zpe 192-2014 ferrari. sappho.separatum

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  • 8/19/2019 Zpe 192-2014 Ferrari. Sappho.separatum

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    FRANCO FERRARI

    SAFFO E I SUOI FRATELLI  E ALTRI BRANI DEL PRIMO LIBRO

    aus: Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 192 (2014) 1–19

    © Dr. Rudolf Habelt GmbH, Bonn

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    SAFFO E I SUOI FRATELLI E ALTRI BRANI DE L PRIMO LIBRO*

    1. Aspettando Carasso

    Se Saffo, secondo la tendenzialmente concorde cronologia antica,1 nacque verso il 640/630, allora il primo

    dei nuovi carmi recentemente pubblicati da D. Obbink (Obbink 2014) rispecchia, con il riferimento al fra-

    tello minore Larico che non è ancora diventato “un uomo”,2 una situazione collocabile intorno al 620/610,

    prima della partenza della poetessa, intorno al 600, per l’esilio siciliano.

    Carasso (il maggiore dei fratelli di Saffo secondo P.Oxy. 1800 fr. 1.1–35 = Sapph. T 252)3 è invece già

    salpato per esportare vino di Lesbo (Herodot. 2.135, Strab. 17.1.33, Athen. 13.596b–c etc. = T 254) alla vol-

    ta del port-of-trade egiziano di Naucrati che prosperava da qualche decennio dopo essere stato promosso

    intorno al 655 a.C., sulla sponda orientale del ramo canopico del Nilo, da Chio, Teo, Focea e altre πόλεις ioniche (ma al tempo Naucrati non costituiva ancora una

    πόλις greca quale Erodoto la definisce in 2.178 in

    relazione alla concessione di alcuni favori ai Greci da parte di Amasi).

    Larico fu coppiere nel pritaneo di Mitilene e fu più volte lodato dalla sorella in relazione a questo

    uf ficio (Athen. 10.425a πολλαχοῦ Λάριχον τὸν ἀδελφὸν ἐπαινεῖ ὡϲ οἰνοχοοῦντα ἐν τῶι πρυτανείωι τοῖϲ Μυτιληναίοιϲ, cf. Eust. Il. 1205.17 ss., schol. T Il. 20.234 = T 203).

    Ecco il testo e la traduzione del nuovo carme (P.Sapph. Obbink, ll. 1–20), che a parte l’assenza di una

    o più stanze iniziali (appartenenti alla colonna precedente), si è conservato integralmente, e in forma quasi

    impeccabile, sì che le deviazioni dall’edizione di Obbink riguardano solo la probabile corruzione di un

    vocabolo al v. 14 e una diversa interpretazione della sintassi della frase d’esordio oltre a qualche dettaglio

    di punteggiatura:4

      ἀλλ᾽ ἄϊ θρύληϲθα Χάραξον ἔλθην

       νᾶϊ ϲὺν πλήαι, τὰ μέν, οἴομαι, Ζεῦϲ  οἶδε ϲύμπαντέϲ τε θέοι, ϲὲ δ  ̓οὐ χρῆ 

    ταῦτα  νόηϲθαι  4

    * Desidero esprimere la mia più viva riconoscenza a Lucia Prauscello e a Martin West (che mi ha permesso anche di

    consultare in anteprima il suo articolo per la ZPE: West 2014) per preziosi e svariati suggerimenti, proposte, obiezioni che mi

    hanno trasmesso in una serie di missive elettroniche avviata poco dopo la comparsa in rete, nel gennaio 2014, della preliminary

    version di Obbink (alcuni dei loro contributi più specifici sono richiamati col nome accompagnato da asterisco). Un valido aiu-

    to mi è venuto anche da Daniela Colomo, curator dei papiri di Ossirinco, che con grande acribia ha controllato su mia richiesta

    alcuni frustoli di P.Oxy. 1231, conservato presso la Bodleian Library di Oxford.

    1 Cf. Euseb. Chron. p. 99b Helm (Hieron.): Ol. 45.1 = 600/599 Sappho et Alcaeus clari habentur, (versione armena)

    Ol. 46.2 = 595/594, Suda ϲ 107 (= T 253) γεγονυῖα κατὰ τὴν μβ’  Ὀλυμπιάδα (Ol. 42 = 612/609) ὅτε καὶ Ἀλκαῖοϲ ἦν καὶ 

    Ϲτηϲίχοροϲ καὶ Πιττακόϲ, Strab. 13.2.3 e Marm.Par., ep. 36 = FGrHist 239 A 36 (T 251), dove l’anno a cui l’iscrizione fa rife-rimento in relazione all’esilio di Saffo in Sicilia è quello dell’arcontato del primo Crizia e si situa comunque fra il 605/604, a cui

    rimanda la notizia precedente, e il 591/590, a cui afferisce la notizia immediatamente successiva, e inoltre sono da escludere gli

    anni dal 595/594 al 592/591, positivamente associabili ad arconti diversi da Crizia. Sulla sostanziale attendibilità dei dati offerti

    dal Marmor Parium in relazione alla biografia di Saffo vedi Jacoby 1904, 100–2, sulla possibile derivazione dal peripatetico

    Fania di Ereso dei dati condivisi da Eusebio e dal Marmor Parium Mosshammer 1977, 125.

    2 Che Larico fosse più giovane di Saffo non è esplicitamente dichiarato da alcuna fonte, ma si ricava con ragionevole

    sicurezza dal fatto che Saffo cantava di lui quando egli era ancora ‘coppiere’ nel pritaneo di Mitilene ed è ora confermato

    dall’augurio che diventi “un uomo”.

    3 Le citazioni di brani e testimonianze di e su Saffo e Alceo sono sempre fatte, salvo diversa indicazione, dall’edizione di

    E.-M. Voigt (Voigt 1971).

    4 Νella presentazione dei testi non riproduco tutti i punti sottostanti a lettera incerta quali sono scrupolosamente dissemi-

    nati nelle edizioni di Obbink e di Burris, Fish e Obbink (BFO) – e motivati nei relativi commenti paleografici –, ma solo quelli

    attinenti a lettere il cui ripristino, anche considerando il contesto e l’eventuale pluralità dei testimoni (ciò che è di lettura incertain uno di essi può non esserlo in un altro), è da considerare davvero dubbio. Questo permetterà di mettere più agevolmente a

    fuoco i momenti realmente problematici.

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    2 F. Ferrari

      ἀλλὰ καὶ πέμπην ἔμε καὶ κέλεϲθαι  πόλλα λίϲϲεϲθαι βαϲίληαν  Ἤραν  ἐξίκεϲθαι τυίδε ϲάαν ἄγοντα

       νᾶα Χάραξον  8  κἄμμ᾽ ἐπεύρην ἀρτέμεαϲ· τὰ δ  ̓ἄλλα  πάντα δαιμόνεϲϲιν ἐπιτρόπωμεν·  εὔδιαι γὰ ἐκ μεγάλαν ἀήταν  αἶψα πέλονται. 12  τῶν κε βόλληται βαϲίλευϲ  Ὀλύμπω  δαίμον᾽ ἐκ πόνων ἐπ  ̓ἄρηον ἤδη  περτρόπην, κῆνοι μάκαρεϲ πέλονται  καὶ πολύολβοι· 16  κἄμμεϲ, αἴ  κε τὰν κεφάλαν ἀέρη  Λάριχοϲ καὶ δή ποτ᾽ ἄνηρ γένηται,

      καὶ μάλ᾽ ἐκ πόλλαν βαρυθυμίαν κεν  αἶψα λύθειμεν. 20

      … ma tu non fai che ripetere che Carasso è arrivato

      con la nave colma, cosa di cui, credo,

      sono a conoscenza Zeus e tutti gli dèi, ma non a questo

      tu devi pensare, 4

      ma solo a congedarmi e invitarmi a rivolgere

      molte suppliche a Hera sovrana perché

      giunga fin qua pilotando indenne

      la sua nave Carasso 8

      e trovi noi sane e salve: il resto

      af fidiamolo tutto ai numi,

      ché a grandi tempeste d’un tratto

      succede il sereno. 12

      Coloro la cui fortuna il sovrano d’Olimpo

      voglia infine rovesciare per il meglio

      lungi da sofferenze, quelli diventano

      felici e molto prosperi. 16

      Anche noi, se Larico alzasse la testa

      e diventasse finalmente un uomo,

      ecco che saremmo liberate d’un tratto

      da molti scoramenti. 20

    Al v. 2 τὰ μέν può ben porsi in apposizione a quanto precede, dunque non c’è ragione di inserire punto fortedopo πλήαι pur seguito nel papiro da punto in alto (interpretabile come fine di Kurzcolon, non di periodo).

    οἴομαι è un inciso e dunque va posto fra virgole.Al v. 5 καί non può significare “especially” (rispetto a che cosa?) ma ha funzione limitativa (“solamen-

    te”), come in Hom. Od. 1.58 ἱέμενοϲ καὶ καπνὸν ἀποθρώιϲκοντα  νοῆϲαι.Per βαϲίληαν  Ἤραν (v. 6) cf. Pind. Pae. *21.11 ἰὴ ἰὴ βαϲίλειαν  Ὀλυμπίων. L’epiteto sembra confer-

    mare il riferimento a Hera nello scolio marginale ad  15 in P.Oxy.2165 fr. 1, col. I (τὸ τῆϲ  Ἥραϲ) in rife-rimento a τεῖχοϲ βαϲιλήϊον del testo (si tratta di un carme molto lacunoso, Alc. fr. 130a, inserito però almezzo fra Alc. 129 e 130b, due brani entrambi ambientati nell’Heraion pan-lesbio di Messa), vedi Liberman

    1999, I, 62 s.

    Al v. 14 credo sia da accogliere la correzione di West (2014) ἐπ  ̓ἄρηον  per ἐπάρωγον  del papiro(ἐπάρωγον  post correctionem; ἐπάρηγον  ante correctionem). Contro questa proposta Obbink 2014, 44

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      Saffo e i suoi fratelli e altri brani del primo libro  3

    obietta che essa “requires understanding δαίμον᾽ in a radically different sense from 10”, ma l’obiezione,dato il passaggio dal plurale al singolare, è debole (per δαίμων ‘destino’ o ‘fortuna’ vedi LSJ  s.v. I 2, a cuiaggiungerei Pind. Ol. 13.28 Ξενοφῶντοϲ εὔθυνε δαίμονοϲ οὖρον e il verso orfico (OF  5.2 T) in P.Derv.

    col. 8.5 ἀ]λκήν τ  ̓ἐν χείρεϲϲι [λ]άβ[εν κ]αὶ δαίμον[α] κυδρόν, per la cui esegesi rimando a Ferrari 2013,61 s.), mentre con ἐπάρωγον si sarebbe costretti a far reggere δαίμον᾽ non da περτρόπην (= περιτρέπειν)ma da βόλληται, come del resto mostra la versione di Obbink: “of whomever the King of Olympus wishes /a divinity as helper now to turn them / from troubles”. In realtà τῶν κε βόλληται βαϲίλευϲ  Ὀλύμπω …περτρόπην non può che significare “coloro di cui il sovrano d’Olimpo desidera rovesciare …” (cf. adesp.TrGF  547.4 ὃ περιέτρεψεν ἢ χρόνοϲ τιϲ ἢ φθόνοϲ), e a questo punto sia δαίμον᾽ in quanto ‘demone’ siaἐπάρωγον diventano impossibili.

    Il destinatario del discorso della poetessa come può dire che Carasso è tornato con la nave piena se

    invece di un tale ritorno possono sapere solo Zeus e gli altri dèi? A Mitilene il dato del ritorno, se questo era

    avvenuto davvero, doveva esser noto a chiunque si fosse affacciato sul porto (o su un porto, considerando

    anche lo scalo secondario rivolto verso la costa anatolica), non solo agli dèi.

    Obbink è incline a dare a ἔλθην del v. 1 un valore atemporale (“the infinitive … represents an originalsubjunctive or optative in indirect statement: ‘you are always chattering that Charaxos should come’, or

    ‘chattering “May Charaxos come”’ (or ‘chattering for Charaxos to come’, or just ‘chattering: “Charaxos

    come”’)”, ma questo cozza con la regola generale secondo cui, “when the optative and infinitive stand in

    indirect discourse, each tense represents the corresponding tense of the same verb in the direct discourse”

    (Goodwin 1889, § 126), e di fatto un’evidente proiezione verso il passato dell’infinito aoristo ἐλθεῖν in rela-zione a un verbo di dire si riscontra in Pind. Py. 1.52φαντὶ δὲ … ἐλθεῖν, Aesch. Pe. 440, Ag. 634 s. πῶϲ γὰρ λέγειϲ χειμῶνα  ναυτικῶι ϲτρατῶι | ἐλθεῖν, Eur. Med. 530 λόγοϲ διελθεῖν. Fanno naturalmente eccezionei verbi denotanti speranza, attesa, volontà, promessa, minaccia, giuramento, possibilità, quelli insomma che

    contengono già in sé un’apertura verso il futuro, e a questi afferiscono i passi richiamati da Obbink (Alc. fr.

    69.3 s. αἴ  κε δυνάμεθ᾽ … | εἰϲ πόλιν ἔλθην e Aesch. Ch. 138 ἐλθεῖν δ  ̓ Ὀρέϲτην δεῦρο … | κατεύχομαί 

    ϲοι) per legittimare un’interpretazione puramente ‘aspettuale’ dell’infinito.Forse la spiegazione di questa singolare ottica temporale sta in ἄϊ θρύληϲθα: l’avverbio ἄϊ (= ἀεί) sot-

    tolinea l’inanità dell’affermazione (un effettivo ritorno dovrebbe essere annunciato una volta per tutte, non

    reiteratamente) e θρυλέω rimanda a rumeur, murmure, un rabâcher (Chantraine, DELG, p. 443) in modosimile ma più espressivo rispetto a λαλέω e può dunque denotare un vaniloquio solipsistico, un fantasticarea vuoto sulla linea di due passi richiamati dallo stesso Obbink: Eur. El. 910 θρυλοῦϲ’ ἅ γ’ εἰπεῖν ἤθελον κατ’ ὄμμα ϲόν (Elettra ripete a se stessa in solitudine ciò che immagina di dire a Oreste) e Aristoph. Eq. 348 (il Paflagone accenna a prove di allenamento in ambito oratorio) τὴν  νύκτα θρυλῶν καὶ λαλῶν ἐν ταῖϲ ὁδοῖϲ ϲεαυτῶι.

    Invece, obietta l’Io lirico, il ritorno di Carasso (τὰ μέν 2, ripreso da ταῦτα 4) è noto solo a Zeus e aglialtri dèi5 e rappresenta un’eventualità che può essere promossa solo rivolgendosi a Hera sovrana (protettrice

    della navigazione, favorì il ritorno a patria degli Atridi, come si racconta nel fr. 17), a cui Saffo stessa siaugura di essere invitata a fare appello af finché davvero Carasso “arrivi qua”. Non necessariamente, però,

    carico di merci, bensì, con una sorta di correzione rispetto a νᾶϊ ϲὺν πλήαι del v. 2 (per il quale, con Prau-scello*, cf. Hom. Od. 15.446 νηὺϲ πλείη βιότοιο), con la “nave indenne” (v. 7 s. ϲάαν … νᾶα) e trovandosani e salvi (ἀρτέμεαϲ, cf. Hom. Od. 13.42 s. ἀμύμονα δ’ οἴκοι ἄκοιτιν | νοϲτήϲαϲ εὕροιμι ϲὺν ἀρτεμέεϲϲι φίλοιϲιν) i propri cari.6 Se questo, e solo questo, è ciò che bisogna chiedere a Hera, “le altre cose” (τὰ δ’ἄλλα 9) – buona e cattiva sorte, salute e prosperità (πολύολβοι al v. 16), insomma le sorti del gruppo fami-

    5 Interessante il confronto, valorizzato dalla *Prauscello, con Hom. Od. 14.119 Ζεὺϲ γάρ που τό γε οἶδε καὶ ἀθάνατοι θεοὶ ἄλλοι (Obbink 2014, 43 cita solo Hom. Il. 3.308 e Od. 15.523), dove anche il contesto (dialogo fra Eumeo e il falso men-dico sulle vicende di Odisseo) mostra af finità col nostro passo.

    6 La Prauscello* nota giustamente l’af finità del contesto odissiaco nel senso che “Odisseo fa una chiara distinzione in

    questi versi fra l’aver ottenuto i φίλα δῶρα dei Feaci (= Sapph. νᾶι ϲὺν πλέαι; ovviamente nel caso di Od. i beni non derivanodal commercio ma sono xenia) e la scorta (cosa che si dà per avvenuta in 13.40–2) da un lato e, dall’altro, il desiderio tuttora

    non realizzato di tornare sano e salvo dai suoi cari e trovare anche loro ugualmente indenni”.

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    4 F. Ferrari

    liare nel suo complesso e non solo quella di Carasso – bisogna af fidarle al potere degli dèi (cf. Hor. Carm. 

    1.9.9 permitte divis cetera) e all’eventuale volontà di Zeus di rovesciare in senso positivo una situazione

    attualmente compromessa. In questo quadro non si tratta più di levare una supplica a un determinato dio

    ma di af fidarsi al ritmo delle cose scandito dai celesti, non di pregare ma di sperare.Il discorso si sposta, attraverso lo snodo costituito da τὰ δ’ ἄλλα 9, dal ritorno di Carasso a una più

    generale riflessione sulla condizione umana a cui si aggancia, tramite κἄμμεϲ di v. 17, il tema della situa-zione di Saffo e del suo interlocutore. Il ritorno di Carasso, delegato alla supplica a Hera, è ormai fuori

    campo: fortuna e prosperità possono apparire d’improvviso, anche indipendentemente da quel che combina

    il fratello maggiore (anzi, forse è meglio lasciarlo perdere!), grazie all’aiuto di Zeus e, su un piano più rea-

    listico, alla maturazione dell’adolescente Larico. Allora “anche noi”, con l’aiuto divino, saremmo liberate

    d’un tratto (αἶψα 20, cf. αἶψα 12) da molte tristezze.Solo la madre di Saffo (Kleis, cf. P.Oxy. 1800 fr. 1.1–35 = Sapph. T 252 e Sud. ϲ 107 = T 253) può

    sentirsi coinvolta, almeno quanto Saffo stessa, nelle vicende di Carasso e di Larico, tanto più che il padre

    della poetessa doveva essere morto quando Saffo era bambina ([Ovid.] Her. 15.61 s. sex mihi natales ierant,

    cum lecta parentis / ante diem lacrimas ossa bibere meas) e anche Kleis  junior  è esclusa per ragionicronologiche.7 

    Le due donne, la madre matura e la giovane Saffo, rimaste prive di un centro di autorità maschile all’in-

    terno di un οἶκος aristocratico che nonostante l’apertura della società lesbia al mondo femminile dovevapur sempre gravitare intorno a un uomo, si trovano (o almeno si percepiscono) in uno stato di precarietà

    sociale ed economica – si parla di πόνοι e di βαρυθύμιαι (per le quali cf. fr. 58.15 incrementato da P.KölnXI, 429: βάρυϲ δέ μ᾽ ὀ θῦμοϲ πεπόηται) – ora che il maggiore dei fratelli, Carasso, è lontano per commercie Larico non si è ancora fatto adulto.

    Forse esasperata dalle pressioni della voce pubblica la madre non fa che ripetere, in una sorta di fan-

    tasia compulsiva, che il figlio maggiore è tornato con la nave carica di beni (spezie, stoffe …) acquistate in

    cambio di vino: la figlia cerca di restituirla al principio di realtà sollecitandola a spostare la sua attenzione

    dal pensiero del ritorno di Carasso arricchito a quello del ritorno di Carasso semplicemente vivo e, più oltre,dalla figura di Carasso a quella di Larico.

    Rimasto senza padre e senza fratello maggiore, il teenager Larico, posto a quotidiano contatto con gli

    adulti della società aristocratica mitilenese a cui versa da bere nei simposi, si vergogna di sé e abbassa la

    testa umiliato8 come fa, nell’immaginazione della madre, Astianatte rimasto orfano del padre in Hom.  Il. 

    22.491 πάντα δ  ̓ὑπεμνήμυκε “e piega completamente la testa”.L’intervento in qualche modo terapeutico e didattico della figlia nei confronti della madre tende anche

    alla promozione del fratello minore a nuovo leader del gruppo familiare.

    2. Fr. 5 auctum

    E’ impossibile stabilire se al momento della composizione dell’ode fossero già cominciate a circolare voci

    sulla relazione fra Carasso e Dorica. Di errori commessi da Carasso e di una censura sociale si parla invece,

    prima del suo ritorno a Lesbo, in un’ode rivolta alle Nereidi dove si allude anche a tormenti da cui Saffo

    con tutta la sua famiglia spera di essere liberata.

    Il testo del fr. 5 è stato accresciuto, rispetto a P.Oxy. 7 e (per i v. 15 e 17–8) P.Oxy. 2289 fr. 6, dagli

    apporti di P.GC. inv. 105, fr. 3, col. II, 10–29 pubblicato da Burris, Fish e Obbink ma si presenta ancora

    fitto di spinose questioni testuali alla cui soluzione può giovare un collage, relativamente ai vv. 10–19, dei

    7 Obbink (2014, 41) ventila altre possibilità – l’amante di Carasso (Dorica/Rhodopis o un’altra), il gruppo del locutore,

    Saffo stessa – ma considera comunque più probabile l’identificazione con la madre. E inoltre, dal momento che, come ha notato

    lo stesso Obbink (2014, 40), l’inizio del nuovo testo si sovrappone in qualche misura (comunque suf ficiente a rendere certa

    la connessione) con P.Oxy. 2289 fr. 5, che contiene anche resti di due versi della strofe precedente (rispettivamente. . . .]λ[ e. .]ϲέμ.[), è molto verosimile, essendo la traccia dopo ϲέμ congruente con α, che si avesse (con West 2014) ϲέ, μᾶ[τερ. E a un

    discorso rivolto da Saffo alla madre in relazione a una festa apparteneva il fr. 9, già in parte restituito da P.Oxy. 2289 fr. 4 e oraincrementato da P.GC. inv. 105, fr. 1, dove al v. 3 leggiamo μ]ᾶτερ, ἐόρταν (suppl. BFO).8 Per la frase ‘alzare la testa’ cf. Hom. Il. 10.80, Soph. OR 22–4, Eur. Tro. 98 s.

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      Saffo e i suoi fratelli e altri brani del primo libro  5

    contributi dei tre testimoni suddetti (= Fig. 1) costruito riportando all’interno di quello maggiore (P.Oxy. 7),

    e utilizzandone la scrittura, le lezioni (sottolineate) provenienti dagli altri due.

      πότνιαι Νηρήιδεϲ, ἀβλάβη[ ν μοι  τὸν καϲίγνητον δ[ό]τε τυίδ’ ἴκεϲθα[ι  κὤττι ϝῶι θύμωι κε θέληι γένεϲθαι  κῆνο τελέϲθην, 4  ὄϲϲα δὲ πρόϲθ’ ἄμβροτε πάντα λῦϲα[ι  καὶ φίλοιϲι ϝοῖϲι χάραν γένεϲθαι  κὠνίαν ἔχθροιϲι, γένοιτο δ’ ἄμμι  μηδάμα μηδ᾽ εἶϲ, 8  τὰν καϲιγνήταν δὲ θέλοι πόηϲθαι  μέ]ϲδονοϲ τίμαϲ, [ὀν]ίαν δὲ λύγραν  παρλύ][ιτ]ο τοῖϲι π[ά]ροιθ’ ἀχεύων  αὖτοϲ ἐδά]να  12  κῆρ ὀνείδιϲ]̓  εἰϲαΐω[ ν] τό κ  ̓ἐν χρῶ⟨ι⟩  . . . . . . (.) ἦ]̓  ἐπαγ[ορί]αι πολίταν  ἴ  ποτ᾽ οὐ [κ]λω, [ἐϲύ] νηκε δ  ̓αὖτ᾽ οὐ-  δὲν διὰ [μά]κρω, 16  καί τι μᾶ[λλ]ον αἰ κ[λ]έο[ϲ ἐν βρότοι]ι  γνώϲ[τ  ̓ἂψ]  [ο] ν. ϲὺ [δ]έ, Κύπ[ρ]ι ϲ[έμ] να,  ὐ ὄ[κτα κατ]θεμ[έν]α κάκαν [  .].[.]. .[. . . . . . . .]ι. 20

    1 suppl. Diels 2 et 5 suppl. Blass 10 μέ]ϲδονοϲ BFO || [ὀν]ίαν Blass 11 παρλύ][ιτ]ο Di Benedetto || π[ά]ροιθ’ Blass12 αὖτοϲ supplevi || ἐδά]να Blass 13 suppl. Blass || τοκεγχρω pap.: corr. Blass 14 init. δάκνον sive κνίϲδον possis ||

    ἦ]λ̓  Blass || ἐπαγ[ορί]αι Lobel 15 ἴ  leg. West (ἦ BFO) || [κ]λωϲ supplevi || [ἐϲύ] νηκε Lobel 16 suppl. Blass 17 init.fort. κἄτι (West) || μᾶ[λλ]ον Hammerstaedt || κ[λ]έο[ϲ Lasserre || ἐν βρότοι]ι supplevi 18 γνώϲ[τ᾽ ἂψ]  [ο] ν sup-plevi (γνώϲ[ται iam West) || δ[έ] Blass || Κύπ[ρ]ι Lobel || ϲ[έμ] να Milne 19 ὄ[κτα post BFO (ὄ[κτον) supplevi ||κατ]θεμ[έν]α Blass

      Venerande Nereidi, illeso a me

      date che mio fratello giunga qua

      e che ciò che nel suo animo desidera che avvenga

      questo si avveri, 4

      e che gli errori che un tempo commise li cancelli tutti

      e sia ragione di gioia ai suoi cari,

      di pena ai suoi nemici (nessuno però

      lo sia a noi) 8  e voglia rendere sua sorella

    più onorata e da dolorosi tormenti

      liberi coloro a cui prima, soffrendo egli stesso.

      fiaccava 12

      il cuore udendo il biasimo che mordendolo sul vivo

      avrebbe potuto colpirlo con la censura dei cittadini

      in modo quanto mai non bello, ma lo comprese

      poco dopo, 16

      e ancor più lo farà se di nuovo capirà quanto conta

      fra i mortali il buon nome. Ma tu, Kypris augusta,

      eliminate cose insopportabili … da tristi …  … 20

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    6 F. Ferrari

    Il nuovo papiro ha permesso di recuperare la prima parola dell’ode (πότνιαι). Altrove sono dette πότνιαι le Eumenidi (Soph. OC  84), Demetra e Kore (ibid. 1050, Aristoph. Th. 1149), le Moire (ibid. 700), ma sono

    ninfe anche le Genetillidi di Aristoph. Th. 130 e come πότνια μήτηρ è designata Thetis in Hom. Il. 18.35.Ai vv. 7–8 il nuovo papiro conferma l’integrazione μηδάμα di F. Blass (che aveva pensato anche a

    μήποτα) nell’editio princeps del papiro ap. Grenfell e Hunt 1898, 10–3, cf. Alc. fr. 129.16 μηδάμα μηδ᾽ ἔνα τὼν ἐταίρων. Spesso si era invece integrato πῆμα (πῆμά τι Mulbegat-Holler 1927). Il senso è allora “maynobody ever be [sc. a grief] to us” (Page 1955, 46 s.), con un inciso che intende prevenire un’eventuale reci-

    procità per il secondo corno dell’augurio appena formulato (egli sia per i suoi nemici ragione di sofferenza

    senza che alcun nemico lo sia per noi).

    Al v. 11 la ricostruzione di BFO δαίμ][ νοϲ κ]ότοιϲι rende molto aleatorio lo sviluppo del discorsosenza basarsi, a parte un incerto ο, su contributi del nuovo papiro. I problemi restano quelli ripetutamente

    dibattuti in passato, in particolare l’impossibilità di connettere τοῖϲι al gen. pl. femminile ὀνίαν a meno dipartire da ] οτοιϲι e correggerlo, con West 2014, in ὄτ⟨τ⟩οιϲι (in lesbio ὄττιϲ era considerato dalla tradizionegrammaticale come di genere ‘comune’, cf. Sud. ο 970 παρ᾽ Αἰολεῦϲι τὸ ὄτ⟨τ⟩ινα κοινόν ἐϲτι κατὰ γένοϲ).

    Credo che abbia ha ragione Di Benedetto (1982) a intendere il relativo τοῖϲι, con ellissi del dimostra-tivo, come equivalente a τούτουϲ οἶϲ “coloro ai quali”. In tal modo il cuore, l’animo o sim. che Carasso“prostrava” era quello dei suoi φίλοι, non il proprio, e in considerazione della collocazione dell’omikron superstite nel nuovo frustolo anche

    παρλύοιτ]

    ο (ora

    παρλύ]

    [

    ιτ]

    ο) dello stesso Di Benedetto è plausibile

    (cf. Pind. Ol. 2.51 s. τὸ δὲ τυχεῖν … δυϲφρονᾶν παραλύει); ἐκλύ][ιτ]ο di Diehl, impeccabile per il senso,sarebbe invece troppo breve.

    Forse leggermente troppo lungo è a principio di v. 12 θῦμον, fortunata integrazione di F. Bucherer,mentre αὖτοϲ, che ha il medesimo numero di lettere ma minore estensione, marcherebbe l’opposizione frala sofferenza che Carasso ha procurato ai suoi cari e quella che ha causato a se stesso.

    Del resto per il complemento oggetto di ἐδά]να una promettente soluzione era già stata trovata daBlass con κῆρ (= κέαρ, cf. ἦρ = ἔαρ) “cuore” (forse da ipotizzare anche in fr. 96.17 κ[ῆ]ρ ⟨δ᾽⟩ ἄϲαι βόρηται)a principio di v. 13. In tal caso l’enjambement , al pari di Κύ]πρι in fr. 15.9 e τὰν κάλαν in fr. 22.13, sotto-lineava la continuità sintattica fra strofe adiacenti.

    Dopo κῆρ l’integrazione ὀνείδιϲ]̓  dello stesso Blass (la forma è attestata in Herodot. 2.133.2; ὄνειδοϲ compare in Sapph. fr. 3.5) è appropriata al contesto e in particolare si accorda con

    ἐπαγ[

    ορί]

    αι (dat. sg., non

    nom. pl., come segnala il longum nel papiro) del verso seguente (l’integrazione di Lobel è sostanzialmente

    Fig. 1. Saffo, fr. 5

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      Saffo e i suoi fratelli e altri brani del primo libro  7

    sicura, cf. Pind. fr. *122.6 M. ἄνευθ᾽ ἐπαγορίαϲ, dove parimenti si allude a un’eventuale censura collettiva,e Hesych. ε 4065 ἐπαγορίαν ἔχει· ἐπίμωμόϲ ἐϲτι).9 Le tracce subito dopo la lacuna iniziale furono inter-pretate appunto come μ da Blass ed effettivamente vi si adeguano se si ipotizza un my un po’ corsivizzante

    come quello di ἄμβροτε al v. 5.10 Per i v. 13 ss. BFO immaginano invece, sulla base di un suggerimento inedito di Lidov, che il riabilita-

    to Carasso possa ascoltare prossimamente, in contesto simposiale, il suono (κροῦμα “urto” a principio div. 13) di chicchi di miglio (κέγχροϲ) lasciati cadere (al suolo?) a scopo ritmico-sonoro. In realtà τοκεγχρω di P.Oxy. 7 era stato sciolto brillantemente da Blass in τό κ᾽ ἐν χρῶ⟨ι⟩. La locuzione ἐν χρῶι (“sulla pelle”,“sul vivo”, “a zero”), legata in prima istanza alla metafora del filo del rasoio, è ben attestata, e in particolare

    si può richiamare Soph. Ai. 786 ξυρεῖ γὰρ ἐν χρῶι τοῦτο (“this shaves close to the skin” nella resa di P. J.Finglass).

    A principio di v. 14 Blass suggerì κέρρον ἦ]λ̓, e certamente κέρρον (= att. κεῖρον) si legherebbe assaibene a ἐν χρῶι nel senso di un rasare ‘a zero’ (cf. Herodot. 4.175.1, Pherecr. fr. 35 K.–A., Xen.  Hell. 1.7.8,Diocl. fr. 182.34 Van der Eijk, Theophr. Char. 10.14, Plut. Lyc. 16); quanto a ἦλ̓, Blass lo interpretava come

    impf. di ἔλλω (= εἴλω, εἰλέω, ἴλλω) = “tratteneva” sulla base Hesych. ε 2149 ἔλλειν· ἴλλειν, κατέχειν:una valenza che mal conviene al contesto e che non trova alcun conforto nelle altre attestazioni del verbo,

    e inoltre c’è da osservare che in lesbio ἦλ(ε) è l’aor. di ἦλε = εἷλε (αἱρέω), cf. Sapph. fr. 71.3 ἤλεο. Ma pro-prio ἦλε = εἷλε è una soluzione plausibile, nel senso di un biasimo che ‘colse’, ‘colpì’ Carasso (cf. Hom. Il. 3.446 e 16.725, Plat. Theaet. 142b e vedi LSJ  s.v. αἱρέω A II a: come upon, seize) con l’arma della pubblicacensura.11

    D’altra parte la sequenza κέρρον ἦ]λ̓  verrebbe a risultare troppo lunga di circa uno spazio-lettera, e poinella tradizione letteraria il biasimo, la maldicenza, l’invidia, la discordia, l’ira non sono soliti ‘radere’ come

    rasoi, bensì ‘mordere’ come cani o serpenti il cuore o il θυμός o le φρένεϲ (Hom. Il. 5.493 δάκε δὲ φρέναϲ  Ἕκτορι μῦθοϲ, 7.301, 24.129, Hes. Op.  451, Eur.  Med.  110, Hipp.  1313 etc.), il che emerge soprattutto,anche per la stretta af finità fra κακαγοριᾶν e il saf fico ἐπαγορίαι, in Pind. Py. 2.53 φεύγειν δάκοϲ ἀδινὸν 

    κακαγοριᾶν. Appunto con δάκνον la lacuna viene colmata adeguatamente e si recupera l’immagine del‘morso’ della maldicenza anche se altre possibilità restano aperte, ad es. κνίϲδον “grattando”, “raschiando”e quindi “tormentando” (cf. Pind. Ne. 5.32 τοῖο δ  ̓ὀργὰν κνίζον αἰπεινοὶ λόγοι).12

    Resta, per quanto riguarda τό κ  ̓ἐν χρῶ⟨ι⟩, il problema della funzione della particella κ(ε): in collega-mento con un ind. impf. o aor. essa sembra infatti produrre un risultato problematico non essendo chiaro

    di primo acchito come il biasimo dei concittadini potesse prospettarsi per Carasso in una dimensione di

    irrealtà o di potenzialità nel passato (tutto il periodo gravita intorno all’impf. del v. 12).

    9 Il dubbio sollevato dalla Hamm 1957, § 116b sulla base del fatto che il gruppo -ήγοροϲ, -ηγορία, -ηγορέω, ἀγορεύω nonè attestato prima di Pindaro e di Eschilo ha scarso peso visto l’ampio naufragio della produzione arcaica, e se fosse vero che

    “aus inneren Gründen kann das isolierte Wort (nur ἐπηγορεύω Hdt.) erst gebildet worden sein, als die Gruppe fest war”, allorabisognerebbe mettere in dubbio anche l’attestazione pindarica.

    10 Lobel 1921, 165 optava invece per , che però non mi sembra in accordo con la primissima traccia dopo la lacuna.11  L’unica alternativa, almeno nell’ottica di questo tipo di ricostruzione che prevede un participio in principio di v. 14,

    sarebbe ἀλ]λ̓  di Lasserre 1989, 187, che però comporterebbe, per evidenti ragioni sintattiche, la correzione (Lobel) di δ᾽ αὖτ᾽ del papiro in δηὖτ᾽ al v. 15 (su cui torneremo). West 2014 ha pensato, facendo a meno di un ptc., a  νῦν ἔτιλ]̓  “would now beplucking me to the raw”, ma il me non è facile da supplire mentalmente e la prospettiva del presente sembra riemergere solo a

    v. 17 s.

    12 Certo, una volta scartato κέρρον per ragioni di spazio, viene meno la metafora del rasoio legata a ἐν χρῶι a favore diuna mixed metaphor o di un tenore del discorso in cui il verbo aveva un valore generico in relazione alla sofferenza e in cui

    pertanto l’idea del rasoio era solo accennata. C’è comunque da considerare che ἐν χρῶι, oltre che in relazione al rasoio (inchiave letterale o metaforica) quando associato a κείρω o a ξυρέω, può denotare anche semplice prossimità o contiguità, comein Thuc. 2.84.1 ἐν χρῶι παραπλέοντεϲ e in Plut. Thes. 27.1 μάχην ϲυνῆψαν ἐν χρῶι.

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    8 F. Ferrari

    Lobel 1921, 165, che avvertiva evidentemente il problema pur senza esplicitarlo, supponeva che il copi-

    sta di P.Oxy. 7 scrivesse ΚΕΓ intendendo κἀγ (= καὶ ἐν), ma non è chiara la funzione del presunto καί e siha poi l’ulteriore complicazione per cui in lesbio καὶ ἐν si fonde in κἠν.13

    D’altra parte il κε potrebbe riflettere una progressione dall’ὀνείδιϲμα isolato alla pubblica ἐπαγορία parallela a quella dalla realtà alla potenzialità nel passato: Carasso soffrì e fece soffrire udendo un biasimo

    che avrebbe potuto torturarlo sulla pelle viva con la censura dei concittadini, ma … (con la protasi dell’irre-

    altà surrogata da una frase avviata con δέ che enunciava la ragione per cui l’eventualità appena prospettatanon si era realizzata).

    A v. 15, a proposito della loro stessa integrazione οὐ[κ ἄ]λωϲ, BFO ritengono che “it is dif ficult tomake sense out of ‘indeed ever not otherwise’ or ‘indeed once not otherwise’ (or perhaps ‘not in vain’)”, ma

    verosimilmente né ἦ né οὐ[κ ἄ]λλωϲ erano le lezioni originarie.Il verso, come ha sospettato West 2014, doveva infatti cominciare con αἴ  ποτ᾽ “se mai in passato”,

    “più che mai” (cf. Sapph. 1.5 αἴ  ποτα κατέρωτα, Alc. 38a.11 e 208A.3). La decifrazione delle prime trac-ce davanti a π è incerta (compatibile comunque sia con η che con αι), ma è decisiva l’osservazione che il

    presunto η “does not extend quite far enough to the left to align with the line-beginnings below” (West).In secondo luogo, come si può riscontrare sul collage di Fig. 1, l’integrazione οὐ[κ ἄ]λωϲ eccederebbe

    l’estensione della lacuna di uno spazio-lettera, né vi è ragione di ricondurre a λ piuttosto che ad α  l’esiletraccia obliqua davanti a λωϲ: donde inevitabilmente non οὐ[κ ἄ]λωϲ ma il frequente (a partire da Aesch.

     Eu. 458) οὐ [κ]λωϲ, eufemistica allusione alla gravità del danno che Carasso avrebbe potuto subire.Poi, nella seconda metà del v. 15, δ  ̓segna l’avvio di una nuova frase a meno di accogliere la correzio-

    ne δηὖτ᾽ di Lobel (1921, 165), ignorata però in Lobel–Page (1955). Lo scriba (o il diortota) di P.Oxy. 7 ècomunque molto preciso nello scrivere ∆᾽ΑΥΤ᾽ anche se restiamo nel dubbio se interpretarlo come δ  ̓αὖτ(ε) o δ  ̓αὖτ(ο). L’avverbio αὖτε è attestato in forma semplice nei poeti eolici solo in Alc. fr. 6.1 τόδ᾽ αὖτε κῦμα mentre Saffo usa spesso, per “di nuovo”, δηὖτε (1.15, 16, 18, 22.11, 83.4, 127, 130.1, e cf. anche Alc.303Ab.14), ma la scelta dipende essenzialmente dalla natura del predicato terminante in ] νηκε.

    A questo proposito BFO hanno pensato a [ἐϲό] νηκε (= εἰϲάνηκε, impf. dell’inattestato εἰϲ-αν-ήκω), conun anomalo ἐϲ davanti a vocale (in Saffo troviamo sempre εἰϲ tranne che in fr. 44.23 e 26) e un senso basatosull’indimostrabile equivalenza fra [ἐϲό] νηκεν … οὐδ᾽ ἔν e la frase erodotea (2.104) ἐϲ οὐδὲν ἀνήκει (“sirisolve in nulla”, “non dimostra nulla”). West 2014 ha invece riproposto l’integrazione di Lobel 1921, 165

    [ἐϲύ] νηκε (una forma aoristica di ϲυνίημι registrata dalla tradizione grammaticale in relazione ad Alceo [fr.408] e ad Anacreonte [fr. 130 P.]: Et.Gen. A et B p. 129 Miller =  EM  385.9 s.), che egli rende con “under-

    stood” (traducendo più oltre tutta la frase: “but it was not long before he came to realize it”). E che ἐϲύνηκε sia davvero la parola giusta, e proprio in questa accezione (non invece in quella dominante in Omero di

    “udì”, “percepì”), appare confortato dalla presenza di una forma di γιγνώϲκω a principio del v. 18. Ma ciòche Carasso comprese non fu, credo, il tormento procurato alla sorella, come vorrebbe West con la sua già

    ricordata integrazione (n. 11) νῦν ἔτιλ]̓  al v. 14, quanto il rischio che egli stesso aveva corso esponendosi

    alla pubblica censura.A v. 17, considerando la sua collocazione in P.Oxy. 2289, fr. 6, ]εο[ doveva trovarsi, come notato da

    West, a ridosso di ]οναικ[, e precisamente alla distanza di uno spazio-lettera: ]οναικ[.]εο[. Diventa pertantoquasi inevitabile, e in linea col tenore ideologico del carme, recuperare κ[λ]έο[ϲ (cf. fr. 44.4 e 65.9) di Las-serre 1989, 187 s., che era preceduto da καί τι (forse da correggere, con West, in κἄτι = καὶ ἔτι) μᾶ[λλ]ον (Hammerstaedt ap. BOF) αἰ: “e ancor più (lo capirà) se …”.

    Poi al v. 18 l’avvio con γνωϲ.[,14 recuperato grazie al nuovo papiro, e le tracce, esili ma compatibili con , di due lettere prima di [.] ν in P.Oxy. 7 inducono a scrivere γνώϲ[τ᾽ ἂψ] ἶ[ο] ν. Dunque: “… e che altrodesiderare se di nuovo si renderà conto che valore ha fra i mortali il buon nome?” (γνώϲ[ται già West; per

    13 Si potrebbe astrattamente immaginare che κε avesse già qui la funzione iterativa che si riscontra con ἄν + ind. impf.

    o aor. in passi come Soph. Ph. 290 s. e 295, Herο

    dot. 3.119.3, Thuc. 7.71.3, Plat. Ap. 22b (Goodwin 1889, § 162 e 249), ma èproblematico postulare in Saffo un uso che non compare prima della tragedia attica e della prosa ionica.

    14 Per .[ BFO annotano: “left side of round letter with horizontal ink connecting at mid-level: ε or θ suggested.”

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      Saffo e i suoi fratelli e altri brani del primo libro  9

    l’elisione cf. fr. 55.2 ἔϲϲετ᾽ οὐδέ, per ἄψ fr. 34.2), cf. Eur. Med. 34 s. ἔγνωκε … | οἷον, Plat. Men. 95a ἐάν ποτε γνῶι οἷόν ἐστιν τὸ κακῶς λέγειν.

    Ai vv. 19–20 ὄνε[κτον di BFO (cf. Alc. fr. 76.9 e 12) è troppo lungo a meno di escogitare, come non

    sembra facile fare, un’integrazione diversa da κατ]θεμένα di Blass (stranamente non registrata dalla Voigt):dunque ὄνε[κτα (= att. ἀνεκτά) come neutro sostantivato (cf. Soph. Ant. 282 λέγειϲ γὰρ οὐκ ἀνεκτά) col-legato a κατθεμένα, mentre l’agg. sg. fm. o gen. pl. fm. κάκαν e il sostantivo collegato dovevano gravitaresu altro verbo (forse in imperativo).15 

    La cornice delle due odi su Carasso è assai diversa: in fr. 5 il benessere di Saffo e del suo gruppo sem-

    bra dipendere tutto dal suo ritorno, nel nuovo carme la speranza per la ricomparsa del fratello a Mitilene è

    af fidata a una supplica a Hera mentre la liberazione dalle angustie del presente si lega, con una certa impa-

    zienza, a un mutamento di prospettiva, con Larico che potrebbe finalmente diventare un ‘uomo’.16 

    Comune invece è la preoccupazione per il discredito sociale indotto dal comportamento di Carasso:

    una censura esplicitamente richiamata in fr. 5.14 con ἐπαγ[ορί]αι πολίταν, implicita nel nuovo carme nell’e-sigenza che Larico alzi (o rialzi) la testa a contatto con l’aristocrazia cittadina.

    3. Dorica e il fr. 15

    La situazione temporale presupposta dal fr. 5 esclude, se le nostre considerazioni sulla cronologia di Saffo

    sono corrette, l’identificazione della Dorica ricordata (e attaccata) da Saffo con la Rhodopis erodotea, la cui

    ἀκμή viene collocata dallo storico nell’arco del lungo regno (dal 568 al 526) del faraone Amasi (2.134.2).Del resto l’identificazione fra le due etere era già contestata da Athen. 13.596b–c quando, ricordato che “la

    bella Saffo accusa Dorica nella sua poesia (διὰ τῆϲ ποιήϲεωϲ διαβάλλει) di aver spogliato di una grandefortuna suo fratello Carasso dopo esserne divenuta l’amante quando egli era salpato per ragioni commercia-

    li alla volta di Naucrati”, aggiunge che Erodoto chiama costei Rhodopis “ignorando che è persona diversa

    da Dorica” e che “dedicò a Delfi anche i famosi spiedi menzionati da Cratino in questi versi (lacuna)”.

    Dif ficile dissentire da Wilamowitz (1913, 19 n. 1) quando sosteneva che l’identificazione erodotea fra

    le due etere è “ein Beweis, wie die Personen der sapphischen Gedichte in die Novelle gezogen wurden”. Un

    epigramma di Posidippo (122 A.–B.) citato proprio da Ateneo nello stesso contesto conferma la localizza-

    zione della liaison a Naucrati ma chiama anch’esso l’etera univocamente Dorica e non solo non accenna ad

    accuse mosse da Saffo al fratello ma guarda alla stessa etera come a una donna che ha potuto fruire della

    fama concessale dalle “lucide colonne parlanti” (v. 6 αἱ λευκαὶ φθεγγόμεναι ϲελίδεϲ) del canto di Saffo egodere così, anche a distanza di secoli, di un nome fortunato (v. 7 οὔνομα ϲὸν μακαριϲτόν).17 

    L’unica via per identificare Dorica e Rhodopis sarebbe l’adozione di quella cronologia bassa (più bassa

    di una cinquantina di anni) che non solo per Saffo ma anche per Alceo, per Pittaco e per altre figure dell’età

    arcaica fu proposta da J. K. Beloch (1890 e 1913, 362–64). Le basi di questa cronologia alternativa sono

    tuttavia assai fragili e sono state giustamente contestate (Page 1955, 154–61, Liberman 1999, I, XV n. 23).

    Basti ricordare che Beloch non esitava a valorizzare, per la datazione di Pittaco, il suo presunto incontro

    con Creso (che regnò a partire dal 560 a.C.) a cui fa riferimento Erodoto (1.27.2): un aneddoto in cui Pittaco

    è posto dallo stesso Erodoto in alternativa a Biante e che “rientra nel genere letterario degli apoftegmi e dei

    dialoghi tra saggi e tiranni” (Asheri 1988, 279).

    Secondo Lidov (2002, 219–22) ci sarebbe, alla base dei riferimenti di Erodoto alla love story fra Caras-

    so e Rhodopis/Dorica, la perduta commedia di Cratino a cui faceva riferimento Ateneo (anche se la citazio-

    ne letterale da Cratino è caduta nel corso della tradizione manoscritta), ma Ateneo menziona Cratino solo

    per dire che il poeta comico ricordava Rhodopis in relazione agli spiedi di ferro da lei dedicati a Delfi (un

    dato storico confermato da un’epigrafe delfica, SEG 13.364). Del resto le commedie intitolate a Saffo o a

    15 Una possibile alternativa è quella di interpretare κάκαν, con West 2014, come sostantivo (acc. sg. o gen. pl.).16 Per ἀνήρ connotato in senso forte cf. Hom. Il. 5.529 ἀνέρεϲ ἔϲτε, Herodot. 7.210.2 πολλοὶ μὲν ἄνθρωποι … ὀλίγοι δὲ 

    ἄνδρεϲ, Eur. El. 693 ἄνδρα γίγνεϲθαί ϲε χρή (dove analogamente parla una donna in relazione a un fratello).17 Il tenore encomiastico ben si spiega se l’epigramma fu commissionato al poeta di Pella in occasione dell’erezione di unmonumento commemorativo, a cui allude deitticamente l’ὧδε del v. 7, in onore dell’etera.

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    10 F. Ferrari

    Faone di cui abbiamo notizia appartengono tutte, con l’eccezione di Amipsia (comunque non più anziano

    di Aristofane), a poeti della Commedia di Mezzo (Amphis, Antifane, Efippo, Timocle) o Nuova (Difilo),

    e dunque non è verosimile immaginare un influsso di Cratino su Erodoto in relazione alla biografia della

    poetessa.Un altro aspetto toccato da Lidov merita invece di essere riconsiderato. Egli notava la stranezza per cui

    Ateneo afferma che Saffo attaccò Dorica per aver dilapidato le fortune di Carasso e invece Erodoto sembra

    fare dello stesso Carasso il bersaglio di attacchi di Saffo: 2.135.6 ἐν μέλει Ϲαπφὼ πολλὰ κατεκερτόμηϲέ μιν.18 Secondo Lidov “Athenaeus or his source, in haste or misled by a condensed quotation, must havemisunderstood the antecedent of the gender-neutral Ionic pronoun in Herodotus’ concluding phrase,

    κατεκερτόμηϲέ μιν”.Considerando che un tono di scherno nei confronti di Dorica, nell’ambito di una preghiera ad Afrodite

    perché deluda le speranze di vanteria dell’etera, emerge nel fr. 15 e forse anche in fr. 7 (∆ωρί]αϲ Lobel alv. 1), dove si doveva parlare di un “dover pagare per l’arroganza” (ὀφλιϲκ]άνην ἀγερωχία[ι Lobel al v. 4),19 e invece non af fiora in brani o testimonianze superstiti alcuna forma di dileggio nei confronti di Carasso, 20 

    la conclusione più semplice da trarre è che il μιν di Erodoto, come già ipotizzato da Smyth 1900, 252 e oraanche da Obbink 2014, 41, si riferisse davvero a Dorica, non a Carasso, e che Ateneo riprendesse la notizia

    erodotea, salvo trasferirla da Rhodopis a Dorica, perché la trovava confermata nell’opera di Saffo.

    Che Erodoto collochi la composizione del carme con l’invettiva contro Rhodopis dopo il ritorno di

    Carasso da Naucrati a Mitilene è congruente col presumibile collegamento del fr. 15 (ma senza che se ne

    possa dedurre che proprio questa era la specifica ode della κερτομία richiamata da Erodoto) con un nuovoviaggio di Carasso verso l’Egitto attraverso una navigazione che si spera felice (εὐπλο.[ 2, cf. Hom. Il. 9.362εἰ δέ κεν εὐπλοίην δώηι).

    Ecco il testo del fr. 15 con l’inserimento, proposto da Hermann Fränkel (1928, 267 s.) ma non accolto

    da Lobel–Page, di P.Oxy. 1231 fr. 3 (= a) all’altezza di P.Oxy. 1231 fr. 1 col. I, 5–8 (= b 5–8):

      b

      ]α μάκαι[ρα  ]ευπλο.[  a  ].ατοϲκα[  ]  4

      ὄϲϲα δὲ πρ]όϲθ᾽ [ἄμ]βροτε κῆ[ να λῦϲαι  – ⏑  ναυβ]άταιϲ᾽ [ἄ] ε[οϲ ⏑ – –  – ⏑ ϲὺν] ύχαι   λ̣ίνοϲ κλ[⏑ – –  ] 8

      Κύ]πρι, κα[ί ϲ]ε πι[κροτέρ]αν ἐπεύρ[οι  μη]δὲ καυχάϲ[α]ιτο τόδ᾽ ἐννέ[ποιϲα  ∆]ρίχα τὸ δεύ[τ]ερον ὠϲ πόθε[ ννοϲ  ἄψ]ερον ἦλθε. 12

    1 μάκαι[ρα Hunt 3 -ό]ατοϲ κα[ὶ Diehl 5 ὄϲϲα δὲ Fränkel || πρ]όϲθ᾽ [ἄμ]βροτε Hunt || κῆ[ να λῦϲαι Diehl 6  ναυβ]άταιϲ᾽ Theander || [ἄ] ε[οϲ Schubart 7 suppl. Fränkel 9 Κύ]πρι, κα[ί ϲ]ε Hunt || πι[κροτέρ]αν Wilamowitz || ἐπεύρ[οι Lobel10 suppl. Lobel 11–12 ∆]ρίχα Wilamowitz || δεύ[τ]ερον Hunt || πόθε[ ννοϲ ἄψ]ερον Diehl

    18 [Ovid.] Her. 15.67 s. si limita a far riferimento a un odio di Carasso per la sorella indotto da esortazioni da parte di lei:

    me quoque, quod monui bene multa  fideliter, odit; / hoc mihi libertas, hoc pia lingua dedit .

    19 L–P preferiscono, sia pure solo in apparato, a questa plausibile integrazione ἰ]κάνην dello stesso Lobel, ma il fenomenodella cosiddetta correptio Attica è ben attestato nella poesia eolica (Marzullo 1958, 87–98, Gentili 1984b), e in particolare un

    caso di correptio davanti a labiale + liquida si trova in Sapph. fr. 16.19 ὄπλοιϲι.20 Per una discussione sui possibili tratti di κερτομία nei frammenti superstiti riconducibili alla vicenda di Carasso vediCavallini 1991, 99–116.

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      Saffo e i suoi fratelli e altri brani del primo libro  11

      … beata …

      … buona navigazione …

      …

      … 4  e gli errori che in passato commise quelli cancellarli

      … ai naviganti il vento...

      … col favore della fortuna … del porto …

      … 8

      o Kypris, e ti trovi Dorica21

      più aspra né possa vantarsi dicendo

      che per la seconda volta tornò indietro

      agognato.22  12

    Appunto nella prospettiva di un nuovo viaggio alla volta di Naucrati si spiega l’augurio finale che Dorica

    non possa vantarsi di aver riattivato quel modulo erotico già omerico (cf. Hom. Il. 3.428 e vedi Di Benedetto

    1982, 8–12 = 2007, 808–12) dell’ ἦλθεϲ “sei venuto/-a” attestato per Saffo nel fr. 48 ἦλθεϲ, εὖ δ  ̓(Lobel:καὶ codd.) ἐπόηϲαϲ.

    In questo quadro va considerato il legame intertestuale, restituito da Fränkel, tra fr. 5.5 ὄϲσα δὲ πρόϲθ᾽ ἄμβροτε πάντα λῦϲα[ι e fr. 15.5 ὄϲϲα δὲ πρ]όϲθ᾽ [ἄμ]βροτε κῆ[ να − −.

    La Voigt, che pure accoglie almeno in parte per il fr. 5 l’assetto suggerito da Fränkel, ha ripreso in

    apparato i dubbi espressi da Lobel–Page sulle integrazioni centrali dei vv. 5–7 (“si λιμενοϲ in 7 verum (etvalde incerta με), tum [αμ] in 5 spatio nequaquam suf ficit”), ma un’attenta revisione autoptica di P.Oxy.1231 fr. 1 e 3 condotta da Daniela Colomo ha mostrato che questi dubbi, come emerge anche dalla mia

    ricostruzione digitale (Fig. 2), non sono giustificati.23

    Un testo rimanda all’altro (e ciascun verso potrebbe essere stato davvero il quinto della rispettiva ode), lo

    ‘cita’ “à la manière d’un ‘pour mémoire’” (Lasserre 1989, 198), ma con la novità, in fr. 15, di un deittico

    21 Per la difesa dell’integrazione ∆]ρίχα in fr. 15.11 contro i dubbi espressi da Lidov vedi Yatromanolakis 2007, 330–32.22 Delle possibili integrazioni a v. 11 s. ho brevemente discusso in Ferrari 2007, 150 n. 2 (= 2010, 159 n. 23). C’è ora da

    aggiungere che ἄψερον, fin qui attestato con sicurezza in ambito di poesia eolica solo in Alc. fr. 73.11 e fr. 117b.30, è riemersoanche in Saffo (P.GC. inv. 105, fr. 2 col. II, l. 14 = Sapph. fr. 17.6). E per il nesso πόθεννοϲ ἦλθε richiamerei anche Eur. IT  515καὶ μὴν ποθεινόϲ γ’ ἦλθεϲ, Hel. 540 ὡϲ ποθεινὸϲ ἂν μόλοιϲ, Men. Asp. 10ποθεινὸν ἥκοντ’ οἴκαδε (con la nota di P. Ingrosso).

    23 In particolare la Colomo osserva che “nella cornice il fr. 3 è stato posizionato a sinistra di col. I fr. b secondo la proposta

    di Fränkel, ma tale fr. b è ora leggermente inclinato verso destra facendo apparire la lacuna di l. 5 leggermente più grande”; notainoltre che la ricostruzione di Fränkel appare confermata dall’osservazione delle fibre perché “si distingue una fibra immedia-

    tamente sotto οϲθ del fr. 3 che continua sul fr. b dopo lacuna, sotto βρο”.

    Fig. 2. P.Oxy. 1231 fr. 3 + fr. 1 (Sapph. fr. 15)

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    12 F. Ferrari

    dell’assenza (κῆνα) in luοgo di un’indicazione quantitativa (πάντα). Ora che Carasso riparte per un nuovoviaggio, tutte le colpe commesse in passato sono allontanate in un passato remoto, richiamate un’ultima

    volta per essere consegnate all’oblio.

    Infine, di un carme in cui comparivano forse tutti insieme i tre fratelli della poetessa, e sicuramenteLarico ed Erigyios, trattava l’anonimo commentatore di P.Oxy. 2506 fr. 48 col. III, 1–35 (fr. 213A, h).

    Dal testo, estremamente lacunoso, emerge una preoccupazione per le vesti di Erigyios (dunque per il suo

    prestigio sociale) nel lemma di l. 40 s. Ἐρί|γυιοϲ πὲρ ἐμμάτ[ω] ν e inoltre il commentatore definiva Saffoοἰκουρόϲ e φίλουργοϲ e riferiva che la poetessa diceva qualcosa, nello stesso carme o in un altro, intorno aisuoi fratelli (l. 44 s.). Il termine οἰκουρόϲ sembra rispecchiare un ruolo di sorveglianza (forse temporanea)e di tutela degli interessi dell’οἶκος che ben corrisponde all’orientamento dell’Io lirico nel primo dei nuovibrani pubblicati da Obbink (cf. Hippocr. Epid. 6.8.33 ἐν Ἀβδήροιϲ Φαέθουϲα ἡ Πυθέου γυνὴ οἰκουρόϲ eIdomen. FGrHist 338 F 14 ὕϲτερον δὲ καὶ οἰκουρὸν αὐτὴν ἐποιήϲατο).

    4. La nave del fr. 20

    Non pare invece emergere alcun indizio, come invece è stato talora sostenuto (Milne 1933, Lasserre 1989,

    200 s., ma vedi le giuste obiezioni di Aloni 1997, 36–7), a favore di un riferimento alla vicenda di Carasso

    nel fr. 20.

    La coincidenza fra λί]μενοϲ κρέτηϲαι del v. 5 e Hor. Carm. 1.14.2 s. fortiter occupa / portum sugge-risce che il brano mettesse a fuoco una nave che cercava di raggiungere la terraferma (κἀπὶ χέρϲω 10 eχέρϲω 21): come chiariva Giorgio Pasquali (1920, 21) esaminando il quadro oraziano, “una nave, ridottamale dalla tempesta, è pur riuscita con grande stento a giungere quasi alla bocca del porto, ma una nuova

    furia di vento e di onde la ricaccia di un tratto verso l’alto mare”.

    Qualcosa sopravvive anche delle due stanze coincidenti con i vv. 8–15:

      ]έλοιϲι  ναῦται

      ] μεγάλαιϲ ἀήταιϲ  ]α κἀπὶ χέρϲω ]  11

      ´]μοθεν πλέοι.[  ]δε τὰ φόρτι᾽ εἰκ[  ] νατιμ̓  ἐπεὶ κ.[  ]  15

    Per il v. 9 la Voigt richiamava Hom.  Il. 15.624 ss. (ondata violenta che si abbatte sulla vela, vento che

    mugghia intorno allo scafo, marinai colti dal panico) e per τὰ φόρτια (v. 13) Alc. 73.1 πὰν φόρτι[ο] ν (e cf.anche fr. 208a.14), ma per la fine di questo medesimo verso non pare sia stata presa in considerazione la

    possibilità di integrare εἴκ[ει nel senso di παρείκει “è possibile” (cf. fr. 31.7–8 ὤϲ με φώναι|ϲ  ̓οὐδ᾽ ἒν ἔτ  ̓

    εἴκει e Hom. Il. 18.520 ὅθι ϲφίϲι εἶκε λοχῆϲαι), seguito da un infinito (‘salvare’ o sim.) nella prima parte delverso successivo, come parte di una constatazione che ormai non (οὐ]δἐ?) è possibile evitare che le mercifiniscano sbalzate in mare.24 

    Inoltre ]έλοιϲι  ναῦται del v. 8 ci rimanda a Theogn. 673 ἀντλεῖν δ  ̓οὐκ ἐθέλουϲιν, sulla base del qualesi può ipotizzare e.g. νᾶα δ  ̓ἄντλην οὐκ ἐθ]έλοιϲι  ναῦται (οὐκ ἐθ]έλοιϲι già Diehl).25 

    Il brano sembra insomma offrire, seppur molto lacunosamente, un altro tassello per la ricostruzione del

    celebre topos dell’allegoria della nave (studiato in particolare da Gentili 1984, 307–34).

    24

     Già Treu 1954, 188–89 pensava a εἴκει ma nel senso di “cedono”, “cadono fuori” (“über Bord schon geht unsres Schif-fes Ladung”), ma a ‘cedere’ dovrebbero essere non le merci ma le sartie (cf. Alc. fr. 208a.9 V.).25 Per ἄντλην cf. anche Alc. fr. 6.3.

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      Saffo e i suoi fratelli e altri brani del primo libro  13

    5. Senza l’aiuto di Afrodite

    Nel secondo carme pubblicato da Obbink, i cui resti parzialmente si sovrappongono a quelli di Sapph. fr.

    26 provenienti da P.Oxy. 1231, fr. 16, incontriamo un cri du coeur, una di quelle accensioni emotive per le

    quali la poetessa di Mitilene è specialmente famosa. Non poter essere aiutati dalla dea dell’amore quando

    si vorrebbe tener celata la propria passione suscita un’ansia simile a un conato di vomito (le ‘nausee’ di 1.3

    ἄϲαιϲι μηδ᾽ ὀνίαιϲι, e cf. fr. 3.7 ἄϲαιο e forse 96.17 nella lettura di Zuntz) tanto più se Kypris ‘padrona’non frena l’ardore di chi ama ma lo fomenta con un desiderio che, come l’Eros che scioglie le membra

    (λυϲιμέληϲ) di fr. 130.1, piega le ginocchia.

    πώϲ κε δή τιϲ οὐ θαμέωϲ ἄϲαιτο,  Κύπρι δέιν̓ ,̣ ὄττινα [μ] φίλ[ηϲθα  ὠϲ] θέλοι μάλιϲτα πά[οϲ] κά[υψαι  μηδ ]̓ ὀνέχηϲθα; 4  ϲὺν] άλoιϲί μ’ ἀλεμ α [ηϲ

      ἰμέ]ρω⟨ι⟩ λύ{}ϲαντι γόν ,̓ ὤ⟨ι⟩μ ,̓ ἔ[ω δέ  λαί]ααϲ [φ]ῖμ᾽ οὐ προ[τόνοιϲ] ερήϲ[ην  . . .] νερ .[.]αι  8  ] ϲέ, θέλω[  ]το παθη[  ].αν, ἔγω δ  ̓ἔμ̓  [αὔται  τοῦτο ϲύ] νοιδα  12  ][ρ]τοιϲ[. . .] . [  ]εναμ[  ].[.].[

    2 supplevi 3 ὠϲ

    ] supplevi (χὠϲ

     West) ||πά

    [οϲ

    ] West ||κά

    [υψαι

     post West (κα

    [ύπτην

    ) supplevi 4 μηδ᾽

    ] supplevi

    5 ϲὺν] supplevi || άλoιϲι leg. Hammerstaedt || α [ηϲ Obbink 6 ἰμέ]ρω⟨ι⟩ λύ{}ϲαντι Obbink || γόν᾽ ω distinxi, cete-ra olim suppl. West* 7 λαί]λαπαϲ supplevi || [φ]αῖμ᾽ Tsantsanoglou 7 προ[τόνοιϲ] supplevi || ερ[ήϲην olim West* 8 fort. αἴ  κε] ν ἔερχ[θ]αι (ϲυν]ερχ[θ]αι iam Obbink) 10 τοῦ]το πάθη[ ν Hunt 11–12 Hunt ex Ap.Dysc. Pron. 324b et363a 13 suppl. Lobel

      Come non si cruccerebbe più volte,

      Kypris padrona, chiunque tu non favorisci

      quando in sommo grado vuol celare la sua passione

      né lo trattieni? 4

      Fra sussulti ondosi tu vai straziandomi

      con il desiderio che, ohimé, già mi piegò le ginocchia, ma io

      credo che le raf fiche non sopravanzeranno gli stralli  se ...... 8

      ............................... te, voglio ..........................

      .............................. soffrire questo ...................

      ............................... ma io sono

      consapevole di questo 12

      ............................... i mortali ...............................

      ...

    L’attacco è nel segno di un vivace rimprovero, come per Glauco nei confronti di Ettore (Hom. Il. 17.149 πῶϲ κε ϲὺ χείρονα φῶτα ϲαώϲειαϲ μεθ’ ὅμιλον;) o per Odisseo nei confronti di Polifemo (Hom. Od. 9.351 s.ϲχέτλιε, πῶϲ κέν τίϲ ϲε καὶ ὕϲτερον ἄλλοϲ  ἵκοιτο | ἀνθρώπων πολέων;).

    Al v. 2, per Κύπρι δέϲποιν᾽ cf. Eur. Med. 632 ὦ δέϲποιν ,̓  Hipp. 117 δέϲποινα Κύπρι e 415 = 522 ὦ δέϲποινα ποντία Κύπρι, Charit. 3.2.12 = 5.10.1 δέϲποινα Ἀφροδίτη, Apul. Met. 8.25 Venus domina.

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    14 F. Ferrari

    L’indicativoφίλ[ηϲθα (per la forma cf. fr. 129.2), integrato anche da West, come in 1.23αἰ δὲ μὴ φίλει,fr. 31.2–3 ὄττιϲ … ἰϲδάνει.

    Per la qui negata φιλία di Afrodite nei confronti di un mortale (l’integrazione [δ]ὴ di Obbink comporta

    la doppia presenza di δή nel giro di due versi e mal si accorda col senso presumibile della frase seguente)cf. Hom. Il. 5.423 τοὺϲ  νῦν ἔκπαγλα φίληϲε, Archil. fr. 112.11 Ἀφροδίτηι ⟨δὴ⟩ φίλοϲ, Himer. 9.182 τὴν μὲν Ἀφροδίτη φιλεῖ. A una cessata relazione di φιλία fra uomo e dio (Afrodite stessa?) sembra riferirsi il fr.129b ἤ τιν᾽ ἄλλον (τίνα μᾶλλον Page) ἀνθρώπων ἔμεθεν φίληϲθα;

    Al v. 3 per ὠϲ temporale + ott. a denotare azione reiterata cf. Herdot. 1.17.2 ὠϲ δὲ εἰϲ τὴν Μιληϲίην ἀπίκοιτο.

    West 2014 ha notato che dopo πα garantito da P.Oxy. 1231 fr. 16, le tracce rimandano a θ, non ad α (Obbink ha invece proposto di leggere e integrare per la fine del verso πά   κά[εϲϲαι) e che delle duelettere successive non resta in sostanza nulla: donde πά[οc] κα[ύπτην “celare la passione” (al presente èperò da preferire l’aoristo, consueto in simili sentenze di carattere generale, cf. ad es. Pind. Py. 4.145 s. εἴ  τιϲ ἔχθρα πέλει | ὁμογόνοιϲ αἰδῶ καλύψαι), che introduce un motivo che compare nella silloge teognidea

    (v. 1343 τλήϲομαι οὐ κρύψαϲ) e in Eur. Hipp. 139 κρυπτῶι πάθει e 394 κρύπτειν  νόϲον, Antiph. fr. 232K.–A., Men. Mis. 361 (Sandbach), Ov. Her. 12.37 quis enim bene celat amorem? 

    Al v. 4 ὀνέχηϲθα (= ἀνέχειϲ) “trattieni”, “freni” (West), come in Hom.  Il. 23.426 ἀλλ᾽ ἄνεχ᾽  ἵππουϲ,Theogn. 26 οὔθ᾽ ὕων οὔτ᾽ ἀνέχων.

    Al v. 5, per άλοιϲι (Hammerstaedt), cf. Soph. OR 23 s., Ph. 271, Eur. El. 1241, Or. 994 etc., per δαΐζω in relazione a una sofferenza interiore Hom. Od. 13.320 φρεϲὶν ἧιϲιν ἔχων δεδαϊγμένον ἦτορ (West 2014).

    Al v. 6 per γόν(α) cf. fr. 58.15 γόνα δ  ̓οὐ φέροιϲι (in relazione alla vecchiaia) e Hom. Od. 18.212 τῶν δ  ̓αὐτοῦ λύτο γούνατ ,̓ ἔρωι δ  ̓ἄρα θυμὸν ἔθελχθεν (l’esempio è stato addotto da West*, che però ha poioptato per γόνωμ᾽ = γουνοῦμαι, γουνάζομαι).

    In fine di verso sembrano riconoscibili le tracce superiori di ε[ piuttosto che di ε[, come invece sug-gerito da Obbink.

    Al v. 7, per l’uso di λαῖλαψ in chiave di paragone o metafora, cf. Hom. Il. 11.306 e 747, 12.375, 16.384,20.51; evidente, se le integrazioni colgono nel segno, la congruenza iconica con i ϲάλοι del v. 5.

    Dopo ].ααϲ[  la felice integrazione [φ]αῖμ’ (“credo” piuttosto che “dico”) di K. Tsantsanoglou (ap.Obbink 2014), compatibile con le tracce di P.Oxy. 1231 fr. 16.7 ].ιμ̓  οὐ προ[, appare a prima vista troppobreve, ma c’è da considerare che la lettera φ veniva a trovarsi sulla kollesis, e dunque è possibile che loscriba incontrasse qualche grumo o ruvidezza da evitare (così si spiegano le anomale spaziature fra ι e κ efra κ e ε in l. 17 e fra μ e α in l. 23).

    Il minuscolo frustolo sistemato nella zona destra inferiore, dove le tracce visibili nell’interlineo al di

    sopra di ]ερηϲ[ sono da intendere non come “parts of a suprascript iota after ].ερ” ma come residui spe-culari (offsets) rimasti attaccati al frustolo prima del suo distacco, era, come informa Obbink, “originally

    folded over left” e può essere “ranged up to two or three letters” (ma perché non qualcuna di più?) o anche

    immediatamente accanto a προ[. Se la collocazione è quella a distanza zero, come nella foto acclusa all’e-ditio princeps, otteniamo l’atteso coriambo ma una sequenza dif ficilmente decodificabile (οὐ προερηϲ[),altrimenti dobbiamo fare di ]ερηϲ[ le prime due sillabe del baccheo finale e inserire dopo προ due sillabedi scansione ⏑ – (οὐ προ[⏑ –]ερηϲ[–).

    Per la fine del verso West* (che ha poi adottato una diversa soluzione) ha suggerito ερήϲ[ην, inf. fut.di περίημι = ὑπερίημι “sopravanzare”, “superare” (cf. Hom. Od. 8.198 οὔ τιϲ Φαιήκων τόν γ᾽  ἵξεται οὐδ᾽ ὑπερήϲει “nessuno dei Feaci lo raggiungerà né lo sopravanzerà”, in riferimento al disco lanciato da Odis-seo), che a mio avviso poteva essere preceduto da προ[τόνοιϲ (acc.) “stralli” (i cavi di prua che mantengonoritto l’albero maestro), nel senso che la nave fugge le raf fiche della tempesta e queste non riescono a spezzar-

    li, come invece avviene in Hom. Od. 12.409 s. ἱϲτοῦ δὲ προτόνουϲ ἔρρηξ’ ἀνέμοιο θύελλα | ἀμφοτέρουϲ.Anche in Alc. fr. 208a.9 uno dei segnali del naufragio imminente è l’allentarsi delle ἄγκονναι, gli stralli

    appunto (= ἄγκοιναι, cf. Hesych. α 550 ἀγκοῖναι [ἀγκόλαι cod.] … ϲχοινία ἱϲτοῦ), correzione di Bergkper ἄγκυραι del testimone (Heraclit. All. 5) suffragata da uno scolio marginale in P.Oxy. 2297 (Page 1955,

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      Saffo e i suoi fratelli e altri brani del primo libro  15

    187). Per contro, Agamennone è paragonato a uno “strallo salvatore della nave” in Aesch. Ag. 897 e lungo

    gli stralli dovevano apparire i Dioscuri salvifici in Alc. fr. 34.10. E la gru tracia garantisce felice navigazio-

    ne al poeta volando lungo gli stralli in Posid. 22.4 A.–B. κατὰ προτόνων ἡγεμονέοι γέρανοϲ.

    Al v. 8, con l’ἔερχθαι (inf. medio-passivo di εἴργω  / εἴργνυμι, come δέχθαι rispetto a δέχομαι, cf.Hom. Od. 10.241 ἐέρχατο) ipotizzato da Obbink e, in principio di verso, αἴ  κε] ν, si poteva dire che le buferenon avrebbero oltrepassato gli stralli se fossero state trattenute …

    6. Sotto l’ala di Hera (fr. 17)

    Da un altro frustolo di P.GC. inv. 105 (fr. 2 col. II, 9–25) sono venuti sostanziali incrementi al fr. 17 V., in

    parte già noto da P.S.I. II 123, ll. 3–12, P.Oxy. 1231 fr. 1 col. II 2, 2–21 e P.Oxy. 2289 fr. 9:

      πλάϲιον δὴ μ[οιϲοπ]οιϲ [ήϲθ]ω,  πότνι᾽  Ἦρα, ϲὰ χ[άριϲ ἐ]   ̓ἐόρτ 

    τὰν ἀράταν Ἀτρ[έϊδα]  όηϲάν

      τοι βαϲίληεϲ  4  ἐκτελέϲϲαντεϲ μ[εγά]λοιϲ ἀέθλοιϲ  πρῶτα μὲν πὲρ Εἴ [λειον], ἄψερον δέ  τυίδ’ ἀπορμάθεν[τεϲ· ὄ] γὰρ εὔρη[ ν  οὐκ ἐδύναντο  8  πρὶν ϲὲ καὶ ∆ί’ ἀντ[ίαον] πεδέλθην  καί Θυώναϲ ἰμε[ρόεντα] παῖδα·   νῦν δὲ κ[. . . . . . . . . . .]. . . πόημεν  κὰτ τὸ πάλ[αιον  12  ἄγνα καὶ κ[. . . . . . . . . . ὄ]χλοϲ  π]αρθέ[ νων . . . . . . . . . . . . γ]υναίκων

      αμφιϲ.[μέτρ᾽ ὀ[ολύγαϲ  16  παϲ[  .[.]. νιλ[  ἔμμενα[ι   Ἦ]ρ᾽ ἀπίκε[ϲθαι. 20

    1–2 supplevi 3 suppl. Wilamowitz 5 suppl. Diehl 6  suppl. BFO 7 ἀπορμάθεν[τεϲ Wilamowitz, cetera suppl. BFO9–12 suppl. Wilamowitz 13 κά[λ̓  Castiglioni, dein fort. ὄργια ταῦτ ,̓ ὀ δ᾽ ὄ]χλοϲ 14 παρ[θένων Hunt || γ]υναίκων BFO 16 supplevi 19 ἔμμενα[ι Hunt 20 suppl. Milne

      Qui vicino spiri il tuo favore verso i ministri

      delle Muse, Hera veneranda, e verso la festa

      che i sovrani Atridi resero da te

    agognata 4

      dopo aver affrontato grandi cimenti

      dapprima intorno a Ilio e poi

    sbarcati qua, ché non avrebbero potuto

      trovare la giusta rotta 8

      prima di rivolgersi a te e a Zeus protettore dei supplici

      e al figlio seducente di Tiona.

    Ma ora, o sovrana, anche noi, guarda!, celebriamo

      secondo l’antico uso 12

      questi riti santi e belli, e la folla

      di vergini … e di donne

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    16 F. Ferrari

      intorno …

      le misure dei clamori 16

      …

      …  essere

      o Hera, arrivare. 20

    Per l’attacco BFO osservano che “any reconstruction should avoid the mistake, made by early editors, of

    taking πλάϲιον in line 1 as describing motion, as observed by Lidov 2004, 390–3, as well as taking it witha dative” e su questa premessa suggeriscono, a colmare la prima lacuna, μ[ελπο]μένοιϲ᾽ (“by/with/for thosedancing”).

    Due considerazioni paleografiche militano tuttavia contro questa integrazione: (1) nel testimone che

    conserva tutta la sequenza πλάϲιον δή μ[, e cioè P.S.I. II 123 (un documento che si caratterizza per unascrittura regolare e un eccellente stato di conservazione), dopo il μ finale c’è troppo spazio vuoto perchénon si scorga traccia di un eventuale ε (non così invece, ad esempio, per un ο, che ha uno sviluppo graficominore); (2) dopo la lacuna, a destra rispetto a due tracce enigmatiche che potrebbero anche appartenere

    alla medesima lettera, si individua una lettera che sembra da identificare con un λ (non a caso West 2004scrive οιϲ[).

    Questa situazione induce a ipotizzare μ[οιϲοπ]οιϲ (acc. pl., in coerenza con la mancanza di segnodi elisione nel papiro), un composto attestato in Saffo in relazione a se stessa e alla sua cerchia in fr. 150.1

    οὐ γὰρ θέμιϲ ἐν μοιϲοπόλων ⟨δόμωι⟩ | θρῆνον ἔμμεν᾽ ⟨…⟩ οὔ κ  ̓ἄμμι πρέποι τάδε26 e che nella tradizio-ne poetica successiva continua a riferirsi, come sostantivo o come aggettivo, ai cultori della μουϲική  inquanto poeti compositori e/o interpreti oppure in quanto musicisti o coreuti, cf. Eur.  Alc. 445 s. πολλά ϲε μουϲοπόλοι μέλψουϲι e Ph. 1499 μουϲοπόλον ϲτοναχάν, Hermesian fr. 7.28 Powell, Opp. Hal. 1.680, IG 7.2484.6 ἐ⟨ϲ⟩θλὴ τεχνιτῶν μουϲοπόλων ϲύνοδοϲ, Nonn. Dion. 45.185 etc.

    Anche qui il plurale poteva accomunare Saffo compositrice ed esecutrice del carme e i membri di un

    coro femminile incaricato di accompagnarlo con la danza (ma senza escludere la possibilità di un coro che

    cantasse oltre a danzare).

    Poi, per la fine del verso, BFO integrano l’imperativo [γέϲθ]ω  assegnandogli come soggetto ϲὰ χ[αρίε]  ̓ἐόρτ (suppl. Wilamowitz) al v. 2: “let your charming festival be celebrated”. Senonché la lorostessa descrizione diplomatica pone come probabile, subito dopo la lacuna del v. 2, solo il primo sigma

    mentre per la lettera immediatamente successiva ci si limita a dare per certe alcune tracce d’inchiosto “at

    top right and bottom of line”, e relativamente a ciò che viene dopo εορτ si traccia un quadro della situazioneche suggerisce una lettura ἐόρτ piuttosto che ἐόρτ.27

    Con queste premesse penserei ad [ήϲθ]ω “spiri”28 al v. 1 (che rinnoverebbe uno schema figurale chetroviamo più volte nell’epica arcaica: Hom. Cer. 276 περί τ  ̓ἀμφί τε κάλλοϲ ἄητο, Hes. Th. 583 χάριϲ δ  ̓ἐπὶ πᾶϲι ἄητο, fr. 43a.74 M.–W. χαρίεν τ  ̓ἀπὸ εἶδοϲ ἄητο, Sc. 8 τοῖον ἄηθ᾽ οἷόν τε πολυχρύϲου Ἀφροδίτηϲ) eal v. 2 χ[άριϲ ἐ]   ̓ἐόρτ: un desiderio che il favore di Hera spiri lì nei pressi (πλάϲιον avverbiale comein Hom. Il. 4.329 e Od. 20.106 a definire lo spazio della cerimonia come δεῦρυ a principio di fr. 2) verso29 i ministri delle Muse e verso la festa che …

    26 Della contestualizzazione di questo brano ho discusso in Ferrari 2007, 136–40 = 2010, 143–47.

    27 “After τ left hand part of triangular letter, then after a slight gap in papyrus (large enough for right side of  α, but mayhave originally been closed) at mid line wide horizontal or slightly sloping diagonal, as of middle of ν or tail of α”.

    28 BFO ipotizzano qui una lacuna di quattro lettere che essi colmano con ἀ[γέϲθ]ω, ma occorre considerare che nel mate-riale scrittorio si è prodotta una evidente smagliatura di alcuni millimetri che ha determinato la separazione fra due lembi del

    frustolo, come si riscontra anche dalle dimensioni attualmente abnormi del π (posto appunto a cavallo della smagliatura) diἀπέλθην in l. 5. In realtà le lettere da ipotizzare in lacuna sono tre piuttosto che quattro (comunque troppo breve sarebbe però[είδ]ω di Lidov).

    29 Con ἐϲ riferito anche al primo accusativo, come in Pind. Is. 7.41 s. ἕκαλοϲ ἔπειμι γῆραϲ ἔϲ τε τὸν μόρϲιμον | αἰῶνα ein Aesch. Pe. 492 s. Μαγνητικὴν δὲ γαῖαν ἐϲ τε Μακεδόνων / χώραν ἀφικόμεϲθ  ̓(a meno di correggere δὴ in δὴ ⟨̓ ϲ⟩, cf. fr.16.9 ἔβα  ϲ̓).

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      Saffo e i suoi fratelli e altri brani del primo libro  17

    Le indicazioni di apertura, come suggeriva Calame 2009, 3–8 già prima della scoperta del nuovo papi-

    ro, dovevano svolgere una funzione pragmatica al pari del presente indicativoπόημεν del v. 11, da intenderesulla linea di quei presenti indicativi pindarici in prima persona plurale, come ἀναπολίζομεν di Py. 6.2 o

    αὔξομεν di Is. 4.62, che rinviano a una cerimonia in corso di esecuzione (Krummen 1990, 41–4): la poe-tessa doveva porsi come regista di una festa pubblica in modi simili a quelli che af fiorano nell’esortazione

    iniziale alle παῖδες dell’ode della vecchiaia incrementata dal papiro di Colonia (fr. 58.11 s.).30Per i vv. 3–4 BFO passano in rassegna varie possibilità esegetiche che discendono dalla scelta preli-

    minare fra ἀράταν come ind. impf. duale o come aggettivo verbale, ma la prima esegesi prospettata, τἀν ἀράταν Ἀτρέϊδαι πόηϲάν τ  ̓οἰ βαϲίληεϲ “which the Atreids prayed for [vowed?], and the kings performed”comporta, oltre all’assenza dell’aumento temporale (possibile ma sporadica in Saffo e Alceo), che si accetti

    una distinzione fra gli Atridi e non meglio specificati ‘sovrani’ di Lesbo che, anche se nell’ Iliade l’isola è

    segnalata come parte del regno di Priamo (24.543–45), dovrebbero aver partecipato con gli Atridi all’im-

    presa troiana.

    Gli stessi editori optano comunque per ἀράταν come aggettivo verbale interpretando però Ἀτρείδαι 

    come dativo: “… which, prayed for by the Atreid, the kings caused to be performed”. Di qui la delineazionedi un singolare scenario in cui un non specificato Atride (Menelao) sbarca a Lesbo, prega di ottenere una

    festa dedicata a Hera e i ‘re’ locali che lo hanno accompagnato prontamente la organizzano per lui. Ma,

    soprattutto, se Menelao non è accompagnato dal fratello e i re sono sovrani isolani, come si poteva dire

    nello stesso tempo dell’uno e degli altri che “non avrebbero potuto trovare la rotta” (v. 7 s.) se non avessero

    visitato la triade isolana? Dove mai avrebbero dovuto dirigersi i sovrani di Lesbo appena tornati in patria

    dalla guerra di Troia?

    Invece BFO non prendono in considerazione quella che sembra l’esegesi più semplice, e cioè “… la

    festa che i re figli di Atreo resero (non “performed” né “caused to be performed”) desiderata da te”, con

    τοι = ϲοι (cf. 31.2, 63.2, 137.1, Alc. 119.1), e dunque scrivendo, con West 2014, πόηϲάν τοι (non πόηϲαν τοί),e con ἀράταν … τοι sulla linea di Hom. Od. 19.404 πολυάρητοϲ δέ τοί ἐϲτι e Cer. 220 πολυάρητοϲ δέ 

    μοί ἐϲτι.Con il loro prestigio di sovrani espugnatori di Ilio e, presumibilmente, con la ricchezza delle loro offer-

    te gli Atridi dovettero valorizzare e potenziare un già esistente culto locale.

    Certo, come notava la Voigt in apparato al v. 3, “sec. Hom. (γ 130 ss.) Agamemnon in insulam L. nonvenit”. Nel terzo canto dell’Odissea Nestore racconta infatti che dapprima scoppiò un aspro alterco fra i

    due Atridi (Menelao esorta tutti gli Achei a prendere il mare, Agamennone intende rinviare la partenza per

    dedicare sacre ecatombi ad Atena), sì che all’alba del giorno seguente metà dell’esercito si imbarca, l’altra

    metà resta con Agamennone a Ilio. Poi, a Tenedo, alcuni (fra cui Odisseo) tornano indietro a Troia e solo

    una parte (con Nestore e Diomede) prosegue il viaggio e viene raggiunta poco dopo da Menelao proprio a

    Lesbo mentre è in corso una discussione sulla rotta da seguire, e cioè “se navigare a nord di Chio rocciosa

    verso l’isola di Psiria, tenendola a sinistra, o a sud di Chio, passando vicino al Mimante ventoso” (3.169–72).

    Così, dopo aver ‘tagliato il mare’ verso l’Eubea e precisamente verso capo Geresto in direzione sud-ovest (edunque aver scelto la rotta più celere ma anche più pericolosa), al quarto giorno Diomede e i suoi compagni

    approdano ad Argo e Nestore prosegue sano e salvo fino a Pilo; invece Menelao passa lo stretto fra Chio

    e la terraferma e procede verso sud lungo la costa anatolica ma poi, dopo aver virato verso ovest, urta a

    Creta contro il promontorio che sorge nei pressi di Gortina e perde gran parte delle sue navi; infine viene

    trascinato dal vento fino in Egitto (vedi Di Benedetto 2010, 34–6).

    Del ritorno di Agamennone racconta invece Menelao nel quarto canto del poema, ma si tratta di un

    viaggio tranquillo e senza incidenti (v. 512 s.) proprio grazie alla protezione di Hera finché le cose si com-

    plicano (v. 519 ss.) per una tempesta che colpisce la sua flotta presso capo Malea.31

    30

     Ne ho discusso in Ferrari 2007, 179–83 = 2010, 194–98.31 Quello della tempesta presso capo Malea è per altro un dato dif ficile da spiegare se è vero che Agamennone puntava

    verso Argo: a questo problema è dedicato lo studio di Brillante 2005, seguito da una serie di interventi di altr i studiosi (27–113).

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    18 F. Ferrari

    La divergenza rispetto all’Odissea si spiega col pullulare di varianti che dovevano essere fiorite intorno

    alle tradizioni di quelli che al tempo di Saffo erano forse già diventati i Nostoi attribuiti ad Agia di Trezene.

    In particolare, per quanto riguarda i movimenti iniziali di Agamennone e Menelao, nel racconto di Apol-

    lod. epith. 6.1–30, che si accorda con il sunto dei Nostoi nella Crestomazia di Proclo, si danno su Agamen-none particolari ignoti all’Odissea: egli approda a Tenedo (dove invece in Od. 3.159 giunge solo la metà

    dell’esercito in dissenso con lui) e poi per tutti tranne che per Neottolemo (trattenuto da Thetis) scoppia una

    tempesta al largo di Teno, una delle Cicladi (mai menzionata nell’Odissea).

    Ma anche nell’ Agamennone di Eschilo (vv. 615–80) Agamennone e Menelao partono insieme da Ilio e

    vengono separati solo in seguito, in mare aperto, da una violenta tempesta (χειμῶν  ̓649), e questo partireinsieme, e senza contrasti, può far pensare, piuttosto che a un’innovazione del poeta ateniese, a una ricezio-

    ne di un filone tradizionale af fine o identico a quello noto a Saffo (vedi Caciagli 2011, 154–55).

    Al v. 9, per μετέρχομαι nel senso di rivolgersi a un dio per pregarlo o supplicarlo, cf. Eur. Ba. 712 s. τὸν θεὸν ὃν  νῦν ψέγειϲ | εὐχαῖϲιν ἂν μετῆλθεϲ.

    Al v. 11, se la lettura ]. di BFO coglie nel segno, si può pensare a un inciso ὄρα “guarda!” (cf. Archil.

    fr. 105.1 Γλαῦκ ,̓ ὅρα, Aesch. Ch. 924, Eu. 254, Soph. El. 945, OC  117, Eur. IT  67, IA 1412). Allora, conripresa dell’epiteto cultuale del v. 2, e.g. νῦν δὲ κ[ἄμμεϲ, πότνι ,̓] ὅρα, πόημεν.

    A v. 13 s. il sostantivo a cui il nesso ἄγνα καὶ κ[λ(α) si riferiva poteva essere ὄργια (Hom. Cer. 273e 476, Pind. fr. 140a.78 M., Aesch. Se. 179, fr. 57.1 R. etc.): e.g. ἄγνα καὶ κ[λ̓  ὄργια ταῦτ ,̓ ὀ δ  ̓ὄ]χλοϲ.

    Per il v. 16 gli editori osservano che “if μέτρ’ is correct and refers to the ‘measures’ of song or chant, itlong anticipates the next known use as such (at Arist. Nub. 638)”, ma un’occorrenza anteriore ad Aristofane

    è in Pind. Pae. 6. 121 s. ⟨ἰὴ⟩ ἰῆτε  νῦν μέτρα παιηό| νων.BFO sospettano inoltre che “some form of ὀλολύϲδω  belongs here in the adonaean, e.g. μέτρ’

    ὀλ[ολύϲδην”, e in effetti la corrispondenza con alcuni tasselli di fr. 44 (da un lato la sequenza di v. 14 s.ἐπ[έ]βαινε δὲ παῖϲ ὄχλοϲ | γυναίκων τ  ̓ἄμα παρθενίκα[ ν] τ  ̓ἀπ[αλ]οϲφύρων, dall’altro il richiamo al gridorituale in γύναικεϲ δ  ̓ἐλέλυϲδον del v. 31) e con la menzione dello stesso grido rituale in Alc. fr. 130b.20

    ἴρα[ϲ ὀ]λολύγαϲ ἐνιαυϲίαϲ32 rendono l’ipotesi molto verosimile in termini generali, ma in lesbio la formacorretta del verbo ὀλολύζω era ἐλελύϲδω (cf. ἐλελεῦ), come mostra il citato ἐλέλυϲδον di Sapph. fr. 44.31(ἐ]λέλυϲδ[ο] ν P.Oxy. 1232, ὀλόλυζο[ ν P.Oxy. 2076), non ὀλολύϲδω. E dunque, essendo lunga la terza sillabadi ὀλολύγα, appare ovvia, in linea con i citati μέτρα παιηόνων pindarici, l’integrazione μέτρ᾽ ὀ[ολύγαϲ.

    Quanto abbiamo da P.Oxy. 1231 fr. 1, col. II di quello che, come segnala la presenza della coronide,

    era l’adonio finale del carme (v. 20), e cioè [.]ρ᾽ ἀπικε[,33  integrato già da Milne con [ Ἦ]ρ ,̓ ἀπίκε[ϲθαι,può far ora sospettare, dopo la pubblicazione del primo carme di P.Sapph. Obbink, che il riferimento a una

    supplica a Hera ai vv. 5–9 riguardasse appunto la cerimonia di cui questa invocazione a Hera del fr. 17 era

    parte integrante: da notare la stretta corrispondenza fra [ Ἦ]ρ ,̓ ἀπίκε[ϲθαι e P.Sapph. Obbink 6 s. Ἤραν |ἐξίκεϲθαι (e cf. anche fr. 5.2 τυίδ᾽ ἴκεϲθα[ι).

    Una coincidenza dif ficilmente casuale che ci suggerisce nuovamente, nell’ambito di quello che potrem-

    mo chiamare il ‘ciclo di Carasso’, il ricorso a tessere para-formulari che sottolineavano la connessione fraalcuni di questi componimenti attivando nell’uditorio la memoria di momenti lirici già proposti in altre

    occasioni.

    32 Si tratta di un carme ambientato nel medesimo scenario di Sapph. fr. 17 e di Alc. fr. 129 (cioè quell’Heraion pan-lesbio

    di Messa che doveva essere ubicato nell’area nord-occidentale del golfo di Kalloni ed era consacrato alla triade Zeus-Hera-Dio-

    niso (su tutta la questione di questo τέμενος in relazione alla poesia di Saffo e Alceo vedi da ultimo Caciagli 2010).33 Sulla scia della Voigt, che stampava per l’inizio di verso [?], BFO restano incerti se postulare una lettera davanti aρ, ma mi pare sicuro, dalla foto acclusa al vol. 10 degli Oxyrhynchus Papyri, che questo ρ non era la lettera iniziale del rigo.

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      Saffo e i suoi fratelli e altri brani del primo libro  19

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    Franco Ferrari

    [email protected]