· web viewper janet, un trauma legato all'ambiente, non necessariamente un trauma sessuale,...
TRANSCRIPT
TRADUZIONE CAPITOLO III LIBROCOME TRATTARE IL PAZIENTE BORDERLINE
“Se ora ci volgiamo a considerare la vita psichica dal punto di vista biologico, la
‘pulsione’ ci appare come un concetto limite tra lo psichico e il somatico, come il
rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo e
pervengono alla psiche. Come una misura delle operazioni che vengono richieste alla
sfera psichica in forza della sua connessione con quella corporea”. (Freud, “Pulsioni e
loro destini”, Opere 8, 1915, p. 17)
IL CORPO DI FREUD E IL NUOVO INCONSCIO IN PSICOTERAPIA
Le relazioni primarie, sia quelle positive che distruttive, sono inscritte nel corpo come risposte
psiconeurobiologiche a stimoli complessi, insieme a rappresentazioni psichiche incarnate, che si
manifestano anche nei sintomi e nel modo in cui il corpo viene trattato o visto. È da questa rete
intricata e affascinante che dobbiamo iniziare nella terapia.
Per Freud, il transfert (il complesso delle reazioni emotive al terapeuta e al trattamento, per
sintetizzare) era costituito dalla riproduzione della malattia del paziente nella regione intermedia
del setting terapeutico visibile attraverso gli scambi affettivi diretti al terapeuta. Data l'importanza
primaria delle rappresentazioni di sé e dell’altro per l' identità e per la formazione della personalità
in generale e gli effetti negativi degli imprinting traumatici nel corpo–mente–cervello del soggetto,
la terapia con il paziente borderline o che soffre di disturbi di personalità deve essere condotta con
speciale attenzione al dispiegarsi delle reazioni maladattive relazionali e delle reazioni affettive
nelle sedute.
La ripetizione delle dinamiche patologiche o disfunzionali e le conseguenti rappresentazioni
negative o distruttive di sé e dell’altro è anche il focus della psicoterapia psicoanalitica adattata da
Otto Kernberg per questi pazienti, chiamata psicoterapia focalizzata sul transfert (TFP, Clarkin,
1
Yeomans, Kernberg, 1999) ma, al contrario della visione di Kernberg, considero questa ripetizione
in seduta come gli effettivi re-enactment di stili di attaccamento inscritti dai primi due anni di vita
(insicuro–preoccupato per il borderline, insicuro–evitante per il narcisista e antisociale, e
attaccamento disorganizzato per la maggior parte dei casi gravi che presentano dissociazione), in
accordo con la teoria di Liotti sull'attaccamento disorganizzato come precursore di una vulnerabilità
alla dissociazione traumatica e con la più ampia teoria neurobiologica e neuroscientifica
interdisciplinare di Schore. A questa visione degli imprinting traumatici nel corpo-mente-cervello
aggiungo il concetto di identificazione con l'aggressore, con l’attivazione di una diade vittima-
persecutore interiorizzata nel sé e manifestata anche nel corpo, derivato da Ferenczi, come vedremo
meglio dai casi.
Nelle sedute, la ripetizione di questi imprinting (neurobiologici e rappresentazionali)
negativi è anche da intendersi come inscritta implicitamente nelle regioni limbiche (con l' amigdala
alla base) dell'emisfero destro. Pertanto le ripetizioni dei comportamenti e degli affetti sono, in
accordo con Bowlby, l'internalizzazione delle rappresentazioni e iscrizioni corporee delle effettive
esperienze di accudimento (o mancato accudimento e abuso) che il bambino ha ricevuto. Le
ripetizioni (più che essere in senso freudiano il segno della coazione a ripetere frutto dell'istinto di
morte del soggetto, si veda Al di là del principio di piacere, Freud 1919) ci danno il senso dei
modelli operativi interni (MOI) che operano sempre nel soggetto, anche fuori dalle sedute e nella
vita quotidiana.
In senso neuropsicoanalitico, vanno intese come pattern di disregolazione; vale a dire, come
disconnessioni tra amigdala e aree orbitofrontali che sono comunicate verbalmente e non
verbalmente attraverso identificazione proiettiva e momenti dissociativi e riproducono enactment
(azioni di motivazione inconscia suscitate dalla relazione con il terapeuta e dai due emisferi destri in
sintonizzazione) di identificazione con parti del sé vittima e parti del sé persecutore. Questi
enactment hanno luogo in una sequenza che alterna in continuazione affetti legati alla posizione del
2
sé vittima che é stata internalizzata nel trauma (tristezza, vuoto, mancanza, depressione, disgusto di
sé, bassa autostima) e affetti collegati all’identificazione internalizzata con un persecutore
(aggressività, odio, violenza, invidia, rabbia), affetti, questi ultimi, che possono essere esternalizzati
su un altro o sul proprio corpo, per ragioni di autoregolazione. Le sedute presenteranno queste
posizioni e affetti alternati che il terapeuta è ben attrezzato a ricevere e restituire abreagite
(attraverso il proprio emisfero destro) al paziente.
Usando infatti le teorie di Allan Schore sull''uso dell'emisfero destro in psicoterapia (Schore
2019a, in preparazione mentre completavo questo lavoro), spiego infatti gli scambi peculiari che
avvengono tra paziente borderline e terapeuta come ripetizione delle modalità disfunzionali
dell'emisfero destro, dovute alla dissociazione e alle traumatizzazioni relazionali causate dal trauma
relazionale con o senza abuso e maltrattamento o deprivazione. L’intermediazione dell'emisfero
destro, fondamentale nell' attaccamento, implicato massicciamente nel trauma relazionale infantile e
particolarmente attivo nella ripetizione degli scambi patologici in seduta (che Kernberg chiama
"diadi"), è anche essenziale nel capire ciò che avviene effettivamente in terapia con questi pazienti
con tipiche traumatizzazioni da emisfero destro. (Discuteremo un effettivo momento dissociativo in
enactment nel caso di Dorothy, Capitolo 6).
CAMPO INTERSOGGETTIVO INCONSCIO NELLE SEDUTE
Episodi traumatici e modalità dissociative di funzionamento sono contenuti in forma implicita nel
sistema limbico (amigdala); si tratta di traumatizzazioni occorse nei primi due anni di vita, come
sono quelle degli attaccamenti traumatici (quando l'ippocampo non è ancora pienamente maturo e
funzionante) oppure traumatizzazioni successive, che non hanno potuto essere iscritte
nell'ippocampo a causa dell'eccesso di arousal del sistema limbico, con produzione di sostanze a
livello neuroendocrino che impediscono la tranquilla codifica a base ippocampale. Non essendovi
iscrizione nell'ippocampo nè dei traumi accorsi nei primi due anni di vita, né dei traumi successivi
3
a causa dell’eccesivo iperarousal, questo spiega perché la tranquilla rievocazione a livello di
memoria episodica e dichiarativa (a base ippocampo) di episodi traumatici è impossibile. Questo
chiarisce anche il motivo per cui, in condizioni di rielaborazione nel tempo e nella sicurezza
emotiva della situazione terapeutica, è possibile il recupero di momenti traumatici e memorie fino
ad allora "seppellite nel corpo" e nella memoria implicita o procedurale (per cui il corpo sa e ha una
sensazione, ma non sa dire perché nè spiegarla chiaramente e in modo ordinato a parole).1
Ciò che è necessario nel lavoro con i pazienti borderline o con disturbi di personalità gravi è
pertanto un’autentica (conscia e inconscia, di emisfero destro e sinistro) disponibilità e impegno in
cui livelli espliciti e impliciti, simbolici e subsimbolici di interazione si rendono necessari, per
anni2. Come scrive Schore, “l'intersoggettività è pertanto più di un incontro o di una comunicazione
di cognizioni esplicite. Il campo intersoggettivo co-costruito dai due individui include non solo due
menti ma due corpi” (Schore, 2012, p. 40, trad mia per questa edizione, corsivo mio). E aggiunge:
“le transazioni transfert -controtransfert quindi rappresentano comunicazioni non consce, non
1 Basterebbe questa banale conoscenza neuroscientifica sui funzionamenti della memoria a base amigdala (attiva dalla nascita) e collegata al corpo e quelli a base ippocampo, più legata alla rievocazione in parole (attiva dopo i primi due anni e mezzo di vita, motivo per cui non abbiamo ricordi di solito in quel periodo della vita) a dissipare i dubbi sulla possibilità di recuperare memorie di abuso molti anni dopo, a trattamento psicodinamico ben riuscito, perché quanto è legato ai primi anni di vita o non immagazzinato chiaramente nella memoria ippocampale può tornare come ricordo negli anni e nel lungo lavoro di ricostruzione emotiva delle parti dissociate che viene fatto in una buona terapia. Lo dico a quanti si sono fermati al dibattito per il recupero della memoria di abuso alle posizioni contrapposte tra cognitivisti, che invocano la possibilità di creare false memorie (cosa possibile) e i clinici di solito psicodinamici che sono testimoni spesso di memorie rievocate di quanto era stato per anni seppellito nel corpo ma parlava, come spesso accade ai borderline attraverso distruttività fisica e psicologica, e maltrattamenti del soggetto al proprio corpo. Rimando per il dibattito al capitolo secondo di Il dolore estremo (Borla, 2008) e al capitolo II di Trauma e perdono (Raffaello Cortina Editore, 2014). La terapia psicodinamica a base psicoanalitica integrata neuroscientificamente come quella che presento rende possible il recupero delle tracce menestiche di reali avvenimenti traumatici e relazioni traumatiche grazie alla presenza di un testimone attivo nel recupero (per attivo intendo la disponibilità da emisfero destro ad accogliere e rendere presenti nel trattamento parti dissociate che hanno bisogno appunto di un altro, un testimone "benevolo e soccorrevole”, come spiegato da Ferenczi e che sia eticamente e umanamente disponibile a mettere al servizio dell'altro le proprie esperienze emotive, affettive ed empatiche di emisfero destro).2 Di solito nel primo anno i sintomi sono in remissione, ma la ristrutturazione del funzionamento della personalità e l'acquisizione stabilizzata della capacità autoregolativa simbolica almeno due, tre anni.
4
verbali di corpo-mente-emisfero destro” (Schore 2012, p. 41, trad mia per questa ediz.), cosa che
risulta particolarmente utile a mio avviso se applicata alla terapia con i borderline.
I casi ci aiuteranno pertanto a definire meglio come funzionamento implicito da emisfero
destro e patterns di modulazione conscio/in-conscio ritornano nel trattamento e vengono messi in
atto. A questo scopo è necessario all'incrocio tra neuroscienze e psicodinamiche umane una
riscrittura di ciò che intendiamo per in-conscio e delle sue modalità per il funzionamento sia sano
che disturbato. Questo richiede una riscrittura della teoria psicoanalitica e una comprensione di
come la patologia grave sia basata sulla dissociazione, non sulla rimozione, come Freud riteneva,
cosa che alcuni contemporanei di Freud, ovvero Pierre Janet e Sandor Ferenczi, avevano già
rilevato alla fine dell'Ottocento (Lingiardi & Mucci, 2014; Mucci, 2017a), scontrandosi con il
pensiero di Freud dominante a quel tempo e ancora oggi influente.
MEMORIA IMPLICITA, INCONSCIO NON REPRESSO, E LO SCANDALO DEL CORPO
PARLANTE DELL'ISTERICA
Per le isteriche nella comprensione di Freud, la via per la guarigione mirava a una ricostruzione
dell’"inconscio," ovvero di eventi traumatici (almeno fino a Studi sull'Isteria, scritto con Breuer,
1982-95) che lui definiva "rimossi" e a trovare parole per questa storia cancellata, cosicche' alla
fine, tramite il processo energetico della abreazione, la libido (termine usato da Fred
successivamente) poteva rifluire e la paziente tornare alla salute, ovvero il sintomo, una volta
riportata alla luce l'episodio rimosso, andava in remissione, spariva. Pezzi di storia cancellata e
rimossa (che trovavano testimonianza solo nel sintomo corporeo, paralisi, afasia o altro), venivano
recuperati nella “talking cure”, come, in inglese, una prima famosa paziente di Freud e Breuer
aveva chiamato questo singolare metodo catartico basato sul libero fluire delle parole. Via via che la
paziente isterica parlava, la paziente recuperava gli affetti corrispondenti e rimossi perché
inaccettabili della propria storia, recuperando pezzi di ricordi della avvenuta "seduzione", come in
5
termini puritani e obliteranti della verità dell'abuso Freud chiamava l'origine traumatica. Ciò che
Freud chiamava seduzione (di solito da parte di una figura paterna o comunque maschile ben nota
alla paziente e parte del circolo familiare) indicava in realtà, come spesso Freud confessava anni
dopo nelle note, storie di abuso e incesto ( al riguardo, si veda il primo capitolo de Il dolore
estremo, Mucci, 2008; e Rachman & Klett, 2015). Fino al 1987, anno della morte del padre, Freud
parla di seduzione reale; dopo questa data, e come una famosa lettera di Freud a Fliess riconosce,
Freud non crede più ai "neurotica" (ovvero le storie) delle sue pazienti ma le ritiene in gran parte
inventate e frutto appunto della particolare patologia delle isteriche legate a un complesso sessuale
per cui verità e fantasia si intrecciano (Mucci, 2008). Da quel momento, una visione fantasmatica
del trauma è prevalsa nel discorso psicoanalitico, fino al punto, ancora oggi, di far sorgere la
domanda nel terapeuta formato in modo classico, di fronte a un paziente che riferisce di abusi
sessuali, se si tratti di verità o di fantasia. Nelle successive rivisitazioni della teoria traumatica
effettuate da Freud, il conflitto inconscio attorno al desiderio sessuale è diventato il marchio del
problema psicopatologico dell'isterica, come ben evidenzia il caso di Dora, (Freud, 1901) e dei
problemi di Freud e del suo periodo oltre che della sua cultura rispetto al desiderio e al corpo
femminile3.
Jacques Lacan, nel porre la sua opera come "ritorno a Freud", sia pure un Freud riletto
attraverso gli occhi della linguistica e dello strutturalismo del Novecento (ma con ben ampia
radicale rivisitazione), ha inteso l'inconscio come una struttura che si rivela attraverso vari
linguaggi, ad esempio i sogni, i sintomi, i motti di spirito, i lapsus, le paraprassi). Nella definizione
di Lacan, l'inconscio è "strutturato come un linguaggio", quindi organizzato come qualsiasi
linguaggio su due livelli, significante (ovvero il piano delle manifestazioni fisiche e dei segni della
3 Sul territorio o sulla pelle di Dora è stato scritto talmente che una bibliogafia degli scritti su questo primo caso di Freud sarebbe infinita. Campo delle femministe anglosassoni specie dagli anni 80, rimando solo ad alcuni ormai classici lavori, come In Dora’s Case. Freud–Hysteria–Feminism, a cura di Charles Bernheimer and Claire Kahane, New York: Columbia University Press, 1985; Freud’s Dora: A Psychoanalytic, Historical and Textual Study di Patrick Mahony, New Haven, Yale University Press, 1996; Helen Cixous, Ritratto di Dora, Milano, Feltrinelli, 1976.
6
malattia) e significato (cioe' il significato del sintomo, nascosto e quindi da scoprire, attraverso la
storia o il momento di vita di quel soggetto). Lacan dava voce a un complesso universo simbolico
che condivide una similarità di struttura, seguendo la famosa doppia articolazione del linguaggio
spiegata dalla linguistica di Saussure (de Saussure, 1893), cercando la connessione nei messaggi del
corpo, della voce come articolazione corporea e psicofisica, del linguaggio, dei sintomi, dei sogni.
L'intero lavoro clinico coi pazienti (come accade nei testi letterari, si veda Benveniste, 1966; Lacan,
1966; Mucci, 2004; Orlando, 1975, Serpieri, 1986) è basato sulla decodifica dei significati nascosti
nella superficie dei significanti, o del testo, rivelando il soggiacente significato mascherato.4.
Lacan valorizzava del mandato di Freud la profonda radicalità di una visione che vedeva la
verità del soggetto per definizione sradicata, come Altro, rispetto a se stesso, e inattingibile se non
appunto attraverso gli strumenti della tecnica psicoanalitica (dovrei scrivere "psicanalitica",
seguendo i lacaniani); il soggetto, per accedere all'ordine simbolico, secondo Lacan deve accettare
la radicale rimozione del discorso dell'Altro, l'inconscio che parla dentro di sé solo nei modi cifrati e
difficili da ricostruire secondo le regole del discorso quotidiano, razionale e "Simbolico" appunto,
intendendo per ordine simbolico essenzialmente l'ordine del linguaggio che per Lacan è l'insieme
delle istituzioni costruite socialmente e storicamente. In questa visione, davvero il conscio è la
punta dell'iceberg, come diceva Freud, e il vero discorso del soggetto è perso nella profondità di un
Soggetto che per definizione non può che "manque à etre", un essere "mancante a se stesso", prezzo
pagato per l'accesso all'ordine simbolico (se non vuole rimanere nell'immaginario e nella follia).
Mentre dare voce all'Altro come verità rimossa è il compito dell’analisi, e costituisce la tensione
continua esistenziale del soggetto, evidente per esempio nei sogni, va detto che la verità per il
soggetto rimarrà sempre sotto la barra di significazione, letteralmente dislocata e rimossa sulla
superficie (il livello significante rispetto al significato). Nell'isteria, dunque, il sintomo esprime
quella verità che è relegata al corpo: un sintomo corporeo ha preso il posto di una verità traumatica
4 È evidente, da questa descrizione, per quanto suggestiva, di come una simile visione del paziente-testo non sia sufficientemente "empatica" o umana a mio parere.
7
che è stata relegata al di là della coscienza. La novità del discorso psicoanalitico freudiano
consisteva precisamente in questa connessione rivelatrice di corpo, verità traumatica rimossa e
relazione rappresentativa tra sintomo e parola. In realtà, Freud aveva “inventato” o “scoperto” la
psicoanalisi attraverso il corpo parlante dell'isterica e il legame unico che sapeva rintracciare tra
dolore, parole della paziente, ricordo rimosso, e verità (Mucci, 2004).
Le isteriche avevano rimosso nel corpo forti emozioni legate a eventi traumatici
apparentemente dimenticati, per cui al posto dell'evento era emerso un sintomo, o un’incapacità
funzionale (come la paralisi o l'afasia). Freud scoprì che la messa in parole dell'evento attraverso
l'abreazione dell'emozione repressa coincideva con la guarigione: l'arto riprendeva a funzionare, la
voce tornava. È pertanto particolarmente grave che questa fondamentale e originaria scoperta
freudiana (della verità traumatica a cui bisogna arrivare a dar voce per guarire) sia stata
abbandonata in seguito, con il privilegio della visione fantasmatica del trauma e della malattia come
basata sulla pulsione e sul conflitto tra istanze diverse nel soggetto.
Il concetto contemporaneo di memoria implicita permette la giusta riconnessione tra corpo,
trauma e memoria. Costrutto (o funzionamento) scoperto negli anni 1970 da Warrington e
Weiskrantz (1974), la memoria implicita fu studiata dapprima in connessione con gli esperimenti di
priming5 in pazienti affetti dall' amnesia di Korsakov, in cui le strutture della memoria esplicita o
dichiarativa erano danneggiate. La memoria implicita si basa su una dimensione procedurale e getta
luce sulle relazioni primarie dei primi due anni di vita (non codificate dall'ippocampo, che come
detto matura dopo i primi due anni di vita, Joseph, 1996; Siegel, 1999 ). Perché ci sia rimozione, ci
deve essere una traccia mnestica da cancellare, cosa impossibile prima dei due/tre anni, cosa da
attribuirsi al procedimento della rimozione ad anni di maggiore maturità psiconeurologica e in
connessione con una codifica verbale, impossibile prima dei due anni circa.
5 Il priming è un sistema mnemonico inconscio che consente a uno stimolo (verbale, uditivo, visivo) al quale si è stati esposti una prima volta, di essere riconosciuto le volte successive rapidamente e senza averne consapevolezza.
8
Pertanto, quelle prime esperienze non codificabili attraverso l'ippocampo e il linguaggio
possono essere incluse sotto forma di memoria implicita corporea, che contribuiscono a formare un
nucleo del sé che non è rimosso, nel senso freudiano del termine, ma afferisce all'"inconscio non
rimosso" e primordiale, implicito, appunto, in modo non dissimile da quanto sostenuto da Mancia,
(2006), che a sua volta segue Matte Blanco e configura una zona primitiva per definizione non-
conscia, preverbale e pre-raffigurativa, (si veda il volume sull'inconscio non rimosso come
individuato tra neuroscienze e psicoanalisi, Craparo & Mucci, a cura di, 2017), zona non distante da
quella "unformulated experience" (esperienza non formulata) individuata da Donnel Stern (Stern,
2003, o dagli “stati non rappresentati” (Levine, Reed, Scarfone, Eds. 2013; Mucci, 2016; Mucci,
2017a; Schore, 2003a, 2003b; Schore & Schore, 2008; Siegel, 1999).
Secondo Mancia, l'inconscio non represso o la memoria implicita dipendono dalle aree
posteriori associative temporo-parietali dell'emisfero destro. Queste aree sarebbero più attive
durante le fasi del sogno REM e perciò durante l'attività onirica rispetto all'emisfero destro.
L'INCONSCIO MODERNO E LA REGOLAZIONE AFFETTIVA
Una corrente definizione di inconscio che può essere accettata sia da cognitivisti che da
psicoanalisti consiste in ciò che è "non conscio", "in-conscio" ma guida comunque gran parte della
nostra vita mentale, inclusi atteggiamenti, comportamenti e affetti. Questo è esattamente ciò che il
concetto di memoria implicita suggerisce.
Questo in-conscio è quindi un nucleo implicito del sé (Schore, 2012) creato originariamente
in connessione con potenzialità trasmesse attraverso i movimenti regolatori occorrenti tra emisfero
destro della madre e del bambino, soprattutto nel primo anno di vita del bambino, periodo critico
per l'attaccamento, stabilendo un prevalere dello sviluppo emotivo e affettivo su quello analitico,
decisionale, linguistico, settoriale, che si manifesta anche nei due sistemi di memoria.
9
Seguendo Schore, (2003b), alla fine del primo anno di vita, circuiti corticali–subcorticali
lateralizzati a destra formano una memoria implicita procedurale, con modelli operativi di
attaccamento che recano strategie di regolazione affettiva che, in modo non consapevole, guidano
il soggetto nei futuri scambi interpersonali, cosicchè scambi traumatici sono codificati nel corpo per
sempre, inespressi verbalmente per anni se non vengono recuperati e liberati grazie ai nuovi
imprinting terapeutici di liberazione e riparazione.
Molte ricerche recenti provano che soggetti traumatizzati in modo cronico a causa di
relazioni d'abuso protratte per anni (quindi con un disturbo post-traumatico da stress complesso, o
complex PTSD come riconsce solo il PDM-2) presentano ippocampo ridotto. Quando a questi
soggetti è stato chiesto di rievocare esperienze traumatiche precoci, hanno registrato un’attivazione
dell'emisfero destro, mentre quando dovevano rievocare un ricordo affettivamente neutro,
l'attivazione era soprattutto a sinistra. Nei soggetti non traumatizzati, l' attivazione era simile sia per
i ricordi disturbanti che per quelli neutri. Inoltre, cosa interessante, il corpo calloso, il ponte tra i due
emisferi, presentava volume ridotto nei soggetti traumatizzati, segno della mancanza di integrazione
tra l'informazione dei due emisferi (si veda anche Bakermans-Kranenburg, van
IJzendoorn, Mesman , Alink, & Juffer, 2008; Bakermans-Kranenburg & van IJzendoorn, 2015).
La corteccia orbitofrontale, meccanismo centrale della regolazione degli affetti nei due
emisferi, accede ai due processi di memoria con processi impliciti, cioè non coscienti (Frey &
Petrides, 2000; Rolls, Everitt, & Roberts, 1996; Schnider, Treyer, & Buck, 2000; Stuss et al., 1982).
Questo è importante per definire i processi (che Freud chiamerebbe) preconsci (Schore, 2003b),
influenzati direttamente da questa attività regolatoria che dall'esterno diventa una forma di
autoregolazione.
SISTEMA LIMBICO E MEMORIE TRAUMATICHE
10
Secondo Schore, il sistema limbico è un sistema gerarchico tripartito; ciascun livello (amigdala,
cingolato anteriore, e insula–orbitofrontale) contiene funzioni affettive, cognitive, e
comportamentali separabili e stato-dipendenti. Ogni livello processa rappresentazioni codificate e
immagazzinate delle tracce sensoriali-affettive, per cui, in momenti diversi, vari livelli di memoria
implicita possono essere attivati (Schore, 2003b), cosa che probabilmente spiega perché il recupero
delle tracce non avvenga attraverso un meccanismo “tutto o niente”, ma attraverso un disvelamento
progressivo, a strati, in cui, tra l'altro, la stessa aumentata o migliorata cognizione rimodella
continuamente l'emozione, e viceversa.
Poiché questi sistemi maturano per stadi, se il trauma relazionale interferisce con la maturazione
dipendente dall'esperienza delle interconnessioni di questi sistemi, possono perdere la possibilità di
integrazione, cosicchè si creano stati somatici disregolati (cosa che i disturbi di personalità
sembrano confermare).
Nella psicoterapia, il sé somatico emozionale (o il sé funzionante a base emisfero destro) del
paziente comunica con il sé somatico (a base emisfero destro) del terapeuta attraverso una
“conversazione tra i sistemi limbici di entrambi” (Buck, 1994).
Nella comunicazione emisferica tra caregiver e bambino, a livello intergenerazionale non
solo al bambino vengono trasmesse le modalità eventualmente disorganizzata, ma la
comunicazione viene effettuata nelle due direzioni; in altri termini, l' attaccamento disorganizzato
nel bambino può a un certo punto riattivare le dolorose memorie traumatiche dell'attaccamento del
genitore in un circuito che può diventare pericoloso per la parte più vulnerabile della diade. Per il
bambino, queste memorie si possono riattivare perfino dopo molto tempo, anche in età adulta (Perry
et al., 1995). In questa catena, l' esperienza intergenerazionale è trasferita automaticamente (in
modo in-conscio, senza alcuna consapevolezza, o a volte come detto perfino in mancanza di vero e
proprio abuso).
11
Nel reprimere il trauma e nel rendere il trauma un problema fantasmatico e frutto di
conflitti interni, Freud “rimuoveva” anche il processo della dissociazione che pure stava scoprendo
nello studiare le isteriche, privilegiando quella difesa più matura che abbiamo visto essere la
rimozione. L’attuale comprensione dei disturbi di personalità al contrario prova: (1) l' origine
traumatica degli scambi precoci o dell'abuso protratto nel tempo, (2) che non c'è rimozione nel
continuum della patologia borderline, ma quella più primitiva e radicale dinamica che Ferenczi
chiamava “frammentazione” o dissociazione, sempre di origine traumatica interpersonale (che
Kernberg con il termine kleiniano preferisce chiamare scissione).
È il recupero delle parti dissociate e la reinscrizione di nuovi significati nella sicurezza della
terapia che libera il paziente dalla sofferenza. Implica una forma di accettazione della propria
esistenza e del proprio passato che ha luogo non solo a livello cognitivo (un sapere della mente)
ma reca con sé la reiscrizione di una traccia emozionale che rimodifica l’integrazione del sistema
mente-corpo-cervello, a cominciare dall'abolizione dei sintomi e dal mancato trasferimento
intergenerazionale delle parti traumatiche dissociate.
PERCHÉ FREUD HA RIMOSSO LA DISSOCIAZIONE?
Nel saggio Sulla metapsicologia, nella prefazione del capitolo “L'inconscio” Freud afferma che
"Tutto ciò che è rimosso è destinato a restare inconscio; tuttavia è nostra intenzione chiarire fin
dall'inizio che il rimosso non esaurisce tutta intera la sfera dell’inconscio. L’inconscio ha
un’estensione più ampia; il rimosso è una parte dell’inconscio”. (Freud, 1915, L’inconscio,
Premessa, p. 49, corsivo mio).
In questo brano, Freud sta chiaramente affermando che il rimosso è solo una parte
dell'inconscio, (appunto, ciò che ha subito repressione), e un’area più ampia deve essere definita
in-conscia, ovvero, non conscia, i cui effetti si avvertono nel comportamento e negli atteggiamenti
12
degli individui e che possono essere retroattivamente ricostruiti o, nei termini di Freud, “tradotti” e
riportati alla coscienza.
La modernità di questa affermazione è provata dalla distinzione che oggi possiamo operare
e verificare neuroscientificamente grazie alla distinzione dei due sistemi di memoria.
Sembrerebbe dunque che la memoria implicita a base emisfero destro possa render conto di
ciò che è in-conscio (cioè non consapevole) ma neanche rimosso, eppure influenza comportamenti e
atteggiamenti ( e immagini di sé) influenzando risposte automatiche e stati della mente, perfino in
modi assai distruttivi e non spiegabili o congruenti con il presente.
Solo nella memoria episodica, o autobiografica (esplicita), in cui un “Io” è stato modulato
grazie a strutture più mature, è possibile avere accesso a difese meno primitive o secondarie del
tipo rimozione. Come processi gestiti dall' emisfero sinistro, maneggiano contenuti acquisiti
consapevolmente (dopo i primi anni di vita); solo successivamente (come anche Freud sostiene) il
soggetto li sottrae alla coscienza e li reprime. Come processi elaborati dall'emisfero sinistro,
riguardano contenuti acuisiti successivamente, dopo il secondo o terzo anno di vita almeno, e sono
recuperabili in certe situazioni, rimanendo accessibili al linguaggio).
Tuttavia, Freud parla chiaramente di "scissione di coscienza" in Studi sull'isteria, ma non
nel senso di dissociazione, in quanto la causa del disturbo per lui rimane la rimozione. Vale la pena
di analizzare in dettaglio un brano del caso "Miss Lucy" da Studi sull'isteria:
Il momento veramente traumatico quindi è quello nel quale la contraddizione si impone all’Io e
l’Io stesso decreta il bando alla rappresentazione contraddicente. Con tale bando quella
rappresentazione non viene però annullata, ma soltanto sospinta nell’inconscio; quando questo
processo si produce per la prima volta, si forma con ciò un nucleo e centro di cristallizzazione
per la formazione di un gruppo psichico distinto dall’Io, attorno al quale si raccoglie
successivamente tutto ciò che avrebbe per presupposto l’accettazione della rappresentazione
contraddicente. La scissione della coscienza in tali casi di isteria è quindi voluta, intenzionale,
13
o per lo meno promossa per lo più da un atto volontaristico. Di fatto accade una cosa diversa da
quella che l’individuo si propone; egli vorrebbe eliminare una rappresnetazione come se non si
fosse mai prodotta, ma riesce soltanto a isolarla psichicamente. (Breuer e Freud, 1892-1895, p.
278, corsivo mio).
Qui Freud chiaramente descrive la scissione della coscienza come collegata a un atto di volontà per
cancellare la realtà dell'evento sgradevole (atto che lui chiama "rimozione"). Come può la scissione
di coscienza essere “intenzionale”, e dipendere da un "atto volontaristico"?
Sembrerebbe che la strada che Freud ha preso verso la rimozione, privilegiandola sulla
dissociazione, che tuttavia per altri versi riconosce in Studi sull'isteria, sia profondamente
dipendente dal suo diniego o disconoscimento degli effetti della realtà traumatica derivanti
dall'abuso, ovvero, che sia connesso al suo rinnegare i "neurotica" di queste pazienti, le loro storie
di abuso (Mucci, 2009). Questa e' la via per cui Freud ha scelto di provilegiare la rimozione a
scapito della disoociazione, abbracciando la teoria della base fantasmatica, non reale, del trauma e
dell'incesto. La storia di abuso delle isteriche non è dissimile dalla storia di abuso che spesso le
pazienti borderline riferiscono.
Quindi il corpo "accusa il colpo", come dice van der Kolk, (2015), attraverso la memoria
implicita, testimone di una storia (non simboleggiata) che la dissociazione ha reso a lungo
inconfessabile anche al proprio sé e che ha bisogno di un altro, un testimone, per essere recuperata,
sentita, accolta, ed espressa.
Con il ripudio della teoria traumatica nel 1897, Freud radicalizzava una visione che ha
messo al centro della teoria e della pratica clinica psicoanalitica la pulsione, la fantasia, la realtà
intrapsichica, lasciandosi alle spalle un'altra via, quella della dissociazione come risposta
neurobiologica a un incontro sovrastante tra un soggetto troppo fragile e un adulto incapace di
cura. Questo rifiuto di un trauma precoce sovrastante spiega anche perché Freud abbia avuto
14
bisogno della teoria del nachträglichkeit, dell'apres coup, in termini lacaniani, per dire che il colpo
traumatico originario inferto a un essere inerte è diventato traumatico in seconda battuta, e causa
quindi patologia " a posteriori".
LA TEORIA DEL TRAUMA NEL VENTESIMO SECOLO IN CONTRASTO CON FREUD
Per Freud, la rimozione e' alla base della patologia nell’isteria e nella psiconeurosi, mentre non
prende in considerazione le risposte dissociative come conseguenza traumatica, come invece ofgi
siamo pronti a riconoscere.
MA gia' due contemporanei di Freud, lo psicologo francese Pierre Janet (1859–1947) e lo
psicoanalista ungherese Sandor Ferenczi (1873–1933), entrambi rimasti pressoché sconosciuti fino
a pochi anni, avevano studiato ed evidenziato in quegli stessi anni nella clinica un meccanismo di
tipo dissociativo di chiara origine traumatica interpersonale.
La teorizzazione di Janet sulla dissociazione come disaggregazione della psiche, risultante
da eventi stressanti, insostenibili per la psiche, e la teorizzazione di Sandor Ferenczi sulla
frammentazione della psiche a seguito di trauma e abuso chiaramente si riferiscono e descrivono un
aspetto più primitivo, dissociativo della psiche, come conseguenza traumatica relazionale.
Janet suggeriva che alla base dell’isteria patologica vi fosse una désagrégation
psychologique che era il contrario di quella funzione superiore e integrata in cui consistevano i più
alti livelli di coscienza (Janet, 1889). Per Janet, un trauma legato all'ambiente, non necessariamente
un trauma sessuale, conduceva all’arresto dello sviluppo cognitivo e affettivo del soggetto e causava
il “restringimento del campo di coscienza” tipico dell'effetto traumatico (Lingiardi & Mucci, 2014,
p. 43). Vari studi condotti da Janet sottolineavano la rilevanza delle condizioni ambientali, o delle
relazioni primarie, come le chiameremmo oggi. Come ha autorevolmente sottolineato Giovanni
Liotti in una recente riconsiderazione della critica di Janet, "l'idea di Janet …diverge chiaramente da
15
quella di Freud, che la patologia dipenda da una attiva difesa dell'io volta a escludere dalla
coscienza emozioni e rappresentazioni perturbanti" (Liotti, 2014a, p. 32).
Anche per Ferenczi, in forte conflitto con Freud, la dissociazione, o la frammentazione, era
indicata come reazione patologica all’estrema traumatizzazione (1988, 1974) di origine
interpersonale, per lo più l'abuso.
Come scrive Ferenczi in un famoso passo del Diario clinico (1988), al 21 Febbraio, sulla
“frammentazione” :
un bambino subisce un’aggressione e viene sopraffatto; conseguenza: “rende l’anima” con la
totale convinzione che questo abbandono di sé (svenimento) significhi la morte. Ma proprio il
rilassamento totale che si instaura con l’abbandono di sé può creare condizioni più favorevoli al
sorgere della capacità di sopportazione della violenza. In una persona svenuta che non si oppone
alla violenza gli organi, i tessuti, diventano più elastici e le ossa si piegano in misura maggiore,
senza arrivare alla rottura, di quanto non avvenga in una persona in stato di veglia… Colui che
ha “reso l’anima” sopravvive dunque fisicamente alla “morte” e comincia a rivivere con una
parte della sua energia; avviene persino il ristabilimento dell’unità con la personalità
pretraumatica, anche se accompagnato per lo più da perdita di memoria e da amnesia retrograda
di durata variabile. Ma, per l’appunto, questo frammento amnestico è in realtà un pezzo della
persona che continua a essere “morta” o a trovarsi nell’agonia dell’angoscia. (Ferenczi, 1988,
pp. 94-95.)
La straordinaria accuratezza di questa descrizione della reazione traumatica dissociativa che arriva
allo svenimento, (freezing, dissociazione del sistema parasimpatico), è stata confermata dalle
ricerche neurofisiologiche (Porges, 2011) come risposta polivagale che conduce a perdita di sensi e
anestesia (compatibile con quel restringimento dell’esperienza conscia descritta da Janet). Più che
una difesa, e sicuramente non intenzionale, come intendeva Freud col suo concetto di rimozione,
16
addirittura "un atto di volontà", la neurofisiologia del trauma descrive un collasso di risorse mentali
e fisiche come risposta a un’esperienza esterna/estrema che sovrasta la difesa intrapsichica.
In un altro brano assai rivelatore del suo Diario Clinico (“Bendaggio clinico,” March 25,
1932), Ferenczi descrive come un’esperienza estrema lasci una traccia permanente e resulti in una
scissione di personalità e alla fine in un cambiamento della vita:
a partire dal momento in cui, ammaestrati da un’esperienza amara, si è perduta la fiducia nella
benevolenza dell’ambiente, si produce una persistente scissione della personalità, la cui parte
scissa si erge a sentinella contro i pericoli, in special modo quelli riguardanti la superficie (pelle
e organi di senso), e l’attenzione di quella sentinella è quasi esclusivamente rivolta verso
l’esterno. Essa si preoccupa soltanto dei pericoli, vale a dire degli oggetti dell’ambiente che
possono diventare tutti pericolosi. E da ciò si origina la scissione di quel mondo, che prima dava
l’impressione di unità, in un sistema psichico soggettivo e in uno oggettivo, […]. Il vero trauma
dei bambini è vissuto nelle situazioni in cui non ci si preoccupa di porre immediato riparo al
danno, e in cui pertanto s’impone un adattamento, cioè un cambiamento del proprio
comportamento, primo passo per stabilire la differenza tra mondo interno e mondo esterno, tra
soggetto e oggetto. D’ora in avanti né l’esperienza soggettiva né quella oggettiva da sole
costituiscono più una completa unità emotiva […] (Ferenczi, 1988, pp.132-133 ).
Come conseguenza del trauma (che qui implica maltrattamento, abuso, incesto, cioè quello che io
chiamo secondo livello traumatico), il bambino adatta il proprio comportamento all'ambiente, e in
questo modo ha luogo una distorsione cognitiva permanente nella personalità, in cui “ben presto
comincia anche a dubitare dell’attendibilità dei propri sensi oppure– cosa più frequente, si sottrae
all’intera situazione conflittuale rifugiandosi in sogni a occhi aperti e assolvendo d’ora in poi come
un automa i compiti della vita di veglia[...]. Il bambino precocemente sedotto si adatta al suo
17
difficile compito ricorrendo alla completa identificazione con l’aggressore” (Ferenczi, 1988, p.
290).
Per Ferenczi, il trauma reca anche le tracce di un’esperienza interpersonale sopraffacente che è stata
internalizzata, resa intrapsichica, mentre funziona all'esterno indirizzando il comportamento. Ciò
che Ferenczi sottolinea nella sua teoria del trauma e nelle sue indicazioni per il trattamento è che il
bambino abusato molto probabilmente internalizzerà l' aggressività e il senso di colpa dissociato
del persecutore, elementi che inscriveranno nel soggetto un modello vittima–persecutore a livello
di memoria implicita, quindi come comportamento e affetti inconsci.
Leggo la diade vittima-persecutore descritta da Ferenczi come le diadi internalizzate degli
introietti degli affetti negativi del persecutore, colpa e vergogna da un lato e aggressività e rabbia
dall'altro, che costituiscono le parti scisse nei disturbi di personalità. In opposizione a qualsiasi
visione fantasmatica, queste diadi internalizzate sono derivati traumatici e sono ripetute nel paziente
borderline (se non è intervenuta alcuna riparazione affettivo-relazionale).
Nel privilegiare la teoria del trauma fantasmatico rispetto a una reale traumatizzazione e
nell'aver privilegiato la teoria della rimozione sulla dissociazione, Freud andava contro il suo
originale desiderio di dar voce alla verità del corpo e delle sue sofferenze, da cui tuttavia la
psicoanalisi aveva tratto origine.
Contrariamente all'idea da lui espressa che l'Io sia “innanzitutto un’entità corporea, non è
soltanto un’entità superficiale, ma anche la proiezione di una superficie,” (Freud, 1922, p. 488) e
che “i presunti processi concomitanti di natura somatica costituiscano il vero e proprio psichico, e in
ciò prescinde a tutta prima dalla qualità della coscienza" (Freud, 1938, p. 585), Freud finisce quasi
suo malgrado per rinforzare un disconoscimento culturale del corpo, ripetendo l'errore cartesiano
che pure voleva evitare nella visione delle pulsioni, come "creature mitiche a metà tra corpo e
mente". Sono d'accordo con Pat Ogden e gli autori di Trauma and the Body, quando iniziano il
18
volume con la considerazione che “il corpo, per un insieme di ragioni, è stato lasciato fuori dalla
“talking cure” (Ogden, Minton, & Pain, 2006, p. xxvii) e con Alessandra Lemma, che con Sotto la
pelle (2010) e con Minding in the Body (2014) ha riaperto il campo psicoanalitico a urgenti
considerazioni sul corpo.
Nel descrivere un sistema che privilegiava la modalità di risposta dell'io attraverso strategie
difensive, Freud privilegiava una modalità top-down che le moderne neuroscienze hanno sostituito
con un modello bottom-up, come si è visto: la risposta del soggetto va dal "bottom", dalla base
corporea, dal basso—dalla formazione reticolare e dalle informazioni che giungono ai sensi—alla
corteccia, il cui accesso in caso di traumatizzazione è in difficoltà (Liotti, 2014a; Porges, 2011).
Data la "rimozione" a cui sia Janet che Ferenczi sono stati soggetti fino a pochi anni fa, nella
teoria psicoanalitica del trauma abbiamo dovuto aspettare gli sviluppi di altre aree di ricerca
interdisciplinari, come l’ Infant research, gli studi dell'attaccamento, la psicologia dello sviluppo e
la psicopatologia, la neurobiologia interpersonale, gli studi sul trauma e la teoria della regolazione
per una più completa comprensione del dolore estremo nel soggetto umano.
DISSOCIAZIONE OPPOSTA A RIMOZIONE NEI DISTURBI DI PERSONALITÀ
Come Schore scriveva già da più di dieci anni fa, la rimozione è una difesa da emisfero destro più
avanzata dal punto di vista dello sviluppo contro affetti di ansietà che sono rappresentati a livello
corticale dell'emisfero destro, mentre la dissociazione che compare prima ed è più primitiva è una
difesa contro gli affetti traumatici come il terrore immagazzinati a livello sub-corticale nell'emisfero
destro (2003a).
È quindi alla dissociazione come modalità primitiva di origine traumatica che il trattamento
dei pazienti gravi deve rivolgersi (Putnam, 1997; Schore, 1994, 1997; van der Kolk, van der Hart, &
Marmar, 1996).
19
Il trattamento deve infatti adattarsi al livello di sviluppo del paziente, pertanto con patologie
gravi da emisfero destro e formate precocemente, la funzione primaria del clinico sarà quella di una
regolazione degli affetti per gli stati primitivi traumatici del paziente, inclusi quegli stati affettivi
che sono inizialmente inaccessibili perchè dissociati (Schore, 2003a, 2003b).
È per questo che si rende necessaria una terapia che possa raggiungere le parti dissociate del
paziente, attraverso enactment e comunicazioni non verbali, lavorando ai margini della
disregolazione affettiva, in una zona in-between, andando da emisfero destro (con attitudine
empatica e affettiva) a emisfero sinistro (più settoriale e basata sul linguaggio), per poi tornare alla
comprensione globale e affettiva (emisfero destro) dal basso all'alto (dal corpo alle aree superiori di
comprensione e rappresentazione della mente) e dall'altro al basso (reintegrando nel corpo, anche
grazie al respiro)6.
Pertanto la differenza tra rimozione e dissociazione apre un grande divario nell
apsicopatologia e nella individuazione della gisuta modalita' di trattamento. Patologie che hanno la
rimozione alla loro base sono tipiche della struttura nevrotica (e quindi vanno bene affrontate anche
sul famoso lettino) mentre patologie basate sulla dissociazione sono ovviamente di natura più grave
e di traumatizzazione più precoce, e sono di spettro borderline, nel senso indicato da Kernberg
(1975) dal concetto più ampio rispetto al DSM, di "organizzazione borderline", che include un
livello di gravità (caratterizzato da diffusione di identità, difese primarie massicce ed esame di
realtà conservato) che comprende vari tipi di personalità, dal grave isterico-istrionico, al borderline
"proper"7.
6 E' evidente, come spiega bene la teoria polivagale, come il respiro sia una tecnica involontaria e automatica di reintegro di parti emotive-affettive e cognitive non integrate e dissociate: come tutti i terapeuti sanno, a grosse rivelazioni finalmente arrivate alla mente-corpo-cervello corrispondono respiri particolarmente intensi e a volte sbadigli (questi ultimi, a me sembra, in particolare quando il sistema non è ancora del tutto pronto al reintegro). Sono pertanto un segnale non di disattivazione ma di attivazione, sia pure in un sistema complesso che fa fatica ea intergrare il nuovo.7 Si noti che in questo continuum non c'è il disturbo ossessivo di personalità, che pure il DSM include, né quello dipendente; mi sento di aderire a questa descrizione come fatta da Kernberg sulla base della mia osservazione clinica.
20
Nel suo fondamentale articolo del 1967 sui disturbi di personalità Kernberg riconosceva la
connessione tra corpo e disturbo di personalità e anche la presenza di sintomi dissociativi tra quelli
della patologia, includendo “sintomi di conversione multipli elaborati, o bizzarri, soprattutto se
sono cronici, o anche reazione monosintomatica di conversione di tipo grave che si estende per una
durata di parecchi anni; anche sintomi di conversione di tipo elaborato, confinanti con allucinazioni
corporee o che implicano complesse sensazioni o sequenze di qualità 'bizzarre'; oltre a reazioni
dissociative, e specialmente 'stati crepuscolari' isterici e di fuga, e amnesia accompagnata da
disturbi della coscienza” (Kernberg, 1967, p. 648). Per Kernberg i disturbi di personalità non sono
basati sulla rimozione ma sulla scissione, difesa ben più grave e primitiva.
Sulla base della sua lunga e complessa esperienza di lavoro sulla dissociazione con pazienti
traumatizzati, Philip Bromberg definisce accuratamente le due “difese” come segue:
La rimozione, come difesa, rappresenta una reazione all’angoscia: un affetto
negativo ma regolabile che segnala la possibile irruzione nella coscienza di contenuti
mentali capaci di generare un conflitto intrapsichico spiacevole ma sostenibile. La
dissociazione, come difesa, rappresenta una reazione a un trauma: un flusso caotico di
affetti non regolabili nella mente, che minaccia la stabilità del Sé e talvolta la stessa salute
mentale. Il conflitto intrapsichico viene vissuto come insostenibile, non solo spiacevole.
Perché insostenibile? Perchè la discrepanza non si verifica tra contenuti mentali
discordanti, ma fra aspetti del Sé alieni, fra stati del Sé talmente discrepanti da non poter
coesistere in un singolo stato di coscienza senza minacciare di destabilizzare la continuità
del Sé. (Bromberg, 2012, p. 49).
Bromberg (2011) inoltre sottolinea come nella dissociazione la connessione tra
comunicazione simbolica e non simbolica ( subsimbolica, per usare i termini di Bucci) sia stata
interrotta, il che risulta in una sconnessione tra sistemi del sé impliciti superiori di destra, corticali
(simbolici) e sistemi inferiori destri, subcorticali (subsimbolici). Nei termini di Schore:
21
Sul piano neurobiologico, la dissociazione riflette l’incapacità del sistema corticale-
sottocorticale destro del Sé implicito di riconoscere ed elaborare la percezione degli stimoli
esterni (le informazioni esterocettive provenienti dall’ambiente relazionale) e opera una loro
integrazione momento-per-momento con gli stimoli interni (informazioni enterocettive
provenienti dal corpo, dai marker somatici, l’ “esperienza percepita”). Questo fallimento
nell’integrazione tra emisfero destro di livello superiore e inferiore e la disconnessione del
sistema nervoso centrale dal sistema autonomo inducono un istantaneo collasso della
soggettività e dell’intersoggettività. Gli affetti stressanti, in special modo quelli associati a
dolore emotivo, non vengono quindi esperiti nella consapevolezza (gli stati “non-me” di
Bromberg).
(Schore, 2012a, in Bromberg, 2012, p. XXXII)
La peculiarità della dissociazione, infatti, è la disconnessione mente-corpo, come si vede
nella derealizzazione e depersonalizzazione, ed è principalmente una caratteristica dipendente
dall'emisfero destro, essendo questo l'emisfero dominante per un coerente senso del proprio corpo
(Schore, 2012; Tsakiris, Costantini, & Haggard, 2008) e tra l'altro per l'elaborazione del dolore
corporeo (Carrasquillo & Gereau, 2008; Geha et al., 2008; Schon et al., 2008; Symonds, Gordon,
Bixby, & Mande, 2006).
Come nota David Kalshed nello spiegare la dissociazione: “L'affetto nel corpo è separato
dalle immagini corrispondenti nella mente e perciò un significato insopportabilmente doloroso
viene obliterato” (2005, p. 174, trad. mia). E Schore aggiunge: "In questo modo la strategia di
dissociazione dell'emisfero destro rappresenta l'estrema difesa usataper bloccare il dolore
emozionale basato sul corpo” (2012, p. 160, trad. mia). Anche McGilchrist definisce la
dissociazione una “ipofunzione dell'emisfero destro” (2009, p. 224, trad mia).
22
In uno studio con risonanza magnetica funzionale su pazienti con PTSD, Ruth Lanius e
colleghi (2005) hanno trovato l'attivazione emisferica destra durante la dissociazione: i pazienti si
dissociavano per sfuggire alle emozioni. Questo è stato anche verificato dalle ricerche di Enriquez
and Bernabeu (2008) e di Spitzer e colleghi (2004).
MEMORIA IMPLICITA, ENACTMENT, RIPETIZIONE E DISSOCIAZIONE
Il ruolo centrale della memoria—o dovrei dire dell'amnesia—in pazienti con dissociazione e/o
PTSD e complex PTSD è stato spiegato da molti autori (Dorahy & Huntjens, 2007; Mucci, 2008;
van der Kolk et al., 1996). Ricorderei solo che l' amnesia come la dissociazione non si sviluppano
di solito in bambini a seguito di un trauma (o un PTSD) causato da cause naturali, come un
uragano o un terremoto; come Liotti (2004) ha sottolineato, si sviluppa quando è coinvolta una
relazione, per lo più con caregiver. In pazienti adulti, problemi nel ricordare sono dovuti anche al
fatto che le cellule dell'ippocampo sono danneggiate da eccesso di CRT (corticotropina) e da livelli
eccessivi nel cervello di adrenalina, noradrenalina, e dopamina, provocati da iperarousal, che
provocano come si è detto riduzione di volume (si veda anche Yehuda et al., 2008a). Secondo De
Bellis e colleghi (1999), è stata riscontrata degenerazione ippocampale in scimmie sottoposte a
prolungato stress sociale (Uno, Tarara, Else, Suleman, & Sapolsky, 1989). Volumi dell'ippocampo
ridotti e deficit nella funzionalità della memoria sono stati trovati in adulti con la sindrome di
Cushing (esposizione cronica a glucocorticoidi come il cortisolo, per cui si chiama anche
cortisolismo) (Starkman, Gebarski, Berent, & Schteingart, 1992), in veterani di guerra con PTSD
(Bremner et al., 1997 Gurvits et al., 1996), in adulti con PTSD derivato da abuso infantile (Bremner
et al., 1997), e in donne sopravvissute ad abusi sessuali infantili con o senza una diagnosi di PTSD
(Stein, Koverola, Hanna, Torchia, & McClarty, 1997). Il PTSD dunque a seguito di maltrattamento
infantile può essere considerato come un disturbo complesso dello sviluppo indotto dall'ambiente. Il
ciclo stesso della ritraumatizzazione può essere visto come indotto da ciò che è codificato dalla
memoria implicita; come scrive Scaer: “La memoria procedurale fornisce il collegamento
23
apparentemente indistruttibile che perpetua il ciclo neurale di trauma e dissociazione” (Scaer, 2001,
p. 76).
Quindi, il corpo "tiene il conto" della traumatizzazione attraverso la dissociazione corporea
e i buchi neri dell'amnesia, anch'essa una specie di paradossale "ricordo" attraverso il corpo. Questa
fondamentale disconnessione tra corpo e mente, cosicchè il corpo sa e a suo modo ricorda (a volte
anche attraverso paure apparentemente irrazionali che fanno evitare luoghi, situazioni o persone,
rifiuti di contatto fisico, e somatizzazioni) e la mente si oppone al sapere (per cui non ricorda
pienamente o non crede in quanto ricorda), costituisce la struttura traumatica di base del soggetto
borderline, come ad esempio vedremo nel capitolo 6. Ciò che Dorothy "sa" (che il padre sia cattivo
e che le ha fatto del male) ritorna in stati dissociati di consapevolezza, nella forma inquietante del
diavolo in seduta.
STRUTTURA DISSOCIATIVA NEL DISTURBO DI PERSONALITÀ E
IDENTIFICAZIONE CON L'AGGRESSORE
La scissione tra oggetto interno buono e oggetto interno cattivo—di solito letta attraverso le lenti
del mondo infantile intrapsichico della Klein che vede il bambino come pieno di aggressività,
persecutorietà e affetti scissi—continua a essere considerata come fondamentale nel trattamento
psicoanalitico psicoterapeutico dei pazienti con disturbo di personalità borderline (si veda Clarkin,
Yeomans, & Kernberg, 1999 e successive edizioni). La scissione va vista come la struttura di base
per spiegare la diffusione di identità e l'uso di difese primitive—i due elementi, che per Kernberg.
insieme all'esame di realtà conservato, portano alla diagnosi di "organizzazione di personalita'
borderline". Tuttavia alla luce di una teoria del trauma reale dell'accudimento (secondo Bowlby,
secondo Main e Hesse) come opposto al trauma fantasmatico (Freud), e sulla base di una struttura
dissociativa (Ferenczi, Janet) come opposta alla rimozione (Freud), e soprattutto della dinamica di
24
identificazione con l' aggressore (Ferenczi) al posto della teoria innata dell' aggressività e della
pulsione di morte come istinto, (Freud, 1920), il concetto stesso di oggetto interno cattivo deve
essere riconsiderato.
Mi sembra che l'introiezione dell'oggetto cattivo invece che di origine innata e intrapsichica
come in Klein e Kernberg possa essere meglio spiegato come introiezione dell'aggressore come in
Ferenczi (1932a, 1932b; Mucci, 2013). Quella che si considera una vulnerabilità di base che
conduce a una risposta neurobiologicamente eccessiva verso l'ambiente trova la sua causa
nell'ambiente abusante. Liotti (2014a) giustamente sostiene che si potrebbe obiettare che mentre per
Kernberg la scissione è un meccanismo di difesa , il MOI (Modello Operativo Interno) legato alla
disorganizzazione nell'attaccamento deve la sua molteplicità dissociata di rappresentazioni a
dinamiche cognitive (la traduzione di elementi di memoria implicita in memoria dichiarativa)
basate su una relazione reale (che distorce la realtà e la scinde).
Mentre la scissione sembra essere un meccanismo cognitivo al lavoro in tutti i disturbi di
personalità, risultante nella tendenza a scindere gli aspetti interni in parti affettivamente e
cognitivamente opposte, dominanti una per volta (Kernberg, 1975, 1989), la dissociazione va intesa
non come la tendenza a frammentare e a dividere cognitivamente e affettivamente ma come una
componente strutturale di base dentro un sé disorganizzato, creatasi in risposta a trauma e abuso,
frutto di una specifica risposta vagale e di stati corporei neurobiologici, legati all'emisfero destro.
Schore propone che in alcune personalità la dissociazione sia esperita soprattutto come stato
corporeo.
STATI CORPOREI DISSOCIATI E EMISFERO DESTRO
Seguendo Schore, uso qui la dissociazione nel senso di “stati corporei”, e questo spiega come
dissociazione e scissione non siano solo due diverse difese: la prima è di base traumatica e
corporea, la seconda è cognitiva e meno primitiva, implicante una divisione che scinde l'oggetto
(quindi c'è in parte formazione oggettuale) in parti negative e positive. La scissione è legata alla
25
fase schizoparanoide di sviluppo secondo Klein, non è associabile a conseguenze del Sistema
Nervoso Centrale e al sistema di risposta simpatico–parasimpatico.
Come Devinsky (2000) e Lou e colleghi hanno notato (2004), l'emisfero destro gioca un ruolo
ontogenico nel mantenere un senso coerente, continuo e unificato del sé “identificando un’immagine
corporea del sé." Un ruolo importante è svolto dalla regione parietale laterale destra nella
rappresentazione del Sé fisico. Secondo Spitzer e colleghi (2004), i sintomi dissociativi della
depersonalizzazione riflettono una mancanza di integrazione dell'emisfero destro; "l'esperienza di
dissociazione del sé dal corpo è un risultato del fallimento dell’integrazione delle funzioni complesse
somatosensoriali e vestibolari" (Blanke, Ortigue, Landis, & Seeck, 2002, p. 269) e di quella coerenza
del senso di sé basato sull'emisfero destro (Tsakiris et al., 2008).
PAZIENTI DISSOCIATIVI E ZONE DI SOVRAPPOSIZIONE CON I DISTURBI DI
PERSONALITÀ
Molti studi mostrano che i bambini maltrattati diagnosticati con PTSD mostrano anormalità
metaboliche limbiche lateralizzate a destra (De Bellis et al., 2002) e adulti gravemente abusati
nell'infanzia (Raine et al., 2001) e con diagnosi di PTSD (Galletly et al., 2001) mostrano ridotta
attivazione emisferica destra durante un compito di memoria di lavoro. Pertanto, come Schore
(1997) e van der Kolk (2014) sostengono, i sintomi del PTSD riflettono un danneggiamento del
funzionamento dell'emisfero destro e pertanto del “nucleo affettivo” (Emde, 1985) del sé. In uno
studio su pazienti con PTSD (in opposizione a pazienti traumatizzati senza PTSD) che
sperimentano memorie traumatiche con aumento del battito cardiaco, Lanius e colleghi (2004)
hanno osservato attivazione dell'emisfero destro e in particolare delle strutture prefrontali e
limbiche nelle risposte dissociative. In un altro studio, Spitzer e colleghi (2004) concludono che in
individui proni alla dissociazione, un trauma che è percepito ed elaborato dall'emisfero destro
porterà a una rottura delle normali funzioni integrate della consapevolezza.
26
Secondo Liotti, assistere a un evento potenzialmente traumatico attiva il sistema
motivazionale di attaccamento (Liotti, 1999a, 1999b). L'esperienza del dolore fisico e psichico
insieme alla percezione della propria vulnerabilità fa sì che l'individuo automaticamente cerchi
conforto e aiuto, e questo accade entro il contesto del proprio sistema di attaccamento. In questo
caso, se il sistema attivato è disorganizzato, molto probabilmente si attiverà una risposta dissociata.
Liotti notifica che in queste circostanze si aggiunge anche una rappresentazione scissa di se e altro,
derivante dall'attaccamento disorganizzato. Per questo motivo, la disorganizzazione dell'
attaccamento è un fattore di rischio per il PTSD e/o per il disturbo di personalità in futuro se non
viene attivata una adeguata riparazione (Adams et al., 1995; Liotti, 1999a, 1999b). Quindi, cattivo
accudimento infantile e abuso diventano fattori di vulnerabilità che, in presenza di significativi
stress emotivi, diventano un fattore di mediazione verso la dissociazione e verso quei disturbi che
possono avere la dissociazione alla loro base, ovvero i disturbi dissociativi e un'alta percentuale di
disturbi di personalità. Tuttavia, PTSD e disturbi di personalità non vanno confusi: un disturbo di
personalità infatti si sviluppa solo in una relazione abusante continuata nel tempo, mentre il PTSD
può essere causato anche da fattori non relazionali (come un terremoto o un incidente). La
confusione deriva dalla sovrapposizione di alcuni sintomi, come ansia, esplosioni di rabbia,
aggressività, insonnia e disregolazione dell'umore, con o senza depressione. Per relazioni abusanti a
lungo termine si dovrebbe usare la categoria diagnostica del complex PTSD.
Grazie al contributo della ricerca di Lanius e colleghi del 2012, un nuovo sottotipo
dissociativo del PTSD è stato incluso nel DSM-5, con tutti i sintomi del PTSD più la
depersonalizzazione e la derealizzazione. La risonanza magnetica funzionale ha mostrato che un
sottogruppo di pazienti con PTSD rispondeva a immagini traumatiche con iperattività della
corteccia frontale e inibizione limbica, (un segno della dissociazione), in contrasto con ciò che ci si
sarebbe aspettato da sintomi da iperarousal; in altri termini, si evidenziano iperfrontalità e
attivazione limbica con attività difensiva attacco o fuga del sistema nervoso simpatico (aumento
del battito cardiaco, la conduttanza cutanea, e la pressione sanguigna) (Pole, 2007; Porges, 2011). In
27
aggiunta all’usuale amnesia, ai flashback e all'ottundimento, questo sottogruppo presentava anche la
tipica disconnessione parasimpatica che abbiamo sottolineato come tipica risposta vagale
all'estremo stress e all' abuso. Il gruppo che presenta sia sintomi di PTSD che sintomi dissociativi
(depersonalizzazione o derealizzazione) presenta storie di trauma e abuso più prolungato o grave e
mostra maggiori tendenze suicidarie (Stein, et al., 2013). Questi pazienti rispondono alle
sollecitazioni traumatiche con risposte passive difensive di sottomissione, accompagnate da
ottundimento del sistema autonomo e analgesia (in accordo con la risposta che Nijenhuis chiama
dissociazione somatoforme e che Porges ha spiegato attraverso la risposta polivagale).
La relazione tra PTSD e il futuro sviluppo di un disturbo di personalità non è stato chiarito8.
Sembra importante tuttavia ricordare che il PTSD è una reazione a un singolo episodio o una serie
di eventi traumatici sia naturali che originati dall'essere umano, mentre perché vi sia disturbo di
personalità occorrono traumi cumulativi o protratti nel tempo, provocati da mano umana (cosa che
fino ad ora ha riconosciuto solo il PDM-2). Attualmente la ricerca non ha mostrato un legame
diretto tra traumatizzazione da mano umana (anche del tipo complex PTSD o trauma cumulativo) e
lo sviluppo conseguente di patologie dissociative e disturbi di personalità. Sarebbe comunque
difficile immaginare una singola ricerca che prenda in esame tutti i fattori relazionali ed esistenziali
protratti nel tempo che sarebbero necessari per mostrare le conseguenze del trauma relazionale di
primo e secondo livello.
ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO COME PRECONDIZIONE PER UN DISTURBO
DI PERSONALITÀ E PSICOPATOLOGIA DISSOCIATIVA
Secondo Hesse and Main (1999), la disorganizzazione dell'attaccamento (tipo D) associato con
abuso e neglect assomiglia fenotipicamente agli stati dissociativi. Questo potrebbe essere
8 Per noi, abbiamo già detto che la confusione nell'usare il concetto di PTSD consiste nel fatto che il PTSD come è oggi configurato dal DSM 5 e precedenti, non comprende il complex PTSD.
28
interpretato seguendo la spiegazione di Schore sulla trasmissione neurobiologica
intergenerazionale: durante la comunicazione tra gli emisferi destro della madre (o del caregiver) e
del bambino nell'infanzia, il trauma può essere trasmesso anche in assenza di abuso da un caregiver
traumatizzato. Come scrive Schore,
Durante episodi di attaccamento connessi alla trasmissione intergenerazionale del trauma, il
bambino si associa alle strutture ritmiche degli stati disregolati della madre. Questa
sincronizzazione viene registrata nei pattern di scarica delle regioni corticolimbiche
dell’emisfero destro sensibili allo stress, che è dominante nel caso di risposte umane allo
stress e di sopravvivenza (Wittling, 1997; Wittling, Schweiger, 1993 ). Si tratta di strutture
emisferiche destre che si trovano in un periodo di crescita critico durante le prime fasi dello
sviluppo umano. (Allman, Watson, Tetreault, & Hakeem, 2005; Bogolepova & Malofeeva,
2001; Chiron et al., 1997; Schore, 1994)
(Schore, 2012a, in Bromberg 2012, p. xviii)).
L' eziopatogenesi traumatica multidimensionale dei disturbi di personalità non è facile da
definire, e su questo punto molti autori divergono. Tuttavia, un nutrito corpo di ricerca sembra
provare che l'attaccamento disorganizzato in presenza di fattori di vulnerabilità e in mancanza di
elementi riparatori predisponga all’instabilità e alla disregolazione che caratterizza i disturbi
borderline (Barone, 2003; Byun et al., 2016; Fonagy et al., 1996; Liotti, 2014; Liotti & Farina,
2011; Lyons-Ruth, 2003; Patrick, Hobson, Castle, Howard, & Maughan, 1994; Schore, 2012).
Ianarini, Paris, e Gabbard, che hanno una grande esperienza clinica con i disturbi di
personalità, confermano l'alta percentuale di abuso (soprattutto abuso sessuale) in pazienti che sono
stati diagnosticati come borderline. Kernberg allo stesso modo riconosceva “la prevalenza
dell'abuso fisico e sessuale nella storia di pazienti con disturbi gravi di personalità” (Clarkin,
29
Yeomans, & Kernberg, 1999, p. 245). Bessel van der Kolk e Pat Ogden identificano nella
disregolazione affettiva e nella dissociazione la causa principale della patologia.
Schore fornisce questa spiegazione del trauma relazionale infantile e della
disorganizzazione dell'attaccamento:
Cosa importante, a causa della maturazione più tarda del sistema nervoso parasimpatico e i
conseguenti avanzamenti cognitivi, i tentativi del bambino di far fronte difensivamente alla
madre che induce stress sono più complessi. Con la successiva maturazione del SNA, il
bambino può ora ricorrere a due stati psicobiologici distinti, non sovrapponentisi. Secondo
Kernberg (1975), una delle caratteristiche principali della condizione borderline è l’utilizzo di
difese di scissione che permettono la presenza simultanea di stati scissi o dissociati. Si ritiene
oggi che le condizioni precognitive per le difese dissociative vengano già stabilite nel bambino
nel periodo tra i 12 e i 18 mesi (Gergely, 1992). [La stessa fase del possibile sviluppo di un
disturbo di personalità in caso di trauma relazionale infantile.] La funzione di queste difese può
essre di evitare stimoli esterni che possono indurre stato di disregolazione di iperarousal o
ipoarousal. (Schore, 1994, p. 420, Trad mia per questa edizione).
La mancanza di regolazione affettiva, con dissociazione, identificazione proiettive, e difese
primitive, si accompagna all’impossibilità interna di un oggetto consolatorio a cui fare ritorno
quando il paziente è disregolato e sopraffatto dalle emozioni, a causa di cattive esperienze di
attaccamento o anche neglect, maltrattamento, e abuso protratti per un lungo periodo. Il cattivo
funzionamento delle strategie di autoregolazione non riescono ad evitare al paziente di passare da
iperattività a estrema ipoattività della corteccia orbitofrontale e dell'amigdala, cosicchè al vuoto
interiore si accompagna il caos e la costante agitazione. In questi pazienti si rileva un deficit delle
regioni parietale e frontali destre.
30
Va notato che l'emisfero destro è dominante non solo per la regolazione affettiva ma anche
per il mantenimento di un coerente senso del proprio corpo (Tsakiris et al., 2008), per l'attenzione
(Raz, 2004), e per processare il dolore (Symonds et al., 2006), cosicchè la strategia di dissociazione
da emisfero destro rappresenta l'estrema difesa per bloccare il dolore emotivo, basato sul corpo.
Riguardo alla connessione tra attaccamento disorganizzato e sviluppo di un disturbo di
personalità borderline, molti autori sottolineano come la personalità di un individuo sia il risultato
della continua interazione tra tratti ereditati geneticamente e l'esperienza intersoggettiva relazionale
con il proprio ambiente (Bouchard, 1994; Calkins & Fox, 2002; Kagan, 1997; Kendler & Eaves,
1986; Rothbart & Ahadi, 1994).
La disorganizzazione dell'attaccamento è stata identificata da Lyons-Ruth e Jacobvitz
(1999), da Gunderson (1996), e da Fonagy e colleghi (2003) come un modello di sviluppo deviante
che può costituire un fattore di rischio che identifica lo sviluppo futuro di un disturbo di personalità
borderline. Inoltre, l' attaccamento disorganizzato è stato visto come possibile base per lo sviluppo
di un disturbo dissociativo. In generale, i disturbi borderline di personalità, nella misura in cui
implicano un disturbo nella rappresentazione integrata e stabile di sé e altro, con disregolazione o
impulsività, possono essere considerati come un particolare disturbo dell'emisfero destro che
richiede una particolare terapia da emisfero destro.
Che ci siano o no alti livelli di dissociazione in tutti i disturbi di personalità (si veda la
review di Scalabrini, Cavicchioli, Fossati, & Maffei, 2017), la dissociazione rimane alla base della
scissione nella formazione del disturbo, sia a livello affettivo che cognitivo.
Anche se possono non essere state attivate risposte dissociative, nei disturbi di personalità la
traumatizzazione ha causato in modo permanente una scissione nell'organizzazione delle
rappresentazioni sé-altro. La scissione non è la dissociazione, ma implica la presenza di visioni
opposte dell'oggetto, sia interno che esterno, (cosa che costituisce, secondo Kernberg, il nucleo
della patologia e si esprime in seduta attraverso elementi diadici, opposti, che riattualizzano
31
contraddittori processi interni, sia a livello cognitivo che a livello affettivo, cosicchè nello stesso
momento livelli diversi del sé sono attivati/presenti).
ABUSO, CORPO E SINTOMI DISSOCIATIVI
Sull'abuso come fattore eziopatogenico per i disturbi borderline, Schore scrive in modo molto
convincente:
E’ oggi risaputo che abusi nella prima infanzia sono in grado di alterare la maturazione del
sistema limbico lateralizzato a destra, producendo alterazioni neurobiologiche che diventano il
substrato biologico di una varietà di conseguenze psichiatriche, inclusa instabilità affettiva,
inefficiente tolleranza allo stress, danneggiamento della memoria e disturbi dissociativi (Schore,
2002).
(Schore 2012a, pp. XXVIII-X-IX, Prefazione, in Bromberg 2012)
Herman, Perry, e van der Kolk nella loro ricerca del 1989 hanno verificato che i pazienti
borderline avevano subito traumi gravi, con violenza fisica e sessuale prima dei 6 anni; solo una
minoranza di pazienti non riferiva eventi traumatici, ma soffriva di grave amnesia. Dati simili
emergono dallo studio di Ogata e colleghi (1990) e di Zanarini e colleghi (1989). La dissociazione
peritraumatica viene vista come il maggiore predittore di PTSD (van der Kolk, van der Hart &
Mamar, 1996).
Coerentemente con quanto stiamo dicendo, van der Kolk ha osservato una forte
lateralizzazione dell’attività dell'emisfero destro quando vengono riattivate memorie traumatiche, in
aggiunta a notevole riduzione dell’attività dell' area di Broca nell'emisfero sinistro, l' area
notoriamente implicata nel linguaggio e nella verbalizzazione delle esperienze significative. La
possibilità di attribuire nuovi significati agli eventi traumatici ristruttura l'attività del cervello in
32
modo più equilibrato e disattiva la risposta eccessiva del sistema limbico, permettendo una
maggiore possibilità di consapevolezza corticale e verbalizzazione esplicita.
Lanius e colleghi (2005) hanno usato la risonanza magnetica funzionale per mostrare una
attivazione prevalentemente nell'emisfero destro in pazienti con PTSD mentre erano in stato
dissociativo: i pazienti dissociavano per sfuggire a emozioni sopraffacenti per cui non avevano
parole per esprimerle.
A mio parere, in aggiunta alle vie dissociative create neurobiologicamente dal trauma
relazionale infantile (mancanza di attunement, mancanza di mirroring), le dinamiche psichiche
dissociative e i sintomi corporei sono la riattivazione nel presente di una vecchia diade vittima–
persecutore inscritta nel sistema mente-corpo-cervello a causa di effettiva violenza o perfino abuso
sessuale e incesto.
RUSSEL MEARES E IL MODELLO DISSOCIATIVO DEI DISTURBI BORDERLINE DI
PERSONALITÀ
L'autore che forse ha contribuito piu' autorevolmente a sostenere la teoria della base dissociativa dei
disturbi borderline di personalità è Russel Meares, il quale ritiene che la dissociazione come la
frammentazione entro il sé sia un sintomo caratteristico dei disturbi borderline, attribuibile alla loro
origine traumatica ed espressivo della dimensione delle sofferenze e difficoltà esistenziali del
paziente borderline. È probabile che sistemi multipli di memorie traumatiche esistano in risposta a
differenti caregivers o in differenti momenti di sviluppo, come accade ad esempio nelle diadi
controllanti/intrusive, abbandonanti/non responsive, spaventanti/spaventate e così via, tutte
corrispondenti a forme di attaccamento disorganizzato (Meares, 2012). Per Meares, il disturbo di
personalità è un disturbo del sé basato su una dolorosa incoerenza (Wilkinson-Ryan & Westen, 2000)
e mostra frammentazione della mente–corpo–sé, o oggetto sé secondo, Kohut (1971)—una
33
frammentazione che spiego a livello evolutivo con il modello neurobiologico di Schore e con
l'internalizzazione delle dinamiche distruttive della diade vittima–persecutore seguendo Ferenczi.
Questo mi sembra in accordo con il fatto che i sistemi motivazionali di Panksepp sono
interconnessi secondo un sistema neurologico, fisiologico, relazionale e sociale che collega il sé
corporeo all'ambiente perché vi sia l' adattamento alla sopravvivenza e all'ambiente. La diade
internalizzata vittima–persecutore agisce come un sistema motivazionale di sopravvivenza per i
soggetti borderline.
Come sistema relazionale implicito, la dinamica relazionale vittima–persecutore rimane il
modello di regolazione funzionante durante l'intero arco di vita in questi pazienti (perfino in altre
relazioni amorose e di attaccamento), a meno che la terapia non intervenga a modificare e
ripristinare il modello di regolazione. La terapia può aiutare questi individui a praticare e ad arrivare
ad accettare nuovi modelli di differenziazione e integrazione di rappresentazioni e diadi sè–altro
all'interno di una cornice interpersonale sicura.
Concordo con Karlen Lyons-Ruth e i colleghi del Boston Change Process Study Group che
nella terapia rappresentazioni implicite messe in atto nello scenario reale del setting attraverso
forme di “ rappresentazioni attualizzate in relazione" debbano re-iscrivere una nuova traiettoria
implicita ed esplicita per il paziente. Ciò è possibile solo con un terapeuta che sia impegnato ad
agire nella seduta come un testimone attivo, presente anche a livello implicito-corporeo (attraverso
tutto il lavoro che il terapeuta stesso compie con il suo sistema mente-corpo-cervello, anche grazie
alle sue esperienze personali e di training), in accordo con quell'impegno intersoggettivo che
Ferenczi propone per un terapeuta che sia totalmente impegnato e presente, "benevolo e
soccorrevole"(come spiegherò nel capitolo successivo).
COME LAVORARE CON LE MEMORIE TRAUMATICHE IMPLICITE IN
PSICOTERAPIA
La psicoterapia funzionerà sulla base delle iscrizioni implicite, corporee, le tracce di
rappresentazioni internalizzate di relazioni passate a cominciare dalle tracce sedimentate
34
dall'attaccamento. Come conferma Siegel, quando tracce di memorie implicite vengono recuperate,
i profili della rete neurale che vengono riattivate implicano circuiti del cervello che sono parte
fondamentale della nostra esperienza di vita quotidiana: i comportamenti, le emozioni, e le
immagini codificate in modelli operazionali della mente sono presenti nel qui ed ora della seduta.
Patterns distruttivi sono ripetuti e messi in atto in momenti di scambio reciproco in cui entrambi i
partecipanti del dialogo (in senso anche implicito) mettono in atto un modello implicito di emisfero
destro che è stato interiorizzato, ma oltre a questo il terapeuta può far uso di strategie linguistiche-
settoriali da emisfero sinistro che implicano linguaggio e interpretazione, in tutt'e due le direzioni,
avanti e indietro, da destra a sinistra, e poi a destra nuovamente (essendo comunque la coloritura
emotiva non verbale diretta dal funzionamento dell'emisfero destro).
Soprattutto i pazienti gravi, come quelli borderline, con la loro massa di emozioni
disregolate e il loro uso delle difese primitive massive, metteranno in atto una corrente di affetti
instabile e violenti che sono per lo più inconsci nel senso che non possono essere controllati a
livello corticale ed equilibrati. Qualsiasi occasione nei limiti del setting terapeutico ravvivera' e
riattivera' (dato anche il fenomeno di rekindling tipico del loro funzionamento) lo sturm und drang
emotivo a cui sono soggetti: una continua tempesta di acting out (fuori dalla seduta) e di enactment
(dentro la seduta) da una parte permetteranno la ripetizione di ciò che non è stato dominato e
compreso consapevolmente e d'altra parte saranno l'oggetto dell’esplorazione e del continuo
processo dialogico mentale e corporeo dell'incontro terapeutico. È il processo che guida il
contenuto; è per questo che il contenuto da solo e l'interpretazione da sola non possono influenzare
il processo. In aggiunta, il linguaggio inteso come un processo relazionale in cui l'"abreazione" (in
senso freudiano, la mera purificazione degli affetti, come Freud scriveva a proposito della terapia
con le isteriche, "non è abbastanza," come Ferenczi sosteneva già nel 1932: quello che serve,
diremmo oggi, è un reale cambiamento della reiscrizione delle rappresentazioni implicite
interiorizzate.
35
36