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3/2017
Rivista di cultura SOCIO-ECONOMICA della CGIA di Mestre
NORDeSTVENETO
50
Distretti, edilizia,retail banking
e credito
Periodico quadrimestrale – Registrazione Tribunale di Venezia n. 1336 del 15/06/1999 – Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VE
NORDeSTVENETO
ISSN 1590-2951
VE
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50
NORDeSTVENETO
VENETO E NORD ESTRivista di cultura socio-economica della CGIA di MestreNr. 50 - III quadrimestre 2017Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% NE/VE
Editore: Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre CGIAVia Torre Belfredo 81/E, 30174 Mestre VE
Registrazione Tribunale di Venezia n. 1336 del 15.06.1999
Direttore responsabile: Renato MasonDirettore scientifico: Paolo Zabeo
Redazione in: via Torre Belfredo 81/E, 30174 Mestre VETel. [email protected]
Stampata nel mese di febbraio 2018da LITOSTAMPA VENETA s.r.l. - via Cappelletto 12, 30172 Mestre VE
ISSN 1590-2951
Distretti, edilizia,retail banking
e credito
NORDeSTVENETO
Distretti, edilizia,retail banking
e credito
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Indice
I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo ..................9
A cura di Anna Maria Moressa
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione ..............37
A cura di Federico Della Puppa
Banche retail: verso il cambiamento ...............................................73
A cura di Anna Omarini
Fotografia sul credito a Nord Est ....................................................91
A cura di Ufficio Studi CGIA
pag.
7
Autori di questo numero
Anna Maria MoressaLaureata in Scienze Statistiche Economiche all’Università di Padova, svolge la sua attività nella Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo come economista del territorio per la Direzione Regionale del Veneto Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Nel Gruppo Intesa Sanpaolo ha precedentemente lavorato nelle strutture di Analisi Territoriale e Marketing e di Direzione Commerciale dove ha sviluppato analisi di potenzialità di mercato, campagne e monitoraggi commerciali.E-mail: [email protected]
Federico Della PuppaDa sempre impegnato sui temi dello sviluppo sostenibile ha un dottorato di ricerca in Economia Montana e dell’Ambiente e dal 2001 è professore a contratto di Economia presso l’Università IUAV di Venezia. Ha collaborato con numerose fondazioni e istituti di ricerca ed è stato Project Manager di vari programmi di riqualificazione urbana in Italia e all’Estero. Autore con Aldo Bonomi e Roberto Masiero de “La società circolare” (DeriveApprodi 2016) è responsabile dell’area Economia&Territorio di Smart Land srl ed è coordinatore scientifico del Centro Studi YouTrade. E-mail: [email protected]
Anna OmariniRicercatore e professore aggregato al Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi e SDA Professor presso la SDA Bocconi School of Management. È autore di numerosi articoli e libri sui temi di ricerca, quali Retail banking, Digital banking, Banca virtuale e multicanale, Marketing e loyalty nel mercato bancario.
Ufficio Studi CGIAArea ricerche della CGIA, Associazione Artigiani e Piccole Imprese MestreE-mail: [email protected]
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I distretti venetioltre la crisi:
le chiavi del successo1
Anna Maria Moressa
1. Introduzione1
L’analisi dei distretti industriali nel biennio 2015-16 mostra
come, a livello nazionale, essi abbiano ottenuto buoni risultati di
crescita di fatturato, di export e di redditività e siano ormai su
livelli superiori a quelli pre-crisi. Al contrario, nelle aree non di-
strettuali il divario è ancora significativo.
In particolare un numero significativo di distretti veneti si po-
siziona tra quelli con le performance di crescita migliori in as-
soluto. Uno dei motivi del successo della «locomotiva» del Nord
1 Questo lavoro propone una sintesi di più lavori realizzati in questi anni sui distretti industriali presso la Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo. Si desidera ringraziare Giovanni Foresti per gli spunti e per i commenti e tutto il gruppo di lavoro che ha contribuito nelle analisi qui presentate: Stefania Tren-ti, Maria Cristina De Michele, Serena Fumagalli, Ilaria Sangalli, Romina Galleri, Sara Giusti, Carla Saruis e infine, Angelo Palumbo per il contributo alla realizza-zione dele basi dati utilizzate nell’analisi.
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Est sta nella tipicità dei suoi rapporti di filiera e dell’economia
«diffusa» dei distretti.
Dal confronto tra aziende che appartengono ai distretti indu-
striali e aziende che operano al di fuori emergono i fattori pre-
mianti:
• il territorio attrattivo, riscoperto non solo come luogo di pro-
gettazione ma anche di produzione, che vede sempre più in-
gressi di imprese estere e il rientro di imprese italiane che
avevano delocalizzato;
• la buona diffusione tra le imprese di brevetti, marchi, attività
di export, investimenti diretti esteri, tutti su valori più elevati
nei distretti rispetto alle aree non distrettuali;
• la presenza di grandi imprese consolidate e di nuovi prota-
gonisti, tra cui medie imprese in forte crescita che possono
diventare le grandi imprese di domani;
• i rapporti di filiera nei distretti: dopo la crisi del 2008, nei di-
stretti si sono creati rapporti gerarchici più forti tra imprese
leader che hanno saputo reagire e crescere e i loro subfor-
nitori sul territorio di minori dimensioni. Le imprese leader
gestiscono oggi le fasi a monte e a valle della filiera (investi-
menti R&S, commercializzazione globale), mentre le imprese
subfornitrici sono diventate strategiche per la qualità e la fles-
sibilità garantite nelle lavorazioni intermedie.
Per mantenersi competitive anche le imprese distrettuali de-
vono accelerare sul digitale; le tecnologie 4.0 consentono l’intera-
zione e lo scambio di informazioni in tempo reale tra tutti gli attori
della filiera, migliorando l’efficienza e i tempi di risposta nella per-
Anna Maria Moressa
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sonalizzazione dei servizi e dei prodotti richiesti dai clienti finali.
Diverse evidenze mostrano come i distretti siano ben posizionati:
• molti produttori di macchinari 4.0 in grado di interagire con
le imprese specializzate dei distretti per sviluppare macchine
customizzate;
• la buona diffusione dell’e-commerce: le maggiori imprese
capofila venete con i brand più affermati dimostrano di aver
adottato completamente il digitale per la comunicazione del
marchio e come canale di vendita;
• un crescente numero di start-up innovative in parte localizza-
te negli stessi territori distrettuali e nella loro stessa filiera (a
fine 2018 erano 772 le start-up innovative venete, pari a circa
il 9% del totale Italia).
Nel prossimo futuro il digitale rappresenterà la vera sfida dei
distretti industriali, perché li può trasformare in reti allargate,
dove vengono superate le barriere dimensionali che finora pos-
sono aver frenato l’innovazione tecnologica, e li può spingere
verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento
dei mercati.
Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio
di informazioni in tempo reale tra tutti gli attori della filiera, mi-
gliorando l’efficienza e i tempi di risposta nella personalizzazione
dei servizi e dei prodotti richiesti dai clienti finali.
Occorre però investire in infrastrutture digitali e accrescere
la cultura e le competenze 4.0 a tutti i livelli, ma soprattutto nel-
le piccole imprese, finora frenate soprattutto dall’incertezza che
domina i mercati. L’ambiente è favorevole, grazie alla presenza
I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo
12
di significative misure governative a sostegno degli investimenti
innovativi, di buone condizioni di finanziamento e di un bacino di
risorse interne “liquide” nelle imprese.
2. L’evoluzione dei distrettiletta attraverso i bilanci aziendali
Per capire se le imprese distrettuali abbiano superato meglio
delle altre gli effetti della crisi globale del 2008, sono stati ana-
lizzati i bilanci aziendali di circa 60.000 imprese manifatturiere e
agricole, con un fatturato complessivo pari a circa 560 miliardi di
euro. 14.972 imprese del campione hanno sede operativa in 149
distretti, di queste 2.781 sono aziende del Triveneto appartenen-
ti a 36 distretti industriali, con un fatturato complessivo di 46,9
miliardi di euro.
Nel 2015 il fatturato dei distretti a prezzi correnti è cresciuto
per il terzo anno consecutivo, mostrando un progresso dell’1,6%,
con performance particolarmente positive per meccanica (+5,2%),
agricoltura (+3,4%) e vini (+3,2%). Solo il sistema moda (distret-
tuale e non) ha subito un calo delle vendite, penalizzato da una do-
manda interna ancora debole e dalle difficoltà incontrate su alcuni
importanti mercati emergenti (Russia in primis).
In ogni anno tra il 2009 e il 2015 è stata poi nuovamente battu-
ta la concorrenza delle aree non distrettuali. Le imprese distret-
tuali non solo hanno fatto meglio di quelle non distrettuali, ma
hanno completamente recuperato quanto perso nel 2009, quando
i livelli produttivi subirono un crollo. Il fatturato raggiunto nei di-
Anna Maria Moressa
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stretti nel 2015 ha, infatti, superato i valori del 2008 (+3,5%). Al
contrario, nelle aree non distrettuali il gap è ancora significativo
e pari al 2,5% (Fig.1).
Fig. 1 - Evoluzione del fatturato
(variazione % a prezzi correnti; valori mediani)
-14,8
9,96,3
-3,0
0,1 1,3 1,0
-2,5
-14,8
10,87,2
-1,9
1,6 2,7 1,63,5
-20
-15
-10
-5
0
5
10
15
2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 tra 2008e 2015
Aree non distrettuali Distretti
Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)
Il divario è ancora più evidente se si osserva la crescita del
fatturato tra il 2008 e il 2015 in Veneto: per le imprese distrettuali
la variazione è stata di + 7,6% mentre per le imprese in aree non
distrettuali, il differenziale di crescita si è fermato al +0,9 %.
L’evoluzione dei distretti italiani tra il 2008 e il 2015 è stata
migliore in tutti i settori di loro specializzazione. Il differenziale di
crescita è stato significativo nei settori dei prodotti e dei materiali
da costruzione (e, al suo interno, soprattutto le piastrelle), del
sistema moda (pelletteria e oreficeria su tutti) e della filiera agro-
I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo
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alimentare (vino, olio e carni in primis) (Fig.2).
Inoltre, grazie ai buoni risultati conseguiti nel 2015, anche i
distretti della meccanica, insieme all’agro-alimentare, al sistema
moda e ai beni intermedi (già su livelli di massimo nel 2014), sono
riusciti a toccare nuovi record storici in termini di fatturato.
Fig. 2 - Evoluzione del fatturato tra il 2008 e il 2015
nei principali settori di specializzazione dei distretti
(variazione % su dati a prezzi correnti; valori mediani)
-30 -20 -10 0 10 20 30
MobiliMetallurgia
Prod. in metalloElettrodomestici
Prod. e mat. costr.Moda: beni consumo
MeccanicaIntermedi
Moda: beni intermediAgricoltura
VinoAlimentare
Distretti Aree non distrettuali
Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)
Anna Maria Moressa
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Fig. 3 - Costo del lavoro
(costo del lavoro in migliaia di euro per addetto;
valori mediani)
32,4
33,6
35,9
37,6
28 30 32 34 36 38
Aree non distrettuali
Distretti
2015 2008
Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)
La miglior dinamica del fatturato ha spinto al rialzo la produt-
tività delle imprese distrettuali. In particolare, la produttività del
lavoro è cresciuta significativamente nei distretti e solo di poco
nelle aree non distrettuali, in tutti i settori: si è così ampliato il di-
vario, consentendo ai distretti di compensare quasi interamente
l’aumento del costo del lavoro per addetto (Fig.3 e Fig.4). Non è
stato così nelle aree non distrettuali.
I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo
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Fig. 4 - Produttività del lavoro
(valore aggiunto in migliaia di euro
a prezzi correnti per addetto; valori mediani)
49,2
50,6
50,9
55,0
46 48 50 52 54 56
Aree non distrettuali
Distretti
2015 2008
Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)
Sembra quindi che, in uno dei periodi più difficili della storia
economica recente per il nostro tessuto produttivo, la capacità
di reazione dei distretti sia stata migliore, soprattutto grazie alla
presenza di forza lavoro “relativamente più costosa” ma anche
più qualificata e produttiva. Nelle imprese distrettuali le maggiori
competenze e l’esperienza delle risorse umane sono un fattore
competitivo importante, da trattenere nell’azienda anche attra-
verso forme di riconoscimento retributivo, di opportunità di for-
mazione e di welfare aziendale.
Anna Maria Moressa
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Tali investimenti nel capitale umano si rivelano altamente van-
taggiosi in termini di andamento della produttività. Tra il 2008 e
il 2015 le imprese distrettuali hanno affrontato maggiori costi del
personale (+4 punti percentuali vs +3,5 punti percentuali delle
imprese non distrettuali) ricavando in termini di produttività un
aumento più che proporzionale (+4,4 punti percentuali vs +1,7
delle altre imprese non distrettuali).
Nel 2015 si è però interrotta la fase di recupero del ROI, a cau-
sa soprattutto della battuta d’arresto accusata dal sistema moda
che ha risentito del calo di fatturato sia per i beni intermedi sia
per quelli di consumo. Ciò non ha impedito alla redditività com-
plessiva di rafforzarsi ulteriormente, portandosi nei distretti su
livelli di massimo nel periodo analizzato, grazie alla nuova contra-
zione del costo medio dei debiti finanziari (Fig.5 e Fig.6).
Fig. 5 - Costo del debito
(oneri finanziari in % debiti finanziari; valori mediani)
6,6
4,74,1
6,4
4,43,9
0,0
1,0
2,0
3,0
4,0
5,0
6,0
7,0
2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
Aree non distrettuali Distretti
Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)
I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo
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Fig. 6 - ROE al netto delle imposte (valori mediani)
5,4
3,9
5,04,1 4,3
5,3
0
2
4
6
8
2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
Aree non distrettuali Distretti
Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)
3. La classifica dei miglioridistretti italiani
Le molte aree di eccellenza distrettuale italiane sono ordinate
in una classifica sulla base di un indicatore che riassume lo stato
di salute dei distretti per evoluzione del fatturato, delle esporta-
zioni e della redditività: nei migliori 15 distretti così ottenuti sono
rappresentate tutte le filiere produttive con una prevalenza di di-
stretti dell’agroalimentare (6) e della meccanica (3) da un lato, e
di distretti del Nord-Est (8) e del Nord-Ovest (3) dall’altro. Spic-
ca in particolare il Veneto che conta 7 distretti in questa speciale
classifica con il prosecco di Conegliano-Valdobbiadene al primo
posto, che ha ottenuto risultati brillanti su tutti i fronti, mostran-
Anna Maria Moressa
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do, in particolare, una crescita significativa di fatturato ed export
anche negli ultimi due anni. Seguono l’occhialeria di Belluno e
un po’ staccati, ma comunque su livelli di eccellenza, il legno e
arredo dell’Alto Adige al sesto posto, Dolci e pasta veronesi all’ot-
tavo posto, le materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova, la
meccanica strumentale di Vicenza e la termomeccanica scaligera.
4. Internazionalizzazione e innovazione i punti di forza dei distretti
Negli ultimi quindici anni l’organizzazione del tessuto produt-
tivo distrettuale è molto cambiato e ha visto lo sviluppo di rap-
porti gerarchici tra imprese leader e subfornitori, dove il focus
dell’attività dei leader è concentrato a monte e a valle della filiera
(ricerca e commercializzazione) e i confini del territorio di opera-
tività si sono estesi all’estero in seguito a numerosi investimenti
diretti. Oggi parliamo, quindi, sempre di distretti, ma intendia-
mo qualcosa di profondamente diverso che supera il concetto di
prossimità spaziale.
Infatti, soprattutto le imprese leader distrettuali hanno accre-
sciuto la loro internazionalizzazione in uscita, cercando di svilup-
pare sia la produzione diretta sui mercati di sbocco sia la propria
rete distributiva. Nei distretti non solo è più alta la quota di im-
prese che esportano (38,1% vs. 27,8%), ma è anche più elevata la
percentuale di imprese con attività di export e dotate, al contem-
po, di marchi registrati a livello internazionale (30,8% vs. 25,1%).
I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo
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Anche grazie alle imprese leader, i distretti sono ormai da
tempo diventati un luogo privilegiato per la diffusione e l’ado-
zione di comportamenti complessi e catalizzatori di innovazione
tecnologica, organizzativa e di mercato. Se si prende in esame
il versante dell’innovazione, ad esempio, le imprese distrettuali
superano quelle non distrettuali per circa 53 brevetti ogni 100
imprese 40 quelle non distrettuali (Fig.7).
Fig. 7 - I 4 punti di forza dei distretti industriali:
partecipate estere, marchi, export e brevetti
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Fig. 7 – I 4 punti di forza dei distretti industriali: partecipate estere, marchi, export e brevetti
Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)
In questo contesto spiccano nuovamente i distretti veneti: sono infatti il 41,7% le imprese
venete che esportano (vs 38,1% distretti Italia), il 33,5% quelle che lo fanno possedendo dei marchi
propri (vs 30,8% distretti Italia), il 37% quelle che si sono avvicinate ai loro clienti esteri con
partecipate di produzione diretta e di distribuzione (vs 28,9% distretti Italia).
Nella parte di innovazione osservabile dei brevetti depositati all’EPO (European Patent
Office) i distretti veneti presentano una incidenza inferiore rispetto alla media distrettuale nazionale
(47% vs 52,9%). Tre distretti veneti appaiono comunque ai primi 10 posti in Italia per il numero di
brevetti depositati all’EPO tra il 1998 e il 2015: la meccanica strumentale di Vicenza al 4° posto,
l’inox valley al 7° posto e le materie plastiche Vicenza, Padova e Treviso al 9° posto.
La competitività dei distretti veneti è ben sintetizzata dall’ampio saldo commerciale, salito
nel 2016 a quota 15,4 miliardi, che rappresenta l’84% dell’intero saldo commerciale manifatturiero
veneto. Si tratta di un indicatore importante che pone i distretti veneti in testa rispetto agli altri
Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)
Anna Maria Moressa
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In questo contesto spiccano nuovamente i distretti veneti:
sono infatti il 41,7% le imprese venete che esportano (vs 38,1%
distretti Italia), il 33,5% quelle che lo fanno possedendo dei mar-
chi propri (vs 30,8% distretti Italia), il 37% quelle che si sono av-
vicinate ai loro clienti esteri con partecipate di produzione diretta
e di distribuzione (vs 28,9% distretti Italia).
Nella parte di innovazione osservabile dei brevetti deposita-
ti all’EPO (European Patent Office) i distretti veneti presentano
una incidenza inferiore rispetto alla media distrettuale nazionale
(47% vs 52,9%). Tre distretti veneti appaiono comunque ai primi
10 posti in Italia per il numero di brevetti depositati all’EPO tra il
1998 e il 2015: la meccanica strumentale di Vicenza al 4° posto,
l’inox valley al 7° posto e le materie plastiche Vicenza, Padova e
Treviso al 9° posto.
La competitività dei distretti veneti è ben sintetizzata dall’am-
pio saldo commerciale, salito nel 2016 a quota 15,4 miliardi, che
rappresenta l’84% dell’intero saldo commerciale manifatturiero
veneto. Si tratta di un indicatore importante che pone i distretti
veneti in testa rispetto agli altri distretti italiani e che esprime la
capacità delle imprese distrettuali venete di “creare” ricchezza
per il territorio. Se a livello regionale le esportazioni distrettuali
venete rappresentano il 42,5% del totale, in alcune province di-
ventano prevalenti (è il caso di Belluno con il distretto dell’Oc-
chialeria che raggiunge il 73%).
Lo sviluppo del canale di vendita estero è stato uno dei fattori
strategici che hanno fatto la differenza nella crescita delle impre-
se distrettuali venete nel periodo post crisi. Nel 2016 i valori del-
le esportazioni distrettuali venete superavano quelli del 2008 del
I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo
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+20,4% contro l’aumento medio nazionale del +14,2%. La maggiore
crescita delle esportazioni distrettuali venete nel periodo 2008-2016
si conferma anche se confrontata con i competitor tedeschi specia-
lizzati nei settori distrettuali, cresciuti del +9,1%, e molto vicina alla
crescita complessiva del manifatturiero tedesco (+21,0%).
Un altro aspetto determinante dei distretti del Triveneto è che
hanno saputo tra il 2008 e il 2016 ampliare i loro mercati di sbocco:
l’incremento dell’export è stato di +4.084 milioni e di questi il 41%
è stato sviluppato su nuovi mercati. Nel 2016 la quota di export dei
distretti veneti verso i nuovi mercati è più alta di quella distrettuale
nazionale (35,5% distretti veneti vs 33,8% media nazionale).
5. Il ruolo di traino delle impresegrandi e medio-grandi
Le grandi imprese leader dei distretti- frutto di tante storie di
successo- sono divenute uno snodo fondamentale in quanto han-
no investito nel territorio e, al contempo, hanno potuto far leva
sul know-how presente nel tessuto produttivo locale.
Si tratta di un nucleo di soggetti con un peso e un ruolo molto
rilevante all’interno dei distretti. Esse inoltre sono particolarmen-
te evolute da un punto di vista strategico: mostrano un’elevatis-
sima presenza sui mercati esteri, accompagnata da investimenti
nel marchio e nel radicamento commerciale con filiali estere. Ap-
paiono poi particolarmente attive sul fronte dell’innovazione, con
una propensione a richiedere brevetti di gran lunga superiore alle
imprese non distrettuali.
Anna Maria Moressa
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La presenza di grandi imprese è più rilevante nei distretti ve-
neti, più che altrove: le grandi imprese venete (utilizzando la so-
glia dei 50 milioni di euro di fatturato) nei distretti sono il 4,2%
del totale (quasi il doppio rispetto ai territori non distrettuali con
il 2,3%). Il loro ruolo è determinante anche in termini di occupa-
zione: nei distretti veneti infatti gli addetti nelle grandi aziende
rappresentano il 45% del totale (circa 4 punti percentuali più ri-
spetto ai distretti-Italia e 13 punti percentuali in più rispetto ai
territori non distrettuali). Se si considera il fatturato il loro peso
sale al 57,8% (contro il 53,7% nei distretti Italia e il 44,8 % nei
territori non distrettuali) (Fig. 8).
Fig. 8 - Peso delle grandi aziende
(fatturato superiore a 50 milioni) a confronto
14
Fig. 8 - Peso delle grandi aziende (fatturato superiore a 50 milioni) a confronto
Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)
Il profilo strategico di queste grandi imprese nei distretti veneti è decisamente più evoluto
rispetto a quello delle altre imprese delle stesse dimensioni che operano in altri distretti o in aree
non distrettuali, soprattutto per quello che riguarda le diverse forme di internazionalizzazione. Le
grandi imprese distrettuali venete presentano una maggiore incidenza di aziende che esportano con
marchi (65,7% vs 62% altri distretti e vs 54,3% aree non distrettuali), e una maggiore
internazionalizzazione con IDE OUT (59,5 partecipata ogni 10 imprese vs 49,8 negli altri distretti e
40,2 nelle aree non distrettuali) (Fig. 9).
Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)
I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo
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Il profilo strategico di queste grandi imprese nei distretti ve-
neti è decisamente più evoluto rispetto a quello delle altre impre-
se delle stesse dimensioni che operano in altri distretti o in aree
non distrettuali, soprattutto per quello che riguarda le diverse
forme di internazionalizzazione. Le grandi imprese distrettuali
venete presentano una maggiore incidenza di aziende che espor-
tano con marchi (65,7% vs 62% altri distretti e vs 54,3% aree non
distrettuali), e una maggiore internazionalizzazione con IDE OUT
(59,5 partecipata ogni 10 imprese vs 49,8 negli altri distretti e
40,2 nelle aree non distrettuali) (Fig. 9).
Fig. 9 - Posizionamento strategico
delle grandi imprese a confronto
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Fig. 9 - Posizionamento strategico delle grandi imprese a confronto
Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)
Le nuove tecnologie digitali, soprattutto nel sistema moda, aprono poi alle grandi imprese la
possibilità di sviluppare nuovi modelli distributivi. Da una nostra ricognizione realizzata su 161
aziende capofila (che generano 14,5 miliardi di euro di fatturato) che operano in 36 distretti del
sistema moda, (di queste 22 imprese appartengono ai distretti veneti e ne rappresentano il 56% del
fatturato), emerge un approccio complesso dell’utilizzo dell’e-commerce, che ancora una volta
mette in evidenza il buon posizionamento del territorio veneto. Tutte le imprese capofila distrettuali
venete infatti utilizzano il canale delle vendite online (rispetto al 70% media nazionale), il 64%
vende effettivamente online sia con sito proprio sia attraverso un marketplace (vs 41% media
nazionale) e il 27% oltre a questi strumenti mette a disposizione dei clienti una propria app dedicata
(vs il 12% media nazionale).
Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)
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Le nuove tecnologie digitali, soprattutto nel sistema moda,
aprono poi alle grandi imprese la possibilità di sviluppare nuovi
modelli distributivi. Da una nostra ricognizione realizzata su 161
aziende capofila (che generano 14,5 miliardi di euro di fattura-
to) che operano in 36 distretti del sistema moda, (di queste 22
imprese appartengono ai distretti veneti e ne rappresentano il
56% del fatturato), emerge un approccio complesso dell’utilizzo
dell’e-commerce, che ancora una volta mette in evidenza il buon
posizionamento del territorio veneto. Tutte le imprese capofila
distrettuali venete infatti utilizzano il canale delle vendite online
(rispetto al 70% media nazionale), il 64% vende effettivamen-
te online sia con sito proprio sia attraverso un marketplace (vs
41% media nazionale) e il 27% oltre a questi strumenti mette a
disposizione dei clienti una propria app dedicata (vs il 12% media
nazionale).
Negli ultimi anni si è fatta strada una nuova forza propulsiva
composta da una classe di medie imprese, capaci di rafforzare i
propri livelli di redditività, aumentare il fatturato e accrescere il
numero dei propri addetti, facendo leva anche su una struttura
patrimoniale più solida. Ancora una volta si osserva l’estrema di-
namicità dimostrata dalle medie imprese dei distretti veneti che
presentano dei tassi di crescita del fatturato (+23,5% tra il 2008 e
il 2015) nettamente superiori sia a quelli medi nazionali delle im-
prese distrettuali delle stesse dimensioni (+17,6%), sia di quelle
in aree non distrettuali (10,6%).
I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo
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Fig. 10 - Evoluzione del fatturato tra il 2008 e il 2015
per dimensione delle imprese distrettuali venete
e nazionali a confronto con quelle non distrettuali
(variazioni % a prezzi correnti, valori mediani)
16
Negli ultimi anni si è fatta strada una nuova forza propulsiva composta da una classe di
medie imprese, capaci di rafforzare i propri livelli di redditività, aumentare il fatturato e accrescere
il numero dei propri addetti, facendo leva anche su una struttura patrimoniale più solida. Ancora
una volta si osserva l’estrema dinamicità dimostrata dalle medie imprese dei distretti veneti che
presentano dei tassi di crescita del fatturato (+23,5% tra il 2008 e il 2015) nettamente superiori sia a
quelli medi nazionali delle imprese distrettuali delle stesse dimensioni (+17,6%), sia di quelle in
aree non distrettuali (10,6%).
Fig. 10 – Evoluzione del fatturato tra il 2008 e il 2015 per dimensione delle imprese distrettuali venete e nazionali a confronto con quelle non distrettuali (variazioni % a prezzi
correnti, valori mediani)
Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID) Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)
Attraverso una selezione delle migliori imprese distrettuali di
media dimensione, che hanno cioè ottenuto le più alte perfor-
mance in termini di crescita di fatturato e addetti (tra il 2008-
2015 e tra il 2012-2015), e di redditività (2014-2015), si è potuto
ricavare un elenco di 360 imprese vincenti tra le quali appaiono
88 imprese venete. Queste aziende si profilano come veri “cham-
pion” con una variazione del fatturato che è più di 3 volte il valore
di crescita delle imprese medie distrettuali (66% vs 18% misurato
Anna Maria Moressa
27
tra 2008-2015) e rafforzano molto di più il loro EBITDA margin
(+ 3 punti percentuali tra il 2015 e il 2008 vs +0,5 punti percen-
tuali).
Per poter approfondire meglio le caratteristiche qualitative
del management e delle strategie competitive di queste impre-
se vincenti, sono state raccolte circa un centinaio di interviste ai
gestori (del gruppo Intesa Sanpaolo) delle migliori per crescita e
redditività.
Queste imprese, molto liquide e dotate di un elevato grado
di autofinanziamento, hanno puntato con decisione sui mercati
esteri, consolidando la loro presenza in Europa e accrescendo il
loro impegno nei mercati emergenti e negli Stati Uniti.
Alle strategie commerciali hanno affiancato l’attenzione alla
qualità del prodotto e alla flessibilità produttiva. Nella gran parte
dei casi, infatti, il successo non si basa su un solo fattore stra-
tegico, ma è frutto di un mix articolato di strategie, che, oppor-
tunamente combinate fra loro, consente alle imprese di essere
“veloci” e di rinnovarsi continuamente.
La crescita endogena è poi la via di sviluppo preferita: la quasi
totalità di queste aziende ha conosciuto uno sviluppo per linee in-
terne, eventualmente accompagnato da incorporazioni di aziende
fornitrici. Molte tra queste imprese sono impegnate nell’acquisi-
zione e nell’allestimento di nuovi siti produttivi, per aumentare
non solo la qualità ma anche la quantità, per soddisfare cioè i
nuovi ordini, che spesso arrivano dall’estero. Solo un’impresa su
dieci ha puntato sull’M&A. In alcuni casi, l’acquisizione ha riguar-
dato società per la gestione di punti vendita all’estero. In altre
esperienze, l’intento dell’acquisizione è stato quello di realizzare
I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo
28
internamente all’azienda fasi del ciclo produttivo precedente-
mente affidate a terzisti.
Emerge poi con forza il ruolo del management, pur in presen-
za di imprese spesso famigliari. Le medie imprese famigliari sono
caratterizzate da una buona capacità manageriale e ricevono una
spinta importante dal forte coinvolgimento della proprietà, so-
prattutto da un punto di vista finanziario.
6. La sfida digitalenelle filiere distrettuali
Le tecnologie 4.0 promettono nel prossimo futuro di favorire
anche paesi come l’Italia dove le piccole e medie imprese sono più
diffuse. Nel caso italiano possono portare a rafforzare la capacità
di realizzare prodotti personalizzati e in piccole serie, a gestire in
modo più efficiente i tradizionali rapporti di filiera distrettuali, a
valorizzare sia le competenze italiane nella meccatronica e nel-
la robotica, sia le eccellenze del sistema universitario nel campo
dell’ingegneria e della scienza.
Sono però necessari nuovi investimenti in macchinari, inno-
vazione e software da parte delle imprese, una maggiore dotazio-
ne di capitale umano con adeguate competenze tecnologiche, un
potenziamento della capacità di banda per connettere le imprese
al mercato e nelle filiere e piattaforme internazionali.
Per il tessuto produttivo italiano è, pertanto, importante far
proprio il nuovo paradigma di Industria 4.0, ma facendo attenzio-
ne a non perdere i vantaggi competitivi che da sempre l’hanno
Anna Maria Moressa
29
contraddistinto e che hanno spesso origine nelle filiere produt-
tive altamente radicate nei distretti. Fondamentale sarà il ruolo
delle imprese capofila che potranno trasmettere tecnologie 4.0
lungo tutta la catena del valore, mantenendo al contempo ben
saldi i rapporti con il tessuto produttivo locale. Se questa sarà la
tendenza, allora la diffusione capillare di filiere nel tessuto pro-
duttivo italiano potrà fare da volano, consentendo anche alle im-
prese più piccole, ma strategiche per le capofila, di fare il salto
tecnologico e di beneficiare dei vantaggi di innovazione e cono-
scenza offerti dalla rivoluzione in corso.
Si tratta in altre parole di trovare il giusto equilibrio tra il
know-how tacito e informale storicamente diffuso tra le PMI ita-
liane e la nuova conoscenza codificata, potenzialmente disponi-
bile e accessibile a tutti i soggetti legati da rapporti di filiera. In
prospettiva nelle filiere dei distretti è destinato a rimanere un
indotto forte di piccole imprese subfornitrici strategiche, in gra-
do non solo di “testare” e affinare le innovazioni e le attività di
R&S sviluppate dall’impresa capofila, ma anche di rispondere e
con precisione e flessibilità alle lavorazioni richieste, facendo leva
sulla vicinanza fisica.
7. Conclusioni
La crisi che ha colpito l’economia globale nel 2008 ha segnato
un periodo di difficoltà importante per le imprese italiane, che
hanno dovuto rivedere la propria efficienza interna e nello stesso
tempo intraprendere nuove strategie per tornare a crescere. A
I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo
30
distanza di 7 anni, questo percorso è risultato più positivo per
le imprese inserite nei distretti di specializzazione industriale ri-
spetto alle imprese operative in aree non distrettuali.
I distretti del Veneto in particolare hanno più che superato i
valori di fatturato del 2008, crescendo anche in maniera più in-
tensa delle altre aree distrettuali. L’analisi dei bilanci e dei fattori
strategici adottati dalle imprese distrettuali venete fa emergere le
chiavi di questo successo, che passa attraverso un mix articolato
di investimenti sul capitale umano, sullo sviluppo di marchi e di
brevetti di prodotto, sull’espansione dei mercati verso l’estero.
Le filiere produttive tradizionalmente radicate nei distretti
hanno funzionato meglio grazie alla presenza di grandi e medie
imprese che hanno trascinato nella crescita anche le piccole im-
prese subfornitrici attraverso rapporti di subfornitura che si sono
rinsaldati con reciprochi vantaggi. Le grandi e medie imprese ge-
stiscono la parte a monte della filiera con investimenti importanti
in R&S, brevetti e marchi, e a valle con il mercato internazionale,
mentre le piccole garantiscono qualità delle lavorazioni e dei pro-
dotti e maggiore flessibilità della produzione.
In questo contesto è risultata particolarmente vincente una
classe di medie imprese che hanno raggiunto l’eccellenza avva-
lendosi di un mix di fattori competitivi che derivano in parte dai
vantaggi della specializzazione interna all’ecosistema del distret-
to, in parte dalle capacità manageriali della proprietà.
Con la rivoluzione industriale 4.0 e l’applicazione sempre più
pervasiva delle nuove tecnologie di digitalizzazione, si aprono ul-
teriori opportunità di accelerazione della crescita per i distretti
industriali, ma anche di una loro trasformazione. La possibilità di
Anna Maria Moressa
31
scambiare informazioni in tempo reale tra siti produttivi anche
remoti può favorire la nascita di filiere non necessariamente di
prossimità. In questo contesto si inserisce però il ruolo centrale
dei distretti come luoghi eletti ad essere “laboratorio diffuso” di
progettazione e di prototipazione di prodotti in virtù delle compe-
tenze e di quel saper fare che storicamente hanno sviluppato nel
loro tessuto industriale.
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I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo
37
Il futuro delle costruzionitra recupero
e innovazione
Federico Della Puppa
1. Introduzione
Il decennio 2008-2017 ci ha consegnato la più grave crisi delle
costruzioni del secondo dopoguerra. I numeri sono ben noti e rac-
contano che il settore nell’arco degli ultimi dieci anni ha perso oltre
un terzo del giro d’affari e in alcuni ambiti di mercato la flessione è
stata anche superiore. Il futuro non prevede un ritorno ai livelli pro-
duttivi pre-crisi, ma la crisi, come dice l’etimologia stessa della paro-
la, porta dentro sé i driver della possibile ripresa dello sviluppo. Che
non vuol dire necessariamente e solamente crescita del mercato, ma
soprattutto riorganizzazione e ridefinizione della competitività del
sistema, oltre che individuazione di nuove aree di intervento e di
nuove fonti e modalità di finanziamento delle attività.
Al centro del rinnovamento del mercato va messo il prodotto
edilizio e le esigenze di promuovere una nuova stagione produtti-
va che ponga al centro del prodotto e del processo costruttivo la
38
qualità dell’edificato e il contenimento energetico. Un primo ele-
mento di riflessione riguarda la sostenibilità. Come noto secon-
do dati UE, l’edilizia è responsabile di quasi il 40% del consumo
energetico finale e del 36% delle emissioni di gas serra1 e secon-
do l’Enea gli sprechi energetici delle abitazioni sono molteplici:
57% riscaldamento, 25% acqua calda sanitaria, 11% apparecchi
elettrici e 7% gas e cucina.2 In questo scenario rinnovare e rive-
dere i processi produttivi può diventare un fattore strategico per
riorientare massicciamente l’attività verso soluzioni tecnicamen-
te avanzate ed ecocompatibili, con obiettivi di risparmio energe-
tico e certificazione dei consumi. Ciò va fatto anche in ragione
delle potenzialità del mercato del recupero e della crescita delle
esigenze di qualificazione del tessuto edificato, un patrimonio di
edifici vecchi (oltre l’82% costruiti prima del 1991) che oggi non
sono più in grado di assolvere in modo efficiente alla domanda
abitativa di qualità.
Inoltre, mai come in questi anni, il recupero e la ristrutturazio-
ne possono contare su un sistema di incentivi fiscali e detrazioni
in grado di facilitare il processo di intervento, anche e soprattutto
in ambiti nei quali fino ad oggi non si è agito, ma che rappresen-
tano la vera sfida per il futuro. Si tratta degli edifici condominiali,
per i quali le detrazioni fiscali e la possibilità di cedere il credito
oggi sono strumenti utilizzabili ma certamente non di facile uti-
lizzo. Ma per il futuro delle costruzioni la sfida è proprio lì: agire
1 Commissione Europea, Indicatori per l’energia, i trasporti e l’ambiente, edi-zione 2012.
2 ENEA, Rapporto annuale efficienza energetica, Roma 2017
Federico Della Puppa
39
dove finora non si è agito, con particolare riferimento alle scelte
strategiche relative al mercato del recupero e della riqualificazio-
ne e al tema dell’innovazione, che oggi è soprattutto innovazione
d’impresa, di filiera e di rete.
2. Chi cerca trova
Peter Drucker, economista e saggista di origini austriache ma
naturalizzato statunitense, in un celebre aforisma affermava che
“tentare di prevedere il futuro è come cercare di guidare in una
strada di campagna, di notte, senza luci e con lo sguardo fisso
allo specchietto retrovisore”. Drucker, con una schiettezza tipi-
camente austriaca mista alla pragmaticità americana, ricordava
in questo modo ai suoi interlocutori che nessuno ha la sfera ma-
gica e nessuno può predire il futuro, se non guidando alla cieca,
con il rischio di sbagliare facilmente e uscire di strada. Possiamo
solo farci domande adeguate e cercare di capire, dai vari segnali
e indicatori che abbiamo a disposizione, quali possono essere gli
scenari nei quali muoverci. Ben sapendo che questi scenari sono
sottoposti a cambiamenti strutturali e cambiamenti congiuntu-
rali. E ricordandoci sempre che non ci sono risposte semplici a
questioni complesse. Dove va l’economia, dove va la società, quali
sono gli ambiti di mercato verso i quali orientare la nostra attivi-
tà, quali sono gli andamenti che possono aiutarci a fare le giuste
scelte al fine di incrementare le nostre performance sono temi
che vanno affrontati in modo consapevole. Viviamo nell’era della
consapevolezza, nell’era dell’informazione e della comunicazione,
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
40
nell’era nella quale l’insieme di notizie, dati e statistiche dovreb-
be permetterci di vedere la strada di giorno, in piena luce e con
lo sguardo alla carreggiata. E invece non è così, siamo sempre
alla ricerca di indicazioni più specifiche, di elementi di analisi che
contestualizzino il tempo nel quale viviamo e nel quale le nostre
imprese devono operare. Ma il tempo in cui viviamo ha ritmi e
dinamiche completamente diverse da quelle del passato, quando
i fenomeni economici e sociali si evolvevano in tempi lunghi. Oggi
i cambiamenti sono veloci e repentini. Come fare dunque? Innan-
zitutto partire dai dati reali statistici è sempre una buona prassi.
I dati sono una misura di un andamento, sono una lanterna che
illumina la strada, anche se lo fa solo dove siamo, qui e ora, non
ci consente di guardare molto avanti. Ma può aiutarci a decifrare
la strada. Per trovare la strada dobbiamo cercarla e i dati possono
aiutarci a comprendere non solo dove stiamo andando, ma anche
se abbiamo intrapreso il cammino in modo adatto, con il giusto
equipaggiamento, con le dovute attenzioni. Soprattutto leggendo
i dati in modo integrato, per non fare errori di valutazione.
Gli ultimi dati sul settore delle costruzioni e sulle aspettati-
ve degli imprenditori potrebbero infatti raccontarci di un settore
che sta tornando a evoluzioni positive. Un po’ è vero e alcuni se-
gnali di rientro dai numeri costantemente in flessione che abbia-
mo letto in questi anni ci sono. Osservando ad esempio il dato
riferito alla fiducia delle imprese possiamo notare che mediamen-
te nel lungo periodo ha avuto una crescita continua, anche se
altalenante, con gli ultimi dati disponibili, relativi al 2017, non
particolarmente positivi. Ma nella evoluzione di lungo periodo il
miglioramento c’è, un miglioramento che si nota anche nelle sta-
Federico Della Puppa
41
tistiche legate agli ordini e ai giudizi sui portafogli delle imprese,
anch’essi in crescita. Ma se si leggono questi dati intrecciandoli
a quelli reali non relativi alle aspettative ma all’attività svolta, si
può notare che il settore non è ancora uscito dalle problematiche
di un mercato ancora negativo nei giudizi sull’attività svolta, giu-
dizi in miglioramento ma che rallentano nella dinamica positiva.
Il 2014 aveva ben fatto sperare, il 2015 ha stabilizzato e il 2016
ha consolidato al ribasso il giudizio delle imprese. Questi giudizi
sono confermati dal valore reale della produzione che, fatto 100
il 2010, un anno non certo felice per il settore, nel 2017 presenta
un dato medio pari a circa 65. In sette anni si è perso più di un
terzo della produzione.
Graf. 1 - Variazioni percentuali mensili del valore
della produzione nel settore delle costruzioni
5
Graf. 1 - Variazioni percentuali mensili del valore della produzione nel settore delle costruzioni
Fonte: elaborazione su dati Istat
Graf. 2 - Clima di fiducia delle imprese di costruzioni (numero indice base 2010=100)
Fonte: elaborazione su dati Istat
Fonte: elaborazione su dati Istat
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
42
Graf. 2 - Clima di fiducia delle imprese di costruzioni
(numero indice base 2010=100)
5
Graf. 1 - Variazioni percentuali mensili del valore della produzione nel settore delle costruzioni
Fonte: elaborazione su dati Istat
Graf. 2 - Clima di fiducia delle imprese di costruzioni (numero indice base 2010=100)
Fonte: elaborazione su dati Istat Fonte: elaborazione su dati Istat
Graf. 3 - Produzione edilizia in Italia
(numero indice base 2010=100)
6
Graf. 3 - Produzione edilizia in Italia (numero indice base 2010=100)
Fonte: elaborazione su dati IstatFonte: elaborazione su dati Istat
Federico Della Puppa
43
3. Un mercato ancora in assestamento
Il mercato delle costruzioni presenta dunque in Italia e anche in
Veneto uno scenario di assestamento, mentre in Europa la ripresa
è più solida e va consolidandosi. L’economia europea infatti ha da
tempo iniziato a produrre dinamiche estremamente positive, con
crescite del Pil pari al 2,3% e con indicatori di crescita del settore
delle costruzioni in decisa ripresa. Anche in Italia il Pil nazionale è in
crescita e sta consolidando la sua dinamica, con un valore tendenzia-
le per il 2017 pari all’1,5%, ma a differenza del resto dei paesi europei
lo scenario delle costruzioni non presenta invece la stessa dinami-
ca positiva, con andamenti molto altalenanti e con trend negativi in
alcuni mesi, tali da limitare le speranze di una ripresa consistente,
portando di nuovo l’orizzonte ad uno scenario di “galleggiamento”
dove l’andamento medio annuo per il 2017 è pari a un +0,6%, mentre
in prospettiva futura per il 2018 si può ipotizzare un valore comples-
sivo di crescita compreso tra il +0,8% e il +1,2%. L’economia italiana
corre meno dell’Europa ma soprattutto le costruzioni non sono più
un elemento di traino per lo sviluppo.
Questo nuovo scenario si deve al cambiamento dell’economia
e dei trend complessivi legati allo sviluppo economico, anche nel-
la nostra regione, dove per il quindicesimo trimestre consecutivo il
settore delle costruzioni non riesce a staccarsi dalla linea di assesta-
mento e galleggiamento che ruota intorno allo 0%. Infatti nel terzo
trimestre del 2017 sulla base dell’indagine VenetoCongiuntura3, il
3 Veneto Congiuntura, analisi congiunturale trimestrale sul mercato delle costru-zioni in Veneto, promossa congiuntamente da Edilcassa Veneto e Unioncamere Veneto e realizzata su un campione di 600 imprese con almeno un dipendente.
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
44
fatturato delle imprese di costruzioni ha registrato una situazione di
sostanziale stabilità (0,1%), anche se con dinamiche diverse tra im-
prese artigiane e non artigiane. Le imprese non artigiane registrano
un valore positivo pari a +0,4% mentre quelle artigiane evidenziano
una debole variazione negativa del fatturato (-0,2%). Per il quindice-
simo trimestre consecutivo prosegue dunque la fluttuazione del giro
d’affari del settore, con andamenti che si discostano poco dallo zero
e che indicano come l’edilizia sia entrata in una fase di stagnazione
post crisi dovuta ad una riduzione degli investimenti legati soprat-
tutto alla nuova costruzione, mentre il recupero prosegue la sua di-
namica positiva, con trend di debole ma costante crescita.
Graf. 4 - Variazione congiunturale del volume d’affari
delle imprese di costruzione in Veneto
per tipologia di impresa
8
consecutivo prosegue dunque la fluttuazione del giro d’affari del settore, con andamenti che si
discostano poco dallo zero e che indicano come l’edilizia sia entrata in una fase di stagnazione post
crisi dovuta ad una riduzione degli investimenti legati soprattutto alla nuova costruzione, mentre il
recupero prosegue la sua dinamica positiva, con trend di debole ma costante crescita.
Graf. 4 - Variazione congiunturale del volume d’affari delle imprese di costruzione in Veneto per tipologia di impresa
Fonte: VenetoCongiuntura
A livello dimensionale si registra una dinamica negativa nelle imprese di piccola dimensione
(da 1 a 5 dipendenti) pari a -0,9% mentre le medie e le grandi imprese continuano ad evidenziare
una situazione di miglioramento (+1,1% da 6 a 9 addetti e +0,6% oltre i 9). Prosegue dunque anche
nel terzo trimestre 2017 la tendenza, già ben documentata nei trimestri precedenti, a diversificare le
dinamiche di mercato tra microimprese e imprese più strutturate, con un chiaro segnale che indica
come oggi per competere nel settore sia necessario avere una struttura operativa in grado di essere
al contempo flessibili ma anche ben strutturati e organizzati.
Fonte: VenetoCongiuntura
Federico Della Puppa
45
A livello dimensionale si registra una dinamica negativa nel-
le imprese di piccola dimensione (da 1 a 5 dipendenti) pari a
-0,9% mentre le medie e le grandi imprese continuano ad evi-
denziare una situazione di miglioramento (+1,1% da 6 a 9 addet-
ti e +0,6% oltre i 9). Prosegue dunque anche nel terzo trimestre
2017 la tendenza, già ben documentata nei trimestri precedenti,
a diversificare le dinamiche di mercato tra microimprese e im-
prese più strutturate, con un chiaro segnale che indica come
oggi per competere nel settore sia necessario avere una struttu-
ra operativa in grado di essere al contempo flessibili ma anche
ben strutturati e organizzati.
Le analisi a consuntivo dei dati di mercato comunicati dalle
aziende nel terzo trimestre 2017 indicano un leggero aumen-
to degli ordini, +0,3% rispetto allo stesso trimestre dell’anno
precedente, con una dinamica migliore per le imprese non ar-
tigiane (+0,5%), ma una dinamica comunque positiva, pur se
più contenuta, per le imprese artigiane, pari a un +0,2%, un
segnale debole dal punto di vista quantitativo, ma significativo
dal punto di vista del segno aritmetico, che indica un poten-
ziale inizio di ripresa dopo mesi di stagnazione del mercato.
Sotto il profilo dimensionale risulta negativa la variazione delle
piccole imprese (-0,5%) mentre segnano un aumento le medie
(+0,2%) e le grandi imprese che spiccano con un +1,4%. Es-
sere strutturati e organizzati dunque oggi ha un valore che si
riflette in una migliore capacità competitiva delle imprese nel
settore. A livello territoriale nel terzo trimestre 2017 Verona,
Vicenza (entrambe -0,3%) e Venezia (-0,2%) hanno registra-
to variazioni in lieve diminuzione, Padova ha evidenziato una
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
46
situazione di stabilità. Spicca il dato positivo di Treviso, con
un interessante +2% mentre Rovigo e Belluno hanno segnato
variazioni in aumento meno marcate (rispettivamente +0,8%
e +0,4%).
Sul fronte dei prezzi, il terzo trimestre 2017 ha registrato
un aumento del +1,7% rispetto allo stesso trimestre dell’anno
precedente. Le imprese artigiane hanno accusato una crescita
del +2% mentre quelle non artigiane del +1,2%. L’inflazione
dunque inizia a farsi sentire nel mercato e questo è da un lato
indice di una leggera ripresa ma anche di un limite congiuntu-
rale per le aziende, in quanto ciò si riflette sulla capacità com-
petitiva nel mercato, con conseguente “battaglia sui prezzi”,
un fenomeno ben conosciuto e purtroppo molto difficile da li-
mitare in questo settore. Per quanto riguarda il profilo dimen-
sionale l’aumento è stato generalizzato con una variazione pari
a +1,7% per le imprese fino a 9 dipendenti e +1,5% per quelle
di più grandi dimensioni. A livello territoriale, come per il tri-
mestre precedente, a soffrire maggiormente dell’incremento
dei prezzi sono Padova e Vicenza (+2,4%) mentre l’aumento è
stato meno marcato nella provincia di Verona +0,9%.
Dal punto di vista dell’occupazione il terzo trimestre 2017
ha registrato una diminuzione del -0,5% su base annua, deter-
minata principalmente dalla variazione negativa delle imprese
artigiane. È un dato che riflette una situazione di mercato an-
cora in assestamento, che non permette alle aziende di agire
ancora secondo modalità di consolidamento. “Galleggiare” si-
gnifica anche agire su alcuni asset aziendali, nei quali nei mo-
menti di difficoltà il fattore occupazione è il primo a subire
Federico Della Puppa
47
contraccolpi. A livello dimensionale la perdita occupazionale
interessa soprattutto le imprese di piccole dimensioni, vero
anello debole oggi del settore. La microdimensionalità non
consente infatti economie di scala e ottimizzazioni gestiona-
li che nelle imprese più strutturate sono una delle leve della
competitività.
Dal punto di vista previsionale rimangono comunque positi-
ve le aspettative degli imprenditori veneti delle imprese di co-
struzioni, con aspettative negative sull’andamento del mercato
residenziale e non residenziale di nuova costruzione, mentre
l’Osservatorio trimestrale di Edilcassa Veneto e Unioncamere
continua a registrare una sostanziale positività delle aspettati-
ve delle imprese per il mercato delle ristrutturazioni e, in mi-
sura minore, anche per il comparto delle opere pubbliche. Se
la lunga crisi da un lato sembra decisamente finita, lo scenario
attuale e quello previsionale presentano indubbiamente luci e
ombre. I segnali positivi comunque ci sono, anche se non sono
così rilevanti e le dinamiche positive vanno ricercate in alcuni
comparti, recupero e ristrutturazioni soprattutto, e premiano
le imprese più strutturate, quelle in grado di essere dunque
più organizzate e più competitive. La dinamica debolmente po-
sitiva e le attese delle imprese devono trovare consolidamento
e forza soprattutto nelle azioni di sostegno e di aiuto che il
Governo, nazionale ma anche quello regionale, può mettere in
campo, dagli incentivi per la defiscalizzazione degli interventi
e le detrazioni fiscali sui lavori alle agevolazioni per la riquali-
ficazione del patrimonio edificato che in Veneto, a partire dal
2009 con la prima legge sul piano casa, hanno dato un forte
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
48
impulso al settore, soprattutto in un momento congiunturale
difficile. Oggi gli strumenti di aiuto al settore sono molteplici
e vanno intesi nella logica della nuova legge sul contenimento
del consumo di suolo, al cui interno vi sono molte opportunità
di recupero e riqualificazione del patrimonio edificato. È su
quella strada che bisogna insistere, una strada giusta, l’unica
che può dare una vera ripartenza al settore, che tuttavia deve
rivedere le sue modalità operative, a partire dalla organizza-
zione e gestione delle imprese e, associata a questa, dall’in-
novazione non solo tecnologica ma del processo costruttivo e
manutentivo. È la vera sfida che le imprese hanno di fronte a
loro per il 2018.
4. Più ombre che luci
In attesa di avere i dati definitivi relativi al 2017, lo scenario
quantitativo delle imprese e dell’occupazione nelle costruzioni
in Veneto presenta certamente più ombre che luci. Dopo un
2015 negativo, nel quale le imprese erano già diminuite di ol-
tre 1.700 unità, nel 2016 il calo è proseguito, con una perdita
di ulteriori 1.200 imprese, per il 90% artigiane. La flessione è
stata complessivamente del -1,8%, un dato in controtendenza
con l’andamento di mercato, ma con una differenza abbastanza
significativa tra il -2,1% delle imprese artigiane e il -0,8% delle
imprese non artigiane. La dinamica negativa ha continuato a
colpire dunque in modo particolare le imprese artigiane, come
negli anni precedenti. Ancora una volta tutte le forme giuridi-
Federico Della Puppa
49
che di impresa hanno fatto segnare andamenti negativi, con
l’unica eccezione delle società di capitali artigiane, che hanno
fatto registrare un +5,8% rispetto al 2015. Sono elementi signi-
ficativi che evidenziano la necessità di una maggiore struttu-
razione delle imprese, soprattutto in ragione di una dinamica
negativa che ha fatto segnare per la prima volta un numero di
imprese artigiane attive inferiore alle 50mila unità. A questo
proposito, osservando i dati relativi alla dinamica imprendito-
riale relativa agli ultimi sei anni, si può notare come dal 2010 al
2016 complessivamente le imprese siano diminuite del -13,3%,
con una flessione maggiore nelle imprese artigiane, -14,4%, e
minore per le non artigiane, -9,3%. In forte flessione nel perio-
do considerato le società di persone, sia artigiane che non arti-
giane, e le ditte individuali dell’artigianato. In sostanza quelle
che un tempo erano le imprese che garantivano l’operatività
delle costruzioni sembra che oggi non siano più in grado di
essere i motori della competitività e che dunque altre forme
siano più adatte per stare nel mercato. In forte aumento invece
le imprese artigiane di capitale, che tra il 2010 e il 2016 sono
cresciute del +27,9%, raggiungendo un peso complessivo del
24,3% sul totale delle società di capitale del settore e del 4,5%
sul totale delle imprese.
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
50
Tab. 1 - Imprese attive nel settore
delle costruzioni in Veneto
13
Tab. 1 - Imprese attive nel settore delle costruzioni in Veneto
2010 2015 2016Var. %2016/2015
Var. % 2016/2010
ArtigianeForma giuridicaSocietà di capitale 2.258 2.730 2.887 5,8 27,9
Società di persone 7.956 6.935 6.763 -2,5 -15,0
Imprese individuali 47.799 41.039 39.978 -2,6 -16,4
Altre forme* 61 77 71 -7,8 16,4
Totale 58.074 50.781 49.699 -2,1 -14,4
Non ArtigianeForma giuridicaSocietà di capitale 9.675 8.984 8.980 0,0 -7,2
Società di persone 3.222 2.682 2.539 -5,3 -21,2
Imprese individuali 2.788 2.733 2.760 1,0 -1,0
Altre forme* 807 672 671 -0,1 -16,9
Totale 16.492 15.071 14.950 -0,8 -9,3
Totale 74.566 65.852 64.649 -1,8 -13,3
Fonte: elaborazione su dati Movimprese
Ma il 2016 è stato un anno difficile nel Veneto delle costruzioni anche a livello
occupazionale, con un ulteriore crollo del -10,4% a livello complessivo e una diminuzione molto
significativa, pari al -13,7% nell’occupazione dipendente, e un -6,2% nell’occupazione
indipendente. Nell’arco di sei anni si è passati da circa 170mila addetti a poco meno di 127.000, con
una perdita netta nell’ultimo anno di quasi 11.000 dipendenti e di oltre 3.800 indipendenti, per un
totale di 14.737 addetti in meno nel settore, pari ad una perdita media di 40 posti di lavoro al giorno.
La dinamica di lungo periodo nei sei anni tra il 2010 e il 2016 evidenzia che il settore ha perso in
Veneto oltre un quarto degli addetti, -25,5%, con una perdita dell’occupazione dipendente pari al -
30,5% e di quella indipendente del -18,7%. Sono cifre molto importanti che evidenziano la grande
difficoltà di mercato per le imprese attive. La riduzione occupazionale introduce anche un diverso
Fonte: elaborazione su dati Movimprese
Federico Della Puppa
51
Ma il 2016 è stato un anno difficile nel Veneto delle costru-
zioni anche a livello occupazionale, con un ulteriore crollo del
-10,4% a livello complessivo e una diminuzione molto signifi-
cativa, pari al -13,7% nell’occupazione dipendente, e un -6,2%
nell’occupazione indipendente. Nell’arco di sei anni si è passati
da circa 170mila addetti a poco meno di 127.000, con una per-
dita netta nell’ultimo anno di quasi 11.000 dipendenti e di oltre
3.800 indipendenti, per un totale di 14.737 addetti in meno nel
settore, pari ad una perdita media di 40 posti di lavoro al giorno.
La dinamica di lungo periodo nei sei anni tra il 2010 e il 2016
evidenzia che il settore ha perso in Veneto oltre un quarto degli
addetti, -25,5%, con una perdita dell’occupazione dipendente
pari al -30,5% e di quella indipendente del -18,7%. Sono cifre
molto importanti che evidenziano la grande difficoltà di mercato
per le imprese attive. La riduzione occupazionale introduce an-
che un diverso peso del numero di addetti per singola impresa,
che nel 2010 era pari 2,3 e nel 2016 scende a 2,0, segno di una
frammentazione ulteriore del tessuto produttivo edilizio.
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
52
Tab. 2 - Veneto. Occupati nelle costruzioni
per posizione nella professione. Anni 2010-2016
14
peso del numero di addetti per singola impresa, che nel 2010 era pari 2,3 e nel 2016 scende a 2,0,
segno di una frammentazione ulteriore del tessuto produttivo edilizio.
2010 2015 2016 Var. % 2016/2015
Var. % 2016/2010
Valori assoluti Dipendenti 98.578 79.383 68.499 -13,7 -30,5
Indipendenti 71.977 62.342 58.489 -6,2 -18,7
Totale 170.555 141.725 126.988 -10,4 -25,5
Fonte: elaborazione su dati Istat
2010 2015 2016 Var. % 2016/2015
Var. % 2016/2010
Veneto 170.555 141.725 126.988 -10,4 -25,5
Italia 1.888.999 1.468.294 1.403.725 -4,4 -25,7 % Veneto/Italia 9,0 9,7 9,0
La situazione peraltro non è diversa a livello nazionale, anzi. Nel complesso tra il 2010 e il
2016 a livello italiano il settore ha perso in percentuale lo stesso numero di addetti del Veneto, -
25,7% contro -25,5%, ma se si guardano i dati di confronto si può notare che mentre a livello
regionale la maggiore perdita è stata proprio nel 2016, con una dinamica negativa pari a 2,5 volte
quella media nazionale, -10,4% contro il -4,4%. Questo indicatore è il segno che nonostante le
buone capacità di molte imprese venete di reggere la crisi, nel lungo periodo e in assenza di segnali
Fonte: elaborazione su dati Istat
Tab. 3 - Italia/Veneto.
Andamento dell’occupazione nelle costruzioni
14
peso del numero di addetti per singola impresa, che nel 2010 era pari 2,3 e nel 2016 scende a 2,0,
segno di una frammentazione ulteriore del tessuto produttivo edilizio.
2010 2015 2016 Var. % 2016/2015
Var. % 2016/2010
Valori assoluti Dipendenti 98.578 79.383 68.499 -13,7 -30,5
Indipendenti 71.977 62.342 58.489 -6,2 -18,7
Totale 170.555 141.725 126.988 -10,4 -25,5
Fonte: elaborazione su dati Istat
2010 2015 2016 Var. % 2016/2015
Var. % 2016/2010
Veneto 170.555 141.725 126.988 -10,4 -25,5
Italia 1.888.999 1.468.294 1.403.725 -4,4 -25,7 % Veneto/Italia 9,0 9,7 9,0
La situazione peraltro non è diversa a livello nazionale, anzi. Nel complesso tra il 2010 e il
2016 a livello italiano il settore ha perso in percentuale lo stesso numero di addetti del Veneto, -
25,7% contro -25,5%, ma se si guardano i dati di confronto si può notare che mentre a livello
regionale la maggiore perdita è stata proprio nel 2016, con una dinamica negativa pari a 2,5 volte
quella media nazionale, -10,4% contro il -4,4%. Questo indicatore è il segno che nonostante le
buone capacità di molte imprese venete di reggere la crisi, nel lungo periodo e in assenza di segnali
Fonte: elaborazione su dati Istat
Federico Della Puppa
53
La situazione peraltro non è diversa a livello nazionale,
anzi. Nel complesso tra il 2010 e il 2016 a livello italiano il
settore ha perso in percentuale lo stesso numero di addetti del
Veneto, -25,7% contro -25,5%, ma se si guardano i dati di con-
fronto si può notare che mentre a livello regionale la maggiore
perdita è stata proprio nel 2016, con una dinamica negativa
pari a 2,5 volte quella media nazionale, -10,4% contro il -4,4%.
Questo indicatore è il segno che nonostante le buone capacità
di molte imprese venete di reggere la crisi, nel lungo periodo
e in assenza di segnali di ripresa l’occupazione diventa uno dei
principali segnali della debolezza del settore di fronte alle con-
dizioni incerte del mercato, anche in presenza di opportunità
consolidate come il “piano casa” e gli incentivi per le ristruttu-
razioni edilizie e la rigenerazione energetica degli edifici.
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
54
Tab. 4 - Valori medi mensili per anno relativi agli operai
e alle ore lavorate delle imprese
iscritte in Edilcassa Veneto
15
di ripresa l’occupazione diventa uno dei principali segnali della debolezza del settore di fronte alle
condizioni incerte del mercato, anche in presenza di opportunità consolidate come il “piano casa” e
gli incentivi per le ristrutturazioni edilizie e la rigenerazione energetica degli edifici.
Tab. 4 - Valori medi mensili per anno relativi agli operai e alle ore lavorate delle imprese iscritte in Edilcassa Veneto
operaivar. % operai ore
var. %ore
ore/operaio
var. % media
ore
2006 15.909 2.035.176 128
2007 18.226 14,6 2.286.035 12,3 125 -2,0
2008 17.775 -2,5 2.165.940 -5,3 122 -2,8
2009 15.412 -13,3 1.833.792 -15,3 119 -2,4
2010 14.126 -8,3 1.679.941 -8,4 119 -0,1
2011 13.458 -4,7 1.633.799 -2,7 121 2,1
2012 12.212 -9,3 1.410.098 -13,7 115 -4,9
2013 10.859 -11,1 1.237.839 -12,2 114 -1,3
2014 10.139 -6,6 1.172.253 -5,3 116 1,4
2015 9.858 -2,8 1.191.561 1,6 121 4,5
2016 10.039 1,8 1.231.001 3,3 123 1,4
Fonte: elaborazione su dati Edilcassa Veneto
Per un settore che negli anni del boom e della crescita era in grado di creare 6 imprese al
giorno e fino a 18 posti di lavoro al giorno, è un dato di enorme rilevanza che nel periodo 2010-
2016 la media in Veneto sia stata di 5 imprese e 20 posti di lavoro in meno al giorno. A tal
proposito, molto interessante è la lettura della dinamica delle ore lavorate e denunciate in Edilcassa
Veneto nel periodo 2006-2016, che evidenzia una sostanziale armonizzazione con gli andamenti di
mercato, che a partire dal 2008 hanno iniziato a evidenziare la crisi del settore, che ha colpito
Fonte: elaborazione su dati Edilcassa Veneto
Per un settore che negli anni del boom e della crescita era in gra-
do di creare 6 imprese al giorno e fino a 18 posti di lavoro al giorno,
è un dato di enorme rilevanza che nel periodo 2010-2016 la media in
Veneto sia stata di 5 imprese e 20 posti di lavoro in meno al giorno. A
tal proposito, molto interessante è la lettura della dinamica delle ore
lavorate e denunciate in Edilcassa Veneto nel periodo 2006-2016,
che evidenzia una sostanziale armonizzazione con gli andamenti di
Federico Della Puppa
55
mercato, che a partire dal 2008 hanno iniziato a evidenziare la crisi
del settore, che ha colpito duramente soprattutto nel primo biennio
2009-2010 e successivamente nel secondo biennio 2012-2013, con
una dinamica molto negativa in termini di numero di operai medi
mensili registrati come attivi e soprattutto come numero medio
mensile di ore lavorate e denunciate. I numeri medi mensili per anno
indicano come non solo siano avvenuti cambiamenti sostanziali nella
dinamica complessiva delle ore lavorate, ma come sia anche cam-
biata l’incidenza delle ore medie lavorate per singolo operaio. Ana-
lizzando i dati medi mensili emerge dunque una dinamica che mette
in evidenzia come a partire dal 2008 ci sia stata una diminuzione
molto significativa del numero medio mensile di operai, con il picco
del -13,3% nel 2009 e del -11,1% nel 2013, ai quali hanno corrisposto
dinamiche negative del numero medio di ore lavorate sia nel 2009,
con un significativo -15,5%, e nel 2012 e nel 2013, due anni nei quali i
valori negativi hanno rispettivamente fatto segnare -13,7% e -12,2%.
A partire dal 2015 si intravvede un rallentamento nella dina-
mica negativa, in particolare nelle ore medie mensili lavorate, che
nel 2015 hanno fatto registrare un incremento dell’1,6% a fron-
te comunque di una diminuzione del numero medio di operai, in
flessione del -2,8%. Nel 2016 invece entrambi gli indicatori sono
positivi, con una crescita sia del numero di operai, +1,8%, che del
numero di ore medie lavorate, +3,3%. Questi indicatori hanno un
diretto rapporto con il numero medio di ore mensili lavorate per
operaio, un valore che nel periodo pre-crisi era pari a 128 ore/
mese nel 2006 e 125 ore/mese nel 2007, per poi scendere drasti-
camente fino al picco negativo del 2014, quando questo indicato-
re tocca il valore più basso di 114 ore/mese per operaio.
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
56
Nel confronto dei dati, emerge dunque una certa positività del
dato recente relativo al 2016, un dato che potrebbe indicare una
certa vitalità del mercato, che va tuttavia interpretata alla luce di
due ordini di fattori associati tra loro: da un lato la diminuzione
complessiva dell’occupazione in edilizia nel 2016, uno degli anni
peggiori per la categoria da questo punto di vista, un elemento
che associato dall’altro all’incremento di ore dichiarate può essere
spiegato attraverso l’aumento delle ore mensili medie dichiarate
per operaio, un incremento che porta l’indicatore comunque ad un
valore ancora lontano dai massimi del periodo pre-crisi. Da segna-
lare, a tal proposito, che il numero medio mensile di ore lavorate è
pari al 53% di quelle relative al 2007 e in ogni caso inferiori a quelle
del 2013, anno in cui l’indicatore del numero medio di ore lavorate
per operario ha toccato il minimo di 114 ore. La spiegazione può
essere individuata proprio nella riduzione del numero di addetti e
nella necessità dunque di realizzare i lavori con un impegno mag-
giore del personale presente. Il dato va infatti interpretato in modo
integrato agli altri indicatori derivanti dalle statistiche del settore.
5. Punto zero
Il settore dunque è di fronte a difficoltà strutturali e a un cam-
biamento post crisi che deve ancora disegnare a pieno i suoi ef-
fetti. Tuttavia si può asserire, con cognizione di causa, che oggi
siamo di fronte a un “punto zero”, a un bivio nel quale le imprese
devono decidere se e come aumentare la propria competitività
e la remuneratività delle proprie azioni, in un mercato che non
Federico Della Puppa
57
cresce o cresce poco. Tautologicamente, si potrebbe affermare
che, dato che tutto è cambiato, bisogna cambiare. L’economia e la
società in pochi anni si sono trasformate e continuano a trasfor-
marsi costantemente, con una velocizzazione che dall’avvio della
crisi economica ad oggi ha coinvolto tutti i settori della nostra
società. Il motore di questo cambiamento è la rivoluzione digita-
le, che sta modificando e ha già modificato in alcuni casi in modo
strutturale i modelli di produzione, i rapporti con i clienti e la
gestione del personale.
D’altronde, quando cambia un modo di produzione cambia
tutto. Nel passaggio dall’economia e dalla società lineare all’eco-
nomia e alla società circolare, che è il passaggio dal modo di pro-
duzione industriale a quello digitale, cambia decisamente tutto e
cambiano i rapporti tra i soggetti economici, tra gli attori sociali e
anche le funzioni di tutti i soggetti istituzionali. È una rivoluzione
nella quale va ripensata la mission e il ruolo stesso dell’impresa.
Nel mercato pre-crisi le imprese hanno operato come soggetti
economici inseriti in un contesto competitivo nel quale un ruolo
fondamentale era la capacità di intermediazione, ovvero la capa-
cità dell’impresa di occupare un ruolo all’interno della filiera, di
vedersi riconosciuto quel ruolo e di poter giocare con quel ruolo
nel sistema complessivo di mercato. Era un sistema organizzato
e coeso nel quale qualsiasi soggetto della filiera - dal produttore
al distributore fino all’utente finale - aveva bisogno delle relazioni
con gli altri nodi della filiera stessa e dove la catena del valore si
costruiva su questo sistema di relazioni che, fino al 2008, ha ga-
rantito catene anche molto lunghe, con molti intermediari, costi
elevati ma benefici economici per tutti.
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
58
Con la rivoluzione digitale cambia tutto e il fenomeno che più
caratterizza il passaggio al digitale è la disintermediazione, cioè il
depotenziamento di tutti i sistemi intermedi di relazione. Nella fi-
liera edilizia questo è un cambiamento ancora più profondo che
in altri settori, perché prima della crisi e prima della rivoluzione
digitale la filiera era particolarmente lunga, molto lunga, con molte
figure intermedie, ognuna con un ruolo e una propria convenienza.
Una filiera lunga dovuta alla capillarità e territorialità del mercato
e alla complessità del prodotto edilizio, un prodotto di prodotti. La
disintermediazione creata dal digitale ha già rimosso in alcuni casi
e sta iniziando a rimuovere gli intermediari nelle catene di fornitu-
ra, a tutti i livelli e in relazione a varie transazioni. In passato le dif-
ficoltà di comunicazione e di spostamento delle merci rendevano
necessaria la presenza di intermediari tra il produttore di un bene e
il consumatore finale. Oggi, in tutti i settori ormai, questo non è più
necessario, in quanto il consumatore finale e qualunque soggetto
intermedio è in grado di raggiungere in tempo reale il produttore
e viceversa (Amazon docet). Il fenomeno della disintermediazione
ha molte più facce di quelle qui brevemente ricordate e va valutato
comunque a partire dalla diffusione dell’Information & Communi-
cation Technology (ICT) e quindi del predominio anche sociale, e
non solo economico, del modo di produzione digitale. Il passaggio
dal modo di produzione industriale (dominato dai capitali) a quello
digitale (dominato dalle informazioni) pretende un radicale cam-
biamento nel rapporto tra sistema produttivo e saperi.
La variabile strategica diventa quella della formazione continua,
dell’apprendimento e della diffusione dei saperi, della condivisione
di conoscenze, di tecniche, di strategie. Alcune domande sorgono
Federico Della Puppa
59
spontanee: nella filiera edilizia chi si assume questo ruolo? chi può
essere il soggetto in grado di reintermediare i processi di scam-
bio? La questione cruciale è come si genera valore, chi lo genera
e dove. La disintermediazione spinge a produrre reintermediazio-
ne, propone scenari nuovi e innovativi per gli attori della filiera, a
patto che ci si interroghi sulle prassi consolidate e le si metta in
discussione, verificandone la validità e l’attualità. La domanda per
un’impresa rimane sempre la stessa: “come creo valore per il mio
cliente”? Ciò vale a tutti i livelli della filiera ma in modo maggiore
per i soggetti che dell’intermediazione hanno fatto il loro core bu-
siness. L’azione di reintermediazione non può prescindere dalla co-
struzione della catena del valore, che è una catena più immateriale
che materiale, più digitale che industriale. Quali sono i soggetti in
grado di occupare questo “territorio” di intermediari che devono
reinventarsi? Questa è una delle tante domande fondamentali alle
quali le imprese devono trovare risposta. E la risposta è soprattutto
“innovazione”, non tanto di prodotto quanto di processo. Innova-
zione come vero fattore competitivo.
6. Innovazione è conoscenza
Le imprese dunque oggi sono di fronte ad un cambiamento
epocale, spinte dalla rivoluzione digitale che sta modificando i
modelli di produzione e in futuro ci sarà sempre più bisogno di
un ambiente aziendale che sappia coniugare la spinta innovativa
del digitale con i valori fondanti della propria impresa, aprendosi
anche a collaborazioni sinergiche e multidisciplinari per dare ori-
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
60
gine a nuovi modelli di sviluppo. Le nuove generazioni possono
aiutare, facilitare e spingere questo cambiamento, indispensabile
per continuare a crescere. Ma il punto nodale, principale, cruciale
è l’approccio, che deve essere liquido e circolare. L’economia cir-
colare spinge a guardare alla filiera come ad un sistema integrato
di flussi, non solo di prodotti, e soprattutto di informazioni. In
questo quadro il modus operandi dell’impresa e che funzionava
fino a ieri, oggi non funziona più o non tanto quanto funzionava
prima. Il mondo è cambiato e le imprese devono adattarsi ai nuovi
cambiamenti abbandonando le vecchie pratiche legate alla vec-
chia economia industriale.
Il digitale cambia tutto e il nuovo mantra economico per il
settore è “abbandonare le abitudini”. Come fare? Le imprese oggi
hanno a disposizione nuove opportunità, in primo luogo le po-
litiche di Industria 4.0 che finalmente hanno trovato la nuova
dizione, corretta, di Impresa 4.0. Il cambiamento non è infatti un
problema di macchine e macchinari, il cambiamento vero è nella
gestione, nell’approccio, nella filosofia dell’impresa. È l’impresa
che crea valore, non la macchina, non l’attrezzo. E l’impresa è fat-
ta di uomini. Paradossalmente nell’economia circolare e digitale
il personale, gli uomini, le competenze diventano il centro strate-
gico dell’agire. Il cuore dell’innovazione in fin dei conti è proprio
lì, nella capacità di valorizzare le competenze, le intelligenze, la
conoscenza, investendo sulla formazione continua. All’interno del
tema delle competenze e delle conoscenze, un ruolo fondamen-
tale lo svolgono oggi i dati relativi al dimensionamento potenziale
del mercato del recupero, un dimensionamento che può contare
su numeri molto ampi.
Federico Della Puppa
61
In Veneto ci sono poco più di 1 milione di edifici residenzia-
li per un totale di 2,4 milioni di abitazioni. Del milione di edifici
residenziali, l’83,1% è stato edificato prima del 1991, anno nel
quale entrò in vigore la prima legge strutturale sull’efficien-
za energetica, la legge 10/1991. Tralasciando gli edifici storici,
ovvero quelli costruiti fino al 1945, e considerando solo quelli
edificati tra il 1946 e il 1991 in Veneto si contano oltre 672
mila edifici, pari al 63,6% del totale residenziale edificato. È
una percentuale che indica l’importanza del mondo della ri-
qualificazione e del recupero, energetico e strutturale, soprat-
tutto considerando che 132 mila edifici si trovano in mediocri
o pessime condizioni di conservazione, oltre 76 mila dei quali
edificati tra il 1946 e il 1990.
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
62
Tab. 5 - Edifici residenziali per stato di conservazione
ed epoca di costruzione (val. ass.)
21
intelligenze, la conoscenza, investendo sulla formazione continua. All’interno del tema delle
competenze e delle conoscenze, un ruolo fondamentale lo svolgono oggi i dati relativi al
dimensionamento potenziale del mercato del recupero, un dimensionamento che può contare su
numeri molto ampi.
In Veneto ci sono poco più di 1 milione di edifici residenziali per un totale di 2,4 milioni di
abitazioni. Del milione di edifici residenziali, l’83,1% è stato edificato prima del 1991, anno nel
quale entrò in vigore la prima legge strutturale sull’efficienza energetica, la legge 10/1991.
Tralasciando gli edifici storici, ovvero quelli costruiti fino al 1945, e considerando solo quelli
edificati tra il 1946 e il 1991 in Veneto si contano oltre 672 mila edifici, pari al 63,6% del totale
residenziale edificato. È una percentuale che indica l’importanza del mondo della riqualificazione e
del recupero, energetico e strutturale, soprattutto considerando che 132 mila edifici si trovano in
mediocri o pessime condizioni di conservazione, oltre 76 mila dei quali edificati tra il 1946 e il
1990.
Tab. 5 - Edifici residenziali per stato di conservazione ed epoca di costruzione (val. ass.)
numero di edifici residenziali (valori assoluti)
ottimo buono mediocre pessimo totale
Fino al 1918 35.631 56.161 26.917 4.733 123.442
Dal 1919 al 1945 21.252 38.371 20.059 3.324 83.006
Dal 1946 al 1960 36.117 73.541 27.238 2.413 139.309
Dal 1961 al 1970 64.177 117.257 26.636 1.352 209.422
Dal 1971 al 1980 80.492 108.110 14.389 531 203.522
Dal 1981 al 1990 63.228 52.640 4.126 128 120.122
Dal 1991 al 2000 61.490 23.889 993 68 86.440
Dal 2001 al 2005 44.519 7.037 207 11 51.774
Dal 2006 in poi 37.748 2.359 121 11 40.239
TOTALE 444.654 479.365 120.686 12.571 1.057.276
Fonte: elaborazione su dati ISTAT Fonte: elaborazione su dati ISTAT
Federico Della Puppa
63
Tab. 6 - Edifici residenziali per stato
di conservazione ed epoca di costruzione (val. %)
22
Tab. 6 - Edifici residenziali per stato di conservazione ed epoca di costruzione (val. %)
numero di edifici residenziali (valori assoluti)
ottimo buono mediocre pessimo totale
Fino al 1918 3,4 5,3 2,5 0,4 11,7
Dal 1919 al 1945 2,0 3,6 1,9 0,3 7,9
Dal 1946 al 1960 3,4 7,0 2,6 0,2 13,2
Dal 1961 al 1970 6,1 11,1 2,5 0,1 19,8
Dal 1971 al 1980 7,6 10,2 1,4 0,1 19,2
Dal 1981 al 1990 6,0 5,0 0,4 0,0 11,4
Dal 1991 al 2000 5,8 2,3 0,1 0,0 8,2
Dal 2001 al 2005 4,2 0,7 0,0 0,0 4,9
Dal 2006 in poi 3,6 0,2 0,0 0,0 3,8
TOTALE 42,1 45,3 11,4 1,2 100,0
Fonte: elaborazione su dati ISTAT
L’edilizia storica in qualche modo oggi tutelata (per vera storicità in alcuni casi, solo per
anzianità in altri) vale complessivamente 206 mila edifici, dei quali 55 mila sono in mediocri o
pessime condizioni di manutenzione strutturale. Dalle statistiche emerge con grande rilevanza la
necessità di mettere mano al patrimonio costruito, che in Veneto presenta ben 543 mila alloggi in
condomini con obbligo di amministrazione condominiale, alloggi dunque inseriti in contesti di più
difficile intervento, se rapportati all’edificio nella sua interezza. Ma gli edifici condominiali sono
anche quelli dove è più importante iniziare oggi ad intervenire, soprattutto sfruttando gli incentivi
fiscali, validi fino al 2021, il che permette programmazione e razionalizzazione degli interventi
stessi.
Fonte: elaborazione su dati ISTAT
L’edilizia storica in qualche modo oggi tutelata (per vera stori-
cità in alcuni casi, solo per anzianità in altri) vale complessivamen-
te 206 mila edifici, dei quali 55 mila sono in mediocri o pessime
condizioni di manutenzione strutturale. Dalle statistiche emerge
con grande rilevanza la necessità di mettere mano al patrimonio
costruito, che in Veneto presenta ben 543 mila alloggi in condomini
con obbligo di amministrazione condominiale, alloggi dunque inse-
riti in contesti di più difficile intervento, se rapportati all’edificio
nella sua interezza. Ma gli edifici condominiali sono anche quel-
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
64
li dove è più importante iniziare oggi ad intervenire, soprattutto
sfruttando gli incentivi fiscali, validi fino al 2021, il che permette
programmazione e razionalizzazione degli interventi stessi.
Tab. 7 - Numero di abitazioni in edifici
per classe dimensionale dell’edificio
23
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.846
39.7
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.863
7.71
724
.580
239.
279
1919
-194
551
.454
35.8
5628
.004
16.9
787.
594
5.88
313
.477
145.
769
1946
-196
081
.193
65.9
0048
.121
35.6
6620
.148
21.8
7942
.027
272.
907
1961
-197
011
2.90
311
5.45
868
.574
60.9
8444
.713
59.5
8710
4.30
046
2.21
9
1971
-198
010
7.48
711
4.72
068
.554
63.0
6048
.159
60.1
2410
8.28
346
2.10
4
1981
-199
062
.767
63.1
9843
.289
44.3
6635
.815
44.8
1280
.627
294.
247
1991
-200
043
.428
40.8
2634
.918
43.8
4535
.611
35.8
2471
.435
234.
452
2001
-200
523
.497
22.2
4824
.131
37.7
6431
.384
24.2
1655
.600
163.
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2006
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a
Fonte: elaborazione su dati ISTAT
Federico Della Puppa
65
Ovviamente le soluzioni di intervento sono diverse a seconda
dei materiali strutturali utilizzati, ma non ci sono solo le tipologie
costruttive, ci sono anche e soprattutto le dimensioni quantitative
dei fenomeni, che possono essere un ottimo spunto per rinnovare
e rivedere i processi produttivi e riorientare massicciamente l’at-
tività verso soluzioni tecnicamente avanzate ed ecocompatibili,
con obiettivi di risparmio energetico e certificazione dei consumi.
7. Piccolo non è più bello
La crisi che ha colpito il settore non è stata una crisi di breve
periodo e soprattutto non è stata una crisi congiunturale ma strut-
turale, che deve spingere le imprese a muoversi verso aree e ambiti
di mercato un tempo relegati a “nicchie” (bioedilizia, bioarchitettu-
ra, risparmio energetico, domotica, ecc.) e a rinnovarsi nei prodotti
e nei processi forniti al sistema della domanda. Ma soprattutto la
crisi deve spingere a guardare all’interno dell’impresa, ai nuovi mo-
delli di business, agli asset gestionali, al fine di ottimizzare i proces-
si interni di gestione e recuperare competitività e redditività. Un
punto nodale, infatti, è che la crisi ha colpito inizialmente soprat-
tutto le microimprese, in particolare quelle artigiane, ma oggi inizia
a far sentire il suo lungo abbraccio anche alle imprese di media
dimensione. Si tratta di imprese che nel passato hanno saputo ben
posizionarsi all’interno della filiera delle costruzioni, ottimizzando
il proprio operare in ragione delle possibilità offerte dal sistema dei
subappalti a cascata e delle piccole commesse locali.
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
66
Nel momento in cui lo scenario post crisi spinge tutta la filiera
a riorganizzarsi e a ottimizzare tempi e modi della produzione,
le medie e grandi imprese, ma anche le medio-piccole imprese,
ovvero quelle con 6 e più addetti, hanno iniziato a rivedere i pro-
pri processi organizzativi, produttivi e gestionali, riducendo i su-
bappalti laddove possibile, mantenendo e ottimizzando al proprio
interno i processi e rivedendo il sistema di accordi e partenariati
promossi a livello locale.
Ciò ha consentito di recuperare competitività e prova ne è la
dinamica delle imprese strutturate, che in alcuni casi sono cre-
sciute nonostante la crisi. Per le microimprese, per le piccole im-
prese artigiane, per le medio-piccole imprese la crisi si traduce in
una necessaria e doverosa riflessione sulle prospettive, oggi non
più premiate dal mercato, di rimanere “piccoli”. Una crisi di que-
sto tipo e di questa dimensione può e deve far riflettere su quali
sono i modelli oggi più adatti a superare non solo la congiuntura
negativa, ma a dare una risposta strutturale e strutturata ad un
mercato che esige non più velocità e improvvisazione, ma qualità
e specializzazione, soprattutto in ragione delle innovazioni che il
mercato chiede, sia in termini di prodotti, che di processi produt-
tivi e di gestione dei sistemi edilizi.
Piccolo è bello se specializzato e se inserito all’interno di una
logica di filiera integrata nella quale il processo e il prodotto siano
posti al centro dell’agire di tutta la filiera stessa. La rete, intesa
come fattore di collaborazione e sinergia tra imprese, ma anche
come vero e proprio network informativo (dove il web può gio-
care un ruolo fondamentale nella riorganizzazione del rapporto
domanda-offerta e dell’organizzazione stessa del sistema dell’of-
Federico Della Puppa
67
ferta), è quell’elemento in grado di favorire i processi di riorganiz-
zazione aziendale e dei modelli di offerta. Altrimenti piccolo non
solo non è più bello, ma non funziona neppure più.
La sfida principale oggi è dimostrare che l’imprenditoria del-
le costruzioni è capace di guardare ai nuovi mercati, ai nuovi
prodotti e alle nuove offerte, attraverso un nuovo rapporto dia-
lettico e flessibile con la domanda, in una logica integrata di
filiera e di processi costruttivi e gestionali del prodotto edilizio,
orientati a rispondere alle nuove esigenze legate al risparmio
energetico e alla richiesta di benessere, che sono i driver di mer-
cato sui quali il settore può impostare una nuova prospettiva di
sviluppo di lungo periodo.
Un ulteriore elemento di riflessione riguarda le modalità di
intervento e finanziamento dei processi di riammodernamento
del patrimonio edificato, di rigenerazione urbana, di valorizza-
zione immobiliare, di realizzazione delle opere pubbliche. In Eu-
ropa, ma in particolare in Italia e in Veneto, oggi siamo di fronte
ad una stagione che sta iniziando a muovere i suoi primi passi
e che ha nel concetto della “rottamazione della città” il suo più
importante fulcro. Rottamare significa intervenire con politiche
e azioni in grado di rinnovare il patrimonio urbano edificato, con
l’obiettivo di integrare le politiche di “Europa 20-20-20” (ridurre
i gas ad effetto serra del 20%; ridurre i consumi energetici del
20% attraverso un aumento dell’efficienza energetica; soddisfa-
re il 20% del nostro fabbisogno energetico mediante l’utilizzo
delle energie rinnovabili; il tutto entro il 2020) e di promuovere
un nuovo benessere dei cittadini che vivono e lavorano nelle
aree di intervento.
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
68
8. Nuovi business
In un mercato che non cresce dove si possono trovare nuovi
ambiti operativi? Negli “obblighi che diventano business”. Siamo
di fronte ad un cambiamento normativo costante e continuo che
sta spingendo verso l’obbligo di costruire con parametri di effi-
cienza energetica spinta e in futuro ristrutturare secondo para-
metri di sostenibilità basati sulle prestazioni energetiche. Non è
una novità, certo, ma le date che qualche anno fa sembravano
traguardi futuribili, oggi diventano obblighi da mettere in atto a
breve. Il 2019 è alle porte e tra meno di due anni tutti gli edifici
pubblici dovranno essere realizzati a “energia quasi zero” e dal
2021 anche tutti gli edifici privati. Un altro ambito è quello che
potremmo definire “opportunità che diventano business”. In pri-
mo luogo gli incentivi fiscali, ben utilizzati dalle famiglie ma meno
sfruttati e promozionati dalle imprese. Le aziende di produzione
di mobili ed elettrodomestici hanno saputo sfruttare mediatica-
mente il “bonus mobili” e lo hanno promozionato alla clientela
con adeguati sostegni non solo informativi ma anche finanziari.
Le imprese del settore delle costruzioni su questo ambito hanno
ancora molta strada da fare, come quella da intraprendere su un
sentiero nuovo che si chiama “norme e regolamenti edilizi” che
a livello comunale spingono e agevolano l’uso di materiali e so-
luzioni con prestazioni energetiche elevate. Non tutti i comuni
in Italia hanno norme cogenti, solo poco più di 1.200 comuni su
8.100 le hanno. Il che significa che dove ci sono bisogna saper
sfruttare queste opportunità e dove non ci sono sarebbe il caso di
attivarsi perché anche le amministrazioni meno attente si orien-
Federico Della Puppa
69
tino a questo, ormai neppure tanto nuovo, modo di costruire e
ristrutturare.
I nuovi mercati della sostenibilità - dall’efficienza energeti-
ca alle fonti rinnovabili, dal risparmio idrico all’innovazione am-
bientale, dall’innovazione tecnologica a quella antisismica - sono
ambiti che fino ad oggi sono stati osservati come nicchie e chia-
mati ancora come mercati “innovativi”, o delle nuove tecnologie.
Ma la novità è solo per chi ancora non ha compreso che questo è
il mercato del futuro e che questi sono gli ambiti nei quali indivi-
duare prodotti, materiali, soluzioni, imprese, standard qualitati-
vi, pacchetti di intervento competitivi ed efficaci. È un mercato
che va aiutato, seguito, coltivato esattamente come si coltiva il
mercato dei beni di consumo. Con la comunicazione, con le in-
formazioni, con gli investimenti in promozione attraverso i quali
far passare le informazioni corrette e mettere in evidenza tutti
gli errori risolvibili di una edilizia insostenibile, quella costruita
con i parametri del “prima della crisi”. La strada è individuare
soluzioni intelligenti, astute, convenienti, in una parola “smart”,
in un mercato che per ora ha solo scritto questa parola a livel-
lo di città. Crediamo di sapere tutto sulle smart cities, ma non
abbiamo ancora capito che una città è fatta di edifici e che ogni
singolo edificio deve diventare smart, perché ogni singolo edifi-
cio è una “macchina”, un sistema che va visto non nel suo essere
“edificio” ma nel suo svolgere funzioni - proteggere, riscaldare,
raffrescare, illuminare - solo per citarne alcune. Una macchi-
na che deve inserirsi nel nuovo sistema dell’economia circolare,
della riduzione dei consumi, dell’ottimizzazione dei flussi, nel
riciclo, nel riuso. È un approccio nuovo e diversi con il quale
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
70
confrontarsi, un approccio che deve puntare a trovare nei mal-
funzionamenti del sistema le nuove risorse. L’edilizia consuma
troppo? Il nuovo business è farla consumare meno. L’edilizia in-
quina troppo? Il nuovo business è farla inquinare meno, anzi in-
quinare zero, recuperando tutto il recuperabile. L’edilizia costa
troppo? Bisogna trovare il sistema di produrre con costi minori,
ottimizzando i processi. Ogni domanda ha una risposta e ogni
risposta apre scelte conseguenti, azioni che di innovativo hanno
soprattutto il fatto che fino ad oggi non sono state fatte. Ma è il
momento di farle. All’estero sono pratiche comuni. Facciamole
diventare anche da noi la prassi. È ora, è tempo.
Bibliografia
Centro Studi YouTrade, I bilanci delle costruzioni, Virginia
Gambino Editore, Milano 2017
Commissione Europea, Indicatori per l’energia, i trasporti e
l’ambiente, edizione 2012
Confartigianato del Veneto, Ridare valore al Veneto e alle sue
imprese partendo dal valore del territorio. Report di indagi-
ne sul consumo del suolo ed i nuovi scenari di rigenerazione
urbana e miglioramento della qualità insediativa in Veneto,
Venezia 2017
Edilcassa Veneto, Edilcassa notizie, varie edizioni, 2013-2017
Federico Della Puppa
71
ENEA, Rapporto annuale efficienza energetica, Roma 2017
Federico Della Puppa, Come affrontare il mercato mutante,
YouTrade, Marzo 2017
Federico Della Puppa, Come navigare nel mare senza vento,
YouTrade, Settembre 2017
Federico Della Puppa, Crisi delle costruzioni e artigianato nel
Veneto: innovare i modelli di impresa per affrontare il mer-
cato del futuro, Quaderni Di Ricerca Sull’Artigianato, Il Mulino,
Bologna 2014
ISTAT, Censimento generale della popolazione e delle abita-
zioni, Roma, 2015
Veneto Congiuntura, Analisi congiunturale trimestrale sul
mercato delle costruzioni in Veneto, Unioncamere Veneto,
2015-2017
Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione
73
Banche retail:verso il
cambiamento
Anna Omarini
Negli ultimi dieci anni il sistema bancario italiano ha subito
importanti mutamenti e ridimensionamenti, che potremmo
ricondurre ad alcuni filoni di osservazione; in primis, la crisi
finanziaria del 2007-2008 e successivamente l’evoluzione digitale.
Dopo la crisi del 2008, il bisogno principale era quello di
porre in sicurezza il risparmio, offrire maggiore trasparenza al
mercato e contenere al minimo i rischi di gestione, agendo sul
rafforzamento patrimoniale dell’attività bancaria. E in tutto
questo, un importante contributo è giunto dal regolatore europeo
e nazionale.
Durante la crisi, era fondamentale spezzare il circolo vizioso
banche/debiti sovrani e affidare il governo del sistema bancario-
finanziario a organi e regole europee.
In tutto questo, il comparto che si è mostrato maggiormente
resiliente alla crisi è stato proprio quello del retail banking.
Termine col quale ci si riferisce all’attività di intermediazione,
74
Anna Omarini
spesso definita come tradizionale e cioè raccolta, gestione
risparmio, erogazione del credito a famiglie, individui, imprese di
piccole e medie dimensioni.
Dunque il retail banking ha ripreso vigore, anche in Europa,
tanto che grandi gruppi bancari usciti da aree di business più
rischiose, come l’investment banking, hanno deciso di investirvi
maggiormente. È quindi interessante provare a domandarsi
quali siano gli assetti che rendono accettabile e sostenibile la
redditività di questo business, tenuto conto che la competizione
è destinata ad aumentare (per un maggiore affollamento di
produttori anche in conseguenza dello sviluppo di tecnologie
digitali che aprono le porte del banking a nuovi operatori). Per
quanto la banca retail sia focalizzata prevalentemente sull’attività
creditizia, rendendola potenzialmente vulnerabile al rischio di
credito; essa detiene un’intrinseca ricchezza che è sempre stata
rappresentata dalla stabilità dei suoi depositi e meno evidente,
sino a qualche tempo fa, è soprattutto la centralità della banca
nel sistema dei pagamenti.
Il rischio di credito richiede la presenza di clienti “sani”
mentre la centralità dei pagamenti va difesa affinché la moneta
bancaria - rappresentata da tutti i surrogati della moneta legale -
possa avere ampia accettazione, e dunque circolarità, unitamente
a un ampio utilizzo nei mercati di scambio.
La situazione presente, caratterizzata da tassi di interesse bassi
e da una dichiarata maggiore rischiosità di certo credito mettono
in discussione il modello di profitto e riportano l’attenzione sulla
necessità di rinnovare quello di business, sviluppando nuove
strategie di mercato. Questa necessità è sopravvenuta anche in
75
Banche retail: verso il cambiamento
ragione del fatto, che come ogni impresa, anche quella bancaria,
affinché mantenga il suo ruolo deve saper rispondere alle esigenze
del proprio mercato di riferimento. E questo ci porta al tema del
contesto - sociodemografico, tecnologico, politico ed economico
- che è profondamente mutato, negli ultimi anni. E per quanto
questo sia avvenuto, ritengo continui a valere la condizione tale
per cui le radici della banca retail si manterranno salde se la
fiducia dei risparmiatori e dei clienti riterranno la banca, la sua
moneta e le sue capacità professionali autenticamente in grado di
gestire gli interessi della domanda e progressivamente sapranno
accrescersi non tanto per motivi riferiti a nuovi assetti normativi,
quanto per esigenze strategiche e commerciali.
Sicché mentre molte banche retail si interrogano e valutano
come rinnovare il proprio modello di business, molto spesso
perché invitate a rivedere la propria struttura distributiva e a
contenere i costi operativi; il retail banking, in quanto business,
mostra una forte e dirompente capacità innovativa - specialmente
da parte di operatori terzi - che tuttavia operano in un solco,
peraltro, tradizionale che è quello di soddisfare le esigenze della
domanda. Ma come in precedenza dichiarato, questa domanda
sta cambiando attitudini e comportamenti e questo impone alle
singole banche di provare a domandarsi se la propria velocità di
adeguamento al mercato sia in linea con quello.
Il tema è rilevante in quanto la mobilità dei clienti, al presente,
si è accresciuta con evidenti impatti sui risultati di profitto delle
banche, sicché aumentano i clienti intenzionati ad abbandonare la
banca principale nel breve periodo, con evidenti risultati di minori
profitti che quelle banche registrano. Si tratta di una tendenza
76
che accomuna molti paesi a livello internazionale (CapGemini,
Wealth World Report, vari anni). Pertanto, si evince la necessità
di riportare l’attenzione al “cliente” nel futuro della competizione,
facendo assumere a tale aspetto la necessaria centralità nelle
strategie di business delle banche. È, infatti, interesse della
banca che la fidelizzazione prevalga sulla massimizzazione dei
risultati di breve periodo, perché la stessa è sia causa sia effetto
dell’intensità relazionale. È causa, nel momento in cui il cliente,
apprezzando la banca e i suoi servizi, manifesta la propria
preferenza per la “banca di riferimento”; diventa effetto qualora
l’intensificazione della relazione, dovuta alla vendita incrociata,
comporta in ultima analisi una situazione di viscosità che opera
come barriera all’uscita.
Tornando al tema del successo di una banca, esso è strettamente
legato al suo business model e alla capacità del management di
implementarlo, mantenendo saldo il timone e rimanendo vigile
nello scrutare la rotta all’orizzonte. Si tratta dunque di leggere
rapidamente il contesto di mercato, che cambia, e comprendere
quando è necessario cambiare rotta. Oltre a pensare all’opportunità
di rinnovare l’equipaggio e/o ammodernare il vascello. Perché
potrebbe non essere utile, né tantomeno efficace, affrontare il
futuro seguendo i modelli sviluppati nel passato o correggendo
solo di poco la rotta, col rischio di assumere per questa via,
maggiori e nuovi rischi. Di fatto, è proprio dal modello di business
che si generano i rischi e l’instabilità di una banca, che deve saper
riconoscere e monitorare la propria propensione al rischio, le
soglie di tolleranza, i limiti e le politiche di governo dei rischi,
oltre ai processi di riferimento necessari per definirli, monitorarli
Anna Omarini
77
e saperli gestire. Non è allora sufficiente riferirsi alla gestione dei
rischio, quale esclusivo obbligo normativo, bensì è indispensabile
inserire il sistema degli obiettivi di rischio anche nella cultura
aziendale, così da accrescere la consapevolezza circa le azioni
intraprese e le reazioni che da queste possono derivare alla
stabilità e continuità aziendale.
Riconoscere e interpretare il cambiamento è fondamentale
per ogni business, ma in questa fase è diventato particolarmente
urgente per le banche, altrimenti, il pericolo è quello di incorrere
nella trappola del leader, che è cosa da rifuggire, perché il difficile
nasce proprio quando ci si ritiene, ciascuno nel proprio mercato,
tra i primi così che nessuno sia da seguire.
Per spiegare meglio a cosa intendo riferirmi, può essere
utile riportare un aneddoto che ci fa comprendere come si
possa cadere in errore quando non si guarda la realtà dalla
giusta prospettiva, ma si sia acciecati dalle proprie convinzioni
senza analizzare acriticamente il contesto. Si tratta, a questo
punto, di allontanarsi il più possibile dall’eventualità di cadere
nel paradosso dell’Ammiraglio Wellington. Si narra, infatti, che
una notte l’Ammiraglio Wellington fu svegliato all’improvviso
dal suo attendente che, preoccupato, gli disse che c’era una
nave di fronte a loro in rotta di collisione. Wellington disse:
«Comunicate alla nave che si sposti di 30 gradi verso Sud». Dopo
un poco l’attendente tornò alla gabina del suo capo e gli disse:
«Ammiraglio mi scusi, ma chiedono a noi di modificare la rotta».
Allora l’Ammiraglio molto scocciato, si alzò e andò alla radio
dicendo: «Sono l’Ammiraglio Wellington, Comandante della nave
inglese Queen Mary. Vi ordino di modificare la vostra rotta di 30
Banche retail: verso il cambiamento
78
gradi Sud, altrimenti adotteremo misure drastiche». La risposta
via radio non tardò ad arrivare: «Sono un marinaio di seconda
classe ma vi esorto lo stesso a correggere voi la rotta di 30 gradi».
Allora l’Ammiraglio, infuriato disse: «Ma io sono una nave da
guerra, cambiate rotta o apriremo il fuoco!». E dall’altra parte il
marinaio gli rispose laconicamente: «Ammiraglio Wellington, qui
è il faro di Capo Horn, io non posso spostarmi». Quanto sopra,
ci permette di ricordare un vecchio adagio, caro ai manager più
illuminati, col quale si dice che le imprese poco competitive
ignorano i concorrenti, quelle mediocri li copiano, mentre quelle
vincenti guidano la concorrenza. Si tratta, allora, di ricercare
strumenti concettuali e operativi che portino ad agire nel mercato
e a reagire con efficacia ai cambiamenti in atto.
Nel fare questo non c’è un’unica ricetta da perseguire,
perché i clienti esterni e quelli interni - le risorse che prestano
la propria attività professionale nell’organizzazione aziendale
della banca - agiscono differentemente secondo il contesto
nel quale si trovano. Ecco dunque, che torna di fondamentale
importanza il tornare a valorizzare l’assetto organizzativo e le
sue principali componenti (struttura, sistemi operativi, stile di
management, cultura aziendale, qualità degli organici, livello
delle competenze, assetto informatico e tecnologico). Perché, i
modelli organizzativi e tecnologici possono fare la differenza in
termini di performance e di capacità competitiva anche a parità
di “modello di intermediazione”.
A questo punto, introduciamo il secondo filone di osservazione
riferito al cambiamento in atto e che fa riferimento al tema del
rapporto banca - tecnologia e della sua più recente evoluzione.
Anna Omarini
79
La tecnologia in banca per molto tempo ha interessato il
back office, cioè la parte meno evidente dell’interazione con la
domanda, in quanto la banca azienda di servizi fonda la propria
operatività sui processi. Successivamente la tecnologia è
diventata dirompente a partire dalla fine degli anni Novanta in
poi con l’avvento di internet.
In Europa l’offerta di servizi finanziari via Internet origina dalle
esperienze americane; occorre però sottolineare che il mercato
USA dei servizi telematici aveva forti differenze strutturali
rispetto a quello europeo. Negli USA, infatti, il potenziale di
domanda, sin da subito, ha potuto contare su molti milioni di
unità, mentre in ogni paese europeo si potevano contare semmai
qualche centinaia di migliaia di utenti. Tuttavia, col tempo il gap
si è colmato, in termini di percentuale di popolazione utilizzatrice.
Sicché anche in Europa, dapprima si è diffuso l’internet banking,
successivamente la banca digitale, con particolare riferimento alla
diffusione del mobile banking, che sta assumendo sempre più
rilevanza strategica nel contesto bancario. Il crescente utilizzo
degli smartphone sta innovando profondamente le modalità di
fruizione del web. Oggi più di metà della popolazione mondiale
utilizza uno smartphone e circa il 50% del traffico web a livello
globale è generato attraverso dispositivi mobili. (Cfr. Box 1)
Banche retail: verso il cambiamento
80
Box 1 - La rivoluzione digitale
“A 25 anni dal primo sito web, la ‘rivoluzione
digitale’ ha modificato radicalmente il modo di vivere
e di comunicare delle persone, con impatti significativi
su tutti i comparti produttivi. Oggi sulla rete sono
presenti oltre un miliardo di siti web, un numero in
costante crescita, e sono più di 3,5 miliardi gli utenti di
internet nel mondo. Ogni secondo vengono inviate circa
2,5 miliardi di email e sono effettuate più di 57 mila
ricerche su Google. I social network hanno rappresentato
una seconda ‘rivoluzione digitale’, entrando nella vita
quotidiana di una quota consistente della popolazione
mondiale. Ad oggi nel mondo sono circa 1,8 miliardi gli
utenti attivi di Facebook, mentre Instagram già nel 2015
ha superato Twitter e Google+ per numero di utilizzatori,
con più di 0,5 miliardi gli utenti. Il mondo bancario
non è esente da questa trasformazione: alcuni operatori
extrabancari sono entrati nell’arena competitiva,
sostituendosi alle banche nell’offerta di alcuni servizi.
Secondo la ricerca KPMG ‘Global CEO Outlook
Survey 2016’, circa il 42% dei Chief Executive Officer
intervistati provenienti dal mondo bancario ritiene
che il proprio business sarà completamente trasformato
nei prossimi 3 anni e il 65% è preoccupato dal fatto
che il modello di business possa essere rivoluzionato
da nuovi entranti. Google, Amazon, Facebook, Apple,
Anna Omarini
81
Fonte: KPMG, 2017, Digital Banking, p.8.
PayPal e molti altri operatori digitali stanno iniziando
ad offrire sistemi di pagamento e altri servizi bancari.
La sfida tra banche tradizionali e nuovi competitor è
aperta ed il risultato finale dipenderà dalla capacità
delle banche di trasformare i propri modelli di business
per rispondere alle nuove esigenze della clientela.
Il digitale in Italia
I dati sulla diffusione di internet, del mobile e dei
social network in Italia descrivono uno scenario in
continua evoluzione. Sono più di 39 milioni gli italiani
che utilizzano internet, il 66% della popolazione
italiana, un dato in crescita del 4% nell’ultimo anno.
Più di 27 milioni di persone sono utenti attivi di internet
da mobile, il 46% del totale della popolazione. Il 70%
della popolazione adulta possiede uno smartphone,
che viene utilizzato in media per 2 ore al giorno per
navigare sul web. L’86% della popolazione utilizza
internet quotidianamente per esigenze personali e
circa un italiano su due è un utente attivo di almeno
un social network. Il 30% della popolazione effettua
acquisti online e il 25% utilizza il mobile banking.”
Tuttavia va evidenziato che tali percentuali sono
inferiori rispetto ai valori medi europei.
Banche retail: verso il cambiamento
82
L’evoluzione della tecnologia erode le barriere all’entrata,
anche nel settore finanziario sia per i servizi di gestione del
risparmio privato, sia per quelli di indebitamento (per esempio
mutui on line), come pure per i servizi di pagamento. Pertanto,
chi raccoglie la sfida dell’innovazione tecnologica nel contesto
bancario può osservare che la competizione si giuocherà proprio
nel cambiare il modo di “usare” la banca da parte della clientela,
tanto da proiettarla, per chi raccoglierà la sfida, in un ecosistema
digitale, nell’ambito del quale il business bancario potrà o trainare
o essere trainato dal cambiamento.
Le banche ne sono consapevoli, come è confermato dalle
rilevazioni ABILab (2016/2017)1 nelle quali si osservano interessanti
budget destinati all’ICT (Information and Communication
Technology); evidentemente in questo ambito la dimensione della
banca facilita in misura maggiore l’innovazione tecnologica.
Pertanto, possiamo affermare che la trasformazione digitale
sta generando impatti significativi sia sulle dinamiche di dialogo e
interazione con i clienti, sia sulle dinamiche interne di governo e
gestione dei processi.
In questo contesto storico, l’ICT può giocare un duplice ruolo,
da un lato favorendo i percorsi di cambiamento e innovazione dei
processi di business e, dall’altro, agendo come leva per accrescere
l’efficienza e migliorare qualitativamente le attività svolte. Dalle
osservazioni dei dati forniti dalle rilevazioni ABILab, si evince la
presenza di varie tipologie di innovazione; molte incrementali,
altre più radicali.
1 ABILab, 2016/2017.
Anna Omarini
83
Questo contesto nuovo per il mercato bancario, dunque,
pone in primis la necessità di un importante cambiamento
culturale perché la tecnologia, continuerà ad assolvere un ruolo
abilitante e di facilitazione, ma non potrà rappresentare un
vantaggio competitivo e di differenziazione per chi la usa, se non
adeguatamente supportata dalla strategia e dall’organizzazione,
che guideranno il cambiamento futuro.
Un ultimo elemento interessante utile per inquadrare
l’evoluzione digitale in atto, ci proviene da un più recente fenomeno
che caratterizza il mercato ed è rappresentato dall’esplosione
delle cosiddette fintech companies. Si tratta di una nuova
imprenditorialità che combina la tecnologia alla finanza, da qui il
nome fintech. Gli esempi sono molteplici, dai servizi human digital
- robot advisor - alle piattaforme di finanziamento per privati e
imprese, alla gestione del risparmio del singolo attraverso app
di assistenza alla gestione dell’investimento, come pure alla
semplificazione nella visualizzazione e classificazione dello speso.
A livello internazionale alcune banche, più di altre, da qualche
tempo hanno deciso di esplorare questi nuovi territori e anche a
livello nazionale abbiamo esempi interessanti.
La tecnologia digitale è il driver principale, ma spesso essa è
posta al servizio di bisogni antichi che un consumatore finanziario,
sempre più esigente, è tornato a esprimere. Si tratta di un
individuo che sviluppa una tensione maggiore nella ridefinizione
del rapporto con l’offerta, nel desiderio che la stessa sviluppi un
rapporto con il consumatore di onestà, alleanza e rispetto di tutte
le aree della sostenibilità. In tutto questo lo scenario dei rapporti si
modifica rapidamente, ne è prova una recente ricerca di Eumetra
Banche retail: verso il cambiamento
84
Monterosa (2016) - Cfr. Figura 1 - nella quale si evidenziano
interessanti spunti di riflessione - quanto ad atteggiamenti e
comportamenti della domanda - se si continua a ritenere utile
partire da quella per impostare business model e strategie.
Figura 1 - Atteggiamenti e comportamenti di un
consumatore di servizi finanziari “moderno”
13
Figura 1 - Atteggiamenti e comportamenti di un consumatore di servizi finanziari “moderno”
Aumentano ATTEGGIAMENTI :
SFIDUCIA
CAPACITA’ CRITICA
COMPETENZA
PRESA DI DISTANZA
Aumentano COMPORTAMENTI :
RICERCA DI SOLUZIONI CONVENIENTI
VAGLIO/VERIFICA COSTANTE (NO DELEGA)
MOBILITA’ DELLE SCELTE (INFEDELTA’)
APERTURA VERSO IL NUOVO (TECNOLOGIA)
ma anche RECUPERO DELLA TRADIZIONE
All’estero ci sono interessanti esempi come quello di Goldman Sachs che nel 2016 lancia
GS Bank, nata dall’acquisizione di GE Capital Bank, la banca retail online con l’obiettivo di
diversificare le fonti di ricavo e rafforzare la liquidità. Il mercato al quale si rivolge è il cosiddetto
mass market purché dotato di connessione internet e con un minimo di disponibilità (1 dollaro per
aprire il conto). Ha poi sviluppato Marcus, una fintech dedicata al finanziamento online. E ancora
Anna Omarini
85
All’estero ci sono interessanti esempi come quello di Goldman
Sachs che nel 2016 lancia GS Bank, nata dall’acquisizione di GE
Capital Bank, la banca retail online con l’obiettivo di diversificare
le fonti di ricavo e rafforzare la liquidità. Il mercato al quale si
rivolge è il cosiddetto mass market purché dotato di connessione
internet e con un minimo di disponibilità (1 dollaro per aprire
il conto). Ha poi sviluppato Marcus, una fintech dedicata al
finanziamento online. E ancora ha investito in una piattaforma
(Honest Dollar) per la gestione del risparmio da parte di chi è
privo di un piano pensionistico.
JPMorgan Chase ha stretto una partnership con OnDeck Capital,
piattaforma di finanziamento per piccole e medie imprese, in grado
di processare un credito in 1 giorno. Wells Fargo sta investendo
in applicazioni che agevolano il mantenere il cliente connesso alla
banca, ma anche in biometria e intelligenza artificiale. Nonché
l’accordo di partnership tra ING e Kabbage, una piattaforma
tecnologica in grado di processare le richieste di credito sino a
circa 100.000 euro per piccole imprese in pochi minuti.
In Cina Alipay, il sistema di pagamenti simile a PayPal ma
del gruppo Alibaba, nel 2015 è riuscita a muovere un volume di
pagamenti tre volte quello di PayPal. Ma il progetto di Alibaba è
ben più integrato e complesso.
Anche nel nostro Paese, ci sono molte banche che sviluppano
applicazioni di mobile banking, robo advisor, peer to peer
payment, eccetera.
Questo è il nuovo contesto nel quale il banking si sta
sviluppando, e dunque, al momento, accelerare la crescita vuol
dire anche acquisire e stringere partnership con fintech companies
Banche retail: verso il cambiamento
86
che portino competenze di processo e piattaforme tecnologiche.
Centinaia di startup sono dotate di capacità e finanziamenti tali
da permettere loro di lavorare su varie alternative al modello
della banca tradizionale. Il perno della loro attività è spesso quello
di “eliminare l’intermediazione” tradizionale e, al tempo stesso,
cresce il ruolo dei circuiti diretti con conseguente richiesta alla
domanda di assumere un ruolo di maggiore coinvolgimento
operativo ed emotivo. In questo modo, il cambiamento dei modelli
di business si intreccia con l’evoluzione dei sistemi finanziari che
vedono in Europa, ma non ancora in Italia, il ridimensionamento
dell’intermediazione bancaria e lo sviluppo dei mercati e degli
intermediari non bancari. Per quanto all’orizzonte, aspetti
normativi e non solo spingano in tale direzione.
Le leve dell’organizzazione e della tecnologia saranno sempre
più determinanti nel rendere sostenibili gli attuali e i nuovi
business model delle banche. Ne segue che le performance non
potranno essere semplicemente ricondotte alle combinazioni
di strutture dell’attivo e del passivo. Ma la focalizzazione sulla
compressione dei costi e la razionalizzazione organizzativa non
bastano se lo scenario è quello di un sistema finanziario che andrà
nella direzione di una riduzione dell’intermediazione creditizia a
favore dei mercati e degli intermediari non bancari. Una sfida
certamente non facile perché comporta di gestire l’esistente
andando verso il nuovo.
Tuttavia, la digitalizzazione non va esclusivamente considerata
come soluzione per ridurre i costi e snellire i processi in molti
business e segnatamente nel retail banking, i cui prodotti/
servizi sono in gran parte elementari e standardizzati. Ma vi è
Anna Omarini
87
da considerare che con la riduzione delle reti degli sportelli
tradizionali viene meno la leva competitiva della “vicinanza fisica”
al cliente e al tempo stesso uno strumento di controllo della
clientela che sta diventando più mobile, e in prospettiva meno
fedele. D’altra parte, la concorrenza aumenta perché il cliente
può accedere molto agevolmente a numerosi fornitori senza costi
monetari di mobilità. Pertanto, per le banche si pone il problema
del “come” competere (con quali leve) in un nuovo mercato e
fidelizzare la clientela.
Al momento, ritengo, sia ancora presto per dichiarare che
stiamo assistendo a un cambiamento di paradigma.
La banca retail, dunque, vive una serie di dilemmi e cioè quello
di diversificare per stabilizzare la propria redditività ma al tempo
stesso i temi del coordinamento organizzativo potrebbero renderla
vulnerabile e meno reattiva a un mercato che cambia. Ma ancora,
la sua capacità di servire molti clienti privati, dall’altro lato, la
rende maggiormente vulnerabile alla congiuntura economica.
Ciononostante il mercato del banking retail è ampio e
certamente c’è spazio per molti, purchè ci sia una strategia in
partenza che sappia valorizzare la tecnologia nel contenere i
rischi di una eccessiva e correlata diversificazione.
Tuttavia, accanto ai temi normativi si affianca l’esigenza di
promuovere anche una crescente diffusione di una cultura digitale.
E questo aspetto risulta maggiormente evidente per le banche
di minori dimensioni, dove gli ostacoli culturali rappresentano
il principale vincolo al cambiamento, anche in misura maggiore
rispetto ai temi normativi e ai costi delle iniziative di digital
transformation.
Banche retail: verso il cambiamento
88
A questo punto, un dato è certo: all’orizzonte il vento
sta cambiando per quanto si stenti ancora a riconoscere una
leadership bancaria che dichiari apertamente di voler adire
al cambiamento in atto, anche orientandolo. Si tratta cioè di
modificare la propria rotta e non solo imbarcare nuovo equipaggio
o apporre qualche ritocco al vascello. Bisogna, in primis,
accettare la sfida di un nuovo corso che trovi nelle scelte della
diversificazione strategica e nelle strategie di innovazione le basi
fondanti di un nuovo paradigma di banca. Perché così come non
si è riusciti a far fronte al crescente fabbisogno alimentare della
popolazione migliorando il disegno degli aratri, frustando con più
energia i buoi o lavorando più intensamente la terra, ma con la
meccanizzazione agricola e con la rotazione delle coltivazioni. O
ancora, non si è riusciti a risolvere il deficit energetico estraendo
più petrolio, ma provando a perseguire anche la diversificazione
delle fonti di energia, altrettanto dovrà fare la banca, chiamata a
riconquistare la sua centralità nel sistema socio-economico nel
quale è inserita.
Non sono certamente esauriti i temi che riguardano i
cambiamenti in atto nel contesto bancario, altri riguardano
le nuove sfide che si prospettano in termini di analisi dei dati
della clientela e, dunque, nell’approntare capacità di risposta
adeguate e tempestive a un mercato che cambia. In tutto questo
va evidenziato un ultimo aspetto riguardante le leve gestionali
che possono impattare sui percorsi di trasformazione digitale
della banca, e che riguardano la necessità di puntare anche
sullo sviluppo di digital skills interne, perché le specificità del
business sono tali e tanti da richiedere anche tale iniziativa.
Anna Omarini
89
Bibliografia
ABILab, 2016 e 2017, Scenario e trend del mercato ICT per il
settore bancario, Rapporto
Baravelli M. - Omarini A. (a cura di), 2005, Le strategie competitive
nel retail banking. Segmentazione della clientela, modelli
organizzativi e politiche commerciali, Roma, Bancaria Editrice
CapGemini, 2015-2016-2017, World Retail Banking, Report
KPMG, 2017, Digital Banking, Report
Boston Consulting Group (The), 2016, Digital technology raise
the stakes in customer service, Report
Omarini A., 2017, La rivincita del banking retail, in Banche e
Banchieri, n.2, pp.294-297
Omarini A., 2017, The digital transformation in banking and
the role of FinTechs in the new financial intermediation
scenario, in International Journal of Finance, Economics and
Trade (IJFET) 1(1), 1-6
Omarini A., 2017, Robo advisory: verso quale futuro nel mercato
bancario? in Managerial Insight, Economia & Management,
SDA Bocconi
Omarini. A., 2016, Nuovo modello di filiale o nuovo modello di
intermediazione bancaria?, in Bancaria, n.11
Banche retail: verso il cambiamento
91
Fotografiasul credito a
Nord Est
Ufficio Studi CGIA
Premessa
Questo saggio presenta una fotografia delle principali
risorse presenti nel sistema bancario (depositi) e movimentate
dallo stesso (impieghi). Le principali tabelle di questo
articolo consentiranno di cogliere le dinamiche territoriali
con la possibilità di scorrere i dati delle 4 regioni del Nord Est
statistico (Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed
Emilia Romagna), quelli delle 13 province del Triveneto e il dato
complessivo per l’Italia.
Nel primo paragrafo - “Gli impieghi del sistema bancario” -
si riportano i dati della destinazione del credito da parte delle
banche; infatti, il totale delle impieghi sarà ripartito tra i destinatari
del credito (imprese, famiglie, pubblica amministrazione, società
finanziarie, enti non profit) e si analizzerà più in dettaglio
l’andamento degli impieghi alle famiglie e alle imprese (con
92
ulteriore distinzione in società finanziarie >5 addetti e famiglie
produttrici fino a 5 addetti).
Il secondo paragrafo è invece dedicato agli “Impieghi vivi o
prestiti in bonis” ovvero ai prestiti al netto delle sofferenze con un
focus sulle imprese «strutturate» (con almeno 20 addetti) e sulle
piccole imprese (<20 addetti); l’analisi degli impieghi vivi è utile
per valutare lo stato degli impieghi in bonis ovvero quei crediti
che non sono, al momento in cui vengono rilevati, in stato di
insolvenza e che “misura” quindi il complesso dei crediti “buoni”.
Il terzo paragrafo si sofferma sulle “Sofferenze”. Queste
rappresentano la parte del credito più problematica e l’analisi
risulta particolarmente utile quando si valuta la loro incidenza
sul credito complessivo con un focus specifico sulle imprese che,
colpite dalla crisi economica, sono state il soggetto che ne ha
causate di più.
L’analisi sulle sofferenze sarà integrata inoltre da un piccolo
accenno alla questione della concentrazione del credito che vede
come la larga responsabilità di queste ultime sia stata generata
proprio dai grandi affidati, ovvero da soggetti che rappresentano
grandi aziende, società finanziarie, gruppi societari e famiglie
industriali.
Da ultimo, il quarto paragrafo si sposta sull’analisi dei “Depositi
presso il sistema bancario”; in particolare, il totale depositi verrà
“spacchettato” tra i vari soggetti che li detengono (famiglie,
imprese, pubblica amministrazione, società finanziarie, enti non
profit). Saranno approfonditi i dati per i principali detentori
(famiglie e imprese).
Ufficio Studi CGIA
93
1. Gli impieghi del sistema bancario
Alla fine di settembre del 2017 gli impieghi del sistema
bancario a soggetti residenti in Italia ammontavano a quasi 1.761
miliardi di euro; si tratta di una cifra superiore rispetto a quanto
prodotto dall’economia del Paese ogni anno (il PIL del 2017 si
attesterà poco sopra i 1.700 miliardi di euro). Questo dato fa
comprendere l’importanza del credito per l’economia e per lo
sviluppo delle sue imprese.
Tuttavia, come si nota dalla tabella 1, l’ammontare
complessivo dei prestiti è più basso rispetto a quanto si registrava
nel settembre del 2011 alle porte della crisi del debito sovrano
italiano. Con la seconda ondata di recessione e le successive
richieste di patrimonializzazione, le banche italiane hanno ridotto
il flusso di credito: da fine settembre del 2011 a fine settembre
del 2017 si contano 186 miliardi di euro in meno di prestiti ai
soggetti residenti in Italia (-9,6%); nello stesso periodo l’effetto
nel Nord Est è stato addirittura più ampio con un calo del 14,4%,
equivalente ad una flessione assoluta di 60 miliardi di euro.
La contrazione più ampia è ascrivibile ai residenti dell’Emilia
Romagna (-17,3%); seguono quasi appaiati Veneto (-14,3%)
e Friuli Venezia Giulia (-14,0%) mentre per quanto riguarda il
Trentino Alto Adige la flessione è stata molto più leggera (-3,2%).
Le province dove i finanziamenti sono scesi di più sono state
Vicenza (-20,2%), Belluno (-18,0%) e Trieste (-17,2%).
Fotografia sul credito a Nord Est
94
Tabella 1 - Totale IMPIEGHI BANCARI 4
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dati
Ban
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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Ufficio Studi CGIA
95
Le tabelle 2 e 3 illustrano la ripartizione degli impieghi bancari
alla fine di settembre del 2017. Come si evince da queste tavole,
a livello nazionale i finanziamenti sono diretti principalmente alle
imprese (quasi 813 miliardi di euro che equivalgono al 46,2%
del totale impieghi che ammontava a 1.761 miliardi di euro).
In seconda battuta i prestiti vengono destinati alle famiglie
consumatrici: circa 531 miliardi di euro per un 30,2% del totale.
Questi due primi soggetti (imprese e famiglie) sono destinatari di
circa tre quarti del credito complessivo che va quindi all’economia
reale (il mondo della produzione e dei servizi che si indebitano per
crescere, per gestire la liquidità ecc., più le famiglie che prendono
a prestito per l’acquisto della casa e per il credito al consumo).
Nel Nord Est una quota ancora più rilevante del credito è
orientata all’economia reale: oltre il 90% è infatti in capo alle
imprese (60,0%) e alle famiglie consumatrici (31,5%); si tratta
di un segnale interessante che spiega lo stretto rapporto banca-
impresa nel Nord Est del Paese, soprattutto in relazione al
tessuto produttivo di piccola-media impresa; il dato va comunque
letto con una certa prudenza in quanto il dato Italia risulta più
basso anche per ragioni di tipo statistico o meglio per la presenza
della Cassa Depositi e Prestiti che è a particolarmente attiva nel
finanziamento della Pubblica Amministrazione; in effetti, se si
guarda al dato Italia, più del 15% del credito è diretto proprio
alla Pubblica Amministrazione (quasi 272 miliardi di euro a fine
settembre 2017).
Il contributo del sistema bancario all’economia reale sembra
particolarmente rilevante in Trentino Alto Adige, in Emilia
Romagna e nella provincia di Vicenza.
Fotografia sul credito a Nord Est
96
Tabella 2 - Ripartizione IMPIEGHI BANCARI
(in mln euro) 6
Tab
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2 –
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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Ufficio Studi CGIA
97
Tabella 3 - Ripartizione IMPIEGHI BANCARI (in %) 7
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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Fotografia sul credito a Nord Est
98
Gli impieghi alle imprese
Gli impieghi alle imprese sono quelli diminuiti di più. Nel
Nord Est si contano 53 miliardi di euro in meno alle imprese tra
settembre 2011 e settembre 2017 (-19,9%). Nella provincia di
Treviso il calo è stato molto rilevante: -30,8%; in effetti, come
si evince dalla tabella 4, sono state proprio le imprese venete
a subire la stretta creditizia più marcata (-24,1%), seguite
da quelle emiliane/romagnole (-19,7%) e da quelle del Friuli
Venezia Giulia (-18,7%).
Un esercizio interessante è distinguere le imprese in due
categorie:
a) “società non finanziarie” (con più di 5 addetti);
b) “famiglie produttrici” (fino a 5 addetti).
Per quanto riguarda le società non finanziarie (vedasi tabella
5) la flessione degli impieghi nel Nord Est è stata del 20,3% in
6 anni e del 7,0% nell’ultimo anno: contrazioni maggiori per la
provincia di Belluno (-32,5%), di Treviso (-31,9%), di Rovigo
(-25,6%) e di Gorizia (-24,2%). In via generale il segno meno si
verifica ovunque, anche in riferimento all’evoluzione dell’ultimo
anno; tuttavia le società finanziarie del Trentino Alto Adige
hanno visto ridursi gli impieghi molto di meno; nell’ultimo anno la
flessione è stata del 2,0% (-6,6% il dato Italia).
Nel caso delle famiglie produttrici (tabella 6) si verifica, per
il Nord Est, una flessione degli impieghi leggermente inferiore
(pari al 17,0% in 6 anni e del 4,7% nell’ultimo anno). Contrazione
maggiore per le piccole imprese di Vicenza (-24,6% in 6 anni).
Ufficio Studi CGIA
99
Tabella 4 - Totale IMPIEGHI alle IMPRESE 9
Tab
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4–
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Fotografia sul credito a Nord Est
100
Tabella 5 - Totale IMPIEGHI alle IMPRESE
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Ufficio Studi CGIA
101
Tabella 6 - Totale IMPIEGHI alle IMPRESE
fino a 5 addetti 11
Tab
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6–
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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Fotografia sul credito a Nord Est
102
Gli impieghi alle famiglie
A fine settembre del 2017 i prestiti verso le famiglie italiane
ammontavano a 531 miliardi di euro. Si tratta della “fetta” più
grande del segmento bancario retail che drena risorse alle
famiglie per assolvere, in primis, alle esigenze di acquisto degli
immobili (mutui) e ad altre forme di credito minori ma comunque
importanti come il credito al consumo, per le cure medico/
dentistiche, per l’istruzione personale e dei figli ecc..
Il dato più interessante della tabella 7, che evidenza appunto
l’evoluzione dei prestiti alle famiglie tra settembre del 2011 e
settembre del 2017, è rappresentato dal dominio del segno più:
in 6 anni i prestiti alle imprese sono saliti di circa 28 miliardi di
euro. È vero che questo effetto è, almeno in parte, enfatizzato da
alcune discontinuità nella base dati statistica della Banca d’Italia
ma anche al netto di questo effetto (non valutabile a livello
territoriale) i prestiti sono cresciuti.
Le banche hanno continuato a finanziare le famiglie nel
periodo del credit crunch assecondando così le loro richieste e
mettendosi al riparo da rischi maggiori che sono rappresentati
dai crediti alle imprese, schiacciate da una crisi economica senza
precedenti.
La tendenza di crescita è proseguita anche nell’ultimo anno,
anche se, nel Triveneto, si è verificata una piccola contrazione
evidenziabile unicamente con riferimento ai residenti in Veneto
e forse dovuto anche agli sconvolgimenti vissuti dal sistema
bancario di questa regione nel corso del 2017.
Ufficio Studi CGIA
103
Tabella 7 - Totale IMPIEGHI alle FAMIGLIE 13
Tab
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le I
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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Fotografia sul credito a Nord Est
104
2. Gli impieghi “vivi” o prestiti in bonis
Gli impieghi “vivi” (prestiti in bonis), ovvero gli impieghi al
netto delle sofferenze, rappresentano quella parte del credito
per la quale c’è buona certezza di restituzione o meglio quella
parte del credito che, al momento della rilevazione, non presenta
criticità di restituzione.
Nel Nord Est, dal 2011 al 2017, il totale degli impieghi “vivi”,
ovvero dei prestiti «buoni» al netto delle sofferenze è sceso di
76 miliardi di euro (-19,4%) e anche nell’ultimo anno si nota una
flessione (-4,0%).
Il fatto che anche gli impieghi “vivi” risultino in calo è indice
di come, in realtà, il credito fatichi a ripartire; anche il dato per
l’Italia e relativo all’ultimo anno (variazione tra settembre del
2016 e settembre del 2017) indica una flessione dell’1% degli
impieghi “vivi” (si veda tabella 8).
Il dato è influenzato, in parte, dalla riclassificazione di alcuni
gruppi bancari e da una discontinuità statistica rilevabile al 30
giugno del 2017 ma il sentore che i rubinetti del credito non si
siano completamente riaperti si evince anche dai dati mensili
della Banca d’Italia che indicavano come, al netto delle cessioni
dei crediti e di altri aggiustamenti statistici, il credito alle imprese
più strutturate (> 5 addetti) fosse in crescita, a novembre
2017, di appena lo 0,3% (tuttavia dal momento che i prestiti
rilevati mensilmente dalla Banca d’Italia comprendono anche le
sofferenze non è chiaro se effettivamente il credito “buono” sia
ripartito o meno).
Ufficio Studi CGIA
105
Tabella 8 - Totale IMPIEGHI VIVI
nel sistema bancario 15
Tab
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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Fotografia sul credito a Nord Est
106
Gli impieghi vivi alle imprese
Anche tra gli impieghi “vivi”, quelli alle imprese sono diminuiti
di più. In 6 anni si calcolano nel Nord Est addirittura 67 miliardi
di euro in meno alle imprese (-26,9%). In provincia di Treviso si
verifica la contrazione più rilevante: -36,7% come illustrato dalla
tabella 9.
Le imprese venete hanno subito la stretta creditizia maggiore
(-30,5%), seguite da quelle emiliane/romagnole (-25,9%) e da
quelle del Friuli Venezia Giulia (-24,0%).
Come nel caso degli impeghi, anche per i prestiti in bonis
(impieghi vivi) è interessante distinguere le imprese in due
categorie:
a) “imprese con almeno 20 addetti”;
b) “imprese con meno di 20 addetti”.
Per quanto riguarda le imprese più strutturate (da 20 addetti
in su) la flessione degli impieghi nel Nord Est è stata del 26,2%
in 6 anni e del 4,8% nell’ultimo anno (tabella 10): effetti più
pronunciati per la provincia di Belluno (-38,1%), di Treviso
(-37,0%), di Rovigo (-35,9%) e di Gorizia (-30,6%).
Nel caso delle piccole imprese (meno di 20 addetti) si verifica,
per il Nord Est, una caduta dei prestiti in “bonis” nettamente
superiore (pari al 29,3% in 6 anni e del 6,1% nell’ultimo anno);
in altri termini, la diminuzione dei prestiti in “bonis” è stata più
ampia per le imprese più piccole (tabella 11).
Ufficio Studi CGIA
107
Tabella 9 - Totale IMPIEGHI VIVI a IMPRESE 17
Tab
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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Fotografia sul credito a Nord Est
108
Tabella 10 - Totale IMPIEGHI VIVI A IMPRESE
con almeno 20 ADDETTI 18
Tab
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10–
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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Ufficio Studi CGIA
109
Tabella 11 - Totale IMPIEGHI VIVI A IMPRESE
< 20 ADDETTI 19
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11–
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dati
Ban
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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Fotografia sul credito a Nord Est
110
3. Le sofferenze del sistema bancarioe focus su imprese
La crisi economica ha determinato un rapido aumento delle
sofferenze bancarie. Come illustrato in tabella 12, tra fine settembre
2011 e fine settembre del 2016 i crediti più problematici sono
raddoppiati passando da 102 miliardi a quasi 200 miliardi di euro.
Solo nell’ultimo anno si è assistito a una parziale riduzione
della sofferenze, dovuta tuttavia alla cessione da parte delle
banche delle stesse. In effetti, nell’ultimo anno si è verificata una
crescita del mercato della cessione dei crediti con un contestuale
alleggerimento dai bilanci bancari.
Il fardello delle sofferenze grava però ancora sulle concessioni
del credito che stenta a decollare; il fatto che anche i prestiti “vivi”
siano in calo evidenzia come l’ammontare dei crediti “buoni”
ristagni. In altri termini, al netto degli effetti delle cessioni, le
sofferenze non stanno calando anzi: si pensi che nel bollettino
della Banca d’Italia del 12 settembre del 2017 (dati di giugno
2017) si leggeva che “le sofferenze sono diminuite del 5,1% su
base annua (…)” - tuttavia - “quando si corregge per tener conto
delle cartolarizzazioni e degli altri crediti ceduti e cancellati dai
bilanci bancari le sofferenze risultano cresciute del 10,3%”.
La tabella 13 presenta invece l’incidenza delle sofferenze
rispetto al totale degli impieghi. Considerando i dati a fine
settembre degli ultimi 6 anni, nel 2016 è stato raggiunto il
picco delle sofferenze in Italia (11,0% del totale) mentre a fine
settembre del 2017, per le ragioni delineate poc’anzi, si è ritornati
al di sotto del 9,8%.
Ufficio Studi CGIA
111
Considerando i dati delle 13 province del Triveneto è possibile
stilare una classifica di quelle che generano più sofferenze: nell’ordine
troviamo Rovigo (14,6%), Padova (13,8%), Gorizia (11,3%), Vicenza
(11,1%) e Trento (11,0%); tutte le altre presentano quote inferiori al
10%. Si nota infine come il dato del Triveneto (9,7%) sia influenzato
dalla performance peggiore del Veneto (10,8%) ma anche come la
situazione dell’Emilia Romagna sia più negativa: qui le sofferenze
incidono per il 12,2% del totale dei finanziamenti.
Rispetto ad un totale di sofferenze bancarie a fine settembre
del 2017 pari a 173 miliardi di euro (dati Banca d’Italia di
segnalazioni di vigilanza), quasi 136 miliardi sono in capo alle
imprese (ovvero il 78% del totale). È abbastanza scontato che sia
il tessuto produttivo a detenere questo triste primato, frutto di una
crisi economica senza precedenti e di alcune politiche europee
troppo stringenti che, di fatto, hanno prolungato la recessione nei
paesi periferici. Le tabelle 14 e 15, che riguardano le sofferenze
delle imprese, ricalcano quanto già rilevato in precedenza con le
sofferenze che crescono progressivamente dal 2011 al 2016 per
poi scendere leggermente nell’ultimo anno.
Al di là di questa tendenza generale, è interessante soffermarsi
sull’incidenza delle sofferenze generate dalle imprese rispetto al
totale dei finanziamenti a queste rivolti; in Italia a fine settembre
del 2017 l’incidenza era pari al 16,7%, con quote tuttavia un po’
meno critiche nel Nord Est. In particolare, come si evince dalla
tabella 15, le imprese che restituiscono di più il credito si trovano in
provincia di Bolzano (4,4% l’incidenza delle sofferenze), seguita da
Trieste (8,9%); in tutte le altre province del Triveneto si registrano
quote superiori al 10% con Rovigo che “sfonda” il 20%.
Fotografia sul credito a Nord Est
112
Tabella 12 - Totale SOFFERENZE
nel sistema bancario 22
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-1
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,1
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22
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+
16.2
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17
-15,
7 IT
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102.
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972
173.
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+
69,9
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5.58
6 -1
2,9
Elab
oraz
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Uff
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Stu
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GIA
su
dati
Ban
ca d
’Ita
lia
Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Ufficio Studi CGIA
113
Tabella 13 - Incidenza % SOFFERENZE
su TOTALE IMPIEGHI
23
Tab
ella
13 –
Inci
den
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SO
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TALE
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2011
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16-
set
2017
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17-2
011
(6
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17-2
016
(ulti
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su
dati
Ban
ca d
’Ita
lia
Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Fotografia sul credito a Nord Est
114
Tabella 14 - Totale SOFFERENZE
in capo alle IMPRESE 24
Tab
ella
14 –
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1.47
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5 +
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+65
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1.69
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1.50
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+51
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+18
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dati
Ban
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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Ufficio Studi CGIA
115
Tabella 15 - Incidenza % SOFFERENZE
su TOTALE IMPIEGHI
25
Tab
ella
15–
Inci
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su
dati
Ban
ca d
’Ita
lia
Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Fotografia sul credito a Nord Est
116
La questione delle sofferenze va tuttavia ampliata con altri
dati. In questo senso, quelli di fonte Centrale dei Rischi (Banca
d’Italia) sono molto interessanti in quanto forniscono, in primis,
indicazioni circa il grado di concentrazione del credito in Italia (in
altri termini a chi viene affidato) e, in secundis, si può cogliere
quanta parte delle sofferenze è generata dai grandi affidati.
I dati della Banca d’Italia (riferiti al 30 settembre 2017)
indicano che la quota di prestiti ottenuta dal primo 10 per cento
degli affidati (vale a dire la migliore clientela che non è costituita
di certo da artigiani, piccoli negozianti, partite Iva o piccoli
imprenditori) è pari al 79,8 per cento del totale; per contro, il
restante 90 per cento dei clienti ottiene poco più del 20 per cento
degli impieghi (grafico 1). Dalla tabella 16 si rileva, invece, come
i grandi gruppi del Mezzogiorno ottengano meno prestiti della
media nazionale ma causino un livello molto elevato di sofferenze
e, più in generale, come il primo 10% degli affidati generi un
aumentare molto grande di sofferenze: l’81%.
Grafico 1 - La concentrazione del credito in Italia
79,3
80,9 81,5
80,2 80,4 80,2
79,8
78,3 78,3
79,3
80,2
81,1 81,1 81,0
78,0
79,0
80,0
81,0
82,0
set-2011 set-2012 set-2013 set-2014 set-2015 set-2016 set-2017
Quota dei prestiti ottenuta da primo 10% degli affidati
Quota delle sofferenze causata da primo 10 % degli affidati
Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia (fonte: Centrale dei Rischi)
Ufficio Studi CGIA
117
Tabella 16 - Concentrazione del credito per regione
27
(commento in 1 pagina dispari-destra)
Tabella 16 – Concentrazione del credito per regione
RANK per quota
sofferenze causata da primo 10%
affidati (D)
Dati al 30/09/2017
CONCENTRAZIONE DEL CREDITO
Quota dei prestiti ottenuta
da primo 10% affidati
(C)
Quota delle sofferenze causata
da primo 10% affidati
(D)
1 Lazio 81,0 84,4 2 Emilia Romagna 77,4 83,7 3 Campania 68,9 82,0 4 Valle d'Aosta 70,8 81,6 5 Toscana 71,9 81,4 6 Sardegna 71,4 81,4 7 Basilicata 64,3 80,7 8 Trentino Alto Adige 70,4 80,7 9 Friuli Venezia Giulia 69,8 80,4 10 Liguria 76,0 79,9 11 Abruzzo 67,1 79,7 12 Lombardia 88,1 79,3 13 Veneto 82,1 79,0 14 Piemonte 75,4 78,7 15 Puglia 61,7 78,3 16 Molise 55,9 77,9 17 Calabria 62,1 77,5 18 Umbria 70,7 77,4 19 Marche 67,2 76,4 20 Sicilia 60,5 75,2 ITALIA 79,8 81,0
CENTRO 76,5 82,0
NORD EST 78,3 81,6
SUD 65,5 80,1
NORD OVEST 85,8 79,3 ISOLE 64,0 77,1
Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia (fonte: Centrale dei Rischi) Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia(fonte: Centrale dei Rischi)
Fotografia sul credito a Nord Est
118
4. Depositi presso il sistema bancario
Il sistema bancario è “quell’interlocutore” che si interpone tra
soggetti che necessitano di risorse finanziarie (dunque di andare
a prestito) e soggetti che abbondano di risorse e che le depositano
presso le banche (depositi ma anche obbligazioni) o che, tramite
questi soggetti, effettuano degli investimenti.
In questo paragrafo si riportano i dati dei depositi bancari
ovvero tutte quelle risorse finanziarie che sono detenute presso il
sistema creditizio italiano, principalmente sotto la forma di conti
correnti e vincoli a breve termine.
Il primo dato interessante che emerge dalla tabella 17 indica
come i depositi bancari siano costantemente in aumento. Tra la
fine di settembre del 2011 e la fine di settembre del 2017 i depositi
in Italia sono cresciuti del 33,2% passando da 1.116 miliardi di
euro a 1.487 miliardi di euro.
Il dato del Nord Est evidenzia una crescita (+36,3%) leggermente
superiore rispetto al risultato dell’Italia ed è guidato soprattutto da
quanto registrato in Emilia Romagna (+40,0%) e in Trentino Alto
Adige (+71,1%). In Veneto la crescita è stata comunque superiore
al 30%, mentre nel caso del Friuli Venezia Giulia si registra una
crescita dei depositi dei residenti inferiore al 20%.
Rispetto ai dati provinciali, spiccano i risultati dei residenti
in provincia di Bolzano dove i depositi sono cresciuti dell’80,6%
in appena 6 anni. In Veneto, invece, i saggi di incremento più
rilevanti si registrano a Vicenza (+46,4%) e a Treviso (42,0%).
Il fatto che i depositi siano aumentati, anche di molto negli
ultimi anni, non va associato necessariamente ad un aumento
Ufficio Studi CGIA
119
della ricchezza delle famiglie e del sistema Italia ma più che altro
ad una ricomposizione della destinazione di questa ricchezza.
In effetti, con le crisi bancarie e i tassi d’interesse molto
bassi (addirittura negativi nel caso dei BOT) molti soggetti
hanno rinunciato ad investire non rinnovando più i titoli di stato
e vendendo le obbligazioni bancarie ritenute non più sicure; il
risultato è stato quello di un aumento delle risorse destinate ai
depositi che sono tutelati anche in caso di default bancario fino
alla cifra massima di 100 mila euro per legge.
In altri termini, gli sconvolgimenti vissuti negli ultimi
anni dal sistema bancario italiano hanno condizionato anche
i risparmiatori. Nel giro di poco tempo sono crollate tutte le
certezze dei risparmiatori italiani, soprattutto di quelli che
avevano riposto la propria fiducia nelle banche, sottoscrivendo
obbligazioni e prodotti finanziari da queste proposte. E nemmeno
i titoli di Stato risultano più appetibili; in un primo momento,
quando verso la fine del 2011 i rendimenti salivano sotto la
spinta dello spread, i risparmiatori “retail”, temendo il default,
preferivano venderli e più tardi, quando i rendimenti sono andati
sottozero ne è venuta meno la convenienza a sottoscriverli per
un medio risparmiatore italiano.
Fotografia sul credito a Nord Est
120
Tabella 17 - Totale DEPOSITI NEL SISTEMA BANCARIO 30
Tab
ella
17 –
Tota
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23
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5.73
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+
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15.9
19
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23.2
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+7.
379
+46
,4
+95
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4,3
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14.8
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18.1
33
19.3
93
+4.
523
+30
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+1.
260
+6,
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3.
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4.91
6 5.
166
+1.
225
+31
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+25
0 +
5,1
Bellu
no
3.75
3 4.
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+
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+4,
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o 10
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G
25.3
95
28.1
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’Ita
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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Ufficio Studi CGIA
121
Le tabelle 18 e 19 presentano la ripartizione dei depositi bancari
alla fine di settembre del 2017. In primo luogo, i finanziamenti
sono diretti principalmente alle famiglie (938 miliardi di euro che
equivalgono al 63,1% del totale depositi dei soggetti residenti
in Italia che ammontavano a 1.487 miliardi di euro). In secondo
luogo, si trovano le imprese: circa 322 miliardi di euro per un
21,7% del totale.
Così come questi due primi soggetti (imprese e famiglie)
erano destinatarie di circa tre quarti del credito complessivo,
anche in termini di depositi, queste due categorie contano per
quasi l’85% del totale.
Nel Nord Est si registra una quota ancora più rilevante di
depositi delle imprese (25,1%), mentre il dato delle famiglie
consumatrici è in linea con quello nazionale.
Con riferimento all’incidenza dei depositi delle famiglie, a
livello provinciale si verificano nel Triveneto quote maggiori
per Belluno (81,1%), Rovigo (75,3%), Gorizia (73,3%), Udine
(72,7%) e Pordenone (71,6%); negli altri casi queste incidenze si
attestano al di sotto del 70%.
Con riferimento alle imprese, spiccano i dati dell’Emilia
Romagna (27,0%) e delle province trivenete di Bolzano (28,0%),
Vicenza (27,1%), Padova (26,8%) e Verona (25,5%).
Fotografia sul credito a Nord Est
122
Tabella 18 - Ripartizione DEPOSITI (in mln euro) 32
Tab
ella
18 –
Rip
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Ufficio Studi CGIA
123
Tabella 19 - Ripartizione DEPOSITI (in %) 33
Tab
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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Fotografia sul credito a Nord Est
124
I depositi delle famiglie
Come emerge da tabella 20, a fine settembre del 2017 i depositi
delle famiglie italiane ammontavano a 938 miliardi di euro.
Si nota come questi depositi siano cresciuti a tassi rilevanti
sia nel periodo settembre 2011-settembre 2017 (+197 miliardi di
euro) che nell’ultimo anno (quasi 28 miliardi di euro in più).
In particolare, si registra un aumento dei depositi delle famiglie
residenti nel Nord Est (+38,3%) più che proporzionale rispetto al
dato Italia (+26,7%). Il dato del Triveneto è leggermente superiore
a quello del Nord Est, soprattutto per effetto del Trentino Alto
Adige, dove i depositi delle famiglie sono cresciuti del 70,7%.
L’analisi delle 13 province del Triveneto indica, dopo Bolzano
(+85,8%) e Trento (+55,4%) tassi di crescita più elevati per le
venete Treviso (+40,6%) e Verona (+39,2%).
Nell’ultimo anno i depositi che sono cresciuti di più riguardano
le famiglie residenti nelle province di Trento e Treviso (+6,4% in
entrambi i casi) e Verona (+5,7%). Nel caso di Treviso il dato è
rilevante anche in termini assoluti dal momento che nell’ultimo
anno i depositi delle famiglie residenti nella marca trevigiana
sono saliti di quasi 1 miliardo di euro.
Ufficio Studi CGIA
125
Tabella 20 - Totale DEPOSITI delle FAMIGLIE 35
Tab
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20 –
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Ban
ca d
’Ita
lia
Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Fotografia sul credito a Nord Est
126
I depositi delle imprese
Che le imprese detengano depositi è un fenomeno conosciuto.
La gestione della liquidità aziendale è infatti importante per gestire
le fase di acquisto delle materie prime, dei servizi e per effettuare
tutti gli altri pagamenti collegati al personale, alla tassazione
ecc.. Più la gestione della liquidità è efficiente più l’azienda potrà
ottimizzare i costi derivanti dalla tenuta di moneta.
Come si ricava dalla tabella 21, alla fine del mese di settembre
del 2017 le imprese residenti in Italia detenevano 322 miliardi di
euro presso il sistema bancario.
Si tratta sicuramente di una cifra significativa ma la cosa che
colpisce di più riguarda come, negli ultimi anni, queste risorse
siano progressivamente aumentate.
Rispetto a fine settembre del 2011, per le imprese si contavano
ben 112 miliardi di euro di depositi in più a settembre del 2017,
equivalenti ad una crescita del 53,7%. Nel Nord Est la crescita dei
depositi delle imprese (+58,2%) è stata leggermente superiore al
dato Italia.
Alcune province hanno visto i depositi delle imprese quasi
raddoppiare: sono i casi di Trento (+95,1%) e Treviso (+91,9%)
ma anche a Bolzano il saggio di crescita è stato elevato (+87,5%).
Nell’ultimo anno, infine, la tendenza di crescita sembra essersi
rafforzata con tassi di crescita a due cifre per tutte le province del
Triveneto, con la sola esclusione della provincia di Udine.
Ufficio Studi CGIA
127
Tabella 21 - Totale DEPOSITI delle IMPRESE 37
Tab
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21 –
Tota
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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Fotografia sul credito a Nord Est
128
Considerazioni finali
Nonostante il fallimento di una decina di istituti di credito
abbia originato un costo di oltre 60 miliardi di euro a carico dei
risparmiatori, delle banche concorrenti e del bilancio pubblico, il
nostro sistema creditizio continua a premiare chi, in buona parte,
ha causato questo dissesto: ovvero le grandi famiglie industriali, i
gruppi societari e le grandi aziende.
In buona sostanza, prendendo in esame le statistiche della
Centrale dei Rischi, dei 1.500 miliardi che alla fine dello scorso
mese di settembre gli istituti credito italiani avevano accordato
a famiglie, imprese e società non finanziarie, 1.200 sono stati
prestati a un ristretto numero di soggetti che presenta un elevato
potere negoziale.
Non ci sarebbe nulla di strano se questo primo 10 per cento di
affidati fosse solvibile; una banca, infatti, deve necessariamente
aiutare chi ha bisogno di risorse finanziarie ma, allo stesso
tempo, è anche nelle condizioni finanziarie di restituire nei tempi
concordati quanto ottenuto; invece, le cose continuano ad andare
diversamente.
Dall’analisi dell’incidenza percentuale sul totale delle sofferenze
bancarie ascrivibile a questo ristrettissimo club di affidati, la quota
ammonta all’81 per cento del totale. In altre parole, le grandi
imprese continuano a ricevere la quasi totalità dei prestiti bancari,
sebbene presentino livelli di insolvenza allarmanti. A livello
regionale è interessante notare che al Sud il primo 10 per cento
degli affidati ottiene meno credito delle rispettive fasce presenti
nel resto d’Italia, ma genera una quota di sofferenze quasi in linea
con il dato medio nazionale. Al Nord, invece, le grandi imprese
Ufficio Studi CGIA
129
ottengono percentuali di credito molto alte, con livelli di affidabilità
che, comunque, si allineano attorno al dato medio nazionale. In
altre parole possiamo dire che i grandi gruppi del Nord sono più
“virtuosi” di quelli presenti nel Mezzogiorno.
L’elevato numero di crediti deteriorati ha provocato una forte
contrazione dei prestiti all’economia reale e le banche, non essendo
in grado di recuperare una buona parte dei finanziamenti erogati,
hanno deciso di non rischiare più e hanno progressivamente
chiuso i rubinetti del credito.
I primi dati provvisori sugli ultimi mesi del 2017 sembrerebbero
indicare una leggera inversione di tendenza. Tra novembre 2017 e
lo stesso mese del 2016, la quantità di finanziamenti alle imprese
è aumentata mediamente dello 0,3 per cento, anche se si sono
registrati dei risultati molto diversi tra le varie classi dimensionali
di impresa. Nelle medio-grandi, ad esempio, la crescita è stata
dello 0,6 per cento, nelle piccole e micro, invece, la contrazione è
stata dell’1 per cento, nonostante la domanda generale di credito
registrata in questi ultimi mesi sia tendenzialmente in crescita.
Sul fronte dei depositi, invece, bisogna rimarcare come questi
siano in costante aumento con saggi d’incremento molto elevati;
questo non deve tuttavia portare a conclusioni affrettate. In effetti
l’aumento dei depositi delle famiglie non si traduce necessariamente
in un aumento della loro ricchezza ma in una rimodulazione della
sua composizione: più strumenti a breve termine come conti
correnti e vincoli; meno obbligazioni bancarie e meno titoli di stato.
Anche i depositi delle imprese crescono, tra l’altro con tassi
ancora superiori rispetto a quelli delle famiglie. Il fatto che
i depositi delle imprese salgano così in fretta non rappresenta
Fotografia sul credito a Nord Est
130
di per sé un segnale positivo; la sensazione più comune è
che le imprese, da un lato, siano state vittime della stretta
creditizia e, dall’altro, abbiano cercato “di fare cassa” in modo
da gestire al meglio eventuali crisi di liquidità. La certezza del
credito è stata infatti messa in discussione dalle richieste di
patrimonializzazione “arrivate” al sistema bancario dall’Europa e,
d’altro canto, le imprese sembrano particolarmente prudenti sul
fronte degli investimenti reali, in una fase, sì di ripresa economica
ma caratterizzata da alcuni timori di fondo. I dati di contabilità
nazionale sugli investimenti evidenziano, infatti, come il gap con i
livelli raggiunti dagli stessi nel periodo pre-crisi sia ancora molto
ampio (circa 25 punti percentuali) e di questo passo il recupero è
lontano nel tempo, nonostante alcuni provvedimenti di sostegno
agli investimenti siano stati presi proprio in questi ultimi anni
(maxi ammortamenti).
Ufficio Studi CGIA
3/2017
Rivista di cultura SOCIO-ECONOMICA della CGIA di Mestre
NORDeSTVENETO
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Distretti, edilizia,retail banking
e credito
Periodico quadrimestrale – Registrazione Tribunale di Venezia n. 1336 del 15/06/1999 – Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VE
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ISSN 1590-2951
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