aitia in aristotele -carlo natali-

50
1 C. Natali AITIA in Aristotele. Tre studi. 1: Aitia in Aristotele. Gli scritti di Aristotele sono delle pragmateiai, dei trattati designati per essere letti nella scuola, e quindi scritti in una lingua più tecnica e con differenti preoccupazioni rispetto ai dialoghi di Platone, in cui gli interlocutori discutono tra di loro nella lingua corrente delle classi colte del tempo, e non nella lingua tecnica dei trattati filosofici. Nei trattati autentici di Aristotele noi abbiamo numerosissime occorrenze del termine aitia, quasi un migliaio, e non è possibile in questa sede occuparci di tutte. Lo faremo forse in futuro. Dobbiamo quindi basarci sui lessici, in primis quello di Bonitz, e sulle dichiarazioni esplicite di Aristotele, che in varie opere distingue i sensi del termine aitia. I risultati della presente indagine sono quindi da considerarsi provvisori. Secondo Bonitz, Aristotele usa aitia nel senso di principio della realtà e della conoscenza, ma anche in sensu iudiciali, cioè come "accusa", per esempio aijtiva moiceiva" "accusa di adulterio" (Pol. 1306b38), o come "nomea, fama", per esempio Ermotimo di Clazomene ajitivan e[cei, "ha fama" di essere stato il primo a porre il Nous come principio del cosmo (Metaph. 984b19-20). Il legislatore può essere detto ai[tio", "responsabile" della perdita di forza delle città in tempo di pace, perché non ha educato i cittadini alla scholê (Pol. 1334a9). Questo uso pare però moltoì raro. 1 2.1. L’origine della distinzione delle varie specie di aitiai in Aristotele. Quando Aristotele elenca i significati di aitia omette quelli legati al complesso accusa-colpa-fama. 2 Questo ci pare una ragione sufficiente per dubitare dell'affermazione di Vlastos per cui Aristotele fa riferimento agli usi linguistici correnti del suo tempo. Da dove deriva quindi la sua distinzione? Si può supporre con qualche ragione che nell'Accademia antica vi sia stato un dibattito sulle cause, aitiai, sia in collegamento con il dibattito sull'esistenza delle Idee, sia in collegamento con i problemi interpretativi del Fedone e la funzione 1 Cf. anche 1306a34; forse in 1303b 22, peri; ejrwtikh;n aijtivan può significare "riguardo all'accusa di volenza". 2 Vedi per questa distinzione il saggio sulla causa in Platone, qui di seguito.

Upload: alessandro-zanasi

Post on 28-Nov-2015

100 views

Category:

Documents


6 download

DESCRIPTION

AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

TRANSCRIPT

Page 1: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

1

C. Natali AITIA in Aristotele. Tre studi.

1: Aitia in Aristotele. Gli scritti di Aristotele sono delle pragmateiai, dei trattati designati per essere letti

nella scuola, e quindi scritti in una lingua più tecnica e con differenti preoccupazioni rispetto ai dialoghi di Platone, in cui gli interlocutori discutono tra di loro nella lingua corrente delle classi colte del tempo, e non nella lingua tecnica dei trattati filosofici.

Nei trattati autentici di Aristotele noi abbiamo numerosissime occorrenze del termine aitia, quasi un migliaio, e non è possibile in questa sede occuparci di tutte. Lo faremo forse in futuro. Dobbiamo quindi basarci sui lessici, in primis quello di Bonitz, e sulle dichiarazioni esplicite di Aristotele, che in varie opere distingue i sensi del termine aitia. I risultati della presente indagine sono quindi da considerarsi provvisori.

Secondo Bonitz, Aristotele usa aitia nel senso di principio della realtà e della conoscenza, ma anche in sensu iudiciali, cioè come "accusa", per esempio aijtiva

moiceiva" "accusa di adulterio" (Pol. 1306b38), o come "nomea, fama", per esempio Ermotimo di Clazomene ajitivan e[cei, "ha fama" di essere stato il primo a porre il Nous come principio del cosmo (Metaph. 984b19-20). Il legislatore può essere detto ai[tio", "responsabile" della perdita di forza delle città in tempo di pace, perché non ha educato i cittadini alla scholê (Pol. 1334a9). Questo uso pare però moltoì raro.1

2.1. L’origine della distinzione delle varie specie di aitiai in Aristotele. Quando Aristotele elenca i significati di aitia omette quelli legati al complesso

accusa-colpa-fama.2 Questo ci pare una ragione sufficiente per dubitare dell'affermazione di Vlastos per cui Aristotele fa riferimento agli usi linguistici correnti del suo tempo. Da dove deriva quindi la sua distinzione?

Si può supporre con qualche ragione che nell'Accademia antica vi sia stato un dibattito sulle cause, aitiai, sia in collegamento con il dibattito sull'esistenza delle Idee, sia in collegamento con i problemi interpretativi del Fedone e la funzione

1 Cf. anche 1306a34; forse in 1303b 22, peri; ejrwtikh;n aijtivan può significare "riguardo all'accusa di volenza". 2 Vedi per questa distinzione il saggio sulla causa in Platone, qui di seguito.

Page 2: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

2

causale attribuita alle idee in quel dialogo. Infatti il Fedone pare essere al centro della discussione accademica, ed a esso si riferiscono sia Senocrate, come vedremo fra poco, sia Aristotele nel libro A della Metafisica (991a19-22).

Aristotele ci dice che Speusippo negò l'esistenza delle idee "per le difficoltà che vede derivare dal fatto di ammetterne l’esistenza" (dia; to; ta;" ejnouvsa" duscereiva"

oJra'n peri; ta;" ijdeva"), non collegò il numero con le idee, e quindi deve negare che il numero matematico sia causa delle cose: "esso non si manifesta come causa di alcunché" (ou[te faivnetai w]n ai[tio").3

Senocrate al contrario, come ci racconta Proclo, volendo essere fedele a Platone pose una forma di causalità speciale per l'idea, che definì "causa paradigmatica delle realtà naturali che sussitono eternamente" (aijtivan paradeigmatikh;n tw'n kata fuvsin ajei;

sunestwvtwn).4 In questo modo volle spiegare ed approfondire la natura dell'imprecisata causalità attribuita all'idea in Phaed. 100b.5 La questione dell'esistenza delle idee e della loro causalità sembra essersi sviluppata su due fronti: ammettere (Senocrate) o negare (Speusippo e Aristotele) una funzione causale per le Idee, e, nel caso la si ammetta, stabilire un diverso tipo di causalità. Il problema andrebbe di certo approfondito, ma forse può bastare questo accenno a presentare la possibilità che, quando Aristotele distingue i sensi del termine aitia, non si riferisca all'uso comune del termine, ma al dibattito accademico del suo tempo.

Tracce di questo dibattito si trovano anche nei trattati perduti di Aristotele, citati da Alessandro d'Afrodisia a commento del primo libro della Metafisica di Aristotele. Infatti, discutendo l'affermazione di Aristotele, secondo cui Platone fece uso solo della causa formale e di quella materiale (988a9-10), Alessandro obietta che altrove Platone si serve anche della causa motrice e di quella finale, per cui rinvia al Timeo (28c3-4) ed all'Epistola II (312e1-2). Qui Alessandro evidentemente applica retroattivamente, e senza senso storico, a Platone una distinzione delle cause che nasce con Aristotele, un errore che moltissimi hanno fatto.6 Ma poi soggiunge:

"forse perché Platone, quando parlò delle cause, non citò nessuna di queste due,

come afferma Aristotele nei libri Sul bene"

3 Aristot. Metaph. 1090a2-13 = Speusippo fr. 36 Taran, 49 Isnardi Parente. 4 Procl. In Parm., p. XXX Steel = Xenocr. fr. 30 Heinze, 94 Isnardi Parente. 5 Seguo qui l'interpretazione di Isnardi Parente 1982, p. 325. 6 Cfr. Stefanini 1932-5, II p. 245; Brisson 1974, p. 150 e molti altri.

Page 3: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

3

h] o{ti ejn oi|" peri; aijtivwn e[legen oujdeno;" touvtwn ejmevmnhto, wJ" ejn toi'" peri;

tajgaqou' devdeicen, (in Metaph. 59,28-9 = fr. 4 Ross). Da ciò si trae che Aristotele nel discutere dell'idea del bene trattò anche della sua

causalità, facendo esplicito riferimento alla distinzione delle cause del Fedone. Poco più avanti, commentando la critica di Aristotele alle Idee, che non possono essere né causa di movimento né causa di conoscenza (991a8-14), Alessandro cita un passo del De ideis in cui si attacca la teoria di Eudosso, sulla mixis tra Idee e cose sensibili da cui esse deriverebbero, e tra gli argomenti si cita anche il seguente:

"inoltre, se le idee si mescolano con le realtà che esistono in relazione ad esse, come

potrebbero esserne paradeigmata, modelli, come essi dicono? Infatti non è in questo modo, attraverso l'essere mescolati, che i modelli sono causa della somiglianza delle copie ad essi" e[ti de; eij mivgnutai toi'" pro;" aujta; ou\si, pw'" a]n e[ti ei\en paradeivgmata, wJ"

levgousin… oujde; ga;r ou{tw" ta; paradeivgmata tai'" eijkovsi th'" oJmoiovthto" th'" pro;"

aujta; ai[tia tw'/ memi'cqai, (in Metaph. 98,17-9 = fr. 5 Ross). Qui pare che Aristotele contrapponga alla causa paradigmatica di Senocrate e forse

di Eudosso la teoria della mixis. Sembra che Eudosso abbia tentato di sostituire il concetto di mixis a quello di paradeigma per indicare la funzione causale delle idee, ed Aristotele obietta che non è possibile che ciò che è mescolato sia causa paradigmatica.7

Comunque sia, questi indizi ci lasciano pensare che nell'Accademia vi fosse un dibattito sul tipo di causalità dell'Idea rispetto alle realtà sensibili, e che nel corso di questo dibattito si fosse approdati ad usare la distinzione dei tipi di causa come strumento di interpretazione del problema. Tale distinzione era incoraggiata dal fatto che, nei suoi dialoghi, Platone aveva più volte distinto tipi di cause: nel Fedone egli, in riferimento all'idea, parla di una specie di causa (th'" aijtiva" to; ei\do" 100b3-4) della quale vuole parlare.8 Nel Timeo egli distingue direttamente due generi di cause

7 Che qui Aristotele contrapponga Eudosso agli altri accademici è stato notato da Cherniss 1944, pp. 531-9, e da Lasserre 1966, p. 150. 8 Vlastos 1969, pp. 94-104 distingue in questo passo 99e4-105b7 due tipi di aitiai, una "safe" e "ignorant" ed una "clever"; ma il testo attribuisce questa distinzione non all'aitia, ma alla risposta, apokrisis (105b9-c2) data da Socrate. La confusione tra aitia ed apokrisis deriva dall'interpretazione che Vlastos dà di

Page 4: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

4

(ajmfovtera ta; tw'n aijtiw'n gevnh, 46e3; duvæ aijtiva" ei[dh diorivzesqai, 68e6), quelle della natura intelligente e divina (th'" e[mfrono" fuvsew", 46d8; to; de; qei'on, 68e7) e quelle che agiscono per necessità ed a caso (e{tera de; kata; ajnavgkh" kinouvntwn ... to; tuco;n

a[taktov ejxergavzontai, 46e1-2 e 5-6; to; me;n ajnagkai'on, 68e6). Nel linguaggio di Timeo, a nostro parere, qui aitia indica sempre una causa produttrice, sia pure con caratteristiche diverse;9 ma il modo di esprimersi di Platone può avere dato lo spunto, nelle discussioni dell'Accademia, a intraprendere la strada della distinzione dei tipi di cause.

Se questo è vero, allora si può spiegare un dato che ha sconcertato molti commentatori,10 cioè il fatto che Aristotele, quando introduce la distinzione dei quattro tipi di aitiai, non ne dà nessuna giustificazione. Infatti il pubblico dei discepoli doveva conoscere il dibattito filosofico del tempo.

2.2. La distinzione delle quattro cause in Aristotele. I passi principali in cui la dottrina delle quattro cause è esposta sono quattro: Phys.

II 3-7; Metaph. D 2; Metaph. A 3-10; An. Post. II 11, cui si aggiungono Metaph. D 1, I 1 e L 4-5. Tra i primi quattro, curiosamente, Metaph. D 2 è identico a Phys. II 3, che ripete alla lettera, ma con dei tagli. Infatti mancano le righe iniziali (194b 16-23) in cui Aristotele identifica aitia con dia ti:

"Siccome questa trattazione tende al conoscere, e noi riteniamo di non conoscere

alcuna cosa prima che cogliamo il perché di ciascuna di esse, il che corrisponde al cogliere la causa prima, è chiaro che dobbiamo fare questo anche riguardo alla generazione ed alla corruzione e ad ogni trasformazione fisica, di modo che, conoscendo i loro principi, possiamo tentare di ricondurre ad essi ognuna delle cose indagate" ejpei; ga;r tou' eijdevnai cavrin hJ pragmateiva, eijdevnai de; ouj provteron oijovmeqa e{kaston

pri;n a]n lavbwmen to; dia; tiv peri; e{kaston (tou'to dæ ejsti; to; labei'n th;n prwvthn

aijtivan), dh'lon o{ti kai; hJmi'n tou'to poihtevon kai; peri; genevsew" kai; fqora'" kai;

aitia. A mio parere invece i due termini indicano realtà distinte, una spiegazione (apokrisis) e il rapporto di dipendenza reale (aitia) che sta sotto e la rende possibile 9 Proprio perché non c'è un salto ontologico tra le due cause esse possono collaborare tra loro a produrre l'effetto, cfr. Taylor 1928, pp. 291 e 300; Easterling 1967; Natali 1997; Casertano 2003, pp. 42-55. 10 Mansion 1961, p. 40; Ross 1936, p. 37; Charlton 1970, p. 99.

Page 5: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

5

pavsh" th'" fusikh'" metabolh'", o{pw" eijdovte" aujtw'n ta;" ajrca;" ajnavgein eij" aujta;"

peirwvmeqa tw'n zhtoumevnwn e{kaston. (194b17-23, corsivi miei).11 Inoltre mancano anche le righe finali (195b 21-30) in cui si dice (1) che si devono

indagare sempre le cause prime nella serie della causazione, e (2) che si devono indagare le cause generiche per i fenomeni genericamente considerati, le cause individuali per gli enti individuali, le cause attuali per gli enti in atto e le cause potenziali per gli enti in potenza. E infine Aristotele conclude:

"Sia sufficiente questa nostra distinzione su quante sono le cause e in che modo

sono causa" o{sa me;n ou\n ta; ai[tia kai; o}n trovpon ai[tia, e[stw hJmi'n diwrismevna iJkanw'" (195b28-

30). Il brano di Metaph. D 2 ci pare derivare da quello della Fisica, e ciò per varie ragioni.

Prima di tutto la versione della Metafisica è mutila, ed è più probabile che Aristotele, o chi per lui, abbia trascritto da un'opera all'altra un brano tagliandone delle parti che aggiungendone alcune, In secondo luogo Asclepio, nel suo Commento alla Metafisica, commentando la linea iniziale di D 2, 1013a24, annota:

"Le parole che seguono sono state trasferite qui dalla Fisica: infatti [gli editori]

dissero che alcune parti erano state perdute e, non essendo in grado di imitarle, adattarono qui un brano preso dai suoi scritti" Ta; rJhta; tau'ta metenhvnektai ejntau'qa ejk th'" Fusikh'" ajkroavsew": e[legon ga;r o{ti

tina; parapwvlonto, kai; mh; dunhqevnte" mimhvsasqai ejk tw'n aujtou' ejfhvrmosan (305,19-22).

Ross osserva che lo spostamento del brano dalla Fisica alla Metafisica potrebbe

essere stato fatto anche da Aristotele stesso.12

11 "Causa prima" indica piuttosto la causa prima nella serie delle cause e non la causa prossima. Cfr Hamelin 1907, p. XXX; Pellegrin 2000, p. 128; contra Ross 1936, p. 512. 12 Ross 1924, I p. 292; Bonitz 1849, pp. 221-2, ritiene che l'inserzione si debba agli editori, perché il brano 1013a17 e sgg., secondo cui tutte le cause sono principi (lo discuteremo più avanti) renderebbe inutile la presenza del capitolo 2.

Page 6: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

6

Infine, nella Metafisica stessa, al libro A, quando introduce le quattro cause, Aristotele dice:

"Queste cause sono state da noi considerate a sufficienza nella Fisica" teqewvrhtai me;n ou\n iJkanw'" peri; aujtw'n hJmi'n ejn toi'" peri; fuvsew" (983a34-b1). Quindi la Fisica è il luogo d'origine del brano. Qui Aristotele non usa i termini

apodeixai o deixai, "dimostrare" o "provare", ma il più debole theôrein. Perciò pare che non abbia ritenuto necessario dimostrare che queste quattro cause sono cause.

Invece Aristotele ci tiene a dimostrare che le cause non sono più di queste quattro. Nella Fisica dedica tre capitoli (II 4-6) a dimostrare che tuchê ed automaton non sono da considerarsi cause in senso proprio, e in Metafisica A il suo scopo esplicito è confermare che non vi sono altre cause, perché nessun filosofo ne ha scoperte di diverse (983b5-6; 993a11-13), seppure in modo confuso e oscuro (ajmudrw", 988a23, 993a13). Quindi le cause non sono più di quattro.

L'idea che le cause siano state scoperte progressivamente confligge con l'idea che le quattro cause siano già date nell'uso normale del termine aitia nella lingua greca: se il linguaggio comune fosse la fonte della distinzione delle quattro cause, esse sarebbero date immediatamente e fin dall'inizio, sia pure in modo oscuro (EE 1216b32-5). Invece Aristotele cerca in che modo le cause dei Presocratici possano rientrare (ejmpivptousin, 986a15) nelle cause da lui distinte, cosa che a volte non può essere fatta con sicurezza (986b5-6). In un passo egli parla dei sapienti chiamati a partecipare al consiglio (tw'n sunhdreukovtwn ... sofw'n, 9872-3) insieme a lui nella discussione presente (su tutto ciò cfr. Barney, in stampa).

Cosa vuol dire quindi Aristotele quando afferma, in Phys. II 3, che cogliere il perché corrisponde al cogliere la causa? Anche in Phys. II 7 egli ripete la stessa idea:

"E' chiaro che vi sono delle cause e che sono nello stesso numero che abbiamo detto,

infatti abbiamo stabilito che il 'perché' comprende lo stesso numero di cose" ”Oti de; e[stin ai[tia, kai; o{ti tosau'ta to;n ajriqmo;n o{sa famevn, dh'lon: tosau'ta ga;r

to;n ajriqmo;n to; dia; tiv perieivlhfen: (198a14-7).

Page 7: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

7

Il rinvio è al capitolo II 3, 194b17-23 citato sopra. Nella versione principale dell'elenco delle cause, quella di Phys II 3 (= Metaph. D 2), essa si presenta come una distinzione di funzioni che vengono indicate tramite l'uso di particelle diverse:

"Causa si dice, in un senso, ciò da cui una cosa deriva, essendo questo immanente,

per esempio il bronzo della statua e l'argento della tazza e i loro generi; in un altro senso la forma e il modello, cioè la definizione dell'essenza e i generi di essa, per esempio dell'ottava il rapporto ½ e in generale il numero, e le parti della definizione; inoltre ciò da cui nel senso del principio del mutamento o della quiete, per esempio è causa chi ha deliberato, e il padre del figlio e in generale chi produce è causa di ciò che è prodotto e chi trasforma lo è di ciò che si trasforma; inoltre come fine, cioè ciò in vista di cui, per esempio la salute lo è del passeggiare. Perché passeggia? diciamo. Per star bene di salute. E dicendo così riteniamo di avere fornito la causa." e{na me;n ou\n trovpon ai[tion levgetai to; ejx ou| givgnetaiv ti ejnupavrconto", oi|on oJ

calko;" tou' ajndriavnto" kai; oJ a[rguro" th'" fiavlh" kai; ta; touvtwn gevnh: a[llon de; to;

ei\do" kai; to; paravdeigma, tou'to dæ ejsti;n oJ lovgo" oJ tou' tiv h\n ei\nai kai; ta; touvtou

gevnh (oi|on tou' dia; pasw'n ta; duvo pro;" e{n, kai; o{lw" oJ ajriqmov") kai; ta; mevrh ta; ejn tw'/

lovgw/. e[ti o{qen hJ ajrch; th'" metabolh'" hJ prwvth h] th'" hjremhvsew", oi|on oJ bouleuvsa"

ai[tio", kai; oJ path;r tou' tevknou, kai; o{lw" to; poiou'n tou' poioumevnou kai; to;

metabavllon tou' metaballomevnou. e[ti wJ" to; tevlo": tou'to dæ ejsti;n to; ou| e{neka, oi|on

tou' peripatei'n hJ uJgiveia: dia; tiv ga;r peripatei'… famevn i{na uJgiaivnh/. kai; eijpovnte"

ou{tw" oijovmeqa ajpodedwkevnai to; ai[tion. (194b23-35).

La prima cosa da notare è che qui particelle diverse sono usate per indicare differenti tipi di cause, come avverrà poi nella filosofia di età imperiale, e a differenza da quanto abbiamo visto in Platone. Solo la causa formale non è indicata con una particella speciale, ma con la celeberrima espressione to; tiv h\n ei\nai. Inoltre è importante sottolineare quale è la 'mossa' (come nel gioco degli scacchi) compiuta da Aristotele nei rispetti di Platone. Aristotele opera una "decostruzione" (per dirla con Derrida) della causa platonica, separando la funzione motrice e produttrice dalla funzione di paravdeigma, e da quella di materia. Vedremo poi. Le Idee platoniche, nella nostra interpretazione almeno, hanno la capacità di generare un effetto, di trasmettere certe caratteristiche e qualità all'ente partecipato. Aristotele critica le Idee prima di tutto perché esse, essendo separate, non sono capaci di svolgere il compito

Page 8: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

8

che Platone attribuisce loro. Inoltre immette la forma nella materia, e separa la funzione motrice da quella formale, attribuendo un diverso genere di causalità ad ognuna di esse. Lo stesso avviene rispetto al concetto di materia dei Presocratici. Aristotele separa la funzione di sostrato da quella di causa motrice, che nei Presocratici erano unite. Infatti Aristotele, in Metaph. A 3, ci dice che alcuni Presocratici, i pluralisti, attribuivano una funzione motrice alla materia: "si servono del fuoco come se avesse una natura motrice, e dell'acqua, della terra e simili nel senso contrario" crw'ntai ga;r wJ" kinhtikh;n e[conti tw'/ puri; th;n fuvsin, u{dati de; kai; gh'/ kai; toi'"

toiouvtoi" toujnantivon (984b6-8).

Per questa ragione Platone aveva polemizzato con loro, come abbiamo visto. Aristotele accusa i Presocratici di avere mescolato insieme causa materiale e causa motrice, e difende l’idea di una causa materiale priva di funzioni motrici (cfr. Phys. II 1 193a9-28). Ma noi, oggi, potremmo dire invece che è Aristotele ad avere decostruito un concetto complesso che i Presocratici avevano considerato come un tutto unico.

Separando la causa motrice dalla forma, egli può distinguere anche la causa finale in modo più chiaro. In Platone infatti abbiamo visto che il fine a volte entra nella spiegazione di un evento, ma per lo più come l'intenzionalità di un soggetto agente coscientemente. In Aristotele invece la finalità si presenta come una realtà esistente in natura, e consistente in una sequela ordinata di passi che conducono ad un risultato:

"tutto ciò che, essendo qualcos'altro causa motrice, si genera a metà tra esso e il fine,

come della salute il dimagrire, o la purga, o i farmaci o gli strumenti chirurgici, infatti tutto ciò è in vista del fine; differiscono tra loro perché alcuni sono strumenti, altri azioni" kai; o{sa dh; kinhvsanto" a[llou metaxu; givgnetai tou' tevlou", oi|on th'" uJgieiva" hJ

ijscnasiva h] hJ kavqarsi" h] ta; favrmaka h] ta; o[rgana: pavnta ga;r tau'ta tou' tevlou"

e{nekav ejsti, diafevrei de; ajllhvlwn wJ" o[nta ta; me;n o[rgana ta; dæ e[rga (1013a35-b3, cfr. Phys. 199b7-9).13

In questo modo Aristotele può arrivare ad una conciliazione tra la causalità

13 Su questa interpretazione vedi Robin 1909, p. 7; Charles 1991, pp. 114-5; Natali 2002.

Page 9: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

9

presocratica e quella platonica. Se fossero entrambe dotate di principio motore ed organizzatore dell'universo, le due specie di cause, Idea e materia, configgerebbero, come fanno in Platone. Ma, deprivate di causalità motrice, forma e materia possono convivere, anzi devono farlo nel sinolo, in quanto la forma necessita di una certa materia per realizzarsi.

2.3. Causa o spiegazione? Negli Analitici secondi troviamo una identificazione tra aitia e meson. "Quando conosciamo il che, o il se è ... di nuovo cerchiamo il perché o il che cos'è,

allora cerchiamo quale sia il termine medio ... infatti la causa è il termine medio, ed è ciò che si cerca in ogni occasione'"

o{tan de; gnovnte" h] to; o{ti h] eij e[stin, ... pavlin to; dia; tiv zhtw'men h] to; tiv ejsti,

tovte zhtou'men tiv to; mevson... to; me;n ga;r ai[tion to; mevson, ejn a{pasi de; tou'to

zhtei'tai (89b38-90a7). Ciò ha dato motivo ad alcuni di pensare che l'aitia aristotelica sia prima di tutto una

spiegazione. In primo luogo si deve osservare che l'espressione to aition to meson non può essere

presa in senso assoluto, come per significare che ogni meson sillogistico è un aition. Infatti per Aristotele vi sono termini medi di un sillogismo che non hanno funzione causale ed altri che la hanno.14 Essa deve piuttosto essere intesa nel senso che, se si ha epistêmê di un tipo di realtà, e si cerca il dioti, allora la causa funge da termine medio nel sillogismo relativo. Quindi l'essere aition non può dipendre dal loro essere meson; piuttosto, è il loro essere meson in una dimostrazione scientifca, che dipende dal loro essere aition. Dato che ogni principio è ciò "a partire da cui si dà essere, divenire o conoscenza" e la causa è un principio, certamente la causa è ciò a partire da cui si dà conoscenza, ma non è soltanto questo, è anche ciò a partire da cui si dà essere e divenire. Per questa ragione il tradurre, in Aristotele, aitia con "explication" può indurre in inganno. Inoltre anche anche tradurre aitia con "explanation" crea dei problemi. Secondo l'Oxford concise dictionary (s.v.) "explanation" significa "a

14 Nel sillogismo (A) "I corpi celesti che non scintillano sono vicini/i pianeti non scintillano/i pianeti sono vicini" non scintillare non è causa dell'essere vicino; invece nel sillogismo (B) " I corpi celesti che non scintillano sono vicini/i pianeti sono vicini/i pianeti non scintillano" l'essere vicino è causa del non scintillare (78a30-b4).

Page 10: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

10

statement or account that makes something clear", cioè una frase, un linguistic item. Invece, anche se indicare una aitia è fornire una spiegazione, l'aitia in sé stessa non è una spiegazione, è un ente nel mondo.15

Per questi motivi ritengo preferibile tenerci alla traduzione usuale, "causa" come nel caso di aretê, eudaimonia, ousia ("virtù, felicità, sostanza"), sia pur spiegando al lettore che il senso in cui il temine è usato da Aristotele è diverso da quello che potremmo aspettarci.16 Infatti, come nota Sedley, tradurre con "explanation" significa ammettere che le aitiai abbiano "a primarly epistemological function", cosa che abbiamo visto non essere vera.

Ad esempio, se noi diciamo: "Perché il tavolo è bruciato?" "Perché era di legno" la risposta "Perché era di legno" indica di certo una spiegazione, ma la spiegazione è tale perché il tavolo è una forma (che qui corrisponde a una funzione, reggere le cose), immessa in una certa materia, un logon enulion. Come sappiamo, non ogni materia è adatta ad essere materia di un tavolo, la forma pone alcune limitazioni: non si può avere un tavolo fatto d'acqua o di carta velina. Il legno è una delle materie possibili per la forma del tavolo, ma oltre alle qualità che ne fanno la forma di un buon tavolo (resistenza, leggerezza etc.) ha anche altre qualità che derivano dal fatto di essere di legno, cioè di essere la composizione dei quattro elementi fondamentali in una proporzione data, proporzione che è la forma dell'"essere legno" e comporta l'avere alcune dunameis, alcune potenzialità o qualità passive, tra cui l'infiammabilità. Il tavolo quindi ha il potere di reagire in un certo modo ad un evento esterno, l'avvicinarsi del fuoco (Viano 2006, pp. 132-44). Non si tratta di una dinamicità innata, ma piuttosto di una:

"capacità di sopportare che nel paziente medesimo consiste in un principio di

movimento passivo per opera di altro o di se stesso in quanto altro". hJ me;n ga;r tou' paqei'n ejsti; duvnami", hJ ejn aujtw'/ tw'/ pavsconti ajrch; metabolh'"

paqhtikh'" uJpæ a[llou h] h|/ a[llo (1046a11-13).

15 Cfr. Sedley 1998, p. 122; Sorabji 1980, p. 40, preferisce dire che l'aitia aristotelica "is what provides an explanation" (sottolineatura dell'A.); altri traducono aitia con "explantory factor" (Moravcisik, Fine). Barnes 1994, p. 90, invece sostiene che "in my version of English, at least – explanations are not necessarily linguistic items" e fa riferimento a stati di cose come spigazioni, alla maniera platonica. 16 Dello stesso parere i traduttori francesi: Carteron, Couloubaritsis, Pellegrin; spagnoli: Calvo, Boeri; italiani: Russo, Ruggiu, Franco Repellini; portoghesi: Angioni; i tedeschi oscillano tra Grund e Grundursache: Schwegler, Wagner; anche Frede, pur indicando il senso particolare del termine, traduce aitia con "cause". Fa eccezione Mignucci 2007, p. 151, che propone di tradurre con "ragione".

Page 11: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

11

Si tratta quindi non solo di un meson esplicativo, ma di una dunamis realmente presente nella materia, capace di reagire, anche se di non dare inizio da sola all'evento.

2.4. C’è un significato unitario del termine aitia in Aristotele? Si pongono quindi i problemi seguenti: (1) se per Aristotele il termine aitia in

generale non è più da intendersi come to poioun, come faceva Platone, ma per lui to poioun è solo uno dei tipi di aitia, che significa aitia in generale? E (2) spetta ad una sola scienza o a più scienze distinte conoscere tutte le aitiai?

Il secondo problema è affrontato in Metaph. B 2, 996a18-b26, ed in Phys. II 7, e viene risolto, non senza qualche difficoltà, con l'affermazione che spetta a fisico conoscere tutte le quattro cause (198a22-3, cfr. De anima 403a29-b9).

Il primo problema è più difficile da risolvere. Aristotele qualifica le quattro cause come eide e come genê diversi di causalità (Metaph. 994b 28 e 996a 18). Vi è un genere comune tra le quattro cause, oppure esiste un modo diverso di unificarle, o sono da intendersi per analogia, o sono termini del tutto omonimi? Quanto all’analogia, Aristotele dice esplicitamente, in Metaph. L 4-5, che le quattro cause si dicono per analogia:

"intesi per analogia gli elementi sono tre, e le cause quattro; ma sono differenti nelle

diverse cose, e anche la causa motrice prima è diversa in diverse cose" stoicei'a me;n katæ ajnalogivan triva, aijtivai de; kai; ajrcai; tevttare": a[llo dæ ejn a[llw/,

kai; to; prw'ton ai[tion wJ" kinou'n a[llo a[llw/ (1070b25-7).

Ciò però significa solo che le quattro cause sono analogamente simili, ma diverse in ogni singolo ente. Ciò non ci dice nulla sul significato generale del termine aitia.

Un passo di Metafisica I 1 sembrerebbe aiutarci, ma in realtà si rivela deludente. Qui Aristotele, parlando dei sensi dell'uno, stabilisce un principio: per un termine x, non è la stessa cosa (a) stabilire quali cose si dicono 'x' e (b) cosa è l'essenza di 'x' e la sua definizione. Il principio è enunciato per l' 'uno' ed è poi esteso ad altri termini, come 'elemento' e 'causa':

"Si deve però porre la mente al fatto che non bisogna assumere che sia la stessa

Page 12: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

12

cosa, (a) lo stabilire quali cose si dicono 'uno' e (b) lo stabilire che cosa siano l'essere uno e la sua definizione... Infatti l' 'essere uno', a volte,17 (b.1) potrà coincidere con qualcuno dei precedenti, a volte, (b.2) con un senso differente, che è inoltre più vicino al nome stesso, mentre i precedenti sono per dunamis (o: più vicini alla dunamis) come avviene nel caso di 'elemento' o di 'causa', se uno dovesse parlarne distinguendo in relazione a quali cose si applicano, oppure dando la definizione del nome" dei' de; katanoei'n o{ti oujc wJsauvtw" lhptevon levgesqai poi'av te e}n levgetai, kai; tiv

ejsti to; eJni; ei\nai kai; tiv" aujtou' lovgo" ... to; de; eJni; ei\nai oJte; me;n touvtwn tini; e[stai,

oJte; de; a[llw/ o} kai; ma'llon ejggu;" tw'/ ojnovmativ ejsti, th'/ dunavmei dæ ejkei'na w{sper kai;

peri; stoiceivou kai; aijtivou eij devoi levgein ejpiv te toi'" pravgmasi diorivzonta kai; tou'

ojnovmato" o{ron ajpodidovnta (1052b1-9). Ciò che vale per hen vale anche per aition e per stoicheion, quindi, o (a) una delle

quattro aitiai summenzionate è da considerare come la definizione dell'essere aitia in sé, oppure (b) vi è un ulteriore significato di aitia "più vicino al nome stesso". Nel primo caso avremmo una specie di focal meaning, come per to on, cioè uno dei significati applicati agli enti fa da senso di riferimento per tutti gli altri. Nel secondo caso invece abbiamo un significato diverso. Ma diverso come? Su questo punto il dibattito è ampio; alcuni intendono il caso (b.2) come l'opposizione tra il senso in sé e quello in potenza,18 altri come l'opposizione tra la definizione nominale e la definizione verbale,19 altri come l'opposizione tra un senso più determinato e uno più universale.20

Segue un esempio relativo al termine stoicheion. Il fuoco è elemento, ma non è l'"essere elemento" (to; stoiceivw/ ei\nai, 1152b12). E prosegue:

"il nome esprime questa particolare qualità che si attribuisce al fuoco, cioè che

'qualcosa deriva da esso come componente primo'. Lo stesso vale per 'causa' ed 'uno' e per tutti i casi simili, per questo l''essere uno' è 'essere indivisibile' ... ma sopratutto è 'essere misura prima' in ogni genere e sopratutto nella quantità" to; de; o[noma shmaivnei to; todi; sumbebhkevnai aujtw'/, o{ti ejstiv ti ejk touvtou wJ" prwvtou

ejnupavrconto". ou{tw kai; ejpi; aijtivou kai; eJno;" kai; tw'n toiouvtwn aJpavntwn, dio; kai; to; 17 hote qui è usato in senso non temporale, cf. L.-S. s.v. hote, C. 18 Ps. Alessandro, in metaph. 605,18; Bonitz 1849, p. 416 (trova tuttavia che il passo sia corrotto); Centrone 2005, p. 24, con qualche riserva. 19 Ross 1924, II p. 282, che fa riferimento a Plat. Cratyl. 393d3-394c8. 20 Reale 1968, II p. 475.

Page 13: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

13

eJni; ei\nai to; ajdiairevtw/ ejsti;n ei\nai, ... mavlista de; to; mevtrw/ ei\nai prwvtw/ eJkavstou

gevnou" kai; kuriwvtata tou' posou' (1152b13-19). In questo passo, a nostro scorno, Aristotele ci dice quale è il significato "più vicino

al nome stesso" nel caso dell'uno (è 'misura', 1052b18), ed anche quale è tale significato nel caso dell'elemento (è 'primo costituente immanente', 1052b14), ma non ci dice quale è il significato principale di aitia, cosa che ci lascia un po' irritati. Sappiamo però che questo significato esiste, perché ciò è detto esplicitamente alla linea 1052a15 citata qui sopra.

Una indicazione più precisa si può forse trovare altrove nella Metafisica. La connessione tra aitia ed hen si trova anche nel libro G. Qui aitia viene strettamente collegato ad archê:

"se quindi l'essere e l'uno sono la stessa cosa ed una natura unica nel senso di

conseguire l'uno all'altro, proprio come principio e causa, ma non nel senso che si possano chiarire con una sola definizione..." eij dh; to; o]n kai; to; e}n taujto;n kai; miva fuvsi" tw'/ ajkolouqei'n ajllhvloi" w{sper ajrch; kai;

ai[tion, ajllæ oujc wJ" eJni; lovgw/ dhlouvmena.. (1003b22-5).

Ciò vuol dire che ogni cosa che è è ente è anche uno, ed ogni cosa che è principio è anche causa, tw'/ ajkolouqei'n "per il fatto di conseguire l'uno all'altro". La connessione tra aitia e archê è esplicitamente affermata da Aristotele anche nel libro D 1. Qui, dopo avere elencato i sensi di archê, Aristotele aggiunge: "(1) In altrettanti sensi si dicono anche le cause: infatti ogni causa è principio. (2) Ora, a tutti i tipi di principio è comune il fatto di essere il primo ente, a partire da cui si dà essere, divenire o conoscenza; e alcuni principi sono immanenti, altri sono esterni. (3) Per questo motivo la natura e l'elemento sono principio, e il pensiero e la scelta, e la sostanza, e il fine: (4) infatti il bene e il bello sono principio di conoscenza e di movimento per molte cose" ijsacw'" de; kai; ta; ai[tia levgetai: pavnta ga;r ta; ai[tia ajrcaiv. paswn me;n ou\n koino;n

twn ajrcwn to; prwton ei\nai o{qen h] e[stin h] givgnetai h] gignwvsketai: touvtwn de; aiJ

me;n ejnupavrcousaiv eijsin aiJ de; ejktov". dio; h{ te fuvsi" ajrch; kai; to; stoicei'on kai; hJ

Page 14: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

14

diavnoia kai; hJ proaivresi" kai; oujsiva kai; to; ou| e{neka: pollw'n ga;r kai; tou' gnw'nai kai;

th'" kinhvsew" ajrch; tajgaqo;n kai; to; kalovn (1013 a 16-23). In questo brano in (1) si ribadisce quanto detto a 1003b22-5: ad ogni ente cui spetta

l'essere causa spetta anche l'essere principio. In (2) si stabilisce il senso generale di principio. Questo deve corrispondere a quello che in I 1 era stato chiamato il "significato più vicino al nome", cioè "l'essere il primo a partire da cui si dà qualcosa".21 Inoltre si distinguono i principi in interni ed esterni, cosa che non era stata fatta prima; in base a questo in (3) si applica la nozione di principio alle quattro cause: materia (natura ed elemento), causa motrice (pensiero e scelta), forma (sostanza) e fine. In (4) si spiega in che senso il fine sia anche un principio, cosa che potrebbe anche sembrare strana, visto il significato superficiale del nome (inizio/fine): perché anche a partire dal fine si danno divenire e conoscenza.22

A me pare che, sia nel passo di G, sia qui, Aristotele voglia attribuire ad ogni aitia la caratteristica di essere un'archê, e non identificare la nozione di aitia con quella di archê. Quindi arché non è il termine generale che indica il significato di aitia "più vicino al nome".23

Il problema del significato generale di aitia è stato affrontato dai commentatori. Alessandro d'Afrodisia nel commento al brano 1003b22-5 citato sopra, afferma:

"dice che l'essere rispetto all'uno è lo stesso nel senso in cui sono lo stesso principio

e causa, Infatti entrambi questi conseguono l'uno all'altro e si predicano dello stesso oggetto (infatti ciò che è principio è anche causa e ciò che è causa è anche principio) e tuttavia sono diversi la loro definizione e il concetto che ce ne facciamo nella mente, a seconda che si dica 'principio' o 'causa' (infatti, [a] è principio in quanto è primo rispetto alle cose di cui è principio e in quanto dipendono da lui le cose di cui è principio, [b] è causa in quanto le cose di cui è causa sono in virtù di essa; altro è 'ciò da cui dipende', altro è 'ciò in virtù di cui'" levgei de; to; e}n tw'/ o[nti ou{tw taujto;n ei\nai wJ" e[sti taujta; ajrchv te kai; ai[tion. wJ"

ga;r tau'ta ajmfovtera me;n ajkolouqei' te ajllhvloi" kai; kata; tou' aujtou' kathgorei'tai

(o} ga;r ajrchv, tou'to kai; ai[tion, kai; o} ai[tion, tou'to kai; ajrchv), a[llo" mevntoi lovgo"

21 Cfr. Bonitz 1849, p. 221. 22 Seguo qui Alessandro, 347,10-31; Bonitz 1849, p. 220, e Ross 1924, I p. 291, pensano che phusis qui indichi o la materia remota o la natura come principio di movimento descritta in Phys. II 1. 23 In questo senso modifico quanto detto in Natali 1997a.

Page 15: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

15

aujtou' kai; a[llh ejpibolh; th'" dianoiva" kaqo; ajrch; levgetai kai; a[llo" kaqo; ai[tion (hJ

me;n ga;r ajrch; kaqo; prw'tovn ejsti tou' ou| ejstin ajrchv, kai; kaqo; ejx aujtou' ta; w|n ejstin

ajrchv, to; de; ai[tion kaqov ejsti diæ aujto; to; ou| ai[tion: a[llo de; to; ejx ou| ejsti kai; a[llo

to; diæ o{). (in metaph. 247,8-15). Quindi ogni ente che è un principio è anche una causa e viceversa, ma la nozione di

principio e la nozione di causa sono differenti.24 Alessandro per la definizione di 'principio' ripete quella che Aristotele dà a 1013a18, brano riportato qui sotto, invece per la definizione di 'causa' si rifà, o agli Analitici secondi, 85b38-90a7, oppure al brano di Phys. II 3, 194b19-20, cioè all'idea, espressa in entrambi i brani, secondo cui conoscere il dia; tiv è identico a conoscere l' aijtiva. Infatti Alessandro non trova un'altra definizione generale di aitia nella Metafisica.25

Simplicio tocca il problema della nozione generale di causa nel suo commento al libro II della Fisica, in un brano il cui scopo è quello di modificare lo schema aristotelico delle quattro cause aggiungendo ad esse anche la causa strumentale e quella paradigmatica tipiche del Neoplatonismo. Per questo egli si occupa anche della nozione di causa in generale (316,22-317,4). Si vede bene che siamo molto lontani dalla dottrina aristotelica delle cause; ma la sua proposta è interessante. Egli dice:

"Che questi siano i tipi di cause, e non più né meno di questi, uno potrebbe forse

argomentarlo partendo da una divisione, premettendo ad essa che sono cause quelle cose in virtù di cui un ente è ciò che è e diviene ciò che diviene, e quelle che noi forniamo quando ci si chiede il perché" o{ti de; tosou'toiv eijsin oiJ tw'n aijtivwn trovpoi kai; ou[te pleivone" ou[te ejlavttone", tavca

a[n ti" kai; ejk diairevsew" sullogivsaito, tosou'ton proeipw;n o{ti ai[tia ejkei'nav ejsti

diæ a} e[sti te to; o]n oi|ovn ejsti kai; givnetai to; ginovmenon, kai; a{per ejrwthqevnte" to;

dia; tiv ajpodivdomen (316,29-33).

Anche in Simplicio l'aitia viene caratterizzata sia ciò per cui le cose sono e divengono, sia come spiegazione. Quindi i commentatori di Aristotele hanno supplito alla lacuna del maestro, ed hanno identificato il significato generale di aitia 24 Cfr. anche Ross 1924, I, pp. 257 e 291; Owens 1951, p. 161 n. 25 Una formulazione particolarmente vicina a quella di Alessandro si trova in EE 1227a14: to; di∆ o{, preceduta appunto da un riferimento agli Analitici (1227a10-11).

Page 16: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

16

nel dia ti o di'ho. I due commentatori non riescono a darci una risposta sufficientemente chiara e informativa, a mio parere.

La nostra ricerca giunge quindi ad una impasse: Aristotele ha detto che vi è un singificato estensionale dell'aitia, le quattro cause, ed un significato intensionale, l''essere causa', ma non ci ha detto, nelle opere conservate, quale sia quest'ultimo. Forse però si può trarre qualche indicazione sulle caratteristiche dell''essere causa' da altri passi.

2.4. Caratteristiche della nozione aristotelica di causa. La teoria aristotelica delle cause ha una serie di caratteristiche importanti, che qui

riassumeremo. Come gran parte delle altre nozioni di causa, anche quella aristotelica indica (1) un tipo di relazione. Inoltre per Aristotele si tratta (2) di una relazione di dipendenza oggettiva, dotata di (3) unidirezionalità (4) trasmissibilità e (5) necessità.

Cominciamo con la caratteristiche (4) e (5). Per Aristotele la causalità è trasmissibile, ma all'interno di segmenti causali finiti, che iniziano con una causa prima e terminano con l'effetto: se a è aitia di b, b è aitia di c, e c è aitia di d, allora a è aitia di d (cfr. metaph. D 2, 994a 11-16). La prima aitia è l’aitia di tutti i membri della serie b, c, d; i membri intermedi, b e c sono aitiai, ma non prime aitiai, dei membri successivi, b di c e d, c solo di d. La causalità è transitiva da a a c, ma non il ruolo di causa prima. La catena delle cause, in tal senso, si applica solo all’interno di ogni specie di aitia: una catena di aitiai finali ha sia ai due estremi, che in mezzo, solo aitiai finali. Ogni catena comincia con una prima aitia, che non ha altra aitia dello stesso tipo prima di sé. Al contrario per gli Stoici la catena universale delle cause è necessaria, ma, a prima vista, la causalità non sembra essere trasmissibile: se a è causa di b e b è causa di c, allora a non è causa principale di c. La trasmissione causale è necessaria, almeno secondo certi passi della Metafisica (E 3). Su questo la discussione è ancora aperta, cfr. Sorabji (1980).

Vediamo ora le caratteristiche (2) e (3). Negli Analitici secondi si afferma che il rapporto di causalità comporta una priorità irreversibile della causa rispetto all'effetto26:

26 In questo si differenzia dalle concezioni della causalità basate sul concetto di regolarità e da quelle controfattuali, che non possono escludere la dipendenza della causa dall'effetto (Kistler 2002, pp. 644-53). A volte capita di leggere che nella filosofia antica non si aveva la nozione di “effetto”, ma ciò non è esatto: in metaph. D 2, 1014a 10 Aristotele usa una perifrasi: ejfæ w|n ai[tia ta; ai[tia, la quale (pace Wieland) indica esattamente il concetto di “effetto”, mentre in a. po. II 16, 98a 36 compare, sempre per

Page 17: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

17

"non è possibile che essi siano causa reciprocamente, infatti la causa precede ciò di

cui è causa, e dell'eclisse è causa l'interposizione della terra, mentre l'eclisse non è causa dell'interposizione della terra" mh; ejndevcetai ai[tia ei|nai ajllhvlwn (to; ga;r ai[tion provteron ou| ai[tion, kaiv tou' me;n

ejkleivpein ai[tion to; ejn mevsw/ th;n gh'n ei\nai, tou' d j ejn mevsw/ th;n gh'n ei\nai oujk ai[tion

to; ejkleivpein) (II 16, 98b 16-19). e nelle Categorie si ripete: "tra le cose reciproche per quanto riguarda l'esistenza, ciò che in un modo qualsiasi

è causa di altro, lo si potrà legittimamente dire precedente per natura" tw'n ga;r ajntistrefovntwn kata; th;n tou' ei\nai ajkolouvqhsin to; ai[tion oJpwsou'n

qatevrw/ tou' ei\nai provteron eijkovtw" fuvsei levgoitæ a[n (12, 14b 11-13). La relazione di causa ed effetto è ad un solo senso (14b 13-22, cfr. Hankinson 1998,

pp. 166-7), quindi il termine aitia indica una relazione asimmetrica non reversibile: C ---> E che deve essere specificata secondo i quattro tipi di causalità. In altri termini i

quattro eide dell’aitia sono quattro tipi di relazione di dipendenza che si danno nel mondo. Abbiamo quindi un dependence account della causalità, che però include come suo caso particolare un productivity account, limitato ad una sola delle cause, la causa motrice. 27

Nella filosofia di Aristotele, dire “a è aitia di b ” corrisponde a dire: - che vi è una relazione asimmetrica di dipendenza tra a e b; - che questa relazione è un rapporto nel mondo; - che questa relazione è trasmissibile: se a è aitia di b e b di c, a è aitia di c. - che questa relazione può essere solo uno dei quattro tipi descritti nella Fisica;

indicare “effetto”, il termine to; aijtiatovn, che sarà poi comunemente usato, in questo senso, nella filosofia successiva, cfr. ad es. Zenone in Stob. I, p 138, 14 sgg. (= SVF I 89). E’ interessante notare che il termine to; aijtiatovn non è elencato nell’Index aristotelicus di Bonitz. 27 Sulla interpretazione della causa aristotelica come relazione oggettiva di dipendenza, cfr. anche Robin 1909, Follon 1988, Moravcsic 1991.

Page 18: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

18

- che la natura della dipendenza varia a seconda del tipo di relazione rilevante; - che una stessa scienza può avere per ogggetto tutte e quattro le relazioni. Dire che a è aitia di b non equivale a dire qualcosa di completamente chiaro, perché

si dice che b dipende da a, ma non si dice, ancora, che tipo di relazione di dipendenza vi sia tra a e b. Ma non è nemmeno dire qualcosa del tutto oscuro, perché sappiamo che le relazioni possibili sono solo quattro, e quindi dobbiamo solo specificare la nostra affermazione per renderla chiara. In questo senso la nozione aristotelica di aitia pare vicina alle teorie contemporanee che vedono nella causa un cluster concept, ma in realtà differisce abbastanza da esse. Infatti tali teorie si basano sull'idea di una serie di criteri distinti, tali che nessuno di essi è individualmente necessario, ma ognuno di essi è sufficiente a definire un ente una 'causa', tali criteri sono connessi da una serie di "somiglianze di famiglia" (Godfrey-Smith 2009, p. 332; Longworth forthcoming). Invece Aristotele nel passo 1051b1-9 pone un significato geenrale di causa al di là dei quattro significati particolari, cosa che i sostenitori del cluster concept non fanno.

4. Riassunto e conclusione. Le principali tesi che abbiamo avanzato in questo saggio sono le seguenti:

- Aristotele opera una "decostruzione" della causa platonica, separando la funzione motrice e produttrice dalla funzione di paravdeigma, e da quella di materia, e concilia la causalità presocratica e quella platonica: deprivate di causalità motrice, forma e materia possono convivere, - Aristotele distingue varie cause con funzioni diverse; esse vengono indicate tramite l'uso di particelle diverse, come avverrà poi nella filosofia di età imperiale, - in Aristotele tradurre aitia con "explication" può indurre in inganno: significa dare all'aitia una funzione principalmente epistemologica, il che non è corretto - oltre le quattro cause, Aristotele distingue un "significato principale" di aitia, diverso da quello di ognuna di esse, ma, nelle opere a noi pervenute, non dice mai quale sia; possiamo però indurre da altri passi cosa significa per Aristotele il termine aitia.

Rispetto al fondamentale articolo di Frede 1987, la tesi qui sostenuta è differente per vari aspetti. Dal punto di vista storico a noi pare che: (1) è vero che nella filosofia ellenistica il concetto di causa è più ristretto rispetto a quello di Aristotele, ma (2) probabilmente questa restrizione è stata influenzata dall'uso platonico, infatti vi è un

Page 19: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

19

forte influsso del platonismo sulla teoria delle cause nelle filosofie ellenistiche, specie nello stoicismo (Moreau 1939, p. 160; Solmsen 1963, p. 495; Krämer 1971, pp. 108-131). In questo senso la teoria aristotelica delle cause, che è una teoria della causalità come dipendenza e non come produzione, si presenta come un caso isolato nel pensiero antico, anche se successivamente, nella storia del pensiero occidentale, si avranno molti altri dependence accounts della nozione di causa.

Dal punto di vista teorico possiamo porci il problema: la decostruzione operata da Aristotele ci dà un senso di causa ancora interessante rispetto al dibattito odierno, o è un significato ormai storicamente superato? Ciò ovviamente dipende da come intendiamo la nozione di causa, nota giustamente Fine (1987, p. 71). Dopo la redazione dell'articolo di Frede, e soprattutto nell'ultimo decennio, il dibattito sulla causa ha ripreso con forza. Frede faceva riferimento alla concezione di causa tipica del linguaggio comune come, qualcosa che in un qualche senso "produce" il suo effetto, e come alternativa poneva solo la teoria della causa come connessione costante.28 Ogni altra concezione era valutata come 'muddled', intorbidata, e molti altri autori lo hanno seguito, negando che il termine aitia possa essere reso con causa, e proponendo termini connessi a 'spiegazione' (Annas, Barnes, Fine, Hankinson; il punto era stato già avanzato da Hocutt 1974). Oggi la cosa ci appare sotto una luce diversa.

Diamo per scontato che la nozione di causa aristotelica non corrisponde a quello che noi intendiamo prima facie per causa; ma nemmeno la nozione di causa come regolarità di connessione tra due eventi sotto una legge fisica, o la nozione controfattuale di causa rispettano le nostre intuizioni sull'uso comune del termine. Quella di Aristotele, almeno nell'interpretazione che se ne propone qui, è una teoria filosofica della causa, che non assume il termine aitia nell'uso comune, ma opera allo stesso tempo una decostruzione ed una ricostruzione del campo semantico del concetto. Ci si può chiedere quindi se sia corretto valutare la nozione aristotelica di causa sulla base dell'uso comune odierno, quando il dibattito sulla nozione di causa è in costante ripresa e molte teorie si contedono il campo. La tesi di Aristotele secondo noi va valutata sulla base di questo dibattito. Lo riassumiamo in breve.

Alcuni pensano che l'opposizione principale sia tra "dependence accounts of causation and production ones" (Psillos 2009, p. 154). Tra le teorie della causalità come dipendenza potrebbero essere annoverate quelle basate sul concetto di 28 Lo stesso vale per Hankinson 1998, pp. 2-3 e 166-7.

Page 20: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

20

regolarità, quelle probabilistiche e forse quelle controfattuali, anche se queste ultime appaiono piuttosto improntate a un certo scetticismo. Tra le teorie della causalità come produzione potrebbero essere annoverate quelle basate sui cconcetti di intervento e manipolazione, quelle legare all'idea dei causal powers e quelle che partono dall'idea di un processo causale come trassmissione di un mark da un ente ad un altro.

Altri invece sostengono che l'opposizione più importante è quella tra approcci riduzionisti della causalità ed approcci "primitivisti", che assumono la causalità come un concetto non ulteriormente analizzabile se non in termini essi stessi causali.

Si discute inoltre se la nozione di causalità sia epistemica e in un certo senso soggettiva, o fisica ed oggettiva, se debba essere definita o possa essere conosciuta solo attraverso l'ostenzione di casi paradigmatici, e così via, se sia trasmissibile o non trasmissibile, se la relazione causale sia necessaria o non lo sia. Quindi il campo della riflessione sulla causalità appare oggi molto aperto, e la discussione estremamente vivace.29

Su questo sfondo, il giudizio secondo cui la nozione arisotelica di causalità sarebbe irrimediabilemte confusa, o meglio, sarebbe fonte di confusione intendere l'aitia aristotelica come una causa deve essere rivisto. La teoria aristotelica della causa è una teoria della causalità come dependence, che tuttavia non si oppone all'idea della causalità come production, come avviene oggi, ma la assume come un caso particolare. Inoltre è una teoria realistica, in quanto ammette che la dipendenza causale esista nel mondo. Dal punto di vista della trasmissibilità della causazione, essa sembra assumere una posizione intermedia, ammettendo, da una parte, la trasmissione, ma solo all'interno di segmenti limitati, e non ammette catene infinite di causazione di un singolo evento. Per quanto riguarda la necessità, la teoria aristotelica pare distribuire la questione secondo i vari tipi di dipendenza e i vari oggetti tra cui queste dipendenze si instaurano, invece di assumere una soluzione univoca alla questione. Tutte queste caratteristiche rendono la nozione aristotelica di causalità comparabile, almeno in parte, con questa o quella posizione contemporanea, e non assolutamente estranea ad esse, come poteva apparire nella seconda metà del secolo XX.

Ci pare quindi compito dello storico della filosofia ricordare ai colleghi teorici

29 Un sintentico panorama in italiano del dibattito sulla causalità è Laudisa 1999; vedi anche Kistler 1999, pp. 17-102 utilissimi i saggi raccolti in Beebe et al. 2009.

Page 21: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

21

l'esistenza nella storia del pensiero antico di posizioni potenzialmente interessanti, e capaci di produrre ispirazioni utili a superare, o quanto meno a meglio mettere in prospettiva, i problemi e le difficoltà della ricerca odierna. Università "Ca' Foscari" Venezia.

Studi citati. Barnes 1975: J. Barnes, Aristotle's Posterior Analytics, transl. with notes, Oxford. Barnes 1994: J. Barnes, Aristotle's Posterior Analytics, transl. with notes, IInd ed.

revised, Oxford. Barney, in stampa: R. Barney, "Metaphysics A 3, 983a24-984b8. Aristotelian method

and genre, with an appendix on Hippo" in corso di stampa negli Atti del XVIII Symposum Aristotelicum on Metaphysics A, Leuven (5-11.7.2008).

Beebe et al. 2009: H. Beebe, C. Hitchcock, P. Menzies, The Oxford handbook of causation, Oxford.

Bonitz 1849: H. Bonitz, Aristotelis Metaphysica, II, Commentarius, Bonn. Brisson 1974: L. Brisson, Le même e l'autre dans la structure ontologique du Timée de

Platon, Paris. Casertano 2003: G. Casertano, "Cause e concause", in Natali-Maso 2003, pp. 33-63. Chantraine 1999: P. Chantraine, Dictionnaire éthimologique de la langue Grecque, Paris,

II ed. Charlton 1970: W. Charlton, Aristotle's Physics I, II, Oxford. Cherniss 1944: H. Cherniss, Aristotle's criticism of Plato and the Academy, Baltimore. Darbo Peschanski 2010: C. Darbo Peschanski, "L’histoire de la notion d’aitios et

l’aition dans Aristote An.Po. II, 11" in Journal of ancient philosophy 4, vedi: http://www.filosofiaantiga.com.

Dixsaut 1991: M. Dixsaut, Platon. Phédon, trad. introd et notes, Paris. Easterling 1967: "Causation in the Timaeus and Laws X", Eranos 65, pp. 25-38. Ferrari 2001: F. Ferrari, "La causalità del bene nella Repubblica di Platone", Elenchos 22,

pp. 8-19. Ferrari 2003: F. Ferrari, "Causa paradigmatica e causa efficiente: il ruolo delle Idee nel

Timeo", in Natali-Maso 2003, pp. 82-96. Ferrari 2003a: F. Ferrari, "Questioni eidetiche", Elenchos 24, pp. 93-113.

Page 22: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

22

Ferrari 2010: F. Ferrari, "Dinamismo causale e separazione asimmetrica in Platone", in Fronterotta 2010, pp. 33-72.

Fine 1987: G. Fine, "Forms as causes: Plato and Aristotle", in A. Graeser, Mathematics and Metaphysics in Aristotle, Bern-Stuttgart, pp. 69-112.

Follon 1988: J. Follon, "Réflextions sur la théorie aristotélicienne des quatre causes", Revue Philosophique de Louvain 86, pp. 317-353.

Frede 1987: M. Frede, "The original notion of cause", in Id. Essays in ancient philosophy, Oxford, pp. 125-50.

Fronterotta 2001: F. Fronterotta, METEXIS. La teoria platonica delle idee e la partecipazione delle cose empiriche, Pisa.

Fronterotta 2007: "The development of Plato's theory of ideas and the 'Socratic question'", OSAPh 22, pp. 37-62.

Fronterotta 2008: "Chiusura causale della fisica e razionalità del tutto : alcune opzioni esegetiche sull’efficienza causale delle idee platoniche", PLATO, The electronic Journal of the International Plato Society 8, vedi: http://gramata.univ-paris1.fr/Plato.

Fronterotta 2010: F. Fronterotta, La scienza e le cause. A partire dalla Metafisica di Aristotele, Napoli.

Fronterotta 2010a: "La critica aristotelica alla funzione causale delle Idee Platoniche: Metafisica A 9, 991a8-b9", in Fronterotta 2010, pp. 93-119.

Godfrey-Smith 2009, "Causal pluralism", In Beebe et al. 2009, pp. 326-37. Hamelin 1907: O. Hamelin, Aristote. Physique 2, trad. et comm., Paris. Hankinson 1998: R.J. Hankinson, Cause and explanation in ancient Greek thought,

Oxford. Hocutt 1974: M. Hocutt, "Aristotle's four becauses", Philosophy 49, pp. 385-99. Isnardi Parente 1982: Senocrate - Ermodoro. Frammenti, ed. trad. e comm., Napoli. Kistler 1999: M. Kistler, Causalité et lois de nature, Paris. Kistler 2002: M. Kistler, "Causation in contempory analytical philosophy", Queastio 2,

pp. 635-68. Krämer 1971: H.J. Krämer, Platonismus und hellenistische Philosophie, Berlin-New York. Lasserre 1966: F. Lasserre, Die Fragmente des Eudoxos von Knidos, hrsg., üb. und

komm., Berlin-New York. Laudisa 1999: F. Laudisa, Causalità. Storia di un modello di conoscenza, Roma.

Page 23: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

23

Ledbetter 1999: G.M. Ledbetter, "Reasons and causes in Plato: the distinction between aijtiva and aijtivon", Ancient philosophy 19, pp. 255-65.

Longworth, forthcoming, "Is causation a cluster concept?" cit. in Godfrey-Smith 2009, p. 337.

Luraghi 1989: S. Luraghi, "Cause and instrument expression in classical Greek. Remarks on the use of dia in Herodotus and Plato", Mnemosyne 42, pp. 294-307.

Mackie 1980: J.L. Mackie, The cement of the universe. A study on causation, Oxford. Moreau 1939: J. Moreau, L'âme du monde de Platon aux Stoïciens, Paris. Mignucci 2007: M. Mignucci, Aristotele. Analitici secondi, a cura di, Roma-Bari. Moravcisic 1991: J.M. Moravcsic, "What makes reality intelligible? Reflections on

Aristotle's theory of Aitia", in L. Judson, Aristotle's Physics: a collection of essays, Oxford, pp. 31-47.

Natali 1997: C. Natali, "Le cause del Timeo e la teoria delle quattro cause", in T. Calvo e L. Brisson, Interpreting the Timeus-Critias, Proceedings of the IV Symposium Platonicum. Selected Papers, Sankt Augustin, pp. 207-213 (trad. francese col titolo: "Les causes du Timée et la théorie des quatre causes", in M. Fattal, La philosophie de Platon, 2, Paris 2005, pp. 347-356).

Natali 1997a: "Aitia in Aristotele: causa o spiegazione?", in H.G. Günter e A. Rengakos, Beiträge zur antiken Philosophie, Festschrift ... Kullmann, Stuttgart, pp. 113-124.

Natali 2003: C. Natali, "La forma platonica è una causa formale?" in G. Damschen et al., Platon und Aristoteles - sub ratione veritatis, Festschrift ... Wieland, Göttingen, pp. 158-173.

Natali-Maso 2003: C. Natali-S. Maso, Plato physicus. Cosmologia e antropologia nel Timeo, Amsterdam.

Owens 1951: J. Owens, The doctrine of Being in the Aristotelian 'Metaphysics', Toronto. Pellegrin 2000: P. Pellegrin, Aristote. Seconds analytiques, Introd. trad. et notes, Paris. Psillos 2009: S. Psillos, "Regularity theories" in Beebe et al. 2009, pp. 131-57. Robin 1909: L. Robin, "Sur la conception aristoélicienne de la causalité", Archiv für

Geschichte der Pilosophie 23, pp. 1-27 e 185-210. Ross 1924: W.D. Ross, Aristotle's Metaphysics, text, introd. and comm., Oxford. Salvaneschi 1979: E. Salvaneschi, "Sui rapporti etimologici del greco «aijtiva»",

Sandalion 2, pp. 20-65.

Page 24: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

24

Scandellari 1979: E. Scandellari, "Osservazioni sul significato del termine «aijtiva» nelle Tetralogie di Antifonte", Sandalion 2, pp. 67-80.

Stefanini 1932-5: L. Stefanini, Platone, Padova (III ed. 1991). Sedley 1998: D. Sedley, "Platonic causes", Phronesis 43, pp. 114-32 Shorey 1924: P. Shorey, "The orgin of syllogism", Classical Philology 19, pp. 1-1-9. Solmsen 1963: F. Solmsen, "Nature as craftman in Greek thought", Journal of history of

ideas 24, pp. 473-96. Sorabji 1980: R. Sorabji, Necessity, cause and blame. Perspectives on Aristotle's theory,

London. Taylor 1928: A.E. Taylor, A commentary on Plato's Timaeus, Oxford (III ed. 1971). Viano 2006: C. Viano, La matière des choses. Le livre IV des Météorologiques d' Aristote

et son intérpretation par Olympiodore, Paris. Vlastos 1969: G. Vlastos, "Reasons and causes in the Phaedo", Philosophical Review 78,

291-325 = Platonic Studies, Princeton 1981, II ed., pp. 76-110. Wieland 1962: W. Wieland, Die aristotelische Physik, Göttingen. Wolsdorf 2005: D. Wolsdorf, "Aijtivon and aijtiva in Plato", Ancient philosophy 25, pp.

341-8.

Page 25: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

25

2. Problemi della nozione di causa finale in Aristotele. I. Una polemica aristotelica. La nozione di causa finale è centrale nell’etica di Aristotele. Basta leggere le prime righe dell’opera per trovarsi immediatamente in un contesto finalistico: «Ogni arte ed ogni indagine, come pure ogni azione e scelta, a quanto si crede, persegue un qualche bene, e per questo il bene è stato definito, in modo appropriato, come ciò cui tutto tende. Ma appare evidente che vi è una certa differenza tra i fini: alcuni sono attività, altri sono delle opere che stanno al di là di quelle, e, quando si danno dei fini al di là dell’azione, in questo caso le opere sono migliori delle attività (1094a 1-5)». Ma la nozione di causa finale è oscura e piena di difficoltà; anche al tempo di Aristotele essa era oggetto di discussioni, come risulta dal primo libro della Metafisica: «Il fine per cui le azioni, i mutamenti e i movimenti hanno luogo, essi dicono che è in un certo modo causa, ma non nel modo detto qui, cioè non nel modo in cui è la sua natura di causa. Infatti coloro che pongono l’intelligenza o l’amicizia come fine classificano queste realtà come un certo bene30, ma non ne parlano come se fosse ciò per cui alcuni degli enti sono o divengono, ne parlano come se fossero principio di movimento (ouj mh; wJ" e{nekav touvtwn h] o]n h] gignovmenovn ti tw'n o[ntwn ajllæ wJ" ajpo;

touvtwn ta;" kinhvsei" ou[sa" levgousin) (…) quindi accade loro, in un certo senso, di dire e di non dire che il bene è causa: non lo dicono causa in senso proprio, ma solo per accidente» (988b 6-16).

30 Leggo ajgaqo;n ti, con i migliori mss.

Page 26: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

26

La polemica di Aristotele può essere intesa in due sensi: o nel senso che alcuni hanno considerato come causa efficiente degli items che rientrano tra le cause finali31 - e quindi la critica sarebbe solo sull’errata classificazione di tali realtà - oppure nel senso che alcuni hanno confuso il tipo efficiente di causalità col tipo finale, ed in questo senso la critica risulta più’ fondamentale. Questa seconda interpretazione è quella più vicina al testo della linea 7 e seguente: «dicono che è in un certo modo causa, ma non nel modo detto qui, cioè non nel modo in cui è la sua natura di causa»32 (988b 7-8). In questo modo, del resto, il brano è stato interpretato dai principali commentatori33. Quindi l’errore denunciato da Aristotele consiste in un’attribuzione della causalità di tipo efficiente alle cause finali, cioè di confondere le specie di causalità. Per ‘causa efficiente’ per ora indico quello che Platone chiama to poioun, anche se, in verità, per Aristotele la causa motrice è qualcosa di diverso e più generale, qui è definita come «ciò da cui, non in quanto parte componente, qualcosa in primo luogo deriva, e da cui il movimento e il cambiamento naturalmente derivano in primo luogo»34 (1013a 7-8). Che le due cause non siano identificabili, ma anzi contrapposte, è opinione di Alessandro d’Afrodisia (in metaph. p. 22, 6-9); egli nota che causa motrice e causa finale sono contrapposte nell’ordine del tempo, perché l’una preesiste al mutamento e l’altra si genera per ultima, e quindi “giustamente vengono contrapposte (eijkovtw"

ajntivkeitai)”: perché l’una è arché e l’altra è telos. Tale opposizione sparisce se la causa motrice e la causa finale sono identificate. Lo stesso Alessandro caratterizza la nozione di causa finale in questi termini: «essa ha la caratteristica di essere causa in quanto bene, spetta alle cose che divengono venire ad essere in vista di lei»35 (in metaph. 63, 19-20). Questo è il punto che dobbiamo approfondire meglio. La frase to; touvtou e{neka, «in vista di lei», è notissima, ma non sempre viene presa del tutto sul serio. 31 Cfr. J. Annas, Aristotle on inefficient causes, «Philosophical Quarterly» 32, 1982, p. 321. 32 trovpon mevn tina levgousin ai[tion, ou{tw de; levgousin oujdæ o{nper pevfuken. 33 Cfr. Alessandro d’Afrodisia (in metaph., p. 63, 1-31 Hayduck); W.D. Ross, Aristotle’s metaphysics, Oxford 1924, più volte ristampata, p. 179; G. Reale, Aristotele. Metafisica, II edizione, Milano 1993, vol. III p. 67. 34 o{qen givgnetai prw'ton mh; ejnupavrconto" kai; o{qen prw'ton hJ kivnhsi" pevfuke a[rcesqai kai; hJ metabolhv. 35 oJti to; wJ" ajgaqw/' ei|nai aijtivw/ aujtw/' ejsti to; touvtou e{neka ta; gignovmena givgnesqai.

Page 27: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

27

2. Irwin, Furley e la causa finale. Un’identificazione di causa motrice e causa finale, come quella criticata da Aristotele, non è tipica solo dei suoi contemporanei, essa si ritrova anche nella letteratura odierna; si tratta di una letteratura molto ampia e complessa, della quale qui ho la possibilità di esaminare solo alcuni esempi emblematici. In un importante libro recente T. Irwin prende le mosse dall’idea che la nozione di causa sia un esempio di come la nozione ristretta di dialettica che Aristotele professa (cioè: “dialettica” come argomentare solo a partire da opinioni notevoli e diffuse) porti A. stesso a posizioni insostenibili. Una di queste è la tesi che le quattro cause sono irriducibili l’una all’altra36. Egli intende dimostrare che questa tesi è falsa, e per dimostrare ciò ci offre un “restatement” della dottrina aristotelica, in base alla quale “some of the four causes may (...) be reductible to the others”. In particolare egli ritiene che la causa motrice, “when completely specified is the most exact and complete”, e che le altre cause sono, in realtà “abbreviations” della causa motrice. Per esempio, dire che la forma è causa della statua è un modo abbreviato di dire che la causa della statua è “the sculptor exercising the form”. Quindi le altre cause non sono “four distinct causes of the same thing (…) but the reference to them tourns out to be the attribution of formal, final and material properties to the efficient causes”. Una prima critica che si può rivolgere ad Irwin è parzialmente estranea all’argomento, ma coglie un punto debole della sua ricostruzione. Irwin pare prendere alla lettera l’idea, in genere attribuita ad Aristotele, che l’opinione comune del suo tempo ammettesse quattro distinti tipi di cause. Ma un breve esame della nozione di causa nei dizionari etimologici della lingua greca, come lo Chantraine, ci mostra che nella lingua corrente del tempo di Aristotele la nozione di causa era connessa a quella di “responsabilità” o di “accusa”, e quindi implicava il concetto di “qualcuno che fa qualcosa”. La nozione corrente di causa quindi era

36 Aristotle’s first principles, Oxford 1988, 19902, pp. 95-109. Il suo studio risulta influenzato dall’articolo di J. Annas citato prima.

Page 28: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

28

strettamente connessa alla nozione di “causa motrice” Questo è stato messo in luce da Frede37, e corrisponde sia all’uso moderno che all’uso antico, platonico e stoico. Platone è un buon testimone dell’uso linguistico del suo tempo. Ciò risulta chiaro quando dice, nell’Ippia maggiore: «forse che ciò che produce non altro che la causa? O no? IP. E’ così»38 (296e-297a) e ribadisce, nel Filebo: «non c’è differenza tra la natura di ciò che produce e la natura della causa, eccetto che nel nome; il produttore e la causa non sono forse detti, giustamente, essere una cosa sola?»39 (26e). Quindi non è vero che l’opinione corrente dei Greci al tempo di Aristotele è che vi fossero quattro modi di intendere la nozione di causa. E, a ben vedere, Aristotele non dice, nella Fisica, che nella lingua corrente del suo tempo il termine aitia si dice in quattro modi; egli dice che la domanda “Perché? (dia ti)” si dice in quattro modi, e si serve di ciò come di un argomento da cui dedurre che aitia si dice in quattro sensi (198a 15-16). Ma se è necessaria una argomentazione per stabilire questa dottrina, ciò significa che la distinzione dei quattro sensi delle causa non è per se evidente, e che un Greco qualunque non avrebbe ammesso, prima facie, che aitia ha quattro significati. La distinzione dei quattro significati di aitia in metaph. D 2 e phys. II 3 non è una lista delle opinioni correnti, ma ha uno scopo diverso, che poi vedremo. Prima di sottoporre le tesi di Irwin ad ulteriori critiche, è bene prendere in considerazione un altro studio recente in cui la nozione di causa finale è ricondotta a quella di causa motrice. D.J. Furley, a differenza di Irwin, ha riconosciuto che la teoria aristotelica delle quattro cause non rispecchia l’uso linguistico corrente al

37 M. Frede, The original notion of cause, in Essays in ancient philosophy, Oxford 1987, pp. 125-150; ma vedi anche J. Follon, Réflections sur la théorie aristotélicienne des quatre causes, «Revue philosophique de Louvain.» 86 (1998), pp. 321-322 con ulteriore bibliografia. 38 to; poiou'n dev gæ ejsti;n oujk a[llo ti h] to; ai[tion: h\ gavr… IP. Ou{tw". 39 hJ tou' poiou'nto" fuvsi" oujde;n plh;n ojnovmati th'" aijtiva" diafevrei, to; de; poiou'n kai; to; ai[tion ojrqw'" a]n ei[h legovmenon e{n…

Page 29: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

29

tempo di Aristotele stesso40. Furley ricorda infatti che la nozione greca di aition indica “ciò che è responsabile” di qualcosa: “to be a cause is normally to be in some sense an agent”. In questo senso - egli osserva - il senso aristotelico di causa è più lontano dagli usi correnti e dagli endoxa, di quello di Platone. Inoltre Furley, giustamente, si oppone ai tentativi di identificare la aitia aristotelica con una “explanation”41; infatti, egli sostiene, una spiegazione è “a verbal item”, mentre l’aitia è un ente nel mondo: una cosa, una persona, uno stato di cose. Furley ritiene però di poter ridurre la causa finale ad una “particular description” della causa efficiente. Nel caso di un agente consapevole - come un uomo o dio - questa riduzione non è troppo difficile: la causa finale può esser ricondotta all’intenzione dell’agente. Invece nel caso dei processi naturali la causa finale viene ricondotta da Furley alla serie della generazione, in base alla quale, se un organo ha un effetto benefico per la sopravvivenza dell’organismo in cui si trova, si può avere l’illusione che tale benefico effetto sia la causa. Ma ciò è solo una falsa impressione; la vera causa dell’organo è la sua produzione da parte della causa efficiente che ha generato l’organismo: “the heart beats because other hearts have beaten in the past”. La causa finale, in questo senso, è frutto di una sequela che si svolge nel passato, e che produce l’organo utile, quindi, come le altre cause, anche la causa finale funziona “by being subsumed in the efficient cause”. Fin qui Furley. 3. Aristotele contro Platone. La dottrina aristotelica delle quattro cause è stata costruita consapevolmente in opposizione alla identificazione di causa e poioun che si trova in Platone. Per valutare le interpretazioni di Irwin e Furley è necessario analizzare, in breve, che tipo di “mossa” (come nel gioco degli scacchi) Aristotele compie nei rispetti di Platone. Non è difficile vedere che la descrizione di Furley, per cui la causa finale è solo l’aspetto intenzionale di una causa efficiente è perfettamente adatta a descrivere la nozione platonica di causa divina del Timeo: il Demiurgo è effettivamente un poietes e un pater del cosmo, e produce il cosmo stesso in vista dell’ordine e del bello.

40 What kind of cause is Aristotle’ final cause?, in M. Frede - G. Stricker (edd.), Rationality in Greek thought, Oxford 1996, pp. 59-79. 41 Cfr., tra gli altri, M. Hocutt, Aristotle’s four becauses, «Philosophy» 49, 1974, pp. 385-399; si veda anche la critica di G.R.G. Mure, «Philosophy» 50, 1975, pp. 256-257.

Page 30: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

30

Quindi il finalismo del Timeo è un aspetto della causalità efficiente di un agente consapevole, e può essere ricondotto ad un modo di essere della causa motrice. A nostro parere Aristotele opera una “decostruzione” della nozione di “causa divina” del Timeo come “agente che produce per un fine buono”. Frutto di questa “deconstruction” è la distinzione dei quattro sensi di causa, che vengono da lui intesi come quattro specie42 distinte di rapporto tra gli enti, Quindi l’interpretazione di Irwin e Furley va à rebours rispetto alla mossa aristotelica: ricostruisce ciò che Aristotele ha decostruito, e, cercando di rendere Aristotele accettabile, lo ritrasforma in Platone. Queste quattro specie sono quattro tipi di rapporto di dipendenza dell’effetto dalla causa; tali forme di dipendenza possono essere compresenti, e possono anche inerire nello stesso individuo, ma non per questo sono mutualmente riducibili. Per questa ragione, a nostro parere, Aristotele critica chi vuole ridurre il rapporto di causalità finale a quello di causalità motrice, come i discepoli di Platone43. Vediamo di indagare meglio la mossa aristotelica; essa consiste nel dire che il termine “causa” si dice in molti modi. Possiamo partire da alcune indicazioni su come procedere in caso di pollachos legomena, che troviamo in Metafisica X 1. Aristotele dice che, quando qualcosa si dice in molti modi, in primo luogo si devono distinguere due questioni: - tiv ejsti to; C (dativo) ei|nai (qual è l’essenza di X); - poiva te C levgetai (quali cose si dicono X) ad esempio: - cos’è il tipo di essere dell’”elemento”, e - quali cose sono “elementi”. Iniziamo dalla seconda domanda. Per rispondere ad essa, dice Aristotele, si parte dalla distinzione dei vari significati di X: tutto ciò che rientra in uno almeno dei significati, si può dire che è X: levgetai, w/\ a]n uJpavrch/ ti" touvtwn tw'n trovpon (1052b 4-5). La prima domanda è più difficile. Per rispondere ad essa si può procedere in due modi: elencare i vari significati di X distinti prima, oppure esaminare un significato

42 Cfr. metaph. 994b 28: ta; ei[dh tw'n aijtivwn. 43 Cfr. metaph. 988b 11-13.

Page 31: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

31

ulteriore di X, del quale Aristotele ci dice «che è quello piu vicino al nome (o{ kai;

ma'llon ejggu;" tw/' ojnovmativ ejsti)» (1052b 6-7). Quando un termine ha molti significati, a volte, al di là dei vari modi correnti di usarlo, vi è un significato generale del termine stesso, comune a tutti i singoli modi, e che fonda il fatto di usare una stessa parola per realtà differenti. Questo ulteriore significato ha una relazione non molto chiara con la distinzione tra definizione verbale e definizione reale che troviamo in a. po. II 10. Quello che è chiaro è che Aristotele, con ciò, vuole indicare che vi è un nocciolo comune di significato, di cui i vari significati ulteriori che si possono distinguere sono applicazioni particolari. Lo Ps. Alessandro d’Afrodisia, commentando questo passo44, osserva che il significato generale è diverso dai quattro precedenti e quindi irriducibile a qualcuno di essi; inoltre, egli aggiunge è il significato più proprio, quello che: «più degli altri si avvicina (ejggivzei) alla natura (…), più degli altri è vicino (plhsiaivteron) ad essa, ed è il significato principale (kuriowtevrw" ... kata; touvtou

levgetai)» (in metaph. 603,5-6). Mentre i vari significati particolari sono “in potenza” e non “per sé”. Per spiegare meglio la sua posizione, Aristotele cita vari termini che si dicono in molti modi: e{n, stoicei'on, ajrchv, ai[tion. Quindi “causa” (ai[tion) ha, come gli altri termini, vari significati “in potenza”, ed un significato “per sé” distinto dagli altri. E’ facile supporre che i significati in potenza siano i quattro significati distinti in Metafisica V 2. Ma qual è il significato “per sé” di causa? Qui Aristotele ci abbandona: mentre ci dice qual è il significato per sé di e{n, stoicei'on, ajrchv, non lo fa nel caso di ai[tion. Con un po’ di sforzo, tuttavia45, e basandoci su alcuni passi degli Analitici secondi (II 16, 98b 16-19) e delle Categorie (12, 14b 11-13), si può giungere a sostenere che per Aristotele il significato kath’auto di aition è quella di “una relazione di dipendenza in cui ciò che è aitia precede (in qualche senso del termine: è detto infatti prôton) l’aitiaton, e non viceversa”. I due termini stanno in una relazione irreversibile, che costituisce un rapporto nel mondo e non un nostro modo di vedere le cose; inoltre 44 In metaph. 604,30-606,26. 45 Per una dimostrazione più ampia di questo punto ci permettiamo di rinviare al nostro saggio su: AITIA in Aristotele. Causa o spiegazione?, in H.-C. Günter - A. Rengakos (a cura di), Beiträge zur antiken Philosophie, Festchrift… Kullmann, Stuttgart 1997, pp. 113-124.

Page 32: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

32

questo rapporto può consistere solo in uno dei quattro tipi di causalità descritti in Fisica II 3 e Metafisica V 246. Quindi la nozione di causa in Aristotele è una nozione generalissima di dipendenza: C ---> E (secondo la formula di Bunge)47, in cui il significato della freccia ---> deve essere specificato secondo i vari tipi di causalità. In questo modo Aristotele riduce il significato corrente del termine causa come poioun, “ciò che produce qualcosa” ad uno dei quattro significati kata dunamin di aitia, e al suo posto, come come significato generale del termine, pone una nozione molto più astratta di quella di poioun. La teoria delle quattro cause lungi dal rispecchiare un presunto uso corrente, si rivela essere un momento centrale della critica di Aristotele a Platone. I quattro sensi della causa sono infatti i quattro possibili tipi di dipendenza di E da C. Vediamo ciò in concreto, in relazione alla causa finale. 4. Il senso specifico della causa finale. Se quanto abbiamo detto fin qui è vero la causa finale deve stabilire un tipo particolare di relazione di dipendenza dell’effetto dalla causa, specificamente differente dagli altri e ad essi irriducibile, contro le opinioni degli autori di cui abbiamo parlato nei primi due paragrafi. Il problema del contenuto della nozione di “causa finale” deve essere distinto da altri problemi di solito confusi con esso, come la plausibilità di questa nozione, la sua applicabilità e quali siano i migliori esempi per illustrarla. Un importante contributo a questa ricerca è stato dato pochi anni fa da David Charles, che ha posto esattamente questo problema48. Egli si è chiesto “how Aristotle conceived of teleological causation”, il che corrisponde a chiedersi se la relazione “‘for the sake of’ … could be further explained”. Al di sotto di tutti gli esempi dati da Aristotele, se si tratta di un tipo particolare di causazione, ci deve essere tra loro “a common form”, che sostiene “a unified conception” della causa finale. Charles 46 Ciò è detto chiaramente in metaph. 993a 11-15. 47 M. Bunge. La causalità. Il posto del principio causale nella scienza moderna (1959), trad. ital. Torino 1974. 48 Cfr.Teleological causation in the Physics, in: L. Judson (ed.), Aristotle’s Physics: a collecton of essays, Oxford 1991, 101-128)

Page 33: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

33

individua molto esattamente questa forma comune nell’instaurarsi di una sequela ordinata: «In any case where there is a goal, the prior and the subsequent stages in the relevant sequence occur for the sake of this goal. Thus, if G is the goal of a sequence a1,..a3, a1, a2 and a3 all occur for the sake of G (199a 8-9) (…) each part’s occurring where it does

in the process (e.g. as first, second, or third member) has itself to be explained teleologically (199b 7-9)» (p. 114, cfr. 115)49. La descrizione è del tutto esatta, e molto importante è l’osservazione che la sequela deve essere tutta composta di cause finali, come dice Aristotele stesso in metaph. II 2, 994a 8-10: «la passeggiata ha per fine la salute che ha per fine la felicità che ha per fine qualcosa d’altro…»50. In effetti, è facile notare che in tutti i principali passi in cui Aristotele parla della causa finale, è presente la citazione di una sequela di mezzi e fini. Ecco alcuni esempi: «inoltre il fine, cioè cio-per-cui, per esempio come la salute lo è del passeggiare (…) e tutto ciò che, quando qualcos’altro fa da causa motrice, si trova in posizione intermedia tra lui e il fine, per esempio il dimagrire, il purgarsi, le medicine, gli strumenti, dato che tutto ciò tende al fine» (metaph. 1013a 32-b 2) «nei casi in cui ciò per cui è causa: per esempio, perché passeggia? per essere sano (…) passeggiare dopo pranzo C, il non restare sullo stomaco da parte dei cibi non digeriti B, essere sani A» (a.po. II 11, 94b 8-14)

49 Una descrizione abbastanza simile si può trovare già nell’articolo di L. Robin, Sur la concéption aristotélicienne de la causalité, «Archiv f. Philosophie» NF 23 (1909-1910), p. 7. 50 Charles stesso però revoca parzialmente in dubbio la sua spiegazione, arrivando a sostenere che questa concezione «leaves Aristotle open to the criticism of conflating two quite distinct accounts of teleological causation… on which to base his understanding of natural processes and action» (p. 119). A suo parere nel caso dell’azione umana l’agente sceglie i mezzi da impiegare, i metaxù, mentre nel caso dell’azione naturale non vi è scelta (cfr. phys. 199b 26); inoltre nel caso della generazione naturale si può pensare ad un nisus o potenzialità, di giungere all’organismo pienamente sviluppato, mentre non vi è questo nisus nel caso dell’azione umana (pp. 108-110). D’altra parte le differenze da lui elencate non riguardano propriamente la relazione di dipendenza dell’effetto dalla causa finale, ma delle condizioni esterne, che riguardano la causa motrice correlativa alla causa finale. Quindi i suoi dibbi ci paiono eccessivi.

Page 34: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

34

«nei casi in cui c’è un fine, per esso vengono compiuti i passi che avvengono in serie, prima e dopo; quindi, come avviene nell’agire umano, così avviene in natura, e come avviene in natura, così avviene nell’agire umano, se nulla interferisce» e «è necessario che si generi per prima cosa il seme, non l’animale direttamente» (phys. II 8, 199a 8-11 e b 7-8) «di modo che il primo motore è l’oggetto del desiderio e del pensiero (…) ed impartisce movimento in quanto qualcosa è compiuto per esso, ed in quanto è fine delle cose che avvengono per altro» (de motu an., 6 700b 23-28). Secondo Simplicio questa sequela è l’elemento che più di ogni altro caratterizza la causa finale: «se qualcosa viene prodotto dall’arte cosi come lo sarebbe dalla natura, e se nell’arte gli stadi che si producono prima del fine avvengono in vista del fine, allora ciò si dà anche nella natura (…) con “fine” non si indica solo ciò-per-cui (…) ma ciò che porta a compimento ciò che accade in serie; in generale il processo ordinato sopravviene come ciò che porta a compimento il movimento e pone termine ad esso» (in phys. 377, 10-13 e 15-19)51 e, inoltre: «Se le cose stanno in modo che qualcosa giunge a un fine determinato attraverso un movimento continuo, di modo che in essa il secondo stadio del movimento fa sempre seguito al primo, allora è chiaro che in questi casi lo stadio precedente ha per fine il successivo» (383, 28-32)52. Il punto che Aristotele e Simplicio vogliono sottolineare è che la causa finale permette di distinguere, nell’infinito intreccio di movimenti ed effetti che 51 eij ou\n kai; kata; tevcnhn oJmoivw" a]n givnoito w{sper kai; kata; fuvsin, ejn de; toi'" kata; tevcnhn ejnargw'" tou' tevlou" e{neka givnetai ta; pro; tou' tevlou", kai; ejn toi'" kata; fuvsin oJmoivw" e[cei. (...) tevlo" levgei oujc aJplw'" to; ou| e{neken (...) ajllæ o{per to; provteron kai; to; ejfexh'", aJplw'" th;n ejn tavxei provodon sumperaivnei kai; o} teleioi' th;n kivnhsin, sunecei' ou[sh/ aujth'/ teleutai'on ejpiginovmenon kai; peratou'n aujthvn. 52 w{ste ou[te taujto;n ajpo; tw'n pasw'n kai; tw'n diafovrwn ou[te to; tuco;n ajfæ eJkavsth". eij ou\n toiau'tav ejstin, wJ" ejpiv tevlo" wJrismevnon ajfiknei'sqai sunecw'" kinouvmena, wJ" ajei; th;n deutevran kivnhsin e{pesqai th'/ protevra/, dh'lon o{ti e{neka tou' deutevrou to; provteron ajei; givnetai ejn toi'" toiouvtoi".

Page 35: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

35

compongono il mondo, alcune serie dotate di senso, costanti e ripetute; la connessione di queste serie avviene regolarmente, e i loro effetti ultimi hanno un legame essenziale con ciò che inizia la catena. Vi sono in Aristotele tracce di una concezione per la quale ogni evento nel mondo ha infinite cause e infiniti effetti accidentali, ma ha solo una serie di cause e una serie di effetti in senso proprio, naturali. Ciò è detto, in poche parole, nella Fisica: «senza dubbio è necessario che siano indefinite le cause di ciò che avviene per caso (...) le cause del fatto che, essendo arrivato lì, abbia ricevuto del denaro, nel caso in cui non sia giunto per quello scopo, sono innumerevoli: poteva voler vedere qualcuno, o aver seguito qualcuno, o evitare qualcuno, o vedere uno spettacolo» (II 5, 197a 8-18), e viene ripetuto negli Analitici secondi: «come una linea sta a un punto, così ciò che sta avvenendo è connesso a ciò che è avvenuto, dato che infiniti eventi avvenuti sono connessi a ciò che sta avvenendo ora; ma parleremo più chiaramente di ciò nel nostro trattato sul movimento» (II 12, 8-12). In questo modo ogni evento nel mondo appare, prima facie, correlato ad una serie indefinita di eventi che lo precedono immediatamente, ed a una serie indefinita di eventi che lo seguono immediatamente. Facciamo un esempio, prendendo in considerazione solo ciò che segue un dato evento. Don Giovanni è in strada, sotto il palazzo di Donna Elvira, travestito da servo, perché, dopo aver sedotto la padrona del palazzo, vuole sedurre anche la serva - e si sa che le serve non si fidano dei nobili, ma si fidano dei loro pari (Atto II scena 3). Quindi comincia a cantare: Deh vieni alla finestra o mio tesoro, deh vieni a consolar il pianto mio... Alla fine della romanza, succedono varie cose: A) la finestra della stanza della serva si apre; B) arriva Masetto richiamato dal canto; C) il gatto di casa, disturbato dal

Page 36: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

36

rumore, scappa sul tetto. Ognuno di questi atti a sua volta è temporalmente seguito da un altro evento: A’) la serva si affaccia, vede gente che discute e richiude la finestra; B’) Masetto scambia Don Giovanni per Leporello e gli chiede di aiutarlo a uccidere Don Giovanni stesso; C’) il gatto, arrivato sul tetto, vede un nido di uccellini e ne fa strage… e si potrebbe continuare all’infinito, moltiplicando le conseguenze e le biforcazioni. Un criterio solo empirico di successione temporale degli eventi non ci permette di individuare una serie del tipo descritto da Charles sopra (a1, a2, a3) in cui

si possa trovare una storia unitaria. La causa finale è il filo rosso che permette di scegliere, ad ogni diramazione, la strada giusta nella infinita serie degli eventi, e di collegare l’azione iniziale, il canto di Don Giovanni, al risultato cui l’azione tende (la servetta, di cui non sappiamo il nome, apre la finestra con un sorriso), tralasciando l’infinita serie di effetti “accidentali”53. E il risultato, come dice Aristotele, è identificabile per la sua presenza, potenzialmente e come forma da realizzare, già nel momento d’inizio dell’azione. Tale connessione non è solo un nostro modo di vedere, ma il fine è realmente presente già all’inizio, come punto d’arrivo; la causa motrice e la causa finale, nella terminologia aristotelica, sono legate come la partenza e il traguardo di un viaggio. La causa motrice è o{qen hJ ajrch; th'" metabolh'" hJ prwvth, «ciò a partire da cui comincia il mutamento» (1013a 29-30) in cui ajrchv prende il significato di o{qen

givgnetai prw'ton mh; ejnupavrconto" kai; o{qen prw'ton hJ kivnhsi" pevfuken a[rcesqai kai;

hJ metabolhv «ciò da cui, non in quanto parte componente, qualcosa in primo luogo deriva, e da cui il movimento e il cambiamento naturalmente derivano in primo luogo» (1013a 7-8, già citato all’inizio). La causa finale è to; ou| e{neka «ciò per cui» o, meglio, «ciò verso cui», come telos, completamento, il movimento termina. Le due nozioni sono chiaramente concepite come opposte e correlative, non come identificabili; esse non individuano due aspetti della stessa realtà, ma due realtà diverse seppure connesse. Dire che la causa finale è un aspetto della causa motrice, perché il fine è presente nel motore come oggetto intenzionato, e senza fine non ci sarebbe movimento (e nemmeno senza motore, del resto) è come dire che il figlio è un aspetto del padre, perché il padre non può essere tale se non ha figli.

53 In questo senso vedi anche P. Ricoeur, Soi-même comme un autre, Paris 1990.

Page 37: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

37

L’interpretazione qui presentata ha certi punti di somiglianza con quella di Wieland54, sia nel procedimento che nei risultati. In particolare, come in Wieland, il confronto con gli eventi accidentali è considerato essenziale per capire la nozione di catena finalistica (Wieland, pp. 257, 265)55. Inoltre anche in quell’autore la nozione di sequela è considerata centrale nell’analisi della finalità (p. 263), e infine il fine non viene visto come ciò che deriva di una forza che tende al fine stesso (p. 266). Ma Wieland ritiene che la causa finale sia solo un modo di vedere il singolo processo di divenire, dal punto di vista del risultato e che la teleologia di Aristotele sia durchaus phänomenologische (p. 277). A suo parere la teleologia in Aristotele è solo «eine Kategorie, ein Reflektionsbegriff mit dessen Hilfe natürliche Dinge erforscht werden sollen» (p. 268) e viene paragonata alla concezione kantiana della finalità, che è un “als ob” (p. 276). Su questo punto Furley ha ragione di obiettare a Wieland che la relazione di dipendenza causale è una relazione esistente nel mondo, e non un nostro particolare punto di vista, che imponiamo alle cose. Ma tale relazione non va confusa con la relazione di causalità motrice: come dice Annas, “we cannot have … the goal exercising ghostly causal thugs from the future”56. In secondo luogo la causalità finale non deve essere considerata solo come l’attuazione di una potenzialità, ad esempio della capacità di curare che viene messa in pratica quando il dottore sta curando, ma è un’attuazione che si indirizza in una direzione precisa. Infine, a differenza di quello che avviene nelle discussioni dell’età moderna, la causa motrice e la causa finale non sono delle spiegazioni alternative l’una all’altra57, ma collaborano e sono mutualmente indispensabili. Questo punto è spiegato molto bene da Alessandro, nel commento alla Metafisica:

54 W. Wieland, Die aristotelische Physik, Göttingen 1962, 19702, pp. 254-277. 55 Ciò’, del resto, è già stato detto da Aristotele in phys. II 8, 199b 18-22; e il confronto è ribadito in Alessandro d’Afrodisia (in Simpl. in phys. 376, 15-16: e[sti kai; ejn toi'" ajpo; tuvch" ginomevnoi" tov te ou| e{neka kai; to; ejkeivnou cavrin. ajllæ ouj tou' tevlou" cavrin ejsti; ta; pro; aujtou «in ciò che accade come frutto del caso c’è un fine e un risultato intenzionale; ma i passi che precedono non vengono compiuti per il fine che viene raggiunto» Simplicio, che riporta questa affermazione, non concorda sul confronto, cfr. 376, 17-19). 56 Articolo citato, p. 319. 57 Si veda il quadro delineato da G.H. von Wright, Explanation and understanding, Ithaca 1971, cap. 1: Comte e Stuart Mill ritengono che la spiegazione causale (efficiente) renda inutile e sbagliata la causa finale, Droysen e Dilthey ritengono che vi sono campi in cui la spiegazione per cause è impossibile, e al suo posto è necessaria la “comprensione” intenzionale (cioè finalistica). Le due cause si escludono mutualmente, se c’è l’una non c’è l’altra.

Page 38: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

38

«in tutto ciò che avviene in base alla ragione, o per natura, il bene è fine: infatti nessuno si sforza di compiere o produrre qualcosa, tranne nel caso in cui ciò lo porti al fine; cosicché, poiché il fine è il punto di arrivo delle azioni che vengono compiute, e poiché ciò che è fine è una causa, se esso non vi fosse non vi sarebbe nulla che avviene, in primo luogo» (= in metaph. 159,27-160,21)58. La causa motrice in Aristotele è ciò da cui il movimento ha inizio, e non un anello di una catena eterna di cause motrici, come negli Stoici; essa è punto di partenza, nel senso in cui l’uomo è punto di partenza delle sue azioni, senza essere mosso da altro (E.N. 1110a 15). Quindi il mettersi in movimento della causa motrice non dipende dal ricevere una spinta da un’ulteriore causa motrice, ma dipende dall’imput prodotto dalla presenza del bene come fine. E’ in questo senso che le due cause sono correlative. Ma tale descrizione non è ancora del tutto esatta perché trascura un elemento centrale della causalità finale, cioè la sequela dei termini intermedi (metaxù). La causa finale ultima non agisce sulla causa motrice prima attraverso una misteriosa influenza che, dal futuro, metta in moto un motore qui presente, ma perché permette ad essa di selezionare, tra le cose che la causa motrice può fare qui e ora, quella che porta al bene e al fine, e motiva la causa motrice a fare proprio quell’azione, e non un’altra, tra le infinite cose che l’agente ha la possibilità, in un momento dato, di fare. Questi metaxù, questi gradini intermedi della catena, secondo Alessandro potrebbero anche essere chiamati cause motrici (poietika); ma Simplicio obietta che più propriamente essi possono essere definiti organika, cioè “cause strumentali”59. Lo stesso Alessandro ammette però che essi non sono poihtika; kurivw", perché non sono motori primi60. Essi infatti sono posti in serie l’uno dopo l’altro, e tutti hanno per fine sia il gradino successivo della catena, sia il bene e punto di arrivo finale: come una guida sicura in un labirinto confuso, ad ogni bivio indirizzano la causa motrice, e

58 ejn pa'si toi'" kata; lovgon h] fuvsin gignomevnoi" to; ajgaqo;n tevlo" ejstivn: ou[te ga;r th;n ajrch;n ejgceirei' ti" pravttein ti kai; poiei'n, eij mh; mevlloi ejpi; to; tevlo" a[xein aujtov. w{ste eij skopo;" tw'n prattomevnwn to; tevlo" kai; to; toiou'ton ai[tion, eij tou'to mh; ei[h, oujk a]n th;n ajrch;n ei[h ti gignovmenon. 59 Cfr. Simplicio, in phys. 315, 30 - 316, 20, ove viene citato anche il commento di Alessandro d’Afrodisia alla Fisica, oggi perduto. La nozione di ai[tia ojrganikav è importante: un organon non è semplicemente un anello di una trasmissione meccanica di movimento dall’origine prima all’effetto, ma è un ente che per essenza è rivolto a produrre un effetto diverso da sé, buono, e la cui bontà è fonte della sua stessa bontà e della sua funzione. Quindi è un anello di una catena orientata, o dotata di senso. 60 Alessandro definisce tali elementi intermedi anche “cause materiali” (315, 14-15: duvnatai de; oi\mai kai; uJlika; tau'ta levgesqai ai[tia th'" uJgieiva"). Tale qualificazione, tuttavia, rimane piuttosto oscura.

Page 39: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

39

l’agente umano, nella direzione giusta e permettono loro di arrivare al loro skopos, cioè al loro bene61. Università di Venezia

61 Una prima versione di questo testo è stata letta nel giugno 1998 in un seminario organizzato presso l’Università di Edinburgo dal prof. T. Scaltsas. Ho tratto molte utili indicazioni dalla discussione avuta in quell’occasione.

Page 40: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

40

3. L'uso del termine "aitia" in Platone. In Platone il termine aitia e connessi (aition, aitios, aitiasthai etc.) viene usato

frequentemente: una ricerca sul TLG rivela più di duecentocinquanta contesti interessanti. Possiamo dire, in prima approssimazione, che per Platone aitia è un termine del linguaggio comune, ed è usato come tale. Questo si deve al genere letterario del dialogo, in cui gli interlocutori discutono tra di loro nella lingua corrente delle classi colte del tempo, e non nella lingua tecnica dei trattati filosofici. Solo attraverso una riflessione filosofica aitia assume, in certi contesti e non sempre, un significato tecnico. Gli usi più correnti del termine non vengono abbandonati del tutto, ma a volte vengono analizzati e le loro implicazioni sono portate alla luce. Dialoghi particolari sembrano usare aitia in modo specializzato, esplorando questo o quell’aspetto della nozione, ed alla fine noi arriviamo ad un quadro teorico abbastanza complesso.

D'altra parte l'aitia è identificata anche con ciò che viene espresso tramite certe particelle. Prima di tutto, la causa è identificata con l'espressione di'ho, ciò per mezzo di cui, per opera di cui, riflettendo l'uso della lingua greca, nella quale la particella dia + accusativo è il modo più corrente di indicare la causa (Cratyl. 413a3-4, cfr. Politic. 274b3, cfr. Luraghi 1989). In modo più specifico, la causa è collegata all'espressione hupo + genitivo, "ciò ad opera di cui", che indica l'agente e la provenienza (Symp.184a5; Hipp.Ma. 297a5,b1). Inoltre Platone si serve anche del dativo in funzione causale (Hipp.Ma. 287c2,5,8; Euthipr.6d11), in caso di enti inanimati. A differenza dalle scuole dell'età imperiale, nelle quali diventerà uso standard distinguere le varie specie di cause tramite differenti particelle, in Platone non c'è sostanziale differenza di significato dia + accusativo o hupo + genitivo: si tratta sempre della responsabilità e dell'influsso di un agente produttivo.

L’etimologia di aitia è stata a lungo discussa, ma non vi sono dubbi sulle principali accezioni del termine. Si tratta di un termine attestato solo in epoca piuttosto recente. Gli studi etimologici affermano che, fin dalle prime apparizioni in Democrito ed in

Page 41: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

41

Erodoto, il termine aitia appare usato in due sensi principali: "causa/motivo"e "accusa/colpa".62

L’uso platonico segue quasi alla lettera questa distinzione. Abbiamo dialoghi in cui il termine aitia indica una "accusa" o una "colpa". Quest'uso non è limitato ad un periodo particolare dell'attività platonica, ma è attestato a partire dall'Apologia di Socrate fino alle Leggi. Nell'Apologia 38c1-3 Socrate avverte gli Ateniesi che, se lo condannano, avranno "la fama e l'accusa di aver ucciso Socrate " (38c1-3),63 da parte di coloro che vogliono diffamare la città. In questo caso aitia si costruisce con un hôs esplicativo, come nella Repubblica, "l'accusa di complottare contro il popolo" (565b5-6),64 e di essere oligarchi.65 A volte però aitia nel senso di "accusa" si costruisce con un genitivo di specificazione, che chiarisce di quale accusa si tratta: lo stesso concetto esposto in Resp. 565b5-6 con un hôs lo troviamo poche linee dopo ripetuto con un genitivo: "un uomo ben dotato di ricchezze, ricchezze cui si accompagna l'accusa di essere un nemico del popolo" (566c4-5).66 Allo stesso modo, nelle Leggi si cita l' "accusa di alto tradimento" (856e7).67

Connesso a quello di accusa è l'uso di aitia come "colpa, crimine": nell'Apologia Socrate dice che i Trenta gli ordinarono di catturare un certo Leone, "per implicare quanti più possibile nelle loro colpe" (32c8).68

Altre volte aitia indica il "biasimo", come nel Fedone: "trasferisca il biasimo da sé ai ragionamenti" (90d5);69 in senso ancora più lieve, l'aitia può essere semplicemente una "nomea", una "fama", come nel caso dei Traci e degli Sciti, che, si dice nella Repubblica, "hanno la reputazione di aver spirito aggressivo" (435e4).70 Il biasimo e la responsabilità possono essere attribuite anche a enti non individuali, come la vecchiaia: i vecchi "fanno la litania di quanti mali la vecchiaia sia colpevole per loro" (resp. 329b2-3).71

62 Vedi Chantraine 1999, p. 41. Salvaneschi 1979, p. 27 sgg., propone un significato originario di aitia come 'distribuzione' da cui i due sensi attestati dalle fonti si sarebbero originati. Vedi anche Darbo Peschanski 2010. In questo dibattito non vogliamo entrare, dato che tale senso non si conserva nell'uso in età classica del quale vogliamo parlare qui. Vedi anche Scandellari 1979, su Antifonte. 63 o[noma e{xete kai; aijtivan ... wJ" Swkravth ajpektovnate. 64 Aijtivan dh; e[scon ... wJ" ejpibouleuvousi tw'/ dhvmw. 65 Cfr. anche Crito 52a4; Lach. 186b7; Theaet. 150a4; 66 ajnh;r crhvmata e[cwn kai; meta; tw'n crhmavtwn aijtivan misovdhmo" ei\nai. 67 prodovsew" aijtiva. 68 wJ" pleivstou" ajnaplh'sai aijtiw'n. Cfr. Resp. 380a4 = Aesch. Niobe fr 156 Nauck: qeo;" me;n aijtivan fuvei brotoi'", "un dio semina la colpa nei mortali". 69 ejpi; tou;" lovgou" ajfæ eJautou' th;n aijtivan ajpwvsaito. 70 to; qumoeide;" ... oi} dh; kai; e[cousi tauvthn th;n aijtivan, oi|on oiJ kata; th;n Qrav/khn te kai; Skuqikh;n 71 to; gh'ra" uJmnou'sin o{swn kakw'n sfivsin ai[tion.

Page 42: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

42

Quindi, quando Socrate si dichiara aitios di qualcosa, come gli capita spesso nei dialoghi, il termine può essere reso indifferentemente con "colpevole" "degno di biasimo" o "responsabile": "sono io da biasimare (o: responsabile) per il fatto che tu non hai risposto correttamente" (Lach. 191c7).72

All'opposto il termine anaitios significa "non responsabile, non da biasimare". Nella famosa scena della scelta delle vite nel libro X della Repubblica, il banditore, che invita le anime a scegliersi un démone, conclude la sua allocuzione affermando che "la responsabilità (o: il biasimo) è di chi sceglie, il dio non è responsabile (o: da biasimare)" (617e4-5).73

Ma l'idea della responsabilità si estende naturalmente anche in un ambito più vasto di quello legato alle nozioni, vagamente giuridiche, di accusa o colpa (dico vagamente giuridiche perché si possono fare accuse ed avere colpe anche al di fuori dei tribunali e dei processi). Si può essere anche causa o responsabili dei beni. A volte Platone dice che "la divinità è causa dei beni" (Symp. 194e7),74 e che Gorgia è aitios del progresso culturale dei Tessali, avendolo prodotto (Meno 70b3). Si tratta in questo caso di un genitivo di appartenenza.

D'altra parte la causa o la responsabilità possono essere attribuite anche a funzioni mentali come il piacere o il ragionamento. In questo senso rimane l'idea che l'individuo singolo sia responsabile di quello che fa, ma che il suo agire sia causato da qualcosa che risiede o avviene in lui. Nel Filebo si dice che intelletto e piacere non sono il bene, ma la causa del bene umano:"ognuno di noi attribuirà la responsabilità di una tale vita, chi all'intelletto chi al piacere" (22d2-4)75 e nel Timeo si sostiene che la vista è causa di molti benefici: "A mio parere la vista è causa (o: fonte) per noi della massima utilità" (47a2),76 e per questo ci è stata data dal dio. Causa e responsabile di eventi e stati di cose in questo senso possono essere ogni tipo di esperienze ed eventi psicologici: il piacere, la paura (Protag. 352d8-9, legg. 863b2), la vertigine (pathos) che dà la visione del divenire (Craty. 411c2), l'incapacità di conoscere se stessi (Phaedr. 229e5), la 'follia' del filosofo (Phaedr. 249d8), la conoscenza, o l'assenza di essa (Lys. 209b8), la gratitudine (Gorg. 520e7), le qualità proprie del filosofo, che in città diverse 72 ejgw; ai[tio" mh; kalw'" se ajpokrivnasqa. Cfr. Lach. 190e7; Gorg. 447a7 (su Cherefonte); 516a5-6 (su Temistocle, Cimone e Pericle); Phaed. 116c8; Phaedr. 238d5; 73 aijtiva eJlomevnou: qeo;" ajnaivtio". Cfr. Resp. 379c3-7 (il dio è causa di poche cose, solo di quelle buone, e non di tutto); 380b6; c8; Tim. 42e4; Theaet. 150c7 (il dio costringe, anankazei, Socrate a comportarsi da levatrice); Gorg. 457a3 (l'arte della retorica non è responsabile se qualcuno la usa per scopi malvagi). 74 tw'n ajgaqw'n w|n oJ qeo;" aujtoi'" ai[tio". 75 aijtiwv/meqæ a]n eJkavtero" oJ me;n to;n nou'n ai[tion, oJ dæ hJdonh;n ei\nai. 76 o[yi" dh; kata; to;n ejmo;n lovgon aijtiva th'" megivsth" wjfeliva" gevgonen hJmi'n.

Page 43: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

43

possono produrre grandi beni o grandi mali per il filosofo stesso (Resp. 495a6; 489d9-11). Una natura forte sarà responsabile di grandi beni o grandi mali, una debole produrrà solo azioni mediocri (Resp.491d10-e5). Anche la techne posseduta da qualcuno, in quanto capacità soggettiva o dunamis, può essere una causa produttiva, infatti demiourgei, produce, un pragma, un artefatto (Polit. 281d11-e10).77 Nelle Leggi sono considerate causa e responsabili di azioni sbagliate una serie di stati psicologici: l'amore di sé (731e4), il timore e la debolezza dell'anima (790e5), l'avidità (831c4, d2), l'ira, l'ignoranza (863b2, d2-4, 886b7), la mancanza di autocontrollo (886a9) e in generale la debolezza della natura umana (875a2). Nelle stesse Leggi Platone aggiunge che il destino e il carattere di ogni uomo hanno per causa le scelte individuali, perché il dio ha deciso in questo modo: "ha lasciato le cause del fatto che ognuno di noi diviene un certo tipo di persona agli atti di volontà di ciascuno di noi" (904b8-c2).78 Si deve vedere qui lo spunto della ampia discussione che Aristotele fa dello stesso problemi in EN III 7.

Nel Timeo e altrove lo stesso modo di esprimersi è applicato alla divinità: sono causa il ragionamento del dio (33a6), i suoi disegni (44c7), la sua technê produttiva, qualificata come una dunamis di far venire all'essere cose che non c'erano prima (Soph. 265b9), dato che il dio qui è ampiamente antropomorfizzato. Il dio dà vita all'universo quando influisce su di esso (Polit. 270a3).

Al contrario, Platone non attribuisce volentieri la causalità/responsabilità ad enti fisici non animati. Essi appaiono come causa soprattutto quando egli riporta le dottrine dei fisici e dei naturalisti che condanna. Ciò avviene nel celebre brano del Fedone sulla cosiddetta autobiografia intellettuale di Socrate, in cui questo tipo di causa è attribuito ad Anassagora (95e-99a),79 nel Cratilo, in cui ciò è attribuito ai discepoli di Eraclito (401d6) e nel Sofista, in cui è evocata la posizione dei Sofisti e di alcuni Atomisti (265c7). A tuttte queste tesi Platone contrappone l'idea che il cosmo sia prodotto da una intelligenza divina (Phaed. 99c2-3, Soph. c9, Politic. 270e3). Nel Timeo la situazione si evolve, come è noto, dato che Platone ammette due specie di

77 Appare qui il termine sunaition, collaboratore o concausa, applicato alle arti che producono strumenti; nel Timeo come vedremo il termine ha un uso più importante (Polit. 281d11, e4). 78 th'" de; genevsew" tou poivou tino;" ajfh'ke tai'" boulhvsesin eJkavstwn hJmw'n ta;" aijtiva". 79 Curiosamente però Platone ammette una causa di tipo fisico nello stesso Fedone, poco più avanti: l'acqua fluisce fuori e dentro il Tartaro perché non ha una fondazione stabile (112b1), cfr. su questo Fine 1987, p. 91. Non credo però che qui si possa parlare di causa materiale in senso aristotelico.

Page 44: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

44

cause, to men anankaion, to de theion, ed attribuisce una funzione causale, sia pure secondaria e limitata, ad un movimento spontaneo della materia.80

D'altra parte, in una ampia serie di passi egli sembra attribuire la funzione causale, e la qualificazione di aitia, a stati di cose, eventi e situazioni complesse. E' un uso alquanto metaforico, di cui abbiamo innumerevoli esempi. Aitia di un giudizio morale può essere l'idea (nenomisthai) che è turpe per un amato cedere subito alle voglie dell'amante (Symp. 184a5), e del fatto che Eros è un filosofo, che è figlio di Poros e di Penia (204b5). Aitia del fatto che i genitori di Lisia non gli fanno suonare la lira, è che non ne è capace (Lys. 209b8). Aitia del fatto che chi consiglia sull'amministrazione della casa viene pagato è l'idea che questo tipo di favore produce immediatamente gratitudine (Gorg. 520e7). Aition del fatto che i Greci non ricordano il loro passato sono le catastrofi cosmiche che interrompono di tanto in tanto distruggono la loro cultura (Tim. 22c1-23b3). Aition del fatto che bisogna legiferare anche se la legge non è la cosa più giusta, è il fatto che non si possono dare norme specifiche per ogni individuo ed ogni situazione (Politic. 294d1). Aitia di una perplessità (aporia) è una controversia (amphisbêtêsis, Phileb. 15a7-c2). Interessante in modo particolare è un passo del Politico, in cui si stabilisce la spiegazione (to aition) di una serie di antichi racconti, come quello secondo cui le stelle un tempo sorgevano dove ora tramontano e viceversa: "Stran.: Queste cose tutte derivano dallo stesso pathos, e oltre ad esse altre innumerevoli e più meravigliose ancora ... ma per quello che riguarda il pathos che è aitia di queste cose, nessuno lo ha raccontato, e dobbiamo dirlo ora noi" (269b5-c1).81 Qui ciò che rende ragione dei racconti è un pathos, termine che può essere inteso sia come "evento" (Fowlers, Zadro) sia come "stato di cose" (Rowe), ed è il fatto che l'universo, a periodi alterni, ruota ora in un senso ora nell'altro. Un pathos difficilmente può essere considerato un agente produttivo, e in tutti questi casi l'idea di causa/responsabilità è attribuita in senso, per così dire, metaforico.

Chi traducesse in questi passi aitia con "spiegazione" o "ragione" non sbaglierebbe molto, se tenesse presente che qui abbiamo a che fare con una descrizione di una

80 Rimane in dubbio come si possa conciliare questo con la tesi delle Leggi 896a-b, secondo cui ogni movimento deriva da una psuchê. 81 XE. Tau'ta toivnun e[sti me;n suvmpanta ejk taujtou' pavqou" , kai; pro;" touvtoi" e{tera muriva kai; touvtwn e[ti qaumastovtera, ... o} dæ ejsti;n pa'si touvtoi" ai[tion to; pavqo" oujdei;" ei[rhken, nu'n de; dh; lektevon

Page 45: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

45

situazione composita in cui interagiscono molteplici fattori causali.82 In questo contesto una aitia può indicare anche una finalità. Ad esempio, il dio ci ha dato la vista perché noi, osservando i moti circolari del cielo, possiamo togliere le perturbazioni dei moti del nostro animo (Tim. 47b2-c4). Difficilmente però in Platone la finalità si presenta da sola; di solito appare come l'intenzionalità di un soggetto agente coscientemente (cfr. 33a6).

Passando all'analisi della nozione di aitia svolta da Platone in modo esplicito, in generale si può dire che Platone compie due tipi di riflessione. Da una parte cerca di dar conto di questa nozione riportandola ad un'altra, ritenuta più semplice e immediata, cioè quella di "produttore". Dall'altra parte vuole individuare quali enti siano le aitiai più importanti, quelle cui si deve far risalire la responsabilità del fatto che gli enti del mondo sono quello che sono. Si tratta di due indagini diverse, una sulla natura della relazione di causalità, l'altra sugli enti che entrano in questa relazione. Le due ricerche non avnno confuse, come a volte succede. A noi ora interessa soprattutto la prima. Platone in vari passi stabilisce che in generale he aitia o to aition sono da connettere all'idea di produzione, cioè assumono il senso di quella che Aristotele chiamerebbe la "causa efficiente".

Dei passi in cui Platone riduce la nozione di causa a quella di produttore ho parlato in altra occasione e non ho qui lo spazio per tornarvi sopra.83 Ricorderò solo il Filebo (27 b1-2, e6-8), in cui Platone stabilisce che la phusis della causa e del produttore sono la stessa, che tra i due c'è solo una differenza di nome, ma che in realtà sono da considerarsi una cosa sola (hen). Nel Filebo Platone parla degli eidê sommi e generalissimi in cui si suddivide tutto l'esistente, quindi l'eidos dell'aitia ne è la Forma, ciò quello che realizza nel modo più completo la nozione e l'essenza dell'essere causa. E' da notare che in questo brano, centrale per la definizione di causa secondo Platone, egli usa indifferentemente il nome al femminile aitia, e l'aggettivo neutro sostantivato to aition.84 Il Demiurgo del Timeo, sia esso uno solo o siano molti, è un ente che rientra in questo sommo genere. Il tentativo di Hankinson 82 Una tale situazione ricorda in parte quella descritta da Mackie 1980, ma senza l'emergenza di un fattore causale principale. Tuttavia Luraghi sostiene che anche uno stato di cose può essere qualcosa che "either brings about or makes possible a certain state of affairs" (1989, p. 295). 83 Natali 1997, 2003. 84 Frede 1987, p. 129, suppone che nel Fedone vi sia una differenza tra l'uso di to; aijtivon che indicherebbe un agente nel mondo e di hJ aijtiva, che indicherebbe una proposizione in cui si stabilisce la causa, ma la tesi è stata poi criticata da molti, cfr. da ultimo Ledbetter 1999 con la bibliografia precedente, e Wolfsdorf 2005. La prima però ritiene che Platone usi aijtiva per indicare le "ragioni"e usi aijtivon per indicare le "cause", mentre il secondo afferma giustamente che Platone usa i due termini senza "any significant semantic distinction" (p. 342).

Page 46: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

46

(1998, p. 87) di negare l'importanza di questi passi non ci convince: qui noi abbiamo la definizione platonica di aitia.

Che tipo di cause sono le Idee? Dato il panorama che abbiamo delineato, ci si potrebbe chiedere se in Platone la causalità dell'Idea rientra nel campo della produzione o in quello della spiegazione. La questione è stata ampiamente dibattuta a partire da un celebre saggio di Vlastos (1969) e qui non c'è spazio nemmeno per riassumere a grandi linee i principali interventi. Basti dire che la gran parte della critica di lingua inglese ha accettato la tesi per cui la causalità dell'idea è di tipo logico e metafisico e consiste in una explanation, una spiegazione che permette di classificare un ente fisico in una certa classe o categoria. Essa permette di comprendere gli enti materiali che assomigliano, seppure imperfettamente, all'idea ed "has no causal efficacy" (Vlastos 1969, p. 92). Questa tesi ha avuto un certo successo tra gli studiosi (Bolton, Annas, Fine e altri); ad essa si oppongono altri studiosi, tra cui molti italiani, che, negli anni più recenti, hanno osservato come nel parlare delle Idee, Platone usi lo stesso vocabolario causale che usa negli altri casi, cioè un vocabolario connesso alle idee di produzione e generazione.85 Si è riproposta così l'idea che per Platone le idee trasmettano in qualche modo certe caratteristiche agli enti empirici, con un tipo di causalità "efficiente" da meglio precisare. Nella Repubblica si dice dell'Idea del Bene che è signora e dispensatrice di verità e di pensiero,86 e nello stesso Fedone l'azione dell'idea sulla cosa sensibile è espressa con un poiein, come nell'Ippia Maggiore (100d5 = 296c2-3,e8,297a5-8 etc.). Questo poiein consisterebbe, secondo gli interpreti citati, nella capacità delle Idee di generare un effetto, di trasmettere certe caratteristiche e qualità all'ente partecipato, causando la presenza in esso di certi determinati caratteri.

Questo modo platonico di esprimersi ovviamente non è sfuggito a Vlastos, il quale però ha osservato, in modo apparentemente convincente, che il "fare, rendere" (in inglese: to make) qui indicato da Platone deve essere inteso in senso metaforico, come quando si chiede "What makes that chalkmark square?" intendendo non chi lo ha prodotto, ma "Why do we classify it as a square?" (pp. 90-1). La risposta è plausibile, dato che poieô in greco ha anche il senso di "considerare come" (L.-S., s.v. poieô, V, in iglese: consider, reckon). Il problema è piuttosto: può avere Platone considerato l'Idea 85 Fronterotta 2001, pp. 216-222; 2007, pp. 53-54; 2008. Ferrari 2001, pp. 8-19; 2003; 2003a, p. 99-101; 2010, pp. 68-72. Ho contribuito io stesso a questa tendenza con i saggi indicati alla nota 22. Nello stesso senso paiono andare anche Dixsaut 1991, pp. 375-80, Sedley 1998, Hankinson 1998, p. 101. 86 kuriva ajlhvqeian kai; nou'n parascomevnh, 517c2-3.

Page 47: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

47

in quanto aitia come una spiegazione che permette di classificare un ente in una certa classe o categoria?

Negli usi che abbiamo visto finora, i passi che possono essere intesi come una "spiegazione" fanno sempre riferimento ad una situazione complessa, ad uno stato di cose in cui molteplici fattori determinano insieme un risultato: amore è filosofo perché figlio di Poros e Penia, gli Ateniesi dimenticano il loro passato perché le catastrofi cosmiche cancellano periodicamente la loro civilizzazione, si devono scrivere leggi perché non è possibile dare norme esatte di comportamento per ogni individuo singolo, e così via. Non troviamo mai nei dialoghi di Platone, al di fuori del passo del Fedone commentato da Vlastos, un uso del termine aitia in cui esso designi soltanto "the account of an essence" (p. 91) e svolga la funzione logico-metafisica di permettere la classificazione di un individuo empirico in un particolare insieme. Si tratta di una funzione limitata che hanno, certamente, le cause formali aristoteliche, ma non l'aitia platonica, per quanto abbiamo visto fin qui.

L'interpretazione dell'idea come causa produttrice pare essere più adatta all'intento generale che Platone vuole raggiungere nel Fedone, e che gli interpreti di solito trascurano. In questo testo Socrate non sta spiegando la teoria platonica della causalità, ma sta cercando di raggiungere una conclusione, che viene espressa chiaramente solo in 105e6: "quindi l'anima è immortale".87 Ora, a nostro parere, la dimostrazione è più convincente se la si intende nel senso che l'anima, che è causa di vita e quindi immortale, trasmette la caratteristica della vita al corpo, piuttosto che se la si intende nel senso che la nozione di anima implica logicamente la nozione di vita (come fa Shorey 1924, pp. 7-8). Infatti anche Vlastos recalcitra a giungere a questa conclusione e ammette che in questo caso la implicazione tra forme "is tied firmly to the causal structure of the world" (Vlastos 1969, p. 105).88

La mossa attraverso cui Vlastos, e altri con lui, hanno potuto introdurre questa idea in Platone è stata il considerare la distinzione delle quattro cause che troviamo in Aristotele come se fossse già presente nel linguaggio comune del IV sec. a.C., e pensare che Aristotele l'abbia semplicemente ripresa. Per questo la teoria platonica delle cause può essere letta, secondo Vlastos, attraverso gli schematismi di

87 ajqavnaton a[ra yuchv. 88 Dixsaut 1991, p. 397, osserva che qui l'anima non è detta una Idea, ma è indirettamente immortale; intendiamo questo nel senso che l'anima individuale partecipa dell'idea dell'Anima ed apporta per questo la vita al corpo, cfr. Hankinson 1998, p. 101, con bibliografia ulteriore.

Page 48: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

48

Aristotele.89 E se davvero, nel linguaggio comune delle classi colte del IV secolo a.C., il termine aitia potesse essere usato per indicare anche la causa materiale e quella formale, per implicazione questo uso potrebbe rientrare anche nella lingua parlata da Socrate nel Fedone. Ma lo è davvero? Ed è esatto dire che Aristotele nella distinzione delle quattro cause non fa altro che riflettere l'uso linguistico del suo tempo? Noi non crediamo che ciò sia vero, né che la distinzione aristotelica delle quattro cause possa essere retrodatata ed usata per comprendere Platone. Ma l'indagine su questo punto dovrà essere condotta in altra occasione.90

Università Ca' Foscari Venezia.

Studi citati. Casertano 2003: G. Casertano, "Cause e concause", in Natali-Maso 2003, pp. 33-63. Chantraine 1999: P. Chantraine, Dictionnaire éthimologique de la langue Grecque, Paris,

II ed. Charlton 1970: W. Charlton, Aristotle's Physics I, II, Oxford. Darbo Peschanski 2010: C. Darbo Peschanski, "L’histoire de la notion d’aitios et

l’aition dans Aristote An.Po. II, 11"in Journal of ancient philosophy 4, vedi: http://www.filosofiaantiga.com.

Dixsaut 1991: M. Dixsaut, Platon. Phédon, trad. introd et notes, Paris. Easterling 1967: "Causation in the Timaeus and Laws X", Eranos 65, pp. 25-38. Ferrari 2001: F. Ferrari, "La causalità del bene nella Repubblica di Platone", Elenchos 22,

pp. 8-19. Ferrari 2003: F. Ferrari, "Causa paradigmatica e causa efficiente: il ruolo delle Idee nel

Timeo", in Natali-Maso 2003, pp. 82-96. Ferrari 2003a: F. Ferrari, "Questioni eidetiche", Elenchos 24, pp. 93-113. Ferrari 2010: F. Ferrari, "Dinamismo causale e separazione asimmetrica in Platone", in

Fronterotta 2010, pp. 33-72. Fine 1987: G. Fine, "Forms as causes: Plato and Aristotle", in A. Graeser, Mathematics

and Metaphysics in Aristotle, Bern-Stuttgart, pp. 69-112.

89 Vlastos 1969, p. 78, parla della "sensitiveness to the values of the words he [Aristotle] used". Oltre Vlastos citerò solo Wieland 1962, p. 262; Charlton 1970, p. 99; Follon 1988, p. 319, Fine 1987. 90 Sulla nozione di causa in Aristotele cfr. Natali 1997a, 2003, 2011. Dedico con sincera amicizia queste riflessioni a Giovanni Casertano, i cui studi su Platone in generale e sulla causa di Platone in particolare (Casertano 2003) mi sono stati di esempio ed aiuto in molte occasioni.

Page 49: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

49

Follon 1988: J. Follon, "Réflextions sur la théorie aristotélicienne des quatre causes", Revue Philosophique de Louvain 86, pp. 317-353.

Frede 1987: M. Frede, "The original notion of cause", in Id. Essays in ancient philosophy, Oxford, pp. 125-50.

Fronterotta 2001: F. Fronterotta, METEXIS. La teoria platonica delle idee e la partecipazione delle cose empiriche, Pisa.

Fronterotta 2007: "The development of Plato's theory of ideas and the 'Socratic question'", OSAPh 22, pp. 37-62.

Fronterotta 2008: "Chiusura causale della fisica e razionalità del tutto : alcune opzioni esegetiche sull’efficienza causale delle idee platoniche", PLATO, The electronic Journal of the International Plato Society 8, vedi: http://gramata.univ-paris1.fr/Plato.

Fronterotta 2010: F. Fronterotta, La scienza e le cause. A partire dalla Metafisica di Aristotele, Napoli.

Fronterotta 2010a: "La critica aristotelica alla funzione causale delle Idee Platoniche: Metafisica A 9, 991a8-b9", in Fronterotta 2010, pp. 93-119.

Hankinson 1998: R.J. Hankinson, Cause and explanation in ancient Greek thought, Oxford.

Ledbetter 1999: G.M. Ledbetter, "Reasons and causes in Plato: the distinction between aijtiva and aijtivon", Ancient philosophy 19, pp. 255-65.

Luraghi 1989: S. Luraghi, "Cause and instrument expression in classical Greek. Remarks on the use of dia in Herodotus and Plato", Mnemosyne 42, pp. 294-307.

Mackie 1980: J.L. Mackie, The cement of the universe. A study on causation, Oxford. Natali 1997: C. Natali, "Le cause del Timeo e la teoria delle quattro cause", in T. Calvo

e L. Brisson, Interpreting the Timeus-Critias, Proceedings of the IV Symposium Platonicum. Selected Papers, Sankt Augustin, pp. 207-213 (trad. francese col titolo: "Les causes du Timée et la théorie des quatre causes", in M. Fattal, La philosophie de Platon, 2, Paris 2005, pp. 347-356).

Natali 1997a: C. Natali, "Aitia in Aristotele: causa o spiegazione?", in H.G. Günter e A. Rengakos, Beiträge zur antiken Philosophie, Festschrift ... Kullmann, Stuttgart, pp. 113-124.

Natali 2003: C. Natali, "La forma platonica è una causa formale?" in G. Damschen et al., Platon und Aristoteles - sub ratione veritatis, Festschrift ... Wieland, Göttingen, pp. 158-173.

Page 50: AITIA in Aristotele -Carlo Natali-

50

Natali 2011: Aitia in Plato and Aristotle. From everyday language to technical vocabulary. In corso di pubblicazione negli Atti del Convegno Internazionale su "Les quatre causes d'Aristote: origines et interprétations" (Paris 16-18.9.2010).

Natali-Maso 2003: C. Natali-S. Maso, Plato physicus. Cosmologia e antropologia nel Timeo, Amsterdam.

Salvaneschi 1979: E. Salvaneschi, "Sui rapporti etimologici del greco «aijtiva»", Sandalion 2, pp. 20-65.

Scandellari 1979: E. Scandellari, "Osservazioni sul significato del termine «aijtiva» nelle Tetralogie di Antifonte", Sandalion 2, pp. 67-80.

Stefanini 1932-5: L. Stefanini, Platone, Padova (III ed. 1991). Sedley 1998: D. Sedley, "Platonic causes", Phronesis 43, pp. 114-32 Shorey 1924: P. Shorey, "The orgin of syllogism", Classical Philology 19, pp. 1-1-9. Taylor 1928: A.E. Taylor, A commentary on Plato's Timaeus, Oxford (III ed. 1971). Vlastos 1969: G. Vlastos, "Reasons and causes in the Phaedo", Philosophical Review 78,

291-325 = Platonic Studies, Princeton 1981, II ed., pp. 76-110. Wieland 1962: W. Wieland, Die aristotelische Physik, Göttingen. Wolsdorf 2005: D. Wolsdorf, "Aijtivon and aijtiva in Plato", Ancient philosophy 25, pp.

341-8.