2 - giornalino di maggio 2011

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ASSOCIAZIONE DON BOSCO Anno 1 N°2 1

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2 - Giornalino di Maggio 2011

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ASSOCIAZIONE DON BOSCO Anno 1 N°2

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ASSOCIAZIONE DON BOSCO Anno 1 N°2

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INDICE :

Perché “AGAPE” ? pag 3

Preghiera pag 3

Lettera ai ragazzi pag 4

La nostra associazione pag 5

La storia di un santo pag 6

I vangeli delle domeniche del mese pag 8

Una ricetta per voi pag 11

ASSOCIAZIONE DON BOSCO Anno 1 N°2

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“PERCHE’ AGAPE”

Per il nostro giornalino noi ragazzi dell’Oratorio, dell’ Associazione San Giovanni Bosco, abbiamo scelto

ÁGAPE, perché rappresenta la nostra regola di vita.

Ágape significa amore fraterno, disinteressato ed è in contrasto con eros, l'attrazione carnale. Non indica solo un sentimento, ma anche una virtù, uno stato spirituale, un dono di Dio, una grazia. Viene tradotta con carità.

L’Ágape è l’amore gratuito di colui che dona tutto se stesso all’altro senza prevedere o pretendere nulla in cambio, ed è perciò incondizionato e assoluto. L’Ágape è l’amore caritatevole (detto anchè bontà o misericordia), che si traduce nel servizio ai fratelli bisognosi come ad esempio agli affamati, agli ammalati, agli emarginati…

Attraverso la carità, noi ragazzi e ragazze dell’Oratorio dell’associazione San Giovanni Bosco vogliamo realizzare il comandamento dell'amore lasciato da Gesù Cristo ai suoi discepoli: « Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto,

gli domandò: "Qual è il primo di tutti i comandamenti?". Gesù rispose: "Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più grande di questi" »

(Marco 12,28-31)

PREGHIERA

Preghiera trovata nello zaino di un soldato morto nel 1944 durante la battaglia di Montecassino.

Ascoltami, o DIO! M’avevano detto che TU non esistevi

ed io, come un idiota, ci avevo creduto. Ma l’altra sera, dal fondo della buca di una bomba,

ho veduto il TUO cielo. All’improvviso mi sono reso conto

che m’avevano detto una menzogna. Se mi fossi preso la briga di guardare bene

le cose che hai fatto TU, avrei capito subito che quei tali

si rifiutavano di chiamare gatto un gatto. Strano che sia stato necessario ch’io venissi in questo inferno

per avere tempo di vedere il TUO volto! Io ti amo terribilmente…

ecco quello che voglio che TU sappia. Ci sarà tra poco una battaglia spaventosa.

Chissà? Può darsi che io arrivi da te questa sera stessa. Non siamo stati buoni compagni fino ad ora

e io mi domando, mio DIO, se TU mi aspetterai sulla porta.

Guarda: ecco come piango! Proprio io mettermi a frignare!

Ah, se ti avessi conosciuto prima… Andiamo! Bisogna che io parta.

Che cosa buffa: dopo che ti ho incontrato non ho più paura di morire.

Arrivederci!

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LETTERA AI RAGAZZI DELLA DON BOSCO

Vi scrive quel vecchio signore che appare, sporadicamente e furtivamente in “saletta”, incantato dalla vostra esuberante vitalità, ad osservarvi. L’occasione è data dalla vostra prima pubblicazione di cui mi avete donato una copia. Da ragazzo, nella “mia” Don Bosco, i più grandi redigevano il giornalino murale. Tra i compilatori i “ragionieri”, quali Italo Sabatelli ed Egidio Arpano (di lui, l’amato precettore, m’è ancor difficile riandare per la pena, generata dalla sua recente scomparsa e che annega ogni rimembranza). Strani “ragionieri” quelli, che l’angustia dei tempi non condusse al liceo classico, cui l’antico ordinamento scolastico (voluto negli anni ’30 dal filosofo e Ministro della P.I. Gentile, con l’appellativo copiato da quello della prima coorte dell’esercito romano, punta di diamante per lo sfondamento delle avverse schiere) avrebbe dovuto formare la classe dirigente. Si, strani “ragionieri”, che nella vita acquistarono tanto sapere (oggi, alla distanza, ripensando a quanto essi hanno anche espresso nella vita), quello mio e quasi analfabetismo. Ora vi scrivo per invitarvi ad insistere nella vostra pubblicazione, anche se dovesse limitarsi ad un “copia ed incolla” di scritti ripescati. E ciò che per ragioni di metodo e di merito. Perché di metodo. Il metodo è uno strumento, pari ai tanti utilizzati in ogni arte o mestiere. Se osservate quest’ultimi, capite presto l’opera cui sono finalizzati, e tanto più sono validi quanto ed ancor più il risultato cui tendono risulta meglio compiuto. Altrettanto è per lo scritto della parola. Oltre al suo contenuto ha valenza pure lo strumento che la veicola. Sino all’ “estremo”, e su cui va effettuata rigorosa vigilanza oggi per il grande accesso di veicoli invadenti e pervasivi, quali radio, televisione ed internet, da confondersi con (ed essere) la parola, e quindi il messaggio, che trasmettono e passano per “scontatamente” vero e reale. Orbene lo scritto ha il pregio di indurre alla riflessione il suo ideatore, nonché il redattore ed il lettore. Impone loro ordine, logica (la obliterata e quasi dimenticata scienza che per secoli ha studiato come la mente necessita di organizzazione e progettualità nel manifestare il pensiero), ed induce maggiormente ad esprimere contenuti su cui si è quanto meno soffermati. Sicchè il mio invito a continuare in quanto stampate, è perché elogio sempre la parola scritta. Elogio, nei suoi antichi significato ed accezione. Lode quindi della parola scritta. Ma innanzi argomentavo a riguardo, non solo per ragioni di metodo (il marchingegno utilizzato per dire qualcosa), ma pur per ragioni di merito (validità di quanto si comunica). Va conservato infatti il pudore da mantenere innanzi alla sacertà della vita, e quindi alla sacralità della parola di cui essa ne esplicita gran parte. Orbene quando la parola è manifestata con lo scritto ne denuncia maggior rispetto. Cordialità. Donato Caputo

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LA NOSTRA ASSOCIAZIONE Il 10/04/2011 noi ragazzi dell’associazione “Don Bosco” abbiamo partecipato all’incontro dell’associazione “U.A.L.”, con i suoi collaboratori, nella chiesa “San Camillo” di Manfredonia. In questo incontro, noi volontari, siamo intervenuti in maniera tale da rendere partecipi gli ammalati. Questi erano sei (con i rispettivi volontari) aventi varie malattie che vanno da semplici disturbi mentali a malattie gravi come tumori, infermità, inabilitazioni varie che costringono alcuni di essi a stare seduti su carrozzelle. Durante l’incontro è stata celebrata una messa, all’interno della quale è avvenuta la benedizione delle tessere dell’associazione “U.A.L.” poi consegnate ai rispettivi soci. Alla fine dell’incontro, gli ammalati sono stati riaccompagnati alle rispettive abitazioni. Noi cerchiamo, nel nostro piccolo, di render felici coloro che incarnano la figura di CRISTO in persona. 17/04/2011, la domenica delle palme, undici ragazzi dell’associazione hanno accompagnato gli ammalati dell’associazione “U.A.L.” alla via crucis avvenuta a San Giovanni Rotondo. La partenza da Manfredonia è stata alle ore 14:15 con arrivo a San Giovanni alle 15:30. Dopo aver fatto scendere gli ammalati dal pulman e portati alle proprie carrozzelle, sono stati accompagnati in chiesa per la Santa Messa. Noi ragazzi, invece, siamo stati in giro a visitare la chiesa nuova di San Pio. Verso le 16:30 ogni giovane ha preso un ammalato per dare inizio alla via crucis, tenutasi sul preciso tratto che sale le pendici del monte Castellano. Arrivati alla cima il sacerdote dell.U.A.L., Don Luigi, ha concluso augurando buona pasqua a tutti i pellegrini. Alla fine dell’incontro, gli ammalati sono stati riaccompagnati al pulman. E successivamente, arrivati a Manfredonia, alle rispettive abitazioni. Ricordando le dolorose vie fatte da Gesù, prima di andare incontro alla morte, abbiamo piantato nel cuore di ognuno di noi il seme di vita eterna. I ragazzi che hanno partecipato a questo evento sono: Angelica Damiano, Antonella Fiorile, Marcella Lombardi, Domenico Faccenda, Gianluca Spagnuolo, Michele Prencipe, Raffaele Gisio, Luigi Ricucci, Alessio Pappalardo, Libero Rinaldi e Giuseppe Trotta. Il 25/04/2011, giorno di pasquetta, siamo stati invitati alla chiesa madre di cristo (ai piedi di Rignano) dal nostro carissimo amico don Nazareno Galullo.

Il nostro “cicerone” Donato Caputo ha guidato il nostro gruppo alla volta della splendida Dolina Pozzatina, una dolina carsica situata nel comune di San Nicandro Garganico ricadente nel territorio del Parco Nazionale del Gargano. Dopo averla ammirata siamo arrivati finalmente a destinazione. Il gioco, lo stare tutti assieme e mangiare tutti uniti (dei panini da

noi preparati) sono stati i fondamenti della giornata. La giornata s’è svolta in tutta serenità e s’è conclusa con la preghiera, che ha coinvolto il nostro gruppo ed altri gruppi che hanno trascorso la pasquetta in questo incantevole posto. Una preghiera cantata è ballata che ha regalato tanta serenità nei nostri cuori.

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Don Bosco Straordinario educatore e indimenticabile parroco, Giovanni Bosco nacque il 16 agosto 1815 in una famiglia contadina poverissima a Becchi Castelnuovo d'Asti (oggi rinominata Castelnuovo Don Bosco). Sua madre, Margherita, lo tirò su con tenerezza ed energia. Gli insegnò a lavorare la terra e a vedere Dio dietro la bellezza del cielo, l'abbondanza del raccolto, il temporale che schiantava le viti. Mamma Margherita, nella chiesa, aveva imparato a pregare, e lo insegnava ai suoi figli. Per Giovanni pregare voleva dire parlare con Dio in ginocchio sul pavimento della cucina, pensare a lui seduto sull'erba del prato, fissando lo sguardo al cielo. Da sua madre, Giovanni imparò a vedere Dio anche nella faccia degli altri, dei più poveri: nella faccia dei miseri che l'inverno venivano a bussare alla porta della loro casetta, e ai quali Margherita rattoppava le scarpacce e dava un brodo caldo.

Il grande sogno

A 9 anni, Giovanni ha il primo, grande sogno che marchierà tutta la sua vita. Vede una turba di ragazzi poverissimi che giocano e bestemmiano. Un Uomo maestoso gli dice: «Con la mansuetudine e la carità dovrai conquistare questi tuoi amici», e una Donna altrettanto maestosa aggiunse: «Renditi umile, forte e robusto. A suo tempo tutto comprenderai». Gli anni che seguirono furono orientati da quel sogno. Figlio e madre videro l'indicazione di una strada per la vita. A far del bene ai ragazzi, Giovanni ci prova subito. Quando le trombe dei saltimbanchi annunciano una festa patronale sulle colline intorno, Giovanni ci va, e si mette in prima fila davanti ai ciarlatani che danno spettacolo. Studia i trucchi dei prestigiatori, i segreti degli equilibristi. Una sera di domenica, Giovanni dà il suo primo spettacolo ai ragazzi delle case vicine. Fa miracoli di

equilibrio con barattoli e casseruole sulla punta del naso. Poi balza sulla corda tesa tra due alberi, e vi cammina tra gli applausi dei suoi piccoli spettatori. Prima del brillante finale, ripete la predica sentita alla Messa del mattino, e invita tutti a pregare. I giochi e la parola di Dio cominciano a «trasformare» i suoi piccoli amici, che con lui pregano volentieri. Giovanni è sicuro che, per far del bene a tanti ragazzi, deve studiare e diventare prete. Ma il fratello Antonio, che ha già 18 anni ed è un contadino rozzo, non ne vuol sapere. Gli getta via i libri, lo picchia. Tre anni dopo, Antonio si sposa. Giovanni può tornare a casa e frequentare prima le scuole di Castelnuovo, poi quelle di Chieri. Per mantenersi impara a fare il sarto, il fabbro, il barista, dà ripetizioni. È intelligente e brillante, e attorno a lui si coagulano i migliori ragazzi della scuola. Con loro fonda il suo primo gruppo, la «Società dell'allegria». A vent'anni, nel 1835, Giovanni Bosco prende la decisione più importante della sua vita: entra in Seminario. Sei anni di studi intensi, che lo portano al sacerdozio.

Diventa don bosco Nel 1841, giovane prete, arriva a Torino e comincia ad esplorare la città per farsi un'idea delle condizioni morali dei giovani. Ne rimane sconvolto. Ragazzi che vagabondano per le strade, disoccupati, sbandati e depressi pronti a qualsiasi cosa. Rimane inoltre profondamente impressionato dal constatare come tanti di quei ragazzi prendano da subito la via delle patrie galere. Capisce che non può rimanere indifferente a tutto ciò e decide di agire per cercare di sanare, come può, la difficile situazione.

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Aiuta dunque i ragazzi a cercare lavoro, si prodiga per ottenere condizioni migliori a chi è già occupato e fa scuola ai più intelligenti. Nasce così nella periferia torinese il primo oratorio. Nell'aprile 1846 apre a Valdocco nella "casa Pinardi" un oratorio intorno al quale nascerà col tempo il grandioso complesso della casa-madre dei Salesiani. Il problema di accogliere non per alcune ore bensì a tempo pieno ragazzi senza casa diventa fondamentale ma si apre un problema di natura finanziaria. Don Bosco diventa promotore in prima persona della sua iniziativa e si mette alla ricerca di fondi. La prima benefattrice è la madre Margherita che vende tutto quello che possiede per sfamare i ragazzi. Tra i giovani che hanno don Bosco per padre e maestro, qualcuno gli chiede di "diventare come lui". Così nasce, con la cooperazione di don Rua e di don Cagliero, la "Società di San Francesco di Sales" che darà vita all'omonimo ordine dei Salesiani. I Salesiani danno ai giovani non solo pane e una casa, ma procurano loro istruzione professionale e religiosa, possibilità di inserirsi nella vita sociale e buoni contratti di lavoro.

Don Bosco diventa col tempo una figura di rilievo nazionale. Uomo di straordinaria intelligenza, tanto da essere spesso consultato da Papa Pio IX, era dotato di "poteri" quasi sovraumani e forse, per chi crede, di natura divina (ad esempio, ripeteva fedelmente intere pagine di libri dopo averle lette una sola volta), Don Giovanni Bosco rimase sempre altrettanto straordinariamente una persona umile e semplice. Nel 1872, instancabile, fonda la Congregazione femminile delle figlie di Maria Ausiliatrice, detta delle Suore Salesiane. Pochi anni dopo, è il 31 gennaio 1888 quando si spegne a Torino, circondato dal cordoglio di tutti quelli che lo avevano conosciuto, lasciando dietro di sé una scia luminosa di opere concrete e di realizzazioni. Don Bosco venne dichiarato venerabile nel 1907, Beato nel 1929 e Santo nel giorno di Pasqua, 1 aprile 1934. Il 31 gennaio 1958 Pio XII, su proposta del Ministro del Lavoro in Italia, lo ha dichiarato "patrono degli apprendisti italiani".

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Domenica 1 Maggio 2011 Dal Vangelo secondo Giovanni (20,19-31) Riflessione Nonostante la risurrezione i discepoli si rinchiudono pieni di paura. La causa, si dice spesso, è perché non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo. Questo non significa che lo Spirito Santo non fosse presente in mezzo a loro, giacché lo stesso vangelo di S. Giovanni dice che nel momento di morire sulla croce, chinato il capo, Gesù consegnò lo Spirito. Ma, Gesù aveva riservato per il giorno della Pentecoste un'effusione più piena e liberatrice che avrebbe favorito l'espansione evangelizzatrice della Chiesa nascente. Soltanto con la venuta dello Spirito Santo, il giorno della Pentecoste, l'annuncio della Buona Novella diventerà un obbligo urgente per i discepoli, si convertirà in una forza, in un fuoco impossibile da spegnere, da estinguere. Di conseguenza, chiunque dice di aver ricevuto lo Spirito Santo dovrebbe poter dice con San Paolo: "guai a me se non annuncio il Vangelo!" (1 Cor 9, 16). Tuttavia, questo brano mette in evidenza l'incredulità di Tommaso e l'elogio del Signore verso i credenti di oggi e di sempre, i quali crederanno senza aver visto, "beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!". Eppure, anche oggi, molti di noi vogliono vedere per crederci, esigiamo miracoli e prodigi dal buon Dio come condizione per credere e, dunque, non abbiamo niente da biasimare al Didimo incredulo. Occorre dire che Tommaso riuscì ad aprire il suo cuore attraverso quest'incontro col Risorto perché rimase nella comunità, insieme ai fratelli, dai quali non si allontanò mai.Così, ci viene ricordata l'importanza della vita comunitaria per perseverare nel bene, per essere contenuti, per lasciare una finestra aperta, perché da soli, isolati, rischiamo più facilmente di chiuderci. In fine, in questo brano si dice che il vangelo non narra tutto quello che Gesù fece, ci sono molti altri segni che non furono scritti, ma che la Chiesa ha trasmesso a parole di generazione in generazione; questi conformano la Tradizione orale, della quale anche San Paolo parla chiaramente quando dice: "Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete appreso sia dalla nostra parola sia dalla nostra lettera".

Domenica 8 Maggio 2011

Dal Vangelo secondo Luca 24,13-35 Riflessione VORREI ACCOGLIERTI (MA NON A CASA MIA)! Accogliere è una parola facile da dire, ma difficile da mettere in pratica. Tutti pronti a dire: bisogna accogliere uno straniero, bisogna aiutare i poveri, i giovani, gli extracomunitari...ecc.ecc. Poi, di fatto, in pochi realmente accolgono. Se l'essere cristiani non ci fa aprire all'accoglienza, noi non siamo cristiani a metà...diciamo che non lo siamo affatto. Aprire le porte a Cristo, senza paura, è anche aprirle ad un viandante. E così, i discepoli che tornano ad Emmaus fanno la prima esperienza del Risorto...aprendosi all'accoglienza. Se non avessero accolto(resta con noi Signore perché si fa sera) non avrebbero "visto il Signore allo spezzare il Pane". Se non accogli...non vedrai mai il Cristo nell'Eucaristia: rimane ostia, rimane pane...non vai al di là.. Se non accogli...non puoi fare l'esperienza della gioia nel cuore...non puoi vivere la comunione con Gesù. Quante false comunioni. Quanto falso cristianesimo. Quanto falso pietismo, che si "sciacqua" di quegli spiccioli di carità intesa soltanto come "dare soldi"...e non si sporcano le mani di fatiche per l'accoglienza reale. Se tutti accogliessimo, senza paura...ci sarebbero più cristiani veri, più "Eucaristie viventi". I giovani capiscono il messaggio dell'accoglienza se lo vedono fare dai grandi. Spesso anche le parrocchie sono "roccaforti" di fede e preghiera...ma sono "castelli di sabbia" quanto all'accoglienza. Basta con la freddezza di parole sull'accoglienza: i fatti sono quelli che parlano. Perché, di fronte ad uno straniero, che cammina accanto a te...e fa "come per andare più avanti"...c'è il desiderio di essere accolti...nascosto da

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quel pudore timido che spesso non fa neanche chiedere. In fondo, chi ha bisogno...non sempre ha il coraggio di chiedere. E' dal cuore illuminato dalla Parola di Dio...e dalla Croce che deve nascere un senso di accoglienza a priori, cioè al di là del fatto che venga chiesto o meno. Siete d'accordo???

Domenica 15 maggio 2011 Dal Vangelo secondo Giovanni (10, 1-10) Riflessione In questa pericope Gesù si presenta con due similitudini che si mescolano: dal versetto 1 al 2a, la forma è quella della porta, mentre che nei versetti dal 2b al 5 la figura è il pastore. Gli ascoltatori, sembrano, non comprendere questi esempi (v. 6), dunque, Gesù spiega separatamente le sue parabole. Dal versetto 7 al 10, il Signore spiega perché si è presentato come la porta che non indica semplicemente un varco, un posto che si attraversa e si lascia. Nell'antichità la porta di una città, per esempio, era un posto importantissimo, un punto d'incontro, di riunione, di compravendita, in definitiva un luogo di vita; essere alla porta era una vera festa ed era già essere nella città. Per cui, dire che Gesù è la porta indica che in lui, nella sua persona, troviamo i beni della salvezza, la luce, l'alimento, la vita abbondante. È come l'abbraccio di un amico che mediante le sue braccia ci mostra non solo la forza dei suoi arti ma, soprattutto, ci comunica la ricchezza del suo affetto, del suo amore. Così Gesù ci fa vedere verso cosa andiamo incontro quando entriamo attraverso di Lui che è quella porta: entriamo in Lui e in Lui, troviamo il Padre. Infatti, Gesù conclude queste parole sulla porta dicendo che è venuto perché noi potessimo avere la vita e averla in abbondanza, in pienezza (cf. v. 10). Molte volte noi cerchiamo un luogo accogliente, un luogo dove sentirci a nostro agio, comodi, contenuti. Mai, tuttavia, troveremo uno spazio fisico o un gruppo di amici che ci soddisfi in modo assoluto. Abbiamo bisogno di un altro ambito, di uno spazio di amore che potremo trovare solo nel Signore. Quel luogo sono le sue braccia, quello spazio è Lui stesso; e Lui lo troviamo in qualsiasi posto perché ovunque possiamo vivere nella sua presenza: nel lavoro, nelle attività più intense, in mezzo alle preoccupazioni e delle lotte di ogni giorno; sempre possiamo rimanere nella sua presenza, "sommersi" in Lui e così tutto diventa più facile, più tollerabile, più leggero.

Domenica 22 maggio 2011 Dal Vangelo secondo Giovanni (14,1-12) Riflessione Gli apostoli e i discepoli già avevano imparato a vivere con fiducia insieme e Gesù comincia a dire loro parole che non erano mai state pronunciate prima: "Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me"; "Vado a prepararvi un posto", proprio come per dire la morte non distruggerà il nostro vincolo d'amore, un giorno saremo insieme di nuovo, e aggiunse, "del luogo dove io vado, voi conoscete la via". I poveri apostoli lo ascoltano sconcertati; come non avere paura? Se perfino Gesù, nel quale avevano fiducia totale gli sarà tolto in maniera ingiusta e crudele. Alla fine, avranno pensato, "in chi possiamo avere fiducia totale?" Tommaso interviene per mettere un po' di realismo: "Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?" e Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me". E cioè, Egli è l'unica via che ci può condurre a sperimentare Dio come Padre. Le altre strade non sono la Via, sono evasioni che ci allontanano dalla verità e dalla via. Filippo sebbene non capisca pienamente, intuisce che Gesù non parla di qualsiasi esperienza religiosa Egli percepisce che Gesù vuole infondere in loro qualcosa di più, perciò dice "Signore, mostraci il Padre e ci basta". La

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risposta di Gesù è inattesa, va oltre la loro capacità di comprendere: "Chi ha visto me, ha visto il Padre". Vale a dire, la vita di Gesù, la sua bontà, la sua libertà nel fare del bene, il suo perdono, il suo amore verso gli ultimi, ecc. fanno visibile e credibile il Padre. La sua vita ci mostra che nel profondo della realtà alberga un mistero ultimo di bontà e di amore che Egli chiama Padre. Noi cristiani viviamo di queste due parole di Gesù: "Non sia turbato il vostro cuore, vado a prepararvi un posto nella casa del Padre mio" e "Chi ha visto me, ha visto il Padre". Sempre che avremo il coraggio di vivere qualcosa della bontà, della libertà, della compassione e di tante altre virtù che Gesù portò al mondo, faremo più credibile il suo messaggio a tutti gli uomini di buona volontà.

Domenica 29 maggio 2011 Dal Vangelo secondo Giovanni (14,15-21) Riflessione Vale la pena fermarsi a meditare le bellissime parole di congedo che Gesù ci offre nel vangelo di Giovanni. In questo brano troviamo Gesù insieme ai suoi discepoli per parlare dell'amore con loro prima della sua partenza. Egli vuole che non si angoscino troppo a causa della sua morte e sappiano scoprire che Lui ha un progetto meraviglioso per loro: "non vi lascerò orfani: verrò da voi" (v. 18). Gesù annuncia che sarà presente in maniera diversa, che potranno scoprire solo con gli occhi della fede; perciò il mondo non potrà scoprirlo, loro, al contrario, sì, potranno riconoscerlo: "voi invece mi vedrete" (v. 19a); e quell'incontro con Gesù sarà come una vita nuova per loro: "perché io vivo e voi vivrete" (v. 19b). Quel giorno non dovranno piangere la sua assenza; anzi, "perché voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi" (v. 20). Gesù rivela che l'intimità divina si farà presente nell'intimo dei discepoli, che loro sapranno come mai prima quanto Gesù li ama, e lo vedranno come non l'hanno visto mai: "lo amerò e mi manifesterò a lui" (v. 21). Tutto questo sarà possibile per l'azione dello Spirito Santo: "e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi" (v. 16-17). Ora, per tutto ciò occorre essere disposti a compiere il comandamento dell'amore che Gesù lascia ai suoi discepoli, perché nessuno può vivere l'esperienza della sua presenza isolato dagli altri. Questa sublime situazione che Gesù annuncia ai suoi discepoli è quel che capitò dopo la sua risurrezione, pertanto è la situazione che noi dovremmo vivere, riconoscendo con gratitudine e gioia l'amorevole presenza di Gesù nella nostra vita, e reagendo a questo amore con gesti d'amore verso il prossimo.

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Torta fragolina 1. Ingredienti

• 3 Dischi Di Pan Di Spagna • 500 Ml Di Di Latte • 50 G Di Farina 00 • 2 Tuorli + Un Uovo • 100 G Di Zucchero • 1 Limone • 120 Ml Di Liquore All'arancia • 600 G Di Fragole

2. Per Decorare • 20 Bignè • 20 Fragole Piccole • 200 G Di Panna Montata Dolce

Preparazione In una pentola battere i tuorli e l'uovo con lo zucchero, poi unite la farina e la scorza grattugiata del limone aggiungete il latte e fate addensare a fuoco basso, mescolando continuamente. Mondate, lavate e asciugate le fragole. Tagliate la parte superiore (la punta) dei bignè e riempiteli con la crema sovrapponete in ogni bignè una fragolina che farà da punta. Spruzzate i dischi di pan di spagna con mezzo bicchiere di liquore all'arancia diluito con poca acqua. Coprite poi 2 dischi con la crema e le fragole tagliate a spicchi sottili, sovrapponeteli e completate con il terzo disco, su cui distribuirete i bignè. Decorate con ciuffi di panna montata e tenete in frigo fino al momento di servire.

Buon Appetito !