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LA CONVERSIONE DEL PIGNORAMENTO – PRASSI A CONFRONTO E
SOLUZIONI
1.La ratio della previsione. 2.L’istanza di conversione: a)
profili soggettivi; b) modalità di presentazione; c)
questioni di ammissibilità: il versamento del quinto –
tardiva proposizione dell’istanza e diritto transitorio –
restituzione e riproposizione in caso d’inammissibilità; 3.
Conversione e sospensione del procedimento esecutivo; 4. La
liquidazione dei crediti e la determinazione del residuo. La
conversione rateale; 5.Decadenza
1.La ratio della previsione
L’art.495 c.p.c. ha l’obiettivo di realizzare il pagamento
dell’intero credito azionato esecutivamente e disciplina una
modalità di estinzione del processo esecutivo e
dell’obbligazione pecuniaria. E’ inutile l’immobilizzo dei
beni se il debitore è disposto a versare somme di danaro,
preferendo che il pagamento avvenga attraverso il processo,
previa liquidazione del dovuto e, eventualmente, richiesta di
ammissione al beneficio della rateizzazione se le cose
pignorate sono costituite da immobili.
E’ noto che la conversione opera attraverso la sostituzione
dell’oggetto del pignoramento con una somma di denaro, per
cui fino all’assegnazione l’esecuzione continua sia pure con
un oggetto diverso: è escluso pertanto quando il pignoramento
sia caduto sin dall’origine su somme di denaro; è ammesso,
invece, a seguito della modifica ex art.13 l.302/98, in caso
di pignoramento dei crediti.
La norma pone problemi applicativi, alcuni dei quali hanno
trovato soluzioni univoche nelle prassi giurisprudenziali;
altri invece continuano ad essere oggetto di differente
interpretazione.
2.L’istanza di conversione.
a) Profili soggettivi.
Deve essere presentata dal debitore o vi è a riguardo
legittimazione anche di soggetti estranei alla procedura?
La questione è diversamente affrontata in dottrina ed ha un
profilo pratico perché, in caso di risposta positiva, al
terzo sarebbe consentito intervenire nel processo.
La Cassazione si è pronunciata su due ipotesi specifiche:
- la conversione può essere sempre richiesta dal terzo,
il cui bene sia stato assoggettato a pignoramento per
il soddisfacimento coattivo di un debito altrui;
effettuata la conversione, il terzo potrà altresì
proporre l'opposizione di cui all’art. 619 c.p.c.
ovvero proseguire nell’opposizione già proposta, in
quanto la conversione del pignoramento sopravvenuta non
comporta la cessazione della materia del contendere
(Cass. 12.07.1979 n.4059);
- il terzo resosi acquirente - in forza di una pronuncia
emessa ex art.2932 c.c. e sotto condizione del
pagamento del residuo prezzo - di un bene immobile
sottoposto ad espropriazione immobiliare, è
legittimato, a tutela del proprio interesse, a chiedere
ed ottenere la conversione del pignoramento a norma
dell'art. 495 c.p.c. (Cass. 6.04.2009 n.8250). Segnalo
l’importanza di questa pronuncia perché afferma che
terzi proprietari con titolo non opponibile alla
procedura possono accedere all’istituto della
conversione. Più in particolare, in un passaggio della
motivazione, la Corte afferma che “intende dare
continuità e sviluppo al principio già sancito con la
sent. 4059/1979; detta sentenza, nel riconoscere la
legittimazione all’istanza di conversione al terzo, un
bene del quale sia stato assoggettato a pignoramento
per il soddisfacimento di un debito altrui, ha
affermato che l'art. 495 c.p.c., là dove parla soltanto
di < debitore >, attribuendo a questo il potere di
<chiedere di sostituire alle cose pignorate una somma
di danaro pari all'importo delle spese e dei crediti
del creditore pignorante e dei creditori intervenuti>,
ha riguardo all'ipotesi normale, ma non esclude che
possano esservi terzi, parimenti legittimati, in quanto
aventi un interesse ad una pronta liberazione del bene
dal vincolo imposto dal pignoramento; e - in linea con
l'impostazione seguita da una parte della dottrina - ha
superato l'indirizzo restrittivo precedentemente
seguito da Cass. Sez. 3^, 25 maggio 1971, n. 1524, e da
Cass. Sez. 3^, 6 giugno 1975, n. 2253”.
Sulla base di questo orientamento può ritenersi quindi che
anche il coniuge in regime di comunione legale dei beni, non
esecutato, può proporre istanza di conversione in caso di
pignoramento, ancorché pro quota, del bene comune.
La giurisprudenza di merito, per contro, ha escluso la
legittimazione del comproprietario dell’immobile pignorato a
chiedere la conversione, quando il pignoramento ha ad oggetto
solo la quota indivisa del debitore (Trib. Torino 31.10.2003,
in G. mer. 2004, 702), dimostrando in tal modo di accedere ad
una tesi restrittiva a riguardo, valorizzando in via
esclusiva il dato letterale della norma (“il debitore può
chiedere di sostituire...”); trattasi tuttavia di un
orientamento precedente alla pronuncia del 2009 della
Cassazione, che – come accennato – amplia l’ambito
applicativo della norma.
E’ pacifico invece che il terzo proprietario assoggettato
all’esecuzione ai sensi dell’art.602 c.p.c. può proporre
l’istanza di conversione, in questo caso per espresso
disposto normativo (art.604 c.p.c.).
Il terzo, dunque, se ha interesse alla pronta liberazione del
bene dal vincolo del pignoramento può proporre istanza di
conversione, anche se non assume la qualità di debitore nel
procedimento esecutivo. Oltre tale limite è possibile
un’ulteriore estensione della norma? Si discute cioè se la
conversione possa essere richiesta da qualsiasi terzo, purchè
ciò avvenga secondo il parametro di cui all’art. 1180 c.c.
norma sostanziale che consente l’adempimento del terzo, anche
contro la volontà del creditore (la tesi positiva trova
autorevole conferma in Carnelutti, Istituzioni del processo
civile italiano, 56, III, 18). Si consideri inoltre che la
Cassazione ha affermato che è irrilevante, ai fini
dell’ammissibilità dell’istanza, che il debitore abbia
ottenuto da altri il denaro occorrente per la conversione
(Cass. 25.5.1971 n.1524), per cui ritengo che, in definitiva,
il pagamento con effetto estintivo (della procedura e
dell’obbligazione) sia l’unico elemento determinante ai fini
dell’ammissione alla conversione e che non vi sia ragione per
limitare in ambito processuale l’ambito di applicazione degli
istituti previsti in tema di adempimento delle obbligazioni
ivi compreso quello dell’adempimento del terzo. Non vi è
infatti un interesse – di ordine pubblico, con riferimento al
processo, o di natura privata, a latere creditoris – perché
il debitore esecutato esegua personalmente l’obbligazione
pecuniaria.
b) Modalità di presentazione dell’istanza.
La norma stabilisce che “il debitore” può chiedere la
sostituzione dell’esecuto pignorato con una somma di denaro,
per cui deve ritenersi che non è necessario il patrocinio
legale ex artt.82 e segg. c.p.c. L’istanza può essere
presentata dunque personalmente, anche in udienza,
oralmente, con annotazione a verbale della richiesta e prova
del versamento dell’importo indicato dal secondo comma.
Se l’istanza è depositata in Cancelleria dal debitore sarà
necessario che il Cancelliere si accerti dell’identità
dell’istante, con annotazione in calce alla sottoscrizione.
Ritengo che la costituzione tramite difensore del debitore
non impedisca a quest’ultimo personalmente di proporre
istanza di conversazione.
In ogni caso è escluso che l’istanza possa pervenire in
Cancelleria con modalità diverse dal deposito (ad es.
mediante servizio postale, fax ecc.) perché trattandosi di
atto destinato ad avere effetti processuali va rispettata la
forma di cui all’art.486 c.p.c. (le domande e le istanze al
giudice dell’esecuzione sono proposte oralmente quando
avvengono in udienza e con ricorso da depositarsi in
Cancelleria negli altri casi).
c) Questioni sull’ammissibilità dell’istanza.
c1) Il versamento del quinto.
In primo luogo deve procedersi all’esatta individuazione
degli importi da considerare ai fini della richiesta di
conversione: il credito per il quale è stato eseguito il
pignoramento (e non l’eventuale maggior credito originario
inadempiuto) e i crediti degli intervenuti fino al momento
dell’istanza, risultanti dai relativi atti d’intervento;
crediti rapportati all’attualità secondo l’opinione di
autorevole dottrina (Capponi, Danovi), contraddetta tuttavia
dalla prassi prevalente dei tribunali che esclude dal computo
(ai fini del calcolo del quinto) gli interessi.
Su tale somma dunque va calcolato il valore del quinto, che
costituisce l’importo minimo dell’acconto (prima della
riforma ex lege 302/98 il versamento doveva essere pari ad un
quinto; oggi la previsione è di “non inferiore al quinto”).
Le spese di giustizia – ossia quelle relative all’esecuzione
- non entrano nel computo ai fini del calcolo del quinto, in
base alla espressa previsione normativa.
Devono essere infine detratti dall’importo sul quale
calcolare il quinto gli eventuali acconti versati dal
debitore. Autorevole dottrina ritiene che possano essere
defalcati solo gli acconti versati prima dell’inizio del
processo esecutivo, dei quali i creditori non abbiano tenuto
conto in precetto o negli atti d’intervento, affinché non sia
violato il principio della par condicio creditorum. Ritengo
che la soluzione suggerita sia troppo rigida perché finisce
per non tener conto di pagamenti comunque idonei ad essere
considerati ai fini del riparto finale; il debitore cioè
pagherebbe inutilmente – quanto meno ai fini della procedura
esecutiva – qualora effettuasse acconti direttamente ai
creditori dopo il pignoramento.
Orbene, se in pendenza della procedura esecutiva, è possibile
per il debitore estinguere alcune posizioni, ottenendo la
rinuncia del singolo creditore a prescindere dal privilegio
che assiste il credito nella procedura stessa, non è dato
intendere per quale ragione egli non possa effettuare in via
stragiudiziale pagamenti a parziale estinzione di uno dei
credito azionati.
In ogni caso di tali acconti deve darsi prova documentale: la
norma non specifica se trattasi di quella rigorosa ex
art.2699 c.c. (il capo II del titolo II del libro VI del c.c.
rubrica proprio “prova documentale”) oppure quella più
elastica di cui all’art.633 c.p.c. L’equivoco normativo
potrebbe dar origine a contestazioni tra le parti che il
giudice è tenuto a risolvere con l’ordinanza di liquidazione
del credito, soggetta all’opposizione ex art.617 c.p.c.
Evidenzio – in relazione al tema in argomento - che di
recente la Corte di Cassazione ha stabilito che qualora il
debitore, per un errore che egli addebiti a se stesso (nella
specie definendolo "materiale") e che abbia compiuto all’atto
del versamento, abbia versato, ai sensi del secondo comma
dell'art. 495 cod. proc. civ., una somma inferiore alla
misura del quinto, deve escludersi che la sanzione della
inammissibilità della conversione possa essere in concreto
evitata invocandosi da parte del debitore stesso il principio
della idoneità dell'atto al raggiungimento dello scopo per
essere stata versata una somma non di molto inferiore a
quella che si sarebbe dovuta versare e per doversi, quindi,
configurare come effettiva la volontà del debitore di
procedere alla conversione, giacché il suddetto principio non
può venire in rilievo quando la legge commina la sanzione
della inammissibilità (Cass. 24.8.2007 n.17957). Ogni
integrazione quindi della somma depositata con l’istanza deve
ritenersi esclusa.
L’acconto va depositato in Cancelleria ed il cancelliere
provvede successivamente a depositarlo presso un istituto di
credito indicato dal giudice.
Ulteriore problema: quali interventi devono considerarsi
tempestivi ai fini della conversione? La Cassazione ha
stabilito in una pronuncia datata, ma ancora oggi a mio
parere condivisibile, che in tema di conversione del
pignoramento, ex art. 495 c.p.c. venendo meno la fase della
vendita (ormai inutile) e, conseguentemente, l'udienza per
determinarne le modalità, il limite temporale per il
tempestivo intervento di altri creditori nell'esecuzione è
costituito dall'udienza che, ai sensi del secondo comma del
citato art. 495, il giudice dell'esecuzione deve fissare per
sentire le parti, prima di emettere l'ordinanza di
conversione (Cass. 8.11.1982 n.5867). Una complicazione
potrebbe esserci se il giudice non provvede in udienza e
nelle more dello scioglimento della riserva vi sia un
ulteriore intervento: ritengo che il momento preclusivo debba
essere comunque l’udienza in quanto il differimento della
decisione rispetto ad essa non incide sui presupposti sui
quali il provvedimento si basa.
Segnalo tuttavia che si registrano nella giurisprudenza di
merito edita alcune oscillazioni: secondo il Tribunale di
Padova (ord. 12.3.2004 in G mer 2004, 2233) nell’ipotesi di
intervento di creditori muniti di titolo esecutivo
intervenuti dopo l’istanza di conversione, il debitore dovrà
comunicare se intende soddisfare anche questi ultimi oppure
riavere le somme versate per la conversione; secondo il
Tribunale L’Aquila (ord. 10.6.2002 R. esec. forz. 2003, 593)
l’intervento è tempestivo finchè non di determina il
passaggio dal pignoramento dei beni al denaro versato.
c2) Inammissibilità per tardiva proposizione dell’istanza.
Diritto transitorio.
Il primo comma dell’art.495 c.p.c. – così come novellato
dalla l.80/2005, con efficacia dall’1.3.2006 – stabilisce che
l’istanza può proporsi “prima che sia disposta la vendita o
l’assegnazione a norma degli artt.530, 552 e 569 c.p.c.”.
In dottrina si discute se il termine cronologico per la
richiesta di conversione ex l.80/2005 coincida con l’udienza
o con il provvedimento del giudice (che può intervenire o
meno all’udienza): nel primo caso trattasi, a seconda del
tipo di esecuzione, della prima udienza fissata per
l’autorizzazione alla vendita o per l’assegnazione (art.530 –
espropriazione mobiliare); della prima udienza fissata per
l’assegnazione dei crediti (art.552 c.p.c. – espropriazione
presso terzi); della prima udienza fissata per l’audizione
delle parti e dei creditori iscritti ex art.498 c.p.c.
(art.569 c.p.c. – espropriazione immobiliare).
Ritengo che ancorare il limite temporale all’udienza
piuttosto che al provvedimento giudiziale garantisca la
certezza dell’esercizio del diritto.
Può ritenersi invece superato il problema di diritto
transitorio, per le procedure pendenti prima dell’1.3.2006 a
seguito della sentenza della Corte Costituzionale n.309
dell’11.6.2008. Ha stabilito infatti il giudice delle leggi –
aderendo alla tesi più restrittiva fra quelle prospettate
dalla giurisprudenza di merito - che “ai fini della
risoluzione della questione in scrutinio, non è il
provvedimento che dispone la vendita dei beni pignorati
l'atto con riguardo al quale va identificata la normativa
applicabile nel passaggio dal previgente al nuovo regime
processuale, secondo il principio tempus regit actum, bensì
l'istanza di conversione del pignoramento”, concludendo nel
senso che la vendita disposta prima della modifica
legislativa rende inammissibile l’istanza di conversione per
espressa (e non irragionevole) previsione normativa. In tale
valutazione – secondo il ragionamento della Corte – “si deve
tener conto non soltanto del contenuto della nuova normativa,
ma anche delle modalità e dei tempi della sua introduzione,
riferiti all'atto processuale di cui si tratta, e cioè
all'istanza di conversione del pignoramento e non alla
vendita. Quest'ultima, infatti, nei vari momenti in cui la
relativa procedura si svolge, ha soltanto la funzione di
fornire al legislatore i termini delle possibili opzioni
riguardo alla suddetta preclusione; inoltre, la modifica -
che ha anticipato al momento in cui la vendita viene disposta
la preclusione per l'istanza di conversione del pignoramento
rispetto alla previgente disciplina - è stata introdotta con
l'art. 2, comma 3, del decreto-legge n. 35 del 2005,
convertito dalla legge n. 80 del 2005, e la sua entrata in
vigore era differita alla scadenza di centoventi giorni dalla
pubblicazione della legge di conversione nella Gazzetta
Ufficiale, avvenuta il 14 maggio 2005. Successivamente, la
data di entrata in vigore è stata ulteriormente differita al
15 novembre 2005 (art. 8 del decreto-legge 30 giugno 2005, n.
115) e, poi, con la legge di conversione 17 agosto 2005, n.
168, al 1 gennaio 2006, scadenza mantenuta nell'impugnato
art. 1, comma 6, della legge n. 263 del 2005 e, infine,
prorogata al 1 marzo 2006 dall'art. 39-quater del decreto-
legge n. 273 del 2005, convertito dalla legge n. 51 del
2006): i debitori assoggettati a procedure esecutive, nelle
quali la vendita era stata disposta prima della modifica
legislativa, già dalla pubblicazione del primo provvedimento
erano pertanto consapevoli di avere ancora centoventi giorni
per fruire dell'allora vigente regime normativo, termine che
poi, per i differimenti dell'entrata in vigore della nuova
normativa, ha superato i nove mesi. In definitiva, non vi è
stata alcuna compressione di posizioni soggettive processuali
acquisite; ne' varrebbe obiettare che soltanto l'art. 1,
comma 6, della legge n. 263 del 2005 contiene l'espressa
previsione dell'applicazione della novella processuale alle
procedure esecutive in corso. Con tale previsione, infatti,
si è reso esplicito ciò che era già conseguenza dei principi
generali in tema di passaggio dall'una ad altra disciplina
processuale per quanto non regolato da disposizioni
transitorie. Anche volendo ammettere che soltanto con il
citato ultimo provvedimento del dicembre 2005 i debitori
assoggettati a procedura esecutiva siano stati resi
definitivamente edotti dell'applicabilità ad essi della nuova
normativa, è innegabile che costoro abbiano pur sempre potuto
disporre di un termine di circa due mesi, tale da non
incidere gravemente sulla facoltà di presentare l'istanza di
conversione del pignoramento (del resto proponibile subito
dopo il pignoramento stesso)”.
c3) Istanza inammissibile: restituzione della somma versata e
riproposizione.
Deve ritenersi che un’istanza di conversione dichiarata
inammissibile possa essere riproposta, in quanto il limite di
cui all’ultimo comma – secondo l’interpretazione uniforme
della giurisprudenza di merito – si riferisce solo ad ipotesi
d’inadempimento del debitore al versamento del residuo e di
decadenza dal beneficio, con conseguente allungamento dei
tempi della procedura.
Diversamente argomentando il regime sarebbe ingiustamente
sanzionatorio per il debitore, al quale deve consentirsi –
almeno una volta – di accedere al beneficio della
conversione, previa valutazione di ammissibilità
dell’istanza.
E’ altresì prassi pressoché condivisa la restituzione della
somma versata unitamente all’istanza dichiarata
inammissibile; somma che non può essere acquisita alla
procedura per essere in seguito distribuita, in presenza di
espressa previsione normativa. Il quinto comma dell’art.495
c.p.c. stabilisce infatti che solo in caso d’inadempimento
del debitore al tempestivo versamento del credito residuo “le
somme versate formano parte dei beni pignorati”. Si registra
tuttavia un orientamento contrario di autorevole dottrina,
secondo cui l’acconto non può più tornare in possesso del
debitore, qualsiasi sia l’esito della procedura.
3.Conversione e sospensione del procedimento esecutivo.
L’ammissibilità dell’istanza di conversione non implica
necessariamente la sospensione del processo esecutivo. La
questione è stata da tempo chiarita dalle sezioni unite della
Suprema Corte (Cass. sez. un. 19.7.1990 n.7378) che,
prendendo posizione su un conflitto interpretativo a
riguardo, ha stabilito che con il deposito dell’istanza non
si verifica un'automatica sospensione dell'esecuzione, o
dilazione dell'atto già fissato, in quanto difetta una
previsione in proposito, e che, inoltre, le esigenze di
continuità e speditezza della procedura non possono essere
sacrificate per effetto di mere iniziative dell'esecutato,
mentre l'eventuale differimento della vendita resta affidato
alla valutazione del giudice dell'esecuzione, alla stregua
degli elementi del caso concreto (quali le ragioni addotte,
l'ammontare del debito, la condotta delle parti).
In particolare, la serietà dell’impegno di adempimento da
parte del debitore può essere valutata dall’entità del
versamento effettuato contestualmente all’istanza, non
limitato al quinto – ai fini della mera ammissibilità - ma in
percentuale congrua rispetto all’ammontare dei crediti.
A volte la decisione del giudice dell’esecuzione è
condizionata da ragioni di opportunità (al fine di evitare
l’incremento dei costi della procedura, derivanti
dall’espletamento della C.T.U. dalla delega al
professionista, dalla custodia).
Sul sub-procedimento di conversione può influire la
sospensione del procedimento di esecuzione a seguito di
decisione del giudice della cognizione (ad es. sospensione
della provvisoria esecutorietà di un decreto ingiuntivo;
inbitoria da parte del giudice dell’impugnazione). E’
evidente che in questi casi dovrà essere sospeso anche il
subprocedimento, fino alla definizione del giudizio di
cognizione, il cui esito favorevole per il debitore
determinerà la restituzione a costui delle somme versate,
vincolate alla procedura.
Va considerata infine la possibilità che il debitore presenti
l’istanza di conversione quando la procedura esecutiva sia
avviata ma non possa proseguire per cause endoprocessuali (la
pendenza del termine per il deposito dell’istanza di vendita
o per il deposito della documentazione ipocatastale ex
art.567 c.p.c.). Ritengo che lo stato di quiescenza della
procedura non sia un ostacolo all’ammissibilità dell’istanza
di conversione, in assenza di un esplicito limite normativo
in tal senso, potendo essere interesse del debitore evitare
un aggravio dei costi e dei tempi del processo esecutivo.
L’eventuale sospensione (dell’esecuzione) inciderebbe quindi
anche sui termini di deposito che resterebbero sospesi.
4. La liquidazione dei crediti e la determinazione del
residuo. La conversione rateale.
Il giudice dell’esecuzione – valutata l’ammissibilità
dell’istanza – deve determinare, previa audizione delle
parti, l’importo globale che il debitore deve versare. Quid
iuris se è omessa la comunicazione al debitore dell’udienza?
Ha stabilito a riguardo la Cassazione che, poiché nel
processo esecutivo non è configurabile un formale
contraddittorio con le caratteristiche proprie del processo
di cognizione, nel procedimento disciplinato dall’art.495
c.p.c. la comparizione delle parti è preordinata soltanto a
consentire il miglior esercizio della potestà di ordine del
giudice dell’esecuzione e l’omessa comunicazione al debitore
del provvedimento con il quale sia stata fissata l’udienza
per la sua comparizione non cagiona di per sé la nullità
degli atti esecutivi compiuti, potendo il debitore insorgere
con l'opposizione al successivo atto esecutivo compiuto nei
modi e nei termini di cui all’art.617 c.p.c. per far valere
eventuali vizi di tali atti (Cass. 26.1.2005 n.1618). In
definitiva il debitore non potrà lamentarsi della mera
omissione dell’avviso a comparire; dovrà allegare con il
rimedio tipico dell’opposizione agli atti esecutivi vizi
idonei ad inficiare la regolarità del subprocedimento in
senso a sé pregiudizievole (ad es. la mancata audizione al
fine di contestare un determinato credito).
Ritengo (opinione condivisa dai giudici dell’esecuzione) che
non sia necessario l’avviso ai creditori iscritti ex art.498
c.p.c. dell’udienza fissata per l’audizione delle parti ai
sensi del terzo comma dell’art.495 c.p.c. Il creditore
iscritto non intervenuto, anche se pretermesso dalla
distribuzione delle somme versate dal debitore, conserva
infatti la garanzia ipotecaria fino all’estinzione
dell’obbligazione pecuniaria.
Oltre al credito del pignorante e degli intervenuti,
“comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese”,
vanno calcolate anche “le spese dell’esecuzione”, secondo la
previsione del comma 1. Se le spese dell’esecuzione sono
quelle del processo esecutivo (comprensive quindi di
borsuali, diritti ed onorari), quali sono le spese che si
cumulano al capitale ed agli interessi? La dottrina – con
argomentazioni che mi sembrano condivisibili – ha sostenuto
(Capponi, Note a prima lettura del cd. decretone competività…
su www.judicium.it) che trattasi delle spese sopportate dai
singoli creditori fuori dal processo (e, quindi, in via
stragiudiziale) per il recupero dei rispettivi crediti (si
pensi ad es. all’iscrizione ipotecaria), purchè sussista una
stretta attinenza con tale finalità.
Circa la valutazione dei crediti da inserire, sorge un
duplice problema relativo, per un verso, all’esatta
estensione del potere del giudice dell’esecuzione nella
liquidazione delle somme dovute dal debitore e, per altro,
alle possibili contestazioni di quest’ultimo.
La Cassazione ha risolto entrambi in un’unica pronuncia,
piuttosto recente, del 3.9.2007 n.18538, stabilendo che la
determinazione della somma di denaro da versare in
sostituzione delle cose pignorate, che il giudice opera ai
sensi dell'art. 495 cod. proc. civ., comporta una valutazione
sommaria delle pretese del creditore pignorante e dei
creditori intervenuti nonché delle spese già anticipate e da
anticipare e non deve tenere conto dell’esistenza o
dell’ammontare dei singoli crediti e della sussistenza dei
diritti di prelazione, in quanto tali questioni possono porsi
solo in sede di distribuzione della somma ricavata dalla
vendita ai sensi dell’art.512 c.p.c, fatta salva la
possibilità che il debitore contesti, con l’opposizione
all’esecuzione, l’esistenza del credito ovvero che lo stesso
è inferiore a quanto dovuto (in senso conforme anche
Cass.12197/2001; Cass.4525/1998; Cass.3442/1988).
Il giudice quindi dovrebbe limitarsi ad un controllo
meramente formale dell’importo dei vari crediti, senza
spingersi ad una verifica di reale sussistenza degli stessi
(dovrebbe così eludersi un approfondimento in questa fase
tramite C.T.U. contabile).
E’ anche vero però che si registra una interessante pronuncia
difforme della stessa giurisprudenza di legittimità (Cass.
1.9.1999 n.9194), la quale ha espressamente preso le distanze
dall’orientamento secondo cui avverso l’ordinanza di
conversione non potrebbe proporsi un'opposizione avente ad
oggetto l'an ed il quantum del debito esecutato. Secondo tale
impostazione, qualora il debitore chieda la conversione del
pignoramento ed il giudice dell'esecuzione sulla base delle
indicazioni fornite dai creditori sull'ammontare a quel
momento del loro credito non soddisfatto determini in una
certa misura la somma da versare in sostituzione delle cose
pignorate, il debitore ben potrebbe assumere che l'importo
dovuto è inferiore (o che addirittura nulla è dovuto). In tal
caso il giudice dovrebbe qualificare la contestazione come
opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art.615 c.p.c. in
quanto il debitore contesta in sostanza il diritto del
creditore ad ottenere il soddisfacimento del suo credito a
mezzo dell'espropriazione forzata. Secondo il ragionamento
della Corte, sussiste infatti in ogni momento, e quindi,
anche in sede di conversione del pignoramento, l'interesse
del debitore esecutato alla determinazione ed
all'accertamento del quantum del credito per il cui
soddisfacimento si procede in executivis, senza dover
attendere la fase della distribuzione della somma ricavata
per ottenere l'eventuale restituzione di quanto versato in
più del dovuto. Diventa poi una questione di merito, oggetto
della proposta opposizione all'esecuzione, l'accertamento di
quale fosse l'ammontare del credito ancora insoddisfatto del
creditore intervenuto, ed in relazione al quale era stata
effettuata la conversione del pignoramento. In questo
giudizio di opposizione, come in ogni normale giudizio di
cognizione, dovrà il creditore opposto fornire la prova del
proprio credito, e, quindi, attesa la peculiarità di questo
giudizio, produrre i titoli su cui si fonda il proprio
credito.
Tale orientamento resta minoritario, anche se si riscontra
qualche altra pronuncia in tal senso; vi segnalo la sentenza
del 15.4.1994 n.3585, così massimata “i rilievi avanzati dal
debitore esecutato in sede di comparizione delle parti in
seguito all'istanza del creditore procedente che contesti,
pretendendo l'aggiunta di interessi e spese, la somma
liquidata dal giudice con l'ordinanza con cui ha ammesso il
debitore alla conversione del pignoramento, qualora siano
diretti a dimostrare l'insussistenza del supero preteso dal
creditore, costituiscono, in quanto diretti a contestare lo
stesso diritto del creditore a pretendere gli interessi,
nella misura richiesta, ed in forza del precetto già
notificato, opposizione all'esecuzione, e non agli atti
esecutivi, e come tali non sono soggetti a termini di
decadenza”.
Solo pochi mesi prima della sentenza n.9194/1999 la Corte
aveva tuttavia affermato che l’ordinanza con la quale in sede
di conversione del pignoramento il giudice dell’esecuzione
determina con le modalità di cui all’art.495 c.p.c. l’entità
della somma da versare in sostituzione delle cose pignorate
non ha contenuto decisorio rispetto al diritto di agire "in
executivis", con la conseguenza che l’opposizione proposta
contro di essa è inquadrabile soltanto nel modello
dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. di
competenza del giudice dell’esecuzione (Cass. 23.4.1999
n.4042); impostazione in seguito consolidatasi.
In realtà non può negarsi al giudice in sede di liquidazione
dei crediti ex art.495 c.p.c. il potere di eliminare dalle
note dei crediti voci ictu oculi non dovute (ad es. spese
legali non conformi alle tariffe forensi); oltre tale ambito
non credo che la giurisprudenza di legittimità lasci spazio a
margini di intervento officioso. Le contestazioni avverso
l’ordinanza di liquidazione possono assumere la forma
dell’opposizione agli atti esecutivi ex art.617 c.p.c. e ciò
è conforme ad un altro principio affermato dalla Suprema
Corte in tema d’intervento, la cui contestazione è
ammissibile solo in fase distributiva ex art.512 c.p.c. e non
con opposizione ex art.615 c.p.c. Con gli atti d’intervento
infatti i creditori non interferiscono nella prosecuzione del
procedimento (da essi non iniziato né proseguito) ma si
limitano a chiedere di partecipare alla distribuzione del
ricavato, sì che solo in tale fase il debitore esecutato
potrebbe avere interesse a chiedere l’esclusione del credito,
avvalendosi della tutela ex art.512 c.p.c. (ex multis Cass.
23.4.2001 n.5961).
Segnalo anche l’esistenza di prassi difformi (Tribunale di
Reggio Emilia, Tribunale di Monza) che prevedono l’esatta
liquidazione dei crediti da parte del giudice, anche
d’ufficio e con accertamento contabile, sul presupposto del
differente ambito applicativo degli artt.512 e 495 c.p.c:
mentre la prima di tali norma presuppone un conflitto tra le
parti e la distribuzione del ricavato secondo una precisa
graduazione, l’art.495 c.p.c. esige l’accertamento dei
crediti in via definitiva, posto che, effettuato il
pagamento, tutti i creditori risultano soddisfatti e la
procedura si estingue.
E’ certo in ogni caso che i crediti inseriti debbono essere
considerati tutti quanti come chirografi, divenendo
irrilevante ogni diritto di prelazione. E in ipotesi di
esecuzione nei confronti di più soggetti che presentino
unitamente l’istanza di conversione, devono essere
conteggiati i crediti dei creditori intervenuti,
indipendentemente dalla circostanza che tali crediti
riguardino alcuni o tutti i debitori esecutati (Cass.
2.10.2001 n.12197).
La somma da sostituire va calcolata considerando per ogni
singolo credito gli interessi maturati. Anche a tal proposito
vi è un dubbio: gli interessi debbono essere calcolati alla
data di presentazione dell’istanza di conversione o vanno
considerati anche quelli maturati successivamente fino al
momento della determinazione giudiziale? Quest’ultima
soluzione pare essere quella preferibile. Una datata e
condivisibile pronuncia della Cassazione ha altresì precisato
che dopo la conversione del pignoramento il creditore
procedente ha diritto agli interessi legali maturati sulla
somma che ha sostituito il bene pignorato fino alla data del
procedimento di distribuzione (Cass. 17.08.1973 n.2347).
All’adempimento del debitore – nei modi e nei tempi fissati
dal giudice – consegue una seconda ordinanza con la quale le
cose pignorate sono liberate dal pignoramento e le somme
versate sottoposte allo stesso vincolo in loro vece (sesto
comma); il provvedimento deve contenere la cancellazione
della trascrizione del pignoramento immobiliare ma non quella
delle ipoteche che può essere disposta solo dopo l’estinzione
del credito. La cancellazione della trascrizione del
pignoramento consegue infatti al versamento della somma, la
cui distribuzione potrebbe essere oggetto di opposizione
distributiva ex art.512 c.p.c. La cancellazione delle
iscrizioni ipotecarie consegue invece all’estinzione del
credito (emissione dei mandati di pagamento).
La conversione rateale – La riforma del 1998 ha introdotto la
possibilità di conversione rateale per il pignoramento
immobiliare, in via esclusiva, anche se non è comprensibile
il motivo della scelta legislativa, posto che – come è stato
osservato dalla dottrina (Verde, Capponi – Profili del
processo civile, III, 108) – la possibilità di rateizzazione
non riguarda il valore dei beni pignorati ma l’entità dei
crediti in concorso.
La dilazione è concessa solo se ricorrono giustificati (non
gravi) motivi ed il riferimento non può che essere di
carattere economico, con riferimento alle condizioni del
debitore, all’interesse del creditore, alle garanzie di
adempimento.
Il termine massimo è stato fissato in 18 mesi (dall’1.3.2006,
a seguito della modifica ex lege n.80/2005; in precedenza era
di nove mesi), con decorrenza dalla data del provvedimento
giudiziale che dispone la conversione (la norma non prevede
un termine iniziale, ma tale soluzione trova il consenso
della dottrina ed è condivisa dalla prassi). Tale termine non
è suscettibile di proroghe posto che è la stessa legge a
stabilirne l’ampiezza massima.
Nel caso di rateizzazione la somma deve essere maggiorata
degli interessi scalari al tasso convenzionale pattuito o, in
mancanza, al tasso legale.
Il problema che si pone è quello del raccordo fra il
meccanismo di rateizzazione e la prosecuzione della procedura
esecutiva, qualora non venga sospesa: è evidente che durante
il periodo concesso per il versamento delle rate potrebbe
essere fissata la vendita, con aggiudicazione del bene,
vanificandosi in tal modo il tentativo del debitore di
sostituire l’immobile pignorato con la somma di denaro. Il
ricavato sarebbe così costituito dal prezzo di aggiudicazione
e dalle rate versate, con eccessivo sacrificio per il
debitore. In questa ipotesi pertanto – specie quando si
ravvisano motivi per concedere un termine superiore ad un
anno per i versamenti rateali – sarebbe opportuno sospendere
le operazioni di vendita.
Un’ultima questione a riguardo è stata affrontata dalla
giurisprudenza di merito: se sia possibile l’erogazione
anticipata al creditore delle rate versate dal debitore. La
risposta affermativa si basa sulla mancanza di un ostacolo
normativo in tal senso e sulla previsione di interessi
scalari. Personalmente penso che la distribuzione sia la fase
finale dell’esecuzione e che essa debba necessariamente
riferirsi all’intera somma ricavata nell’ambito della
procedura: problemi potrebbero sorgere inoltre in presenza di
pluralità di creditori, specie in considerazione della
mancanza di graduazione dei crediti inseriti (e del
privilegio processuale ex art.41 T.U.B. in favore del
creditore fondiario).
5.Decadenza.
In base alla esplicita previsione del quinto comma la
decadenza si verifica nel caso in cui il debitore non esegua
il versamento della somma nel termine stabilito dal giudice
oppure, nell’ipotesi di conversione rateale, ritardi di oltre
quindici giorni il pagamento di una sola delle rate.
Sebbene la decadenza sia automatica, è necessario che sia
dichiarata con un provvedimento giudiziale, la cui
legittimità può essere contestata dal debitore con
opposizione ex art.617 c.p.c. (Cass. 14.04.1989 n.1812).
Le somme versate vengono a far parte del compendio pignorato.
Verificatasi la decadenza, il giudice dispone senza indugio
la vendita dei beni pignorati, su istanza del creditore
pignorante o di un creditore munito di titolo esecutivo.
Questa previsione risulta alquanto singolare e si giustifica
a mio parere solo in caso di procedura esecutiva sospesa a
seguito dell’istanza di conversione. Non si spiegherebbe
altrimenti la necessità dell’istanza di parte per azionare la
vendita, per dare impulso ad una procedura non sospesa.
Deve escludersi inoltre che l’istanza di conversione possa
salvare il termine di cui all’art.497 c.p.c. per la
proposizione dell’istanza di vendita: il processo esecutivo
non può comunque proseguire – secondo autorevole dottrina
(Tarzia, R.d.proc, 76, 458) – se nel termine ex art.497
c.p.c. non sia stata proposta l’istanza di vendita.
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