte le regole dell'ermeneutica contrattuale devono essere applicate
all'atto costitutivo, ma solamente quelle oggettive, che cioè ricercano il significato del negozio non sulla base della comune intenzione delle parti ma
sulla base di valutazioni normative. Il contratto sociale è, infatti, stipulato per lo svolgimento di un'attività, e quindi, non si esaurisce nell'interesse
delle parti ma crea un'organizzazione che ha il compito di svolgere l'attività programmata, ponendo in essere nei confronti dei terzi una serie indefinita
di atti. In altre parole, l'atto costitutivo, in particolar modo quello di società per azioni, è destinato per sua stessa natura ad incidere sugli interessi di
soggetti diversi da quelli che l'hanno formato e che sono i destinatari diretti dei suoi effetti. Tutto ciò spiega perché il Legislatore, per le società di
capitali, abbia istituito un sistema di pubblicità legale ed abbia escluso che possano essere opposti ai terzi fatti non iscritti, e dimostra, altresì, per
quale motivo nell’interpretazione dell’atto costitutivo di Spa occorra far riferimento esclusivamente alle regole oggettive. In caso contrario si darebbe
la possibilità alla parte contrattuale di opporre al terzo la volontà non iscritta del Registro e, quindi, di dare alla propria dichiarazione un significato
diverso da quello oggettivo.
Esclusa quindi la possibilità di esaminare lo statuto alla ricerca di un’ipotetica volontà dei contraenti, sembrano perdere vigore le argomentazioni
proposte da chi afferma la modificabilità a maggioranza rafforzata della clausola di salvaguardia. L’orientamento che sostiene tale tesi, infatti, prende
spunto proprio da un’implicita volontà dei contraenti che, al contrario, le regole d’interpretazione oggettiva non considerano, essendo volte, come già
precisato, a ricostruire il significato del negozio esclusivamente sulla base di valutazioni normative. A ben vedere, però, nemmeno tali valutazioni
(esplicite nel principio di conservazione del contratto, in quello delle pratiche generali, delle espressioni polisense, dell’interpretazione contro l’autore
della clausola e nel principio dell’interpretazione equitativa) secondo la giurisprudenza prevalente, potrebbero trovare applicazione in un’ipotesi quale
Giurisprudenza
45 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Per estendere la portata delle disposizioni statutarie che importino maggioranze superiori a quelle
previste dalla legge, secondo tale orientamento è in ogni caso indispensabile un'ulteriore e apposita
previsione statutaria, rappresentando, l'imposizione di maggioranze rinforzate, una vera e propria
norma eccezionale, non suscettibile dunque di interpretazione analogica o estensiva12.
Come traspare dall'attuale disciplina codicistica, inoltre, essendo ampiamente riconosciuto ai soci un
elevato grado di autonomia nel determinare il contenuto dello Statuto, anche in tema di decisioni
assembleari, in difetto di una clausola espressa, non sembra lecito oltrepassare il limite
dell'interpretazione letterale, andando così a creare una volontà contrattuale mai espressa dalle parti13.
quella in esame. La Suprema Corte, infatti, ha più volte affermato come di fronte ad un testo contrattuale chiaro, quale quello sottoposto all’esame
del Tribunale di Reggio Emilia, non si potrebbe far ricorso ad alcun criterio ermeneutico; e anche quelle isolate decisioni della Suprema Corte che
hanno sostenuto il contrario hanno fatto sempre riferimento alla necessaria applicazione delle regole d’interpretazione soggettiva che già si è chiarito
non essere applicabili allo statuto di una Spa”. 12 Così, C. A. Busi, “I quorum assembleari della Srl e la loro derogabilità”, Studio 119-2011/I approvato dalla Commissione di Studi di Impresa del
Consiglio Nazionale del Notariato, in “Studi e materiali”, 2011, pag. 1211 e ss., cit., spec. 1275 ss..
Un esempio topico in cui vengono in rilievo maggioranza rafforzate è quello della introduzione di diritti particolari a favore dei soci di Srl. Per
una fattispecie concreta, si veda Tribunale di Trento, decreto 22 dicembre 2004, il quale, nel rigettare l'istanza, ha statuito “che l’introduzione
ex novo, nell’atto costitutivo, della clausola derogativa del consenso unanime dei soci, richiede a sua volta tale unanimità, poiché altrimenti verrebbe
sostanzialmente vanificata la regola dell’immodificabilità dei diritti particolari senza il consenso di tutti i soci, la cui deroga trova pur sempre
giustificazione nella manifestazione della volontà di costoro, nel senso che la clausola dell’atto costitutivo che preveda la modifica a maggioranza è
un regolamento contrattuale diverso dall’unanimità, espressamente pattuito da tutte le parti contraenti: è pur sempre dalla volontà dei soci,
manifestata all’atto della conclusione del contratto di società ovvero all’atto di una sua modifica pattuita all’unanimità, che deriva l’assoggettamento
di ciascuno di essi alle deliberazioni della maggioranza; che per rendere legittima la delibera non è sufficiente riproporre il testo dell’articolo 2468,
comma 4, cod. civ., laddove viene fatto salvo in ogni caso quanto previsto dall’articolo 2473, comma 1, cod. civ., poiché tale clausola di salvezza
consente al socio di recedere anche nell’ipotesi di legittima modifica a maggioranza dei particolari diritti previsti dall’atto costitutivo, ma non consente
all’assemblea di modificare a maggioranza l’atto costitutivo allo scopo di introdurvi ex novo la clausola derogativa dell’unanimità”. Sicché, è a dirsi,
per la corte territoriale trentina che deve essere modificata col consenso di tutti i soci l'introduzione di una clausola statutaria che consenta
la modifica a maggioranza dei diritti dei soci riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili; in caso contrario verrebbe
vanificata la norma (espressione della personalizzazione della partecipazione), introdotta ex novo dalla riforma delle società, con la quale si
prevede che tali diritti possono essere modificati solo col consenso di tutti i soci, salva diversa disposizione dell'atto costitutivo, cfr. sul punto,
la nota di E. L. Ntuk, “Maggioranze per la modifica dei diritti particolari dei soci di Srl”, pag. 1158. Cfr. in tema anche A. Cerrai, A. Mazzoni, “La
tutela del socio e delle minoranze”, pag 69 ss., ove si puntualizza come non sarebbe affatto “sufficiente, nell'ottica della minoranza interessata alla
preservazione di tali clausole, che lo statuto prevedesse separatamente, per ciascuna di esse, un particolare regime di supermajority in ordine alla
modifica o soppressione della clausola stessa. Invero, qualora, il regime generale di quorum deliberativo per l'assunzione di delibere straordinarie di
modifica dello statuto non fosse stato esso stesso elevato fino a conferire alla minoranza un concreto potere di blocco “a tutto campo”, rimarrebbe
aperta per la maggioranza la possibilità di modifica, con la sola osservanza del quorum deliberativo di legge, di quella parte di ogni singola clausola
contenente il regime particolare di auto-protezione della clausola stessa. In altre parole: senza un sostanziale potere di blocco rispetto ad ogni
modifica statutaria, rischia di rivelarsi illusorio (perché esso stesso modificabile con le maggioranze di legge) ogni regime deliberativo particolare,
previsto come specifica cintura di sicurezza attorno a determinate clausole, in sé e per sé considerate”. Tuttavia, anche il rimedio stesso della c.d.
“clausola di salvaguardia” è stato ritenuto non decisivo da un'autorevole opinione (M. Stella Richter jr, “Considerazioni generali in tema di
modificazione dell'atto costitutivo di società a responsabilità limitata”, in Giust. Civ., 2010, pag. 519 ss.), che contestando l'orientamento
giurisprudenziale prevalente (cfr. amplius in questo paragrafo), aveva ritenuto che la soluzione della modificabilità delle clausole in oggetto
secondo i quorum ordinari previsti dalla legge, da esse stesse derogati, non sarebbe corretta “né giuridicamente né, tanto meno, logicamente. Dal
punto di vista del diritto, infatti, propone una interpretazione formalistica che è contraria al principio di conservazione di cui all'articolo 1367, cod.
civ. e si direbbe anche al canone di interpretazione di buona fede (articolo 1366, cod. civ.)”. La critica posta in essere dall'Autore dal punto di vista
logico si basa sul fatto che nemmeno il ricorso a una clausola di salvaguardia potrebbe offrire un'adeguata soluzione di chiusura del sistema:
tale clausola sarebbe infatti pur sempre modificabile con le maggioranze ordinarie, salvo immaginare un'ulteriore norma di chiusura e così via
all'infinito (si veda in tale ultimo senso il paragone posto dall'Autore con la norma posta dall'articolo 139 della Costituzione, ove si prevede
che la forma repubblicana non può essere oggetto della c.d. revisione costituzionale). Ancora, per l'Autore - riprendendo i principi della teoria
generale del diritto -, “o si afferma che le norme di un sistema che prevedono una speciale procedura per le modificazioni di alcune o tutte le norme
del sistema stesso sono norme che si pongono ad un livello superiore e non sono perciò in alcun modo modificabili, posto che la proposizione nella
quale si sostanziano non può riferirsi a se stessa; oppure si ragiona ... nel senso di ammettere una sorta di autoreferenzialità o riflessività sulle norme
di produzione relative alle modifiche, ritenendole, attraverso processi di interpretazione o integrazione, anche riferite o riferibili a se stesse”. Cfr. su
quanto poc'anzi esposto anche M. Stella Richter jr., “Può una norma statutaria riferirsi a sé stessa?”, pag. 962 ss.. 13 Si veda in tal senso, da ultimo Tribunale di Ascoli Piceno, sentenza 12 aprile 2014: “... È, infatti, facoltà dei soci modificare a maggioranza
semplice una clausola che preveda maggioranze qualificate qualora la stessa non contenga alcun meccanismo di salvaguardia, ossia una regola che
estenda la maggioranza qualificata anche alla deliberazione della sua modifica. “La clausola che stabilisce maggioranze ultra qualificate è, infatti,
Giurisprudenza
46 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
L'interpretazione oggi preferibile: sempre necessaria una maggioranza rafforzata
(anche in caso di mancata espressa previsione)
Secondo l'altra interpretazione offerta dalla giurisprudenza, rimasta tuttavia (fino a oggi) minoritaria
anche in dottrina14, le clausole statutarie che impongono quorum assembleari rafforzati per
deliberazioni aventi a oggetto determinate materie, anche in assenza di un'apposita previsione
statutaria, potrebbero essere, invece, a loro volta modificate soltanto con gli stessi quorum qualificati,
salvo che, appunto, non sussista una “non equivoca diversa volontà negoziale”15.
Le argomentazioni poste a fondamento di tale tesi sono principalmente 2.
In primis, la previsione statutaria di una particolare maggioranza per le deliberazioni concernenti alcune
materie, renderebbe sostanzialmente “rigido” lo statuto relativamente a quelle specifiche materie, e,
conseguentemente, tali clausole sarebbero immodificabili a maggioranza semplice.
Diversamente opinando, verrebbe di fatto svuotato il contenuto del precetto che impone una soglia più
elevata16: il quorum rafforzato, sarebbe infatti espressione della volontà delle parti d'introdurre, per ciò
che attiene alle deliberazioni inerenti le materie in essa previste, elementi di “rigidità” nello statuto.
Sarebbe, infatti, oltremodo illogico e incoerente non attribuire questo carattere “rigido” anche alla
disposizione che tali quorum rafforzati prevede.
La tesi in questione, dunque, facendo leva sulla volontà implicita delle parti, giunge ad affermare come
sarebbe del tutto privo di senso interpretare una simile clausola non modificabile con gli stessi quorum
norma eccezionale rispetto al principio delle maggioranze assembleari stabilito dalla legge e, in quanto tale, non è, in generale, suscettibile di
interpretazione estensiva o analogica””. Cfr. anche, in commento al provvedimento ivi citato, F. Occelli, “Modificazione di clausole statutarie di Srl
e disposizioni di “salvaguardia”” pag. 137. In generale sul temasi veda. anche M. Guarini, “È sempre valida la clausola statutaria di quorum
assembleari particolarmente elevati?”, in commento a Tribunale di Avellino, sentenza 1° giugno 2010, secondo il quale “sono invalide le clausole
statutarie che prevedendo un'elevatissima maggioranza determinano una paralisi dell'azione della società, come nell'ipotesi in cui l'unico socio di
minoranza, per la situazione della compagine sociale, ha un potere di veto o di interdizione in ordine all'adozione delle deliberazioni di modifica dello
statuto”. In tema si veda anche Tribunale di Roma, sentenza 20 novembre 2001: “Può essere validamente modificata a maggioranza semplice la
clausola dello statuto di una società per azioni che preveda la necessità di un "quorum" deliberativo qualificato in relazione ad alcune materie, in
mancanza di una esplicita disposizione statutaria che imponga tale "quorum" anche per la modifica della clausola stessa”, in Gius., 2002, pag. 1088
ss..; Tribunale di Milano, sentenza 2 ottobre 1989: “La clausola statutaria che, in una società a responsabilità limitata, prevede la maggioranza
favorevole dell'ottantacinque per cento del capitale per l'approvazione delle deliberazioni di aumento del capitale sociale, può essere
modificata dall'assemblea straordinaria con il voto favorevole della maggioranza prevista in via generale dall'articolo 2486, cod. civ.”., in
Società, 1990, pag. 50 ss.. 14 Cfr. per tutti, M. Stella Richter jr., “Può una norma statutaria riferirsi a sé stessa?”, pag. 962 ss.; si veda anche Id., “Considerazioni generali in
tema di modificazione dell'atto costitutivo di società a responsabilità limitata”, in Giust. Civ., 2010, pag. 519 ss.. SI veda anche E. Bocchini, “Sulla
nullità della clausola statutaria che prevede l'unanimità per la delibera di modifica dell'atto costitutivo”, in nota a Corte di Appello di Napoli, 23
marzo 1978, in Banca, borsa, tit. cred., 1978, II, pag. 500 ss.. 15 In tal senso, Tribunale di Genova, sentenza del 7 maggio 1991. 16 In tal senso, Tribunale Genova, sentenza del 7 maggio 1991, secondo il quale “la previsione statutaria di una particolare maggioranza per le
deliberazioni concernenti alcune materie non può che rendere sostanzialmente “rigido” lo statuto stesso nella parte concernente le materie anzidette
ed immodificabile con maggioranze semplici la norma dotata di tali caratteristiche di rigidità. Del tutto elastico diverrebbe, infatti, tale precetto se di
esso fosse consentita la modificazione senza alcuna particolare maggioranza come invece prescritto per quelle materie sulle quali l'assemblea
dovrebbe con tali particolari quorum deliberare. Ancorché non sia stato espressamente previsto dallo statuto, infatti, non può non ritenersi che, come
le materie espressamente previste dall'art. 15 dovrebbero riportare la maggioranza dei quattro quinti dei voti favorevoli, altrettanto debba conseguire
una modificazione del medesimo art. 15 prevedente siffatte maggioranze sotto pena, in difetto, di veder svuotare di ogni pratico contenuto tale
previsione e, di fatto, assoggettata a minore maggioranza una deliberazione attinente le materie anzidette”.
Giurisprudenza
47 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
rafforzati, paventandosi altrimenti il rischio di un abuso di alcuni soci che, con due mere delibere a
maggioranza semplice, potrebbero arbitrariamente operare in quelle materie per cui i soci medesimi
abbiano predisposto particolari cautele17.
E ciò, pure in difetto di un'apposita clausola di salvaguardia18 - contenuta all'interno dello statuto
stesso, la quale estenda espressamente il regime di rafforzamento per le decisioni che intendano
modificare le suddette clausole statutarie
In secondo luogo, per il principio di conservazione dei contratti di cui all'articolo 1367, cod. civ. -
secondo il quale in ipotesi di dubbio interpretativo, i contratti e le clausole vanno interpretati nel senso
in cui possano avere un qualche effetto, anziché in quello in cui non ne avrebbero alcuno - , difronte a
clausole statutarie del tipo in discorso, lo statuto (in generale e la singola clausola in particolare) deve
comunque interpretarsi nel senso che anche le modificazioni di tali clausole siano rette (per identità di
ratio) dalla stessa identica maggioranza19.
Deve peraltro ricordarsi che già il Consiglio Notarile di Firenze, nel dare comunque atto dello "stato
dell'arte" in materia, aveva segnalato la possibilità di un'apertura alla tesi (allora) minoritaria.
La motivazione dell'orientamento fiorentino n. 42/201420 statuiva infatti che “... Occorre infine stabilire
se la clausola che innalza, ad esempio, automaticamente – al verificarsi del presupposto previsto nello statuto
medesimo – il quorum costitutivo o deliberativo sia soggetta, per la sua modificazione, a quello stesso regime
rafforzato oppure al generale regime vigente per le altre modifiche statutarie.
Da un lato non sembra ipotizzabile una sorta di “estensione automatica” del quorum rafforzato: non basta
prevedere che la clausola, ad esempio, relativa all’oggetto sociale possa essere – a seguito dell’innalzamento
del quorum – modificata “con una deliberazione approvata dai 9/10 del capitale sociale”, per fare in modo
che anche la predetta norma statutaria sia modificabile con le maggioranze rafforzate.
Da un altro lato appare sensato ritenere che la modificabilità della norma che rafforza i quorum non possa
avvenire a condizioni meno rigorose, con le minori maggioranze legali.
17 Secondo il citato provvedimento del Tribunale di Genova, sarebbe, dunque, “illegittima la deliberazione di modifica della clausola statutaria,
che per talune materie richiede la maggioranza qualificata di quattro quinti dei soci, adottata dall'assemblea con la maggioranza della metà più uno
dei soci”. In tal senso v. anche Tribunale di Napoli, 15 aprile 1981, per il quale “lo svuotamento del contenuto della stessa (clausola) appare
chiaramente dalla conseguenza che, a superare l'ostacolo, sarebbero sufficienti due deliberazioni successive a maggioranza ordinaria”. In dottrina, si
veda S. Clericò, “Le clausole di salvaguardia e le maggioranze necessarie per la loro eliminazione”, pag. 687; F. Fanti, “Diritto di informazione del
socio e modificabilità a maggioranza delle c.d. clausole di salvaguardia”, pag. 1262 ss.; F. Occelli, “Modificazione di clausole statutarie di Srl e
disposizioni di “salvaguardia””, pag. 137; A. Ruotolo, “Clausole di “salvaguardia negli statuti societari””. 18 Si veda nota a Cassazione, n. 4967/2016, in Riv. Not., pag. 321. 19 Così Tribunale di Napoli, sentenza 15 aprile 1981: “Quando vi è una clausola statutaria che per date deliberazioni prevede una maggioranza
rinforzata, lo statuto deve interpretarsi nel senso che anche le deliberazioni modificative di tale clausola siano rette dalla stessa maggioranza
rinforzata”. Si veda anche nota a Cassazione n. 4967/2016, in Riv. Not., pag. 323; A. Ruotolo, “Clausole di «salvaguardia negli statuti societari””. 20 "Quorum assembleari variabili" del Consiglio Notarile di Firenze, rinvenibile in
http://www.consiglionotarilefirenze.it/index.php/orientamenti/societa-di-capitali/organi-sociali/109-quorum-assembleari-variabili-42-2014.html.
Giurisprudenza
48 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
La prassi suggerisce quindi di prevedere espressamente che, al verificarsi del presupposto che innalza il
quorum per determinate decisioni, si accompagni un’espressa previsione statutaria che rende modificabile o
disattivabile tale quorum rafforzato solo con una maggioranza equivalente”.
Dalla sentenza della Corte di Cassazione alle Massime del Triveneto
Come già anticipato in questa sede, quest'ultimo secondo orientamento giurisprudenziale trova oggi
l'avallo della Corte di Cassazione, nonché del Consiglio Notarile del Triveneto.
Orbene, nel caso esaminato dai giudici di legittimità, l'articolo 17 dello statuto di una Spa - nel
richiedere la maggioranza del 60% per le delibere concernenti talune materie, sia in prima che in
seconda convocazione -, non menzionava espressamente anche quelle delibere aventi a oggetto la
modifica proprio di tale articolo (e, in particolare, la soglia azionaria richiesta per l'adozione di quelle
particolari decisioni).
Da qui il tentativo da parte dei soci di maggioranza - che tuttavia non raggiungevano la richiesta
maggioranza del 60% dei titoli azionari -, di modificare la previsione statutaria riportando le
maggioranze in tale articolo previste a quelle (più basse) di cui all'articolo 2369, cod. civ. (che nel
testo previgente ante riforma richiedeva per la valida assunzione delle delibere, il voto favorevole
dei soci titolari di azioni rappresentanti più di un terzo del capitale sociale) 21, con conseguente
lamentata lesione dei diritti degli altri soci per violazione di norma statutaria e per abuso della
maggioranza.
Sia in primo che in secondo grado la domanda di annullamento della delibera veniva rigettata dai
giudici aditi22, ergo i soci di minoranza proponevano ricorso per Cassazione la quale, con la citata
21 Articolo 2369, cod. civ. ante riforma operata grazie all'intervento dell'articolo 1, D.Lgs. 6/2003, con decorrenza dal 1° gennaio 2004. Seconda
convocazione e convocazione successive, “1. Se i soci intervenuti non rappresentano complessivamente la parte di capitale richiesta dall'articolo
precedente, l'assemblea deve essere nuovamente convocata. 2. Nell'avviso di convocazione dell'assemblea può essere fissato il giorno per la seconda
convocazione. Questa non può aver luogo nello stesso giorno fissato per la prima. Se il giorno per la seconda convocazione non è indicato nell'avviso,
l'assemblea deve essere riconvocata entro trenta giorni dalla data della prima, e il termine stabilito dal secondo comma dell'articolo 2366 è ridotto
ad otto giorni. 3. In seconda convocazione l'assemblea ordinaria delibera sugli oggetti che avrebbero dovuto essere trattati nella prima, qualunque
sia la parte di capitale rappresentata dai soci intervenuti, e l'assemblea straordinaria delibera con il voto favorevole di tanti soci che rappresentino
più del terzo del capitale sociale, a meno che l'atto costitutivo richieda una maggioranza più elevata. 4. Tuttavia anche in seconda convocazione è
necessario il voto favorevole di tanti soci che rappresentino più della metà del capitale sociale per le deliberazioni concernenti il cambiamento
dell'oggetto sociale, la trasformazione della società, lo scioglimento anticipato di questa, il trasferimento della sede sociale all'estero e l'emissione di
azioni privilegiate”. 22 “... 2. La Corte territoriale ha rilevato che l'articolo 17 dello statuto sociale, nel richiedere la maggioranza del 60% per le assemblee, sia in prima
che in seconda convocazione, per gli argomenti concernenti talune materie, riguardava soltanto le delibere aventi per oggetto tali materie e non
comprendeva anche quelle aventi ad oggetto la modifica di tale previsione. In conseguenza, essa ha ritenuto che legittimamente l'assemblea del 5
settembre 2001 aveva proceduto a mutare tale clausola, ai sensi dell'articolo 2369, cod. civ., nel testo previgente alle modifiche apportate dal D.Lgs.
6/2003, ossia con il voto favorevole di soci titolari di azioni rappresentanti più di un terzo del capitale sociale, ... . La Corte d'Appello ha ritenuto
insussistente il lamentato abuso della maggioranza in quanto: a) quest'ultimo non sarebbe configurabile con riferimento ad una delibera che, in sé
legittima, costituisce mero atto preparatorio della decisione asseritamente abusiva; b) pur volendo considerare il risultato finale di procedere, con la
diversa maggioranza risultante dalla modifica dello statuto, all'annullamento delle azioni proprie, con conseguente riduzione del capitale sociale e
ricostituzione dello stesso a titolo gratuito, ossia, in altre parole, l'obiettivo di rimuovere una situazione che ostacolava le finalità deliberative,
comunque l'articolo 17 dello statuto aveva sottratto alla maggioranza qualificata le delibere aventi ad oggetto le modifiche dello statuto, in tal modo
Giurisprudenza
49 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
sentenza n. 4967/2016 pubblicata in data 14 marzo dello scorso anno, si è per l'appunto pronunciata
sulla controversa questione giurisprudenziale.
Facendo proprio l'orientamento giurisprudenziale da ultimo esaminato, la Suprema Corte conclude
che, “alla stregua del fondamentale criterio di buona fede, illuminato dal rilievo della intenzione comune
delle parti”, appare “intrinsecamente contradditorio, in presenza di una clausola statutaria finalizzata a
garantire, con riferimento a determinate materie, un potere di interdizione ad una minoranza determinata,
contemporaneamente consentire alla maggioranza non qualificata di modificare liberamente la previsione
che tale potere attribuisce. In altre parole, salva una non equivoca diversa volontà negoziale, nella specie
insussistente, una clausola che protegga la minoranza richiedendo una maggioranza rafforzata per le
delibere aventi ad oggetto gli argomenti concernenti determinate materie non può essere modificata da
una maggioranza più limitata. E che tale fosse la funzione dell'articolo 17 dello statuto della ... Spa si
desume proprio dalla ricostruzione causale operata dalla sentenza impugnata che ha colto nella clausola
della quale si discute l'obiettivo di fissare i rapporti di forza esistenti al momento e di assicurare la
persistenza degli stessi attraverso la previsione di una maggioranza che imponeva l'accordo tra i diversi
gruppi”23.
La Corte giunge a una simile statuizione partendo dalla considerazione che gli statuti statutari sono
innanzitutto atti di autonomia privata e, in particolare, dei contratti.
Conseguentemente, gli stessi sono, dunque, sottoposti ai criteri ermeneutici previsti in tema di
contratti dal codice civile agli articoli 1362 ss., criteri a loro volta raggruppabili in due categorie:
criteri c.d. soggettivi (articoli 1362 – 1365, cod. civ.), e criteri c.d. oggettivi (articoli 1367 – 1371,
cod. civ.), intervallati dal generale criterio interpretativo secondo buona fede, ex articolo 1366, cod.
civ.24. In particolare, con riferimento alla disciplina dei contratti, dottrina e giurisprudenza sono
unanimi nell'affermare che i c.d. criteri soggettivi debbano prevalere, nel corso dell'attività
ermeneutica, sui c.d. criteri oggettivi, senza tuttavia porre tra gli stessi alcuna differenziazione
gerarchica: solo dopo aver verificato concretamente l'insufficienza dei criteri soggett ivi si potrà
ricorrere a quelli oggettivi25.
attribuendo solo temporaneamente e in modo precario ai soci di minoranza un peso determinante nell'adozione delle decisioni riguardanti le suddette
materie; c) non era stata dimostrata l'intenzionalità specificamente dannosa perseguita dal socio di maggioranza di sottrarsi al controllo della
minoranza sulle irregolarità contestate nell'amministrazione della società, alla luce della meritevolezza dell'interesse perseguito di superare gli
ostacoli all'efficienza assembleare derivanti dai dissidi tra i soci e, in ogni caso, dell'assenza di un vantaggio ingiustificatamente conseguito con
l'operazione descritta”. 23 Così testualmente Cassazione n. 4967/2016, in Riv. Not., pag. 321, cit.. 24 Articolo 1366, cod. civ. Interpretazione di buona fede: “Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede”. 25 Si veda amplius sul punto C. Marchetti, G. Terranova, “L'interpretazione delle clausole statutarie”, pag. 479 ss.. Cfr. in tema di interpretazione
dei contratti anche C. M. Bianca, “Diritto civile. III. Il contratto”, Milano, 2000, pag. 407 ss.; M. C. Diener, “Il contratto in generale”, Milano, 2015,
pag. 483 ss..
Giurisprudenza
50 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Orbene, in verità, non è altrettanto pacifica l'applicazione del citato ordine “gerarchico” tra i criteri
interpretativi; anzi è a dirsi che la posizione largamente prevalente26 in materia ritiene che
l'interpretazione degli statuti societari non sarebbe soggetto a tale gerarchia (così come elaborata con
riferimento in generale agli altri atti di autonomia privata), ma l'ermeneutica interpretativa dovrebbe
essere condotta soltanto in forza dei criteri oggettivi.
Ebbene la Corte di Cassazione, nella sentenza in argomento, in merito alle questioni poc'anzi esposte
prende una ben precisa posizione: discostandosi innanzitutto dalla citata interpretazione (maggioritaria)
in forza della quale gli statuti delle società andrebbero interpretati solo sulla base di criteri ermeneutici
oggettivi; nonché assumendo come cardine dell'ermeneutica statutaria il generale criterio della buona
fede di cui all'articolo 1366, cod. civ..
Orbene, la buona fede27, nell'ermeneutica contrattuale in generale, è intimamente connesso con gli
speculari articoli del codice civile in relazione alle fasi delle trattative e dell'esecuzione del contratto
(articolo 1337 e 1375, cod. civ.), nonché, con riferimento alle obbligazioni in generale (articolo 1175,
cod. civ.)28.
Ma, con riferimento a tale criterio, si discute in dottrina se debba essere annoverato fra i c.d. criteri
oggettivi o soggettivi; vi è inoltre una particolare tesi che, non qualificandolo né come oggettivo né
come soggettivo, lo considera piuttosto (in sintonia con la Relazione al codice, n. 622), quale “punto di
sutura” e criterio intermedio tra i due gruppi di criteri interpretativi29.
Nel solco del citato dibattito qualificatorio, la pronuncia della Cassazione in discorso annovera il
criterio della buona fede tra i criteri c.d. soggettivi e, in particolare, elevandolo la buona fede a criterio
"ancillare" del criterio (soggettivo per antonomasia), di cui all'articolo 1362, cod. civ.30. I giudici di
legittimità, infatti, hanno statuito che “Nel sistema normativo delineato dagli articoli 1362 e ss., cod. civ.,
si osserva che la verifica condotta alla stregua della formulazione letterale deve comunque essere
accompagnata dalla applicazione dei criteri dell'interpretazione funzionale, ai sensi dell'articolo 1369 cod.
26 Si veda amplius sul punto C. Marchetti, G. Terranova, ibidem. 27 "Buona fede" ovverosia parametro di condotta che le parti impegnate in una relazione contrattuale devono seguire e rispettare. Sul punto si
veda per tutti C. M. Bianca, “Diritto civile. III. Il contratto”, pag. 500 ss.; in giurisprudenza per tutti, Cassazione n. 11151/1995, in Vita not., 1996,
pag. 919 ss., la cui massima recita “Il principio dell'articolo 1375, cod. civ., secondo il quale "il contratto deve essere eseguito secondo buona fede"
si applica anche ai contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune. A ciò non osta
la personificazione delle società di capitali”. 28 Articolo 1337, cod. civ., Trattative e responsabilità precontrattuale: “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del
contratto, devono comportarsi secondo buona fede”; articolo 1375, cod. civ., Esecuzione in buona fede: “Il contratto deve essere eseguito
secondo buona fede”; articolo 1175, cod. civ., Comportamento secondo correttezza: “Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le
regole della correttezza”. 29 Si veda amplius sul punto C. Marchetti, G. Terranova, “L'interpretazione delle clausole statutarie”; pag. 479 ss.. 30 Articolo 1362, cod. civ., Intenzione dei contraenti: “1. Nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle
parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. 2. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento
complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”.
Giurisprudenza
51 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
civ., e dell'interpretazione secondo buona fede, ai sensi dell'articolo 1366, cod. civ., che si caratterizzano
quali primari criteri d'interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto, avendo riguardo allo
scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa
concreta”31.
Da tale assunto istituzionale, la Suprema Corte deriva le conseguenze del caso concreto “Ed, infatti,
proprio alla stregua del fondamentale criterio di buona fede, illuminato dal rilievo della intenzione comune
delle parti, appare intrinsecamente contraddittorio, in presenza di una clausola statutaria finalizzata a
garantire, con riferimento a determinate materie, un potere di interdizione ad una minoranza determinata,
contemporaneamente consentire alla maggioranza non qualificata di modificare liberamente la previsione
che tale potere attribuisce.
In altre parole, salva una non equivoca diversa volontà negoziale, nella specie insussistente, una clauso la
che protegga la minoranza richiedendo una maggioranza rafforzata per le delibere aventi ad oggetto gli
argomenti concernenti determinate materie non può essere modificata da una maggioranza più
limitata”32.
Quanto concluso dalla Cassazione il 14 marzo 2016, è stato fatto proprio altresì nel settembre dello
stesso anno, dalle citate Massime del Triveneto.
In particolare, con riferimento alle Srl, l'Orientamento I.F.3. dell'Osservatorio Societario del Triveneto
ha affermato che:
“1. Si ritiene che qualora in uno statuto sociale vi sia una clausola che preveda un quorum decisionale
rinforzato per l’assunzione di una determinata deliberazione assembleare, tale clausola non possa essere
modificata con il quorum previsto in generale per le deliberazioni modificative dello statuto sociale.
2. Per la valida modifica di clausole che prevedono quorum deliberativi rinforzati occorrono i medesimi
quorum rinforzati previsti da dette clausole.
3. La regola esposta trova applicazione tutte le volte che nello statuto non sia contenuta una diversa
previsione, anche in assenza di una specifica clausola in tal senso.
4. Se, diversamente, fosse consentito alla medesima maggioranza cui è inibito di adottare determinate
delibere di rimuovere il divieto alla loro adozione, si renderebbe priva di effetto la clausola che introduce i
quorum rinforzati in violazione della regola ermeneutica contenuta nell’articolo 1367, cod. civ.33”.
31 Si veda amplius sul punto C. Marchetti, G. Terranova, “L'interpretazione delle clausole statutarie”; pag. 479 ss.; R. Bencini, “Quorum deliberativi
a tutela della minoranza: scacco matto alla maggioranza”; cfr. altresì A. Busani, “Massimario delle operazioni societarie”, Milano, 2016, pag. 823
ss.; in giurisprudenza, si veda anche Cassazione n. 22343/2014. 32 Così testualmente Cassazione, n. 4967/2016, in Riv. Not., pag. 321, cit.. 33 Così la Massima I.F.3 del Triveneto in tema di Srl (Modifiche statutarie di clausole che prevedono quorum rafforzati), pubblicata nel settembre
2016 e rinvenibile in http://www.notaitriveneto.it/dettaglio-massime-triveneto-72-srl-modifiche-dellatto-costitutivo-in-generale.html#inizio. Si
veda altresì A. Busani, “Massimario delle operazioni societarie”, pag. 824, nota 9; cfr. in tema Consiglio Nazionale del Notariato, “Quesito di
Giurisprudenza
52 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
Negli stessi termini, in materia di Spa, la Massima del Triveneto H.F.434 riprende pedissequamente il
medesimo tenore letterale e l'ordine di conclusioni succitato.
In conclusione, dunque, deve dirsi che oggi risulta (definitivamente?) adottato il principio secondo il
quale, qualora, dunque, in uno statuto di società di capitali sia stata inserita una clausola che preveda
un quorum deliberativo particolarmente rafforzato per l’assunzione di delibere assembleari inerenti
determinate materie, a fronte di quanto statuito dalla analizzata sentenza della Corte di Cassazione,
tale clausola non potrà essere modificata con il quorum previsto in generale per le deliberazioni
modificative dello statuto sociale; a contrario troveranno comunque applicazione i suddetti quorum
deliberativi rinforzati anche quando lo Statuto nulla dica sul punto.
A fronte dell'esposto dibattito dottrinale pregresso, nonché della posizione finora maggioritaria
sostenuta dalle corti di merito, l'operatore del diritto è consigliabile che adotti le opportune cautele nel
conformare gli statuti societari e le singole clausole, qualora le stesse, nel discostarsi dal dato
normativo, siano atte a normare una materia fino a oggi molto controversa.
In ogni caso, sarà opportuno, come suggerito a suo tempo dall'orientamento fiorentino citato
precedentemente, che i soci, per evitare l'insorgere di conflitti successivi, prevedano espressamente
che, al verificarsi del presupposto che innalza il quorum per determinate decisioni, si accompagni
un’espressa previsione statutaria che rende modificabile o disattivabile tale quorum rafforzato solo con
una maggioranza equivalente.
Impresa n. 174-2007/I, “Clausole di salvaguardia” negli statuti societari”, in CNN Notizie del 22 novembre 2007; Consiglio Nazionale del Notariato,
“Quesito di Impresa n. 209-2009/I, Atto costitutivo di Srl e modifica delle clausole che prevedano l'unanimità dei consensi”, in CNN Notizie del 30
giugno 2010; Consiglio Nazionale del Notariato, “Studio di Impresa n. 119-2011/I, I quorum assembleari della Srl e la loro derogabilità”, in CNN
Notizie del 27 luglio 2011. 34 Così la Massima H.F.4 del Triveneto in tema di Spa (Modifiche statutarie di clausole che prevedono quorum rafforzati), pubblicata nel
settembre 2016, rinvenibile in http://www.notaitriveneto.it/dettaglio-massime-triveneto-57-spa---modifiche-dellatto-costitutivo.html.
53 La rivista delle operazioni straordinarie n. 4/2017
EDITORE E PROPRIETARIO
Gruppo Euroconference Spa
Via E. Fermi, 11 - 37135 Verona
DIRETTORE RESPONSABILE
Fabio Garrini
DIREZIONE E COORDINAMENTO SCIENTIFICO
Gianluca Cristofori
COMITATO DI REDAZIONE
Giulio Andreani Guido Bevilacqua
Riccardo Borsari Massimo Buongiorno
Sergio Pellegrino Giovanni Valcarenghi
REDAZIONE
Milena Martini
SERVIZIO CLIENTI
Per informazioni sull’abbonamento scrivere a:
circolari@euroconference.it
SITO INTERNET
Per informazioni e ordini:
www.euroconference.it/editoria
I numeri arretrati sono disponibili nell’area riservata,
accessibile tramite le proprie credenziali dal link:
http://www.euroconference.it/area_riservata_login.
In caso di smarrimento delle password è possibile utilizzare la
funzionalità “Hai dimenticato la password?” disponibile nella
pagina di login.
PERIODICITÀ E DISTRIBUZIONE
Mensile
Vendita esclusiva per abbonamento
ABBONAMENTO ANNUALE 2017
Euro 165 Iva esclusa
Per i contenuti di “La rivista delle operazioni straordinarie” Gruppo Euroconference Spa comunica di aver assolto agli obblighi derivanti dalla
normativa sul diritto d’autore e sui diritti connessi. La violazione dei diritti dei titolari del diritto d’autore e dei diritti connessi comporta
l’applicazione delle sanzioni previste dal capo III del titolo III della legge 22.04.1941 n.633 e succ. mod.
Tutti i contenuti presenti sul nostro sito web e nel materiale scientifico edito da Gruppo Euroconference Spa sono soggetti a copyright.
Qualsiasi riproduzione e divulgazione e/o utilizzo anche parziale, non autorizzato espressamente da Gruppo Euroconference Spa è vietato.
La violazione sarà perseguita a norma di legge. Gli autori e l’editore declinano ogni responsabilità per eventuali errori e/o inesattezze relative
all’elaborazione dei contenuti presenti nelle riviste e testi editi e/o nel materiale pubblicato nelle dispense. Gli autori, pur garantendo la
massima affidabilità dell’opera, non rispondono di danni derivanti dall’uso dei dati e delle notizie ivi contenute. L’editore non risponde di
eventuali danni causati da involontari refusi o errori di stampa.
top related