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A cura diSergio Santiano

Assessorato alla Culturadella Provincia di Torino2003

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Presidente Mercedes Bresso

Assessore alla Cultura,Protezione della Natura,Parchi e aree protetteValter Giuliano

Servizio ProgrammazioneBeni e Attività Culturalivia Lagrange, 210123 Torino

DirigentePatrizia Picchi

CoordinatoreRebecca de Marchi

progetto“cultura materiale”

DirettoreSergio Santiano

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Capire come si può trasformare una lunga catena di musei tutti uguali, cheripetono ognuno storie simili e comuni, in una rete, nella quale ogni storia èdiversa perché capace di concentrarsi sullo specifico locale.Era questo l’intento che la Provincia di Torino ha perseguito, dando incarico distudiare questa lunga sequenza di capitoli che raccontano tutti storie fotocopia,per farne il libro della nostra identità preindustriale, che affonda profonda-mente le sue radici nella fertile terra della cultura contadina.L’intuizione pioniera che ha salvato il salvabile di quella stagione della nostrastoria, della nostra memoria, della nostra identità non è più sufficiente. Se ci accontentassimo di quelle raccolte -sequele di strumenti del vivere e delquotidiano lavorare, sottratte al loro contesto e alla loro funzione, e perciò iner-ti- condanneremmo infatti quel pezzo della nostra storia a un ricordo nostalgi-co che distorce la realtà e via via, con lo scorrere delle generazioni, la consegnaal silenzio; la ridurremmo a insieme di oggetti muti, incapaci di comunicare,soprammobili inutili; ne faremmo sacrari destinati a perdere bene presto la lororagione di esistere, cancellati dall’indifferenza di chi non sa più riconoscerli.L’obiettivo di chi, con infinita riconoscenza verso i raccoglitori, si assume oggi ilcompito di rinnovare quei linguaggi, è quello di adattarli ai nuovi schemi per-cettivi e interpretativi e, dunque, anche ai moderni strumenti di comunicazio-ne, dagli allestimenti ai materiali di supporto conoscitivo.Come socializzare i codici interpretativi e comunicativi delle tante storie, perso-nali e collettive, racchiuse in oggetti un tempo comuni e oggi sempre più lonta-ni dalla nostra sensibilità e dalla nostra capacità di leggerli attraverso lo scor-rere quotidiano del tempo?Come non consegnarli frettolosamente all’archivio delle inutilità?E’ la sfida che, non da oggi, abbiamo davanti.Se non la sapremo affrontare avremo perso, ognuno, qualcosa di noi.Non è infatti possibile, per una comunità, vivere senza una memoria condivisa,risultato di una continua creazione sociale e perciò mai statica ma bisognevo-le, nello stesso momento, di custodia e di rinnovamentoDunque la sfida non è delle più semplici, visto che si tratta di distinguere i l

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r i c o rdo che è soggettivo, personale, dalla memoria, che è un fatto sociale, processo di archiviazione col-l e t t i v a .Di tutto questo va tenuto conto nel momento in cui si pone mano al riordino e al riallestimento dei nucleimuseali etnografici; una prima scelta si impone: qualsiasi intervento va pensato, progettato e condotto instretta sintonia con la comunità che ha prodotto quella memoria e i cui ricordi assumono valenze diverse,caso per caso. Non solo, ma gli stessi oggetti, a seconda dell’ambiente che ne ha determinato la creazione,possono assumere, di volta in volta, significati diversi.Per inventare la nuova vita dei nuclei museali della cultura popolare è tuttavia necessario partire da alcu-ne suggestioni progettuali che consentano di assumere metodologie scientificamente valide, strumenti di“scrittura” il più possibile uniformi o confrontabili (altrimenti addio libro!), canoni di rappresentazione cor-retti, per poi lasciare scorrere libera la creatività che dà voce alle singole specificità.E questo uno dei contributi che vengono dal lavoro che presentiamo e che all’esame dei punti cardine dellarete della cultura materiale e delle regole museografiche, fa seguire la stimolante riflessione-provocazionesul simbolo e sulla rappresentazione all’interno dello spazio museo.Di qui si può partire per riflettere, ma soprattutto per fare, per metterci alla prova, per accettare la sfida;è per questo che la ricerca mette a disposizione un caso studio sacrificale, pronto a essere sezionato, dis-cusso, approvato o bocciato: purché non si resti indifferenti. I musei della nostra provincia attendono risposte.

Valter Giuliano - Assessore alla Cultura della Provincia di Torino

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Noi siamo forse qui, su questa terra,solo per dire:Casa, Ponte, Fontana, Anfora, Porta.E: Ciliegio, Finestra … Anche di più:Colonna, Torre … Ma per dirlo, -intendi!-Ma per dirlo così, come le cose-le cose stesse!- non potevano credered’essere compiute nell’intimità.(Rainer Maria Rilke, Elegie Duinesi – IX)

Giano bifronte, un volto segnato da profonde corrugazioni alpine, l’altro da lievi dislivelli collinari edalla pianura: il territorio della provincia di Torino è attraversato da un comune sviluppo socio econo-mico e dai rispettivi modelli di vita. Attenzione a non idealizzare, a non pensare come interscambiabilile immagini bucoliche che ci offrono Corot, Constable -o i nostri Pittara, Avondo, D’Andrade della scuo-la di Rivara- con la vita contadina; a non cedere all’apologia futurista, eroica, della macchina e dellatecnologia, sostenuta da Marinetti, Sant’Elia, Boccioni, ben diversa dall’affacciarsi dell’industria e dalsuo impatto sull’uomo e sull’ambiente.I musei che raccolgono i segni della “cultura materiale” -numerosi in Provincia di Torino- hanno svol-to un fondamentale e lodevole compito di conservazione delle tracce del passato; lo scarto “politico”,“sociale”, risiede nel testimoniare quel passato, anche offrendolo ad insaputa dello stesso come indiceconcreto per la lettura della storia e per le scelte da assumere nell’attualità, inevitabili indirizzi per losviluppo futuro, che si auspica sostenibile: ossia nel raccontare il paesaggio, il rapporto tra l’uomo el’ambiente.Compito non semplice quello di rendere eloquenti le “cose”, di far si che il loro nominarle -strumenti,edifici, luoghi- ne evochi suoni, odori, umori, sensibilità, astuzie, ipocrisie, interessi, in un continuofluire dalla scala dell’uomo a quella del territorio.In collaborazione con il Corso di Perfezionamento in Museografia, diretto dal prof. Sergio Santiano delPolitecnico di Torino, Facoltà di Architettura, è stata avviata un’analisi dei musei etnografici, assunticome primo ambito su cui saggiare l’influenza delle scelte museologiche e museografiche sulla tra-smissione dei contenuti, nell’accezione a cui si è accennato.Dal monitoraggio e rilevamento delle caratteristiche dei singoli musei (per ognuno dei quali è stataredatta una scheda), alla indicazione di linee a suggestioni di sviluppo per tre di essi (Museo degliOggetti di Uso Quotidiano di Germagnano, Museo della Civiltà contadina “‘l Rubat” di Piscina, “gli anti-chi mestieri” di Pomaretto), alla definizione di una proposta progettuale di allestimento per un caso spe-cifico (Museo Etnografico di Novalesa): un passaggio di scala che se da una parte consente di tessereun dialogo tra realtà che condividono una matrice comune -sottolineandone le similitudini- dall’altrazoomando su ognuno dei siti ne consente la narrazione specifica “dal cucchiaio alla città”.Un’esperienza che non mira evidentemente a definire un modello di allestimento bensì a delineare unafilosofia di approccio che, con lo sguardo rivolto al paesaggio, fa del museo un catalizzatore del carat-tere storicizzato di un luogo ed insieme punto da cui si espande la fase conoscitiva, per tornare al ter-ritorio.In questo il museo non è solo; più musei irradiano il proprio racconto sino a costruire una rete cheoltre a restituire la complessità del paesaggio è anche base funzionale per la gestione del sistemamuseale.

Rebecca De Marchi - Servizio Programmazione Beni e Attività Culturali

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La memoria è la nostra cultura. E’ l'ordinata raccolta dei nostri pensieri. Non solamente dei nostri propri pensieri: è anche l'ordinata raccolta dei pensieridegli altri uomini, di tutti gli uomini che ci hanno preceduto. E poiché la memoria è l'ordinata raccolta dei pensieri nostri e altrui, essa è lanostra religione (‘religio’).Nacque la Memoria nell'istante medesimo che l'esiliato Adamo varcava la sogliadel Paradiso terrestre.Disperata era in principio la Memoria. Ma quando un dio si avvicinò a lei amorosamente, alla Memoria si aggiunse laSperanza.Nove figlie generò l'amore di Giove a Mnemosine. Le quali, scese che furono sulla terra, questa ne sospirò di gioia e di consolazio -ne. L’arte dunque è sorta dal fecondo grembo della Memoria.Se l’arte non deriva dalla memoria, l’arte è ignobile (plebea), ristretta e piena dinoia. (Alberto Savinio)

Da qualche anno c’è un gran darsi da fare per costituire -e restaurare- grandimusei e grandi mostre. Tralasciamo, per il momento, i giudizi di valore (che, perlo più, dovrebbero essere abbastanza severi) e focalizziamo l’attenzione suimusei della cultura materiale: negletti. Non è che siano pochi, anzi, proliferano.E questo è bene; è positivo dal punto di vista della acquisizione -e conseguente“salvataggio”- di strumenti obsoleti; non si può, però, non prendere atto dellecarenze che, nella maggior parte dei casi, relegano queste encomiabili opera-zioni di salvaguardia in ambiti culturali scarsamente incisivi.Consapevole di questa situazione, la Provincia di Torino, da tempo impegnatanella valorizzazione della Cultura Materiale, ha affidato al Corso diPerfezionamento in Museografia del Politecnico di Torino il monitoraggio deimusei etnografici, al fine di giungere alla formulazione di ipotesi non tanto diun “allestimento tipo” -che sarebbe riduttivo-, ma di linee guida, di una meto-

LA MEMORIA È LA NOSTRA CULTURA.Sergio Santiano

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dologia che informi i processi di allestimento.Ci siamo dati tre punti di indagine quale riferimento, sia per la formulazione delle schede, sia per levalutazioni critiche dei tredici musei presi in esame: la cultura materiale, la rete, il territorio.

1. LA CULTURA MATERIALEL’espressione del “fare” dell’uomo si esprime con modi e tempi diversi; in campo scientifico, si é privi-legiato -sino a poco tempo fa- un concetto diacronico (legato all’idea Bal Excelsior del “progresso”); ilmuseo, quindi, si caratterizza unicamente come luogo-deposito di materiali desueti, utili solo alla con-servazione della memoria.Invece, oggi, si precisa anche l’aspetto “sincronico” del fare umano; vale a dire che il rapporto tra ilmuseo, il visitatore, lo studioso, diventa un rapporto dinamico, che stimola l’utilizzo -o almeno la verifi-ca della possibilità- delle collezioni. Si può esemplificare con un avvenimento clamoroso: i primi astro-nauti della NASA per i quali era previsto un lungo periodo di permanenza nello spazio, avevano ungrosso problema: lo sbarbarsi. Sembra banale, ma il ricreare nello spazio le stesse condizioni di vitache si hanno sulla terra era, a livello sperimentale, molto importante. Qualsiasi tipo di rasoio elettricoprovato (anche quelli inventati ad hoc) immetteva nell’esigua aria della cabina il “pulviscolo” pilifero:risolse il problema un “vecchio” tecnico addetto alla strumentazione: lametta e sapone da barba. Erano“oggetti da museo”, deposito della memoria, e nessuno aveva pensato lontanamente alla possibilità diun loro utilizzo oggi.Questa visione “dinamica” del museo etnografico é uno dei fattori che deve stimolarne ed informarnel’allestimento. Non é solo questo, naturalmente: l’equazione della “comunicazione” deve contenere neisuoi fattori, anche, e soprattutto, l’evidenziazione delle “differenze” (l’intersezione di insiemi) che ogniarea culturale (anche negli adstrati) propone.L’attenzione ai modi di comunicare (di allestire il museo) rende un servizio -e mette in giusta evidenzail merito- al già lodevole impegno di tutti coloro che, nel tempo, hanno raccolto materiali “desueti”, lihanno conservati e messi a disposizione del pubblico.

2. LA RETEIl concetto di “rete”, individua una intersezione di insiemi; vale a dire un complesso ascrivibile ad una“categoria”, che al suo interno contiene delle entità dotate di caratteristiche diverse, seppur riconduci-bili alla categoria stessa.E’ auspicabile che questa operazione di relazioni culturali fra i vari poli si applichi nel caso dei museietnografici presi in considerazione, con l’approfondimento della conoscenza dei diversi contesti socioe-conomici.

3. IL TERRITORIOCome si é già detto, la “rete” non è uno strumento rigido, ma un supporto che, più che omologare, mettein luce la vitalità -e la diversità, quindi- di un territorio. Sappiamo come cambiano i codici anche a pochi chilometri di distanza: a parte le influenze di cultureforti confinanti (vedi le valli valdesi, l’Alsazia, ecc.), possiamo individuare molti elementi che concorro-no a riplasmare “in loco” una cultura -nella lingua, nei costumi, nei modi e mezzi di produzione- altri-menti omogenea: la presenza di un castello, di un’abbazia, di un opificio, di “segni forti”, insomma.Di tutto ciò occorre tenere conto se si vuole produrre un sistema di comunicazione che aiuti a “pensa-

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re localmente e agire globalmente”. E se é vero che ogni museo é un caso a sé, proprio queste differenze occorre sapere evidenziare; maoccorre anche costruire un metodo, un sistema comune di riferimento che consenta di rendere dina-mica la “rete”, senza lacerarla.Un lavoro sulla memoria dovrebbe svolgersi in interazione con i responsabili dei musei; é da loro checi si deve attendere le informazioni, non solo sulle collezioni, ma sul territorio nel quale sono nate e“morte” (e per alcune -come abbiamo visto- si tratta di morte apparente).La memoria, la storia, alla fine, a cosa servono?Sembra scontato; e lo sembra perché si dà per scontata la loro utilità sull’onda del detto Historia magi -stra vitae; ma é un’onda anomala perché, si sa, la storia non insegna nulla, non ci impedisce di com-m e t t e re a ripetizione gli stessi erro r i .Occorrerebbe, per poter al meglio riorganizzare la nostra “stanza della memoria” e ben arredarla, ride-finire la sua funzione: la conoscenza della storia ci aiuta a fare delle scelte, ad avere sul tavolo il mag-gior numero possibile di alternative; e questo sempre, in ogni occasione; ma soprattutto quando lademocrazia é a rischio per pressioni anomale di una parte troppo forte; oppure quando si incontranoculture diverse; di fronte alla pressione aggressiva dell’una occorre, all’altra -più mite, o “stanca”- ,poter far appello alla memoria per mantenere fermamente un dialogo credibile.E questo lo si può fare solo se il telaio sintattico dei codici di comportamento si mantiene elastico, fles-sibile; e tale operazione é possibile se, e solo se, si hanno sempre ben presenti le possibilità di scelta;é facile pensare a Konrad Lorenz quando racconta dei combattimenti tra animali con un patrimonio dicodici diverso; il segnale di resa, ad esempio, di una specie consiste nel presentare la gola alla mercédell’avversario; ma se questi non recepisce questo codice, va a nozze e azzanna (o becca) l’incauta gola.Proprietà dell’uomo dovrebbe essere quella di poter operare delle scelte in funzione di coloro con i qualisi confronta -o è in conflitto-, il che comporta il saper gestire statuti di decifrabilità multipli, elastici,flessibili; e scegliere, momento per momento, il più adeguato.Se, nelle mille sfaccettature che compongono il caleidoscopio-museo (infiniti specchi, alfine) assumia-mo come privilegiata quella relativa all’assunto esposto, se ne può dedurre che, metodologicamente, ilpensiero allestitivo deve essere orientato verso una mise en scène che sia “trampolino” per vedere fuori,per capire il mondo oggi, per saper scegliere.Tutto ciò possiamo chiarirlo meglio con un esempio “forte”: e il riferimento ad un museo che sembralontanissimo dalla tematica della cultura materiale, non deve sembrare fuorviante perché la metodo-logia della messa in scena non conosce scale gerarchiche. Un racconto museale che, pur intrecciatoalla sontuosità, deve evocare cieli cupi e camini e fumi, è quello della cultura ebraica: pensiamo, perparlare solo del più recente, ai tormentati volumi che Daniel Libeskind ha plasmato per lo JüdischesMuseum di Berlino; luccicanti e costosissimi volumi che, in ogni caso, “devono” ispirare orrore e sensodi colpa.Ho detto “devono” per due motivi: il primo è, naturalmente, legato all’odore di carne bruciata che anco-ra (e speriamo per sempre) ci prende alla gola quando il pensiero va alla Shoah. Il secondo parrebbe -ma non è così- una ripetizione del primo ed è evocato dalla celebre frase di Adorno “Alle Kultur nachAuschwitz ist Müll” (Tutta la cultura dopo Auschwitz é spazzatura); sembrerebbe che questa “spazza-tura” debba ricadere sul museo e che questi debba farsene carico; ma questa interpretazione falsa ilsenso della frase: infatti il filosofo dice “tutta la cultura”, e allora si capisce che “non è il museo chebisogna guardare, ma l’‘alle’: tutta la cultura che lo circonda cioè; e il capire questo ci fa volgere gli

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occhi agli orrori edilizi che circondano il museo berlinese -agli squallori, ad esempio, di parte della rico-struzione di Berlino, agli orrori della Genmanipuliertearkitektur (Architettura geneticamente modifica-ta) della Potsdamer Platz ad esempio- e si potrà vedere ‘tradotto in pietra’ il pensiero di Adorno. E di lì... tornare al museo. E a tutti i suoi problemi espressivi e critici” (Santiano).

MOSTRARE, ALLORA.Dovrebbe significare l’andare al di là della “cosa”; farne un pre-testo (e un pretesto) per cogliere le trac-ce che il “copione lontano” custodisce nelle maglie del tempo; tempo che, se rende opaca l’esistenza,nello stesso momento la trascende e consente di porne in rilievo -come un frottage- i significati: un con-densatore sociale, insomma, che delegittima il feticcio, l’oggetto cultuale, l’ancora imperante: “nonimporta il senso, quella mostra ci consente di “vedere” quegli oggetti che altrimenti non avrei maivisto”).Il senso etico della mise en scène sta proprio nella ricerca di queste tracce, ma per farlo occorre esse-re consapevoli che l’evento e il suo “prodotto”, il dato sensibile del fare dell’uomo (per dirla con Cassirer)sono lì e ‘così’ solo per un tempo infinitesimo; la distanza fra cosa e simbolo si fa subito, cioè, incom -mensurabile costituendo schemi concettuali autonomi per comprendere i quali la filosofia deve farsi “cri -tica della civiltà” e la storiografia, intesa come attività simbolica di secondo grado, deve individuare nellesingole opere dell’uomo le strutture di riferimento e i suoi nessi con l'attività simbolica generale: solo intal modo è lecito illudersi d’aver conseguito un’approssimazione al significato (Puppi).E per compiere questa impresa occorre sapersi orientare nelle direzioni del tempo, nel suo ordine(Pomian) e in quegli spazi che si creano -scarti di significato- tra le diverse interpretazioni che perso-ne diverse danno di una esperienza comune (Kundera - Pirandello con il naso di Vitangelo Moscarada).Di quel Tempo che, alla fine, consumerà a suo piacere quest’uomo, povero, piccolo, presuntuosocyborg, qualunque sia l’ordine notarile che gli abbia dato, gli dia, gli darà.Ed é il Tempo stesso a dircelo: Io che ad alcuni piaccio,/ tutti quanti metto alla prova, /io dei buoni e deicattivi gioia e terrore [...] Lasciatemi scorrere quale da sempre sono,/prima che l’ordine più antico/o quel -lo che adesso è convenuto. (William Shakespeare, Il racconto d'inverno, IV/I). E non sulla “consunzione” dell'uomo confidiamo, ovviamente, ma sull'alleato Tempo per creare la deter-minazione in ognuno di noi di “restare uomo”, magari anche a costo di essere l’ultimo... non rinoce-ronte (Eugène Ionesco: I rinoceronti).

IN SINTESI, PER CONCLUDEREIl nostro viaggio attraverso i musei è stato di conforto -per la grande quantità di oggetti salvati da enco-miabili volontari-, e di stimolo ad esprimere un pensiero progettuale; impresa non facile perché, qui, ivincoli progettuali sono -in modo apparentemente paradossale- più severi di quelli relativi ad altre tipo-logie museali (arte, storia, ecc.): qui, sovente -e per vari motivi, non ultimo quello legato all’ambientedove vive (o ha vissuto), dove lavora (o ha lavorato) il promotore della collezione- il “contenitore” è stret-tamente legato al territorio e alla cultura che si vuole “raccontare”; è già presente, insomma, quell’au -ra che nel linguaggio museografico significa l’immediata trasmissione al visitattore (sic) della totalitàdell’esperienza: una specie di percezione totale dell’opera (Gesamtkunstwerck).Ma proprio questa caratteristica positiva, abbiamo constatato, può -una volta che il museo si organiz-zi secondo i parametri funzionali e descrittivi acquisiti dalla museografia- cambiare di segno; e questo,per due motivi: la carenza di spazi, la dif ficoltà di mettere in sicurezza e in visitabilità il complesso; poi,

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l’improprio impulso a “modernizzare” il museo; operazione, questa, compiuta in perfetta buona fede dalcuratore, ma, il più delle volte, deleteria perché l’inesperienza del responsabile -oppure, questa invece,colpevole- di sedicenti esperti cui in buona fede ci si affida, lacerano l’incanto di quella trama cheCultura e Tempo hanno tessuto nel museo: si distrugge l’aura, insomma.E questo avviene con impropri interventi edilizi, con la sostituzione di “vecchi” arredi (perché non sisanno discernere quelli storicizzati da quelli che non lo sono), con l’esuberante, eccessivo inserimentodi teche e vetrine, che -e questo, corre l’obbligo di sottolinearlo, vale non solo per i musei etnografici-, fanno pensare al visitatore di essersi trovato in un reparto di neonatologia, o di essere capitato perincantamento ad un convegno di belle addormentate (nelle usuali bare di cristallo d’ordinanza); pernon parlare dei supporti informatici (utili, utilissimi per la catalogazione, la comunicazione in rete, igiochi didattici in apposita sezione del museo) che sciolgono nei monitor i sogni e i riflessi in cui il visi-tatore dovrebbe riconoscersi.Ma tutto questo non significa, é bene dirlo, che i musei etnografici debbano obbligatoriamente viverein impraticabili baite, in cascinotte fatiscenti, in fumose fucine, in scuderie sotterranee.Certo che no. L’aura la si può conservare anche col “moderno”; qui entra in gioco, da parte di museo-logo e museografo, la capacità di controllare il simbolo; ma di questo parleremo in seguito.

NOTELionello Puppi, prefazione a: Sergio Santiano, Il Teatro del Museo del Mondo e il Museo del Teatro delMondo, CELID, Torino, 1995

Krzysztof Pomian, L’ordine del tempo, Einaudi, Torino, 1992

Milan Kundera, L’ignoranza, Adelphi, Milano, 2001

Luigi Pirandello, Uno nessuno centomila, Mondadori, Milano, 1987

Sergio Santiano, Le Ragioni del Testo e le Regioni dello Spazio, CELID, Torino, 2001, p. 133.Conforta questa tesi, quanto detto da Alessandra Mottola Molfino che, a proposito del problematico“far tornare al museo” densi significati, dice -a proposito dello Jüdisches-: “[...] l’allestimento delmuseo si mostra in contrasto con l’architettura; manca ogni magia, ogni suggestione ed emozione;abbonda la pedagogia [...] gli oggetti non parlano se non a mezzo di didascalie [...] Per allestire museinon basta [...] mettere gli oggetti in fila con delle buone didascalie.” (Alessandra Mottola Molfino,Jüdisches Museum Berlin: perché l’allestimento non è stato affidato a Libeskind, “Il Giornale dell’Arte”,218/febbraio 2003).

Visitattore: neologismo di Sergio Santiano, formato dai termini visitatore più attore.

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Nelle schede che seguono sono illustrate le specialità e le dotazioni dei museietnografici della Provincia di Torino che hanno risposto positivamente alla pro-posta di aderire alla presente iniziativa di valorizzazione. Per completezza riportiamo comunque un elenco di tutte le istituzioni, pubbli-che e private, che contano su uno spessore storico ormai consolidato e tale dacostituire una garanzia di continuità nella valorizzazione della cultura materia-le del territorio della Provincia:

Museo delle contadinerie e dei giocattoli - Andezeno Museo della Civiltà Contadina - Andrate Museo civico etnografico - Bardonecchia Museo civico "Giacomo Rodolfo" - Carignano Museo delle Genti delle Valli di Lanzo - Ceres Museo Etnografico di Coazze - Coazze Museo etnografico “Gente Antica” - Condove Museo degli oggetti di uso quotidiano - località Molar, frazioneCastagnole, Germagnano Mostra degli antichi mestieri - Locana Museo di vita montana in val Cenischia - Novalesa Museo didattico "Memorie del tempo" - Perosa Canavese Museo "abitare in Valle" - Pinasca Civico museo etnografico del Pinerolese - Museo del legno - Pinerolo Museo della civiltà contadina "'L rubat" - Piscina Museo "La Steiva" Testimonianze della Civiltà Contadina - Piverone Scuola latina - Esposizione permanente Gli antichi mestieri - collezioneFerrero - Pomaretto Museo etnografico di antichi mestieri - Pont Canavese Museo civico "Nòssi Ràis" - San Giorgio Canavese Casa del Conte Verde - Rivoli

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SCHEDE