“a settembre resteranno non più di mille studenti. erano

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Nelle baraccopoli del commercio locale pagine 7-9 (Greco) Sabato 6 Febbraio 2010 Anno 2, n. 5 • Settimanale gratuito di fatti e di opinioni • Reg. Trib. di Siracusa n°1509 del 25/08/2009 • E-mail: [email protected] • Direttore: Franco Oddo • Vicedirettore: Marina De Michele edizione online: www.lacivettapress.it “È difficile identificare le case fantasma” PAG.6 (Privitera) SGARLATA “A Siracusa una drammatica parentopoli” PAG.10 (De Michele) FABRIZIO ARDITA “Gli esercenti di vl. Cadorna allo stremo” PAG.11 DE BENEDICTIS Si insiste col project fi- nancing. Ma i documenti parlano chiaro. A PAG. 2 (Bruno) Visentrek Nuovo ospedale “Siracusa vive solo d’estate e nelle vacanze natalizie”. A PAG. 15 (Minnella) È finita? La movida È giusto che la Chiesa si preoccupi di un liberismo invadente. PAG. 13 (Nicita) Bagnasco Politici cattolici “Avremo al massimo mil- le studenti, ne perderemo più di milleduecento: è una vera e propria strage, una distruzione di quanto co- struito in tutti questi anni”. “L’università di Catania non vuole più importare problemi da Siracusa e Ragusa, intende sem- plicemente affrontare e risolvere le faccende proprie e ciò è comprensibile”. PAG. 4 (Lanaia) “Lavorare al 187 significa avere la capacità di fornire una rispo- sta sintetica, plausibile ad una clientela sempre più esigente ed informata e in più devi portare anche pezzi di produzione, cioè la vendita di un adsl, di un pro- dotto o di un computer”. A PAG. 12 (Festa) Dipendente Telecom “Al 187 ritmi da stress” Salvo Baio: “È tutto finito ci siamo giocati l’Università” “A settembre resteranno non più di mille studenti. Erano 2265. Peggio di così...” “Il quarto polo è un percorso incerto e dai tempi lunghi” “Il percorso per arrivare a que- sto ateneo pubblico di Ragusa e Siracusa è accidentato, dai tempi lunghi e dall’esito incer- to; io mi auguro che si arrivi a un esito positivo e, per questo mi sono battuto, assieme al consorzio, tramite documenti pubblici e prese di posizione, però non sono ottimista perché non ho mai visto costruire sul- le ceneri. Occorre considerare che tutto l’insediamento uni- versitario, i corsi di laurea e le facoltà di Siracusa e di Ragusa sono dell’università di Cata- nia; se i rapporti con l’ateneo catanese sono così drammati- camente compromessi è chiaro che la nascita di questo quarto polo potrebbe essere concepita solo come un modo per liberar- si delle sedi decentrate”. A PAG. 5 (Lanaia) PRIMO PIANO TRIBUTI ITALIA Il Consiglio di Stato rinvia al 23 CANICATTINI Vandali bruciano auto e scuola GARGALLO Priolo dimentica le sue nobili origini 10 14 15 Strategia della tensione Terrorismo sul numero di cassintegrati A PAGINA 16 (Perna) RIGASSIFICATORE

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Nelle baraccopolidel commercio locale

pagine 7-9 (Greco)

Sabato 6 Febbraio 2010Anno 2, n. 5• Settimanale gratuito di fatti e di opinioni • Reg. Trib. di Siracusa n°1509 del 25/08/2009

• E-mail: [email protected] • Direttore: Franco Oddo • Vicedirettore: Marina De Michele

edizione online: www.lacivettapress.it

“È difficileidentificare le

case fantasma”PAG.6 (Privitera)

SGARLATA“A Siracusa

una drammatica parentopoli”

PAG.10 (De Michele)

FABRIZIO ARDITA“Gli esercenti di vl. Cadornaallo stremo”

PAG.11

DE BENEDICTIS

Si insiste col project fi-nancing. Ma i documenti parlano chiaro.

A PAG. 2 (Bruno)

VisentrekNuovo ospedale

“Siracusa vive solo d’estate e nelle vacanze natalizie”.

A PAG. 15 (Minnella)

È finita?La movida

È giusto che la Chiesa si preoccupi di un liberismo invadente.

PAG. 13 (Nicita)

BagnascoPolitici cattolici

“Avremo al massimo mil-le studenti, ne perderemo più di milleduecento: è una vera e propria strage, una distruzione di quanto co-struito in tutti questi anni”.“L’università di Catania non vuole più importare

problemi da Siracusa e Ragusa, intende sem-plicemente affrontare e risolvere le faccende proprie e ciò è comprensibile”.

PAG. 4 (Lanaia)

“Lavorare al 187 significa avere la capacità di fornire una rispo-sta sintetica, plausibile ad una clientela sempre più esigente ed informata e in più devi portare anche pezzi di produzione, cioè la vendita di un adsl, di un pro-dotto o di un computer”.

A PAG. 12 (Festa)

Dipendente Telecom“Al 187 ritmi da stress”

Salvo Baio: “È tutto finitoci siamo giocati l’Università”

“A settembre resteranno non più di mille studenti. Erano 2265. Peggio di così...”

“Il quarto polo è un percorsoincerto e dai tempi lunghi”

“Il percorso per arrivare a que-sto ateneo pubblico di Ragusa e Siracusa è accidentato, dai tempi lunghi e dall’esito incer-to; io mi auguro che si arrivi a un esito positivo e, per questo mi sono battuto, assieme al consorzio, tramite documenti pubblici e prese di posizione, però non sono ottimista perché non ho mai visto costruire sul-le ceneri. Occorre considerare che tutto l’insediamento uni-versitario, i corsi di laurea e le facoltà di Siracusa e di Ragusa sono dell’università di Cata-nia; se i rapporti con l’ateneo catanese sono così drammati-camente compromessi è chiaro che la nascita di questo quarto polo potrebbe essere concepita solo come un modo per liberar-si delle sedi decentrate”.

A PAG. 5 (Lanaia)

PRIMO PIANO

TRIBUTI ITALIAIl Consigliodi Statorinvia al 23

CANICATTINIVandalibrucianoauto e scuola

GARGALLOPriolodimenticale sue nobiliorigini

10

14

15

Strategia della tensioneTerrorismo sul numero di cassintegrati

A PAGINA 16 (Perna)

RIGASSIFICATORE

2 6 Febbraio 2010

Visentrek e Bufarspock: “I soldi ci sono, faremo la struttura”. I documenti li smentiscono

Nuovo ospedale, ancora il project financing (o thefting)Il privato mette 35 milioni e ne ricava 390, più altri utili

di PINO BRUNO ([email protected])

Un altro alieno negli ultimi giorni è intervenuto sulla saga del sa-nità siracusana. Dopo il mitico dottor Bufarspock di cui abbiamo parlato nelle settimane scorse, è il momento del primo Commodo-ro Visentrek. Nel 3° capitolo dell’opera letteraria, ormai divenuta un cult per i cittadini della provincia sud-orientale dell’isola chia-mata Trinacria, si racconta che il Commodoro appena eletto nella carica, subentrando proprio al dottor Bufarspock, dichiarò: “Sarò il Commodoro di tutti”. I giornali dell’epoca, per una singolare coincidenza, titolarono all’unisono con un bizzarro refuso: “sarò il Commodoro di Titti”. Altrettanto singolare era l’analogia tra il refuso ed il nome di battesimo del dottor Bufarspock, appunto Tit-ti. Che fosse stato un lapsus dei vari direttori di giornale, dei capi redattori, dei correttori di bozze? Non lo sappiamo. Certamente, però, le esternazioni di Visentrek sul nuovo ospedale di Siracusa, apparse su un quotidiano locale giovedì, risultano esattamente coincidenti con il Bufarspock-pensiero. La circostanza avvalora di conseguenza la tesi so-stenuta dai soliti detrattori che hanno voluto vedere in quel refuso non un errore, ma la vera natura del mandato ricevuto: essere il Commodoro di Titti.Bando alle ciance e passiamo ai fatti. Visentrek, nell’articolo che abbiamo citato, continua a soste-nere che i 51 milioni “pubblici” destinati alla co-struzione di una delle Grandi Opere promesse agli Aretusei, popolazione che vive nelle terre sottoposte alla giurisdizione del fascinoso Ministro Stefanix, non siano andati persi. Di più. Le centomila e oltre banconote da cinquecento euro di cui era compo-sto il dono dello Stato di Berluscolandia alla città del Commodoro, nottetempo si erano moltiplicate. Da 51, i milioni erano diventati 70, 80 o forse an-che 125, quelli necessari per realizzare interamente l’opera. I bene informati dicono che il Commodoro, ma sembra anche il dottor Bufarspock e il fascino-so Ministro, stiano facendo da giorni la stima esatta senza neanche dormire. Ancora un po’ di attesa, bisogna contare le banco-note ad una ad una fino a 250 mila circa; il tempo ci vuole, ma presto sapremo se il miracolo si è avve-rato. Un dubbio però ci assale. I milioni di euro non possono essere 125, non ci sarebbe più bisogno del project thefting (progetto di furto). Il project thef-ting o robbering (alcuni lo chiamano però burgla-ring che aggiunge nel significato la specificazione “con scasso”) è un sistema che alle somme messe a disposizione dallo Stato associa capitale privato. Quest’ultimo ovviamente ne trae vantaggio, più o meno consistente a seconda della convenzione che viene stipulata. Sembra, ma per questo ci affidiamo al documento pubblicato nella pagina, che nel no-stro caso l’apposito ufficio di controllo chiamato con l’acronimo UTFP (unità tecnica furti con perizia) abbia stimato in 11,996 milioni di euro annui, oltre IVA, il canone che il concedente (ex Azienda Ospedaliera Umber-to I°) dovrà pagare al concessionario per 32 anni e sei mesi. Nella calcolatrice che stiamo usando compare la cifra di 390. Manca l’IVA, scusate è un modello vecchio. Se abbiamo capito bene il promotore privato mette meno di 35 milioni di euro e ne avrà 390 oltre IVA. Non basta, vi sono altri utili. Ricavi da servizi commerciali (ge-stione del parcheggio, delle attività commerciali, ecc..), mancata previsione nella convenzione dell’obbligo per il concessionario di sostenere i costi della manutenzione straordinaria, costi delle utenze poste a carico del concedente nonostante tutti i contratti analoghi li prevedono in capo al concessionario, ed infine il valore di mercato degli immobili alienati sul quale si potrà certamente ricavare qualcosina.Siamo alle solite, avremmo i soldi, avremmo il capitale privato e ci disperdiamo in inutili polemiche. E poi cosa ne può sapere il Commodoro Visentrek se questi 51 milioni ci sono o sono spariti? Non avrà certamente avuto il tempo di leggere la nota che gli ha inviato l’assessorato alla sanità nel gennaio 2008 (che pubbli-chiamo) dalla quale avrebbe potuto rendersi conto che tra le varie criticità veniva rilevato che “le recenti sentenze del TAR Lazio e del TAR Campania, che hanno accolto le richieste di impugnazio-ne di provvedimenti assunti in esito a procedure di project finan-cing, nei cui avvisi risultavano indeterminate e/o imprecise som-me messe a disposizione di parte pubblica, inducono il Ministero ad esprimere perplessità circa la solidità delle procedure per la realizzazione dell’intervento, facendo ulteriormente rilevare che l’instaurarsi di eventuali contenziosi potrebbero produrre l’ap-plicazione dei provvedimenti di revoca dei finanziamenti statali previsti dal comma 310 dell’art. 1 della L.266/05”. In poche pa-role l’assessorato metteva in guardia anche il Commodoro circa la possibilità di perdere il finanziamento pubblico. Non c’è stato verso però di distogliere il Commodoro di Titti, delle terre sotto-poste alla giurisdizione del fascinoso Ministro Stefanix, dall’idea

che il project thefting o robbering (alcuni lo chiamano però project to manage an affair with skill, che letteralmente significa “pro-getto per condurre un affare con destrezza”) era la soluzione migliore. Oppure era distrat-to. Certamente lo era nelle riunioni tenutesi a Roma nella sede del Ministero, Lungotevere Ripa 1, quando l’allora sottosegretario alla salute prof. Ferruccio Fazio, alla presenza del fascinoso Ministro Stefanix, lo avrà reso edot-to che “qualora per il finanziamento del nuovo Ospedale si intenda far ricorso alle risorse di cui all’art. 20 della legge 67/1988, l’interven-to andrà previsto all’interno di un accordo di programma, da definirsi in base alle procedure ordinariamente previste ed a quelle speciali fissate per le Regioni impegnate nei Piani di rientro”(siccome anche noi ogni tanto ci di-straiamo, pubblichiamo anche questa nota del Ministero). Colpo di scena! I soldi non ci sono, bisognerà rifare un nuovo accordo di programma. Proba-bilmente, nel caso si voglia continuare con il project financing, bisognerà rifare l’intera pro-cedura. Nel frattempo non si è ancora conclu-so il contenzioso con l’ATI Pizzarotti-Siram che ha chiesto un risarcimento di 8 milioni di euro. Costo complessivo dell’opera: 125 milioni + 390+8 oltre IVA, che in questo caso sta per in-debito valore aggiunto per chi se l’aggiudica.Tutto questo nella città del Commodoro di Tit-ti, delle terre sottoposte alla giurisdizione del fascinoso Ministro Stefanix.

4 6 Febbraio 2010

“Da settembre avremo non più di 1000 studenti, erano 2265. Peggio di così non potrebbe andare”

Salvo Baio: “Tutto finito, ci siamo giocati l’universitàÈ la distruzione di quanto si era costruito negli anni”

di MONICA LANAIA ([email protected])

Si fa ancora fatica ad abituar-si all’idea che Siracusa ab-bia (quasi) perso la qualifica di città universitaria. Fanno fatica a capacitarsene, per esempio, i locatori di stanze per studenti che, da un anno all’altro, hanno visto disdire innumerevoli contratti; fanno fatica a capacitarsene coloro che possiedono le fotocopi-sterie, i gestori dei bar e dei pub che erano luoghi di ri-trovo di universitari e docen-ti, i giovani diplomati che si illudevano di non diventare pendolari. Il resto dell’opi-nione pubblica, chi non è direttamente coinvolto nella faccenda perché già laureato o già lavoratore, apprende la notizia sottogamba, quasi con indifferenza e rassegnazione.E che sarà mai? Già figu-riamo all’ultimo posto nella classifica del benessere, cosa volete che cambi in una cit-tà la presenza di un ateneo? Credete, forse, sia rilevante che una città dalla storia mil-lenaria come Siracusa pos-sieda un polo universitario? Credete importi a qualcuno che il nostro piccolo centro diventi una città a misura di studente, una Pisa o un’Urbi-no del sud? Ovviamente no, men che meno all’ateneo di Catania che, nella persona del rettore Antonino Recca, non ha il minimo interesse a che si sviluppino e si poten-zino le sedi decentrate.La questione dell’università sembra essere giunta al round finale perché, nonostante le innumerevoli parole e le con-tinue disquisizioni in merito, nonostante stia per aprirsi un contenzioso legale, la scelta definitiva sembra essere stata presa. Ne è conferma il fatto

che il rettore Recca ha comu-nicato di non volere più rila-sciare interviste in proposito. Il dado è tratto.Stante l’impossibilità, dun-que, di sentire il parere, che a questo punto appare cristal-lino, del rettore, la sola voce del presidente del consorzio universitario Archimede, Sal-vo Baio, ci illustra il triste quadro globale.“Per ipotizzare le prospettive future, conviene cominciare dall’analisi della situazione attuale. E, ad oggi, la situa-zione si riassume in una let-tera, datata 4 dicembre 2009 e inviata dal rettore all’as-sessorato regionale ai beni culturali; la comunicazione contiene un elenco dei corsi di laurea esistenti a Siracusa nel novembre 2009. Esiste-vano otto corsi di laurea sia quinquennali che di primo livello e specialistici, tre in architettura e cinque in beni culturali; l’elenco indicava, inoltre, la scuola di archeo-logia e tre master post uni-versitari, sia di primo che di secondo livello, uno con la facoltà giurisprudenza, un altro con la facoltà di lettere e l’ultimo con la scuola supe-riore di Catania. Il totale degli studenti uni-versitari presenti nella nostra città ammontava, dunque, a 2265. Ora, dimentichia-mo tutto: nel prossimo anno accademico, 2010/11, tutto l’insediamento universitario siracusano si ridurrà al solo corso di laurea quinquenna-le in architettura, poiché i restanti sette corsi di laurea sono saltati e poiché il retto-re ha impedito che venissero attivati i tre master, benché avessimo una convenzio-

ne in tal senso. Come ormai è noto, il motivo per cui il rettore non vuole avere più rapporti con la nostra città è la situazione debitoria in cui versa Siracusa. Pertanto, da settembre” – prosegue Baio – “avremo al massimo mil-le studenti, ne perderemo più di milleduecento: è una vera e propria strage, una distru-zione di quanto costruito in tutti questi anni. E dei corsi di laurea in beni culturali che, secondo il rettore, non servi-vano per Siracusa perché era-

no una fabbrica di disoccu-pati, l’uno è stato trasferito a Catania e l’altro sarà istituito il prossimo anno sempre nel polo catanese”.Quadro affatto roseo. Ma qual è il movente delle scel-te del rettore? “Diciamo che, all’apparenza, si tratta di scelte dettate solo da motivi economici: è in-dubbio che il rettore non ha più fiducia nelle istituzioni siracusane e ragusane e teme si possa accumulare un de-bito vertiginoso con ricadute

negative per l’ateneo cata-nese. Però queste decisioni sono ascrivibili a un vero e proprio disegno del rettore di ridimensionare le sedi de-centrate, di ridurle ai minimi termini. L’università di Catania non vuole più importare problemi da Siracusa e Ragusa, inten-de semplicemente affrontare e risolvere le faccende pro-prie e ciò, devo ammettere, è comprensibile dato l’attuale clima nazionale di tagli dei fondi e di riduzione delle

risorse erogate dal ministe-ro; il rettore è terrorizzato dall’idea che l’effetto combi-nato della situazione generale e dei problemi delle sedi de-centrate si riversi in maniera rovinosa sull’università di Catania. Quindi, il messaggio inviato dall’ateneo catanese è che nessuno si sobbarche-rà più i problemi delle sedi decentrate, ma che se queste sedi riusciranno a rimediare alle difficoltà da sole, tramite il quarto polo magari, Cata-nia non sarà contraria”.

Coordinamento Fava: “Massima solidarietà e sostegno civile per le vittime degli attentati”

Cosa Nostra rialza la testa“Sdegnati e preoccupati”

“Un intero popolo che paga il pizzo è un popo-lo senza dignità”.Qualcosa che la co-munità palazzolese ha compreso valorosamen-te più di 20 anni fa, or-ganizzandosi in ronde cittadine per combatte-re e respingere quella che era la richiesta di pizzo da parte delle co-sche che in quegli anni riorganizzavano la sud-divisione del territorio siracusano. Esperienza risultata vittoriosa gra-zie alla costituzione dell’Associazione Palazzolese Antiracket (APA). Oggi, alla luce dei fatti accaduti nel-le scorse notti a Palazzolo e nella provincia di Siracusa, Cosa Nostra è tornata a fare la

voce grossa intimiden-do un territorio che aveva ritrovato la sua tranquillità. Il Coordinamento Fava esprime la massima so-lidarietà ed il proprio sostegno civile nei con-fronti delle vittime degli attentati. Sdegnati e sinceramente preoccupati, compren-diamo la gravità dei fatti e, così come avvenuto nel passato, invitiamo la cittadinanza tutta ad unirsi di nuovo per esprimere il proprio so-

stengno nei confronti delle vittime e parteci-pare attivamente per contrastare e combatte-re un “cancro che è di tutti”.

Coordinamento G. Fava

56 Febbraio 2010

“Architettura appartiene a Catania e quindi dovremmo reclutare noi i docenti. Con quali soldi?”

“Il quarto polo di Ragusa e Siracusa è un percorso accidentatodai tempi lunghi e dall’esito incerto. Che ci mettiamo dentro?”

E questa del quarto polo è una soluzione pro-spettabile?“Considerando che abbiamo quasi azzerato il no-stro insediamento universitario, che i rapporti con Catania sono ai ferri corti e che il quadro attuale è del tutto negativo, le prospettive per il futuro non possono essere rosee; questa idea del quarto polo, idea alla quale siamo arrivati con grande ritardo, rischia di essere compromessa dall’attuale situa-zione. Fra l’altro il percorso per arrivare a questo ateneo pubblico di Ragusa e Siracusa è un percor-so accidentato, dai tempi lunghi e dall’esito incer-to; io mi auguro che si arrivi a un esito positivo e, per questo mi sono battuto, assieme al consorzio, tramite documenti pubblici e prese di posizione, però non sono ottimista perché non ho mai visto costruire sulle ceneri. In modo particolare, occor-re considerare che tutto l’insediamento univer-sitario, i corsi di laurea e le facoltà di Siracusa e di Ragusa sono dell’università di Catania; se i rapporti con l’ateneo catanese sono così dramma-ticamente compromessi è chiaro che la nascita di questo quarto polo potrebbe essere concepita solo come un modo per liberarsi delle sedi decentrate e delle loro problematiche. “E, a questo punto, il problema, non indifferen-te, è: cosa si mette dentro questo quarto polo? Quali saranno i corsi di laurea e le facoltà? Si potrebbe rispondere: la facoltà di architettura, tralasciando tuttavia il piccolo dettaglio che tale facoltà, pur avendo sede a Siracusa, ap-partiene all’università di Catania e molti pro-fessori, nell’eventualità di un trasferimento, hanno fatto domanda di seguire la facoltà nel polo catanese, non intendendo rimanere a svol-gere la loro attività lavorativa nel nuovo ateneo pubblico. Quindi rischiamo di avere una corni-ce senza quadro. Nella migliore delle ipotesi, e sempre che il quarto polo venga riconosciuto, avremmo solo la facoltà di architettura, non più come facoltà di Catania, bensì come facoltà del nuovo ateneo e dunque si dovrebbe reclutare, per buona parte se non per intero, il persona-le docente attraverso concorsi (e i concorsi con quali risorse si fanno?) e trasferimenti; è uno scenario che prospetta tempi molto lunghi, una gestione complessa e, nell’immediato, una posizione svantaggiata e minoritaria di questo ipotetico quarto polo. Lo stesso discorso vale pure per le facoltà di Ragusa, ovviamente”.

Esistono ulteriori difficoltà per la nascita del quarto polo?“Purtroppo sì, innanzitutto perché occorre consi-derare che viviamo un periodo in cui il ministero sta facendo tagli dappertutto, sia nella pubblica istruzione che nell’università: crediamo davvero che il governo dia, senza battere ciglio, a Ragusa e Siracusa tutte le risorse di cui necessitano? Io me lo auguro perché non abbiamo altra strada, ma mi pare molto difficile. Fra l’altro uno dei requisiti ne-cessari per ottenere i fondi è che non ci sia conten-zioso finanziario aperto con l’università, in questo caso, di Catania e invece noi abbiamo, com’è noto, una pendenza debitoria con questo ateneo. In se-condo luogo, un ateneo pubblico, per giustificare la sua esistenza, deve possedere dei corsi di laurea particolari e degli insegnamenti di qualità; quanti saranno gli studenti che preferiranno iscriversi nel-le facoltà eventualmente presenti nel quarto polo? Salvo i siracusani e i ragusani che effettueranno una scelta territoriale, di vicinanza, gli studenti di Augusta o di Lentini per esempio, opterebbero, a parità di offerta formativa, per la sede di Catania. Avremmo, per assurdo, in due province tre facoltà di giurisprudenza, una a Ragusa, una a Catania e una a Priolo con l’università di Messina. “Un ennesimo problema: quali saranno i locali in cui si installerà questo ateneo pubblico? A meno che non si vogliano diminuire ulteriormente le di-mensioni che avevamo in quanto sede decentrata, si dovrà ipotizzare un ampliamento delle stesse, in vista di una crescita dell’università. Infine, per otte-nere il quarto polo occorreranno dei tempi, ancora non quantificabili, ma sicuramente superiori a uno, due anni… e nel frattempo? Restiamo con la sola, piccola facoltà di architettura, dato che con Cata-nia i rapporti, ad oggi, sono incrinati? Pensiamo di rivolgerci ad altre università? E se il ministero non darà il nulla osta al quarto polo, che succederà, an-drà in fumo tutto il lavoro di costruzione dell’uni-versità siracusana iniziato nel 1996-97? Come si comprende, si apre una serie di problemi che va individuata e gestita, problemi non insuperabili, per fortuna, ma sono necessari degli organi istitu-zionali all’altezza degli obiettivi; finora, comune e provincia non hanno affrontato in maniera orga-nica la questione. Visentin e Bono hanno firmato, come me, un documento relativo a questo ipotetico ateneo pubblico, ma questo non vuol dire niente: nessuno sa in che modo si stanno preparando ad

affrontare questa faccenda, in che modo pensano di gestire questi problemi appena prospettati”.Ma non esistevano delle convenzioni tra la pro-vincia di Siracusa e l’ateneo di Catania?“La convenzione esisteva, era stata stipulata da Visentin, Bono e Recca al fine di modificare i ter-mini della precedente convenzione, di prevedere delle condizioni economiche diverse rispetto al passato e di confermare l’esistenza della facoltà di architettura nonché la nascita di un nuovo corso di laurea in ingegneria ambientale. Attualmente, il documento è stato ufficialmente smentito da un voto del consiglio provinciale, che ha rigettato le proposte della convenzione, sconfessando l’opera-to del sindaco e del presidente della provincia; se-condo il consiglio provinciale occorre ripristinare i vecchi corsi di laurea che erano presenti a Siracusa, quelli in beni culturali, i quali, però, essendo stati uno già trasferito e uno in corso di attivazione a Catania non potranno essere recuperati. Lo stesso consiglio ha dato mandato al presidente affinché si rivolgesse a un avvocato per fare causa all’univer-sità di Catania. “Il quadro attuale è del tutto disastroso e mi mera-viglio che non ci sia una reazione da parte dell’opi-nione pubblica: in un anno e mezzo ci siamo gio-cati l’università siracusana, peggio di così non potremmo trovarci”.Ma, salvo la posizione debitoria, non vi erano problemi qualitativi o organizzativi dell’offerta formativa siracusana?“Affatto. Quando il consorzio è nato, nel 2005, a Siracusa c’erano solo un corso di laurea in beni culturali e la facoltà di architettura; in questi anni avevamo attivato un corso di lingua inglese per studenti dei paesi arabi, istituito tre nuovi corsi di laurea specialistica in beni culturali e riaperto la scuola di archeologia che era chiusa da oltre die-ci anni; tale scuola era l’unica del meridione dopo quella di Lecce e la seconda, cronologicamente, dopo quella istituita a Roma e adesso sarà trasfe-rita a Catania, l’università ha perfino già disdetto il contratto della luce. Tutto finito. Questo consorzio universitario, di cui sono attualmente presidente e dal cui incarico non vedo l’ora di essere sollevato, dovrà gestire un nulla abbondante”.E la posizione delle amministrazioni provinciale e comunale?“E chi la conosce! Intanto, né il comune né la pro-vincia si sono opposte con la necessaria fermezza

a questa strategia di ridimensionamento seguita dal rettore; in compenso le istituzioni amministrative si ostinano ad asserire che “l’università non si toc-ca”, ma ciò, come ho dimostrato, non corrisponde al vero perché l’università è stata toccata, e pure abbondantemente. Ultimamente si è prospettata l’ipotesi di dar vita a un contenzioso, dall’esito del tutto incerto, tra la provincia di Siracusa e l’uni-versità di Catania: la nostra provincia, infatti, ha annunciato di aver adito le vie legali per venire a capo della questione e per contestare la scelta di sopprimere i corsi in beni culturali. Ora, dunque, siamo alla carta bollata; tra qualche mese saremo ai materassi, cioè alla guerra: il rapporto con Catania, in questo quadro, è profondamente compromesso. Fra l’altro vi sono stati alcuni comportamenti in-comprensibili da parte delle nostre istituzioni: lo scorso 30 giugno, infatti, io stesso ero presente alla firma di un accordo, presso il ministero dell’uni-versità e della ricerca, accordo che prevedeva la conferma di un altro ciclo di beni culturali e il pro-getto di un tavolo per modulare di nuovo l’offerta formativa. In seguito, beni culturali sono saltati e la nuova offerta formativa non c’è stata: l’accordo al ministero è stato completamente disatteso e il pre-sidente della provincia ha obiettato questa inosser-vanza del documento solo a seguito della recente presa di posizione del consiglio provinciale. “Era palese, risaputo da tempo che all’inizio dell’anno accademico il rettore avrebbe ritirato i corsi di laurea, io ho ripetutamente lanciato l’allar-me e mi sentivo accusare di essere un terrorista. E Bono e Visentin, invece di eccepire da subito il mancato assolvimento dell’accordo, il 16 settem-bre, prima dell’inizio dell’anno accademico, hanno presentato, in pompa magna e trionfalisticamente, un nuovo corso di laurea, quello in ingegneria am-bientale, un corso innovativo e sostitutivo di quelli in beni culturali. Attualmente prendiamo, infine, atto che anche questo progetto è fallito a seguito della contestazione da parte del consiglio provin-ciale che preferisce si recuperino, piuttosto, i corsi in beni culturali, i quali, in realtà, sono definitiva-mente perduti.Cosa accadrà in futuro? Probabilmente, vista l’im-possibilità di ripristinare i corsi in beni culturali e di creare il corso in ingegneria ambientale, non si parlerà più della questione e a Siracusa resterà solo la facoltà di architettura”.

Monica Lanaia

“Finiti i margini di trattativa. Adiremo vie legali, sempre che gli avvocati non lo sconsiglino”

Il Presidente della Provincia: “Dal 30 giugno con Cataniaci sono stati tre accordi prima assunti e poi disattesi”

Nell’attesa di conoscere anche il parere dell’amministrazione comunale, abbiamo chiesto al presidente della provincia Nicola Bono delucidazioni in merito alla questione universitaria. “Non c’è nessuna novità al momento” – ha esordito il presidente –. “Il legale al quale ci siamo rivolti sta studiando gli aspetti della questione e sarebbe prema-turo e inopportuno parlarne adesso. Il no-stro obiettivo non è quello specifico di ripri-stinare i corsi in beni culturali o di creare in corso in ingegneria ambientale, bensì quello più generale di salvaguardare gli interessi del territorio. L’avvocato sta valutando se sia possibile contestare il comportamento dell’università di Catania che ha unilateral-mente dimesso gli obblighi assunti siglando le convenzioni. Vi sono state, a partire dal 30 giugno 2009, tre intese assunte e poi di-sattese e, dunque, è ormai chiaro che non ci sono i margini per stipulare un accordo con l’ateneo catanese. A questo punto abbiamo dato mandato ai legali per valutare se sia possibile raggiungere l’obiettivo di tutelare gli interessi del territorio siracusano e in-durre l’università di Catania ad adempiere

correttamente agli obblighi assunti. “Ovviamente, al momento non si può dire di più, attendiamo un parere giuridico che potrebbe anche essere negativo; se l’avvo-cato asserisse che non vi sono i margini per impugnare le convenzioni disattese e che la sentenza si prospetta a noi sfavorevole, non potrei esporre l’ente ad un contenzioso inu-tile e dispendioso”.Ci riaggiorneremo, dunque. Forse il round finale sarà seguito da tempi supplementari e chissà che non sia qualche cavillo burocrati-co e legale a salvare l’università di Siracusa. Nell’attesa di conoscere anche il parere dell’amministrazione comunale, abbiamo chiesto al presidente della provincia Nicola Bono delucidazioni in merito alla questione universitaria. “Non c’è nessuna novità al momento” – ha esordito il presidente –. “Il legale al quale ci siamo rivolti sta studiando gli aspetti della questione e sarebbe prema-turo e inopportuno parlarne adesso. Il no-stro obiettivo non è quello specifico di ripri-stinare i corsi in beni culturali o di creare in corso in ingegneria ambientale, bensì quello più generale di salvaguardare gli interessi

del territorio. L’avvocato sta valutando se sia possibile contestare il comportamento dell’università di Catania che ha unilateral-mente dimesso gli obblighi assunti siglando le convenzioni. Vi sono state, a partire dal 30 giugno 2009, tre intese assunte e poi di-sattese e, dunque, è ormai chiaro che non ci sono i margini per stipulare un accordo con l’ateneo catanese. A questo punto abbiamo dato mandato ai legali per valutare se sia possibile raggiungere l’obiettivo di tutelare gli interessi del territorio siracusano e in-durre l’università di Catania ad adempiere correttamente agli obblighi assunti. “Ovviamente, al momento non si può dire di più, attendiamo un parere giuridico che potrebbe anche essere negativo; se l’avvo-cato asserisse che non vi sono i margini per impugnare le convenzioni disattese e che la sentenza si prospetta a noi sfavorevole, non potrei esporre l’ente ad un contenzioso inu-tile e dispendioso”.Ci riaggiorneremo, dunque. Forse il round finale sarà seguito da tempi supplementari e chissà che non sia qualche cavillo burocrati-co e legale a salvare l’università di Siracusa.

6 6 Febbraio 2010

L’ass. Sgarlata e Miccoli (Ufficio Tributi): “In cinque anni è stato fatto un gran lavoro”

“Per l’ICI abbiamo scoperto le maggiori sacche di evasioneMa ci sono problemi per identificare gli immobili fantasma”

di ALESSANDRA PRIVITERA

È del 15 dicembre 2009 (GU 15 dicembre 2009, n. 291) il comu-nicato con cui l’Agenzia del Territorio informa di aver completato l’indagine per mezzo della quale è stata accertata la presenza di fabbricati o di ampliamenti di costruzioni non dichiarati in ca-tasto. La verifica è stata condotta su 28 province italiane, pari a circa al 25% della penisola, e ha portato alla luce 570 mila fabbri-cati non accatastati, che si aggiungono a 1.500.000 già identificati tra il 2007 e il 2008. Per recuperare alla legalità i fabbricati che non risultano al Catasto, l’Agenzia del Territorio ha collaborato insieme all’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura, ndr) procedendo all’identificazione dei fabbricati grazie all’aerofoto-grammetria e, dunque, alla sovrapposizione delle foto dall’alto con le mappe catastali. Delle 2.076.250 particelle con fabbricati “fuori mappa” una metà non andrà comunque iscritta al Catasto dal momento che si tratta di tettoie, rovine, e simili: l’altra metà, però, è stata recuperata alla tassazione e alla legalità urbanistica: il Catasto, infatti, comunicherà ai Comuni l’elenco dei fabbricati dopo che sarà loro attribuita una rendita o a seguito di adempi-mento spontaneo da parte dei proprietari o dopo un accertamento degli uffici del Territorio. È gioco-forza chiedersi in che situazioni versi la città di Siracusa in questo senso: l’abuso, infatti, pesa su tutti. Nel maggio 2008 «Il Sole 24 Ore» stimava un mancato gettito fiscale di almeno 24 euro annui per ogni cittadino, neonati compresi, per un totale di 1,4 miliardi di euro all’anno. Un regalo per gli edifici abusivi che, in aggiunta, deturpano il territorio rendendo vana la pianifi-cazione urbanistica: ma lo è anche per quegli edifici che, pur non essendo abusivi, non sono mai stati dichiarati al Catasto e quindi non hanno avuto l’attribuzione di una rendita catastale, che rap-presenta la base imponibile di quasi tutte le imposte e tasse immo-biliari. D’altra parte Ici e Tarsu servono a garantire i servizi che ruotano intorno all’immobile: strade, fogne, illuminazione, rac-colta differenziata dei rifiuti; e il mancato pagamento determina il disservizio. Una questione di civiltà, dunque, oltre che di legalità.Di come il Comune di Siracusa si sia attivato per le opportune verifiche urbanistiche, perciò, abbiamo parlato con l’assessore al Bilancio e ai Tributi, Francesco Sgarlata, e con il dott. Vincenzo

Miccoli, capo settore dell’ufficio Tributi.In che percentuale è diffusa a Siracusa l’evasione fiscale nell’ambito delle classificazioni catastali? «È difficile dare numeri e cifre – afferma Sgarlata – perché aspet-tiamo l’elaborazione dei dati dall’Agenzia del Territorio». E ag-giunge Miccoli: «Una volta recepiti i dati, sarà possibile censire i fabbricati per recuperare l’imposta IRPEF sui fabbricati per la dichiarazione dei redditi e il Comune di Siracusa potrà così pro-cedere all’accertamento ICI e TARSU con il recupero – in caso di evasione – degli ultimi 5 anni». A quali sanzioni va incontro chi ha dichiarato il falso o chi non ha dichiarato?«I fabbricati – sostiene Miccoli – dovranno essere dichiarati al ca-tasto edilizio urbano entro sette mesi dalla data di pubblicazione del comunicato. Qualora gli interessati non presentino le suddette dichiarazioni entro tale termine, gli Uffici provinciali dell’Agen-zia del territorio provvederanno, con oneri a carico del soggetto inadempiente, all’iscrizione in catasto e alla notifica dei relativi esiti. Per verificare se i propri fabbricati sono tra quelli da regola-rizzare, si può utilizzare il motore di ricerca del sito dell’Agenzia del territorio. È necessario inserire la provincia, il comune cata-stale, la sezione, il foglio e il numero catastale della particella in cui si trova l’immobile».In che modo agisce il Comune di Siracusa per i controlli?«Sappiamo di avere scoperto, per quel che riguarda l’ICI, tutte le sacche di evasione, o, per lo meno, le maggiori. Ma abbiamo ancora dei problemi nell’identificare gli immobili fantasma». Nel dettaglio, spiega Miccoli, «il contrasto all’evasione fiscale sugli immobili passa sempre di più per un potenziamento delle banche dati catastali. Le modalità di controllo consistono nell’incrocio di dati che costantemente vengono anche dagli altri uffici: dal catasto elettrico (abbiamo la possibilità di scaricare dati forniti dall’ENEL sui contratti), dall’Agenzia del Territorio, dall’asses-sorato all’Urbanistica (per quel che riguarda il rilascio di autoriz-zazioni e concessioni edilizie). Questo ci permette di corredare e completare una mappa catastale già esistente (foglio per foglio, particella per particella) e di verificare l’esistenza di ogni particel-

“Per passare dalla Tarsu alla TIA occorre il 30% di differenziata. Siamo fermi al 7”

“Non possiamo più classificare uno studio professionaleper i mq occupati. Usiamo il criterio della prevalenza”

Qual è la situazione per quel che riguar-da i servizi? «Negli anni – sostiene Sgarlata – siamo passati da un lavoro di massa sulle abita-zioni a un lavoro più capillare sui servizi: tanti traguardi, infatti, erano stati già ta-gliati dalla precedente amministrazione; adesso stiamo cercando di andare oltre: il Comune di Siracusa ha fatto dei grandi passi avanti grazie all’attenzione dei ma-nager, dei dirigenti e della politica; grazie anche a un sistema informatico che funzio-na (le banche dati ci permettono costante-mente di monitorare e implementare i dati in nostro possesso). È chiaro che bisognerà operare con maggiore attenzione, perché – quando si riduce la sacca di evasione – è chiaramente meno semplice andare a sco-vare l’evasore: 5 anni fa si trovavano sac-che d’evasione molto larghe ed era facile ottenere dei risultati in modo veloce e in numeri alti. Ad oggi, invece, molto proba-bilmente questi risultati non arrivano ma si agisce in settori più sommersi». Una pun-tualizzazione, però, va fatta in questo sen-so: «Non è insolito – spiega Miccoli – che gli studi professionali si trovino all’interno delle abitazioni: nell’epoca della comuni-cazione globale basta una strumentazione informatica all’avanguardia per svolge-re la stessa attività che qualche tempo fa avrebbe richiesto un’area maggiore. È evi-dente, insomma, che non è più possibile classificare uno studio professionale sulla base dei metri quadrati occupati. Si ricor-re, perciò, al criterio della prevalenza: se a prevalere, sulla superficie dell’immobile, è l’area dell’abitazione, allora tutto l’im-mobile sarà classificato come tale, poiché lo studio professionale risulta residuale ri-

spetto al resto». Quanto incide, in media annua, questa modalità di evasione sul gettito ICI e TARSU a Siracusa? Di quanto, insom-ma, il Comune di Siracusa sarebbe più ricco se tutti pagassero il dovuto? «Sono dati che stiamo costruendo – a ri-spondere è l’ass. Sgarlata – ma dobbiamo ammettere che da 5 anni a questa parte è stato fatto un buon lavoro: a Siracusa si registra un trend positivo; la città ha co-minciato a collaborare con il pagamento regolare dei tributi perché ha compreso che questo significa una qualità della vita migliore per tutti. La città è abbastanza pulita, ma è indubbio che bisogna avviare in modo concreto la raccolta differenzia-ta in modo più capillare; sappiamo che, per quel che riguarda i rifiuti, Siracusa è una delle città più care d’Italia, ma è anche vero che la città non è sommersa di spazzatura per strada: quindi il ser-vizio funziona. Oggi bisogna cercare di andare sempre più incontro al cittadino: e possiamo sgravare il cittadino da oneri, costanti e in costante aumento, solo cer-cando di recuperare le sacche di evasio-ne fiscale. Che paghino tutti perché tutti paghino di meno». E tiene a precisare il dott. Miccoli: «Un dato di fondamentale importanza sono i 60mila avvisi di ac-certamento ICI e TARSU emessi negli ultimi 5 anni sul territorio: contiamo di arrivare, nel giro di un paio di anni, a re-gime in modo da avere un controllo sul territorio per cui saremo in grado di capi-re – per ogni singolo spostamento o per ogni singola variazione – quale sia l’en-tità della variazione e accorciare i tempi dell’accertamento stesso».

A proposito di TARSU (tassa per lo smal-timento dei rifiuti solidi urbani): quali trend (positivi o negativi) registrerebbe il Comune di Siracusa con il passaggio alla TIA (tariffa di igiene ambientale)? È già possibile fare delle stime?«Bisogna fare delle valutazioni: di certo il Comune di Siracusa non vuole incidere ulteriormente sui cittadini che devono far fronte a già troppe onerose tassazioni; per questo motivo abbiamo scelto di non ac-celerare i tempi del passaggio. Noi siamo tartassati quotidianamente e io, purtroppo, ho un ingrato compito: perché gestire le tasse di un Comune come quello di Sira-cusa non è facile. Questa amministrazione, però, vuole aiutare il cittadino: e la ridu-zione della TARSU sui garage del 90% è stato un chiaro messaggio in questo sen-so». Dal punto di vista squisitamente tec-nico, chiude Miccoli: «La TARSU chiede al cittadino un tasso di copertura dell’88% mentre il 12% è a carico del Comune. La TIA prevede una copertura totale a carico del cittadino: questo comporterebbe – ora – un inasprimento del carico fiscale forte. A meno che si dia il via a una politica e a una condotta virtuose che riguardano il differenziato in modo da abbattere il 30% che è la media nazionale rispetto a ciò che viene conferito: solo a questo punto la TIA diventa conveniente per tutti. Se si pensa che Siracusa è al 7% è comprensibile come – perché si arrivi al 30% – sia necessario un modello di gestione che abbia come primo parametro la comunicazione con il cittadino affinché si capisca che per la rac-colta differenziata passa una migliore qua-lità della vita ma anche un risparmio del costo di gestione».

la (che corrisponde all’unità immobiliare)».È mai capitato che abitazioni classificate come “popolari” sia-no risultate ville lussuose? «Questo capita in minima percentuale, per fortuna, nella città di Siracusa – affermano l’ass. Sgarlata e il dott. Miccoli – anche per-ché classificare un’abitazione di lusso (classe A1) come un’abi-tazione popolare (classe A2) è un tentativo di evasione davvero poco “felice”: è facile scovare questo inganno dal momento che i parametri catastali che definiscono le classi sono molto puntuali e precisi oltre che oggetto di costante monitoraggio».

‘Basta con i politici di professione’: è questo il grido di dolore lanciato da uno dei tantissimi commercianti siracusani alle pre-se con la crisi economica, Giuseppe Barreca, il quale aggiunge:“Assessore al commercio dev’essere un commerciante!”. “En-tro due generazioni i commercianti e i professionisti extra co-munitari avranno soppiantato i siracusani”, dice Barreca, che poi si scaglia più volte contro i centri commerciali e la man-canza di un piano regolatore, a causa dei quali numerosissimi negozianti stanno andando sul lastrico.“Incentivando la crescita dei centri commerciali, la nostra città diverrà un deserto”, sottolinea Barreca, secondo il quale “il fu-turo è nel volontariato”.Secondo lei, a livello locale, la crisi c’è?“La crisi c’è ed è sotto gli occhi di tutti. E’ in tutto il mondo e quindi si fa sentire anche da noi, dove colpisce di più a causa dell’espansione incontrollata della grande distribuzione e dei cosidetti centri commerciali. In realtà, bisognerebbe chiamarli col loro vero nome e cioè speculazioni edilizie.Essi consistono in decine e decine di negozi realizzati in luoghi innaturali, anche molto belli tra l’altro. Queste grandi aziende, però, l’utile non lo trovano vendendo i prodotti ma affittando questi negozi che hanno creato all’interno del centro. Ciò rende deserta la nostra città. Infatti, oggi è sabato e, come lei stesso può vedere, in negozio non c’è nessuno e corso Gelone è quasi vuoto. Questo perchè la gente si dirige verso le baraccopoli del commercio. La nostra città, che ha vocazione turistica e vuole primeggiare fra le città d’arte, ha bisogno che le vie siano piene di negozi: un turista mica va all’Auchan o al Carrefour! Inoltre una città, lo dice il nome stesso, è fatta di cittadini, e questi hanno bisogno di servizi. Uno di questi è il negozio. Girando per le botteghe, in cerca dell’articolo di cui ha bisogno, la gente vive la città. Se, come previsto, dovessero aprire ancora altre baraccopoli, la crisi non farà che aggravarsi”.Che ruolo gioca, in tutto questo, la concorrenza degli extra-comunitari?“Nel passato, la più grande ambizione di un ambulante era quel-lo di avere un negozio dove realizzare i propri sogni, esprimere la propria abilità e professionalità. Oggi si assiste al fenomeno inverso: chi li aveva se li è tolti e si è preso una bancarella al mercatino. In tal modo non paga affitto, non paga nè luce nè te-

lefono, non ha dipendenti. Gli immigrati si vanno a posizionare sui negozi abbandonati dai siracusani o che questi non vogliono più. Perchè gli immigrati vivono bene? Perchè i loro negozi, come quelli siracusani di un tempo, sono a gestione familiare. Così facendo si risparmia sui lavoratori, si permette ai figli di imparare il mestiere per poi ereditare il posto e si vive digni-tosamente. Così era anticamente a Siracusa e altrove e così è adesso per i negozi degli immigrati. Questo perché si tratta di gente che conosce la necessità, ha conosciuto la fame e quindi infonde nelle proprie imprese tutta la propria vita, capacità e professionalità. Questo però non è un male, ma un bene: intanto perché contribuiscono a illuminare la città e poi perché offrono della merce di qualità media, adatta un po’ a tutti”.Rispetto al passato, la situazione è peggiorata?“Certo e peggiorerà sempre più; il commercio è come il lin-guaggio: si evolve continuamente. Per affrontare il cambiamen-to, occorrono economia, professionalità e capacità d’impresa”.La crisi colpisce tutti i settori o solo alcuni?“Tutti. La colpa, non voglio essere ripetitivo, è dei centri com-merciali, in cui si può acquistare di tutto: dalla biancheria in-tima alle lambrette. E non pensiamo neppure che vadano così bene: spesso sento dire che tante aziende che si trovavano al loro interno hanno chiuso dopo qualche anno. Si dice anche che una di queste pagasse 35 mila euro di affitto al mese: ha dovuto chiudere perchè non aveva un adeguato ritorno economico”.Quali sono, oltre a quelli detti, i problemi che affiliggono gli imprenditori locali, specialmente a corso Gelone?“I parcheggi: se tutti i soldi che il comune ha incassato con le multe li avesse usati per costruirne qualcuno, a quest’ora po-trebbe tappezzarli d’oro! Il punto è che, invece di usarli per risolvere il problema, vengono utilizzati per altri scopi e si continua a fare multe su multe. L’unica nota positiva sono le strisce blu, che permettono di avere una rapida rotazione delle persone”.La politica ha fatto qualcosa?“Nulla, se non peggiorare la situazione. Sono stati i politi-ci che hanno permesso il diffondersi degli ipermercati e che, al contempo, non sono mai stati capaci di approvare dei pia-ni commerciali. Del piano regolatore tutti ne parlano, ma poi l’abusivismo dilaga: così abbiamo cemento dappertutto e crisi

dilagante: senza piani commerciali fatti bene e con intelligenza, il commercio non va da nessuna parte”.Che voto darebbe alla situazione attuale?“Cinque più”.Prospettive future?“Quando i cittadini prenderanno coscienza di questa situazione e la esprimeranno, non tramite la politica ma con il volontaria-to, le cose miglioreranno: sarà questo che salverà la nazione. I politici di professione devono andare via: il loro posto dev’es-sere preso da professionisti e commercianti che, continuando a svolgere la propria attività, si occupino anche della gestione della cosa pubblica. E’ assurdo che una persona che è stata ri-formata alla leva possa fare il Ministro della Difesa, o che uno che non ha mai fatto il commerciante possa fare l’assessore al commercio.“Io, per esempio, presiedo l’associazione anti-racket e lei non ha idea di quanti benefici questa associazione ha apportato per la risoluzione dei problemi che da secoli affliggono la nostra isola”.Quali sono le difficoltà che un commerciante siracusano si trova a dover affrontare ultimamente? Che ne pensa dell’accesso al credito: è adeguato?“La banca è una putìa che vende denaro, come un negozio alimentare vende gazzose. Per fare questo dev’essere certa di avere un guadagno: occorrono quindi delle garanzie precise. Le banche quindi fanno bene ad attuare una politica restrit-tiva. Quando la politica ha cominciato a entrare nel sistema creditizio, facendo sì che anche gente inaffidabile ricevesse del denaro che poi non restituiva, il sistema bancario è andato a deteriorarsi e le banche a fallire. Come accadde con due istituti, che erano l’orgoglio della Sicilia: Sicilcassa e il Banco di Sicilia”.Mi parli un po’ della tradizione dolciaria siracusana.“Avevamo dei pasticcieri fornitori della Real Casa di Savoia, con tanto di attestato. Quando c’erano incontri di Stato, ceri-monie o ricevimenti, tutti i dolci di mandorla erano preparati da siracusani.Poi però, le loro abilità le ha portate avanti uno della provincia di Catania, Condorelli, che da piccolo era stato apprendista di quei pasticcieri. E ora lui è noto in tutto il mon-do, mentre i siracusani sono scomparsi”.

TUTTI I SIRACUSANINELLE BARACCOPOLI DEL COMMERCIO

di Massimiliano Greco

“Da anni si parla del piano commerciale e intanto l’abusivismo dilaga in tutta la città”

“Da anni si parla del piano commerciale e intanto l’abusivismo dilaga in tutta la città”

8 6 Febbraio 2010

“NON SI È FATTO NULLA PER RENDERE PIÙ VIVIBILE LA CITTÀ LÀ DOVE CI SONO NEGOZI”“A chi ci amministra, salvo rare eccezioni, non riesco a dare un voto sufficiente”

Linguanti (Confesercenti): “Troppi centri commercialiCi rivolgeremo al garante per la libera concorrenza”

Crisi economica e rischio oligarchia: Arturo Linguanti, presidente della Confesercenti, dice: “Di tutte le autorizzazioni amministrative rilasciate in Sicilia ai grandi centri commerciali circa il 40% è stato dato nella nostra provincia! Il commercio siracusano è squilibrato e questo crea solo danni. Come Confesercenti, stiamo pensando di ri-volgerci all’autorità della garanzia della libera concorrenza: se non si interviene, si rischia un’oligarchia”.La ricetta per uscire dalla crisi: ripristino del collegamento navale con Malta, miglioramento del trasporto pubblico, dell’illuminazione stradale e dell’urbanistica commerciale.“La politica deve recuperare la capacità, da troppo tempo perduta, di saper ascoltare i cittadini”, dichiara ancora Linguanti. Ma ecco l’in-tervista.Lei ha affermato che a Siracusa, di recente, hanno chiuso 72 negozi...“Sono solo quelli che erano associati alla Confesercenti: sicuramente sono molti di più. Le cause principali sono: la grande distribuzione organizzata ma anche l’economia nazionale, che non va. Prova ne è che, sebbene i saldi siano quasi finiti, non hanno dato l’esito sperato. Anzi, è andata peggio che nel 2007 e nel 2008.“Il commercio siracusano, inoltre, non è stato ben distribuito sul ter-ritorio per mancanza di un piano di urbanistica commerciale, oltre alla mancanza di un piano regolatore. Abbiamo quindi una grossa concentrazione di negozi di cosiddetto ‘vicinato’ in determinate zone, mentre altre, come la Pizzuta o la Mazzarrona, sono prive di qualun-que servizio, nonostante abbiano una popolazione stimata di circa 40 mila persone. Queste mancanze hanno determinato la presenza di grandi strutture di vendita, che hanno accerchiato la città”.Come valuta l’iniziativa dell’imprenditore Mangiafico, che ha deciso di aprire un grande centro commerciale alla Mazzarrona?“L’iniziativa che prende un imprenditore siracusano, specialmente uno come lo stimatissimo dottor Mangiafico, è sempre da accogliere con piacere. Si tratta di una persona che gestisce soldi siracusani ma che li reinveste in città. A differenza di quanto accade con le grandi holding internazionali, le quali reinvestono altrove”.Ma non si tratterà di una cattedrale nel deserto?“Non credo che importi il fatto che sia isolato o meno: bisogna innan-zi tutto vedere se la struttura rappresenterà tutti i settori merceologici. In caso contrario, e cioè se fosse presente solo quello alimentare, per esempio, farebbe ben poca cosa, vista la concorrenza spietata”.Rispetto al passato, nota miglioramenti nella situazione attuale?“Nessuno, anche perché le leggi, come la 426 del ‘71 (la quale preve-deva la realizzazione di piani di urbanistica commerciale, onde creare una ‘spalmatura’ dei servizi sul territorio), non è mai stata applicata, nonostante stabilisse che i Comuni avrebbero dovuto provvedere a tal proposito entro 180 giorni. Ne venne fatta un’altra, la 28 del ‘99, e ancora aspettiamo che il comune di Siracusa, come molti della provincia, ottemperi agli obblighi sanciti da essa: pensare che sono passati, rispettivamente, trentanove e undici anni!”.Prospettive future?“Poco incoraggianti. I trasporti pubblici non funzionano e ci sono strade da più di quarant’anni male illuminate. In generale, poi, non si è fatto niente per rendere vivibile la città, in particolare nelle zone dove si concentrano più negozi. Abbiamo forti problemi di traffico e di posteggio, cosa che rende lo shopping un’impresa! Non vedo un futuro accettabile, a meno che non si cambi rotta. Un segnale in tal senso, è venuto dall’onorevole Bono. Questi ha pre-so l’iniziativa di coordinare tutte le forze sociali attive, per realizza-re un progetto, portato avanti per troppo tempo dal presidente della Camera di Commercio, Ivan Lo Bello, e cioè quello di fare sistema. Da un anno a questa parte si cominciano a vedere i risultati: l’on. Bono è riuscito in questa sinergia, basata sulla triade vincente turi-smo-commercio-cultura, e finalmente si cominciano a sottoscrivere i primi protocolli d’intesa. “Mi auguro sopratutto che si rimetta subito a posto il Porto di Siracu-sa per consentire il ripristino del servizio di collegamento con Malta, un obiettivo che la Confesercenti ha sottoscritto da tempo:potrebbe portare una grossa boccata d’ossigeno per i commercianti di corso Umberto, corso Gelone e Ortigia. Pensi che la nave porterebbe giornalmente circa 600 turisti: gente che spende e che vive la città. Sarebbe un sostegno importante per l’economia siracusana”.A tal proposito, le risulta che da Ortigia e da corso Umberto stia-no sparendo i negozi storici?“Nessuna amministrazione si è preoccupata di mantenere quei nego-zi di Ortigia, come Calcina e Marciante, i quali costituivano un valore aggiunto: non è un quartiere che possa andare avanti solo con Benet-ton, Sisley, o con le banche. Per esempio a Bologna si sono sempre preoccupati di mantenere in vita le vecchie edicole e le salumerie

tradizionali. Pensando al presente, non dobbiamo dimenticare che c’è una scuola alberghiera: in Ortigia si potrebbe provare a recuperare la tradizione dolciaria siracusana. La dolceria siciliana nasce con i confetti, e Avola e Siracusa ne erano il centro. Occorre recuperare quella storia di artisti, come Marciante e Calcina, mettendo magari a disposizione dei negozi. C’era anche un museo della dolceria, creato da Marciante, ma le due opere create da questi ora si trovano nel museo di Caltanissetta! Sono segnali negativi che vanno sottolineati.“Siracusa inoltre ha beni culturali che ci riconoscono in tutto il mon-do. Abbiamo le risorse del mare: chi ha costruito la città è venuto da lì! Bisogna perciò utilizzare tutte le risorse che questo ci offre. La realizzazione del porto turistico è già un segnale in tal senso. Oltre questo, abbiamo il Santuario, ma non si riesce a sfruttare il turismo religioso. Recentemente gli albergatori si sono consorziati, raggruppando più di 100 strutture, e sono disponibili a fare prezzi competitivi al massimo, ma non è sufficiente: bisogna far vivere il territorio e quindi cominciare a far funzionare i trasporti: penso che non esista nessuna città al mondo in cui un turista arrivi alla stazione e non sappia quando passi l’autobus e quale prendere! Sei o sette anni fa, l’assessore di allora si fece fare mezza pagina su un quotidiano locale, vantandosi di aver ripristinato il servizio di bus della stazione: è incredibile come a Siracusa ciò che è normale diventi straordinario! Tuttora, però, se un turista arriva non sa dove andare, sia a causa della mancanza di ‘paline’ che indichino il percorso dei bus sia perché non trova guide o elenchi di alberghi, per poter scegliere quello più adatto alle proprie possibilità. Mi auguro, poi, che non prenda mai un taxi, perché non ci sono prezzi ragionevoli.

“Altre cose che non vanno in città sono il verde e la pulizia delle strade, entrambi carenti: se non facciamo sistema e non lavoriamo tutti assieme, otterremo ben poco. Inoltre, si potrebbero realizzare diverse cose, investendo poco. Per esempio, a maggio iniziano da sempre le rappresentazioni classiche, eppure ogni anno lasciamo che i turisti arrivino all’ingresso del Teatro Greco e trovino l’erbaccia alta un metro”.Parliamo di provincia. C’è stata la conferenza dei servizi per l’outlet di Carlentini e il centro commerciale di Rosolini: è stata data la concessione?“Quello di Carlentini, grazie al nostro intervento, è stato ridimensio-nato: la richiesta era di 64 mila mq, mentre ora è stata portata a 24 mila. Per il megastore di Rosolini la riunione è stata aggiornata alla fine di febbraio perché lo studio di impatto non era convincente ed è stato modificato”.E per quanto riguarda l’outlet di Melilli?“E’ stato concesso. Vede, ormai mi sono stancato di lamentarmi sem-pre: nessuno, né politici né sindacati, si è mai preoccupato di prestare attenzione a questo strapotere della grande distribuzione. Il bello è che ad andare in questi centri commerciali, non è che si ri-sparmi gran che: sono pronto a dimostrare che la frutta, per esempio, viene venduta a prezzo più basso nei mercati rionali.Le strutture piccole, infatti, svolgono un’azione calmierante sui prez-zi. Purtroppo le amministrazioni locali si accaniscono proprio contro queste importanti categorie”.Che mi dice sulla concorrenza degli immigrati?“Noi pretendiamo solo che chi è in regola con la legge possa lavora-re liberamente. Crediamo inoltre in un mercato libero, logicamente disciplinato. Quello di cui ci lamentiamo insistentemente è l’abu-sivismo. Abbiamo avuto degli incontri col nuovo Prefetto, persona attenta e competente, il quale ci ha fatto la ferma promessa che si sa-rebbe interessato, interpellando, ove necessario, il sindaco e le forze dell’ordine per stroncare il fenomeno: noi siamo fiduciosi”.Quali sono le difficoltà principali per un imprenditore siracusano in questo momento?“L’accesso al credito. La nostra provincia viene considerata come un luogo di reperimento di liquidità e non di investimento. La seconda è che la cultura del commercio e del turismo sono carenti. Siamo però sulla buona strada”.Colpe e responsabilità della politica?“Le amministrazioni sono l’espressione dei cittadini: vuol dire che ci meritiamo questa classe politica. Abbiamo la possibilità di cambiare le cose tramite il voto; occorre soltanto prendere coscienza e cambia-re rotta, quando sbagliano”.Che voto darebbe, alla situazione attuale?“A chi ci amministra, salvo rare eccezioni, non riesco a dare un voto sufficiente. Voglio però, essere ottimista: spero che saremo in grado di metterci tutti assieme per risolvere i problemi di questa città, ric-chissima di potenzialità che sta solo a noi sfruttare”.

96 Febbraio 2010

“NON SI È FATTO NULLA PER RENDERE PIÙ VIVIBILE LA CITTÀ LÀ DOVE CI SONO NEGOZI”di MASSIMILIANO GRECO ([email protected])

Sarà a causa dell’effetto serra o della crescita zero, oppure dei marziani, ma ormai, a girare per Ortigia, ci si sente un po’ come Lawrence d’Arabia, tanto ormai il quartiere si è spopolato. Una conferma a questa impressione ci viene dalle parole di Enza Costa, pro-prietaria dell’omonima profumeria di via Roma.Come vanno gli affari a Ortigia?“A Ortigia non ci sono più le persone: che affari ci possono essere?”.Come, non ci sono più persone?“Non lo vede?” ribatte, indicando una moto che sfreccia davanti al negozio. “Quando mai sarebbe passata, fino a

qualche anno fa? Con la confusione che c’era neppure a piedi era facile, ades-so invece si possono fare pure le corse! Vorrei proprio sapere perché a Siracusa ci hanno scippato tutto!”.In che senso, ‘scippato’?“Ci hanno tolto la linea Siracusa-Malta, cosa molto grave, perché i maltesi veni-vano regolarmente, ogni settimana, qui in Ortigia. Hanno tolto la Banca d’Italia, portandola a Ragusa, privando tutti noi di moltissimi clienti; poi la stazione dei treni, ormai è ridotta a ben poca cosa. Ortigia è finita: non è più quella di una volta. La crisi colpisce tutti i settori: il ne-goziante di abbigliamento che sta di fron-

te a me mi racconta di giornate tremende, dove non entra neanche una persona”.Da quanto tempo esiste questo nego-zio?“Sicuramente da più di ottant’anni: da quando ci sono io, non mi ricordo di un anno così triste! C’è stato un netto peg-gioramento rispetto agli ultimi anni”.Da quando è cominciata la crisi per voi?“Da un annetto”.Prospettive di un futuro miglioramen-to?“Lasciamo stare: ci sono tasse troppo alte, affitti alle stelle che non si possono più pagare, e sopratutto non ci sono en-

trate! Io tiro avanti perché il locale è di mia proprietà: ci sono mesi che si va in perdita netta e bisogna mettere mano ai risparmi”.Colpe e responsabilità dei politici?“I politici sono tranquilli perché hanno il posto assicurato: certe volte mi domando se non si accorgano della situazione!”.Quali sono le tre cose che cambiereb-be, se potesse?“Ripopolare Ortigia, incentivare la ria-pertura degli uffici e, per ultimo, il ripri-stino della Siracusa-Malta”.Che voto darebbe alla situazione at-tuale?“Quattro!”.

Commercianti, paria degli autonomi: intervista a Giuseppe Ciarcià, noto come Salvo, dell’An-tica Salumeria di corso Umberto, secondo il quale la vera crisi sta arrivando adesso.Da quanto tempo e’ in attività?“Sei anni”.Secondo lei, c’è crisi nel mondo del commer-cio siracusano?“Sì: c’è molta crisi, sopratutto a causa della presenza di tutti questi ipermercati; poi ormai la gente ha pochi soldi e quindi compra poco,

oppure preferisce farlo in negozietti stranieri che stanno spuntando anche nel settore alimen-tare. Così facendo, risparmia dal punto di vista economico ma anche da quello della qualità, per non parlare poi di quello igienico-sanitario. Da questo punto di vista, comunque, il mio set-tore è quello che regge di più: non vorrei mai essere nell’abbigliamento! Il punto è che con la crisi la gente è disposta anche a comprare roba scadente, che prima non avrebbe mai preso in considerazione, pur di risparmiare qualche cen-

tesimo”. La situazione quest’anno è peggiore di quel-la degli ultimi tre anni?“Sta andando sempre peggio perché la vera cri-si in città è arrivata ora. Tutti noi ci aspettiamo un anno tremendo, ancora peggiore di quello appena trascorso”.La classe politica ha delle colpe?“Dare le concessioni a tutti questi grossi centri commerciali, in una città che fa poco più di 100 mila abitanti, non credo sia stato il massimo

dell’intelligenza!”.Problemi di parcheggio?“No, quello no: credo anzi sia stato un bene che siano state messe le strisce blu, così c’è un con-tinuo ricambio di gente. Piuttosto, ciò che dà fastidio è che, mentre altre categorie, come gli artigiani, hanno una serie di agevolazioni, noi commercianti non abbiamo aiuti di nessun tipo: siamo i paria dei lavoratori autonomi”.Che voto darebbe, alla situazione attuale?“Quattro”.

“Permettere l’apertura di tutti questi megastore non è stato il massimo dell’intelligenza”

Giuseppe Ciarcià (salumeria): “Qui la crisi è arrivata oraCi aspettiamo un anno tremendo, peggio di quello trascorso”

“Troppe difficoltà: tasse troppo alte, affitti alle stelle e soprattutto non ci sono entrate”

Enza Costa (Via Roma): “Con la chiusura della Banca d’Italiae l’eliminazione del Siracusa-Malta, Ortigia ormai è finita”

A Siracusa, città fino a non molti anni fa poco variegata dal punto di vista etni-co, adesso si contano numerose impre-se dirette da extra comunitari, al punto che nel centralissimo corso Umberto, un tempo feudo dei siracusani ‘doc’, adesso si contano un Internet Point pa-chistano, un negozio di abbigliamento indiano, due ‘kebabbari’ e alcune botte-ghe cinesi. Anche al mercato di piazza Pancali la presenza di bancarelle stra-niere è in aumento rispetto al passato.Siracusa segue una tendenza in atto un po’ ovunque in Italia e cioè la gradua-le sostituzione delle micro imprese au-toctone a opera di quelle straniere, più competitive.Non vogliamo dare un giudizio di alcun tipo sul fenomeno, ma solamente indi-carne l’esistenza.Per dimostrare la concretezza di quan-to riferito, ecco alcuni dati diffusi da Unioncamere sulla base di una ricerca di Movimprese.Il numero delle piccole aziende nel 2008 e’ stato deficitario in Sicilia di 6.305 unità. Di contro, quelle con tito-lare non comunitario sono aumentate di quasi 600 unità. In quasi tutte le provin-

ce siciliane, compresa la nostra, si è re-gistrata una crescita del numero di ditte individuali extra comunitarie. In Italia al 30 giugno 2009 risultavano iscritti ai registri delle Camere di Commercio quasi 250 mila imprenditori extra co-munitari, il 7,3% del totale. In Sicilia questi ammontano a più di 13 mila pari al 4,3% del totale. Siracusa conta 856 imprese con titolare non comunitario su un totale di 23.722, pari al 3,61%. Inol-tre, ed è il dato più interessante, questa è una tendenza in continuo aumento un pò ovunque: rispetto al trimestre prece-dente a quello della ricerca, nel Belpa-ese l’ammontare di tale variazione po-sitiva in media è stato dello 0,8%; in Sicilia invece dello 0,19% , vale a dire il doppio.Fra i settori privilegiati, sempre secon-do Movimpresa, vi sono il commercio e le costruzioni, che hanno visto au-mentare il numero di imprese in Italia rispettivamente di 2235 e di 867 unità. Quanto al bacino principale di impren-ditoria non comunitaria, questo pare es-sere costituito dall’Africa, con oltre 97 mila presenze a livello nazionale, pari al 39,6% del totale.

A Siracusa 856 imprese con titolare non europeo su 23.722, pari al 3,61%. E aumentano

La carica degli extracomunitari. A Corso Umbertonegozi pachistani, indiani, cinesi e due kebabbari

10 6 Febbraio 2010

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Reg. Trib. di Siracusa n°1509 del 25/08/2009

Stampa: Tipolitografia GenyCanicattini Bagni (SR)

Il caso di due tecnici di laboratorio “scavalcati” all’Umberto I° dal 75° nella graduatoria

Fabrizio Ardita: “A Siracusa una drammatica parentopoliDa sabato in pullmino per raccogliere raccomandazioni”

di MARINA DE MICHELE ([email protected])

La denuncia parte da due tecnici di laboratorio “scavalcati” nello scorrimento della graduatoria per l’assegnazione di posti presso il reparto di anatomia patologica. A parere dei due tecnici, che ovviamente intendono mantenere l’anonimato, dai programmi di miglioramento e ottimizzazione dei servizi avviati dalla direzione aziendale dell’Asp di Siracusa resterebbero esclusi proprio quei principi da cui occorrerebbe partire nelle azioni di riqualificazione e innovazione di qualsiasi azienda, e ancor di più se questa opera per il pubblico e, soprattutto, con sovvenzioni pubbliche: i prin-cipi di correttezza, legalità e trasparenza. I fatti sono gravi e già si manifesta apertamente l’intenzione di rivolgersi alla Procura perché intervenga al fine di ripristinare diritti lesi. L’attesa che dagli stessi uffici Asp, come promesso, venissero avviate le pro-cedure per sanare l’illecito è finita. Sono trascorsi troppi giorni dal momento in cui i due tecnici si sono rivolti al responsabile del settore per chiedere spiegazioni su come fosse possibile che, a chi occupava il 75mo posto nella graduatoria di riferimento, venisse assegnato l’incarico saltando una trentina di aventi diritto. Le giustificazioni, secondo quanto ci viene raccontato, sono ap-parse da subito risibili, inaccettabili. Il responsabile avrebbe sostenuto che solo la persona nominata era stata proposta, “pre-sentata”, come dotata dei necessari requisiti, non solo a livello cittadino ma addirittura in tutta la Sicilia.Al di là delle obiezioni dei ricorrenti, anch’essi a loro dire forniti dei titoli richiesti e quindi ingiustamente scartati - “ma sicura-mente anche tra coloro che ancora non hanno saputo e quindi per ora tacciono ci sono quelli che potrebbero rivendicare quel posto” precisa la nostra interlocutrice - vale la pena di soffermarsi un attimo su quest’ultimo aspetto. È prassi nota, non solo nel mondo della sanità ma un po’ ovunque, con casi eclatanti nel settore degli appalti pubblici, ritagliare, quando possibile, requisiti su misu-ra, ad hoc per una determinata figura o per una specifica ditta in modo da sbaragliare la concorrenza e assegnare a proprio piaci-mento incarichi, contributi e prebende varie. Prassi nota abbiamo detto, ma non necessariamente da riferire a questo caso, almeno fino a verifica sebbene riscontri oggettivi ci siano. Sui fatti de-nunciati, per accertare la verità, dissipare ogni ombra e fare pie-na luce, appare senz’altro opportuno che si proceda ascoltando i diretti interessati e le persone coinvolte. Una verifica non solo sulla correttezza e legittimità delle procedure di assegnazione ma anche, di volta in volta, in situazioni similari, sulla congruità tra titoli e mansioni per essere certi che non vi siano anomalie, inter-ferenze riconducibili eventualmente alla salvaguardia di qualche personale interesse.“Il dottor - omissis - ci aveva rassicurato sul fatto che avrebbe immediatamente provveduto a licenziare (sic!) la persona illegit-timamente assunta e che contestualmente avrebbe inviato i tele-grammi per richiedere la nostra disponibilità ad assumere l’inca-rico. Ma sono passati giorni e non si è visto nulla. Siamo certi che se lasciassimo le cose nell’ombra, se non denunciassimo pubbli-camente quanto accaduto, non solo non si otterrebbe giustizia ma il malaffare continuerebbe indisturbato”.“Da quando nel dicembre 2006 sia l’Azienda sanitaria locale 8 che l’Azienda ospedaliera Umberto I sono confluite nell’attuale

Foto d’archivio. Fabrizio Ardita col presidente della Provincia, on. Nicola Bono

Azienda sanitaria provinciale e da quando, venuta meno la con-venzione con la GLEF srl (prima clinica Santa Lucia), tutto il ca-rico dell’anatomia patologica è confluito su un unico centro, la situazione è divenuta ancora più caotica. Se prima per ottenere un referto occorrevano 30 giorni, ora il tempo di attesa è salito a 60. Di qui la necessità per l’Asp di procedere a nuove assunzioni per medici e per tecnici di laboratorio. Ma non può certo essere questo il metodo – commenta il commissario provinciale popolari dell’Udeur Fabrizio Ardita -. Ho denunciato questa grave situa-zione in diversi comunicati perché la prassi delle raccomanda-zioni, delle parentele, del clientelismo sembra ormai interessare un numero sempre maggiore di enti pubblici o che fruiscono di finanziamenti pubblici. La politica deve dare un segnale di forte cambiamento, perché la gente, i cittadini sono stanchi di vedere emigrare i propri figli in cerca di un lavoro mentre altri possono

scegliere questa o quella occupazione grazie a favori e amicizie. Nel caso specifico, se conosciamo il dottor Franco Maniscalco, persona perbene, siamo certi di un suo intervento immediato per ristabilire la legalità o eventualmente la verità. La nostra unica richiesta è che tutto avvenga nel rispetto della correttezza anche nel caso di eventuali inserimenti di invalidi assunti per chiamata diretta presso l’Ufficio Provinciale del Lavoro. Siracusa sembra sempre più in procinto di essere coinvolta in una drammatica pa-rentopoli: gli esempi sono tantissimi e preoccupano soprattutto quelli che vedono interessati chi, in un modo o nell’altro, ha avu-to l’incarico di rappresentare la cittadinanza e quindi dovrebbe sentire maggiormente su di sé il peso, la responsabilità di com-portamenti ineccepibili. Da sabato saremo in giro per la città e i comuni con un pulmino per raccogliere le raccomandazioni, per consentirle a tutti: un gesto di democrazia! ”

Tributi Italia, il Consiglio di Stato rinvia la decisioneal 23 febbraio. I dipendenti da mesi senza stipendio

Rimane, almeno per ora, “pienamente” operativa la Tributi Italia, la società di riscossione con un debito, nei confronti di 135 comuni italiani, di 89 milioni di euro secondo quanto accertato dal Ministero dell’economia e delle finanze. Una stima al ribasso secondo molti, che calcolano invece il debito intorno ai 4-500 milioni e il coinvolgimento di circa 500 comuni, come avevamo raccon-tato in un precedente articolo. 5 invece i comuni del siracusano (19 in tutta la Sicilia) interessati a quello che potrebbe rivelarsi un enorme crack finanziario: il record è di Augusta che vanta un credito di 12 milioni di euro, cui segue Prio-lo con 900mila (secondo le nostre fonti mentre ufficialmente è di 200mila), quindi Melilli con 700mila, Avola con 400mila, Rosolini con 270mila, ma si tratta con buona probabilità di cifre ancora inferiori alla realtà sia perché de-stinate a crescere via via che si effettuano i controlli sia perché c’è una certa “ritrosia” a riconoscere i dati reali. Tributi versati dai cittadini, regolarmente riscossi dalla società e mai confluiti nelle casse comunali. Eppure, pochi gior-ni dopo la sentenza del 27 gennaio emessa dal Tar Lazio che confermava la cancellazione della Tributi Italia dall’albo dei concessionari, ribadendo così la precedente decisione, dicembre 2009, del ministero, il presidente della quarta sezione del Consiglio di Stato ha accolto, a sua volta, la richiesta della società di una misura cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza del tribu-nale amministrativo. Sospensione accordata e palla al centro, quindi, ma niente di definitivo se non un nuovo rinvio all’udienza camerale del 23 febbraio allor-quando verranno ascoltate le parti in causa e a cui dovrà seguire, finalmente, la decisione definitiva. Una vicenda, questa, che ha del paradossale per la sua particolare natura ed appare complessa per l’intreccio di interessi, soprattutto politici, che sottende. Sono molti infatti gli enti locali che, in attesa si chiarisca il tutto, hanno deciso chi di gestire in proprio l’attività di riscossione, chi di in-

dire nuove gare per l’esternalizzazione del servizio sebbene esso sia considera-to meno appetibile soprattutto da quando è stato abolito l’Ici, tra i tributi locali una delle fonti più ricche, più copiose. Ma queste decisioni si potrebbero anche ritorcere contro le stesse amministrazioni dal momento che la Tributi Italia appare determinata a difendere ad oltranza la propria fetta di mercato e pronta a chiedere favolosi risarcimenti per i danni arrecatile. Nel ricorso presentato contro la sentenza di gennaio del Tar Lazio, in particolare contro l’afferma-zione che essa versi ormai “in un prolungato e sostanzialmente irreversibile stato di crisi strutturale, non rimovibile”, la società ha elencato da una parte l’avviata opera di ristrutturazione societaria e di risanamento finanziario del debito, sfociato in una richiesta di concordato preventivo al Tribunale di Roma (l’udienza è stata aggiornata al 6 aprile 2010), dall’altro i crediti milionari che vanterebbe dai comuni - “Vantiamo dai Comuni un credito certo ed esigibile, certificato a fine giugno 2009, di 145 milioni” ha dichiarato la presidente del gruppo Patrizia Maggese -, in particolare da quelli che, come Rosolini, hanno fatto ricorso al cash pooling, procedura tramite la quale tutte le entrate percepi-te dalla società, anche la parte che le spetterebbe in quanto aggio, vengono gi-rate interamente alla stessa amministrazione. Inaccettabile per la Tributi Italia, che continua a ribadire la propria affidabilità, la rescissione unilaterale della convenzione sottoscritta. Ma in questo contesto, non in primo piano ma sullo sfondo, resta la prote-sta perlopiù inascoltata dei 1200 dipendenti della Tributi Italia, da mesi senza stipendio (a settembre sarebbe stato versato solo un acconto), ovunque in as-semblea permanente per chiedere l’attivazione degli ammortizzatori sociali e accordi tra le regioni e gli enti locali.

Marina De Michele ([email protected])

116 Febbraio 2010

Ai ragazzini risponde un dirigente: “Aperti a discutere se le critiche non hanno fini diversi”

Gli studenti del Chindemi: “Caro presidente, al Ciane-Salinequesto non va e l’altro nemmeno”. Ma la Provincia non gradisce

di MARINA DE MICHELE ([email protected])

Cosa avranno da scriversi 17 ragazzini della terza A della scuola media Chindemi di Si-racusa e il dirigente dell’VIII settore della Provincia regiona-le preposto al servizio parchi e riserve? Si discetta sulla riserva Ciane-Saline. I giovani studenti hanno partecipato a un proget-to di educazione ambientale incentrato sulla conservazione della biodiversità. Un aggancio di stringente attualità: è que-sto infatti l’anno in cui si cele-bra proprio la biodiversità e su questo particolare aspetto della natura si è sottoscritta, nel corso del G8, la Carta di Siracusa. Im-prescindibile quindi una visita guidata nella riserva cittadina, un unicum nella sua specificità.Una visita di estremo interes-se, ne siamo certi, ma inevita-bilmente i giovani escursioni-sti hanno notato qualche neo e così, mossi dal desiderio di partecipare, di giocare un ruolo nella gestione di un bene così prezioso, hanno pensato di ri-volgersi al Presidente della Pro-vincia per evidenziare qualche intervento possibile. Piccoli im-portanti rilievi: una vecchia re-cinzione di ferro ormai inutile, tutta arrugginita, nascosta tra la vegetazione e pericolosa: “Un nostro compagno è inciampato ma per fortuna non ci sono state gravi conseguenze”; un cumulo di rifiuti soprattutto in contrada Mezzabotte, segno dell’inciviltà di chi è passato di lì, dicono gli studenti, ma, aggiungono, non c’è però un cestino nel raggio di diversi chilometri; e ancora una casa diroccata proprio di fronte alla centrale di sollevamento

delle acque, del tutto devastata dai vandali, che forse sarebbe bene abbattere perché deturpa il paesaggio; suggeriscono anche di utilizzare l’edificio di fronte alle chiuse come museo e centro per visitatori.Presi da giovanile entusiasmo e con la fiducia verso chi riten-gono possa intervenire, chiu-dono la loro breve lettera con “speriamo veramente che possa prendere in considerazione la nostra proposta e la ringraziamo per aver letto la nostra lettera”, quindi firmano tutti.Non è proprio così che si deve far nascere nei più piccoli il sen-so dell’appartenenza, lo spirito di collaborazione, il desiderio di partecipare fattivamente a ren-dere sempre più bella e vivibile la propria città valorizzando le sue bellezze così rare?Il presidente Nicola Bono non ha risposto personalmente: troppi impegni! Eppure quando si viene a sapere che è addirittu-ra il presidente della nostra re-

pubblica a prendere la penna in mano per rispondere ai piccoli cittadini ci si compiace. Forse non sarà del tutto vero, forse su mille lettere risponderà solo a dieci, ma la firma, a meno che non si voglia intenderlo come atto di ipocrisia, è proprio la sua. Insomma, che sia vero o meno, per i più piccoli pensare che gli adulti, anche quelli che contano di più e che hanno gra-vosi incarichi, siano attenti alle loro richieste non può che far bene: fa bene a loro e fa bene alle istituzioni. Il presidente Bono ha così forse perso un’oc-casione ma tuttavia ha risposto per lui il responsabile del settore di competenza: Corrado Campi-si. Risposte concrete: le somme occorrenti per il rifacimento della recinzione del perimetro della riserva sono state già chie-ste all’assessorato regionale e si attende un riscontro; la pulizia del sito si effettua due volte a settimana, il lunedì e il vener-dì, ma è difficile contrastare chi

sporca e nel 2003, lungo i per-corsi pedonali e alla foce, erano stati posti sia i cestini porta ri-fiuti che le panchine: sono state le alluvioni del 2003 a portare via tutto quello che si trovava lungo il corso del Ciane, mentre quel che era in contrada Mezza-botte è stato asportato dai soli-ti balordi incivili; e infine, per quanto riguarda la casa all’in-terno del bosco, poiché sarebbe uno spreco abbatterla, anche in questo caso si è chiesto all’Arta un finanziamento per la ristrut-turazione così da farne un punto di accoglienza per i turisti che risalgono lungo il fiume mentre l’edificio di fronte alle chiuse, di proprietà della Regione sici-liana, è dato in gestione al Con-sorzio di bonifica 10 e quindi non se ne ha competenza, ma anche i tecnici dell’ufficio ne vorrebbero fare un museo. Bravo il vice direttore Campi-si. Tutto qui? No, niente affatto secondo il professore Giusep-pe Ansaldi: “C’erano alcune

note stonate in questa risposta. Ci si rivolge a dei ragazzini, a giovani che iniziano a ritener-si non solo testimoni del loro tempo ma soprattutto sogget-ti storici, sensibili, coscienti e partecipi della realtà in cui sono inseriti, capaci di autogestire le loro conoscenze scientifiche e consapevoli di contribuire alla trasformazione della società occupandosi, nel caso speci-fico, di tutela all’ambiente. Questo ho scritto per nome dei miei alunni che certo non ave-vo intenzione di coinvolgere in una polemica che purtroppo sarà sterile, ne sono certo”. E vediamole allora le note stona-te. Intanto il rimprovero sotte-so al ragazzo, e non solo a lui, che è inciampato: “A distanza di decine di anni, con migliaia di visitatori l’anno, con decine di scolaresche in visita, mai ci sono state lamentele del genere dal momento che la recinzione è lontana qualche metro dal per-corso pedonale” scrive Campisi

e continua “Quindi pare eviden-te che l’alunno si sia allontanato uscendo dal regolare tragitto”. Ergo – aggiungiamo noi -, caro professore Ansaldi, lo sa che si prefigurerebbe per lei una culpa in vigilando? Ma non c’è solo questo: è il tono proprio all’inizio della risposta che fa sorridere noi spettatori esterni, ma che forse risulta, ri-sulterebbe, amaro per i cittadini in erba. Esprimere il proprio ram-marico per il piccolo incidente ripetendo le stesse parole scritte dagli studenti come fa Campisi non può che leggersi come iro-nico, un “bonario” sfottò si di-rebbe, che stona in una risposta a giovani studenti. Così come è proprio fuori luogo il tono buro-cratico e puntiglioso, non idoneo, come evidenzia Ansaldi, a uno scambio con degli alunni di scuo-la media. “Meglio rispondere con semplicità, senza parlare di finanziamenti o altro, meglio la-sciare queste complicazioni, que-sti bizantinismi agli adulti, e far capire ai giovani che il loro inter-vento non può che essere gradito se lo si legge sul piano della par-tecipazione e del cammino verso la maturità”. Che senso ha evi-denziare che l’ufficio è “aperto al confronto, alle proposte, purché le critiche siano costruttive e sen-za finalità diverse”? Un appunto che comunque a noi sembra più rivolto al professore che ai ragaz-zi, come se lo si accusasse im-plicitamente di averli strumenta-lizzati. Insomma, le critiche non sono gradite, neanche se vengo-no da chi interpreta la realtà an-cora con gli occhi dell’innocenza e della fiducia.

I commercianti di viale Cadorna ridotti allo stremo per i lavori interminabili

De Benedictis: “Il Comune solleciti Regione e Statoperchè i finanziamenti per gli scavi arrivino subito”

La prima volta, nell’ottobre scorso, erano stati solo in dieci a rivolgersi all’assessore ai lavori pubblici Concetto La Bianca lamentando un ri-tardo nell’inizio delle opere di rifacimento della rete fognaria in viale Cadorna, nonostante il can-tiere già aperto, e insieme il loro svolgersi con estrema lentezza con pause inspiegabili. Invita-vano l’assessore a interessarsi del problema per garantire la fine dei lavori entro novembre data la pesante crisi economica e l’avvicinarsi del Natale. A metà novembre i toni erano già diver-si: allarmati. Il comunicato veniva definito “ur-gentissimo” e a sottoscriverlo erano una ventina. Nonostante il tam tam mediatico e nonostante il comunicato dell’ottobre, nessuno si era fatto sentire, “a dimostrazione della prontezza e del-la sensibilità con cui la civica amministrazione segue le istanze dei cittadini”, commentavano. Inutili, per i commercianti ormai organizzatisi in comitato, i tentativi di avere spiegazioni su quel-le opere che sembravano del tutto improduttive, una fatica di Tantalo: terriccio spostato da una parte all’altra senza costrutto e notizie sparse su vari ritrovamenti archeologici. Ancora una volta chiedevano interventi di razionalizzazione e mi-nacciavano anche di “tutelare i propri interessi nelle sedi opportune”. Un fallimento poi l’in-contro con l’assessore La Bianca, il dottor Guz-zardi, in rappresentanza della Soprintendenza, e il portavoce della ditta appaltatrice. “Un penoso

tutti contro tutti e uno stucchevole scaricabari-le” tra i vari convenuti, con l’accusa gratuita e immotivata di protagonismo a un componente del comitato. Intanto la debacle: un crollo del-le entrate nell’ordine del 70/80% e in qualche caso persino del 100%. 71 giorni trascorsi senza vedere sbocchi e l’impotenza di fronte alle obie-zioni dell’assessore che giustificava i ritardi con il ritrovamento di una falda acquifera. Anche il difensore civico, chiamato in aiuto, dopo una” fugacissima apparizione” non si faceva più né vedere né sentire. Natale sempre più vicino e la conclusione dei lavori sempre più lontana. In questo clima la chiusura del cantiere nel perio-do natalizio aveva avuto il sapore di una boccata d’ossigeno ma dopo la breve tregua si è tornati punto e a capo. Da una parte l’entusiasmo di chi ha salutato via via con soddisfazione il ritrova-mento prima della via Lata ricordata da Cicerone, poi i resti di una cisterna e ancora vestigia di un foro dell’età imperiale, il riemergere dell’antica città, l’occasione di nuovi studi, la possibilità di sapere di più dell’antico glorioso passato; dall’al-tra, di contro, lo sgomento e la preoccupazione dei commercianti, sempre più stretti nella morsa del-la recessione, strozzati da un’economia bloccata e insieme alle prese con i conti di affitto, elettricità, personale divenuti sempre più insostenibili.“Ho fatto un giro tra i negozi – racconta il consi-gliere del partito democratico Riccardo De Bene-

dictis – e sono rimasto colpito dalla situazione di estrema sofferenza dei commercianti. In tutto il tempo trascorso con loro non un cliente è entra-to nei negozi. Ho visto i loro bilanci e spesso gli introiti erano di pochi euro. Impossibile pensare che questo stato di cose duri a lungo: rischiamo di gettare sul lastrico decine di famiglie. Riconosco, io per primo, che una soluzione è difficile ma non per questo è lecito esimersi, fingere che il proble-ma non esista come si è fatto finora. La politica, la pubblica amministrazione ha l’obbligo di andare incontro alle esigenze dei cittadini, degli ammi-nistrati. Sicuramente una diversa organizzazione dei lavori, dei tempi, avrebbe reso più veloce le opere. I ritrovamenti archeologici vanno messi in conto sempre quando a Siracusa si scava e non bi-sogna farsi cogliere impreparati, occorre sempre preventivare prima di iniziare come ci si muove-rà, quali scelte saranno fatte, individuare meto-dologie che almeno riducano i disagi e il danno economico per gli esercizi commerciali presenti nell’area. “La stessa Soprintendenza, pur nell’alta con-siderazione della sua opera, non può guardare unicamente al conseguimento dei propri obiet-tivi e deve sempre mirare a un coordinamento, a un’armonizzazione tra i propri interessi, che certo sono anche quelli della comunità, e i ne-gozianti, gli unici in fin dei conti a pagare per tutti. In questo senso la stessa amministrazione

comunale, proprio nella considerazione che Si-racusa è patrimonio dell’umanità, deve sollecita-re un sostegno del governo regionale e nazionale perché questi scavi abbiano le necessarie risorse per essere effettuati celermente, perché ciò che riguarda tutti non si ottenga con il sacrificio di pochi. Lunedì presenterò in consiglio comunale un’interrogazione perché è nostro dovere discu-tere delle difficoltà di questi lavoratori che non hanno né ammortizzatori sociali, né contributi. Non hanno nulla, solo il loro lavoro quotidiano e la disperazione di chi non riesce più ad andare avanti”.

M.D.M.

12 6 Febbraio 2010

I grandi committenti (Telecom, Sky, Wind...) giocano al ribasso. “A rischio diecimila posti”

di STEFANIA FESTA ([email protected])

Call center chiusi nel giro di poche ore, lavoratori con con-tratti a tempo indeterminato licenziati o lasciati senza sti-pendi per mesi senza nessu-na forma di ammortizzazione sociale, in Calabria, in Emilia Romagna così come in alcune provincie della Sicilia, fra cui Catania, Porto Empedocle e Caltanissetta. I call center di Siracusa sembrano non essere ancora stati intaccati da questa forma di pandemia ma la situa-zione, secondo Giovanni Pisto-rio, segretario regionale SLC CGIL Sicilia, rischia di preci-pitare da un momento all’altro anche nella nostra provincia.“Phone Media (l’impresa che recentemente ha fatto parlare di sé per i numerosi licenzia-menti in diverse parti d’Italia, n.d.r.) – afferma Pistorio – è un’azienda che ha aperto un percorso le cui conseguenze noi avevamo già denunciato qualche mese fa. Senza una le-gislazione chiara in questo set-tore era prevedibile che, a tre anni dalla grande stabilizzazio-ne, quelle aziende che hanno usufruito di sgravi contributivi con la 407/90, non potendo più trarre utili come prima, avreb-bero dismesso le loro attività per avviarle da qualche altra parte in Italia, soprattutto lad-dove ci sono elezioni politiche in corso: i politici offrono una struttura dove allocare i call center in cambio, ovviamente, di posti di lavoro, che poi sa-ranno tradotti in voti”.Alla delocalizzazione in Italia si aggiunge anche il rischio della delocalizzazione all’este-ro, poiché le aziende, che si son viste ridotti gli utili non solo per la cessazione degli sgravi fiscali ma anche per la costante spinta al ribasso delle commes-se da parte delle grosse com-mittenti quali Telecom, Voda-fone, Wind, Tre, Sky, cercano di alzare il margine di guada-gno aprendo attività laddove la manodopera costa meno che in Italia. “La responsabilità di quanto sta accadendo – continua il se-gretario regionale SLC CGIL – non va imputata solo alle aziende o alle committenti, ma anche alla politica, soprattutto regionale, perché non ha attiva-to politiche nel settore, ovvero non ha messo questi call center nelle condizioni ottimali di po-ter sopravvivere nel nostro ter-ritorio. Poi c’è un altro fattore di rischio perché questo settore produttivo, diversamente da al-tri, non è disciplinato dai capi-tolati generali d’appalto”.Questo significa che le grandi compagnie telefoniche, oltre a Sky ed Enel, nell’esternalizza-zione del servizio di call cen-ter, hanno un ampio margine di flessibilità nel dare l’appalto alle aziende, quindi ai call cen-ter che operano in outsourcing, abbassando le commesse senza tener conto delle risorse dei dipendenti, e lasciando queste società alla mercé di specu-

latori e avventori. Una volta esternalizzato il servizio, se il costo degli operatori e quindi di quel call center non è più ‘conveniente’, la committente chiude il rubinetto e assegna l’appalto ad un’altra azien-da. Se un dipendente Telecom costa 10 euro a chiamata, un operatore di un call center in outsourcing ne costa solo 2, e un operatore di un’azienda che opera all’estero ne costa ancora meno, e se non esistono leggi specifiche che controllano que-sto settore, cosa impedisce alle committenti di esternalizzare servizi ad aziende che aprono e chiudono i battenti in misura proporzionata alle commesse o al margine di guadagno? “Tali attività, invece, - spiega Giovanni Pistorio – dovrebbe-ro essere regolamentate perché, in primo luogo, il volume di affari che gira attorno a questo business è altissimo e si potreb-be correre il rischio che diventi un modo per riciclare denaro sporco, e in secondo luogo per-ché i call center in outsourcing che gestiscono questo tipo di attività utilizzano dati sensibi-li sia degli operatori sia degli utenti”. Poiché molte commit-tenti sono delle multinazionali, non soggette solo alla legisla-zione italiana e che operano in diverse parti del mondo, chi ci assicura, ad esempio, che i dati sensibili degli utenti imma-gazzinati da Telecom o da Sky non vengano poi usati anche all’estero? Bisognerebbe, se-condo il segretario regionale SLC, cooperare con le associa-zioni a tutela dei diritti dei con-sumatori per avanzare denunce specifiche e far sì che una legi-slazione nazionale regolamenti un settore produttivo che vede impiegati tanti lavoratori, an-che in Sicilia. Lei ha fornito un quadro chiaro di quello che sta succe-dendo in Italia nel settore call center e delle lacune legisla-tive che hanno determinato questa situazione. In Sicilia come siamo messi?“Da noi la situazione sta preci-pitando perché la regione non ha messo risorse a disposizio-ne, le aziende non ritengono più vantaggioso operare in Si-cilia e quindi si stanno trasfe-rendo in altre parti d’Italia”.Voi avevate già denunciato questo rischio?“Sì, abbiamo lanciato l’allarme cercando di sollecitare soprat-tutto il governo regionale e la task force lavoro ad attivarsi e prevenire gli eventuali focolai di crisi, ma la situazione è già diventata esplosiva. Io in que-sto momento mi trovo in un call center di Catania occupato con 80 dipendenti dentro che non hanno ricevuto più nessuna no-tizia da parte dell’azienda solo perché, da un giorno all’altro, è venuta meno la commessa Enel. Siamo incazzatissimi nei confronti dell’azienda ma siamo altrettanto incazzati nei confronti della committente”.

Pistorio (Flc Cgil): “La situazione nei call center sta precipitando le aziende non trovano vantaggiosa la Sicilia e si trasferiscono”

La responsabilità, quindi, è anche della committente?“Anche se la responsabilità è sempre in capo all’azienda, le committenti non possono ven-dere e determinare l’apertura o la chiusura di nuovi call center senza tener conto della perso-nalità giuridica di chi va a ge-stire le attività. Non è possibi-

le fare quello che sta facendo l’azienda For you Agrigento a Porto Empedocle, che gestisce l’attività su commesse Wind. Quest’ultima a chi ha dato l’appalto, a un’azienda seria o a una destinata a scomparire in un battibaleno? E a Catania, con Ratio Consulta, cosa sta accadendo? L’Enel a chi ha af-

fidato l’appalto? Perché adesso ci troviamo qua e non abbiamo interlocutori con cui trattare? Tre dipendenti di Ratio Con-sulta sono venuti qui a dire che dall’indomani i dipendenti sarebbero stati in ferie perché non c’è più lavoro. Quali sono gli ammortizzatori sociali, qua-li le misure che devono adotta-

re queste aziende?”Ma che tipo di contratto ave-vano i dipendenti di Ratio Consulta?“Stiamo parlando di lavoratori subordinati a tempo indetermi-nato. La crisi sta per scoppiare, perché in Sicilia sono a rischio 10mila posti di lavoro, e non è una cifra sovrastimata”.

“I dichiarati esuberi in azienda un accrocco per giustificare i tagli dei costi sul personale”

Una dipendente Telecom: “Al 187 ritmi stressantiAbbiamo una gran paura di essere esternalizzati”Lei in quale azienda lavora?“Io sono una dipendente Telecom da oltre vent’anni, e da oltre vent’anni lavoro all’in-terno dello sportello 187. È innegabile che, nel tempo, il lavoro è cambiato, così come l’azienda che si è adoperata per l’efficienza del suo call center interno”. In che senso è cambiato, è aumentata la mole di lavoro?“Il lavoro in Telecom si è modificato adat-tandosi sia al libero mercato sia all’esigenza di rendere efficiente la macchina. Tradotto, significa che il lavoro è diventato usurante e frenetico. La mia giornata lavorativa è sì di 7 ore e 38 minuti, ma è del tutto assorbita da rit-mi stressanti che ovviamente devono tradursi in tempi medi di conversazione non superiori a tre minuti, cinque sono troppi”. Lei si occupa di pronto intervento e segna-lazioni?“Sì, mi occupo anche di questo. Lavorare al 187 significa avere la capacità di fornire una risposta sintetica, plausibile ad una clientela sempre più esigente ed informata e in più devi portare anche pezzi di produzione, cioè la vendita di un adsl, di un prodotto o di un computer”. È un lavoro che professionalmente la sod-disfa?“Sono sempre stata soddisfatta del mio lavo-ro e non mi sono mai sottratta, anche se devo dire che ormai c’è un’alta percentuale di non idonei alla linea. Non è che tutti i dipendenti di questo 187 stanno in linea, e questo fa ca-pire quali probabili patologie può indurre un lavoro di questo genere”. I call center hanno sempre fatto discutere per le condizioni lavorative precarie dei loro dipendenti, adesso per i licenziamen-ti in massa, causati anche dalle politiche aziendali delle committenti, fra cui la Te-lecom. Qual è la situazione del 187 di Si-racusa?“L’anno scorso abbiamo appreso la notizia che la nostra sede di Siracusa sarebbe stata

chiusa insieme ad altre 21 sedi italiane, que-sto perché il piano industriale prevedeva una riduzione dei costi sugli immobili. Abbia-mo messo in campo i sindacati che ci han-no fatto intravedere l’ipotesi che l’obiettivo dell’azienda era quello di ridurre i costi del personale interno del 187, che costa di più del personale di un call center esterno, vedi Eu-telia: noi costiamo 10 euro a chiamata, loro due”. Un quinto, quindi il risparmio per l’azien-da è notevole.“Lì vanno a farsi benedire cortesia, compe-tenza, chiarezza, completezza, riduzione dei livelli di qualità laddove l’azienda è già mi-surata, cioè capacità di tempi certi nella riso-luzione di un problema, nella realizzazione di un impianto o nella riparazione di un guasto”.Quindi, razionalizzazione delle risorse a discapito della qualità del servizio offerto?“Sì, quando invece, secondo me, bisogne-rebbe puntare verso un vero piano di rilancio industriale, investendo nelle infrastrutture e scommettendo sul personale dell’azienda e non depauperare Telecom dall’interno svuo-tandola del suo personale con continue di-chiarazioni di esubero”.La Telecom però non ha chiuso questo call center.“No, perché i dichiarati esuberi sono solo un accrocco per giustificare i tagli dei costi sul personale. Loro mettono sempre in esubero quando basta dare uno sguardo in qualsia-si comparto in qualsiasi territorio per avere un’idea della carenza di organico dell’azien-da, carenza che ha impatti sull’organizzazio-ne del lavoro. Abbiamo difficoltà a recupera-re i guasti, a realizzare gli impianti”.Ma se siete in sotto numero e non riuscite a far fronte all’esigenza degli utenti, vuol dire che Telecom ha ancora un elevato nu-mero di clienti e quindi un certo fatturato.“Certo che ha un fatturato incredibile, ma dichiarano sempre gli esuberi perchè devono far pesare sui dipendenti il risanamento dei

suoi bilanci. Dipendenti che, tra l’altro, an-cora credono nel futuro dell’azienda Telecom Italia”.È d’accordo in merito alle indiscrezioni su Telefonica Telecom, partner iberico che dovrebbe fondersi con Telecom?“Non ho pregiudizi sulla fusione con un part-ner iberico, ma sono convinta che le regole devono essere stabilite chiare e a priori, non solo sulla rete, che il governo vuole riman-ga di proprietà italiana, ma anche sul futuro del livello occupazionale dei suoi dipendenti, verso cui non solo l’azienda e il sindacato, ma anche il governo italiano hanno un pre-ciso dovere sociale e civile, se non vogliono le delocalizzazione del lavoro verso altri pa-esi esteri a costi sempre più bassi. Questo è l’obiettivo. Delocalizzare per pagare meno il personale, e stiamo parlando di paesi dove 350 euro al mese rappresentano una ricchez-za”. Avete timore che anche a Siracusa possa verificarsi quello che sta accadendo a Por-to Empedocle, a Caltanissetta o a Catania?“Sicuramente, perché oggi sembra che la pa-rola d’ordine sia esternalizzare, ed esternaliz-zazione significa proprio questo, non aver poi rinnovate le commesse. Se veniamo esterna-lizzati sotto forma di una ditta tal dei tali, e se l’azienda un domani decide di togliere la commessa perché l’appalto con un altro call center costa meno, che fine facciamo? La no-stra paura è propria quella di essere esterna-lizzati”. Non essendoci una regolamentazione, però, l’azienda può farlo tranquillamente.“È questo il punto. Il governo deve mettere delle regole. Va bene esternalizzare, ma non puoi esternalizzare e poi chiudere i rubinet-ti solo perché ti rivolgi a un competitor che può essere in Tunisia o Romania e che paghi meno. Che discorsi sono? Le regole ci vo-gliono, non si tratta solo di garantire il posto di lavoro a Siracusa, ma del futuro di migliaia di persone”.

136 Febbraio 2010

Il prossimo futuro consentirà di capire i nuovi orientamenti della Chiesa secondo Bagnasco

È indiscutibile per il mondo cattolico che una parte di essodebba interessarsi di politica per una società più giusta

di SANTI NICITA

Il Presidente della CEI, Cardinale Bagnasco, nel suo ultimo incon-tro con i vescovi italiani, dopo aver elencato alcuni dei problemi più delicati della società moderna, ha auspicato che possa nascere una nuova generazione di cattolici impegnati in politica. In verità, oggi non mancano, nel panorama politico, quelli che si dichiarano cattolici, anzi si può tranquillamente affermare che sono molti co-loro che ostentano rispetto oltre vicinanza al mondo cattolico, anzi c’è una certa gara ad apparire ossequiosi e disponibili a difendere alcune problematiche care alla gerarchia ecclesiastica.Auspicare che nasca una nuova generazione di cattolici impegnati in politica certamente non può significare il desiderio dei vescovi italiani di interferire nella gestione temporale delle varie istituzio-ni, quanto piuttosto sottolineare la necessità che vi siano cattolici che, oltre a vivere a livello personale la loro fede, abbiano un so-vrappiù nella consapevolezza di essere portatori di valori cristiani nella vita sociale e nella sua organizzazione. Il potere temporale della Chiesa, con le sue ombre e con le sue luci, non esiste più, né vi sono tentazioni di restaurarlo. Così come sono lontanissimi gli orientamenti ufficiali della Chiesa che imponeva ai cattolici il “non expedit”, cioè il non partecipare alla vita politica, orienta-menti validi fino ai primi del Novecento.Con la pubblicazione dell’enciclica “Rerum novarum” fu avviata una nuova fase, che andò sempre più consolidandosi, costituendo un punto di riferimento per tutti i cattolici impegnati in politi-ca, in maniera sistematica: la dottrina sociale della Chiesa, con l’insieme delle encicliche dei diversi Papi, è stata punto di rife-rimento. Ed è proprio dagli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa che emerge il desiderio di superare e di contrastare i principi del liberalismo in economia e del socialismo, per non parlare dell’opposizione al socialismo reale.L’intuizione di Don Luigi Sturzo di dar vita al Partito Popolare offrì ai cattolici italiani l’occasione di partecipare in maniera organica alla vita politica locale e nazionale, osservando alcuni precetti fondamen-tali: la laicità dello Stato; il pluralismo politico, sociale, culturale ed economico; il rispetto di tutti i soggetti esaltando l’interclassismo e vedendo nella leva fiscale lo strumento idoneo a garantire una giusta distribuzione delle ricchezze prodotte; la funzione degli Enti Locali quale corpo di autogestione democratica dei bisogni delle comunità; un nuovo regionalismo per valorizzare al massimo le differenze ter-ritoriali; il principio della solidarietà, potenziando tutti gli strumenti della mutualità arricchiti da una forte socialità. Tutti questi principi, dopo la seconda guerra mondiale, furono fatti propri dalla Democra-zia Cristiana, che nella Carta Costituzionale elaborata dalla Costi-tuente cercò di inserirli in un contesto di collaborazione con le altre forze politiche. In tale contesto De Gasperi, Fanfani, La Pira, Moro, Piccione, Gonella e tanti altri diedero un contributo fondamentale, confrontandosi con Einaudi, Togliatti, Nenni, Saragat, La Malfa, Ma-lagodi, Terracini, De Nicola ed altri. E’ così venuta fuori una Costitu-zione di alto profilo i cui principi, contenuti nella prima parte, sono di alto valore etico ed ancora attuali.Lo spirito antitotalitario è la costante di tutta la Costituzione. Le battaglie politiche, aspre e frontali, si svolgevano nel Paese anche

tenendo presente che il mondo era diviso in due aree politiche contrapposte: occidente democratico e comunismo internaziona-le. Le contrapposizioni politiche erano alimentate dalle diverse ideologie, dalle differenti visioni della vita, dal come organizzare il nuovo Stato per garantire il pluralismo in tutti i settori, eco-nomico culturale sociale istituzionale, anche attraverso la libertà di stampa. Ogni forza politica, al suo interno e nei rapporti con l’opinione pubblica, approfondiva le varie problematiche orien-tandone le scelte, anche attraverso scuole di partito. La DC fece la sua scuola di partito ubicandola alla Camilluccia e mobilitando a ciclo continuo migliaia di giovani provenienti da tutto il territorio nazionale. Lezioni di storia, di economia, di politica, del ruolo del sindacato in una società interclassista, del ruolo degli enti locali quale elemento di rafforzamento del sistema democratico e di par-tecipazione popolare, della storia dell’associazionismo sociale.Soprattutto veniva esaltato e precisato il significato di essere un partito laico in un Paese democratico, anche se formato in massi-ma parte da cattolici che avevano l’obbligo di vivere il loro credo con responsabilità personale ma di vivere l’esperienza politica da cittadini liberi, per realizzare il principio di Cavour, libera Chiesa in libero Stato.

Non c’è alcun dubbio sul fatto che tutte le organizzazioni cattoliche rafforzavano la politica della DC. Come avvenne con i Comitati Civici nel 1948. Ma non c’è alcun dubbio sulla scelta fatta dalla DC di darsi una organizzazione autonoma anche dalla gerarchia eccle-siastica per poter svolgere il suo ruolo al servizio dell’intera società.Quest’obiettivo De Gasperi lo realizzò nel 1952, in occasione del-le elezioni amministrative di Roma, quando corse il rischio di far vincere la sinistra pilotata dal PCI non alleandosi con le forze del centrodestra.Con il Concilio Vaticano Secondo, la Chiesa universale ancorò il suo ruolo alla evangelizzazione dei popoli, liberandosi da ogni collegamento organico con qualsiasi forza politica. Questo orien-tamento fu ulteriormente accentuato con la fine dell’impero sovie-tico comunista e con il degrado oltre che decadimento della DC. La scomparsa della DC, del PCI, del PSI ha portato la Chiesa a svolgere il suo ruolo di evangelizzazione con maggiore libertà e autonomia; cosicché i politici cattolici sono dispersi in tanti rivoli e in tante diverse forze politiche.Il fallimento del Comunismo ha sì eliminato un pericolo reale per la libertà dei popoli ma ha rilanciato il liberismo economico che, in un contesto di globalizzazione e di sviluppo della finanza in-ternazionale, ha provocato fenomeni di miseria e di sfruttamento inauditi, come stanno a dimostrare gli avvenimenti degli ultimi anni. Se accanto alla internazionalizzazione della finanza, del si-stema bancario, del mito della ricchezza a qualsiasi costo, aggiun-giamo la situazione di tanti Paesi, soprattutto del continente afri-cano, che provocano notevoli flussi di emigranti dai paesi poveri verso i paesi ricchi, possiamo affermare che i problemi sociali di milioni di persone diventano ogni giorno più difficili, possono compromettere la pace nel mondo e favorire l’odio di interi Stati alimentando il terrorismo.Le crescenti prese di posizione del mondo cattolico contro questi fenomeni e, per quanto riguarda l’Italia, l’azione del Governo in versione Lega, che si scaglia contro la politica dell’accoglienza verso gli extracomunitari portata avanti dal Vescovo di Milano Cardinale Tettamanzi, può rappresentare un punto di partenza per un nuovo orientamento della Chiesa. La dichiarazione di Berlu-sconi a conclusione del Consiglio dei Ministri dedicato alla lotta alla mafia, quando ha affermato che gli extracomunitari alimen-tano la criminalità, ha rappresentato la goccia che fa traboccare il vaso e ha indotto il Segretario Generale della CEI, Monsignor Crociata, a smentire, con dati alla mano, l’affermazione del Pre-sidente del Consiglio. Ciò può rappresentare un punto di svolta e dare corso alle parole del Presidente della CEI cardinale Bagnasco quando questi auspi-ca la nascita di una nuova generazione di cattolici impegnati in politica. Il prossimo futuro ci consentirà di capire la reale portata di questi nuovi orientamenti della Chiesa, anche se essi sono alla base del cristianesimo. E’ indiscutibile il fatto che è diventato de-cisivo per il mondo cattolico che una parte di essi debba interes-sarsi di politica per creare una società nazionale e internazionale più giusta.

Risus in pagina

Sapete perché le signore vanno in coppianei bagni dei bar della città? L’unione fa la forza

Questa volta parliamo di bagni. Però non bagni qualsiasi, ma bagni pubblici, e non quei due, o forse quell’unico, che c’è da qualche parte in città, i “Vespasiani”. A pensarci, quanto erano saggi i Romani a pensare che tutti, ma proprio tutti, hanno bisogno prima o poi di un bagno! Ma noi che viviamo duemila anni più tardi, che grado di progresso ab-biamo raggiunto in una materia così sensibile? Stavolta parliamo dei servizi igienici dei locali, dei risto-ranti, dei bar, insomma dei posti che vogliono godere dei benefici del turismo che gira tra le nostre vie. Non sono solo i turisti ad usufruire delle toilette. Anche noi cittadini, quando siamo in giro a fare shopping, cioè a spendere soldi che servono a far girare l’economia locale, ogni tanto ap-profittiamo dei bagni di qualche bar. O per lo meno vorrem-mo approfittarne. Perché invece, spesso, leggiamo cartelli dietro i banconi che dicono che “La toilette è disponibi-le solo per i clienti”. E vabbè, che sarà mai, prendiamoci un caffè. Oppure, visto che sappiamo già come va, a volte prendiamo il caffè solo per poter usare il bagno, ancora prima che ci venga detto che quelli sono “servizi riserva-ti”. Manco fossero servizi segreti. E chi ci va? La CIA? L’FBI? Allora saranno dei signori bagni, coi controfiocchi,

con l’assistente che ti porge l’asciugamani e ti spruzza il profumo quando hai finito… visto che sono per i clienti, saranno degni delle aspettative di un tizio che sceglie, entra e, soprattutto, paga! E invece, a parte quelle volte in cui, dopo il caffè preso apposta che sarebbe il sesto della giornata e sono le nove di sera – una pipì val bene una notte insonne! – e che ci dicono “Mi dispiace, la toilette è fuori servizio!”, troviamo delle situazioni che definire imbarazzanti è davvero mol-to, ma molto generoso. Magari ci troviamo in un ristoran-te menzionato dalla guida Michelin o dal Gambero Rosso, abbiamo appena assaporato un pranzo degno di un re, ma, si sa, anche ai re scappa. E così chiediamo “Scusi, dov’è la toilette?”, tutti speranzosi. Ci immaginiamo porte design, specchi dorati e profumo di rose e invece, ahimè, dobbiamo arrivare in un sottoscala, con una porticina malmessa di le-gno scorticato, un solo bagno per tutti i sessi, naturalmente senza chiave, senza sapone e senza asciugamani. Se ci va bene, ci sarà l’acqua, altrimenti nemmeno questa, con tutte le conseguenze, cioè tazza otturata e pavimento allagato. Il tutto avvolto in un profumino che non ricorda certo i fiori. E come ciliegina sulla torta la scritta “Si prega la gentile

clientela di non gettare rifiuti nel water”. E certo, perché trovare un bagno così fa venir proprio voglia di lasciarlo lindo e pulito! E’ pur vero però che ci sono certi servizi che hanno i copri-water, cioè dei veli di plastica da poggiare sulla tazza che dovrebbero bastare per far venir voglia alle signore di non fare esercizi di quadricipiti. E ce ne sono altri ancora che hanno addirittura dei copri-water semoventi e riscaldati! Ma questi li abbiamo visti in Settentrione, quindi forse ar-riveranno qui tra un paio d’anni. Comunque, la questio-ne è questa: perché un locale qualsiasi, che mira ad essere qualcosa di più di una stamberga, tralascia proprio la cura dei servizi? E non diteci che sono i clienti a ridurli male, perché è impossibile che prima o poi, tra l’uno e l’altro, non entri qualcuno del personale. E se vi chiedete perché le signore vanno al bagno in due, raramente da sole, è giusto perché ormai si aspettano di non trovare la chiave per chiu-dere la porta, né la carta, né altro, per cui in due pensano di poter sopperire alla totale mancanza di accessori stretta-mente necessari. Insomma, l’unione fa la forza e, almeno in quel posticino, le donne lo sanno!

Giusy Scarcella ([email protected])

14 6 Febbraio 2010

Aumentano a Canicattini e nei comuni montani gli atti vandalici (incendi di auto e scuola)

di SALVATORE PETRUZZELLI

Da circa due anni, Canicattini, ridente paesello fra gli Iblei, è stato scosso da numerosi atti vandalici, di crescente entità, che ne han-no minato la consueta tranquillità. Viene naturale chiederci come mai un così elevato numero di atti vandalici si siano verificati in poco tempo. Dalle auto in fiamme all’incendio della scuola, ad altri spiacevoli incidenti che fanno sorgere spontaneamente delle domande: perché tutto ciò? C’è un sottile filo che collega tutti questi episodi? Smentita l’ipotesi posta qualche settimana fa che proponeva la rinascita di cosche o di bande legate a clan si stampo mafioso, non ci resta che prendere in considerazione, come uni-ca spiegazione possibile, l’idea dei disagi giovanili che sfogano in diversi atti di vandalismo come protesta contro la società. Per capire meglio ed approfondire questo fenomeno, abbiamo parla-to col dottor Sebino Scaglione, sociologo ed esperto in politiche sociali e giovanili. Dott. Scaglione, come possiamo spiegare questi fenomeni che stanno accadendo a Canicattini, e che le forze dell’ordine in-sieme all’amministrazione stanno cercando di arginare? “Innanzitutto bisogna chiarire che Canicattini non è il solo centro a subire atti di vandalismo, ma anche negli altri centri della zona montana e della provincia in genere si stanno verificando eventi simili che scaturiscono dalle stesse problematiche. In merito al perché di questi atti, ed essendo stato individuato un risentimen-to nei confronti della società dato dal disagio giovanile, bisogna individuare due grandi fasce di disagio: un disagio di matrice eco-nomico – culturale, oggi aggravato dalla crisi economica globale, e dalla trasformazione dell’economia, con la fine dell’agricoltu-ra e dell’industria come risorse di reddito fino a poco tempo fa prevalenti, e un disagio di chi al contrario gode di un’agiatezza economica ma che, stanco della solita routine, vuole sentire nuo-ve emozioni; tutto ciò è poi condito da numerose dosi di alcool

e droga. “Inoltre è del tutto normale che, specialmente in età adolescenzia-le, si è portati a compiere delle vere e proprie sfide contro gli altri e contro se stessi, ma se prima si faceva uso soltanto di alcool e marijuana oggi i giovani trovano molta più facilità nell’ingerire pasticche o sostanze psicoattive in genere che ne migliorano le prestazioni. E molto spesso la causa scatenante degli atti vandali-ci e di bullismo sono proprio le “poliassunzioni”, vale a dire dei cocktails di sostanze, stimolanti e rilassanti allo stesso tempo, che provocano diverse reazioni, soggettive per ciascun individuo. Ma anche in questo Canicattini è nella media rispetto agli altri paesi della zona montana. Secondo una mia analisi, il problema che si sta verificando a Canicattini è che proprio diversi gruppi si stanno appropriando di luoghi pubblici come la piazza e la villa, che man mano si svuotano perché i nostri giovani vanno a studiare fuori o, se rimangono in sede, la sera preferiscono andare fuori Canicatti-ni, viene quindi a mancare il così detto “controllo sociale”. “Un’altra riflessione da fare è sui contatti tra i giovani dei paesi limitrofi; infatti i nostri ragazzi, frequentando le scuole superio-ri ad esempio di Palazzolo o Siracusa, vengono a contatto con le “abitudini” di quei luoghi ed acquistano conoscenza di nuove sostanze, innescando un meccanismo di import – export non in-differente”. Come porre rimedio, o comunque frenare questi fenomeni? “È naturale che la prima figura ad intervenire deve essere quella del genitore che deve essere aiutato a prendere coscienza e co-noscenza di tali fenomeni anche attraverso campagne di sensi-bilizzazione. Ma il problema, a Canicattini come in tutti gli altri luoghi, è che i giovani fino al’età di sedici anni sono tutelati e godono di strutture e servizi, mi riferisco alla scuola di musica, alle associazioni sportive, dopo di che si ritrovano da soli, e se

circondati da una sana compagnia continuano per la loro strada, altrimenti può subentrare una devianza. Per questo anche l’Am-ministrazione, che già si spende parecchio in questo settore, deve attenzionare, oggi più che mai, questo aspetto con strumenti che possano integrare i ragazzi, penso all’istituzione della Consulta Giovanile, allo sportello InformaGiovani, che sono comunque strumenti di protagonismo giovanile, ma penso soprattutto a serie politiche sociali attive che diano il senso del lavoro e della respon-sabilità e non siano solo semplici agevolazioni di tipo assistenzia-listico. Ma lo sforzo più grande lo dobbiamo fare noi come società civile vivendo gli spazi pubblici, riappropriandoci dei luoghi che ci sono così frequenti ma che oggigiorno, distratti da mille impe-gni, tendiamo a tenere lontani, perché anche il controllo sociale, umano, tra individui diventi strumento di primaria importanza per l’integrazione totale dei nostri giovani affinché possano ritrovare le speranze perdute e riscoprendo una nuova vita possiamo, tutti insieme, ridare luce alla nostra cara Canicattini”.

Bellissimo racconto poesia di Armando Peluso per Giulio Cavalli, premio Fava 2010 sezione giovani

“Mio caro amico, non potrò mai scrivere una storia come la tua storia che non vuoi raccontare”

Armando Ram Peluso è uno dei ragazzi del co-ordinamento Giuseppe Fava Palazzolo. Ci rega-la questo pezzo di poesia che trae spunto dalla celebrazione del Premio Fava di gennaio e dagli ultimi episodi di estorsione e di violenza a Pa-lazzolo e nella provincia di Siracusa. È dedicato a Giulio Cavalli, giovane coraggioso attore re-gista autore teatrale che oggi vive sotto scorta, vincitore del premio Pippo Fava 2010 sezione giovani. Noi lo abbiamo letto e vogliamo condi-viderne con voi, nostri lettori, l’emozione.“Anche tu domani mattina, svegliandoti, puoi ritrovarti all’improvviso nella mia storia” anche se questa storia non è completamente tua, perché appartiene un po’ anche a me - “basta che tu fac-cia un nome di quelli scomodi, uno di quei nomi che non vanno detti, puoi ritrovarti dentro ad una storia simile alla mia”, Ma io non credo che ci sia spazio per raccontarla una mia storia, una di quelle storie che non appartengono solo a chi le racconta, ma un po’ anche a chi le ascolta. Una di quelle storie tramite le quali puoi raccontare, nello stesso momento, anche la storia di qualcun altro. Perché io quei nomi scomodi, quei nomi che spesso devono essere dimenticati, come alcuni ricordi, come quei ricordi che vengono cancellati dalla mente perché lasciano sempre qualcosa di amaro, perché a ripensarli fanno star male, perché a tenerseli portano dietro delle ve-rità scomode, delle verità che vanno dimentica-te, celate a volte dietro parole non vere, dietro parole inventate sul momento per giustificare una dimenticanza... io quei nomi non li so fare. Perché non li ricordo.Perché non so chi siano quei Trigila, quegli Apa-ro a cui si dice cosa nostra abbia dato il mandato per controllare il territorio del mio paese. Non so quali sono i volti dietro i quali si nascondo-no i nomi che controllano i proventi delle mac-chinette mangia soldi, che impongono a mulini, ristoranti, appaltatori di rifornirsi solo presso determinati fornitori. In questa provincia che è chiamata ‘a provincia babba’ che tanto stupi-da non è se è riuscita ad inventarsi una nuova

forma di pizzo. Ma dalle mie parti il pizzo non esiste. Viviamo in un isola felice... in quell’isola nell’isola, babba, ma che ha inventato un nuo-vo modo per nascondere i proventi illeciti, per giustificare somme di denaro in movimento, per accaparrarsi gli appalti e per imporre il prezzo alla farina ed al cemento.Io non so perché nel mio paese da decenni ormai governi sempre la stessa famiglia, perché i nomi di potere siano sempre gli stessi e come mai in quest’isola felice la gente è spesso infelice.Io che vivo in quest’isola felice i nomi non li so fare. In questo triangolo di terra dove la stidda si è inventata anche un modo per imporre il piz-zo ai costruttori di sogni. Perché qui nemmeno i sogni puoi costruire e se ne hai uno devi andare via, perché qui non te lo lasciano costruire il tuo sogno, in quest’isola felice dove la gente spesso è infelice. Dove i ragazzi spesso sono obbligati ad andar via se non si vogliono trovar costretti a pagare tangenti sui propri sogni. In quest’isola felice dove per poter realizzare il proprio sogno devi sempre chiedere il permesso a qualcuno e poi ringraziare, così che quel tuo sogno non di-venti totalmente tuo, ma sia sempre un pezzetto di qualcun altro, sia sempre un pezzetto di quei nomi che io non so fare. Così cresci imparando che il voto di scambio sia una cosa normale, che non puoi far niente per cambiare le cose, per-ché “è così e che ci vuoi fare” “non arrivi certo tu a cambiare le cose” “questa è la realtà”. In quest’isola felice dove non si spara, dove ai ra-gazzi si vende felicità arrotolata in una cartina, dove si bevono i propri sogni dietro pinte di bir-ra e si consumano i tacchi sui lastroni di pietra delle vie principali. In quest’isola felice dove la droga è la maggior felicità ed il sogno più pre-zioso. Mio caro amico, io non potrò mai scri-vere una storia come la tua storia che non vuoi raccontare, perché io quei nomi non li so fare. Mentre ascolto le tue parole che si intrecciano con la mia ansia di aver ritrovato il mio pensie-ro. Il mio pensiero che avevo perso fra le pie-tre di questo paese e che adesso ritrovo in ogni

tuo gesto. Mentre respiriamo la stessa aria fred-da ed il fumo delle nostre sigarette si intreccia concorde e fa da sfondo a tutti i miei propositi, mentre tu mi parli di nomi, di idee, di principi e durante le pause, per assaporare ancora un tiro del tuo tabacco, i tuoi occhi si perdono dietro le mie spalle ed in silenzio mi svelano quella splendida intelligenza e quella lucidità che hai nell’osservare la realtà, mentre mi racconti la tua storia che non vuoi raccontare, mentre in una delle sale sopra le nostre teste si sta raccontando un’altra storia, la storia di un uomo che per lun-go tempo non è stata mai raccontata, una storia simile alla tua, che forse è anche la tua, che va perdendo il suo pensiero fra le pietre di questo luogo, le scalinate segrete che si infilano tra le case e sbucano sull’altro monte, i minuscoli cor-tili, le antiche strade settecentesche, le fontane... E nel momento stesso in cui, sorseggiando un altro caffè, io provo a raccontarti la mia storia, mi rendo conto che non posso far altro che rac-contarti di quella paura che ho del mio futuro, di quella mia testardaggine che ho nel non voler andar via e costruire i miei sogni qui, del lavoro che non c’è, della mia vita qui che non è la mia vita, ma è sempre la vita di qualcun altro e come

la mia quella di migliaia di altri ragazzi come me, ma dopo che ti racconto questo mi appresto, come per tranquillizzarti, a dirti che anche se qui spesso la gente è infelice questa è un’isola felice, dove non si spara, come spesso invece accade nell’altra parte dell’isola e se succede, presto ce ne dimentichiamo come i ricordi che vanno di-menticati, dimenticandoci anche dei nomi e così si costruisce la felicità di quest’isola felice. E ne approfitto, non appena vedo il tuo umore distrar-si, per riferirti, non senza un certo imbarazzo, la paura che già sento quando tu andrai via, perché perderò nuovamente il pensiero che avevo ritro-vato nella pallida sentenza delle pietre di questo luogo. Ma a te ti aspetta un’altra isola felice, che è Milano, dove tu andrai a dire la tua verità, a raccontare la tua storia che non vuoi racconta-re, a dire quei nomi che io non so dire. La tua storia che è differente dalla mia storia identica alla tua, perché se non la diciamo noi la verità qui, adesso, in questo luogo, fra queste pietre, fra queste piccole case antiche, palazzi sgretola-ti, fra vicoli invisibili, mentre ho ritrovato il mio pensiero... se non la diciamo noi la verità chi mai potrà dirla?”

M.D.M.

Scaglione (sociologo): “Spesso causa scatenantesono poliassunzioni di cocktails stimolanti e rilassanti”

156 Febbraio 2010

Farina e Di Natale: “Il sistema porta a massimizzare il mercato per far soldi in fretta”

La movida a Siracusa è finita? I proprietari dei pub“Siracusa è una città stagionale, vive solo d’estate”

di ALBERTO MINNELLA ([email protected])

Quando gli uffici e i negozi chiudono, e le luci dei lam-pioni iniziano flebilmente a illuminare l’asfalto delle stra-de e il grigio cemento dei pa-lazzi, ogni città del mondo, o quasi, muove i suoi passi ver-so la notte. O meglio, verso una sana consolazione mirata al divertimento, allo svago e all’arricchimento culturale. Sempre che il luogo in cui si vive offra tali opportunità. Siracusa, per esempio, no-nostante la sua imbarazzante bellezza, arranca e zoppica in quanto ad attività notturne. La fuga repentina di molti ragaz-zi e il crollo netto dell’uni-versità con i suoi tantissimi studenti hanno peggiorato la situazione. La città vive di superstizioni e preclusione mentale, dan-neggiando ulteriormente la dubbia esistenza di una vera e propria “movida siracusana”.Fatta eccezione per le discote-che “Made in Siracusa”, veri e propri forni umani in cui prima di entrare bisogna af-frontare una selezione “este-tica” priva di logica, superata la quale un cittadino passa da “normale” ad un nuovo sta-to sociale “figo”, il resto dei locali, pub e centri culturali affrontano quotidianamente gravi problemi economici e lottano spesso contro l’indif-ferenza dei “comuni mortali”.Giangiacomo Farina gestisce e dirige un locale situato nel cuore di Ortigia: Il Sale. Un pub che da tempo e con molta

tenacia resiste alle mode pas-seggere dei clienti siracusani. A lui abbiamo chiesto, innan-zitutto, che tipo di movimento esiste nella nostra città.“Siracusa è una città stagio-nale, che non ha una sua eco-nomia notturna estesa in tutti e dodici i mesi dell’anno. I veri introiti si hanno, soprat-tutto, durante il periodo esti-vo e nelle poche settimane di vacanze natalizie. Il movi-mento notturno è quasi inesi-stente. L’afflusso di clienti è scarso e non è sufficiente per un sostentamento economico chiuso”.Quali problemi affronta un locale siracusano? “E’ il cane che si morde la coda. Mi spiego meglio. I lo-cali vivono di notte e servono un pubblico variegato che di norma concentra la sua par-tecipazione dopo l’orario di cena. I pub sono da conside-rarsi come un indotto della ristorazione o, comunque, sono legati ad essi in parte. E’ ovvio che l’obiettivo nostro, come quello di altri proprie-tari, è di avere una propria clientela fissa”.Voi tenete molto alla musi-ca, soprattutto nel propor-la come un vero e proprio evento live. Questo penaliz-za il locale dal punto di vista economico o, nonostante la totale assenza di una “movi-da siracusana”, riuscite ad attirare molta gente?“La musica funziona nel mo-mento in cui c’è un pubblico

che vuole musica. Il successo dei concerti è da associarsi a un fenomeno di costume ci-clico che viene a crearsi in ogni città. A Siracusa, que-sta tipologia di eventi sta ri-prendendo piede, ma, come in altre zone, è prossimo alla fine del suo ciclo vitale, come nel ragusano. Pertanto, chi di dovere dovrebbe in prima battuta puntare tutto sull’uni-versità, in modo da avere un’economia d’importazione e non viceversa. Le famiglie che vivono al di fuori di Sira-cusa sostentano i giovani con risorse economiche che auto-maticamente si riversano sul territorio. Le facoltà presenti, in questo momento da noi, sono praticamente ininfluenti sui volumi di vendita effet-tuati. Bisogna puntare sull’in-novazione e sulla comunica-zione, per tentare di vedere la luce in fondo al tunnel e supe-rare la crisi attuale”.

A rincarare la dose, sul-la scarsa partecipazione e sull’evidente crollo della movida, è Alessandro Ma-ria Di Natale, proprietario dell’Ozzcaffèborgia Jazz Club.“Ritengo che le difficoltà ri-scontrate - afferma Di Natale - siano principalmente di ca-rattere burocratico ed ammi-nistrativo. Ciò a sottolineare che il “problema” è italiano e non tanto territoriale. Vero è che il territorio, nonostante stia cercando di liberarsi di vecchi meccanismi, fatica an-cora a relazionarsi con nuove tendenze imprenditoriali. “Risulta essere più un proble-ma sociale che altro l’idea di esigere senso civico, disturba come se fosse una limitazio-ne della propria libertà e non una norma educativa. Il vizio alle cattive abitudini diventa “normalità”. “Tanto vedrai che non cambierà mai...”. Un

atteggiamento di partenza, remissivo, frustrato non con-vince nessuno.“Nonostante ciò, la città ri-sponde bene agli eventi cul-turali perché di interesse sociale. Non per il Jazz in particolare, ma in generale ri-tengo che sia un territorio pie-no di curiosità e di voglia di riscoprire la sua antica gran-dezza. Purtroppo si sta affron-tando una recessione storica, che le nostre generazioni non avevano mai visto. Questo porta a maggiori difficoltà nrll’investire dando qualità. Il sistema porta a massimizzare il mercato e cercare di guada-gnare il più possibile, senza badare ai termini d’investi-mento a lungo termine, cre-ando così punti di riferimento temporanei per la città stessa, al fine esclusivo di guadagna-re denaro”. Quali pensi siano gli aiuti e le mosse che Comune e Pro-vincia debbano effettuare, affinché Siracusa si risvegli da questo sonno perpetuo?“L’amministrazione locale può fare in parte il suo, cercando di creare siti d’interesse culturale nei ceti più bassi. Soprattutto, scuole “alternative” nelle zone dove il tessuto sociale va re-cuperato oggi, per avere una risposta domani. Siracusa è una città meravigliosa piena di pregiudizi verso se stessa, ma ha tutte le carte per essere un esempio “positivo” per la Sici-lia, e della Sicilia. Amo questa terra, perché anch’io ne faccio

parte, cosi come lei fa parte di me. Non voglio deluderla e spero che anche lei non mi deluda”.Il quadro complessivo fra introiti e clientela, per le at-tività come pub e luoghi di aggregazione, è preoccupan-te. Colpevole, forse, il nostro scarso interesse e la mancan-za di pretese al fine di miglio-rare la nostra città. Dunque le colpe, ancora una volta, sono comuni e tocca-no ognuno di noi. Comune, e non elitaria, dovrebbe essere la cultura. Non tutto, comunque, è vit-tima della crisi. Un piccolo movimento notturno si ri-scontra durante il fine setti-mana. Momento in cui una discreta, se pur frastagliata, parte dei cittadini si riversa nei locali, nella speranza di spezzare la monotonia setti-manale. Nell’illusione di ve-der cambiata, almeno per una sera, la nostra città.

“Documenti ufficiali e indicazioni stradali si limitano ormai al toponimo generico”

Priolo ha perso un pezzo di nome e di storia per stradaUn anziano: “Dicendo Gargallo vantavi le nobili origini”

di MONICA LANAIA ([email protected])

I nomi nella nostra vita sono essenziali. È necessario, in-fatti, identificarsi e identifica-re oggetti, eventi, fenomeni e istituzioni. Si distinguono an-troponimi, o nomi di persona, e toponimi, nomi di luoghi. A scuola si impara che esistono nomi propri, nomi comuni, nomi di cosa e nomi di perso-na; inoltre ci sono i nomigno-li, vezzeggiativi o derisori, i soprannomi, i nomi d’arte e, per le generazioni moderne, i nomi-utente e i nickname. Anche ogni entità geografi-ca possiede, ovviamente, un proprio nome, potendo sor-gere qualche incomprensione se ci si limitasse a dire “Vado a… X” oppure “Ho visitato il paese di… Y”.E, a volte, i nomi cambiano. Certo, perché un nome cam-bi è necessario che vi sia un accordo: con parenti e cono-scenti se si tratta di nomigno-li o abbreviazioni di nomi di cui ci si intende fregiare; con

l’anagrafe se si percorrono le vie ufficiali; con l’intera co-munità interessata se si tratta di nomi di luoghi. E talvolta, ancora più rara-mente certo, i nomi svanisco-no.Come fa, direte voi, a svani-re un nome, stante l’esistenza del luogo o della persona a cui si riferisce? È quello che è accaduto a Priolo che, strada facendo, ha perso un pezzo di nome per strada. Dalla fine degli anni cinquanta, infatti, questo co-mune del siracusano aveva aggiunto, alla propria deno-minazione, il nome Gargallo, nome della famiglia dei nobi-li possidenti di quel vecchio feudo che fu l’ultimo feudo ad essere pari al regno delle due Sicilie. I nobili Gargallo, in realtà, non hanno scelto volontariamente di apporre il proprio marchio al comune, avendo già, nella lontana Ca-talogna, un luogo a loro inte-

stato e dal quale proviene la famiglia. La scelta di identifi-care il comune di Priolo con il nome del marchese fondatore fu fatta, invece, dalla stessa comunità di abitanti.“C’era anche un motivo pra-tico di fondo – ci spiega un vecchio priolese –, in questo modo, infatti, il nostro comu-ne si distingueva dagli altri due comuni di Priolo esistenti nelle province di Ragusa e di Messina. Priolo Gargallo ha acquisito una propria unicità identificandosi con il nome dei suoi fondatori”.“Ora – lamenta il priolese intervistato – nessuno scrive più il nome completo; anche le indicazioni autostradali si limitano a menzionare un ge-nerico Priolo e, in tal modo, non si fa un dispetto alla fa-miglia Gargallo bensì agli stessi priolesi che dovreb-bero tenere a differenziarsi dagli altri comuni omonimi, a rinsaldare le antiche e nobi-

li origini e a non cadere nei modernismi che tralasciano il passato”.Se i nomi sono così rilevanti nella nostra società, consen-tendo di individuare un’entità ben definita e unica, persona o cosa che sia, è bene che prima di variarli l’intera co-munità si accordi in tal senso, magari, in tal caso, riscopren-do l’orgoglio delle proprie ra-dici. Non vi sentireste, anche voi non priolesi, un po’ orfani se Siracusa, Augusta, Noto cambiassero nome senza pre-avvisarvi? Non che la questione – lo ca-piamo – sia dotata di rilevan-za estrema per tutti, potendo benissimo restare insensibili e indifferenti a queste sotti-gliezze; ma, proprio perché non costa nulla, sprechiamo un altro po’ di fiato e inchio-stro per aggiungere la paroli-na che rende il nome di quel nobile comune siracusano completo. Lo stemma di Priolo

16 6 Febbraio 2010

C’è chi ha ipotizzato addirittura 20.000 lavoratori licenziabili o in cig. Vergogna!

PER STRAPPARE IL SI’ AL RIGASSIFICATOREE’ IN ATTO UNA STRATEGIA DELLA TENSIONE

di SALVATORE PERNA ([email protected])

È fuor di dubbio che gli effet-ti della crisi economica stanno corrodendo settori sempre più ampi dell’apparato produttivo della nostra provincia e che le difficoltà occupazionali au-mentano. Tutto ciò però non può giustificare i tentativi di manipolazione in atto per de-formare la lettura dei dati che provengono dai diversi setto-ri produttivi e soprattutto per giustificare presunte scelte di rilancio e di sviluppo incompa-tibili con i diritti fondamentali delle comunità e del territorio. E’ in uno dei settori fondamen-tali dell’economia della nostra provincia, quello industriale, che si stanno registrando forza-ture, manipolazioni e forse ten-tativi di strumentalizzazione inaccettabili. La situazione di stallo delle produzioni del polo chimico, il venir meno degli obiettivi di diversificazione e di verticalizzazione dell’accor-do di programma sulla chimi-ca, confermato nell’incontro romano del 20 gennaio scorso, per l’indisponibilità dell’Eni (fatto ormai chiaro da tempo) e per l’antieconomicità dei pro-getti previsti (impianto di gli-coleltilene), ha reso più viru-lenta l’ostinazione di gran parte del ceto politico e istituzionale e dei sindacati nell’accreditare la realizzazione del terminal di rigassificazione di GNL della Ionio Gas come l’unica pre-sunta via di uscita dal declino. L’abbandono o l’incapacità di qualsiasi elaborazione proget-tuale che nasca dal territorio, dalle risorse produttive e tec-niche esistenti, senza escludere le caratteristiche naturali, fisi-che e culturali, continua a far prevalere nella classe dirigente logiche subalterne e utilitari-stiche e a far proliferare una nuova genia di vassalli (grumi e scorie di nefaste caste di nuo-vi ed antichi poteri dominanti). Così i mastodontici serbatoi di gas naturale liquefatto, da far sorgere nel cuore di una zona industriale densa di impianti a rischio di incidenti rilevanti, sono diventati il feticcio per la nascita di uno sviluppo “lu-minoso e fertilizzatore”, al di fuori e al di sopra di qualunque logica di validità economica reale e di compatibilità con il contesto nel quale verrebbero a collocarsi. Come dire, usando una metafo-ra, che in assenza di obiettivi è più comodo attaccarsi alla canna del gas! Invece gli osta-coli frapposti dalle comunità contro questo investimento, per i gravi rischi che incom-berebbero sulla sicurezza non solo dell’intero territorio in-dustriale ma (in presenza di un non escludibile evento ca-tastrofico) di una ampia area dell’intera provincia, sono stati ignorati, stigmatizzati come reazione irrazionale. Nessuno sforzo di riflessione, nessun ripensamento è prevalso tra i sostenitori dell’investimento neanche alla luce delle obie-

zioni sollevate dal documento dell’assessorato Territorio e Ambiente che il 26 novembre scorso notificò all’ex-assessore all’industria, Marco Venturi, il parere negativo sulla realiz-zazione di un impianto ad alto rischio di incidente rilevante in un’area, come quella indicata dal progetto, dove preesisto-no e si assommano condizioni di elevata pericolosità. Anzi per riaffermare le non meta-bolizzate risultanze negative della conferenza dei servizi, quasi come fossero prodotte da una regia occulta o forse per una semplice convergenza di interessi casuali, si è data la stura, soprattutto attraver-so le colonne del quotidiano “La Sicilia”, ad un crescendo di dichiarazioni allarmistiche, di interpretazioni economiche approssimative, di proclami da ultima spiaggia sulla necessi-tà di sbloccare la costruzione del rigassificatore, come unica condizione per salvare la zona industriale, per garantire pos-sibilità di sviluppo e impedire il crollo dell’occupazione. Per creare attenzione (o forse pre-occupazione) occorreva creare “phatos”, con un postulato: le difficoltà occupazionali. In questo canovaccio elemen-tare il primo elemento da agita-re era la notizia, proveniente da ambienti sindacali, di una pos-sibile rinuncia della Ionio Gas alla realizzazione del rigassifi-catore, come conseguenza delle obiezioni poste dal documento dell’assessorato regionale Am-biente. Cartina di tornasole di questa evenienza il presunto mancato rinnovo dei contratti in scadenza dei progettisti. Ma occorreva anche ipotizzare uno scenario fosco. Così qualche dirigente sindacale, come il segretario generale della UIL e un dirigente nazionale Cisl, si è avventurato nella previsio-ne che un’eventuale rinuncia alla costruzione dell’impianto costituirebbe il principio della fine della zona industriale. Ma la drammatizzazione della re-altà non si è fermata a queste generiche previsioni di danno prossimo venturo. Senza freni hanno cominciato a circolare numeri da tregenda. Un susse-guirsi di previsioni di licenzia-menti nell’indotto industriale, nei prossimi mesi, che hanno oscillato dai 1000 ai 1500 ai 2000, in una folle corsa al ri-alzo non supportata da dati concreti e circostanziati sugli effettivi punti di crisi esistenti nel comparto delle piccole e medie aziende appaltatrici del comparto industriale. Il punto focale di questo “de-lirio” sul crollo dei livelli oc-cupazionali è stato raggiunto da un cronista che ha sparato cifre allucinanti, ipotizzando, tra cassa integrazione ordina-ria, straordinaria, licenziamenti e fine di contratti a termine, il coinvolgimento di circa 20.000 lavoratori; cioè più del doppio dei posti di lavoro esistenti nel

territorio industriale! In questa chiamata alle armi si è inserito pure, rientrando improvvisa-mente sulla scena, il presidente della Federmeccanica di Sira-cusa, Giuliano Ricciardi, che ha contabilizzato l’immissione tra pochi mesi in cassa integra-zione di oltre 1500 lavoratori dell’indotto industriale a causa della fine dei lavori in corso. Senza rigassificatore (questo il Ricciardi pensiero) niente più lavori alla Erg. Un allar-me, finalizzato ad un appello rivolto ai sindacati per fare fronte comune, per intensifica-re la pressione, che certamente è sembrato strano ai sindacati dei lavoratori metalmeccanici che in un comunicato hanno ricordato al presidente della Federmeccanica di non aver brillato fino a quel momento per volontà di dialogo sui pro-blemi occupazionali in atto e per volontà di confronto sul-la richiesta di definizione di regole condivise sul sistema degli appalti, su legalità e sicu-rezza nei posti di lavoro. Nello stesso tempo c’è stato chi ha continuato a infarcire l’ipotesi crollo del sistema industria-le con la sequela trita e ritrita delle occasioni che andrebbero perdute: un consistente investi-mento, progetti collegati alla nascita di una piattaforma del freddo, l’abbassamento dei co-sti dell’energia per i cittadini, le compensazioni per i comuni, ecc.Insomma l’agitazione di spec-chietti per le allodole e anche affermazioni prive di fonda-mento. Una fra tutte la favola della riduzione delle bollette elettriche che sono legate a componenti che prescindono dalla costruzione del rigassifi-catore e cioè alla “borsa elet-trica”, che determina i costi dell’energia (al più alto livel-lo) e all’eccessiva tassazione imposta dallo stato. Strategici-tà, come insistono a sostenere istituzioni, sindacati e impren-ditori, è un termine che serve solo a celare il vero obiettivo della Ionio Gas e della Erg, che è quello di utilizzare l’area di

Priolo-Melilli, come piattafor-ma del suo nuovo ruolo com-merciale nella distribuzione di gas e carburanti, come dimo-stra la nascita della TotalErg; una società per acquisire uno dei ruoli più importanti nel mercato della distribuzione dei prodotti petroliferi e della rete delle stazioni di servizio. Con il gas la Erg insieme alla Shell punta a conquistarsi spazi di mercato nella rete distributiva europea. Questo frenetico sostegno all’obiettivo rigassificatore da parte di quella che appare sem-pre di più una lobby sembra il forcing per rendere ineluttabile una scelta industriale, anche se sbagliata, anteponendo le pro-prie convinzioni al bene comu-ne. Forse è per questo che si tenta di legarla ad un bisogno diffuso di lavoro, ad un clima di disperazione sociale che possa far venir meno dubbi o riflessioni razionali sul dopo. Per rendere appetibile un ali-mento sgradevole è necessario avere fame. Nessuna occasione è stata tra-scurata dai sostenitori dell’in-vestimento per polarizzare l’attenzione sulla necessità di autorizzare il rigassificatore, neanche la presentazione di un libro, che è servito a espo-nenti del centrosinistra a riba-dire la loro fede in quello che molto opportunamente è stato definito da Franco Oddo, nello scorso numero, lo sviluppismo, dimenticando le ragioni fonda-te del no al rigassificatore sol-levate dal voto referendario e dalle proteste dei cittadini dei comuni industriali. Anche la propagazione di noti-zie sul possibilismo del Presi-dente della Regione, Raffaele Lombardo, serve ad alimentare spazi di ambiguità e ha lo sco-po di indebolire la resistenza delle comunità, di far prevalere sconforto e fatalismo. Cronisti e giornalisti solerti del quo-tidiano dell’editore Ciancio si sono sbizzarriti a riportare notizie sulla relazione positiva sull’impianto fatta da un con-sulente del presidente Lombar-

do, l’ing. Antonio Moretta (che ci auguriamo non sia lo stesso Moretta che svolgeva un ruolo dirigente di primo piano negli anni ‘80 nel gruppo Rendo); circostanza che sembrerebbe favorire un orientamento fa-vorevole del Presidente della Regione. Non si è neanche esitato, per rendere più cupo lo scenario, a riportare la notizia (data qualche giorno fa da Pao-lo Mangiafico del giornale “La Sicilia”) che le aziende del pe-trolchimico sarebbero disposte a contribuire economicamente alla realizzazione dei progetti di bonifica solo se il rigassifica-tore sarà realizzato. Se la noti-zia fosse fondata, si tratterebbe di un inaudito ricatto e di una ignobile ritorsione contro inte-re popolazioni che pretendono che venga posto riparo ai danni e ai guasti micidiali determina-ti dall’inquinamento industria-le. Sarebbe inoltre una linea in netto contrasto con l’accordo di programma sulle bonifiche che prevede l’intervento sosti-tutivo pubblico a danno delle imprese che si opponessero ai progetti di risanamento. Il mi-nistro dell’Ambiente, che ha il dovere di verificare o di chie-der la smentita di queste gravi affermazioni, finora è rimasto in silenzio. Se questo è il quadro paros-sistico delineato dagli ultras dell’impianto di rigassificazio-ne, per confutare allarmismi e esagerazioni sulla crisi in atto e sui problemi occupaziona-li, che hanno il sapore della strumentalità, possono servi-re alcune informazioni. Allo stato attuale le quote più con-sistenti di lavoratori in cassa integrazione sono concentrati nell’area della Siteco (circa 300 ad oggi tra dipendenti Si-teco e aziende delle diverse specializzazioni che operavano a supporto), a causa del blocco dei programmi delle torri eo-liche. Ma l’acquisizione di al-cune nuove commesse, annun-ciata in questi giorni, dovrebbe ridurre lo stato di sofferenza. Circa 320 sono i lavoratori in-teressati da processi di cassa

integrazione straordinaria: 80 della Ditta Aprile, già al secon-do anno di cig straordinaria; 90 della FS Impianti e 130 della Progema per i quali è in corso la richiesta. Altri 100 lavoratori circa di altre piccole imprese del settore dovrebbero far ri-corso alla Cig ordinaria (quindi con previsione di rientro nel posto di lavoro). Va rilevato che i lavoratori della Siteco e delle ditte Aprile, FS Impianti, Progema, non sono in questa situazione per effetto del calo dei lavori negli stabilimenti in-dustriali, ma per cause struttu-rali o prefallimentari. Il perso-nale dell’indotto che è uscito o che sta per uscire dalle attività industriali è costituito da lavo-ratori con contratto a termine (una costante storica nel siste-ma industriale siracusano) che non superano le 400/500 unità. Questi sono i dati reali. Ipotiz-zare una frana occupazionale nell’indotto è un’affermazione avventuristica. Anche la dimi-nuzione dei programmi di ma-nutenzione ordinaria può solo determinare fluttuazioni tem-poranee di qualche centinaio di unità, per il semplice motivo che per mantenere gli impian-ti in sicurezza non si possono abbassare le soglie degli inter-venti manutentivi al di sotto di un certo livello.Ristabilire le giuste proporzio-ni non vuol dire sottovalutare le difficoltà esistenti o dimenti-care che circa 1000/1200 sono gli operai edili che risultano non iscritti alla Cassa edile (anche se occorrerebbe avere un quadro più preciso della re-ale estensione di fenomeni di lavoro in nero). Non significa non tenere conto delle difficol-tà esistenti in aree di precariato o anche in altri settori. Signifi-ca che per uscire dalla crisi e costruire uno sviluppo sosteni-bile occorre elaborare una piat-taforma che costringa tutti, isti-tuzioni pubbliche e enti privati, ad attuare tutti gli investimenti compatibili ed utili per la pro-mozione delle risorse umane e fisiche del territorio, prima fra tutte ad esempio nell’area industriale l’avvio delle bonifi-che e tutte le opere di ammo-dernamento necessariedegli impianti e delle infra-strutture industriali esistenti. Nello stesso tempo occorre un salto di qualità, una capacità di pianificazione che consenta di rendere fruibile l’immenso spazio produttivo nel campo delle energie rinnovabili sa-pendo integrare i processi in-novativi con la salvaguardia dell’habitat naturale, ambien-tale e paesaggistico. Perseguire come obiettivo fondamentale e risolutivo la realizzazione di un rigassificatore, oltre ad esse-re una scelta contraria alla vo-lontà di gran parte dei cittadini dei comuni industriali, appare come il perseguimento di un tentativo di azzardo al di là di ogni ragionevole valutazione dei problemi esistenti.