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DIOCESI DI PATTI Centro Diocesano Vocazioni Con tutto il cuore ti cerco Sal 119,10 1

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DIOCESI DI PATTICentro Diocesano Vocazioni

Con tuttoil cuore ti cerco

Sal 119,10

Riflessioni sul Vangelo del giorno per il Tempo Ordinario (Anno A) Settimane XXIII - XXXIV

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Il volumetto è stato curato da don Dino Lanza ([email protected]) e dall’equipe del CENTRO DIOCESANO VOCAZIONI.

I testi delle riflessioni, sono stati preparati da:dom Mariano Pappalardo, monaco benedettino originario di Pettineo

© 2020 - Centro Diocesano VocazioniSeminario Vescovile di Patti

Piazza Cattedrale - 98066 Patti (ME)Tel. 0941.21047

[email protected]

Per chi desidera inviare una offertaCCP 11119989 – OVS

IBAN IT90 D076 0116 5000 0001 1119 989

È possibile scaricare i file Word e PDF dal sito www.qumran2.netinserendo il titolo del sussidio

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SALMO 119

Bet9  Come potrà un giovane tenere pura la sua via?

Custodendo le tue parole.10 Con tutto il cuore ti cerco:

non farmi deviare dai tuoi precetti.11 Conservo nel cuore le tue parole

per non offenderti con il peccato.12 Benedetto sei tu, Signore;

mostrami il tuo volere.13 Con le mie labbra ho enumerato

tutti i giudizi della tua bocca.14 Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia

più che in ogni altro bene.15 Voglio meditare i tuoi comandamenti,

considerare le tue vie.16 Nella tua volontà è la mia gioia;

mai dimenticherò la tua parola.

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Presentazione del Vescovo

Con gioia presento alla Comunità diocesana il Fascicolo di meditazione sul Vangelo, dal titolo «Con tutto il cuore ti cerco», che ascolteremo nel Tempo liturgico Ordinario fino alla Solennità di Cristo Re e Signore dell’Universo.

Il tema scelto riporta la frase del Salmo 119 il più lungo del Salterio ed esprime, attraverso la fede, la lode alla Parola di Dio fonte di vita piena per chi l’accoglie. L’ascolto di Dio suscitato dal cuore orante permette all’uomo di vivere nella propria esistenza l’incontro tra due libertà: quella del dono della parola divina e quella dell’adesione del cuore ad essa perché l’ascolto diventi ricerca di Dio e orienti il cammino dell’esistenza sulla strada da Lui tracciata. Chi cerca Dio con il cuore Lo ascolta, non devìa dai suoi precetti e sperimenta la gioia di chi cammina nell’insegnamento del Signore.

Mentre avanziamo Dio ci viene incontro attraverso il volto umano di Gesù nel quale si rivela il Suo infinito amore. Egli guarda l’uomo amandolo e, al tempo stesso, lo ama guardandolo attraverso il volto umanissimo di Gesù che si rivela anche nel volto dei fratelli.

Auguro a quanti mediteranno con la lettura delle pagine che seguono, di cercare sempre il volto luminoso del Signore con lo sguardo del cuore perché possano riconoscere nei fratelli quel volto che cercano e desiderano trovare.

Vi benedico di cuore.

Patti, 5 luglio 2020.

+ Guglielmo, Vescovo

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Tempo Ordinario(Anno A – pari)

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XXIII Settimanadel Tempo Ordinario

Domenica, 6 Settembre 2020San Zaccaria, profeta

Liturgia della ParolaEz 33,7-9; Sal 94; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

…È MEDITATANon lasciare mai nulla di intentato per salvare una relazione. L’uomo è relazione. La relazione è la sua più profonda identità, è l’immagine divina impressa in lui. È un dono, è un impegno, è una sfida. Vivere da fratelli non è semplice. Anche nella Bibbia il rapporto tra fratelli è spesso problematico (Caino e Abele; Esaù e Giacobbe; Giuseppe e i suoi fratelli … ); ciò nonostante, l’avvento del regno si gioca in gran parte in una rinnovata vita fraterna che diventa epifania della propria comunione con Dio, della propria adesione a Cristo Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Gesù non è

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tanto l’oggetto dell’amore, quanto piuttosto la modalità dell’amore, la sua misura: fino alla morte e alla morte di croce. L’appartenenza alla sequela era riconosciuta nella Chiesa primitiva dalla genuinità dell’amore fraterno. Dicevano i pagani nei confronti dei cristiani: “Guardate come si vogliono bene”. Eppure anche tra i credenti, Gesù ne è consapevole, possono nascere screzi, incomprensioni, malintesi, litigi. Come fare allora? La relazione fraterna è così importante che non bisogna lasciare nulla di intentato affinché non si deteriori. Anzitutto non rinunciare mai al dialogo, non chiudersi nel mutismo offeso e risentito: “Va’ e ammoniscilo tra te e lui solo”. Se non funziona, non arrenderti, chiedi l’aiuto di altri fratelli e se non bastasse rivolgiti alla comunità perché non si accorda col Vangelo il mortificare i rapporti fraterni per nessuna ragione al mondo. Se tutto ciò ancora non bastasse, allora il fratello sia per te “come il pagano e il pubblicano”, cioè, secondo il comportamento di Gesù, uno da avvicinare con compassione e con misericordia, uno da amare di più, uno con cui relazionarsi con l’eccedenza dell’amore evangelico, con un amore gratuito e unilaterale come quello di Gesù crocifisso. Questo significa prendere sul serio il vangelo ed agire guidati dalla sua logica alternativa e a volte sovversiva. Chi di noi riesce ad arrivare a tanto? Non possiamo farci sconti, in caso contrario sarebbe paradossale e menzognero dirsi cristiani.

…È PREGATAO Padre, che vuoi che tutti i tuoi figli siano tra loro fratelli, manda su di noi il tuo Santo Spirito di comunione che ci insegni l’arte di un amore più grande che sappia andare sempre oltre ogni possibile incomprensione per fare di noi strumenti di fraternità autentica, capaci di offrire perdono e riconciliazione, custodi del dono più grande: essere un cuor

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solo e un’anima sola. Amen.…MI IMPEGNA

Manderò un sms a quella persona con cui non parlo da tempo. Potrebbe essere il primo passo per riallacciare una relazione.

Lunedì, 7 Settembre 2020Santa Regina di Alise, vergine e martire

Liturgia della parola1Cor 5,1-8; Sal 5; Lc 6,6-11

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo. Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Alzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo. Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita. Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

…È MEDITATAI dimenticati, coloro la cui presenza si preferisce ignorare, i discriminati, coloro che non contano, i senza titolo, gli emarginati, vengono messi da Gesù al centro dell’attenzione di tutti: “Alzati e mettiti qui in mezzo”. Per l’uomo dalla mano paralizzata, menomato nel fisico, ma forse ancor più nella sua dignità, vedere che qualcuno si accorge di lui e ne fa oggetto di cura vale più della guarigione fisica che oltre tutto non ha chiesto. Mentre gli scribi e i farisei scrutano con malizia Gesù per vedere se compie qualcosa di illecito in giorno di sabato, Gesù posa il suo sguardo su colui che tutti gli altri sembrano

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ignorare. Si santifica il giorno del Signore ridando visibilità a chi ne è privo, lasciandosi interpellare da coloro la cui malattia e il disinteresse degli altri hanno rintuzzato in un cono d’ombra, nella terra di nessuno. L’alba del giorno del Signore fa sorgere una luce nuova su coloro che vivono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Mentre Gesù manifesta il suo amore inclusivo, scribi e farisei sono “fuori di sé dalla collera”. Per loro servire Dio mal si armonizza con l’attenzione all’uomo. Per loro il giorno del Signore è esclusivo appannaggio di Dio, niente e nessuno può distogliere l’attenzione da Lui. Gesù la pensa diversamente. Per lui il giorno del Signore è tale proprio quando l’uomo ritrova centralità. Il giorno del Signore è un giorno inclusivo e deve includere in modo particolare coloro che da chiunque, in qualunque modo, per qualunque ragione sono esclusi. Santificare il giorno del Signore anche per noi cristiani implica ridare dignità a coloro che ne sono stati privati, rimettere al centro coloro che sono stati confinati ai margini.

…È PREGATAO Padre che vuoi che tutti gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza, donaci lo Spirito di sapienza per comprendere che onorare gli uomini è onorare Te, servire i fratelli è servire Te, che il tempo donato agli ultimi non è sottratto a Te perché Tu sei in ciascuno di loro. Donaci di comprendere che il giorno del Signore o è anche giorno dell’uomo oppure è tempo sprecato. Amen.

…MI IMPEGNAAlla preghiera unirò un gesto di carità e di attenzione all’altro soprattutto verso coloro che sono dimenticati da tutti.

Martedì, 8 Settembre 20209

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NATIVITÀ DELLA BEATA VERGINE MARIAFesta

Liturgia della parolaMic 5,1-4; Sal 12; Mt 1,1-16.18-23

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giosafat, Giosafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e

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darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa Dio con noi.

…È MEDITATANessuno si fa da sé, nessuno viene dal nulla. Ciascuno è frutto di una lunga storia. Siamo figli di una lunga genealogia di uomini e di donne di cui portiamo in cuore il peso e la bellezza, di cui portiamo sul volto le rughe e lo splendore. Le generazioni che ci hanno preceduto sono il nostro “ante fatto”, le nostre radici. Generare per gli ebrei era molto di più che il semplice mettere al mondo dei figli, era un gesto di speranza e più ancora esprimeva il desiderio di diventare strumenti nelle mani di Dio perché potesse venire al mondo colui che doveva venire: il Figlio dell’uomo, il Cristo di Dio. Neppure Lui è piovuto dal cielo, ma generato, nato da donna quando lo scorrere del tempo giunge al suo kairos, ad una pienezza da lungo attesa. Questa pienezza nasce da un cortocircuito. Se prima parlando di generazione si sente una lunga litania al maschile, ora a generare è una donna, una fanciulla di Nazaret, una promessa: una messa lì, al crocevia della storia, per mettere al mondo il figlio della promessa, Colui la cui vita sarà un’esistenza a favore dell’umanità, in difesa di chi la storia aveva relegato e continuava a lasciare ai margini. Maria figlia del suo popolo, che riassume in sé gli aneliti e le speranze di molti cuori, sarà madre del Messia, ma anche, come Abramo, madre di un popolo, un popolo nuovo, il popolo della nuova alleanza: madre della Chiesa. Neppure ciascuno di noi è una monade a sé stante, figlia del nulla, solitaria vagabonda per rotte senza approdo. La nostra fede non si accorda con l’individualismo. È faccenda di popolo, è chiamata alla comunione, è consapevolezza di appartenere ad una cordata, ciascuno membro di un corpo variegato e ben compaginato, ciascuno generato alla fede da chi lo ha

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preceduto e a cui deve dire il proprio grazie perché frutto di una grazia immeritata.

…È PREGATAPadre della vita, ogni esistenza proviene da Te e in Te trova il senso profondo del suo essere nel mondo. Tu sorgente prima di ogni vocazione e missione, donaci il tuo Spirito perché possiamo riconoscerci membri eletti di un popolo santo. Per intercessione della B. V. Maria donaci di essere figli riconoscenti verso chi ci ha trasmesso la vita e ci ha fatto dono della fede. Amen.

…MI IMPEGNAEsprimerò con un gesto concreto la mia riconoscenza ai miei genitori e conserverò in benedizione il ricordo di coloro che hanno già varcato la soglia dell’eternità.

Mercoledì, 9 Settembre 2020San Pietro Claver, sacerdote

Liturgia della parola1Cor 7,25-31; Sal 44; Lc 6,20-26

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro

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padri con i falsi profeti».…È MEDITATA

L’annuncio del Vangelo è un annuncio di gioia. La magna carta dell’insegnamento di Gesù proclama la beatitudine e la felicità come elementi discriminanti e qualificati della dignità filiale. Accogliere il Vangelo è accogliere il dono di una felicità oltre ogni misura, oltre ogni situazione, una beatitudine che si àncora in Dio e in Dio trova il suo alimento, la sua motivazione, la sua ragion d’essere. La felicità che Gesù annuncia ai suoi discepoli non dipende da condizioni esterne, ma dall’essere pienamente accasati nella logica evangelica. La gioia cristiana ha, in certo qual modo, un tratto di universalità e di paradossalità: è gioia anche per i poveri e nella povertà, è gioia anche per gli affamati e nella fame, è gioia anche per gli afflitti e nel pianto, è gioia anche per i perseguitati e nella persecuzione. È gioia talmente profonda che nessuna avversità riuscirà mai ad offuscare né tanto meno a mortificare. E non è gioia nonostante le contraddizioni, ma proprio dentro le contraddizioni. La gioia cristiana non è gioia perché tutto va bene, ma perfetta letizia anche quando, anzi proprio quando sembra non esserci nessun motivo per gioire. La beatitudine promessa da Gesù non dipende da quello che ci circonda, né dalle situazioni che viviamo, ma zampilla nel profondo del nostro cuore e la sua sorgente in noi è lo Spirito di Gesù. Solo così la gioia è pervasiva e si espande a macchia d’olio, raggiunge tutti e investe ogni situazione, anzi proprio coloro che la logica del mondo giudica esserne privi, sono coloro che più di ogni altro ne sono colmi, avendola ricevuta come dono di grazia da Dio stesso.

…È PREGATAO Padre, manda a noi il tuo Spirito e sia dentro di noi una

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sorgente d’acqua che zampilla per la vita, fa che ad essa possiamo attingere a piene mani la gioia vera, quella che viene da Te e dissetarci a pieni sorsi della beatitudine che sei Tu e che solo Tu puoi dare. Amen.

…MI IMPEGNAQuando sperimenterò una contrarietà, un contrattempo, una situazione negativa, invece di rattristarmi cercherò di viverla nella gioia, consapevole che non sono le cose a darmi gioia, ma posso essere io, con l’aiuto del Signore, a mettere gioia in ogni cosa.

Giovedì, 10 Settembre 2020San Nicola da Tolentino, sacerdote

Liturgia della parola1Cor 8,2-7.11-13; Sal 138; Lc 6,27-38

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate

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e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

…È MEDITATAIl brano evangelico ci presenta oggi una litania incalzante di esortazioni che ci invitano a far nostri una serie di atteggiamenti che ci lasciano per lo meno sbalorditi. Per essere cristiani è necessario arrivare fino a questo punto? Confrontarci con questa pagina ci fa comprendere fino a che punto prendiamo sul serio il Vangelo, fino a che punto gli diamo veramente credito. Quelle che abbiamo dinnanzi sono righe che cerchiamo di tenere sempre sotto gli occhi e di cui cerchiamo di mantenere sempre vivo il ricordo, oppure è una di quella pagine del Vangelo che facilmente dimentichiamo, vivendo come se non fosse mai stata scritta? La tentazione di voler essere cristiani togliendo di mezzo ciò che in modo unico qualifica la scelta evangelica è sempre di umiliante attualità. Al di là di ogni bel ideale, come è possibile “amare i nemici, fare del bene a coloro che ci odiano, benedire chi ci maledice … ”? Forse la chiave di lettura e la possibilità concreta ci viene svelata quando Gesù afferma: “A chi ti percuote su una guancia, tu offri anche l’altra”. Se uno mi colpisce sulla destra, offrirgli anche la sinistra richiede un movimento di rotazione del capo che permette di guardare la realtà da un altro punto di vista. E se guardando da un lato, l’umanità mi sembra divisa in amici e nemici, considerando la realtà da un altro punto di vista posso comprendere che tutti sono amici, che sono io a mettere l’etichetta di nemico sulla fronte di qualcuno. Guardare il mondo da un’altra prospettiva spesso significa guardarlo con gli occhi di Dio. Beata quella mano,

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allora che, se pur con violenza, mi costringe a guardare il mondo dalla visuale di Dio.

…È PREGATAO Padre, dammi la grazia di poter vedere la realtà così come la vedi Tu, di giudicarla con i tuoi criteri. La mia logica troppo umana mi costringe in orizzonti angusti: dilata il mio sguardo, allarga il mio cuore, apri la mia mente; infondi in me il tuo amore eccedente che non fa preferenze di persone, ma in egual misura si estende su tutti e su ciascuno. Fa che il mio amore possa sempre più assomigliare al tuo amore di Padre. Amen.

…MI IMPEGNAPregherò per coloro che reputo nemici, e farò un gesto di riconciliazione verso coloro che ritengo mi abbiano offeso.

Venerdì, 11 Settembre 2020Santi Proto e Giacinto, martiri

Liturgia della Parola1Cor 9,16-19.22-27; Sal 83; Lc 6,39-42

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e

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allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

…È MEDITATAQuanti sono oggi coloro che si propongono come guide, maestri, personal trainer, promettendo, a coloro che si affidano alle loro capacità, di condurli in breve tempo e senza sforzo, a ottenere risultati sbalorditivi, da non crederci, risultati ben al di sopra di ogni ragionevole aspettativa. A molti non par vero e si affidano fiduciosi a così qualificati personaggi. Ben presto però le illusioni mostrano il loro volto deludente e le guide esperte appaiono, come realmente sono, guide cieche, maestri con la trave negli occhi, personal trainer senza nessuna esperienza, bugiardi approfittatori dell’altrui buona fede. Qualcosa del genere può capitare anche in ambito religioso. Quanti padri spirituali inesperti ci sono in giro che non purificati come oro nel crogiuolo di una profonda, forse anche sofferta esperienza di Dio, senza la necessaria preparazione culturale e sapienziale, senza una vera conoscenza delle dinamiche dello spirito, senza una personale e approfondita comprensione della Parola di Dio, senza avere la minima idea della complessità dell’animo umano, senza capacità di empatia e con scarsa capacità di discernimento, si propongono, a quanti sono in ricerca con sincerità di una vita religiosa più autentica, come maestri e guide. I danni che la presunzione di costoro e l’imprudenza dei loro figli spirituali riescono a fare, sono laceranti. Le domande poste da Gesù nel brano evangelico odierno, dovrebbero sempre risuonare nella nostra mente, e prima di affidarci a maestri improvvisati dovremmo saperli mettere alla prova. Senza una guida spirituale nessuno può davvero progredire nell’esperienza della fede e nella vita spirituale, ma attenzione a chi ci affidiamo.

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…È PREGATAO Padre, che io non abbia la presunzione di camminare da solo, ma dammi la capacità di saper scegliere un maestro secondo il tuo cuore che sappia guidarmi sulle tue vie e possa aiutarmi a discernere la tua volontà sulla mia vita. Amen.

…MI IMPEGNAPregherò affinché il Signore conceda alla sua Chiesa uomini di Dio umili e sapienti capaci di guidare i fratelli sulla via della santità. Non mi affiderò al primo capitato.

Sabato, 12 Settembre 2020Santissimo Nome di Maria

Liturgia della parola1Cor 10,14-22; Sal 115; Lc 6,43-49

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».

…È MEDITATA

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È lapalissiano: la bontà del frutto manifesta la bontà dell’albero. Evidente a dirsi, meno a farsi. Eppure la fecondità della fede dipende dal suo farsi, dalle opere che produce, dalla sua capacità di passare dalle parole ai fatti. Le nostre parole devote se non trasmigrano in atteggiamenti concreti a poco valgono. Se i nostri “verbi” non diventano carne il nostro cristianesimo è pura illusione, chiacchiericcio inutile e inconcludente. La vita credente si costruisce su fatti di fede non su pii desideri, né tanto meno su discorsi fumosi e ingannevoli. Quante volte ci accade di ascoltare la Parola, ma il nostro ascolto non sfocia nella pratica. Siamo come ascoltatori smemorati, la nostra vita concreta corre su binari diversi da quelli segnati dal Vangelo e finiamo per smentire con la vita ciò in cui diciamo di credere a parole. Il nostro edificio spirituale non fondato su una fede fatta carne crolla miseramente alle prime difficoltà e ogni contrarietà diviene occasione blasfema: “Che male ho fatto?”, “Perché proprio a me?”, “Dio non se ne cura, a che vale credere?”. Spesso mi viene da pensare che se dovessi stracciare dal Vangelo quelle pagine che non metto in pratica, del Vangelo resterebbe ben poco. Qualcuno ha detto che se dovessimo smarrire tutti i Vangeli esistenti al mondo senza che ne restasse neppure uno, si dovrebbe poter riscrivere il Vangelo guardando lo stile di vita dei cristiani. Sarebbe proprio bello se i cristiani fossero un Vangelo vivente, dovrebbe essere la norma. Lapalissiano.

…È PREGATAO Padre, la forza del tuo Spirito mi aiuti ad incarnare il Vangelo in ogni gesto della mia vita perché chiunque possa vedere, toccare, gustare le Parole di vita del Figlio tuo Gesù. Il suo insegnamento converta il mio modo di pensare e di agire affinché non sia come quello di coloro che non hanno incontrato il Verbo fatto carne, ma riveli al mondo la mia

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esistenza redenta. Amen.…MI IMPEGNA

Veglierò sulle mie azioni per valutare se sono secondo il Vangelo oppure se lo smentiscono. Sceglierò una frase del Vangelo e mi impegnerò a metterla in pratica con generosa autenticità.

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XXIV Settimana del Tempo Ordinario

Domenica, 13 Settembre 2020San Giovanni Crisostomo, vescovo e dottore della Chiesa

Liturgia della parolaSir 27,30-28,9; Sal 102; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

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…È MEDITATAHo come l’impressione che nel brano evangelico odierno ci sia una sorta di cortocircuito. Nella domanda che Pietro pone al Signore Gesù si parla di colpe, la risposta offerta da Gesù attraverso il racconto parabolico parla di debiti. Non sempre però un debito è una colpa. Non sempre condonare un debito equivale a perdonare una colpa. Non sempre riconoscersi debitori equivale a riconoscersi peccatori. Vorrei pertanto in questa meditazione discostarmi dall’interpretazione consueta di questo brano evangelico. Tutti siamo in debito nei confronti di qualcuno, a tal punto che potremmo dire che essere debitore costituisce l’identità di ogni uomo. Siamo in debito nei confronti di chi ci ha donato la vita, di chi ci ha fatto crescere, di chi ci ha educato, di chi ogni giorno ci guida e ci sostiene, di chi rallegra le nostre giornate, di chi ci consola con il suo amore, di chi con il proprio lavoro ci permette una vita dignitosa. In modo assoluto siamo debitori di Dio e della sua grazia provvidenziale. Riconoscerci debitori ci pone in essere nella verità. Da questo punto di vista nessuno potrà mai estinguere il suo debito. Ciascuno di noi se lo vede condonare dai propri creditori, ciascuno di noi deve saperlo condonare ai propri creditori. Credo che la parola di oggi sia anzitutto un invito a cogliere lo statuto di dono che la nostra vita ha, il dono che la nostra vita è. Per-donare infondo altro non è che riconoscere il dono grande di cui siamo fatti oggetto, un dono grande di cui possiamo arricchire gli altri.

…È PREGATAO Padre, datore di ogni dono perfetto, donaci di riconoscerci tuoi debitori e debitori di ogni fratello. Fa’ che riconosciamo che la nostra vita è una vita donata da donare, un regalo ricevuto e da riconsegnare. Fa’ che riconoscendo l’eccedenza del tuo amore possiamo amare in modo superlativo. Amen.

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…MI IMPEGNASaprò dire grazie anche per la più piccola cosa, nella consapevolezza che nulla mi è dovuto ma che tutto viene dalla gratuità dell’amore di Dio e dalla bontà di chi mi sta accanto.

Lunedì, 14 Settembre 2020ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

FestaLiturgia della ParolaNm 21,4-9; Sal 77; Gv 3,13-17

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

…È MEDITATA“Dio, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato”. È incredibile! Tanto incredibile che qualcuno ancora non riesce a crederci. È incredibile che ci siano ancora cristiani che pensano a Dio come ad una divinità aggrovigliata in sentimenti di vendetta, che cova progetti di condanna e di sterminio, sempre pronto a punire, costantemente all’erta per censurare anche i più legittimi e ingenui desideri dell’uomo se non in linea con quanto “scritto”. A cos’altro dovrebbe servire Dio se non a porre un argine alla voglia di felicità dell’uomo, a ingessarlo in regole e precetti, a ricordargli le proprie mancanze e anche le

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più minime inadempienze. Dio vuole un mondo regolato, sottomesso, ligio al dovere. E Lui è lì per far rispettare le regole e a sanzionare ogni trasgressore. Gesù parla di un Dio diverso, tanto diverso da apparire fin da subito un Dio alieno, non allineato con l’immagine che l’uomo si è fatto di Lui. Il Dio di Gesù Cristo non ha in cuore il desiderio di condannare, ma di salvare, non di mettere con le spalle al muro, ma di innalzare. E ciò che è più sconcertante è che la volontà di salvezza che abita il cuore di Dio non è riservata ai buoni, a coloro che sono ligi al dovere, ai santi, ai figli del Regno, ma a tutti senza distinzione. Dio ama il “mondo”. Questa parola nella penna dell’evangelista Giovanni indica il mondo colluso col peccato, l’umanità distante da Dio, peccatrice, infedele. È proprio questo mondo che Dio ama e vuole condurre a salvezza, è proprio per questo mondo che Dio manda il suo Figlio unigenito perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Questo è il senso vero della croce, strumento di salvezza per chiunque sollevi verso di lei il proprio sguardo. Incredibile vero? E però è proprio così. Bisogna che ce ne facciamo una ragione. Tutti!

…È PREGATAO Padre, Dio di misericordia, compassionevole, lento all’ira e ricco di grazia, Dio fedele nei secoli, ti preghiamo affinché nessuno, tanto meno un credente, bestemmi il tuo amore. Tutti ti riconoscano Padre accogliente e tenerissimo che ama i figli che lasciano la casa e poi vi fanno ritorno e quelli che pur non lasciando la casa paterna non vi sono mai veramente rimasti. Amen.

…MI IMPEGNAGuarderò con occhi nuovi la croce di Cristo e vi contemplerò l’infinito amore con cui il Padre mi ama e, se pur consapevole del mio peccato, sarò certo che per me Dio ha in serbo solo un

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immenso dono di salvezza.

Martedì, 15 Settembre 2020Beata Vergine Maria Addolorata

Liturgia della ParolaEb 5,7-9; Sal 30; Gv 19,25-27

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

…È MEDITATAStare sotto la croce è come trovarsi in un grembo che germina vita. Non è un caso che sotto la croce, eccezion fatta per un discepolo del tutto singolare, stanno solo donne. Solo ad esse è dato da madre natura il compito di generare. Solo esse sanno custodire la vita fino all’ultimo istante. La croce conferisce a Maria una nuova, duplice maternità. Nelle doglie di un cuore trafitto diventa nuovamente madre del Salvatore, lo genera nel dolore e con una consapevolezza mai avuta prima così chiara, lo offre al mondo nel totale fiducioso abbandono a Dio che glielo aveva deposto in grembo come seme di una misericordia che si sarebbe estesa all’intera umanità. Custodendo in cuore la speranza, quella che non delude, diventa madre di tutti gli uomini amati dal Signore. Ogni uomo che viene amato da Dio, riceve in dono una madre, la Madre. La madre del Figlio non poteva che divenire madre di ogni figlio. Ed è così che la Madre è il primo dono fatto ai credenti, e i credenti sono l’eredità di Gesù alla Madre. Ogni credente è chiamato ad accogliere Maria tra ciò che di più

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prezioso ha. Maria inarca il suo grembo affinché in esso trovi posto ogni credente. La Madre e il discepolo saranno per sempre una cosa sola. Mai l’uno senza l’altra. E la fecondità della croce, nel cuore di una Madre, si estende ad ogni uomo di generazione in generazione.

…È PREGATAO Padre, che non hai preservato l’umile tua serva dal generare il tuo Figlio nelle doglie di un amore crocifisso, concedi anche a noi di saper sostare presso la croce di Gesù e sperimentare la fecondità di una vita donata e comprendere che solo l’amore che sa morire è in grado di generare vita. Amen.

…MI IMPEGNARinnoverò oggi in modo più consapevole, il mio amore verso la Madre di Gesù, Madre mia e della Chiesa.

Mercoledì, 16 Settembre 2020Santi Cornelio papa e Cipriano vescovo, martiri

Liturgia della Parola1Cor 12,31-13,13; Sal 32; Lc 7,31-35

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, il Signore disse: «A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”. È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”. Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli».

…È MEDITATAQuanto è strana la generazione di Gesù. Né più ne meno della

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nostra e forse di quella di ogni tempo. Strana perché mai contenta, mai soddisfatta. È una generazione svogliata, adagiata nel “dolce far niente”, quasi apatica. Non c’è niente che riesca a risvegliarla dal suo torpore. Non c’è tarantella che le faccia venir voglia di ballare. Non c’è lamento che riesca a suscitarle commozione. Tutti sono impietriti, come congelati nella loro indifferenza. Sono ripiegati su se stessi, nulla li scalfisce. È come se il mondo esterno non esistesse. Sono avviluppati nei loro pensieri, se mai ne hanno. Non sanno, non vogliono dar credito a nessuno. Dall’alto della loro sufficienza nessuno è alla loro altezza, nessuno degno di credito, nessuno in grado di soddisfare le loro esigenze, nessuno in grado di corrispondere all’immagine ideale, creata dalla loro mente. Insomma, come si suol dire, hanno la puzza sotto il naso. La cosa sconvolgente è che ci sono persone che si credono la misura di ogni cosa, sono loro a dettare le regole, loro a scegliere i parametri, loro a delineare i lineamenti, anche di Dio. Sono impermeabili ad ogni sorpresa, l’inedito non gli appartiene. Che Dio possa sorprenderli non gli passa neppure per l’anticamera del cervello. E così sono tagliati fuori dalla salvezza che si realizza sempre in modo inatteso ed improvviso. È gente, questa, che vuole un Dio come vogliono loro e non come è. Dobbiamo essere attenti che non capiti anche a noi di far parte di questa generazione per non essere esclusi dalla salvezza che Dio dona in modo sorprendente e imprevedibile perché i suoi pensieri non sono i nostri, né le sue vie le nostre.

…È PREGATAO Padre, che ti sottrai ad ogni presa e sempre trascendi ogni immagine che l’uomo si fa di Te, ascolta la nostra preghiera: donaci l’umiltà di accoglierti per quello che sei, per ciò che dici, per quello che fai anche quando destabilizza i nostri modi

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di vedere. Amen.…MI IMPEGNA

Starò ben attento a non immaginarmi un “dio a modo mio”, ma con umiltà e senza arroganza mi lascerò condurre dall’insegnamento di coloro che hanno fatto una vera e profonda esperienza del Dio di Gesù Cristo.

Giovedì, 17 Settembre 2020San Roberto Bellarmino, vescovo e dottore della Chiesa

Liturgia della Parola1Cor 15,1-11; Sal 117; Lc 7,36-50

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io

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ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».

…È MEDITATACi sono persone che profumano e persone negative al test dell’olfatto. Queste ultime sono curiose, cortesi, non si lasciano sfuggire l’opportunità di avere alla propria mensa un personaggio noto, la cui presenza nella propria casa tutti si vorrebbero contendere. Sono persone in ricerca, desiderose di apprendere, dall’ultimo maestro venuto alla ribalta, qualche dottrina alla moda. Desiderano farsi qualche selfie accanto al personaggio noto del momento. Ma non profumano perché ripiegati su se stessi. La loro cortese attenzione nei confronti degli altri, come quella di Simone nei confronti di Gesù, è finalizzata solo a promuovere se stessi. Gli altri sono funzionali ai propri interessi, non sono capaci di gratuità, di disinteresse. Non chiedono nulla perché non pensano di aver bisogno di alcunché. Non spandono fragranza come invece fanno coloro che amano in modo totale, o meglio coloro che percepiscono di essere amati in modo unico e superlativo. Lo sguardo amoroso che si posa su di loro sprigiona dal loro intimo una dolce, inebriante fragranza. La donna che contempliamo ai piedi di Gesù, versa il suo profumo. È un profumo che promana da un cuore ferito, da una bellezza da molti comprata al mercato del piacere, da una dignità calpestata, da una femminilità ricercata di nascosto ed emarginata alla luce del sole. È un profumo che comincia ad emanare la propria essenza quando colei che lo custodisce nel cuore si sente amata alla luce del sole, ricercata non come merce di consumo, ma come persona da rispettare. Il profumo si

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espande quando non è soffocato dalla coltre del giudizio e del pregiudizio. Anche a noi può accadere di essere cristiani poco o per nulla odorosi, ligi al dovere, ma non ancora catturati dall’amore che inebria. Paradossalmente il nostro peccato assieme alle nostre lacrime, accogliendo il perdono ci permette di pervenire ad una fede che profuma, ci permette di aprire il vaso del nostro cuore perché fuoriesca la fragranza che custodisce.

…È PREGATAO Padre, donaci di poter spandere nel mondo il dolce profumo di Cristo, la fragranza del santo crisma con cui siamo stati unti nel giorno del nostro battesimo e della nostra cresima. Fa’ che il nostro pentimento profumi, profumi la nostra conversione, spanda fragranza la nostra fede, la nostra speranza, la nostra carità. Amen.

…MI IMPEGNAProfumerò con il mio amore servizievole e premuroso i piedi di ogni fratello che si trova nel bisogno e nel quale riconoscerò la presenza del Signore Gesù. Ogni gesto di carità profuma il mondo ammorbato dai cattivi odori dell’egoismo.

Venerdì, 18 Settembre 2020San Giuseppe da Copertino, sacerdote

Liturgia della Parola1Cor 15,12-20; Sal 16; Lc 8,1-3

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di erode;

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Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.…È MEDITATA

La compagnia di Gesù, a prima vista sembra l’armata Brancaleone, un’accozzaglia di uomini e di donne senza un comune denominatore. A ben vedere però, salta subito agli occhi che il gruppo che segue Gesù si caratterizza per la sua eterogeneità. È un gruppo inclusivo. Ci sono pescatori, pubblicani, zeloti, dotti e ignoranti, ex indemoniate, donne di alto rango, signore benestanti disposte a finanziare la missione di Gesù. Un insieme di persone che, nel loro insieme, non facevano certo bella impressione forse continuavano ad alimentare critiche nei confronti di Gesù. Un maestro ben accorto, avrebbe scelto con maggior cura i suoi discepoli, si sarebbe circondato da persone tutte di specchiata onestà, tutte di una certa cultura e nessun colluso con gruppi estremisti pericolosi. Di certo avrebbe evitato di aggregare al numero dei discepoli delle donne la cui presenza avrebbe gettato immediato discredito su tutto il gruppo. Gesù ha una strategia ben diversa, una strategia che dovrà diventare esemplare nella logica evangelica. L’eterogeneità è un valore, è un valore la logica inclusiva. A tutti si deve offrire pari opportunità. Ciò che conta non è ciò che uno si lascia alle spalle, ma quello verso cui è proteso. Il Regno di Dio è come una rete gettata nel mare che raccoglie ogni genere di pesci. Nel Regno c’è posto per tutti, nel Regno non si fanno preferenze di persone, ma tutti possono contribuire al suo avvento. Gesù non passa ai raggi X nessuno, ma a tutti chiede di seguirlo. Non è importante chi sei, ciò che importa è chi vuoi seguire e se lo vuoi seguire veramente. Allo stesso modo la comunità ecclesiale non è un gruppo di perfetti, ma un gruppo di amati desiderosi di amare. L’annuncio del Vangelo è rivolto a tutti, non ci sono categorie escluse dal dono della

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salvezza, a nessuno si chiede la carta di identità in ingresso, ma solo in uscita per vedere se sul volto di ciascuno si sono delineati i lineamenti di Cristo.

…È PREGATAO Padre, che non fai preferenze di persona, ma tutti chiami a far parte del tuo Regno, donami la capacità di non giudicare nessuno, né tanto peggio di pensare che qualcuno possa essere escluso dalla possibilità di godere dei tuoi doni di salvezza. Rendimi collaboratore del tuo amore inclusivo. Amen.

…MI IMPEGNANon giudicherò nessuno, non escluderò nessuno. A coloro che hanno cominciato ad accostarsi alla comunità ecclesiale non sarò di ostacolo, ma faciliterò l’ingresso, con un atteggiamento accogliente ed inclusivo.

Sabato, 19 Settembre 2020San Gennaro, vescovo e martire

Liturgia della Parola1Cor 15,35-37.42-49; Sal 55; Lc 8,4-15

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché vedendo non vedano e ascoltando non

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comprendano. Il significato della parabola è questo: il seme è la Parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza.

…È MEDITATA“Con te è inutile perdere tempo, tanto non cambierai mai”; “È tutto tempo perso: non c’è più sordo di chi non vuol sentire”; “È inutile sprecare energie, da quello non ci cavi un ragno dal buco”. Frasi di questo genere si sprecano. Quante volte le abbiamo sentite! Quante volte le abbiamo dette? Ciò che mi colpisce di questo brano evangelico è la logica “tutt’affatto differente” che presiede l’azione del seminatore. Non è una logica di calcolo, non decide in base al possibile risultato che otterrà. Non è prevenuto. Non pensa in anticipo “Da questo terreno c’è poco da aspettarsi”, quindi decide di tenere in serbo il suo seme per un terreno migliore. La sua speranza è larga come il gesto che compie per seminare. Potrebbe sembrarci poco accorto, poco prudente. Perché sprecare tanto seme prezioso? Ma per lui la speranza non è mai uno spreco: “non si sa mai … ” è una offerta di credito oltre ogni pur logica aspettativa. Mi piace questo divino seminatore non prevenuto, che “spera contro ogni speranza”. Egli confida nell’energia intrinseca al seme stesso. Non è difficile nella nostra Sicilia vedere alberi di fichi o pale di fichi d’india crescere su vecchi muri o su tetti di case vetuste. Nessuno li ha seminati, ma il

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seme venuto da chissà dove vi attecchisce. Sul monte Terminillo, dove si trova il cenobio in cui dimoro, un seme di faggio può attecchire pure sull’asfalto e si apre una strada nel bitume e se qualcuno non lo sradica per tempo è possibile ritrovarsi un albero in mezzo alla strada. Quando mi occupavo di pastorale giovanile, mi sono visto spuntare delle belle vocazioni nel cuore di chi non avrei mai creduto potesse accadere. È indiscutibile che un terreno buono, pulito, fertile, accogliente, facilita molto e in esso il seme produce molto frutto. Ma mi piace questo divino seminatore che sparge con speranza e copiosamente il seme della sua Parola, anche là dove un seminatore umano non sprecherebbe neppure un solo seme.

…È PREGATAO Padre, che non giudichi nessuno in modo preconcetto, ma che a tutti offri possibilità sempre nuove ed inedite, rivolgi fiducioso la tua parola anche a me, spesso impenetrabile come una strada, arido come un terreno sassoso, aggrovigliato come un campo di spini. Concedimi ancora una volta il credito della tua speranza, chissà che questa non sia la volta buona in cui il tuo seme possa portare frutto anche in me. Amen.

…MI IMPEGNACercherò di dissodare il terreno del mio cuore identificando ciò che non permette alla Parola del Signore di attecchire e portare frutto.

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XXV Settimanadel Tempo Ordinario

Domenica, 20 Settembre 2020Sant’Andrea Kim Taegon e compagni, martiri

Liturgia della ParolaIs 55,6-9; Sal 144; Fil 1,20-27; Mt 20,1-16

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

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…È MEDITATANon fare mai i conti con Dio, ci potresti restare male. Essere ingaggiati da Lui è un’avventura esaltante. Prima della fatica del duro lavoro, c’è la meraviglia di essere stato scelto, così, senza troppe domande, sulla fiducia. Domandarsi “che cosa ne otterrò?”, ti farebbe cominciare male. Il Signore che ti chiama come “umile operaio nella sua vigna”, è un datore di lavoro strano, un po’ eccentrico. Lui conosce solo due logiche quella della gratuità e quella della magnanimità. La gratuità la cerca in te. Non puoi lavorare nella sua vigna per interesse, nell’aspettativa di una ricompensa, neppure del giusto salario dovuto. Se accogli il suo invito devi mettere in conto che lavorerai in perdita. Togliti dalla mente qualsiasi aspettativa. Questa parola mi sta bruciando le dita mentre la scrivo, perché mi interpella, mi rimbomba dentro. “Perché ho seguito la chiamata del Signore?”. “Cosa vado cercando veramente?”. “Mi basta il compito che mi è stato assegnato o il mio cuore va già pregustando la ricompensa?”. “Il mio cuore è libero o mi aspetto un qualsiasi tornaconto?”. Sarebbe davvero disdicevole lavorare per il Regno ed essere preoccupato del guadagno. Se stai mormorando: “cosa mi spetta?”, non farti sentire dal padrone. La magnanimità è tutta prerogativa del padrone della vigna. Può accadere che riceverò molto di più del dovuto e mi sorprenderò del dono immeritato. Il pretenzioso sarà irritato della magnanimità del padrone anche se riceve quanto pattuito. Sorpresa e irritazione si fronteggiano all’imbrunire. Tornando a casa qualcuno impreca, molti cantano. Ma chi impreca lo fa solo perché è stonato rispetto all’armonia del Vangelo. Così è la logica del Regno: a tutti è assicurato il giusto, il minimo sindacale, a molti viene regalato più del dovuto, una misura “piena, scossa e traboccante”. Non chiederti il perché, Lui è così, fattene una

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ragione.…È PREGATA

O Padre giusto, che a tutti dai il dovuto, ma a molti di più doni anche ciò che non meritano, donami la grazia di entrare nella logica della gratuità, perché nel rapporto con te nulla si merita ma tutto è grazia ricevuta in dono. Concedimi di lavorare con gioia e senza risparmiarmi per l’avvento del tuo Regno e tutto il resto sarà Grazia. Amen.

…MI IMPEGNAQualunque esso sia, svolgerò il mio compito, la mia missione, il mio servizio, senza pretendere nulla, senza nessun secondo fine, senza la ricerca di un tornaconto di nessun genere.

Lunedì, 21 Settembre 2020SAN MATTEO, apostolo ed evangelista

FestaLiturgia della Parola

Ef 4,1-7.11-13; Sal 18; Mt 9,9-13LA PAROLA DEL SIGNORE

…È ASCOLTATAIn quel tempo, mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa

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vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

…È MEDITATANe chiama uno e arrivano a frotte pubblicani e peccatori. Gesù possiede una forza seducente che attrae in modo particolare pubblicani, peccatori, malati, indemoniati, esclusi. Gesù, tra i maestri in Israele è stato un fenomeno più unico che raro. Un rabbi strano, un po’ eccentrico che amava frequentare la feccia della società del tempo. Lui andava a cercare quelli che gli altri scartavano. Un atteggiamento inaudito che più volte gli è stato fatto notare. Ma Lui niente, imperterrito, dritto per la sua strada. Il suo, un comportamento e un messaggio contro corrente, per niente allineato, fuori da ogni schema: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. È una logica disarmante: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati”. Eppure anche la logica più disarmante crea scandalo tra i benpensanti. A volte mi domando cosa penserebbero molti cristiani se Gesù vivesse e operasse tra noi oggi, se tra noi annunciasse il vangelo. Forse la reazione in molti casi sarebbe identica a quella dei suoi contemporanei. Non mancherebbero quelli pronti ad arricciare il naso; quelli che sentenzierebbero: “non c’è più religione”; chi addirittura evocherebbe sacrilegi ed eresie. Certo il vangelo viene predicato anche oggi, ma è stato disinnescato il suo potenziale “rivoluzionario”, è come un vaccino nel quale la virulenza del virus è stata depotenziata. Il vangelo di oggi non può, non deve scandalizzare, deve limitarsi a garantire e tutelare il buon senso comune, la morale assodata e condivisa, ruoli definiti e ben marcati. Le pagine più piccanti, sono legate ai tempi passati; certe invettive di Gesù, egli le rivolge ai farisei dei suoi tempi, non hanno niente a che fare con noi. La logica inclusiva nei confronti dei peccatori si

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spiega con l’equazione tutta ecclesiale pentimento-perdono. Ma per Gesù non era affatto così, Lui non perdonava chi era pentito. Lui perdonava a prescindere e chi si sentiva perdonato si pentiva e cambiava vita. Chissà, forse molte cose cambierebbero anche tra noi se imparassimo a perdonare senza se e senza ma. Forse avremmo la gioia di vedere infoltirsi la schiera dei penitenti.

…È PREGATAO Padre, perdonami e avrò la forza di pentirmi, accoglimi e saprò cambiare vita, attirami a Te e riuscirò ad abbandonare il mio peccato. Dammi un cuore come il tuo che muta il giudizio in perdono, che cambia la critica in comprensione, che trasforma le invettive in prossimità, l’acredine in compassione, la scomunica in accoglienza. Amen.

…MI IMPEGNANon giudicherò nessuno, ma a tutti mi farò prossimo.

Martedì, 22 Settembre 2020San Maurizio, martire

Liturgia della ParolaPr 21,1-6.10-13; Sal 118; Lc 8,19-21

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, andarono a trovare Gesù la madre e i fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. Gli fu annunziato: «Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti». Ma egli rispose: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».

…È MEDITATASpesso la folla che circonda Gesù, diventa un ostacolo per chiunque altro desideri incontralo. È ciò che accade al cieco Bartimeo respinto dalla folla che segue Gesù. Diretto verso

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Gerusalemme, Gesù passa per Gerico. Un cieco accortosi del suo passaggio, invoca, gridando verso di lui. La folla lo redarguisce intimandogli di tacere (Mc 10,48). Anche nel brano evangelico di oggi, la folla è uno schermo impenetrabile e impedisce alla madre e agli altri parenti di Gesù di poterlo avvicinare. Ma, se nel caso del cieco di Gerico, Gesù redarguisce la folla chiedendole di lasciar passare Bartimeo perché potesse incontrarlo, qui Gesù sembra del tutto indifferente. Non solo non fa nulla per facilitare ai suoi parenti la possibilità di arrivare alla sua presenza, ma anzi a coloro che gli annunziano l’arrivo dei suoi, dà una risposta dal sapore un po’ scostante: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”. Sembra quasi che alla schermatura provocata dalla folla, Gesù aggiunga una presa di distanza. A dirla tutta, spesso nei vangeli Gesù invita i suoi discepoli a prendere le distanze dai propri padri, dalle madri, dai fratelli, dalle sorelle. Per chi segue Gesù ci sono priorità diverse. La sequela è ingresso in un’altra famiglia, altre relazioni prendono il sopravvento. Gesù inaugura una sua famiglia spirituale della quale fanno parte gli uditori della Parola di Dio e coloro che la mettono in pratica. La madre e i fratelli di Gesù lo saranno a pieno se oltre i legami di sangue sapranno far propri i legami spirituali. Ciò che è gradevole in questo breve episodio, è constatare che Gesù, se insegna qualcosa, prima lo mette in pratica. Oltre ad insegnare, dà il buon esempio, oltre ad essere maestro, è testimone.

…È PREGATAO Padre, che ci hai insegnato ad onorare il padre e la madre, fa che alla scuola del Signore Gesù, sappiamo amarti e onorarti ancor prima e con di più di coloro che ci hanno generato alla vita e che i nostri legami di sangue non siano

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mai un ostacolo a seguire con generosità il Vangelo e a considerare tutti coloro che aderiscono alla tua Chiesa come fratelli e sorelle nella fede. Amen.

…MI IMPEGNAAscolterò e metterò in pratica la Parola di Dio per poter “trovare” veramente Gesù e far parte della sua famiglia spirituale.

Mercoledì, 23 Settembre 2020San Pio da Pietralcina, sacerdote

Liturgia della ParolaPr 30,5-9; Sal 118; Lc 9,1-6

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù convocò i dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi. Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro». Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni.

…È MEDITATAIl racconto dell’invio dei dodici in missione, fa emergere con evidenza alcune dinamiche intrinseche alla missionarietà evangelica. Anzitutto l’annuncio del Regno deve essere fatto in parole e in opere: annunciare e guarire. Ciò significa che non basta essere araldi della buona novella, della novità del Vangelo, di una parola nuova su Dio e sull’uomo, è necessario anche che questa parola si possa far sperimentare, si traduca

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in gesti concreti, visibili, efficaci. A volte, anzi i gesti sono più efficaci di molte parole. L’annuncio e i gesti del Regno sono anzitutto parole e gesti di guarigione fisica (infermi) e spirituale (demoni). Ciò che sta a cuore a Gesù e che deve stare a cuore ad ogni suo inviato e che la realizzazione della salvezza passi attraverso la concretezza della salute e che il dono della salute sia visibilità della salvezza. Il Vangelo è per tutto l’uomo nella sua uni-totalità. I missionari del regno non hanno solo lo scopo di “salvare le anime”, ma di guarire l’uomo nella sia totalità; non solo le anime, ma le persone, non solo lo spirito ma anche la carne e le ossa. Il Vangelo però non è solo per tutto l’uomo, ma anche per tutti gli uomini. Gesù invita i suoi ad entrare in “qualunque” casa. I missionari ebrei non potevano entrare in una casa qualunque, ma solo nella casa di un altro ebreo. A Gesù è bastato un aggettivo per aprire l’annuncio del Vangelo ad una dimensione universale, per superare i recinti dettati dalla razza o dalla religione. Il Vangelo è per tutti, senza esclusione, adesso come allora. Infine, essere annunciatori del Vangelo del regno esige leggerezza, la leggerezza che deriva dall’essenzialità e dalla fiducia. Serve solo ciò che si ha addosso e la fiducia nella provvidenza di Dio, ma anche nella bontà degli uomini. Un missionario poi, deve mettere in conto anche il fallimento della sua missione. Non per questo, però, deve sentirsi un fallito. Ci si confronta sempre con la libertà dell’uomo e il luogo della libertà che non accoglie, deve diventare trampolino di lancio verso nuovi lidi.

…È PREGATAO Padre, ti preghiamo per tutti i missionari, perché non seguano modalità mondane, strategie di marketing per annunciare al mondo il tuo Regno, ma si affidino alla bellezza della tua Parola, a gesti di coerenza nella carità e nel servizio,

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e alla essenzialità del Vangelo stoltezza per gli uomini, ma potenza di Dio per coloro che credono. Amen.

…MI IMPEGNALà dove vivo, sarò missionario del Vangelo con la mia coerenza di vita, con una parola buona, con gesti di carità.

Giovedì, 24 Settembre 2020Beata Vergine Maria della Mercede

Liturgia della ParolaQo 1,2-11; Sal 89; Lc 9,7-9

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elìa», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti». Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.

…È MEDITATACerto che Erode ha le idee un po’ confuse su chi sia Gesù. La cosa non ci meraviglia più di tanto, molti dei suoi contemporanei alla domanda “chi è Gesù?”, avrebbero dato le più disparate risposte. Prova ne è il dialogo di Gesù con i suoi discepoli nei pressi di Cesarea di Filippo, quando chiede ai suoi: “La gente chi dice che io sia?” (Mt 16,13 ss). Chissà forse ci troveremmo in imbarazzo se la stessa domanda fosse rivolta anche a noi. Che idea ci siamo fatti di Gesù? È un profeta? È un grande maestro spirituale? È un taumaturgo? È un grande uomo, il più grande che la storia abbia mai conosciuto? È uno con una grande sapienza di vita? È un uomo buono, pacifista che predica l’amore universale? È uno che per essere coerente fino in fondo con il suo messaggio ha affrontato la

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morte? È stato una vittima innocente di intrighi politico-religiosi? È un messaggero divino? È il Messia degli ebrei? È il Figlio di Dio? È Dio venuto nella carne? Tra queste risposte, per chi crede, per i bene informati, non ci sono risposte giuste e risposte sbagliate. Non bisogna fare una cernita: sono tutte giuste, ma solo se tenute tutte insieme. Ogni risposta disvela una parte di verità, ma la vera identità di Gesù è svelata pienamente solo quando le singole risposte sono tenute insieme. Gesù è vero Dio, certo, ma è anche vero uomo. Se il nostro modo di pensarlo mette in ombra la sua umanità siamo in errore, se mette in ombra la sua divinità siamo in errore. La verità cristiana è paradossale, mette e tiene insieme i contrari, ciò che umanamente sembra non poter stare insieme, unisce ciò che umanamente sembra opporsi. Questo destabilizza non poco e in fondo tutti, chi più chi meno, che abbiamo una fede “eretica”, cioè parziale, incapace di tenere insieme gli opposti. Gesù è “segno di contraddizione”. Comprendiamo dunque, e ci fa un po’ tenerezza, il povero Erode che si arrovella il capo per capire chi sarà mai questo benedetto Gesù. La cosa bella è che la sua domanda fa nascere in lui il desiderio di vedere Gesù: “E cercava di vederlo”. Quel poco di buono di Erode, cerca di vedere Gesù! E noi, non così malevolmente astuti e moralmente discutibili come lui, abbiamo il desiderio di vedere Gesù? Desideriamo un incontro ravvicinato con Lui? Ci accontentiamo di conoscerlo per sentito dire o vogliamo notizie di prima mano, vogliamo vedere con i nostri occhi e ascoltare con le nostre orecchie? Dobbiamo confessarlo, la nostra fede il più delle volte non si basa su una esperienza personale di Gesù. Nella sua Parola, nei suoi sacramenti, nei fratelli, lo abbiamo davvero incontrato, abbiamo incontrato proprio Lui? È mai entrato nei nostri cuori, abbiamo dimorato con Lui ed Egli con

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noi? Forse è tempo di fare un po’ di chiarezza!…È PREGATA

O Padre, che hai mandato in mezzo a noi il figlio tuo unigenito, l’Amato, conduci anche noi sul santo monte, perché contemplandolo trasfigurato possiamo cogliere la pienezza della sua umanità e la ricchezza della sua divinità, possiamo aderire con gioia al suo Vangelo e eleggerlo come nostro maestro, amico e modello. Amen.

…MI IMPEGNAMi abituerò a leggere e a meditare ogni giorno il santo Vangelo per conoscere il Signore Gesù e incontrarlo nella sua Parola e poter rendere ragione della mia fede e della mia speranza.

Venerdì, 25 Settembre 2020Sant’Aurelia e Neomisia, vergini

Liturgia della ParolaQo 3,1-11; Sal 143; Lc 9,18-22

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi

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dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».…È MEDITATA

Lo abbiamo già accennato commentando il brano evangelico di ieri: la personalità di Gesù è poliedrica. A Pietro, che alla domanda, “ma voi chi dite che io sia?”, risponde non per virtù propria ma per rivelazione divina, Tu sei “il Cristo di Dio”, Gesù sente il bisogno di aprirgli gli occhi, affinché non cada nel tranello di una falsa interpretazione della risposta appena data. Pensare che Gesù sia il Cristo, cioè l’Unto, il Messia, l’Inviato di Dio non deve far pensare, come era opinione comune, ad un re davidico potente, forte, vittorioso, capace di sconfiggere il dominatore romano e sottomettere a sé ogni cosa, restaurando lo splendore del regno di Davide e riportando in auge i tempi migliori del popolo eletto. Gesù ci tiene a precisare e lo fa spesso, a scanso di equivoci, che la sua messianicità è di altro genere. Egli, come ha cantato il profeta Isaia, è il servo di Dio sofferente, che si fa carico dei peccati del popolo, che sarà rifiutato dai capi e dai sacerdoti, che sarà ucciso fuori di Gerusalemme come il capro espiatorio. Dio però avrà in serbo per Lui una salvezza potente. Il fallito diverrà il Vincitore; il maledetto, il Giusto nel cui nome c’è salvezza; l’ucciso, il Risorto e il Vivente; il reietto, il Primogenito di un popolo redento. Tutto questo i discepoli non devono riferirlo ad alcuno, sarà svelato al tempo opportuno. Ma forse neppure i discepoli comprendono quello che Gesù sta dicendo. Pietro, lo sappiamo da un altro passo del vangelo, pensa in cuor suo che tutto questo non dovrà mai accadere a Gesù, e quando avrà il coraggio di dirglielo sarà chiamato “satana” da Gesù stesso e invitato a mettere da parte i suoi criteri per accogliere i progetti di Dio. Giuda, forse proveniente da circoli che aspettavano un Messia politico, probabilmente si sente tradito nelle sue aspettative. Poco

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congruenti dovevano apparire le parole di Gesù ai discepoli che, come Simone lo zelota, avevano fatto parte del gruppo dei nazionalisti insurrezionisti contro il potere romano. Insomma, ciò che Gesù dice di sé è davvero duro da digerire, come apparirà evidente nel brano evangelico di domani.

…È PREGATAO Padre, per il tuo Figlio fatto carne avrei potuto pensare una via di successo, di gloria, di onori, di potere e invece hai scelto una via di debolezza, di mitezza, di umiltà. Lui non considerò la sua uguaglianza con Te come un tesoro geloso ma spogliò se stesso fino alla morte e alla morte di croce. Concedici di comprendere che la croce non è il capolinea, ma la via che conduce alla luce. Amen.

…MI IMPEGNAPrenderò tra le mani il crocifisso e lo porterò al cuore, per sentire l’infinito amore che Dio ha per me.

Sabato, 26 Settembre 2020Santi Cosma e Damiano, martiri

Liturgia della ParolaQo 11,9-12,8; Sal 89; Lc 9,43-45

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

…È MEDITATA“Essi però non capivano queste parole”. Riprendiamo il filo della meditazione di ieri. No, i discepoli non sono stupidi o

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ignoranti e neppure duri di mente. Non sono questi i motivi della loro incomprensione. Essi non capiscono perché le parole di Gesù contraddicono ciò che è stato insegnato loro, ciò che tutti pensano. Contraddice il desiderio e l’attesa di tutto il popolo ebraico che da secoli aspettava il Messia, il discendente di Davide che avrebbe risollevato le sorti del suo popolo. L’umiliante situazione del popolo soggiogato al dominio dei non circoncisi, sarebbe stata capovolta. La sorte sarebbe stata mutata come ai tempi della regina Ester, le cui gesta il popolo cantava nella memoria grata nei giorni della festa di Purim. Ci sarebbe stata una nuova liberazione così come accaduto ai tempi di Mosè, quando il popolo fu tratto fuori dalla schiavitù. E ad ogni Pasqua si ravvivava il desiderio dell’avvento del Messia che avrebbe fatto giustizia al popolo e umiliato il dominatore romano. Erano già sorti in Israele alcuni che si erano presentati al popolo come Messia liberatori, avevano raccolto un gruppo di armati e ingaggiato battaglia contro i romani e nonostante avessero tutti fatto una brutta fine, l’aspettativa del popolo non si placava. Nel frattempo i sacerdoti del tempio, scendendo a patti col dominatore straniero, facevano i loro affari e il popolo li guardava con diffidenza e acredine. Anche i discepoli di Gesù respiravano a pieni polmoni quest’aria e condividevano con tutti gli altri le medesime aspettative. Quando avevano cominciato a seguire Gesù, la brace che covava sotto la cenere riprende vigore e la speranza di tempi nuovi comincia a soffiare come una brezza primaverile. Già si immaginavano il giorno della riscossa. Gesù però tarpa loro le ali. Le sue parole vanno in tutt’altra direzione. Essi lo comprendono bene, ma non riescono a con-prenderlo, ad accettarlo, a prender con sé, a far proprio il progetto di Gesù. Continuano a seguirlo, ma forse in cuor loro sperano che le cose non andranno così come dice Gesù.

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Accade anche a noi di seguire Gesù e nello stesso tempo desiderare che le cose vadano secondo una logica diversa dalla sua.

…È PREGATAO Padre, fa’ che possiamo comprendere le parole del Figlio tuo, uniformando i nostri progetti ai suoi, abbandonando le nostre logiche per assorbire la sua. Aiutaci a diventare completamente estranei alla mentalità del mondo per aderire a quella sconvolgente ed impegnativa del Vangelo. Amen.

…MI IMPEGNAMi porrò una domanda e cercherò di essere sincero nella risposta: “Seguo Gesù, ma qual è la logica che sovrintende alle mie scelte, sono davvero certo che sia la logica del Vangelo?”.

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XXVI Settimanadel Tempo Ordinario

Domenica, 27 Settembre 2020San Vincenzo de’ Paoli, sacerdote e fondatore

GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATOLiturgia della Parola

Ez 18,25-28; Sal 23; Fil 2,1-11; Mt 21,28-32LA PAROLA DEL SIGNORE

…È ASCOLTATAIn quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

…È MEDITATAC’è un elemento bizzarro nel breve brano che stiamo meditando. Gesù mette in campo due personaggi, il figlio che a parole disobbedisce, ma poi pentito compie la volontà del padre, e il figlio che obbedisce a parole ma nei fatti non compie quanto richiestogli dal padre. Ci aspetteremmo l’entrata in scena di un terzo figlio che sia a parole che con i fatti accoglie la volontà del padre e la mette in pratica. Questo sarebbe il top della perfezione, il massimo nella relazione tra padre e figlio. Ma Gesù, che in queste righe cela le vicende della storia della salvezza e, in qualche modo anche le vicende esistenziali e spirituali dei suoi ascoltatori, sa bene

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che la perfezione non è cosa di uomini, neppure quelli religiosi. Ma tra i due atteggiamenti imperfetti fa notare ai suoi uditori qualcosa di per sé evidente, ma che ai capi del popolo e agli anziani a cui si sta rivolgendo evidentemente sfugge. Loro si limitano ad una religiosità rituale, fatta di cerimonie, di preghiere, di riti, di canti, di litanie, di salmi. Proclamano i testi sacri e li commentano, ma la loro vita reale, quella concreta di tutti i giorni disattende quanto pronunciato con le labbra. È un po’ quello che pensiamo noi quando, pur credenti e praticanti, diciamo “ma gli affari sono affari”, “i sentimenti sono sentimenti”, ecc … Come a dire: “Un conto è il momento cultuale della mia giornata, questo momento obbedisce alle regole dettate da Dio, è un tempo a lui dedicato e gli appartiene; il resto della giornata è roba mia, mi appartiene, nell’ambito profano decido io secondo le mie logiche, secondo le mie opportunità e i miei interessi. Che cosa c’entra Dio in tutto questo?”. Fede e vita nella migliore delle ipotesi si lambiscono, ma non si intrecciano mai, e mai si intersecheranno perché coloro che pensano in questo modo credono di essere nel giusto. Che male fanno? Non perdono un atto di culto, le regole esteriori della religione sono il loro pane quotidiano. Il giudizio di Gesù su un tale atteggiamento è negativo. Per contro ci sono i pubblicani e le prostitute, questi hanno deciso che la loro vita scorrerà lontano dai binari della fede, la ristrettezza delle norme religiose non fa per loro, vogliono godersi la vita e si comportano di conseguenza. Il loro atteggiamento è speculare a quello degli anziani del popolo e dei sacerdoti e in quanto tale ugualmente riprovevole, se non fosse per il fatto che per loro, al contrario di questi ultimi, arriva il momento in cui rientrano in se stessi e toccano con mano la distanza che li separa da Dio e quanto sia inconsistente la felicità che hanno voluto costruirsi con le

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loro mani e si rendono conto che prendere le distanze da Dio non ripaga. C’è un germe di conversione che germoglia nel loro cuore. Gli altri non credono di aver bisogno di conversione, né tanto meno di pentirsi della loro condotta. Ed è così che Gesù in un altro passo del Vangelo affermerà: “C’è più gioia in cielo per un peccatore che si converte, che non per novantanove giusti che credono di non aver bisogno di conversione”. Ma poi, sì, c’è il terzo figlio, quello che in parole ed opere mostra la sua piena adesione al volere del Padre, e questo Figlio è Gesù stesso. È Lui che dobbiamo imitare, è il suo atteggiamento che dobbiamo fare nostro.

…È PREGATAO Padre, la tua grazia ci renda capaci di farci imitatori del Figlio tuo obbediente: la nostra vita, in pensieri, parole ed opere, sia conforme alla tua volontà. Il volere, l’agire, l’operare manifestino la nostra adesione piena e gioiosa al Vangelo e le nostra labbra cantino a te una lode pura e coerente. Amen.

…MI IMPEGNAFarò un esame di coscienza per vedere quale atteggiamento della mia vita è maggiormente difforme con la fede che professo con le labbra e farò di tutto per correggermi.Lunedì, 28 Settembre 2020San Venceslao, martire

Liturgia della ParolaGb 1,6-22; Sal 16; Lc 9,46-50

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti

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voi, questi è grande». Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».

…È MEDITATADue brevi detti di Gesù compongono il brano evangelico odierno. Il primo ha come protagonista un bambino; nel secondo, di fronte alla pretesa di Giovanni di impedire di fare del bene a coloro che non seguono espressamente Gesù assieme ai discepoli, il maestro risponde perentorio: “chi non è contro di voi, è per voi”. Nel primo caso Gesù insegna che il Vangelo del Regno mal sopporta la “mania di grandezza”. La logica del Regno è la piccolezza (il granello di senape). Pensando a Maria potremmo dire che Dio fa grandi cose a partire dall’umiltà, dalla piccolezza, dall’insignificanza della sua serva. Nello stesso tempo i seguaci del Regno cercano, accolgono ciò che è piccolo e di poco conto. Nell’antichità i bambini non contavano proprio nulla, a tal punto che la loro vita era appesa alla decisione del padre che poteva disporne a suo piacimento, cosa per altro evidenziata anche dal punto di vista linguistico in quanto con lo stesso termine si indicava sia il figlio che il servo. Ma proprio accogliendo ciò che agli occhi del mondo è nulla, senza diritti, né dignità, si accoglie Gesù e in Lui Dio stesso. Questa logica ciascun discepolo di Gesù deve applicarla a sé in primo luogo credendo che Dio farà cose grandi anche attraverso la propria incapacità. “Siamo come matite nelle mani di Dio” (Santa Teresa di Calcutta); in secondo luogo avendo la certezza che Dio lo si incontra nelle piccole cose: “Ciò che è stoltezza agli occhi del mondo, è sapienza agli occhi di Dio”. Il secondo detto di Gesù, ci colpisce dritti al cuore, anzi è un vero e proprio pugno nello

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stomaco, per tutti coloro, anch’io, che pensano che solo noi siamo bravi, che solo noi facciamo o possiamo fare del bene, che solo a noi è concesso fare gesti di liberazione e offrire dignità alle persone. Non possiamo riconoscere a chi non è dei nostri la possibilità di fare del bene, il bene è nostro appannaggio, nostro diritto, appartiene solo a noi, a noi solo. All’infuori di noi non c’è salvezza. Questo è un privilegio acquisito. A quanto pare Gesù la pensa diversamente. Ci sono molti modi di seguire Gesù. Anche coloro che non lo seguono dentro il sacro recinto della Chiesa, possono essere mediatori di salvezza e di dignità per gli altri. La salvezza non è “cosa nostra”; chiunque, ovunque ama, fa del bene ed è da Dio. E tutto ad un tratto ciò che credevamo un privilegio acquisito ci è strappato di mano.

…È PREGATAO Padre, fa’ crescere in me la consapevolezza che donandoti anche solo la mia piccolezza, Tu puoi operare grandi cose. Fa’ che io non vada cercando “cose grandi, superiori alla mie forze”, ma che nelle piccole cose di ogni giorno possa incontrare la grandezza del tuo amore. Allarga il mio cuore affinché non veda in chi non è dei nostri potenziali concorrenti o nemici, ma possibili collaboratori per l’avvento del Regno. Amen.

…MI IMPEGNARifletterò qualche istante e cercherò, tra le tante, una piccola cosa: un atteggiamento, un gesto, un modo di fare, semplice e quotidiano che possa diventare il luogo nel quale incontrare il Signore e da cui partire per una grande avventura spirituale.

Martedì, 29 Settembre 2020SANTI MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE, arcangeli

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FestaLiturgia della Parola

Dn 7,9-10.13-14; Sal 137; Gv 1,47-51LA PAROLA DEL SIGNORE

…È ASCOLTATAIn quel tempo, Gesù, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

…È MEDITATA“Stare sotto il fico”, come “scendi dal pero”, sono modi di dire che rimandano ad un significato ben preciso. Il secondo ci è più familiare. Lo utilizziamo quando vogliamo dire a qualcuno di non essere troppo credulone, di cambiare il proprio atteggiamento a nostro avviso troppo campato per aria, di rendersi conto che i suoi pensieri e i suoi atteggiamenti sono fatti di illusioni e lo invitiamo a mettere i piedi per terra, ad essere più concreto. È evidente che non c’è nessun pero da cui scendere. È una metafora. Allo stesso modo “stare sotto il fico”, era per gli ebrei un modo di dire. Lo si diceva di coloro che erano abituati a passare molto tempo all’ombra della divina rivelazione a scrutare le Sacre Scritture. Scrutare le Scritture non significava solo comprenderle, ma anche gustarle, assaporarne la dolcezza come e ancor più di quella di un fico. Scrutare le Scritture significava già godere in anticipo dei beni messianici e della libertà di coloro che, non solo fisicamente, ma con il cuore e la mente, con l’obbedienza e l’osservanza della Parola del Signore avevano di diritto

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dimora nella terra promessa in cui scorre latte e miele, in cui si gode dei frutti della vite, dell’olivo, del fico. Di Natanaele Gesù conosce la vita nascosta, l’intimo desiderio del suo cuore, l’assiduo, silenzioso, riflessivo contatto con la Parola. Gesù sapeva che a Natanaele, ogni volta che aveva le Scritture tra le mani, ardeva il cuore che si infiammava nel desiderio di vedere realizzate le promesse fatte da Dio agli antichi padri. Gesù sapeva che il contatto cordiale con le Scritture metteva il cuore di Natanaele in cammino verso l’incontro. Certo, Natanaele mai avrebbe pensato che l’incontro atteso e da lungo tempo preparato da Dio fosse con un insignificante Galileo, con un poco qualificato nazareno. È risaputo che dalla Galilea non può venire niente di buono, tanto meno il Messia. Ma quando, condotto da Filippo, Natanaele si trova dinnanzi a Gesù, si sente messo a nudo, si sente conosciuto nel profondo: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Avrà pensato: “Questo profeta di Nazareth ha l’occhio di Dio, scruta i cuori”. «Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!», dice. Natanaele fa una esperienza singolare, quella che dovrebbe fare ogni credente: mentre legge le Scritture percepisce che accade il contrario. La Parola non la si legge, ma dalla Parola si è letti. E quando si è letti dalla Parola, non si può che dichiarare la resa.

…È PREGATAO Padre, a Te non è nascosto il desiderio del mio cuore, donami di amare la Scrittura perché chi ignora la Scrittura, ignora Cristo tuo Figlio. E tra le sillabe della Parola fa’ che io incontri Gesù, mio Maestro e Signore, il re di Israele, tuo Figlio mandato nel mondo per la nostra salvezza. Amen.

…MI IMPEGNAMi impegnerò a leggere qualche riga del Vangelo ogni giorno,

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a ripeterla con il cuore e con la mente, a gustarla, a comprenderla, a farla diventare luce al mio cammino, criterio di ogni mia scelta.

Mercoledì, 30 Settembre 2020San Girolamo, sacerdote e dottore della Chiesa

Liturgia della ParolaGb 9,1-12.14-16; Sal 87; Lc 9,57-62

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, mentre camminavano per la strada, un tale disse a Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

…È MEDITATAIl brano evangelico che abbiamo sotto mano e che siamo chiamati a portare al cuore, ci riferisce tre brevissimi aneddoti che hanno a che fare con la sequela. L’atteggiamento e l’insegnamento di Gesù, in ciascuno dei tre casi, fanno emergere la radicalità totalizzante per il Regno come elemento distintivo della sequela: niente e nessuno possono reggere al suo confronto, tutto deve passare in secondo piano come una specie di dissolvenza cinematografica. Ci soffermiamo sul primo aneddoto. A quel tale che con entusiasmo dice a Gesù: “Ti seguirò dovunque tu vada”, il maestro risponde secco, quasi a voler distogliere quel tale dal

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suo proposito: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». Ciò che Gesù butta in faccia al suo entusiasta interlocutore non è l’estrema esigenza di povertà che la sequela comporta, e neppure l’inevitabile sradicamento di colui che si fa missionario del Regno. Questi aspetti, certo sono da tenere in considerazione. Credo però che l’accento, Gesù, lo voglia mettere su altro. Gesù dice chiaro e tondo che lui a differenza delle volpi e degli uccelli non ha né tane, né nido. Entrambi, la tana e il nido, sono luoghi di rifugio, di protezione, luoghi in cui è facile “accasarsi” per goderne il calore e la sicurezza. In senso figurato potrebbero alludere a tutto ciò che permette una vita tranquilla e accomodata, una esistenza avvolta da affetti rassicuranti. La tana e il nido sono una sorta di paradiso terrestre in cui godere piamente e con molta devozione dell’afflato religioso e spirituale, lontano da situazioni destabilizzanti, imbarazzanti e distraenti. Tane e nidi sono ben lontani da trincee e campi di battaglia, da luoghi condivisi e contesi nello stesso tempo. Gesù non vuole che i suoi discepoli si rintanino e si annidino nelle sicurezze del sacro, nel calore di relazioni omogenee, nella certezza accomodante di ambiti senza contenzioso e senza contraddittorio. Egli vuole stanare e snidare i credenti che in ogni tempo vivono la propria fede nei salotti, in una cerchia ristretta. Gesù mal sopporta i circoli chiusi, e mette per strada chiunque voglia seguirlo. Il discepolo è indifeso, ma proprio per questo libero; non cerca sicurezza e proprio per questo non è necessario che scenda a compromessi. Quanti cristiani vivono rintanati, capaci solo di professare la propria fede nel chiuso delle chiese, del tutto inetti a dare la propria testimonianza per le strade e nelle piazze, nei luoghi di lavoro e di svago, là dove si fa politica e si amministra la cosa

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pubblica. Quanti cristiani annidati a mormorare rosari e non solo, ma ben lontani dal voler contribuire alla costruzione di un mondo migliore scendendo nella mischia assumendosi l’onere della militanza.

…È PREGATASignore Gesù, tu hai abbandonato il tuo posto nel seno del Padre per venire nel mondo e assumere il peccato dell’uomo; Tu sei passato per le vie della Palestina sanando e beneficando molti; Tu non hai cercato sicurezze e protezioni ma ti sei consegnato nelle mani degli uomini ed essi hanno fatto di Te ciò che hanno voluto; aiutaci a non considerare un tesoro geloso le nostre sicurezze, ma rendici capaci di perdere tutto per il bene del mondo che Tu hai amato e servito fino alla croce. Amen.

…MI IMPEGNACercherò di capire quali sono le mie tane e i miei nidi da cui il Signore mi chiede di uscire. A Lui chiederò la forza di farlo.

OTTOBRE

Giovedì, 1 Ottobre 2020Santa Teresa di Gesù bambino, vergine e dottore della Chiesa

1° giovedì del mese: preghiera per le vocazioniLiturgia della Parola

Gb 19,21-27; Sal 26; Lc 10,1-12LA PAROLA DEL SIGNORE

…È ASCOLTATAIn quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non

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portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il Regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il Regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città»

…È MEDITATASodoma è la città inospitale per eccellenza. Passata alla storia per il peccato di sodomia, in realtà, la sua vera colpa è stata l’aver infranto la sacra legge dell’ospitalità che era un patto non scritto tra i popoli mediorientali dell’antichità. I tre misteriosi personaggi che giungendo in città sperimentano tutta l’ostilità di quella gente, ostilità talmente sprezzante da giungere al tentativo di abuso, trovano accoglienza e rifugio nella casa di Lot. L’atteggiamento dei cittadini di Sodoma è un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio e la città è destinata alla distruzione, perché chi non è ospitale non è degno di vivere. Questo episodio resterà di monito per le generazioni successive e il suo eco giunge fino al tempo di Gesù che lo evoca nel momento in cui, dando istruzioni ai suoi discepoli di come devono comportarsi nella loro attività missionaria, li pone di fronte alla possibilità che né loro, né il loro annuncio trovino accoglienza dappertutto. Che una città che non accoglie l’annuncio della prossimità del Regno, nel giorno del giudizio, sarà trattata più duramente di Sodoma, la

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dice lunga sul valore che Gesù conferisce all’accoglienza del Regno. Essere indifferenti o peggio ostili al suo annuncio pone coloro che compiono il “gran rifiuto” nella stessa condizione di chi ha visto cadere su di sé fuoco e zolfo. La triste memoria di quella città viene posta come un marchio disonorevole, un’onta indelebile su tutti coloro che si chiudono ad un Dio che offre la prossimità del suo amore come dono di vita. Chiunque si chiude alla vita si condanna alla morte. Chi non apre il cuore all’ospitalità si condanna all’esclusione. Chi rifiuta i messaggeri di Dio invoca su di sé una condanna peggiore di quella toccata in sorte a Sodoma. Noi ci riteniamo tra coloro che hanno aperto la porta all’annuncio del Regno. Ma abbiamo davvero aperto la porta del cuore? Questo annuncio ci lambisce o ci pervade? Ci sfiora o ci compenetra? L’annuncio del Regno ha messo radici così forti in noi tanto da essere capaci di compiere gesti di accoglienza nei confronti di ogni uomo e di ogni donna che bussa alla porta di casa e vedere in loro la visita di Dio? Oppure anche per noi gli stranieri sono stranieri e non meritano né rispetto, né accoglienza? Ricordiamo il monito di Sodoma: chi non è ospitale non è degno di vivere.

…È PREGATAO Padre, apri il nostro cuore perché possiamo accogliere la tua Parola e coloro che ce la annunciano. Allarga le nostre braccia perché possiamo abbracciare tutti coloro che cercano rifugio, sicurezza, dignità, conforto, pace, pane e lavoro. Fa’ che nessuno si debba mai sentire straniero in mezzo ai cristiani, perché tutti siamo in questo mondo stranieri e pellegrini in cammino verso l’unica casa del Padre. Amen.

…MI IMPEGNAAvrò un occhio di predilezione e di benevolenza verso coloro che vengono da altrove, nella certezza che sono messaggeri

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che annunciano la prossimità del Regno di Dio che si realizza attraverso gesti concreti di accoglienza.

Venerdì, 2 Ottobre 2020Santi Angeli Custodi

Liturgia della ParolaEs 23,20-23; Sal 90; Mt 18,1-5.10

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?». Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me. Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».

…È MEDITATALa domanda “Chi è il più grande?” di tanto in tanto fa capolino nel Vangelo. “Chi è il più grande tra noi?”, si domandano i discepoli; chi più grande nel Regno dei cielo? chi più grande tra i nati di donna? A ben vedere è una domanda che cozza con la logica del Vangelo e ogni volta che affiora la ricerca del più grande, Gesù si affretta a parlare di servizio, di piccolezza, di bambini, come a dire che di dare diritto di cittadinanza, nel Vangelo, alla mania di essere più grande, non se ne parla nemmeno. Sono passati duemila anni circa dal primo annuncio del Vangelo e la questione è ancora aperta, e il

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diniego di Gesù è ancora attuale, e il dovere di farci i conti sempre valido. Il trascorrere del tempo non sembra aver fatto sfumare dal cuore dei cristiani l’atavico carrierismo, né la propensione alla scalata religiosa. Il farsi largo, spesso sgomitando, conquistare un gradino più alto sembra ancora essere lo sport preferito di tanti cristiani che per il resto sonnecchiano comodamente sdraiati sul divano. Ai cristiani di ieri, di oggi e di sempre, Gesù risponde sempre allo stesso modo, in maniera quasi ossessiva, e nessuno in tutto questo tempo è riuscito a fargli cambiare idea: “Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”. Un bambino è senza valore, senza diritti, senza aspettative. Un bambino, più che grande, è chiamato a diventare adulto, più che importante deve diventare maturo, più che pensare di diventare superiore deve apprendere l’arte di divenire se stesso in modo unico e irripetibile e soprattutto autentico. Pur crescendo in età, sapienza e grazia, deve come Gesù custodire il cuore da fanciullo nella capacità di fidarsi e di affidarsi, nella consapevolezza che tutto gli è dato più che come diritto, come dono. Dovrà non perdere lo stupore e l’incanto dinnanzi al mondo e, più che tramare strategie per acquisire potere, dovrà essere maestro di meraviglia, più che fare il saputello, credendo di aver trovato una risposta per ogni domanda, continuerà nel tipico esercizio dei fanciulli che è quello di porsi domande in continuazione, aggiungendo domanda a domanda quasi in un moto perpetuo. Coloro che hanno diritto di cittadinanza nel regno di Dio non possono che essere così. Altre modalità sono spurie, “farlocche”, ingannevoli. L’esperienza dell’infanzia spirituale, insegnataci da Santa Teresa del Bambin Gesù, conserva tutta la sua attualità e il suo sapore prettamente evangelico. In essa dovremmo esercitarci con maggior impegno e più assidua

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costanza.…È PREGATA

O Padre, donami di non andare in cerca di cose grandi superiori alle mie forze, ma di essere come un bambino tra le braccia della madre Chiesa e di gustare in pienezza come sia vero che il Regno di Dio è per coloro che sanno restare bambini nel cuore. Amen.

…MI IMPEGNOPuò capitare di essere tenuti in poca considerazione, messi da parte, e altri preferiti a noi. Non ne farò un motivo di tristezza, né tanto meno di rancore, ma una occasione in cui esercitare la virtù dell’umiltà.

Sabato, 3 Ottobre 2020San Gerardo di Brogne, abate

Liturgia della ParolaGb 42,1-3.5-6.12-16; Sal 118; Lc 10,17-24

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il figlio e colui al quale il figlio vorrà rivelarlo». E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò

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che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

…È MEDITATANon è raro sentire affermare da qualche sedicente profeta o veggente che quello che stiamo vivendo è il tempo di Satana, o che Dio metterà il mondo, anche solo per un tempo determinato, sotto la signoria del principe delle tenebre, o ancora che Satana ha ingaggiato la sua ultima battaglia contro l’umanità e in particolar modo contro i credenti per portarli all’apostasia. Il violento antagonismo tra i figli della luce e il principe delle tenebre e i suoi seguaci è stato un tema ricorrente in tutta la storia della Chiesa, soprattutto in momenti particolarmente bui. Non vi è dubbio che “il Regno di Dio subisce violenza” e che il male è sempre accovacciato alla porta del cuore dell’uomo per sferrare il suo attacco. Queste affermazioni però non devono assolutamente far pensare che si è in balia del male e del suo signore. Il male certo si manifesta e cerca tutte le strade possibili per azzannare l’uomo. Ma non ci è lecito pensare che Dio voglia o permetta che i suoi figli siano dati in pasto a Satana o che conceda a lui un tempo per spadroneggiare a suo piacimento. L’avvento di Cristo, la sua Pasqua ha segnato la sconfitta definitiva del male. Non ancora la sua completa cancellazione, ma certo la sua incapacità di nuocere. Il male è stato sconfitto, è stato incatenato e, certo, a Dio non passa neppure per l’anticamera del cervello di scioglierlo perché possa nuocere davvero ai suoi figli. Il drago rosso con sette teste e dieci corna esiste e, come racconta il libro dell’Apocalisse, si para davanti alla donna vestita di luce e partoriente (la Chiesa e i figli da lei messi al mondo nella fede) per sbranarla assieme al frutto del suo grembo, ma entrambi vengono messi in salvo da Dio. Il

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male esiste, può farci paura, ma non ha nessun potere su di noi se Dio è con noi e noi con Lui. La testa del serpente, come visivamente ci rammentano le statue dell’Immacolata, è stata schiacciata dalla discendenza della Donna, cioè dal Messia. Della vittoria dei figli della luce su satana, se ne rallegra Gesù stesso: “Vedevo satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi”. Questa visione realisticamente ottimista del Signore Gesù non può essere dimenticata, né mistificata. Il terrorismo spirituale non può in alcun modo appartenere ai missionari del Vangelo, né ai discepoli di Cristo. Un terrorista spirituale che in ogni calamità vede il castigo di Dio o lo strapotere di satana non è un vero profeta, né un uomo di fede. Sappiamo che ogni giorno dobbiamo combattere contro il male presente in noi e fuori di noi, ma “se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”. Non dobbiamo aver paura: Cristo Gesù ha vinto il principe di questo mondo.

…È PREGATAO Padre, liberaci dal male, liberaci anche dalla paura del male. Fa’ risuonare ancora e sempre nel nostro cuore quanto Gesù più volte ha detto ai suoi: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Col vigore dei tuoi sacramenti e la potenza della tua Parola la nostra vittoria contro il principe del male e il padre della menzogna sarà certa, e nei giorni della battaglia, tu, o Padre, ponimi all’ombra delle tue ali. Amen.

…MI IMPEGNANon darò credito hai profeti di sventura, né ai terroristi spirituali, non sarò il loro megafono, ma nella fede avrò una visione positiva ed ottimistica della storia che Dio continua a tessere per il bene dell’umanità. Là dove c’è paura porterò la gioia e la sicurezza della fede.

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XXVII Settimanadel Tempo Ordinario

Domenica, 4 Ottobre 2020San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia

Liturgia della ParolaIs 5,1-7; Sal 79; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

…È MEDITATAUna certa teologia e una certa predicazione ci hanno abituato a interpretare la redenzione come espiazione. Siccome il peccato di Adamo ha offeso Dio, era necessario che qualcuno

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cancellasse questa offesa e ristabilisse una nuova relazione “pacifica” tra Dio e l’umanità, e Dio tornasse a mostrare con benevolenza il suo volto placato verso l’umanità. Siccome nessun sacrificio, nessuna offerta, nessun olocausto compiuto dall’uomo sarebbe mai riuscito nell’impresa, in quanto l’offesa fatta a Dio era una offesa infinita, e l’uomo, pur con tutta la buona volontà non riesce a compiere nulla di infinito, era necessario che il sacrificio di espiazione fosse compiuto da qualcuno che avesse un potere infinito. Per tale motivo il Figlio di Dio viene nel mondo e si fa uomo. Il sacrificio compiuto da Cristo ottiene il risultato sperato di cancellare l’offesa fatta a Dio. In quanto uomo agisce per conto e a favore dell’umanità, in quanto Dio ciò che compie ha un valore davvero infinito capace di cogliere nel segno e ristabilire una nuova alleanza tra Dio e l’umanità peccatrice. Da quanto detto qualcuno non ha esitato a pensare che la passione e la croce siano state pensate e volute da Dio Padre e che la sofferenza di Gesù fosse stata messa in conto e permessa da Lui come l’unica via di uscita perché si realizzasse la redenzione. È come se Gesù avesse pagato a Dio il prezzo per la nostra salvezza eterna. Da qui l’emergere di un volto perlomeno sospetto di Dio e la difficoltà di molti di crederlo Padre e non patrigno. Nel brano evangelico odierno Gesù sembra avere un’altra opinione a riguardo. L’immagine della vigna in tutta la Scrittura rappresenta il popolo di Dio, di cui Dio si prende cura prima personalmente: “La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre”, poi per interposta persona “la diede in affitto a dei contadini”. Nel racconto parabolico questi contadini sono coloro che si sarebbero dovuti mettere a servizio del popolo: re, sacerdoti, scribi per far fruttificare il popolo e presentare a Dio, al tempo opportuno, i frutti di bene prodotti dal popolo stesso. Ma costoro, la Bibbia ne parla

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spesso, hanno preferito pascere se stessi, fare i propri interessi, ed appropriarsi di ciò che Dio aveva dato loro in gestione. Al tempo opportuno il padrone della vigna manda i suoi servi, i profeti, perché gli venisse consegnato il dovuto, ma i vignaioli “presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo”. A questo punto, non ottenendo nulla, Dio manda loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Il pensiero di Dio è che almeno del proprio Figlio avranno rispetto. Il suo è un gesto di speranza, della quale si assume anche il rischio. I contadini “visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero”. Chi decide la morte del Figlio non è il Padre, ma i contadini. Gesù legge la propria passione non come un desiderio del Padre, ma come il violento rifiuto da parte degli uomini dell’ennesima offerta d’amore di Dio. Dinnanzi al Figlio crocifisso Dio non è placato, ma offeso, Dio non è “soddisfatto” ma riceve un colpo al cuore. Vedendo, però, il Figlio che accetta la morte come massima espressione d’amore, accogliendo tra le sue braccia Gesù, in lui accoglie umanità l’intera, quell’umanità di cui il Verbo si era rivestito. È l’amore che espia il peccato, non la sofferenza. Ma anche in questo caso il verbo “espiare” sembra fuori luogo, perché nella passione di Gesù l’amore non viene solo dato a Dio, ma da Dio ricevuto. Il dinamismo della Pasqua vive anzitutto di un movimento discendente: dal cielo alla terra, da Dio all’umanità. Nel segno della croce, se da una parte vediamo l’ostinazione dell’uomo nel peccato, dall’altra contempliamo l’ostinazione di Dio nell’amore. La Pasqua è un perdono che da Dio viene a noi gratuitamente. Ci viene riversata in grembo una vita copiosa offerta senza alcun

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nostro merito. Si tratta di quella vita nuova che si manifesterà in modo sorprendente nella risurrezione.

…È PREGATAO Padre, non avevi bisogno che qualcuno placasse la tua ira, perché dinnanzi al peccato dell’uomo non hai mai fatto l’offeso. Il peccato dell’uomo ti rattrista perché vedi che l’opera delle tue mani viene deturpata, perché rimani esterrefatto dinnanzi all’uomo che cerca la morte piuttosto che la vita. Fa’ che sotto la croce mi senta amato di un amore infinito per il quale non basterà l’eternità per dirti grazie. Amen.

…MI IMPEGNAAlzerò gli occhi al Crocifisso e mi vergognerò per tutte le volte che ho rifiutato l’amore di Dio. Lo contemplerò con le lacrime agli occhi, lacrime di pentimento per il mio peccato, lacrime di gioia per l’amore gratuito di cui sono fatto oggetto.

Lunedì, 5 Ottobre 2020San Placido, monaco

Liturgia della ParolaGal 1,6-12; Sal 110; Lc 10,25-37

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, un dottore della legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli

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portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

…È MEDITATAUn comandamento, il più grande. Una parabola. Come a dire che nessuna dottrina può essere compresa e interiorizzata se non accompagnata da un esempio. L’esempio però non è solo un racconto, un aneddoto, una testimonianza, ma una pratica concreta che dà carne e visibilità alla dottrina inevitabilmente astratta. È ciò che accade in questa pagina evangelica. Alla proclamazione del comandamento più grande, amare Dio e il prossimo, antico di secoli, descritto il primo in Deuteronomio 6 e il secondo in Levitico 19, Gesù fa seguire un racconto: è il racconto della sua vita, è l’esempio dato dalla sua esistenza, è la testimonianza con la quale accompagna ogni suo insegnamento. Quel samaritano di cui si parla nella parabola è Gesù stesso, un Dio straniero, alieno, diverso dalle aspettative dei figli del suo popolo e, forse anche dalle nostre, intreccia la sua esistenza con la nostra. Egli scende da Gerusalemme, dalla città santa, dalle altezze della sua divinità per dirigersi verso la pianura di Gerico, verso il punto più basso della terra, incontra l’umanità esangue, lasciata ad agonizzare sul ciglio della storia. Non resta indifferente, ma se ne fa carico. Del

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resto proprio per questa ragione aveva lasciato la sua dimora nel seno del Padre. Gesù è un Dio attento, benevolo, pieno di compassione, non può, non ce la fa proprio a far finta di niente dinnanzi ad una umanità fragile, ferita da quel brigante del maligno, destinata a morte certa se qualcuno non se ne prende cura. Ed è ciò che fa: vede, ha compassione, si fa vicino, disinfetta le ferite, le fascia, conduce ad un luogo sicuro, dove altri continueranno a prendersi cura di chi è a rischio vita. L’apostolo ci dice che Gesù, passò in mezzo al popolo sanando e beneficando molti. E noi lo vediamo nel racconto evangelico chinarsi sulle piaghe dell’umanità sofferente, dà la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, rimette in piedi gli storpi, sana i lebbrosi, risuscita i morti, libera dallo spirito del male gli indemoniati. A tutti dona salute e salvezza. La salute fisica come espressione, manifestazione, epifania della salvezza interiore che viene dalla fede, della ritrovata dignità umana di cui la guarigione fisica è solo un aspetto e neppure il più importante. Questa è la missione del Signore Gesù, missione che egli ha realizzato egregiamente. Ora dice a noi: “Se io, il Signore e il Maestro, ho fatto tutto questo per voi, anche voi dovete fare lo stesso”. A tutti i suoi discepoli, dopo aver dato l’esempio, ripete: “Va e anche tu fa così”.

…È PREGATAO Padre, a noi discepoli del tuo Figlio, concedi di non essere come il sacerdote o il levita totalmente indifferenti dinnanzi a chi soffre nel corpo e nello spirito, ma di imitare il Signore Gesù facendoci carico di ogni fratello che si trova in difficoltà, affinché la nostra fede sia certificata dalla carità. Amen.

…MI IMPEGNAMi sforzerò di apprendere l’arte di non chiudere gli occhi dinnanzi alle miserie altrui, non girerò la testa da un’altra parte di fronte alle necessità degli altri. Imparerò l’arte della

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prossimità che si china e si prende cura di chiunque.

Martedì, 6 Ottobre 2020San Bruno di Colonia, sacerdote e monaco

Liturgia della ParolaGal 1,13-24; Sal 138; Lc 10,38-42

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

…È MEDITATAL’essere ascoltati nutre come e, forse, più del pane. A coloro che accogliamo nella nostra casa, amici di vecchia data, nuove conoscenze, persone di passaggio offriamo ogni ben di Dio affinché possano mangiare, nutrirsi, rallegrarsi delle nostre specialità enogastronomiche, tutte caserecce, fatte con le nostre mani. E l’ospite gradisce, si rincuora, si rinfranca: il pane sostiene il suo vigore, il vino allieta il suo cuore. Offrire cibo, soprattutto dalle nostre parti, è il primo pensiero, la preoccupazione più grande, perché offrire cibo significa offrire vita. Ma non di solo pane vive l’uomo. Oltre ad aver necessità di alimenti e di bevande ogni uomo ha bisogno di essere ascoltato. Ha una storia che richiede di essere narrata e ascoltata con attenzione. Constatare che la propria storia interessa a qualcuno dà la certezza di esistere, di valere

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qualcosa, di essere importante per gli altri, almeno per coloro che hanno la bontà di dar retta. Nel racconto, ciascuno si racconta, esprime i propri valori, i propri ideali, ciò che gli sta a cuore, ciò che gradisce condividere con altri. La parola serve per gettare in mezzo progetti e prospettive; serve per mettere in gioco se stessi e gli altri; serve per trovare compagni di avventura, collaboratori per sogni da far diventare realtà. Spesso però accade che nel mentre rimpinziamo i nostri ospiti con ogni genere di specialità, non prestiamo ascolto alle loro parole e le lasciamo cadere nel vuoto. E se ne andrà l’ospite con la pancia piena e il cuore insoddisfatto. Anche Gesù, stremato dal viaggio, entrando nella casa di Betania, ha bisogno di alimenti e di bevande a ristorare la sua fame e la sua sete, ma nello stesso tempo chiede che qualcuno lo ascolti e accolga nel cuore ciò per cui lui sta donando la sua vita. Marta provvede a riempire lo stomaco, Maria a soddisfare il cuore. Queste due sorelle, con l’atteggiamento e la preoccupazione di cui sono simbolo, in noi non devono mai essere disgiunte. A coloro che varcano la porta di casa dobbiamo offrire una mensa imbandita e un cuore accogliente, affinché ogni ospite dalla mensa possa prendere, al cuore possa dare. Anche questa è una lezione che ci viene dalla casa di Betania, dove Marta serviva e Maria ascoltava.

…È PREGATAO Padre, Tu ci doni Pane e Parola perché possiamo gustarti nel primo e ascoltarti nella seconda. Insegnaci a condividere il pane quotidiano e a tendere l’orecchio alle parole di ogni fratello. Amen.

…MI IMPEGNAQuando invito qualcuno a casa, non mi preoccuperò solo di cosa offrirgli, ma dedicherò tempo ad ascoltarlo con attenzione.

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Mercoledì, 7 Ottobre 2020Beata Vergine Maria del Rosario

Liturgia della ParolaGal 2,1-2.7-14; Sal 116; Lc 11,1-4

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione».

…È MEDITATALa preghiera insegnata da Gesù ai suoi discepoli, preghiera originaria e originale, preghiera per tutti e per sempre, preghiera immutabile ed eterna, preghiera semplice e completa, non è solo una formula devota da recitarsi piamente e con attenzione. Essa è una sorta di litania che sgrana le parole fondamentali della fede cristiana, parole simboliche, parole che assorbono in sé un universo di pensieri e di ideali, parole che esplodono in una fantasmagoria di caratteristiche che contribuiscono a fare il cristiano. Parole chiavi, sono pronunciate con parsimonia una dopo l’altra a mettere in scena la sintesi di tutto il Vangelo: Padre, Nome, Regno, Pane, Perdono, Protezione (non abbandonarci), Prova (tentazione). Manca nella versione di Luca la parola Volontà, presente invece nella redazione di Matteo. In queste sette parole si riassume tutta la nostra vita, l’esistenza credente, il cammino di discepolato, addirittura la stessa storia della

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salvezza. Queste parole sono come pietre miliari che indicano il cammino, sono come i piloni che sorreggono le arcate dei ponti. Tutto parte e si consuma in queste parole. Non si può non fare i conti con esse. Con esse regge o cade la nostra esperienza spirituale. È geniale che queste parole vanno a costituire una formula di preghiera perché la loro costante ripetizione permette di scavare in noi i solchi necessari e indispensabili; la continua ripetizione permette a queste parole di mettere radici in noi per far germinare nella nostra vita il Vangelo così da farlo fruttificare. Queste parole ci narrano di Dio e ci dicono di noi, in queste parole noi e Dio possiamo incontrarci e parlare lo stesso linguaggio. E non è poco. Ogni singola parola andrebbe spremuta fino a farne uscire tutto il succo e forse non basterebbe una vita a concludere l’impresa. Il “Padre nostro” è anche scuola di preghiera. Ogni preghiera cristiana, dovrebbe avere le stesse caratteristiche, lo stesso andamento, le identiche preoccupazioni, gli stessi atteggiamenti. A semplice titolo esemplificativo: non c’è preghiera cristiana che possa essere concepita al di fuori di un rapporto profondamente filiale con Dio riconosciuto e amato come Padre. Allo stesso modo il “Padre nostro” è scuola di discepolato. Ad esempio non c’è vero cammino di sequela senza mettere in cima ai propri desideri l’avvento del Regno. E così di seguito. Il “Padre nostro” è una vera miniera, da esso possiamo estrarre cose nuove e cose antiche, sempre comunque preziose.

…È PREGATAO Padre, insegnaci a pregare senza sprecare tante parole come fanno i pagani, senza la farisaica intenzione di essere lodati dalla gente. Dacci un cuore puro che tema il tuo nome perché possiamo fare della preghiera una vita e della vita una preghiera. Amen.

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…MI IMPEGNAMi abituerò a recitare il Padre nostro con calma, intervallando le singole richieste con qualche istante di silenzio. Di tanto in tanto mi soffermerò su una delle sette domande del “Padre nostro” per meditarle singolarmente e farle diventare alimento della mia vita spirituale.

Giovedì, 8 Ottobre 2020Santa Pelagia di Antiochia, penitente

Liturgia della ParolaGal 3,1-5; Cant. da Lc 1,68-75; Lc 11,5-13

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai discepoli: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

…È MEDITATA“Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”. Un amico, si rivolge ad un amico, perché è arrivato da lui un amico. La relazione tra l’uomo e Dio è una storia di amici, è una relazione di amicizia.

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È folgorante questa immagine, che va ad aggiungersi alla definizione di Dio come Creatore, Padre, Sposo, ecc. La tradizione liturgica orientale usa spesso invocare Dio con l’attributo “Amico dell’uomo”. È dolce oggi sentire questa parola, che è una delle parole più belle che gli uomini hanno custodito per indicare la relazione più bella che può intercorrere tra di loro e vederla intrecciarsi tra tre personaggi. La parola “amico”, ha a che fare con il verbo amare. È anche per questa ragione che, sempre la tradizione orientale, chiama Dio “Amante dell’uomo”: se è Amico, non può che essere Amante. Una storia di amicizia dunque, descrive il rapporto che intercorre tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e Dio. Oggi sembra scontato, ma nella storia delle religioni, una tale affermazione era una novità assoluta. Gli déi, dei pantheon pagani, erano divinità che poco si relazionavano con gli uomini. Se lo facevano era per entrare con loro in competizione, dare sfogo alla loro ira, alla loro gelosia, ai loro più disparati capricci. Per questa ragione la virtù di religione, con i riti annessi e connessi, era finalizzata a placare la divinità, a captare la sua benevolenza, a rendersela propizia a costo di innumerevoli sacrifici anche umani. Gli déi non erano naturalmente ben disposti nei confronti dell’umanità, bisognava conquistarsi la loro amicizia. Gesù invece ci dice che il Padre suo è naturalmente ben disposto nei confronti dell’umanità e non solo di quella parte di umanità buona, pia e riverente nei suoi confronti, ma anche verso quella parte di umanità molto meno riguardosa verso di lui. Dio è naturalmente propenso a dare, a donare, a non far mancare all’uomo tutto ciò che l’uomo chiede e lo ricolma di quanto ha di più prezioso, lo Spirito Santo, che è lo Spirito del suo Figlio, che è l’amore che lega in comunione perfetta il Padre e il Figlio. Lo Spirito è il cuore amante e pulsante della Trinità e

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viene offerto in dono a chiunque lo chiede. Dio non guarda al richiedente, ma ascolta la richiesta, ed ogni richiesta, anche del peggiore dei richiedenti, sarà soddisfatta.

…È PREGATAO Padre, Amico degli uomini, da Te viene a noi ogni dono perfetto, non farci mai mancare il dono del tuo Spirito, alito amoroso che il tuo Figlio morente sulla croce consegnò all’umanità perché sia alimentata l’esistenza di ogni vivente. Amen.

…MI IMPEGNACercherò di vivere le mie relazioni di amicizia in modo autentico e profondo, perché siano testimonianza credibile dell’amicizia di Dio nei confronti dell’umanità.

Venerdì, 9 Ottobre 2020San Dionigi e compagni, martiri

Liturgia della ParolaGal 3,7-14; Sal 110; Lc 11,15-26

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, [dopo che Gesù ebbe scacciato un demonio,] alcuni dissero: È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo. Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce

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il bottino. Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde. Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima».

…È MEDITATAIl brano evangelico che abbiamo tra le mani, è un testo composito di detti di Gesù tenuti insieme da una parola chiave che si ripete: demòni. Era questa, nell’antichità, un metodo molto usato per facilitare la memorizzazione in un tempo nel quale ancora la tradizione orale era il modo più comune di trasmettere degli insegnamenti. La relazione di Gesù con i demòni è ricorrente nei vangeli. In una società pre-scientifica dove le conoscenze mediche, psicologiche erano quasi del tutto assenti, ogni malattia, ogni disturbo mentale era ricondotto all’azione nefasta di spiriti maligni e l’esorcismo era la pratica “medica” più richiesta e più gettonata, e forse anche, in quella situazione, la più efficace. Non meraviglia dunque vedere che Gesù, taumaturgo e guaritore, è anche esorcista. Gesù, se da una parte si adegua alla mentalità del suo tempo, dall’altra comincia a far capire che non ogni malattia ha a che fare col peccato, né ogni disturbo ha a che fare col demònio. Il dubbio che i farisei vogliono, in modo subdolo, far insinuare nella mente della gente ruota attorno ad una domanda, già malevola nella sua formulazione: “Ma questo Gesù ha potere sugli spiriti del male perché è loro antagonista oppure perché è il loro capo?”. Gettare discredito su Gesù è la preoccupazione più ricorrente dei farisei, quasi il loro assillo quotidiano. Gesù metteva in questione la loro autorevolezza, mostrava i punti deboli del loro insegnamento,

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metteva a nudo la loro incoerenza, facendo crollare nella considerazione del popolo, il loro tasso di influenza e di considerazione. Gettare discredito su Gesù era l’unica reazione possibile di questi dottori della legge. Gettare discredito è ancora oggi il metodo cui si fa maggior ricorso contro i propri avversari. Lo vediamo in politica, nelle rivendicazioni sociali, nelle diatribe religiose, nelle tensioni sportive. Lo vediamo, ahimè, anche nei rapporti intra-ecclesiali. Quando non si hanno argomenti, quando non si possono mettere sul tavolo idee e valori alternativi, quando non c’è creatività di pensiero, allora si gioca al ribasso, si tirano colpi bassi, si ragiona con la pancia e si vomita addosso agli altri ogni possibile accusa, anche la meno probabile. Gesù non sta a questo gioco al massacro, dove l’unica possibilità per mantenere consenso è quello di eliminare l’avversario presentandolo poco degno di fiducia anzi come un vero e proprio impostore, ciarlatano. Gesù alza il tiro e la disputa circa il modo di scacciare i demòni, si concentra sulla presenza del Regno: “Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio”. Se il Regno è presente, se il Regno è efficace, se il Regno, in Gesù, è in azione, allora è del tutto inutile parlare di demòni e di come e con quale autorità scacciarli. Questa diventa una questione oziosa.

…È PREGATAO Padre, nel Figlio tuo hai inaugurato la presenza del Regno nel mondo. Esso è divenuto il cuore dell’umanità e il germe del mondo nuovo da cui, lo spirito del male è stato gettato fuori. Ricolmaci del tuo Spirito perché possiamo avere la forza, nel nome del Figlio tuo, di rendere inoffensivo ogni rigurgito violento dello spirito del male destinato ogni volta, per tuo volere, alla sconfitta. Amen.

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…MI IMPEGNAIl vero male è non amare. Mi impegnerò, amando, a contribuire a liberare il mondo dal dominio del principe delle tenebre.

Sabato, 10 Ottobre 2020San Daniele Comboni, vescovo

Liturgia della ParolaGal 3,22-29; Sal 104; Lc 11,27-28

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».

…È MEDITATA“Beata tua madre” dicono a Gesù, “perché gli è toccata in sorte la fortuna di avere un figlio come te”. Quella donna, la cui voce si alza tra la folla non sa che proprio quel figlio, sarà per Maria segno di contraddizione. A causa sua una spada gli trapasserà l’anima e avrà molto da soffrire proprio a motivo di quel figlio. Essere madre di Gesù, quale grazia, ma quale fatica; quale onore, ma quale peso; quale dono ma quale responsabilità; quale gioia, ma quale estrema prostrazione. Che ne sa la gente di quello che altri vivono nell’intimità del proprio cuore. La gente giudica dall’esterno, ma solo chi vive in prima persona determinate situazioni ne conosce, oltre alle più intime gioie, anche le abissali amarezze. Gesù conosce tutto questo e il rapporto unico che lo lega alla madre, e certo non mette in piazza sentimenti tanto intimi e personali. Eppure svela il segreto che la madre porta con sé fin dal momento dell’annunciazione, un segreto che Gesù vuole

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mettere a disposizione di tutti. Il segreto della madre è l’ascolto e l’osservanza. Agostino dice che Maria prima di generare nel grembo, ha generato nel cuore. Essa non solo ascolta, è ascolto. Una volta protesa a ricevere il bacio di Dio, la Parola in lei ha preso dimora, è divenuta carne. Il Verbo fatto carne porterà ormai sempre addosso qualcosa di lei. L’ascolto non solo accoglie la Parola, ma la genera; l’ascolto non solo riceve, ma pure dà. L’ascolto osserva cioè rende capaci di guardare con occhi nuovi. Osserva cioè custodisce nel cuore la Parola e la medita. Osserva cioè mette in pratica, perché la Parola diventi vita e della Parola si viva. In questo modo ciascun credente può diventare generatrice e nutrice della Parola e allora sarà beato perché avrà scoperto il segreto della vera maternità, avrà fatta sua la vera grandezza di colei che a Gesù ha offerto il suo grembo e il suo seno.

…È PREGATAO Padre, che nell’umile tua serva hai trovato un orecchio attento, un cuore accogliente, un grembo fecondo, fa’ che possiamo imitare la sua indifesa disponibilità alla tua Parola, perché anche in noi prenda carne, perché tutti possano vedere, toccare, palpare il Verbo della vita. Amen.

…MI IMPEGNAFarò lo sforzo di passare dal sentire, all’ascoltare, dall’ascoltare all’osservare, dall’osservare a gustare ogni Parola che esce dalla bocca di Dio.

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XXVIII Settimanadel Tempo Ordinario

Domenica, 11 Ottobre 2020San Giovanni XXIII, papa

Liturgia della ParolaIs 25,6-10; Sal 22; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

…È MEDITATAIl Regno di Dio è festa. Anche se gli uomini rifiutano il suo invito, Dio non rinuncia alla festa. La festa è vita, è gioia, è condivisione. La festa è tempo donato, è tempo di relazioni gratuite. La festa nutre. Abilita a vivere nel mondo in modo

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alternativo. Non esiste solo il tempo del lavoro, della fatica, del profitto. Il tempo degli affari, del guadagno, degli avanzi di carriera. Il tempo rubato a tutto e a tutti e bruciato come incenso dinnanzi all’idolo del denaro, dello status symbol, dell’eccitazione, della frenetica e sfacciata ostentazione di sé. L’umanità segue le sorti della festa, vive o muore con essa. L’umanità che rifiuta la festa, ha già la morte nel cuore, ha già scavato la sua tomba. Festa però non è orgia oscura, torva, predatoria. Festa è danza di relazioni sorridenti, di cuori lieti che sanno gioire del bene degli altri. Si fa sempre festa per qualcun altro. Chi è sempre e totalmente ripiegato su di sé non sa neppure cosa sia una festa, gli mancano gli ingredienti della festa. Qualcuno cerca di intrufolarsi nella festa senza conoscerne gli ingredienti. Entra nel salone delle feste, ma il suo cuore è spento, si unisce alla comunità festante ma ha occhi solo per sé. È presente più come curioso che come protagonista. Dio non rinuncia alla festa perché è il luogo germinativo della sua presenza. È il luogo in cui il suo amore si manifesta. La festa è epifania di Dio. Dal giorno in cui l’uomo ha deciso di prendere le distanze da Dio, ha cancellato la festa per non doverlo incontrare. È troppo rischioso lasciarsi coinvolgere dalla festa, significherebbe doverla smettere a farla da padroni ed accettare un’altra signoria, la signoria di Dio sulla nostra vita. La festa esige sempre una buona dose di espropriazione di sé, per questo è inconcepibile per una società che ha messo l’Io al posto di Dio. Non è un caso che sono quelli che vivono per strada, i poveri, (i senza fissa dimora?) ad entrare nel salone delle feste; quelli che non hanno interessi da difendere o affari da concludere. Quelli che hanno le mani libere, il cuore sgombro, la mente priva di assilli. Non perdiamoci la festa, o saremo perduti.

…È PREGATA

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O Padre, Dio festoso e festivo, Dio festante e Signore della festa non stancarti mai di far risuonare per noi l’invito a gioire con Te, a godere con Te delle nozze del tuo Figlio. Donaci di poter entrare al banchetto del tuo Regno a mani vuote, ma col cuore colmo di gratitudine, riconoscendo la tua Signoria sulla nostra vita e condividendo con ogni fratello i doni del tuo amore. Amen.

…MI IMPEGNAMi impegnerò a vivere la festa, ogni festa come incontro con il Signore della vita e non come una triste autocelebrazione che lascia sempre l’amaro in bocca.

Lunedì, 12 Ottobre 2020San Serafino da Montegranaro, religioso

Liturgia della ParolaGal 4,22-24.26-27.31-5,1; Sal 112; Lc 11,29-32

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».

…È MEDITATA“Questa generazione cerca un segno”; “Questa generazione è malvagia”. Sembra che Gesù ponga in parallelo ricerca di un

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segno e malvagità, come se ci fosse tra l’uno e l’altra una sorta di causa ed effetto: se cerchi un segno sei malvagio; se cerchi un segno sei privo di fede, hai la malizia nel cuore, hai il prurito del sensazionale, hai la curiosità del miracolo. Se cerchi un segno non ti interessa l’essenziale, ma il contorno, non il contenuto, ma il contenitore. Questa parola di Gesù mi ha sempre interpellato, e la ricerca di segni, il bisogno del sensazionale, del miracolo, delle rivelazioni e delle profezie, dei segreti svelati o solo allusivamente evocati, cercati quasi con ossessiva frenesia da molti dei nostri contemporanei, di molti che si credono e si dicono credenti, mi ha sempre lasciato pensieroso, perplesso. Risuona il ritornello “se non credi a questi segni non hai fede”; “questi segni ci sono dati per esortarci a credere”. Gesù sembra invece dire “se cerchi segni vuol dire che non credi”, “Se credi non hai bisogno di segni”. Non è il miracolo che suscita la fede, è la fede che suscita il miracolo. Come comportarci dunque? L’unico segno è Gesù, il profeta venuto a manifestare la misericordia di Dio per l’umanità peccatrice. Alla sua parola l’uomo di fede, che non si lascia irretire dalla malvagità, reagisce con dinamismo, come la regina del sud che si alza e si mette in cammino per ascoltare la sapienza di Salomone; come la popolazione di Ninive che si converte e cambia vita. Il malvagio invece resta inerte, indifferente, immobile nell’attesa di chissà quale segno da rincorrere per farne oggetto di conversazione e aver sempre e comunque l’alibi per non mettere in gioco il proprio cuore, per non mettere in discussione la propria vita. Abbiamo Gesù. Per credere e cambiare vita ci basti.

…È PREGATAO Padre, che in Cristo Gesù ci hai dato il segno del tuo amore innalzato tra i popoli e lo strumento offerto a tutti per raggiungere la salvezza, donaci di estraniarci da quella

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generazione malvagia in continua ricerca di segni sensazionali, e fa crescere la nostra fiduciosa adesione a Colui che Tu hai mandato nel mondo a rivelarci il tuo volto di Padre. Amen.

…MI IMPEGNASarò un credente essenziale, ancorato alla Parola di Dio e alla grazia dei sacramenti, tutto il resto è superfluo, a volte dannoso.

Martedì, 13 Ottobre 2020San Venanzio di Tours, abate

Liturgia della ParolaGal 5,1-6; Sal 118; Lc 11,37-41

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro».

…È MEDITATASecondo Gesù il modo migliore per pulire e purificare piatti e bicchieri, non è quello di sfregarli ben bene con spugne e detergenti e neppure di metterli in lavastoviglie. Piatti e bicchieri diventano puri, lucidi e splendenti quando siamo in grado di dare in elemosina quello che contengono. L’igiene evangelica delle stoviglie è fatta di dono, di carità, di solidarietà, di condivisione. Lo stesso vale per l’igiene personale. Hai voglia di fare bagni, docce, sciampi, abluzioni? Se non purifichi il cuore sarai sempre sporco, un immondo. È

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la cattiveria, l’avidità, l’egoismo, la superbia, l’arroganza, la mancanza di rispetto, a renderci indecenti, inavvicinabili, lerci. Se lo stesso impegno che mettiamo per curare l’esterno, lo mettessimo per prenderci cura dell’interno sicuramente vivremmo in un mondo diverso. Non dovremmo nascondere con il trucco il rossore della vergogna che ci si stampa in volto a motivo delle nostre nefandezze. Non dovremmo cercare di nascondere con profumi il cattivo odore delle nostre inconfessabili meschinità. Viviamo nella società della cosmesi perché incapaci di buone azioni che profumano; di buone parole che abbelliscono; di gesti semplici e genuini intrisi d’amore che illuminano il volto. Abbiamo bisogno di rimedi artificiali, perché ormai privi di quelli naturali che sgorgano copiosi da un cuore buono. Gesù prima di sedersi a tavola non si lava le mani fino al gomito secondo le buone usanze del galateo del suo tempo. Eppure dal suo cuore sgorga un fiume in piena di bontà come acqua pura e cristallina. C’è, sembra dire in modo provocatorio, un altro galateo che non è quello delle buone creanze, ma quello della carità che non conosce limiti.

…È PREGATAO Padre, che non guardi l’apparenza ma scruti i cuori, aiutaci a rifuggire dalle logiche dell’esteriorità e dell’apparire, donaci un cuore puro che tema il tuo nome, un cuore ricco di sapienza da cui estrarre cose nuove e cose antiche per l’edificazione di molti. Amen.

…MI IMPEGNARenderò puri i miei piatti condividendo il cibo con chi non ne ha; curerò la mia igiene personale col sapone della carità, con la crema della fede, col profumo della speranza.

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Mercoledì, 14 Ottobre 2020San Callisto I, papa

Liturgia della ParolaGal 5,18-25; Sal 1; Lc 11,42-46

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo». Intervenne uno dei dottori della legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».

…È MEDITATAÈ strano sentire la parola “guai” sulle labbra di Gesù. Le sue, erano parole buone, rassicuranti; parole come carezze, parole di vita; parole di consolazione e di conforto; parole come perle di luce, parole intrise di futuro, parole che rimettevano in piedi esistenze prostrate, che ridavano dignità a coloro che erano umiliati dagli uomini e dalla vita; parole che aprivano la mente e suscitavano stupore: “Mai nessun uomo ha parlato così”. Eppure a volte il linguaggio di Gesù sembra duro e sprezzante: “Non è bene dare il pane dei figli ai cani”; “Non date le perle ai porci”. Anche nel brano odierno il Signore non è tenero con i farisei e i dottori della legge. Nei loro confronti risuona, implacabile, senza sconti, senza possibilità di edulcorazioni: “Guai a voi”. Quattro volte in poche righe. Parole forti, parole chiare, inequivocabili, ma senza rabbia, senza livore. Sono ammonizioni, sono parole che mettono in guardia. Non suonano come condanna, ma come avvertimento; come

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parole di chi vuole rimettere sulla buona strada coloro che se ne sono allontanati. Sono parole che vogliono aiutare a mettere nel giusto ordine pratiche religiose, valori e ideali, comportamenti e stili di vita. Forse vogliono anche far entrare in un più equilibrato e autentico rapporto con Dio e con la sua legge. Vogliono far comprendere che con Dio non funziona il giochetto dei meriti acquisiti con la pratica anche minuziosa della legge, come il pagamento della decima sulla ruta e sulla menta. Dio non guarda la perfezione legale e neppure i comportamenti formali, Dio guarda nel cuore, Dio va all’essenziale, su ciò che conta, sui comportamenti in grado di cambiare l’ordine delle cose: la giustizia e l’amore. Guai a coloro ai quali all’impeccabile comportamento esterno, non corrisponde un cuore generoso e fedele. Messi in guardia, farisei e dottori della legge si offendono. Quando ad offendere è la verità, resta ben poco spazio di manovra. Quando non ci si arrende all’evidenza resta ben poco da fare. Quando non si vuole cambiare la propria vita, si pensa che è meglio eliminare la vita di chi ci ammonisce. “Tendiamo insidie al giusto … si oppone alle nostre azioni, ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni” (Sap 2,12). Da qui si aprirà una frattura sempre più incolmabile tra Gesù e i farisei ed essi cominceranno a tramare per farlo morire. L’avvertimento fatto a loro, si ritorcerà contro Gesù. La sua esortazione a loro, si trasformerà in condanna a morte per Lui.

…È PREGATAO Padre, che non vuoi la morte del peccatore, ma che si converta e viva, che ammonisci chi si allontana dalle tue vie per ricondurlo sul retto sentiero, fa’ che il nostro cuore non si indurisca quando ascoltiamo la tua voce che ci chiama a conversione. Amen.

…MI IMPEGNA

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Quando qualcuno mi corregge, non farò l’offeso. Farò tesoro di quanto mi viene detto e ringrazierò chi, per il mio bene, con franchezza mi ha fatto notare i miei errori.

Giovedì, 15 Ottobre 2020Santa Teresa d’Avila, vergine e dottore della Chiesa

Liturgia della ParolaEf 1,1-10; Sal 97; Lc 11,47-54

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite. Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. Guai a voi, dottori della legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito». Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.

…È MEDITATA“Gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca”. I profeti, Gesù compreso, sono sempre fastidiosi, rompono sempre le uova nel paniere, mettono a soqquadro l’andazzo cui siamo abituati. Le loro parole, danno così fastidio che, invece di cambiar vita, preferiamo farli tacere per sempre. Vicende di ieri, vicende di oggi. Neppure la Chiesa è immune da queste vicende, anche le sue mani sono sporche di

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“sangue”. Del sangue di coloro che ha bruciato sulla pubblica piazza, di coloro che ha messo a tacere mettendoli al bando, alla gogna, scomunicandoli, mettendoli all’indice. “Come possono osare di fare certe affermazioni, e stigmatizzare certi comportamenti e certe scelte che chiamano piaghe, che giudicano ogni decisione come decisioni dettate dalla paura, fuori dal tempo, scollate dalla vita concreta della gente?”. Lo sguardo indagatore, e il giudizio di condanna si è abbattuto inesorabile su quanti stavano un passo davanti, su chi aveva gettato lo sguardo oltre lo steccato, su chi aveva teorizzato il “dovere della disobbedienza”, su chi si lasciava trasportare dal soffio dello Spirito. Tutti questi, ieri condannati, oggi si esaltano, si venerano, si citano. “I vostri padri hanno ucciso i profeti e voi costruite loro i monumenti … così testimoniate contro di voi”. Ci sono parole del Signore Gesù che dovrebbero farci sobbalzare dalle nostre poltrone e invece sembra che ci lascino del tutto indifferenti. La storia si ripete e sembra che da essa non impariamo nulla. La parola del Signore costantemente ci provoca e ci costringe ad esaminare la nostra vita. La nostra, non quella degli altri. Ci chiede di valutare il nostro grado di fedeltà, non quello degli altri. Ci chiede di esaminare la nostra autenticità non quella degli altri. La nostra vita concorda con il Vangelo? Siamo capaci di accogliere la profezia? C’è ancora spazio per essa tra noi? Oppure ormai abbiamo trovato l’antidoto e ci siamo vaccinati contro la voce dello Spirito? Lo Spirito di Gesù, è lo Spirito che fa nuove tutte le cose. Perché allora ogni novità ci spaventa? I nostri otri vecchi ormai si squarciano sotto la spinta della fermentazione del vino nuovo. Abbiamo perso la chiave della conoscenza e abbiamo impedito a chiunque di cercarla. Queste, tutte tentazioni da cui guardarci, senza mai pensare che noi si è immuni, e certe cose le facevano i farisei di un

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tempo. Noi? Noi, no!…È PREGATA

O Padre, che invii a noi in ogni tempo i profeti che parlano in nome tuo, donaci di saper dare loro ascolto. Fa’ che le loro parole anche se ci bruciano addosso, possano purificare i nostri pensieri, le nostre logiche, le nostre scelte, perché siano secondo la tua volontà. Guardaci dai falsi profeti, dai profeti di sventura, dai profeti dell’inerzia e dell’immobilismo, di coloro che impediscono il cammino verso l’esodo cui chiami costantemente la tua Chiesa e ogni credente. Amen.

…MI IMPEGNAChiederò al Signore il dono del discernimento per saper distinguere i falsi dai veri profeti. Chiederò la forza per rinnegare i falsi. Invocherò il coraggio per seguire i veri.

Venerdì, 16 Ottobre 2020Santa Margherita Maria Alacoque, vergine

Liturgia della ParolaEf 1,11-14; Sal 32; Lc 12,1-7

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze. Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui. Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non

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abbiate paura: valete più di molti passeri!».…È MEDITATA

Da una invettiva contro l’ipocrisia, il brano evangelico passa a descrivere il vero nemico dell’uomo, colui che ha il potere di gettarlo nella Geénna, per poi concludere con un detto di consolazione. Gesù è molto duro contro l’ipocrisia. Non ci sono parole sufficienti per descriverne la malizia e gli effetti nefasti. Gesù vuole i suoi discepoli alla luce del sole. Chi si infratta nelle tenebre gli è poco gradito. Il comportamento dei suoi deve essere limpido e trasparente, fatto “coram populo”, di fronte a tutti, alla luce del giorno. I figli del Regno non hanno nulla da nascondere. Anche se con umiltà, ma possono andare a testa alta. Non hanno scheletri negli armadi e non devono scendere a compromessi con nessuno, perché non ricattabili. Hanno la coscienza pulita. Profumano di fresco. Non hanno un retro bottega con merce illegale. Coloro che fuggono l’ipocrisia, sono posseduti da un sano timor di Dio che fa loro comprendere chi sia il vero nemico da cui guardarsi le spalle. L’antico tentatore non ti affronta mai a viso aperto, ma ti sorprende alle spalle, non ti si para davanti in pieno giorno, ma si insinua tra i vicoli oscuri della notte. Egli può essere causa di una perdita di sé assoluta ed eterna. Chi crede, però, sa che niente e nessuno potrà mai strapparlo dalla mano di Dio, neppure il principe delle tenebre, il signore della Geénna. Chi crede sa di essere prezioso agli occhi di Dio e dunque non ha nulla da temere, la paura non fa parte del bagaglio della sua vita. La frase conclusiva dell’odierno brano evangelico dovrebbe risuonare costantemente nel nostro cuore, per infonderci sicurezza: “Non abbiate paura”. Agli occhi di Dio “voi valete!”.

…È PREGATAO Padre, che ti prendi amorevolmente cura di ciascuno di noi,

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donaci la sincerità del cuore per vincere ogni ipocrisia, e saper confidare in te sentendoci al sicuro tra le tue mani. Negli assalti del maligno salvaci, o Padre buono, e liberaci da ogni male. Amen.

…MI IMPEGNAGuarderò a fondo nell’armadio del mio cuore per liberarlo da eventuali scheletri, frugherò nel mio retrobottega per togliere di mezzo ogni merce illegale.

Sabato, 17 Ottobre 2020Sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

Liturgia della ParolaEf 1,15-23; Sal 8; Lc 12,8-12

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio. Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato. Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire».

…È MEDITATAAnche il brano evangelico odierno, è un testo composito di detti diversi: “chi riconoscerà il Figlio dell’uomo davanti agli uomini, sarà riconosciuto davanti a Dio; chi peccherà contro lo Spirito non sarà perdonato”; lo Spirito è il Paraclito, l’avvocato difensore di ogni credente. L’imperdonabilità del peccato contro lo Spirito da sempre ci ha lasciati perplessi. In cosa consiste e perché non sarà perdonato? Se lo Spirito di Dio è

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Spirito d’amore e se il peccato consiste in una presa di distanza da Dio, nel senso che Dio deve stare fuori dalla propria vita, fuori dalla propria casa, distante dalle proprie cose, questo significa che si è fatta la scelta di sottrarsi all’influsso divino. L’influsso di Dio sulla vita dell’uomo, è un effluvio di amore, di perdono, di misericordia che giunge attraverso lo Spirito. Chi si mette al riparo da questo effluvio di grazia resta privo di amore, di perdono, di misericordia. Chi si chiude all’amore, non può essere perdonato perché non vuole; non può essere perdonato perché lascia fuori dalla porta di casa il Dio che salva. Si è reso impermeabile alla rugiada dello Spirito, non si lascia contagiare dall’amore che tutto scusa e tutto perdona. Non può ricevere il perdono perché non vuole. Altezza e baratro, dono grande e responsabilità estrema della libertà. Dio non obbliga nessuno, non costringe nessuno, perché l’amore lascia liberi, l’amore lascia andare, l’amore lascia in pace. Dio bussa alla porta del cuore, ma solo chi apre godrà della sua presenza. L’inferno esiste, ma esiste solo per coloro che lo scelgono. Esiste come possibilità della libertà assoluta. Esiste come massima dimostrazione dell’amore di Dio che rispetta la libertà di ciascuno. Deve pur esistere un luogo dove chi non vuole aver nulla a che fare con Dio, possa starsene “in pace”. Eppure l’inferno è la massima sofferenza di Dio, la sua più grande amarezza, il suo rammarico più atroce, la spina nella “sua carne”. Sta lì a ricordargli che nulla può vincerlo, ma la libertà dell’uomo può annientare il suo amore. E l’amore negato si chiama inferno.

…È PREGATAO Padre, amante dell’amore, dell’amore rispettoso e gentile, dell’amore che non si impone e non violenta, fa’ che io possa accogliere con umiltà, con gioia e con fiducia il tuo amore e

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lasciarmi da esso condurre sulle vie della vita verso la mia piena realizzazione in questo tempo e nell’eternità. Amen.

…MI IMPEGNARifiuta l’amore di Dio chi ad esso si sottrae, ma anche chi non ci crede abbastanza. Non dubiterò mai della Misericordia del Signore. Ogni volta che sarà necessario chiederò perdono a Dio nella certezza di essere da lui accolto.

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XXIX Settimanadel Tempo Ordinario

Domenica, 18 Ottobre 2020San Luca, Evangelista

GIORNATA MISSIONARIA MONDIALELiturgia della Parola

Is 45,1.4-6; Sal 95; 1Ts 1,1-5; Mt 22,15-21LA PAROLA DEL SIGNORE

…È ASCOLTATAIn quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli Erodiàni, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

…È MEDITATAQuella che farisei ed erodiani pongono a Gesù: “è lecito o no, pagare il tributo a Cesare?”, è una delle domande più insidiose tra quelle che vengono poste a Gesù. Una di quelle domande che non lascia scampo. Sia un sì, sia un no, non avrebbe lasciato scampo a Gesù. Rispondere sì lo avrebbe messo in cattiva luce nei confronti del popolo, sarebbe passato come un collaborazionista, come un amico del dominatore romano, in combutta o per lo meno succube della potenza straniera che umiliava le velleità di autonomia del popolo ebraico, e di conseguenza la sua fama di Messia si

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sarebbe dissolta. Il vero messia non sarebbe mai andato sottobraccio con i romani. Se avesse risposto con un no, era un motivo più che sufficiente per denunciarlo alle autorità romane come un ribelle, un potenziale pericolo dal punto di vista politico, uno perlomeno da tener d’occhio prima che sobilli il popolo alla ribellione. Non c’era via di scampo, Gesù era in trappola. La sua risposta “rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”, non è però solo un modo geniale per togliersi l’impiccio, ma diventa per Gesù l’occasione di un insegnamento che va ben al di là della situazione contingente: è un insegnamento universale. Non solo si teorizza la netta distinzione tra il potere politico e la sfera religiosa, non solo si dice che è lecito e doveroso pagare le tasse allo stato, ma ancora di più si afferma che ogni uomo ha il dovere di “rendere”. È chiaro che si “rende” ciò che non ci appartiene. Se l’applicazione di questo concetto nei confronti di Cesare può essere più problematico, risulta invece di totale evidenza nei confronti di Dio. Nonostante che i beni di ciascuno siano frutto del proprio lavoro e ciò che uno possiede generalmente se lo è sudato, a ben vedere, tutto ha una provenienza remota, tutto viene a noi da Dio. Ma, ciò che più importa, ci sono dei beni che nessuno potrà mai guadagnarsi, che non potranno mai essere frutto delle proprie mani: la vita, l’intelligenza, la volontà, i propri carismi. Questi ci vengono direttamente da Dio e dovrebbero essere compresi in relazione a Dio, che è come dire utilizzarli in rendimento di grazie a colui che ce li ha donati e metterli al servizio di coloro per i quali ci sono stati donati: i nostri fratelli. Ma c’è ancora dell’altro. A Dio ci lega un rapporto di comunione, di alleanza, di figliolanza che non può essere disatteso. In noi è impressa l’immagine stessa di Dio e a lui apparteniamo e nelle sue mani dobbiamo riconsegnarci, a lui “rendere” la nostra vita.

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Chiamati dunque a vivere in Lui e per Lui, rinsaldando la relazione che ci ha posti e continua a porci in essere. Se a Cesare dobbiamo rendere ciò che abbiamo, a Dio dobbiamo rendere ciò che siamo. A Cesare il rispetto per la buona gestione della cosa pubblica, a Dio l’amore totalizzante. A Cesare la nostra collaborazione per il progresso civile, sociale e politico, a Dio l’offerta di ciò che di più intimo custodiamo in noi.

…È PREGATAO Padre, nulla è veramente nostro, nulla ci appartiene, ma tutto ci è affidato dal tuo amore e dalla tua fiducia. Fa’ che possiamo sentirci e comportarci come usufruttuari dei tuoi beni, senza trattenere per noi in modo egoistico, senza arrogante atteggiamento di possesso, senza altezzoso atteggiamento di superbia. Salga sempre sulle nostre labbra una parola di gratitudine che prenda carne in gesti di condivisione. Amen.

…MI IMPEGNARispetterò le leggi civili e sarò un cittadino esemplare; a Dio offrirò i miei beni più preziosi: il cuore e la mente.

Lunedì, 19 Ottobre 2020San Paolo della Croce, sacerdote

Liturgia della ParolaEf 2,1-10; Sal 99; Lc 12,13-21

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli

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possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

…È MEDITATA“Riposati, mangia, bevi, divertiti”. È in questi quattro verbi il peccato dell’uomo ricco della parabola che abbiamo appena letto. In questi quattro verbi e nel pronome “tu”, rivolto a se stesso: “Tu riposati, tu mangia, tu bevi, tu divertiti”. Ci sono solo lui e lui, nessun altro, il suo mondo è abitato solo da se stesso. Nessuna relazione, nessun parente, nessun amico, neppure servi e garzoni. La sua ricchezza serve solo a lui e basta. Lui demolisce, lui ricostruisce, lui raccoglie. L’unico protagonista della storia è lui, sempre lui, solo lui. La solitudine, il ripiegamento su di sé, fa di lui un morto ancora prima che gli venga richiesta la sua vita. Il “mal essere” non consiste nell’accumulare tesori, ma nell’accumularli “per sé”. È l’atteggiamento tipico di chi è ancora bambino: Mio! Tutto mio! La sua vita non ha consistenza in sé, pensa di ottenerla tramite i propri averi. Deve essere molto triste dover riempiere un vuoto esistenziale di cose. Le cose non avranno mai la capacità di sostituire le relazioni; non danno senso alla vita; non la rendono significativa, non le danno valore, solo la ingombrano, la ingolfano, la soffocano. I beni materiali non hanno un fine in sé, ma sono funzionali, sono in vista dell’acquisizione di ciò che realmente conta: “Fatevi amici con la disonesta ricchezza, perché essi un giorno vi accolgano nelle dimore eterne”. I beni materiali dunque sono in vista

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delle relazioni, della condivisione, della solidarietà. Valgono proprio perché ne puoi far parte con altri, se li tieni per te diventano un peso opprimente, impossibile da portare, diventano una tomba e la vita vi è già rinchiusa. La carità invece ci fa arricchire davanti a Dio e fa esplodere la vita in abbondanza non solo la nostra, ma anche quella di tutti coloro che abbiamo beneficato.

…È PREGATAO Padre, sprezza il piccolo mondo in cui spesso ci rinchiudiamo, allarga i suoi confini, meglio ancora rendilo sconfinato. Fa’ che non abbiamo occhi solo per noi stessi e che i nostri beni non servano solo per rimpinzare il nostro ventre, o la nostra vanagloria, o il nostro delirio di potenza. Aiutaci a trasformare il nostro ossessivo “per me”, nel doveroso e amorevole “per voi e per tutti” come Gesù ha fatto e ha insegnato. Amen.

…MI IMPEGNAMetterò a disposizione anche degli altri ciò che sono e ciò che ho, vincendo ogni egoistico ripiegamento su me stesso; imparerò a non stare costantemente con i pugni chiusi ma con i palmi delle mani parti nel gesto dell’offerta.

Martedì, 20 Ottobre 2020Santa Maria Bertilla Boscardin, vergine

Liturgia della ParolaEf 2,12-22; Sal 84; Lc 12,35-38

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il

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padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».

…È MEDITATAÈ commovente l’immagine del padrone di casa con i fianchi cinti intento a servire a tavola i propri servi. È inaudito, non si è mai sentito dire, stravolge ogni consuetudine, manda all’aria una regola di comportamento ben codificato da sempre. Verrebbe da dire: “Non c’è più religione”. Ci troviamo dinnanzi ad un mondo capovolto. Che strano padrone quello che tornando a casa da un lungo viaggio fa accomodare a tavola i suoi servi e si mette a servirli. Questo padrone torna dalle nozze, non si sa se le proprie o quelle di un parente o amico. L’unico merito di questi servi è quello di attendere il padrone e di aprirgli subito appena bussa alla porta. “Beati loro”, afferma Gesù e la loro beatitudine consiste nel sedersi a mensa ed essere serviti dal padrone. Non solo hanno il privilegio di mangiare alla mensa del padrone, ma sono da lui stessi serviti. Dio ha da sempre previsto questa beatitudine per l’uomo. Dio, da sempre, si è pensato come il Servo dei suoi servi. Quello annunciato da Gesù è un Dio col grembiule. Quello che si manifesta in Gesù è un Dio che lava i piedi. Quello che emerge dalle pagine del Vangelo è un Dio che guarda i suoi figli dal basso verso l’alto perché prostrato ai loro piedi. Per descrivere un Dio siffatto Gesù usa l’immagine di una donna buttata per terra a respirare la polvere del pavimento per cercare la moneta che aveva perduta. Potremmo dire che Maria di Betania, seduta ai piedi di Gesù, che ascolta la sua parola è l’immagine perfetta del vero discepolo; Marta sua sorella è l’icona più eloquente del Dio di Gesù Cristo: “ … E Marta li serviva”. Questi servi fortunati,

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sono servi che amano il padrone, la cui assenza li lascia insonni. Più che l’atteggiamento di un servo, il loro è l’atteggiamento di un amico che attende con ansia l’amico che deve tornare, che per lui ha imbandito la mensa perché possa rifocillarsi stanco del viaggio. Ma costui, se pur stanco, commosso da tanto affetto, si cinge i fianchi e invece di mangiare si mette a servire. Qualcuno potrebbe trovare un altro Dio così lassù nei cieli o quaggiù sulla terra? Abbiamo di che arrossire, noi uomini senza valore, senza né arte né parte, che sediamo in trono, che pontifichiamo, capaci solo e sempre di farci servire. Non v’è scintilla divina in noi, nessuna somiglianza con Dio, ma solo una penosa difformità che marca la differenza. Quando capiremo davvero che servire è regnare? In paradiso il mondo è capovolto, per questo è paradiso. E dal giorno in cui un Dio è venuto sulla terra per servire e non per essere servito, il paradiso è sceso sulla terra.

…È PREGATAO Padre, servo e amico degli uomini, Dio dai fianchi cinti, insegnaci l’arte dell’attesa amorosa per godere della beatitudine di sedere alla tua mensa; insegnaci l’arte di servire per essere sempre più conformi alla tua identità di servo che hai manifestato in Gesù tuo Figlio Dio benedetto nei secoli. Amen.

…MI IMPEGNAVivrò con particolare riconoscenza la celebrazione eucaristica gustando la beatitudine di coloro che seduti alla mensa del Signore sono non solo da Lui serviti, ma di Lui nutriti.

Mercoledì, 21 Ottobre 2020Sant’Orsola e compagne, martiri

Liturgia della Parola

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Ef 3,2-12; Cant. da Is 12; Lc 12,39-48LA PAROLA DEL SIGNORE

…È ASCOLTATAIn quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il figlio dell’uomo». Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

…È MEDITATAMi intriga la domanda che Pietro rivolge a Gesù: ”Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?”. Mi pare di cogliervi due derive. La prima la chiamerei la sindrome del sentirsi padrone. Chissà perché quando Gesù parla di “padroni di casa”, i discepoli pensano immediatamente a loro. È storia vecchia di secoli. Si è sempre più propensi a identificarsi con i padroni che non con i servi. Se il Vangelo parla di padroni di casa, eccoci, presenti, sta parlando di noi; se parla di servi facciamo orecchie da mercante. Ed è ovvio che i padroni di casa siamo noi, chi altri se no? Certo Gesù esorta il padrone di casa alla vigilanza, all’accortezza, ma quanto ad essere noi i

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padroni non ci piove. È come dire: “Qui comando io, questa è casa mia”. Dal sentirsi padroni a spadroneggiare il passo è breve: percuotere i servi, mangiare, bere, ubriacarsi. Insomma pascere se stessi e nutrirsi della carne delle pecore a sé affidate. Nella parabola i termini padrone e servo si inseguono e si intersecano e l’equivoco è presto fatto. La sindrome del “sentirsi padrone” è una delle più pericolose derive evangeliche, un vero e proprio scandalo. La seconda è la sindrome di chi pensa che il Vangelo sia detto sempre per qualcun altro: “Ma lo dici per noi?”. Ci sorprendiamo, a volte, a farci questa domanda ascoltando il Vangelo. Ormai ci siamo quasi abituati a pensare che il Vangelo sia rivolto ad altri: ad altri l’invito alla vigilanza, ad altri l’invito alla conversione, ad altri l’invito al servizio, ad altri l’invito al perdono. Sempre e solo ad altri. Noi sempre defilati, noi immuni, noi mai una volta chiamati in causa. Noi sempre predicatori e mai ascoltatori; noi sempre sul pulpito, mai sui banchi; noi sempre giudici, mai imputati. Noi da tempo assuefatti al Vangelo, vaccinati. Noi non più in grado di lasciarci contagiare dal Vangelo, scossi, interpellati da esso. Mai una volta che le sue parole ci facciano sentire con le spalle al muro. Per noi il Vangelo resta muto, gli abbiamo messo la museruola. Ben altri devono porre attenzione, e noi sappiamo bene chi, ma noi, noi no! In questo modo abbiamo disinnescato il potenziale evangelico sottraendoci al suo costante appello. Il Vangelo ad uso nostro, sempre brandito contro altri, è una deriva tanto pericolosa quanto la prima. Il Vangelo non è una cava di pietre da prendere per lapidare gli altri, ma al massimo per battere il proprio petto. Forse è il caso di ricordare: “Chi è senza peccato … ”

…È PREGATAO Padre, ti preghiamo, almeno Tu, non prendere sul serio le

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nostre manie di grandezza, il nostro desiderio di sentirci padroni, la nostra inconfessabile passione a spadroneggiare, aiutaci invece a prendere sul serio il Vangelo come parola di conversione rivolta a noi prima che a chiunque altro. Amen.

…MI IMPEGNANon leggerò il Vangelo con l’indice puntato, ma col cuore contrito.

Giovedì, 22 Ottobre 2020San Giovanni Paolo II, papa

Liturgia della ParolaEf 3,14-21; Sal 32; Lc 12,49-53

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

…È MEDITATAChi l’avrebbe mai detto: Gesù piromane, guerrafondaio, sfascia famiglie. Di Lui ci siamo fatta una immagine un po’ dolciastra, da immaginetta patinata, da statuina di marzapane. La dolcezza di Gesù non è mai stucchevole e non scade in sdolcinature fuori luogo. La sua affabilità si coniuga anche con un carattere deciso, dai tratti ruvido, certo

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esigente, per nulla amante delle mezze misure e dei compromessi. Il suo messaggio tutto intriso di misericordia e di tenerezza non disdegna affondi di radicalismo. I suoi ideali sono totalizzanti, non si accontenta di qualcosa, cerca e vuole tutto. Soprattutto non ama dover condividere con altri ciò che gli spetta. Gesù, che fa sua l’attesa del contadino che con pazienza si adegua ai tempi lunghi del germogliare e del giungere a maturazione, mostra tutta la sua impazienza nei confronti di un fuoco che fatica ad accendersi e a incendiare il mondo intero. Il fuoco dell’amore ardente e appassionato fa fatica ad attecchire nel cuore degli uomini. Ancor di più il fuoco che Lui è, fuoco d’amore del Padre, deve ancora attendere i giorni della sua passione prima di avvampare nella pienezza della sua combustione. Giorni di Roveto Ardente, quelli di Pasqua, nei quali Dio parlerà al suo popolo attraverso un fuoco che arde e non si estingue: il cuore del suo Figlio infiammato dal fuoco dello Spirito. Saranno i giorni del suo battesimo di fuoco, giorni di immersione nella fiamma dell’amore di Dio che giunge alla morte. Dinnanzi al suo amore radicale, Gesù mal sopporta le tiepidezze, le incertezze, le mezze misure. È venuto a ingaggiare una battaglia e ciascuno deve fare la sua scelta di campo. Come ogni scelta, anche questa porterà divisione pure nelle relazioni familiari più intime. Gesù sarà come un segno di contraddizione: “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me … ”. Il Vangelo di Gesù non è un romanzetto rosa, non è un proclama accomodante, non percorre vie diplomatiche, non gli interessa mettere d’accordo tutti ad ogni costo. Il Vangelo è anche una parola dura ed esigente, richiede una scelta, una presa di posizione anche se questa può essere non compresa o addirittura osteggiata da chi ci sta vicino. Da qui la scelta può essere lacerante. Non è però una

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scelta dettata da rabbia, da contesa, da disprezzo, dal desiderio di prendere le distanze, è solo una scelta che fa emergere con evidenza ciò che si preferisce, ciò che si ritiene più importante, ciò a cui si vuole dedicare la vita, ciò per cui la vita la si vuol persino perdere, con tutto il rispetto per coloro che ci amano, per tutto il rispetto per coloro che la pensano diversamente.

…È PREGATAO Padre, che hai gettato nel mondo il fuoco d’amore del tuo Figlio e dello Spirito Santo, infiamma con l’ardore della passione di Lui il mondo intero, perché ogni scoria di peccato sia bruciato nel crogiuolo dello Spirito Santo e i tuoi fedeli, ardenti nel cuore, possano con scelte decisive e nette continuare a illuminare e a riscaldare gli uomini di ogni tempo contagiandoli con la passione per il tuo Regno. Amen.

…MI IMPEGNAI tiepidi saranno vomitati dalla bocca di Dio! Mi impegnerò ad attingere dal Vangelo quella parola che fa ardere i cuori e non permetterò a nessuno di separarmi da Cristo Gesù.

Venerdì, 23 Ottobre 2020San Giovanni da Capestrano, sacerdote

Liturgia della ParolaEf 4,1-6; Sal 23; Lc 12,54-59

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù diceva alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato,

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lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».

…È MEDITATAIl brano evangelico che abbiamo sotto mano, è composto da due detti distinti di Gesù. Il primo riguarda la capacità di leggere i segni del tempo; il secondo la necessità di trovare un punto d’accordo col proprio avversario per non essere trascinato in tribunale. Ciò che accomuna questi due detti è forse l’idea che in ogni situazione è necessario rendersi conto di quale sia la scelta giusta, la più conveniente, quella più ricca di futuro. Ci soffermiamo sulla prima: “Come mai non sapete valutare questo tempo?”. La domanda che Gesù rivolge ai suoi contemporanei per invitarli a cogliere il significato del loro tempo presente, per scorgervi il tempo opportuno, la pienezza dei tempi, il Kairòs offerto da Dio, tempo favorevole della salvezza, tempo in cui Dio viene a visitare il suo popolo, è diventata una domanda universale, senza né luogo, né tempo, una domanda sempre al presente. Facendo eco a questo detto evangelico il papa San Giovanni XXIII nei giorni del concilio, invitava la Chiesa a saper leggere i “segni dei tempi”, espressione divenuta poi, quasi un mantra, inesorabile e persistente richiamo a tutti i credenti a saper interpretare il tempo in cui ci è dato vivere. Se da una parte, abbiamo potuto scorgere con ammirata gratitudine non pochi profeti capaci di leggere nei meandri, a volte contorti, del nostro tempo e ad offrircene una spiegazione, dall’altra abbiamo l’impressione che i più fatichiamo a capire fino in fondo quello che ci sta accadendo attorno, non riusciamo a cogliere i cambiamenti in atto, siamo incapaci di intravvedere dove e per quali vie il mondo si è incamminato. Siamo in gran

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parte accecati dal giudizio: il nostro tempo è sinonimo di male, di malizia, di rinnegamento di Dio, dinnanzi ad esso è necessario chiudere gli occhi e proclamare l’oracolo senza appello della condanna. Ma se il nostro tempo, come quello di Gesù, è fatto di segni, questi segni sono da decodificare. La decodificazione di questi segni dovrebbe aiutarci a capire, dovrebbe renderci capaci di discernere: non tutto è male, c’è anche molto bene; non tutto è di ostacolo, ci sono anche opportunità; non tutto è rifiuto, ci sono pure, a volte, flebili richieste di incontro, aperture all’assoluto, disponibilità alla fede. Se questa finezza di spirito viene a mancare ai credenti, allora anche per noi oggi risuona l’amara constatazione di Gesù: “Ipocriti!”. Valutare l’aspetto meteorologico, ieri come oggi, è sempre stato un modo per parlare senza dire niente, è un modo per passare il tempo in una conversazione oziosa. I discorsi, quelli veri preferiamo evitarli. Cercare di capire cosa stia avvenendo, e dove stiamo andando, e a cosa dobbiamo prepararci, per decidere quale dovrà essere il nostro ruolo, quali le scelte a cui siamo chiamati, quali le zavorre da cui liberarsi e quali parole nuove da apprendere, quale stile più adatto da assumere … , questi sono discorsi che ci spaventano, che ci scomodano, che ci interpellano. Ma è, a nostro parere, qualcosa che possiamo rinviare a domani. Tanto c’è tempo!

…È PREGATAO Padre, rendi mute le bocche dei profeti di sventure, lupi rapaci travestiti da agnelli. Donaci la sapienza dei tuoi profeti perché in questo tempo, come ogni tempo, possiamo vedere l’opera della salvezza che intessi per ogni uomo. Donaci di scorgerla fiorire, pur tra gli inestricabili intrighi degli uomini, nei gesti d’amore e di speranza compiuti ovunque e sotto ogni bandiera, dagli uomini di buona volontà. Amen.

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…MI IMPEGNAMi sforzerò di vedere nel presente che mi è dato da vivere, ciò che è buono, valido, santo, ciò che conduce alla vita e al vero bene e lo sosterrò con la mia responsabile e generosa collaborazione.

Sabato, 24 Ottobre 2020Sant’Antonio Maria Claret, vescovo

Liturgia della ParolaEf 4,7-16; Sal 121; Lc 13,1-9

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei galilei fossero più peccatori di tutti i galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

…È MEDITATAUn detto di Gesù, seguito da una parabola. La nostra vita è nelle nostre mani. La nostra vita dipende dalle nostre scelte. Se le cose non vanno per il verso giusto non cercare subito un capro espiatorio, forse il colpevole sei tu. La malvagità di

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Pilato, il crollo della torre di Siloe non si abbattono con violenza per punire i più peccatori tra i giudei o i galilei di quel tempo. Cose che capitano, diremmo noi, e capita a chi capita, buoni o cattivi indifferentemente. Eppure eventi come questi, certo hanno creato sconcerto, dolore, rabbia, sofferenza, incredulità, servono come monito. La tua vita è nelle tue mani. Se non cambi prospettiva, se non dai nuova direzione al tuo cuore e ai tuoi pensieri, se non muti le tue scelte, se continui a perseguire la logica egoistica del tornaconto immediato e personale, se credi di poterti salvare da solo anche quando la barca sta affondando, sappi che ti stai scavando la fossa con le tue stesse mani. Sappi che stai mettendo a rischio la tua vita. Sappi che qualcosa di inatteso, di oscuro potrà abbattersi su di te. E a questo punto non potrai che incolpare te stesso. La conversione è vista da Gesù come unico antidoto per una umanità che sta inesorabilmente correndo verso la propria autodistruzione. La conversione è certo anzitutto conversione del cuore, ritorno a Dio, accoglienza fiduciosa della sua volontà. Ma conversione è conversione a tutto tondo, è capacità intuitiva di chi sa rendersi conto dei rischi sottesi alle nostre attuali strategie e la sapienza creativa di pensare che altre vie possono essere percorribili, altre logiche più fruttuose, altre scelte più feconde. Il nostro mondo, la nostra società, questa società che abbiamo edificato su presupposti che ormai mostra tutta la loro inconsistenza e pericolosità, necessita di una nuova fondazione. Conversione significa oggi anche disponibilità a rifondare su basi nuove il nostro modo di vivere, le regole della società, le relazioni che intrecciamo tra noi. Ormai non sfugge ai più che il nostro mondo è come un albero infruttuoso, ha bisogno di una energica cura rivitalizzante altrimenti rischia di essere inesorabilmente tagliato. La pazienza di Dio è il tempo che egli ci concede per

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la nostra conversione. Vivere o morire dipende da noi.…È PREGATA

O Padre, tu sei il Dio della vita, non certo la causa delle nostre disgrazie. Alle nostre mani hai affidato l’universo e in esso ogni umana relazione. Cosa ne sarà dell’uno e delle altre dipende da noi: il nostro egoismo può condurre alla morte, la nostra bontà può custodire la vita e farla rifiorire ogni volta. Donaci un cuore forte e generoso capace di scegliere la via della vita e di perseguirla con coraggio e determinazione. Amen.

…MI IMPEGNAIn ogni scelta, anche in quelle più piccole e quotidiane, anche in quelle che sembrano senza importanza giochiamo il nostro futuro. Metterò ogni impegno perché tutte le mie scelte, anche quelle cui in genere sottovaluto, siano scelte di vita e non di morte.

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XXX Settimanadel Tempo Ordinario

Domenica, 25 Ottobre 2020San Miniato di Firenze, martire

Liturgia della ParolaEs 22,20-26; Sal 17; 1Ts 1,5-10; Mt 22,34-40

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai Sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti».

…È MEDITATALe domande che più spesso sono rivolte a Gesù hanno a che fare con l’agire morale. Si chiede cosa sia necessario fare per piacere a Dio, per essere a lui graditi, per osservare la Legge in pienezza o, come in questo caso, quale sia il comandamento di Dio più importante, il più grande, quello che assolutamente non si può trasgredire impunemente. Non sono solo farisei o dottori della legge ad essere ossessionati da queste domande, anche coloro che vanno da Giovanni nel Giordano chiedono “Che cosa dobbiamo fare?”. Gli stessi discepoli, che dovrebbero essere già abituati a muoversi su orizzonti diversi sono preoccupati di cosa fare per essere graditi a Dio: come pregare, quante volte perdonare e così via. Sembra che a nessuno importa puntare gli occhi del cuore a quanto ha fatto e continua a fare Dio. Nessuno domanda

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qual è l’opera più grande compiuta da Dio, quale il dono più grande di cui ci ha beneficato, quale il modo di Dio di manifestarsi per rivelare all’uomo ciò che custodisce nel cuore. Sembra che tra gli interlocutori di Gesù ci sia uno scarso interesse “teologico”, cioè cercare di cogliere l’identità di Dio, di dare a Lui la possibilità di raccontare quanto grande sia il suo amore per l’umanità, quello che Lui fa per noi; si è maggiormente preoccupati di noi, di come possiamo cavarcela di fronte a Dio, quale il minimo indispensabile per non incorrere nella sua ira, oppure come o cosa fare per concentrarsi sull’essenziale, su ciò che è più conveniente, più gradito a Dio, senza disperdersi nei mille rivoli delle minuzie della tradizione ebraica. Insomma la morale la fa sempre da padrona. Anche l’interlocuzione odierna tra i farisei e Gesù non verte su quale sia l’opera più grande compiuta da Dio, il segno più evidente del suo amore, ma quale sia il comandamento più grande da mettere in pratica. Gesù non si sottrae alla domanda e risponde citando Dt 6 e Lv 19. Ma sembra voler dire: “Come potete pensare di amare Dio con tutto il cuore, l’anima, la mente, cioè in modo totalizzante e radicale, se prima non avete fatto l’esperienza di essere amati da Lui con la stessa totalità, anzi di più”. È per questa ragione che Gesù non perde occasione per descrivere quanto grande sia l’amore di Dio per ogni singolo uomo, anche il più piccolo o il peggiore, anche il cattivo e il peccatore. È così attento a ciascuno dei suoi figli che conosce il numero dei capelli del loro capo, li veste in maniera più splendida dei gigli del campo, per loro ha inviato nel mondo il suo Figlio prediletto, l’Unigenito. Il nostro amore a Dio è solo risposta alla sua iniziativa amorosa, è solo riconoscenza per i doni di grazia immeritati che ogni giorno riceviamo. Solo coloro che sanno dire “Quanto è grande il tuo amore per noi, o Dio”, potranno

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anche aggiungere: “Vogliamo o Signore amarti con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente”. Un agire morale che non sia radicato in una esperienza teologale è destinata, prima o poi a naufragare miseramente.

…È PREGATAO Padre, apri i nostri cuori, le nostre anime, le nostre menti perché sappiano contemplare la grandezza del tuo amore, e contemplandolo gioiscano, e nella gioia lodino e nella lode si impegnino a rispondere al tuo amore con altrettanta appassionata e appassionante dedizione a rivolgere ogni cura ai fratelli nel volto dei quali scoprire la bellezza della tua presenza che si fa prossima e visibile. Amen.

…MI IMPEGNAPrima di preoccuparmi di cosa fare per essere un buon cristiano, mi abituerò a contemplare ciò che Dio ha fatto per me e per l’umanità intera e con stupore esprimerò la mia gratitudine con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente.

Lunedì, 26 Ottobre 2020San Folco Scotti, vescovo

Liturgia della ParolaEf 4,32-5,8; Sal 1; Lc 13,10-17

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e

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glorificava Dio. Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato». Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?». Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

…È MEDITATACerte dinamiche si ripetono in continuazione, sempre identiche a se stesse, con una ossessione pedante che riesce anche a portare allo sfinimento, che farebbe desistere anche il più convinto sostenitore delle proprie idee o dei propri comportamenti. Non c’è bisogno di grandi ragionamenti e neppure di sottili e oculate dimostrazioni. Basta una piccola congiunzione avversativa. Un breve “ma”, fugace, lieve come un sospiro e pesante come un macigno. È una smorfia del linguaggio, una contorsione del pensare, una avversione del cuore. Nel caso del racconto evangelico appena letto è anche il tentativo, da parte del capo della sinagoga di tenersi stretto il suo potere. Il suo “ma” è pieno di livore, è sdegno alla ricerca di ragioni religiose plausibili “si lavora per sei giorni, ma non di sabato”. Il suo “ma” non è solo avversione a Gesù che trasgredisce la legge, ma avversione anche nei riguardi di coloro che vengono beneficati senza neppure averlo chiesto. Anzi il suo “ma” si scaglia proprio verso la donna guarita perché non ha il coraggio di rivolgersi direttamente a Gesù. E Gesù stigmatizza immediatamente questa sua ipocrisia. Ipocrita perché non avendo il coraggio di rimproverare Gesù se la prende con chi da Gesù è stato guarito. Ipocrita ancor di

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più e ancor peggio perché non sa distinguere le priorità e non comprende che per Dio è molto più importante la dignità e la salute di una donna che non l’osservanza del sabato. A che serve osservare il sabato se non si comprende che “la gloria di Dio è l’uomo vivente” e non si riesce a capire che il sabato serve per ridare dignità a chiunque l’abbia perduta e che ogni volta che ci si rende cura dei fratelli è sabato? Il sabato infatti non è un giorno del calendario, ma un modo d’essere, non un tempo, ma una “mens”, una logica, un criterio, uno stile. Ipocrita e ottuso, cieco, indifferente per di più, il capo di quella sinagoga. Da diciotto anni vedeva quella povera donna nella sinagoga, da diciotto anni l’aveva sotto gli occhi e mai si era accorto di lei, mai gli era venuto in mente di dirle una parola, non dico di fare un miracolo, perché i miracoli li compiono gli uomini di Dio non certo i funzionari del sacro, ma almeno di dimostrare attenzione e solidarietà. Gesù fa appena in tempo ad entrare nella sinagoga, che già la vede e la chiama a sé e ridona dignità alla sua vita, le offre la possibilità di rimettersi in posizione eretta. Ma il capo della sinagoga già mormora ed è indispettito, non già per la faccenda del Sabato, quanto piuttosto perché lui preferisce che i suoi fedeli siano in posizione ricurva piuttosto che in posizione eretta. Sarebbe troppo pericoloso, sarebbe a rischio la sua autorità. Ipocrita!

…È PREGATAO Padre, facci comprendere che vero giorno del Signore è il giorno in cui compiamo il bene, giorno in cui ci accorgiamo delle necessità dei nostri fratelli, giorno in cui cerchiamo di dare dignità ai tuoi figli che ne sono privi per l’indifferenza o, peggio, l’ipocrisia di chi sta loro intorno. Facci comprendere che quando si fa il bene non ci sono “se”, “ma” o “però” che tengano. Amen.

…MI IMPEGNA

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Quando entro in chiesa mi guarderò attorno per vedere se c’è qualcuno bisognoso di una parola, di una carezza, di un conforto, non posso pensare di lodare Dio disinteressandomi del fratello.

Martedì, 27 Ottobre 2020Sant’Evaristo, papa e martire

Liturgia della ParolaEf 5,21-33; Sal 127; Lc 13,18-21

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami». E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

…È MEDITATAUn granello, un pizzico. È proprio vero che per parlare di cose grandi spesso bastano quelle più piccole e ordinarie. Nelle due brevi parabole che Gesù racconta per far capire qualcosa del regno di Dio fa ricorso a due similitudini. Sarebbe sbagliato soffermarsi sul granello di senape o sul pizzico di lievito. L’attenzione non deve cadere solo sul granello o sul pizzico, ma sull’azione che con essi si svolge. Il Regno di Dio non è simile a un granello di senape, ma “a un granello di senape che un uomo prese e gettò nel suo giardino”. Il prendere e il gettare nel giardino il piccolo seme è parte integrante della

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similitudine. Gesù pensa al Regno di Dio non solo come una realtà piccola, quasi invisibile, del tutto trascurabile, ma anche come una realtà degna di fiducia, carica di promessa che interpella la speranza degli uomini, che per nulla delusi dalla piccolezza del seme lo mettono a dimora. Questi uomini, sanno vedere al di là, non solo a ciò che appare, ma a ciò che è nascosto, non solo a ciò che è, ma a ciò che potrà diventare. È in questo gioco che emerge la dinamica del regno: quando ci sono uomini non paralizzati sul presente, ma che sanno scommettere sul futuro. Chi non scommette sul futuro, su ciò che potrà essere, chi non percepisce la forza intrinseca e sorprendete anche del seme più piccolo e non gli dà fiducia, non è adatto per il Regno di Dio; non potrà mai essere icona del Regno. Sì, perché ad essere simile al regno di Dio non è già il seme, ma quell’uomo che lo mette a dimora nel giardino. Allo stesso modo, immagine del Regno è la donna che mescola il pizzico di lievito con tre misure di farina. Sono gli uomini e lo donne, dai gesti ordinari, eppure efficaci ad edificare il Regno, ad essere del Regno immagini eloquenti e verosimili. Il Regno avanza per l’impegno di uomini e di donne umili e sagaci, di uomini e di donne dai gesti ricevuti dalla tradizione ma che mettono in pratica con rinnovata fiducia e pur sempre nuova speranza. Sono uomini e donne anonimi, insignificanti come il granello di senape o il pizzico di lievito che hanno tra le mani. Ma Dio per edificare il suo Regno sceglie sempre l’insignificante: “Perché il Signore ha guardato l’umiltà, (cioè la povertà, la piccolezza, l’insignificanza) della sua serva”, canta Maria nel Magnificat. Questo è lo stile di Dio. Così è stato, così continuerà ad essere. Ed è proprio così che il Signore “compie grandi cose”.

…È PREGATAO Padre, che, per edificare il tuo regno e portare a

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compimento l’opera della salvezza, usi strumenti semplici e chiedi la collaborazione degli umili, liberaci dalla mania di grandezza, ma pure dalla sindrome della inadeguatezza. Chiunque viene da Te chiamato non vada in cerca di cose grandi, ma neppure pensi di essere indegno e inadeguato. Se Tu chiami qualcuno, per ciò stesso lo rendi all’altezza e lo custodisci nell’umiltà. Amen.

…MI IMPEGNAQuando riceverò un incarico non mi inorgoglirò, né mi tirerò indietro per un senso di inadeguatezza, che spesso cela solo paura o pigrizia. Confidando nell’aiuto di Dio farò quanto mi viene richiesto.

Mercoledì, 28 Ottobre 2020SANTI SIMONE E GIUDA, apostoli

FestaLiturgia della ParolaEf 2,19-22; Sal 18; Lc 6,12-16

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore. Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

…È MEDITATA

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Simone e Giuda: chi sono costoro? Dal nuovo testamento poco sappiamo sul loro conto, se non che Simone, prima di conoscere Gesù apparteneva ad una setta di irriducibili patrioti, sostenitori della indipendenza ebraica dal domino di Roma, fino al fanatismo. Di Giuda sappiamo che verosimilmente nella prima comunità cristiana era più conosciuto il padre Giacomo la cui relazione parentale serve a identificarlo e soprattutto da un altro, ahimè, ben più noto Giuda, l’Iscariota, il traditore. Ciò che colpisce nella prima parte di questa pericope evangelica è che Gesù, dopo tanta preghiera, sceglie tra i suoi discepoli, come più stretti collaboratori, dei perfetti sconosciuti, la maggior parte dei quali resteranno sconosciuti anche dopo essere stati scelti come apostoli. Inghiottiti dalla storia, su di loro circolano improbabili leggende. Nulla si sa di ciò che hanno detto, se lo hanno detto. Nulla si sa di quanto hanno fatto, se lo hanno fatto. Realtà alquanto strana, se non addirittura imbarazzante. Il fatto è che per essere aggregati ai dodici non sembra essere necessario “essere qualcuno” o esibire un “curriculum” di tutto rispetto. Neppure l’attività apostolica serve ad accumulare crediti da esibire. Dell’apostolo è necessaria la nuda presenza, il suo esserci e basta. È inconcepibile e umiliante per la nostra frenesia e la nostra idolatria del fare, per la nostra ansia di prestazione che ci fa pensare che se non fai non esisti. Più si fa e più si pensa di attestare la propria presenza, il proprio diritto di cittadinanza, il diritto di essere ricordati, l’onore di aver lasciato un segno nei solchi della storia. Simone e Giuda “nulla facenti” sono ricordati molto di più di chissà quanti altri che possono esibire in faccia alla storia chissà quali e quante gesta degne di menzione. Questo forse dovrebbe aiutarci a ridimensionare tanti nostri criteri. La seconda parte della pericope ci obbliga a gettare uno sguardo

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su chi sono coloro che si rivolgono a Gesù, che lo cercano, che lo attendono e, di conseguenza, capire non solo perché, ma anche per chi Gesù ha scelto gli apostoli: ebrei, pagani, malati, indemoniati. Un coacervo di razze, religioni, condizioni sociali e spirituali, le più diverse. Tutti subiscono una attrazione fatale nei confronti di Gesù. Tutti accomunati dall’identico desiderio di ascoltarlo, di toccarlo, di essere guariti. Gli apostoli si trovano dinnanzi coloro per i quali sono stati scelti. Uomini e donne tra i quali non fare differenze, da non giudicare ma da accogliere, da non condannare ma da guarire, da non disprezzare ma da consolare, da non disperdere ma da tenere uniti. E senza la pretesa che tutto questo faccia curriculum.

…È PREGATAO Padre, Dio venuto a noi nell’anonimato del Figlio, non ad accampare diritti o a collezionare benemerenze o attestati honoris causa, aiutaci a lavorare per il bene degli uomini nel silenzio e nel nascondimento, felici di essere dimenticati dagli uomini per essere ricordati dal tuo cuore ed essere da Te riconosciuti nel giorno del giudizio. Amen.

…MI IMPEGNAQualsiasi cosa mi sarà chiesto di fare, non amerò i primi posti, non le ribalte o i prosceni, preferirò lavorare dietro le quinte perché non resti ricordo di me, ma del bene realizzato.

Giovedì, 29 Ottobre 2020Beata Chiara Luce Badano, giovane focolarina

Liturgia della ParolaEf 6,10-20; Sal 143; Lc 13,31-35

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel giorno si avvicinarono alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere». Egli rispose: «Andate a

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dire a quella volpe: ecco, io scaccio i demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa vi viene lasciata deserta! Vi dico infatti che non mi vedrete più fino al tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».

…È MEDITATAPochi versetti in cui si intrecciano un detto di Gesù, dal sapore molto pasquale, e un oracolo sulla città santa, dolcissimo e amarissimo nello stesso tempo, incastonato, direi incluso, in una, neppur troppa velata, anticipazione profetica della sua morte. Il detto pasquale è riconoscibile dal rimando al motivo dei tre giorni: “oggi, domani e il terzo giorno”, ripetuto due volte a stretto giro nella stessa frase, e l’esplicita affermazione che “non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”. Ciò che appare interessante è la connessione che Gesù opera tra l’allusione alla sua Pasqua, attraverso il motivo dei tre giorni, e la sua missione di taumaturgo e di esorcista. Per Gesù tutto il suo ministero pubblico ha un sapore ed una valenza pasquale. Guarire è Pasqua per chi riacquista salute; cacciare demoni è Pasqua per coloro che vengono liberati dalla schiavitù dello spirito del male. Ma è Pasqua anche per Gesù: in ogni uomo guarito o liberato si invera la sua Pasqua, emerge il perché di quei tre giorni fatali e vede e tocca con mano che, certo, affrontarli ne varrà la pena, perché tanti altri in ogni luogo, in ogni tempo, possano essere guariti e salvati; perché, Pasqua, sia parola pronunciata ovunque, e sia parola benedetta, parola benvenuta perché da sempre attesa, sospirata; perché

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l’annuncio della parola del Vangelo sia ovunque accompagnato da gesti efficaci che realizzano quanto annunciato. C’è poi l’oracolo rivolto alla città santa. Nelle parole di Gesù si scorge quanto grande fosse il suo amore per la città santa e nello stesso tempo l’oceano di amarezza che lo sommerge a motivo della sua indifferenza nei confronti di Dio che è venuto a visitarla. Una città, Gerusalemme, di conversione che continua ad uccidere i profeti che gli sono inviati. Una città piena di uomini e di donne restii a lasciarsi raccogliere sotto le ali di Dio. E l’amarezza si muta in pianto vedendo la sorte cui Gerusalemme andrà incontro: una casa deserta perché i suoi figli saranno dispersi. Anche a noi Gesù rivolge l’invito ad accogliere il frutto della sua Pasqua: “radunare tutti i figli di Dio dispersi”, lasciarsi raccogliere tutti sotto le sue ali. Non lasciamo che la Pasqua di Gesù sia avvenuta invano.

…È PREGATAO Padre, il tuo Figlio è passato in mezzo a noi sanando e beneficando tutti, ha affrontato la sua Pasqua affinché la salvezza si estendesse fino agli estremi confini della terra, fa’ che ogni credente in Lui, sia un uomo pasquale nei pensieri, nelle parole e nelle opere, un uomo capace di donare salvezza ovunque e a chiunque. Amen.

…MI IMPEGNADio viene a visitare anche me con la sua grazia. Farò in modo che non passi invano, e da oggi penserò all’unità come al sommo bene.

Venerdì, 30 Ottobre 2020San Marciano di Siracusa, vescovo e martire

Liturgia della ParolaFil 1,1-11; Sal 110; Lc 14,1-6

LA PAROLA DEL SIGNORE128

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…È ASCOLTATAUn sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa. Rivolgendosi ai dottori della legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole.

…È MEDITATACi sono domande che non vorremmo ci venissero mai fatte. Sono talmente imbarazzanti. Ci chiedono di venire allo scoperto, di mettere a nudo i nostri pensieri, di mettere in piazza i nostri ragionamenti. Sono domande che ci chiedono di comprometterci, di prendere posizione, di far vedere da che parte stiamo. Sono domande a cui non vorremmo rispondere per poter tenere al coperto le nostre ipocrisie. «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». Ma tutti, certo, che domande! Chi lascerebbe il proprio figlio nel pozzo e non lo tirerebbe subito fuori anche se è sabato. Che diamine, Dio è comprensivo. Tanto più se il figlio di cui si parla è il mio. «È lecito o no guarire di sabato?». E tutti tacciono. La bocca serrata cerca di nascondere la battaglia interiore tra le ragioni del cuore e quelle dell’opportunità. Il cuore dice che certo che è lecito, ma la mente dice che non è opportuno, non tanto dirlo, quanto piuttosto farlo. Chi è difensore della sacra tradizione non può e non deve trasgredirla, non può e non deve metterla in discussione anche a dispetto della più chiara evidenza contraria. In questo consiste il tarlo del fariseismo: o negare l’evidenza a tutti i costi, perché “dura lex, sed lex”, la legge è legge e non si discute, oppure rendersi conto della indifendibilità di certe posizioni ma non fare nulla per

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cambiarle per opportunismo, per difendere un ruolo, per non dover ammettere di aver sbagliato fino a questo momento, per non darla vinta all’avversario, per non cedere alle novità del momento, per ergersi a difensore dei diritti di Dio, paladino dell’immutabilità dei principi. E intanto i figli restano nei pozzi, e sai quanti. E però i padri, agli occhi della gente, restano integerrimi osservanti anche delle più esigenti norme dei sacri canoni e pure dei suoi cavilli.

…È PREGATAO Padre, Dio della libertà e Signore liberante, che hai fatto il sabato per l’uomo e non l’uomo per il sabato, che all’osservanza della legge preferisci la salvezza dei tuoi figli, liberaci da ogni ipocrisia di adoperarci per la promozione dell’uomo piuttosto che per la difesa dei tuoi diritti. Del resto, tu non hai bisogno di avvocati difensori. Amen.

…MI IMPEGNACercherò di fare chiarezza in me, rivedendo la mia scala di valori in base alla parola del Vangelo e all’esempio di Gesù.

Sabato, 31 Ottobre 2020Santa Lucilla di Roma, vergine e martire

Liturgia della ParolaFil 1,18-26; Sal 41; Lc 14,1.7-11

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cédigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più

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avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

…È MEDITATAGesù non perde occasione. È un acuto osservatore ed ogni situazione è buona per ricavarne un insegnamento. L’accaparramento dei primi posti, non solo ai pranzi, è una immagine che abbiamo bene sotto gli occhi. Tutti lo valutiamo come un atteggiamento sconveniente, per la verità anche un po’ cafone. Infastidisce, lascia basiti e pensiamo: “Non c’è limite alla maleducazione”. Gesù, però da questa situazione non ricava norme di galateo o di “bon ton”. Il suo intendimento è ben altro. Desidera mettere in evidenza l’umiltà che è la virtù, come recita la tradizione, che profuma tutte le altre. Non si tratta solo di evitare di fare l’arrampicatore sociale, di sgomitare per accaparrarsi i primi posti, per essere ben in vista, ma di saper stare al proprio posto con dignità e serenamente. Non si tratta di assumere un atteggiamento dimesso e defilato con la malcelata speranza di essere promosso, seduta stante, alla prima fila, ma della consapevolezza di sé e del proprio ruolo. Questo sarebbe un modo per equivocare l’insegnamento di Gesù. Ciò che è in gioco è la capacità di assumere una logica del tutto diversa: abbandonare la logica del mondo per far propria la logica del Regno. La logica del Regno è che il Regno viene dato “ai poveri in spirito”, agli umili non agli arroganti, pieni di sé. Fedele alla logica del Regno, Gesù chiama suoi “amici” coloro che sono miti e umili di cuore. A proprio agio nella logica del Regno, l’umile non ambisce ad occupare il posto assegnato a qualcun altro. Con animo grato sa che è già una grazia essere invitato alla festa di nozze ed essere commensale col suo Signore, che il posto da occupare a tavola è questione del tutto secondaria. Un’ultima osservazione: la lezione di umiltà

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Gesù la rivolge a noi, a me. Non pensiamo di essere immuni da certi difetti che invece attecchiscono con facilità negli ambienti ecclesiali, dove pur di apparire e di distinguersi dagli altri si è disposti ad ogni compromesso.

…È PREGATAO Padre, che resiti agli orgogliosi e ti doni agli umili, alla scuola della vergine di Nazareth rendici gioiosi nella semplicità, miti, arrendevoli, non arroganti e presuntuosi, non ambiziosi né superbi. Fa’ che preferiamo gli ultimi posti ad immagine di Gesù tuo Figlio venuto per servire e non per essere servito. Amen.

…MI IMPEGNAEviterò ogni ambizione nella consapevolezza che contraddice la logica del Regno.

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XXXI Settimanadel Tempo Ordinario

Domenica, 1 Novembre 2020TUTTI I SANTI

Solennità GIORNATA MONDIALE DELLA SANTIFICAZIONE UNIVERSALE

Liturgia della ParolaAp 7,2-4.9-14; Sal 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

…È MEDITATALa “Magna carta” del cristianesimo, la pagina aurea del Vangelo, proclamata nell’odierna festa di tutti i santi, ci svela il segreto della santità cioè della misura piena, alta, autentica della vita cristiana. Purtroppo si può essere cristiani per modo di dire o lo si può essere sul serio, lasciando che la parola del Vangelo permei la vita, la informi e la trasformi, la trasfiguri e la muti in trasparenza di Colui che chiamiamo maestro e Signore. Il comandamento dell’amore e le beatitudini sono le colonne portanti della nostra scelta di essere discepoli di

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Gesù. Il comandamento dell’amore come le beatitudini ci obbligano ad una conversione radicale del nostro pensare e del nostro agire, ci obbligano a modificare le nostre priorità e i nostri ideali. Ci chiedono di liberarci dai tentacoli dell’egoismo che ci tiene prigionieri e dal modo di giudicare del mondo che non ci può appartenere. Gesù enumera otto categorie di persone, poveri in spirito, afflitti, miti, cercatori della giustizia, misericordiosi, puri di cuore, operatori di pace, perseguitati per la giustizia, dicendo quanto sono felici, fortunati, ricolmi di vita piena. Il mondo li considera “sfigati”. Ma forse Gesù non si riferisce a categorie di persone, ma ad una modalità d’essere. Si riferisce sempre ai suoi discepoli, a quel “voi” che conclude il brano evangelico. “Voi, miei discepoli, figli del Vangelo, dovete considerarvi veramente fortunati quando vi viene offerta la possibilità di mettere in pratica la mitezza, la misericordia, quando arrivano i giorni del pianto e della persecuzione, quando in mezzo a mille contrarietà continuerete a costruire la pace, a cercare la giustizia, quando conserverete un cuore puro, quando in mezzo ad una generazione arrogante custodirete l’umiltà sperando ogni bene da Dio.” E perché fortunati? Perché così i discepoli di Gesù hanno modo di imitare il loro maestro, di configurarsi a Lui, di conformarsi al suo modo di essere, di avere in loro gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù. A me pare che le beatitudini siano un piccolo trattato su “L’imitazione di Cristo”. Essere come Lui, rende felici i cristiani, assomigliargli in tutto rende piena la loro esistenza, essere trasparenza di Lui rende i discepoli costruttori del Regno, sale e luce della terra. Per un cristiano essere difforme da Cristo sarebbe il suo più grande fallimento. Essere come Cristo anche nell’umiliazione, nella persecuzione, nell’essere rifiutati dal mondo fa parte del cammino di discepolato. Nessun discepolo

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infatti può essere diverso dal suo maestro. Gesù vuol farci capire che si può vivere felici, sereni, nella pienezza della propria esistenza anche quando si è sopraffatti dall’arroganza, ma si custodisce la mitezza; anche quando si è discriminati, ma si anela alla giustizia; anche quando si è sopraffatti dalla violenza, ma si opera per la pace; anche quando si è afflitti da varie necessita, ma si crede ad un Dio che è Padre di ogni consolazione; e così via. Le beatitudini sono la via d’uscita da un mondo perverso e corrotto; sono le basi alternative sulle quali è possibile edificare un mondo nuovo degno dell’uomo e rispettoso di Dio. I Santi ci aiutino a percorrere questa strada, camminiamo su questa strada e saremo santi.

…È PREGATASignore Gesù, mite e umile di cuore rendi il nostro cuore simile al tuo. Amen.

…MI IMPEGNADinnanzi alle contrarietà della vita, non intonerò la litania delle lamentele, ma metterò in atto la strategia delle beatitudini.

Lunedì, 2 Novembre 2020Commemorazione di tutti i fedeli defunti

Liturgia della ParolaGb 19,1.23-27; Sal 26; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio:

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che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

…È MEDITATAIl brano evangelico scelto per l’odierna commemorazione dei fedeli defunti, ci offre l’opportunità di considerare un elemento tipo della fede cristiana: la risurrezione. L’apostolo Paolo è convinto che senza la verità della risurrezione di Cristo e della nostra, vana sarebbe la nostra fede. Stando fedeli al testo biblico possiamo sottolineare due elementi. Il primo: la risurrezione, cioè l’energia di una vita nuova, radicalmente nuova, è una energia universale, nel senso che coinvolge l’intero universo. Gesù afferma che il Padre vuole che “io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti”. Mi piace notare che Gesù dice “nulla” e non “nessuno”. “Nulla” coinvolge non solo gli uomini, ma anche le cose, ogni creatura, ogni vivente, ogni essere, ogni frammento dell’universo. La redenzione non si rivolge solo all’umanità. L’apostolo Paolo afferma che la creazione intera soffre e geme come nelle doglie del parto finché non verrà alla luce il mondo nuovo. Il peccato di Adamo non ha coinvolto solo i figli degli uomini, ma ha trascinato con sé anche ogni essere creato, una disarmonia si è fatta strada nella creazione che ha perso il suo splendore primitivo. Anche la creazione ha necessità di essere redenta almeno nel senso che agli occhi degli uomini riacquisti le finalità per cui è stata voluta dal Creatore (essere riflesso dell’eccedenza del suo amore) e l’universo riprenda la sua funzione di essere via verso l’Uno; che tra il creato e l’uomo si ristabilisca l’originaria complicità nella quale l’uomo si percepisce custode e non predatore del creato e il creato torni ad essere alleato dell’uomo e non suo rivale. Il secondo: Gesù parla sempre e solo di risurrezione, mai di immortalità dell’anima. La fede nell’anima immortale non è tipica della

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fede cristiana, già molte religioni e molti filosofi ne parlavano, anzi rischia di oscurare lo specifico della fede cristiana. In effetti noi siamo più abituati a parlare dell’immortalità dell’anima che non della risurrezione della carne (Credo degli apostoli-formula battesimale) o della risurrezione dei morti (Credo Niceno-Costantinopolitano). La differenza non è di poco conto. La risurrezione dice cambiamento radicale che coinvolge tutto l’uomo, anima e corpo. Dice la potenza di Dio che ai suoi figli morti a causa del peccato dona una vita nuova. Ciò che il peccato prostra, la risurrezione mette in piedi; ciò che il peccato distrugge, la risurrezione riedifica; ciò che il peccato mortifica, la risurrezione rivivifica. Perché non solo il corpo è carne soggetta al peccato, ma anche l’anima (intelligenza, volontà, libertà, ecc) che a ben vedere è più causa di peccato che non il corpo. L’antropologia biblica non conosce il dualismo anima-corpo, ma dell’uomo ha una visione unitaria: l’uomo è l’uomo, un essere vivente debole, fragile (corpo fatto di terra) ma pur sempre immagine di Dio, inabitato da una scintilla divina (anima), per sua libera scelta peccatore, per grazia di Dio salvato e redento. La morte investe tutto l’uomo a causa del peccato, la salvezza riguarda tutto l’uomo a motivo della grazia della redenzione.

…È PREGATAO Padre, che non vuoi che i tuoi figli conoscano la corruzione della morte, dona a tutti coloro che si addormentano in Cristo la resurrezione, la luce e la pace. Amen.

…MI IMPEGNANella fede della comunione dei santi, pregherò per tutti i fedeli defunti, soprattutto per coloro che sono dimenticati, perché tutti siano accolti nella Gerusalemme celeste.

Martedì, 3 Novembre 2020137

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San Martino De Porres, religiosoLiturgia della ParolaFil 2,5-11; Sal 21; Lc 14,15-24

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, uno dei commensali, avendo udito questo, disse a Gesù: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!». Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”. Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».

…È MEDITATAUn aspetto non marginale della parabola che abbiamo tra le mani, mi sembra sia la proclamazione della pari dignità di tutti gli uomini nella logica del Regno di Dio. Per la tradizione dei padri, a sedere a mensa nel Regno erano solo dei privilegiati, gli eletti, i discendenti di Abramo, simboleggiati negli invitati della prima ora. Il loro rifiuto, che oltre tutto manifesta in quanto poco conto consideravano il Regno, dato che per loro ogni altra realtà viene prima, offre la possibilità del dispiegarsi in piena luce della logica del Regno che considera ogni uomo degno di prendere posto alla cena festiva imbandita da Dio. Non solo gli ebrei ne sono degni, ma ogni altro uomo di ogni popolo, razza o lingua o nazione. Tutti coloro che gli ebrei

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consideravano alla stregua di poveri, ciechi, zoppi, storpi, gente, cioè maledetta da Dio, peccatori, impuri, indegni, sono riabilitati. Gli emarginati e i mendicanti ricevono lo stesso trattamento che in genere veniva riservato alle persone di alto rango. Bastano poche righe a Gesù per operare un vero e proprio capovolgimento sociale e religioso. Lo stesso che viene enunciato in forma lapidaria: “Gli ultimi saranno i primi”. Viene enunciata qui una beatitudine complementare a quelle che troviamo in Mt 5,1-12. Sono beati coloro che prendono cibo nel Regno di Dio, coloro che siedono alla cena dell’agnello, alla festa delle nozze eterne. E questi beati sono quelli che la logica del mondo esclude. Forse dinnanzi a questa Parola del Signore dovremmo chiederci se per caso anche noi pensiamo che ci siano persone per le quali non è pensabile che varchino la soglia della grande sala ove si svolge il banchetto. Forse anche noi pensiamo che sia del tutto logico e doveroso che alcuni siano esclusi, tenuti a debita distanza, non all’altezza, non sufficientemente adeguati, indegni. Un giorno dovremo rendere conto dei nostri giudizi affrettati e ingenerosi, delle nostre sentenze senza appello finalizzate a non concedere a tutti pari dignità, pari opportunità. Allora forse ci pentiremo quando vedremo prostitute e peccatori precederci nel Regno di Dio e noi gettati fuori. Dobbiamo aprirci ad una logica inclusiva e misericordiosa, oltre ad evitare ogni indebito atteggiamento che esprima poca considerazione nei confronti dell’invito che il Signore ci rivolge, per non sentirci dire: “Nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”.

…È PREGATAO Padre, che non fai preferenza di persone ma offri ad ogni uomo la dignità di far parte del Tuo Regno e di sedere a mensa con te, rendici capaci di chiamare tutti fratelli offrendo

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a ciascuno, senza distinzione, il riconoscimento della propria dignità evitando di giudicare e tanto più di condannare. Amen.

…MI IMPEGNAQuanto si è facili a giudicare, condannare, escludere. Eviterò con cura questi atteggiamenti aprendo il cuore ad accogliere ogni uomo così com’è.

Mercoledì, 4 Novembre 2020San Carlo Borromeo, vescovo

Liturgia della ParolaFil 2,12-18; Sal 26; Lc 14,25-33

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

…È MEDITATAL’incipit del brano evangelico mi sembra una buona chiave di lettura del testo. “Siccome una folla numerosa andava con Gesù, egli si voltò e disse … “Gesù non è affetto da megalomania. Che ci sia molta gente che lo segua non

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sembra rallegrarlo, la moltitudine non lo lusinga affatto. E fa di tutto per operare una scrematura. Mette sul piatto una serie di esigenze tali da obbligare coloro che lo seguono a chiedersi se sono disposti a tanto. Gesù non vuole le masse, qualunque cosa abbiano in mente, ma discepoli convinti, disposti alle scelte più radicali: amare Lui più dei propri familiari, persino della propria vita, non sottrarsi alla croce, ma anzi portarla seguendo le sue orme. È necessario che ciascuno si faccia bene i conti in tasca per vedere se ha tutti i numeri in colonna, tutti i requisiti necessari per essere discepolo di Gesù. Non ci si può fare illusioni, bisogna soppesare se stessi, valutare le proprie capacità. Se si inizia un’opera si sarà capaci di portarla a termine? Se si assumono degli impegni si sarà capaci di onorarli? Si è veramente disposti a scelte radicali? A donare al Vangelo tutte le proprie energie, a mettere nella sequela tutte le proprie forze, la mente, il cuore? Gesù non pensa ad un cristianesimo all’acqua di rose, e noi? Non è forse vero che tante volte pur desiderando seguire Gesù, continuiamo a tener fede alla logica del mondo. Come si suol dire, teniamo il piede in due scarpe. La nostra vita cristiana è superficiale, è un continuo compromesso, non convince nessuno, neppure noi stessi. Insomma, spesso facciamo parte di quella categoria di cristiani che l’autore dell’Apocalisse chiama “tiepidi”, e i tiepidi, saranno vomitati dalla bocca di Dio. Ci sono davvero cristiani che non sanno “né di me, né di te”, che non sono “né carne, né pesce”. Gesù non obbliga nessuno a seguirlo, ma se qualcuno liberamente vuole seguirlo, allora non può, non deve farsi sconti, deve prendere la sequela sul serio, deve metterci anima e corpo. Non tutti possono essere discepoli di Gesù: “Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. Così non può essere discepolo chi non vive pienamente le esigenze enumerate da Gesù all’inizio del

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brano evangelico odierno. Il discepolato implica una scelta personale, libera, consapevole, responsabile, non lo si può essere per abitudine, per convenienza sociale, per tradizione, perché trascinati da altri, o perché attratti da ciò che del cristianesimo è secondario e accessorio. Anche a noi il Signore, ogni giorno, chiede di fare un serio esame di coscienza, dove mettiamo a nudo la verità delle nostre scelte.

…È PREGATAO Padre, hai dato a noi il grande dono della libertà e della volontà, donaci di seguire tuo Figlio in modo libero e consapevole e di abbracciare il Vangelo con la ferma volontà di una piena e totale adesione ad esso senza sconti, né ambiguità. Amen.

…MI IMPEGNAEsaminerò me stesso per far emergere tutta quell’“acqua di rose” che annacqua il mio modo di vivere il Vangelo e mi sforzerò di essere un cristiano più autentico.

Giovedì, 5 Novembre 2020Tutti i Santi delle Chiese di Sicilia

1° giovedì del mese: preghiera per le vocazioniLiturgia della ParolaFil 3,3-8; Sal 104; Lc 15,1-10

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si

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converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

…È MEDITATA“Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?”. Nessuno, ma proprio nessuno. Di lasciare novantanove pecore nel deserto per andare in cerca di una che si è perduta, non se ne parla neppure. Ma quale pastore sarebbe così imprudente? Lasciare le pecore incustodite nel deserto è pura follia. Il rischio è, e non tanto improbabile, che al ritorno con la pecora ritrovata, il pastore non trovi più le novantanove che aveva abbandonato nel deserto. Bestie feroci, predatori, briganti, troppe le incognite, troppi i pericoli. Come è potuto venire in mente a Gesù una immagine di questo genere?L’evangelista Matteo nel passo parallelo (18,12) invece che dire “nel deserto”, dice “sui monti”. Ma poco cambia. No, è un gesto sventato, imprudente, rischioso, per una pecora si mette a repentaglio il gregge intero: è inammissibile, è folle. “Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto? … ”. Se Gesù avesse dato ai suoi interlocutori il tempo di rispondere, tutti avrebbero risposto in coro: “Nessuno!”. Ma la domanda di Gesù è puramente retorica, non si aspetta una risposta. E però credo che sia consapevole del fatto che nessuno lascerebbe il proprio gregge nel deserto per correre dietro alla pecora che si è smarrita. Nessuno lo farebbe, ma lui sì! E qui Gesù ci chiede di

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cambiare prospettiva, distogliere l’attenzione dal gregge e dalla pecora, e fissarlo su di Lui. Lui è l’imprudente per eccellenza, Lui il rischio fatto persona, Lui il folle d’amore. Lui non è solo il pastore buono, ma anche il pastore che ha letteralmente perso la testa per la sua pecora. Ogni singola pecora è amata a tal punto da mettere a repentaglio ogni cosa. Ma non si tratta qui del gregge, ma del pastore. Egli mette a repentaglio la propria vita, rischia la sua vita, la mette in gioco, perché più della sua vita ama le sue pecore. Lui sa bene, come lo sanno bene i suoi uditori, scribi e farisei, che le novantanove pecore, credono di non aver bisogno del pastore, sono chiuse nei propri recinti, pensano di essere autosufficienti. Scribi e farisei si ritengono pecore del gregge degli eletti, giusti del popolo santo di Dio, si sentono al sicuro, sono autosufficienti e credono di poter piegare Dio e averlo dalla loro parte. Gesù dice loro a chiare lettere, che Dio ormai non sta più in mezzo a queste pecore soddisfatte di loro stesse, ma vaga su monti alla ricerca delle pecore smarrite, di cui per prudenza o per disinteresse, nessuno si preoccupa. E Gesù si presenta non solo come il pastore buono, ma anche come il pastore folle! E gli scribi e i farisei continueranno a scuotere la testa.

…È PREGATAO Padre, il tuo Figlio, pastore buono e perdutamente innamorato delle pecore del suo gregge, non ha perso nessuno di coloro che gli hai dato, ma ha offerto se stesso, agnello immolato per la nostra salvezza, per radunare i tuoi figli dispersi. Concedi a noi di essere attenti alla voce della sua parola e di seguirlo con docilità. Amen.

…MI IMPEGNAUn cristianesimo calcolato, prudente, mai veramente esposto contrasta con la logica di Gesù. Seguire il Vangelo spesso

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chiede di mettere in conto il rischio. Saprò metterci del mio e uscire dalle abituali sicurezze, quando le situazioni dovessero richiederlo.Venerdì, 6 Novembre 2020San Leonardo di Limoges, eremita

Liturgia della ParolaFil 3,17-4,1; Sal 121; Lc 16,1-8

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; Mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».

…È MEDITATAÈ una parabola insolita. Lascia un po’ perplessi. Gesù che loda il furbetto di turno?!?! Incredibile! È vero, questa volta Gesù ci spiazza, ci lascia veramente a bocca aperta, ci disorienta. Dove sono finite le esigenze di una vita integerrima tante volte richiamate dalle pagine evangeliche? Che succede? Gesù ha perso per qualche istante la bussola, oppure c’è sotto qualcosa che dobbiamo saper cogliere? Dovendo, ovviamente scartare l’ipotesi di un Gesù che perde l’orientamento, non ci

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resta che tentare di dare una risposta alla seconda ipotesi. Cosa c’è sotto? Quando leggiamo una parabola bisogna fare molta attenzione. C’è un rischio. Se ci fermiamo alle immagini che Gesù usa si può facilmente equivocare come in questo caso. Gesù non ha nessuna intenzione di lodare l’atteggiamento fraudolento dell’amministratore disonesto, né lo indica come un esempio da seguire. Gesù vuol far capire ai suoi discepoli che dinnanzi a situazioni difficili, inaspettate, è necessario far ricorso a soluzioni creative ed intelligenti. Le difficoltà non devono far arenare i figli della luce, né paralizzarli, né gettarli nello sconforto. Non si può e non si devono assumere atteggiamenti remissivi, rassegnati; non si può e non si deve disperare; non si può e non si deve pensare che non ci siano vie d’uscita. Dentro l’ambito della legalità e della correttezza ognuno è invitato a trovare strategie vincenti, percorrere strade inedite, scommettere su scelte innovative. In questo, molto spesso, sono più abili “i figli di questo mondo” e “i figli della luce” restano impantanati nelle loro difficoltà e non riescono ad agire in modo “vincente”. Santità non equivale a stupidità, né virtù equivale ad incapacità. Se ci guardiamo attorno dobbiamo con vergogna confessare la nostra incapacità a dare risposte nuove a problemi emergenti. Dinnanzi alle nuove sfide che la modernità ci pone dinnanzi ripetiamo sempre le stesse cose, come un disco incantato. A domande diverse sappiamo solo dare la stessa identica risposta. Di fronte all’incalzare spesso arrogante di ideologie strampalate spesso ci rifugiamo dentro i nostri sacri recinti, incapaci di ingaggiare “battaglia”, insicuri della nostra Verità o ottusamente ancorati a visioni del mondo ormai del tutto superate, abbarbicati a dottrine di cui Gesù stesso si meraviglierebbe. È necessario imparare a leggere ciò che il Concilio Vaticano II ci ha insegnato a chiamare “segni

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dei tempi” e trovare risposte sempre nuove, con fedeltà e pure con audacia, alle mutate situazioni di vita sia personali che ecclesiali. Non dobbiamo assumere atteggiamenti spregiudicati, ma sapientemente creativi. Come scribi intelligenti dobbiamo saper trarre dal tesoro della nostra fede cose antiche e cose nuove.

…È PREGATAO Padre, donaci sapienza creativa, intelligenza coraggiosa, visione lungimirante, capacità di scelte audaci per non lasciarci paralizzare dalle difficoltà ma per renderle opportunità di vita nuova. Amen.

…MI IMPEGNADinnanzi alle difficoltà invece di lamentarmi o di assumere un atteggiamento remissivo e rassegnato cercherò, invocando lo Spirito Santo, soluzioni creative e coraggiose.

Sabato, 7 Novembre 2020Sant’Ernesto di Zwiefalten, abate

Liturgia della ParolaFil 4,10-19; Sal 111; Lc 16,9-15

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza». I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli

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uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole».

…È MEDITATAIl brano evangelico odierno, è un insieme di detti del Signore Gesù che ruotano attorno al tema del giusto uso della ricchezza, della fedeltà e della necessità di una scelta di campo chiara e decisa. Sappiamo bene come Gesù abbia più volte affrontato il tema del denaro, della ricchezza, dei ricchi. Tutti ricordiamo bene come su questi temi Egli non sia mai stato molto morbido né condiscendente. Forse le parole più dure Gesù le ha pronunciate proprio affrontando il tema della ricchezza. Scorrendoli con la memoria anche solo frettolosamente risulta chiaro che Gesù non se la prende contro i ricchi perché sono ricchi, ma perché fanno un cattivo uso della ricchezza, vi attaccano il cuore e la vita e credono di poter stare al sicuro avendo tanti beni. Gesù non ha una cattiva considerazione del denaro ma denuncia il suo forte potere attrattivo sull’uomo e sulla sua capacità di far deviare da una vita giusta e retta, la sua forza che riesce ad avvincere a se impedendo altre scelte. Ciò che Gesù denuncia è l’uso egoistico dei beni, banchettando e bevendo lautamente e disinteressandosi completamente di chi si trova nel bisogno, come appare chiaramente nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro. Gesù apprezza l’uso disinteressato e generoso che del denaro fa la povera vedova che getta nel tesoro del tempio pochi spiccioli, ma era tutto ciò che aveva. Nell’incipit del brano odierno Gesù ci da una dritta su come, a suo avviso, va utilizzato il denaro; “fatevi degli amici con la disonesta ricchezza”. Innanzitutto cerchiamo di capire perché Gesù definisca “disonesta” la ricchezza. Non perché chi la possiede l’abbia accumulata con metodi disonesti, ma perché la ricchezza accumulata ha in sé una ingiustizia intrinseca. Dio

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ha dato i suoi beni per tutti i suoi figli e non è giusto che questi siano nelle mani di pochi lasciando la moltitudine nell’indigenza. Questa è l’idea di fondo che soggiace alla istituzione dell’anno santo, anno in cui ciascuno dei membri del popolo di Israele ritornava in possesso dei propri beni, anche della terra che aveva dovuto vendere o alienare. Nell’anno santo la ricchezza veniva ridistribuita così come era successo quando gli israeliti avevano preso possesso della terra promessa. I beni non sono fatti per essere appannaggio di pochi, ma per essere condivisi. La ricchezza serve a farsi degli amici: coloro che vengono beneficate, aiutate, sostenute con il proprio denaro. Se la ricchezza serve a creare relazioni, a intessere rapporti, a diffondere felicità, ad offrire dignità, a rendere possibile per tutti una vita serena, allora cessa di essere disonesta, ingiusta e diviene strumento di fraterna solidarietà. Spesso invece accade che il ricco abbia un unico amico: se stesso e gli altri ricchi amici in effetti non sono amici ma complici in apparenza, concorrenti sotto sotto. Gli amici che ci si procura con la “disonesta ricchezza” saranno coloro che ci accoglieranno nelle dimore eterne. Riecheggia qui il testo di Mt 25: “Venite benedetti del Padre mio … perché tutto quello che avete fatto ai miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me”.

…È PREGATAO Padre, che hai colmato l’universo di ogni bene perché nessuno dei tuoi figli fosse nell’indigenza, apri il cuore di coloro che si accaparrano egoisticamente per sé i beni della terra, affinché nella condivisione tutti possano vivere in un mondo più giusto e più equo. Amen.

…MI IMPEGNADi tanto in tanto rinuncerò a qualcosa per farne dono a chi è meno fortunato. Non è un gesto di carità, ma un atto di

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giustizia.

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XXXII Settimanadel Tempo Ordinario

Domenica, 8 Novembre 2020San Goffredo di Amiens, vescovo

GIORNATA DEL RINGRAZIAMENTOLiturgia della Parola

Sap 6,12-16; Sal 62; 1Ts 4,13-18; Mt 25,1-13LA PAROLA DEL SIGNORE

…È ASCOLTATAIn quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, Signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”.

…È MEDITATASi avvicina la conclusione dell’anno liturgico e la Chiesa ci invita a pensare alle realtà ultime e definitive. La fine ci sprona a dare uno sguardo verso il fine della storia e del nostro pellegrinaggio terreno. Pertanto la liturgia comincia a mettere in campo alcuni temi sensibili su questo argomento a cominciare dal tema della vigilanza come nel brano

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evangelico odierno. “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”, è l’esortazione che conclude il racconto parabolico, che però ci offre molte altre indicazioni di cui possiamo fare tesoro. “Il Regno dei cieli è simile … ”, dice Gesù iniziando il suo racconto. Il regno è simile ad una festa di nozze, di cui non si è solo spettatori o invitati, ma in cui si è chiamati a svolgere un ruolo specifico, nella fattispecie quello di far parte del corteo che accoglie e accompagna lo sposo. Il Regno richiede di assumere sempre un atteggiamento dinamico “uscire per andare incontro allo sposo”. Il Regno richiede la “verginità”, nel senso di una giovinezza custodita, di una adesione gioiosa, piena, fedele, pura, senza secondi fini. Far parte del Regno richiede una sapienza previdente che sappia mettere in conto ogni possibile inconveniente ed essere preparati a fargli fronte. Quando Matteo scrive, il ritorno glorioso di Gesù che si credeva imminente, tarda a realizzarsi. È proprio il ritardo della parusia (“non sapete né il giorno né l’ora”) a chiedere ai cristiani la virtù della vigilanza. Paradossalmente l’immagine usata da Gesù fa capire che la vigilanza non significa stare continuamente svegli (anche le vergine prudenti si addormentano) ma avere tutto il necessario a portata di mano, per essere pronti a svolgere il proprio ruolo quando il Signore verrà ed entrare con Lui alle nozze. Ci esorta dunque il Signore Gesù ad essere all’altezza della situazione, ad essere pronti a svolgere il nostro ruolo quando Egli si manifesterà nella sua gloria, pronti ad accoglierlo festanti con le lampade accese: le lampade della nostra fede che si alimentano con l’olio della speranza; le lampade del nostro amore che si alimenta con l’olio della fede; le lampade della nostra speranza che si alimentano con l’olio della preghiera. Di fede, di amore, di speranza, di preghiera, è bene metterne da parte una buona scorta che si

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attinge dalle profondità del nostro cuore e non certo dai banchi dei commercianti.

…È PREGATAO Padre, viviamo nell’attesa che si compia la beata speranza e che torni nella gloria il Signore Gesù nostro Salvatore. Ma non sappiamo né il giorno, né l’ora. Mantieni viva la nostra attesa con la gioiosa fedeltà, con una sapienza previdente, con la freschezza di un cuore sempre giovane e entusiasta. Il tempo del ritardo non faccia venir meno il desiderio e al tempo opportuno possiamo andare incontro al Signore che viene con le lampade accese. Amen.

…MI IMPEGNALa mia vita di fede non la “brucerò” tutta subito restando imprudentemente senza olio. Saprò invece prepararmi per il giorno dell’incontro a cui non posso farmi trovare impreparato.

Lunedì, 9 Novembre 2020DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE

FestaLiturgia della Parola

Ez 47,1-2.8-9.12; Sal 45; Gv 2,13-22LA PAROLA DEL SIGNORE

…È ASCOLTATASi avvicinava la Pasqua dei giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò

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risorgere». Gli dissero allora i giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla scrittura e alla parola detta da Gesù.

…È MEDITATAAnche la mite pazienza e la paziente mitezza di Gesù ha un limite. Quando qualcosa o qualcuno si scaglierà contro di Lui sopporterà senza proferire parola. Di fronte ai giudizi malevoli sul suo conto non reagirà. Ma al vedere la casa del Padre suo ridotta alla stregua di una piazza di mercato, allora gli va il sangue alla testa. Se “lo zelo per la casa di Dio mi divora” era l’atteggiamento tipico di ogni pio israelita, a maggior ragione quello zelo divorava Gesù che di Dio era Figlio, che col Padre aveva un rapporto incredibilmente intimo, che del Padre voleva proteggere la gloria, del Padre compiere la volontà. Forse si può mancare di rispetto a tutto, forse, ma non si può mancare di rispetto a Dio e al Tempio che è il luogo della sua gloria, il luogo dove Egli ha posto la sua dimora in mezzo al popolo. Proprio in quanto custode della presenza gloriosa di Dio, il tempio è il luogo dell’incontro, casa di preghiera, spazio privilegiato di comunione con l’Altissimo, col Santo dei Santi. Gesù non può sopportare che il tempio si sia trasformato in un luogo di commercio dove ciascuno persegue i propri affari, dove la prima preoccupazione sia vendere e guadagnare. Gesù non ammette che la religione possa essere occasione di interessi, né asservita al proprio tornaconto. Cogliamo anzitutto un elemento che ci interpella da vicino. È necessario vivere una religione santa e pura. Ciò vuol dire senza secondi fini, senza farne un uso funzionale, senza renderla un pretesto per altro, senza usarla per arricchirsi, per fare carriera, per avere una posizione sociale, per acquistare prestigio, per

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ottenere potere, o anche solo per essere giudicati pii e devoti, degni di rispetto e oggetto di complimenti lusinghieri. Tutto questo svuota la religione, la rende vana, non solo falsa ma anche pericolosa. Perché credo? per quale ragione metto in atto pratiche religiose? La mia fede è veramente disinteressata o ci sono motivazioni inconfessate e inconfessabili? In secondo luogo è necessario domandarci: che rispetto abbiamo dei luoghi di culto? Li viviamo veramente come luoghi di preghiera, luoghi dell’incontro con il Signore. Varchiamo la porta della chiesa con rispettosa cortesia, cerchiamo di non fare rumore, evitiamo ogni distrazione, conserviamo il silenzio? Il nostro modo di stare seduti, in piedi, in ginocchio è un modo educato e composto? Esprime ciò che significa? Il nostro segno della croce, le nostre genuflessioni, i nostri inchini sono davvero fatti bene con devozione, con eleganza oppure sono frettolosi, impropri, inguardabili. Ogni gesto è manifestazione esteriore della nostra fede. A vedere come molti cristiani si comportano in chiesa verrebbe da dire che di fede ne è rimasta davvero poca. Ogni luogo che frequentiamo richiede il rispetto di certe norme comportamentali, lo stesso vale per la Chiesa. Abbiamo davvero zelo per la casa di Dio e per Dio che vi dimora?

…È PREGATAO Padre, che ti sei degnato di abitare in mezzo a noi nel segno visibile del Tempio, fa’ che mettiamo ogni impegno per rendere la tua casa bella e accogliente e di comportarci in essa come si conviene. Donaci altresì di vivere la religione in modo santo e puro, senza secondi fini o vili interessi. Amen.

…MI IMPEGNAEsaminerò me stesso per rendermi conto di come sto in chiesa e mi impegnerò a farlo nel modo più conveniente possibile. Non farò diventare il mio impegno di fede occasione per

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primeggiare, né assumerò ruoli all’interno della comunità con l’intento di acquisire ruoli di prestigio o di potere.

Martedì, 10 Novembre 2020San Leone Magno, papa e dottore della Chiesa

Liturgia della ParolaTt 2,1-8.11-14; Sal 36; Lc 17,7-10

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse: «Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, strìngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

…È MEDITATADirsi, dopo tanto impegno, tante fatiche, tanto investimento emotivo nelle varie incombenze che la vita della comunità richiede, “Sono un servo inutile”, beh, non è facile! Un minimo di riconoscenza, almeno un grazie, anche solo un sorriso o una pacca sulle spalle, almeno questo ce lo aspetteremmo. Non è forse vero che tante volte ci sorprendiamo a pensare: “dopo tutto quello che ho fatto, non dico chissà che, ma almeno un grazie potevano dirmelo”. Ed è umano! Quanto sa essere esigente la parola di Gesù! Lavori, ti fai in quattro e alla fine devi dirti o ti senti dire “servo inutile”. Ma cosa significa inutile? Non significa che non serve a niente, che non ci sia bisogno di quel servizio, non significa neppure quanto esprimiamo nel proverbio “tutti utili, nessuno indispensabile”. Il servo in-utile è quel servo che in ciò che fa non cerca il proprio utile, il proprio guadagno, il proprio tornaconto, fosse

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anche solo un riconoscimento verbale o un piccolo privilegio. Il servo in-utile è il servo che vive costantemente nella logica della gratuità: “Lo faccio gratis, lo faccio e basta, lo faccio e non mi aspetto nulla in cambio”. Essere servo in-utile vuol dire essere contento del proprio ruolo di servizio e non pensare che prima o poi la situazione possa mutare e i ruoli capovolgersi: il servo diventa padrone e il padrone si mette a servire. Se pur è vero che il Vangelo ci ha fatto assistere ad un Dio che in Gesù si cinge il grembiule e lava i piedi ai suoi discepoli, è pur vero che è Lui il Signore e noi siamo tutti servi; è Lui il Maestro e noi siamo tutti discepoli; che Dio è Padre e noi siamo tutti fratelli. Spesso nell’ambito ecclesiale ci sono non pochi baroni rampanti, “arrampicatori sociali”, usurpatori di ruoli che non gli competono, creando disarmonie e contrasti, situazioni ingarbugliate che si trascinano e a cui si fa fatica a trovare rimedio. Saper stare al proprio posto, qualunque esso sia, è il segno più evidente e vero di umiltà. Fare non di testa propria, non secondo le proprie vedute, non secondo i propri gusti, ma “quello che vi è stato ordinato”, questo è il modo di comportarsi da “servo inutile” e non da sedicente padrone; questo è il modo di servire e non di spadroneggiare

…È PREGATAO Dio, Tu sei l’unico Signore e noi siamo tutti tuoi servi, Tu l’unico Padre e noi siamo tutti fratelli, ci aiuti la tua grazia a vivere da veri fratelli nel servizio reciproco umile, generoso e gratuito. Amen.

…MI IMPEGNAMi sforzerò di non cercare mai gratificazioni umane per ciò che faccio al servizio di Dio e dei fratelli.

Mercoledì, 11 Novembre 2020157

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San Martino di Tours, vescovoLiturgia della ParolaTt 3,1-7; Sal 22; Lc 17,11-19

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e va’; la tua fede ti ha Salvato!».

…È MEDITATAQuesta volta devo contraddirmi. Proprio ieri dicevo che non dobbiamo aspettarci la gratitudine di nessuno. Ciò che è da fare si fa e basta. “Gratis et amore Dei”. Oggi vediamo che Gesù dopo aver guarito i dieci lebbrosi si attende da loro un gesto di gratitudine. In genere ciò non accade mai nei racconti di guarigione. Per questo motivo è necessario che su questo ci facciamo i conti. Gesù non pretende che i dieci lebbrosi purificati tornino indietro per ringraziare Lui, ma si meraviglia che nessuno, ad eccezione del Samaritano, sia tornato da Lui per rendere gloria a Dio. A rigore di termini, per rendere gloria a Dio non era necessario tornare da Gesù. Il loro rendimento di grazie lo avrebbero intonato nel tempio. Del resto proprio ai sacerdoti del tempio Gesù li aveva inviati: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”, gli unici che potevano attestare l’avvenuta guarigione. E poi perché stupirsi che l’unico a tornare sia un Samaritano? Un Samaritano non sarebbe mai

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andato a cuor leggero al Tempio di Gerusalemme e anche se ci fosse andato sarebbe stato comunque visto con diffidenza. La questione sul tavolo è ben altra. Gesù vuol fare capire che il luogo dove rendere grazie a Dio non è più il Tempio, ma Lui stesso, in Lui abita la pienezza della divinità. In Lui si adora Dio in spirito e verità, secondo quanto Gesù aveva detto ad un’altra Samaritana al pozzo di Sicar. Il Samaritano sembra cogliere proprio questa verità e cioè che Gesù è la via maestra per rendere grazie a Dio, Lui è l’Eucaristia in cui rendere grazie, nel Grazie che Lui è si inserisce il nostro grazie al Padre. Un altro aspetto occorre considerare: la differenza tra essere guariti ed essere salvati. La guarigione per un lebbroso aveva una triplice valenza: quella fisica, corporale; quella sociale essere riammessi all’interno delle relazioni umane; quella religiosa, essere liberati dall’impurità rituale che la lebbra comportava. Ed è già veramente molto. Ma essere salvati è ben altro: investe l’uomo nella sua totalità, coinvolge mente, cuore, anima, spirito. Rimette l’uomo in una nuova relazione con Dio, lo rigenera interiormente, gli fa riacquistare la perduta immagine e somiglianza con Dio. Secondo le parole di Gesù i nove che non ritornano da Lui sono guariti e basta, l’unico ad essere salvato è il Samaritano riconoscente: “Alzati e va, la tua fede ti ha salvato”. Cosa permette a questi lebbrosi di fare il salto di qualità da guariti a salvati? È il rendimento di grazie. È l’Eucaristia. È la gratitudine. Se ci si rivolge a Dio con gratitudine questo salva. È il grazie che riesce ad accogliere la Grazia. Questo grazie possiamo dirlo solo in Gesù: nel suo rendimento di Grazie, il nostro e nel nostro la salvezza di Dio per noi si manifesta e quasi ci precede.

…È PREGATAO Padre, Tu hai stabilito che solo in Gesù c’è salvezza piena e

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duratura. Fa’ che totalmente uniti a Lui possiamo sperimentare l’intimo e totale rinnovamento della nostra vita. Rigenerati dalla Grazia, canteremo per sempre il nostro grazie. Amen.

…MI IMPEGNAImparerò a fare in modo che ogni mia preghiera inizi e termini sempre con un gioioso rendimento di grazie a Dio, in unione a Gesù, per mezzo dello Spirito Santo.

Giovedì, 12 Novembre 2020San Giosafat, vescovo e martire

Liturgia della parolaFm 1,7-20; Sal 145; Lc 17,20-25

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, i farisei domandarono a Gesù: «Quando verrà il regno di Dio?». Egli rispose loro: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!». Disse poi ai discepoli: «Verranno giorni in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: “Eccolo là”, oppure: “Eccolo qui”; non andateci, non seguiteli. Perché come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione».

…È MEDITATAIl brano evangelico prende le mosse da una domanda rivolta dai farisei a Gesù: “Quando verrà il Regno di Dio?”. Gesù ha sempre evitato di rispondere alla domanda su “quando”, egli è più interessato a far capire cosa sia il Regno, quali le sue dinamiche intrinseche, quali le sue modalità d’essere e di manifestarsi. Insomma Gesù parlando del Regno preferisce descrivere il che cosa e il come piuttosto che il quando.

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Facendo scorrere la memoria sulle nostre conoscenze evangeliche possiamo facilmente ricordare che in definitiva per Gesù il Regno è un modo nuovo di vivere le relazioni, un modo nuovo di abitare la terra, è come dire un “mondo capovolto” in cui tutte le logiche mondane svaniscono ed emergono le logiche evangeliche a plasmare l’umanità. In modo semplice potremmo dire che il Regno è la trasformazione dell’umanità in un’unica grande famiglia, dove Dio è riconosciuto Padre e tutti vivono da fratelli. Questa trasformazione è lenta, richiede pazienza. Questa trasformazione è inevitabile, richiede speranza: questa trasformazione è già in atto, è necessario saper leggere i segni del tempo. Nel brano evangelico di oggi Gesù sottolinea che la famiglia di Dio che chiamiamo Regno, si sta formando in silenzio, di nascosto: è come un seme che caduto nella terra, silenziosamente e senza che nessuno lo veda mette radici e produce germogli. Attirare l’attenzione, passare da un proclama ad un altro, avere titoli sulle prime pagine dei giornali o avere molti like sui social e diventare virale non è la strategia del Regno. Il Regno passa inosservato, ma è già presente. Passa inosservato perché non attira l’attenzione su di sé, ma indica Dio, la sua Signoria, la sua Paternità. Molti vorranno un Regno visibile e spettacolare, molti vorranno chiamare alla ribalta il suo fondatore e farne un eroe, una star. “Non cadete in questo tranello” dice Gesù ai suoi discepoli. Ciò nonostante è necessario essere vigilanti, tener gli occhi ben aperti, perché il Figlio dell’uomo verrà come un guizzo inaspettato e furtivo. Ma anche questo sembra catturare poco l’attenzione di Gesù. In un’altra occasione se la caverà dicendo che nessuno sa quando verrà il Regno definitivo, neppure Lui, ma solo il Padre. Gesù è molto più interessato al qui ed ora, a ciò che ha a che fare con Lui: la

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sua Passione. “Ma prima è necessario che – il Figlio dell’uomo – soffra molto e venga rifiutato da questa generazione”. È un modo, non troppo velato, per dire che, per trasfigurare il mondo, è necessario che il Figlio dell’uomo sia sfigurato; per dare vita nuova all’umanità è necessario che il Messia passi per l’esperienza della morte; per rendere tutti fratelli è necessario che egli manifesti al sommo grado l’amore che tutti unisce. Serve a poco farsi domande sul Regno, ciò che è importante è decidere di farne parte.

…È PREGATAO Padre, Tu vuoi che tutti gli uomini entrino a far parte della tua famiglia e vivano da fratelli tra di loro nell’amore, nella pace, nella concordia. Aiutaci a vivere uno spirito di fratellanza universale affinché a cominciare da noi, tutti ti riconoscano come Padre buono e amorevole, che perdoni e accogli tutti. Ciò che Cristo Gesù ha iniziato con la sua Pasqua, portalo a compimento nel giorno che hai stabilito. Amen.

…MI IMPEGNAMi impegnerò a relazionarmi con gli altri, con tutti, nessuno escluso, in spirito di vera fraternità. In questo modo vivrò già qui e ora nel grembo della famiglia di Dio inaugurata dalla Pasqua di Gesù, e contribuirò alla piena realizzazione del Regno.

Venerdì, 13 Novembre 2020Sant’Imerio, eremita

Liturgia della Parola2Gv 1,3-9; Sal 118; Lc 17,26-37

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in

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cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti. Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il figlio dell’uomo si manifesterà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva. Io vi dico: in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una verrà portata via e l’altra lasciata». Allora gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed Egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi».

…È MEDITATACon un fraseggio desunto dalla letteratura apocalittica, Gesù descrive gli eventi della fine. La letteratura apocalittica è un genere letterario che troviamo anche nell’Antico Testamento, e non è immediatamente decifrabile. Usa immagini forti, a tratti violente. Intreccia la descrizione di sconvolgimenti naturali, a scene di guerre violente e sanguinarie. È necessario però non fermarsi alla lettera di queste immagini ma a ciò che esse evocano e a ciò a cui rimandano. Gesù è molto abile a far uso di questo genere letterario, e la pagina evangelica odierna ne è un bell’esempio. Gesù avverte che un futuro difficile è alle porte (forse sta pensando all’esercito romano che cingerà d’assedio Gerusalemme e la metterà a ferro e fuoco, e pochi scamperanno), ma non è una realtà ineluttabile. Anche quel tempo sarà un tempo di salvezza. Dio ci sarà e agirà per la salvezza; ma è necessario che anche l’uomo ci metta del suo affinché possa scampare all’imminente tragedia. Mi sembra interessante l’esordio del discorso di Gesù: “Come avvenne nei giorni di Noè … come

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avvenne nei giorni di Lot”. Che cosa è avvenuto nei giorni di Noè? L’umanità peccatrice stava correndo inesorabilmente verso la propria autodistruzione, eppure non si accorgevano di nulla; come se niente fosse continuavano a vivere la loro normalità quotidiana: “mangiavano, bevevano, prendevano moglie … ”. Tra loro un uomo, forse considerato eccentrico, scrutava i segni dei tempi e si rendeva conto della fine ormai imminente. Forse è l’unico che ascolta la voce di Dio che invita a correre ai ripari e si costruisce un’arca per sé, la sua famiglia ed ogni altro essere vivente che non lo ritenga folle. Cosa è avvenuto? Dio pronuncia la sua parola di salvezza, chi la accoglie, ed agisce di conseguenza, otterrà salvezza. Lo stesso accadde nei tempi di Lot. Cosa è avvenuto in quei giorni? I peccati degli abitanti di Sodoma gridavano vendetta al cospetto di Dio e una società corrotta non ha vita lunga. Dio manda degli angeli a Sodoma ma essi non vengono accolti, anzi si cerca di abusare di loro. Chi invece li accoglie, Lot e la sua famiglia, saranno risparmiati dalla inevitabile fine di quella città annientata dal proprio peccato. Ecco dice Gesù, lo stesso accadrà nei giorni del Figlio dell’uomo. La sopravvivenza dell’umanità è a rischio, ma Dio offre ancora una volta l’ennesima possibilità di salvezza nel suo Figlio Gesù, Figlio di Dio, Figlio dell’uomo. Coloro che saranno previdenti, prudenti, coloro che ascolteranno la voce del Signore, coloro che sapranno prendere le distanze da una generazione corrotta e malvagia, coloro che sapranno collaborare con Dio sperimenteranno la salvezza come evento gratuito offerto dalla bontà di Dio, che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. È proprio questo lo scopo della letteratura apocalittica. Un appello alla conversione non più differibile, non più procrastinabile, non più rinviabile. È ormai il tempo dell’urgenza, il tempo si è fatto breve, è necessario

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prendere una decisione qui, ora, subito, dopo sarebbe troppo tardi.

…È PREGATAO Padre, in ogni momento e in ogni tempo Tu doni agli uomini la possibilità di essere salvati, ma ancora di più nei momenti critici della storia ti rendi presente per tirare in salvo colui che ascolta la tua voce e con te collabora al tuo universale progetto di salvezza. Donaci occhi che sappiano vedere, orecchi che sappiano ascoltare, cuore che sappia discernere, mani operose che sappiano collaborare per il rinnovamento dell’umanità. Amen.

…MI IMPEGNANon mi limiterò a vivere come fanno tutti gli altri, ma nelle cose che come tutti gli altri vivo, cercherò di cogliere quei segni che manifestano la precarietà delle nostre istituzioni umane e il loro inevitabile collasso, saprò dunque essere prudente, accorto, mi aprirò all’ascolto della parola di Dio e dei suoi profeti e mi adopererò perché “salvezza” sia la parola ultima.

Sabato, 14 Novembre 2020San Rufo di Avignone, vescovo

Liturgia della Parola3Gv 1,5-8; Sal 111; Lc 18,1-8

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto

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fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

…È MEDITATAL’immagine del giudice disonesto e del suo agire, per descrivere la volontà di Dio di fare giustizia ai suoi figli, non è certo una delle immagini più azzeccate, uscite dalla fantasia e dalla bocca di Gesù. Lo si sa, è da tenere in conto, spesso gli esempi traballano. L’aneddoto però serve a Gesù per sottolineare l’atteggiamento della vedova e la sua insistenza nel domandare giustizia. A questa donna, veramente sfortunata, già in quanto donna e poi anche in quanto vedova, nessuno avrebbe mai dato retta. Le donne, si sa, già non contano, e quindi non era il caso di perdere tempo per loro. Le vedove avevano perso l’uomo che ne garantiva la protezione, e quindi senza nessuno che in caso di necessità fosse pronto ad intervenire, il giudice si sentiva del tutto dispensato di occuparsi di loro. Nessuno sarebbe venuto a reclamare. Gesù vuol fare capire ai suoi discepoli che anche loro si trovano nella condizione della vedova: sono fragili, deboli, senza diritti, senza protettori o patrocinatori. Non possono farsi forti del loro stato sociale o del loro stato economico, non hanno diritti da vantare o privilegi a cui appellarsi, non possono farsi vanto del loro casato e del rispetto dovuto ad uomini di cultura. Insomma non possono appigliarsi a nulla. Eppure Dio, farà prontamente giustizia a loro nel momento in cui, nella nudità del loro essere, grideranno al Signore. Non si può immaginare Dio, come si faceva prima di Gesù. Dio non è indifferente, non è ripiegato su se stesso, preoccupato delle sue cose, chiuso

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nei suoi pensieri, restio a rispondere perché fondamentalmente disinteressato di quanto avviene sotto il cielo. Gesù usa un avverbio per descrivere l’atteggiamento di Dio “prontamente”, e ciò basta per mettere a nudo le vere intenzioni di Dio. Prima ancora che lo invochiamo Lui è già disposto a venirci in aiuto, è disponibile nei nostri confronti, non gli dobbiamo presentare nessuna lettera di referenze, gli basta sapere che siamo suoi figli. Ma abbiamo veramente questa certezza nei confronti di Dio? Certi nostri atteggiamenti: fioretti, sacrifici, rinunce, voti, tradiscono la nostra convinzione che l’amore di Dio non sia poi così gratuito, ma c’è bisogno di conquistarselo, di comprarlo, di guadagnarlo. Certe nostre preghiere ripetitive, ossessive, super-erogatorie, fatte con insistenza mettono in evidenza la nostra scarsa convinzione nella prontezza con cui Dio risponde ai suoi che gridano a Lui. L’interrogativo che conclude il brano evangelico un po’ ci spiazza e ci imbarazza: “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Troverà uomini che si fidano degli altri uomini o saranno malfidenti gli uni con gli altri? Troverà uomini capaci di fidarsi e di affidarsi a Dio con il semplice, affettuoso abbandono di un bimbo verso suo padre? Ci saranno ancora uomini capaci di dar credito alle parole del Vangelo? Insomma saremo ancora credenti o qualcuno ci avrà rubato la fede dal cuore?

…È PREGATAO Padre, i tuoi occhi sono costantemente aperti sul mondo, il tuo cuore freme di compassione per ogni figlio che si perde e gioisce per ogni figlio ritrovato. Tu non lasci cadere nel vuoto le nostre supplice e le nostre lacrime, le raccogli nell’otre del tuo cuore. Tutti i nostri nomi sono scritti nel palmo della tua mano e ci custodisci come la pupilla del tuo occhio. Donaci di non mettere mai in dubbio questa certezza. Amen.

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…MI IMPEGNAConvinto che Dio conosce già ciò di cui abbiamo bisogno e ancor prima che lo invochiamo ci concede i suoi doni di Padre, mi impegnerò a vivere la preghiera con semplicità e con fiducioso abbandono e non mi sfiorerà il pensiero che per essere esaudito dovrò dare qualcosa in cambio a Dio.

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XXXIII Settimanadel Tempo Ordinario

Domenica, 15 Novembre 2020Sant’Alberto Magno, vescovo e dottore della Chiesa

GIORNATA MONDIALE DEI POVERI“Tendi la tua mano al povero” (cfr Sir 7,32)1

Liturgia della ParolaPr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il talento sottoterra: ecco qui

1* Vedi messaggio del Santo Padre Francesco a p. 241

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il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

…È MEDITATANon finirò mai di stupirmi dinnanzi alla delicatezza dell’agire di Dio e alla sua tenace e cortese volontà di chiamare l’uomo a collaborare con Lui. Dio potrebbe fare tutto da solo e potrebbe farlo in modo perfetto, invece non fa tutto e neppure in modo compiuto perché l’uomo possa sperimentare l’emozione e l’ebbrezza di poter contribuire alla realizzazione dei beni di cui Dio a piene mani ricolma il mondo e la storia. Dio avrebbe potuto far calare il suo Regno dal cielo bell’e pronto (e prendiamo il Regno giusto come un esempio fra molti altri). Invece lo getta come un seme perché l’uomo abbia la possibilità di coltivarlo, farlo crescere e di portarlo a maturazione. Dio desidera che l’uomo possa sentire “suo” il Regno che viene da Dio; che del Regno si possa dire allo stesso tempo che è Regno di Dio-Regno dell’uomo. È la stessa soddisfazione che prova un bambino quando realizza qualcosa insieme al suo papà: la cosa più bella è l’orgoglio di poter dire agli altri “l’abbiamo fatta insieme”. Dio non ci vuole semplici recettori passivi, né solo fruitori, né tanto meno spettatori. La sua divina strategia è fare insieme con l’uomo e permettere all’uomo di fare insieme a Dio. Questa è la caratteristica di tutta la storia della salvezza: storia di Dio per l’uomo, storia dell’uomo con Dio. Chi si chiude nell’inerzia, chi sta solo a guardare, chi pensa sia meglio che faccia tutto Dio, è fuori dalla logica della rivelazione. Certo se Dio facesse da solo,

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farebbe meglio e farebbe più in fretta, ma sarebbe come uno che se la canta e se la suona da solo. Dio preferisce coinvolgere anche se questo rallenta i processi e spesso non garantisce al primo colpo la piena e perfetta realizzazione del progetto salvifico. Dio si assume il rischio. Un rischio che dovremmo saper assumerci anche noi. Rischio che preferisce evitare il servo che riceve un solo talento: questo mi hai dato, questo ti dò. Ne più, né meno. Non ci ha messo niente di suo. Nel regno non c’è nulla che gli appartiene, nulla di cui possa dire questo è anche frutto del mio impegno, qui c’è parte di me stesso e della mia vita, dei miei sogni e delle mie fatiche, delle mie rabbie e delle mie gioie, dei miei fallimenti e delle mie speranze, dei rischi, degli azzardi, dei batticuore. Per questa ragione sarà tagliato fuori dal Regno, lui stesso sente di non appartenere al Regno perché il Regno non gli appartiene.

…È PREGATAO Padre, il tuo Regno viene, ma lo deponi nelle nostre mani non solo per custodirlo, ma anche per farlo crescere e diffonderlo. Donaci l’entusiasmo e il coraggio di tessere insieme con Te la trama di una storia che genera salvezza e porta a compimento il tuo originario e universale desiderio di bene per ogni creatura. Amen.

…MI IMPEGNANon sarò spettatore annoiato, né pigro servitore del Regno, ma per la sua realizzazione sarò vivace e dinamico collaboratore a cominciare dalle piccole cose, perché un giorno possa dire con Maria “Grandi cose ha fatto attraverso di me l’Onnipotente”.

Lunedì, 16 Novembre 2020Santa Margherita di Scozia, regina

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Liturgia della ParolaAp 1,1-4;2,1-5; Sal 1; Lc 18,35-43

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

Mentre Gesù si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!». Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.

…È MEDITATAÈ un quadretto delizioso, una pericope dai molteplici risvolti, quasi un gioco pirotecnico dai mille luminosi, cangianti bagliori. Ogni frase ci cattura e da ogni frase potremmo succhiare un nettare delizioso e fare del miele dolcissimo. Così è la Parola, ogni sua parola! Mi soffermo e quasi indugio sulla domanda che Gesù rivolge al cieco una volta che questi finalmente riesce a stargli dinnanzi: “Cosa vuoi che io faccia per te?”. A prima vista la domanda sembra del tutto retorica, quasi oziosa. Cosa potrà mai volere un cieco che a gran voce chiede che Gesù si accorga di lui e si muova a compassione? “Che io veda di nuovo!”, è ovvio. A ben pensarci però ci rendiamo conto di trovarsi di fronte a qualcosa di insolito. In genere Gesù non domanda mai a coloro che si rivolgono a Lui il motivo o l’oggetto della loro richiesta. O è Gesù che prende l’iniziativa, o è Lui che intuisce, o gli basta la generica richiesta di aiuto. A Gerico, invece, di fronte a questo cieco,

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che da altre fonti sappiamo chiamarsi Bartimeo, Gesù pone una domanda: “Cosa vuoi che io faccia per te?”. Ho l’impressione che questa domanda assurga ad un valore universale, che ci porti su un altro piano e un’altra prospettiva. Mi pare di cogliere un nucleo simbolico nel cuore della domanda. Incontrando l’umanità, Gesù non viene con un programma già bell’e fatto, predisposto a tavolino, messo insieme a priori. Gesù non va incontro all’umanità con la saccenza di chi dice: “Ho pensato questo per te: Prendere o lasciare”; “Questo è quello che passa il convento”; “O mangi questa minestra o salti da questa finestra”. Insomma ciò che Gesù ci offre non è un menù fisso, ma un menù alla carta e ciascuno può scegliere quello che preferisce. Voglio dire che mi piace questo Gesù che non crede di sapere Lui quello di cui abbiamo bisogno, ma con umiltà si mette in ascolto dei nostri bisogni: “Di cosa hai bisogno?”; “Cosa posso fare per te?”. La disponibilità di Gesù è oltre ogni attesa. Non distribuisce un pacco preconfezionato, ma ogni dono è personalizzato. Credo che tutti, anche la Chiesa, dovrebbero imparare da questo atteggiamento di Gesù. Spesso abbiamo l’arroganza di credere che noi sappiamo già molto bene ciò di cui gli altri hanno bisogno. Tra noi non è lecito esprimere preferenze o necessità, si deve ricevere a scatola chiusa. Una maggiore adesione allo stile di Gesù, una più profonda intelligenza della fede, una più attenta premura pastorale richiederebbe che si avesse sempre sulle labbra l’imprescindibile domanda: “Cosa vuoi che io faccia per te?”.

…È PREGATAO Padre, che ascolti l’intimo anelito che sale a Te da ogni cuore, e a ciascuno dai secondo i suoi bisogni, aiutaci a fare in modo che la nostra risposta ai bisogni degli uomini non sia generica ma personalizzata, non sia organizzata per cognomi,

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ma per nomi, non per categorie, ma per i singoli; per poter dare a ciascuno non ciò che c’è, ma secondo le necessità. Amen.

…MI IMPEGNAMi metterò in ascolto dei bisogni dell’altro, per dargli ciò che chiede, non ciò che voglio.

Martedì, 17 Novembre 2020Sant’Elisabetta di Ungheria, regina

Liturgia della ParolaAp 3,1-6.14-22; Sal 14; Lc 19,1-10

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

…È MEDITATADalla curiosità all’incontro, dall’incontro alla salvezza: questo è l’itinerario spirituale di Zaccheo. Collaborazionista con il dominatore romano, esattore delle tasse per conto di Roma, scaltro faccendiere, instancabile nel perseguire il proprio interesse, accumulatore di denaro, organizzatore di bagordi e

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di festini affollati da gente come lui e da chi per pochi soldi svendeva la propria compiacenza, era temuto e disprezzato dai suoi stessi concittadini, messo al bando ed evitato come un appestato da scribi e farisei. Questo era Zaccheo. Non era tipo da perder tempo appresso ai predicatori, ed erano molti, che si affacciavano sulla scena della vita religiosa di Israele. Ben altri erano i suoi interessi. Dopo tutto il contenuto della predicazione dei vari maestri era sempre identico, una filastrocca che ormai tutti potevano ripetere a memoria. E quella litania certo non suscitava l’interesse di uno come Zaccheo. Ma di Gesù aveva sentito dire cose che lo incuriosivano. La gente diceva che nessuno mai aveva parlato come lui; nessuno aveva mai osato quello che osava questo Galileo che passava beneficando tutti ed era potente in parole e in opere; il suo insegnamento lasciava tutti a bocca aperta, e il suo dire e il suo fare aveva poco in comune, anzi quasi niente, con gli scribi e i farisei, a cui spesso si contrapponeva apertamente. Osava frequentare pubblicani, prostitute e peccatori e non disdegnava di mangiare con loro. E no! Uno così Zaccheo non poteva perderselo, doveva vederlo, ascoltarlo, almeno da lontano. Quando Gesù passa per Gerico, Zaccheo non ci pensa due volte a salire su una pianta di sicomòro. D’altronde lui era abituato a vedere il mondo e gli uomini dall’alto in basso. È bello che il Vangelo annoti che non è Zaccheo a vedere Gesù, ma Gesù a vedere lui alzando lo sguardo. Zaccheo è spiazzato: voleva vedere e invece è stato visto, voleva guardare, invece è stato guardato. È stato colto di sorpresa. Si è sentito lo sguardo di Gesù addosso e non era indagatore, né sprezzante, non era lo sguardo di chi giudica e condanna. Era uno sguardo amico, affabile. Negli occhi di Gesù, Zaccheo poteva leggere: “So bene chi sei” e nello stesso istante le sue orecchie udivano: “Zaccheo scendi

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perché oggi devo fermarmi a casa tua”. “So chi sei e voglio stare con te”. È una mano tesa, è offerta di amicizia, è desiderio di condivisione, è dono di salvezza. Zaccheo si sente amato, forse per la prima volta in vita sua. Si sente amato nonostante tutto, a prescindere. Aveva fatto l’abitudine a sopportare il disprezzo degli altri, il giudizio, era abituato a vivere tra gente che faceva di tutto per evitarlo e nessuno, se non quelli come lui, avrebbe mai messo piede in casa sua, men che meno un rabbi. L’incontro con Gesù gli stravolge la vita. D’un tratto si rende conto che la vera vita è tutt’altro da quella che sta vivendo lui, e cambia registro: “Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Nessuno glielo aveva chiesto, ma gli è bastato sentirsi amato; gli è bastato sentirsi perdonato, gli è bastato sapere che i suoi debiti gli erano stati condonati da Dio; gli è bastato sperimentare che Dio gli riversava in grembo una misura traboccante di bene, e dunque non poteva far altro. Dio ha trovato un figlio disperso. Zaccheo ha ritrovato se stesso.

…È PREGATAO Padre, che rimetti i debiti e perdoni i peccati, guarda con compassione alla mia vita. Il tuo sguardo si posi su di me con benevolenza. Convertimi e io ritornerò a Te. Fammi sentire la tua salvezza. Apri i miei occhi perché io possa vedere i bisogni dei miei fratelli. Dilata il mio cuore perché in esso ci sia posto per tutti coloro che cercano una casa in cui dimorare. Amen.

…MI IMPEGNANella consapevolezza di aver ricevuto molto dal Signore, beneficherò i miei fratelli con piena generosità.

Mercoledì, 18 Novembre 2020Dedicazione Basiliche dei Santi Pietro e Paolo, apostoli

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Liturgia della ParolaAp 4,1-11; Sal 150; Lc 19,11-28

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il Regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”. Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”. Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: a chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”». Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.

…È MEDITATAMentre era diretto a Gerusalemme Gesù disse una parabola.

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Raccontata la parabola, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Questa è in Luca la cornice della parabola dei talenti, simile, ma non identica a quella che troviamo in Matteo 25. Proviamo a lasciarci suggestionare dalla cornice per interpretare il contenuto. L’evangelista Luca organizza il suo vangelo raccontando un unico lungo viaggio di Gesù dalla Galilea a Gerusalemme dove porterà a compimento la sua missione affrontando liberamente la sua passione che vive come estrema ratifica del suo insegnamento e della sua opera: dall’amore predicato Gesù metterà in scena un amore dimostrato, un amore grande, un amore che dona la vita. La parabola dei talenti o delle monete d’oro come dice Luca, raccontata dentro questa cornice, acquista in primo luogo una valenza cristologica. Gesù si identifica con quei servi che fanno fruttare i doni ricevuti dal loro Signore. Gesù è consapevole che il Padre suo lo ha ricolmato di beni, che in Lui ha riversato ogni dono di grazia, che a Lui ha affidato una missione unica, esaltante e impegnativa. Quale sarà il suo atteggiamento? Farà finta di niente? Per paura lascerà perdere e tutto cadrà nell’oblio? Userà i doni ricevuti per i suoi interessi? Oppure farà fruttificare ogni cosa per un bene più grande? Queste ed altre domande simili hanno segnato l’inizio del suo ministero. Tutti gli evangelisti ci raccontano come Gesù prima di cominciare il suo percorso di predicatore itinerante e di guaritore, passa un lungo periodo nel deserto. Quel tempo gli serve per chiarirsi le idee, per decidere la scelta da fare. Prima di cominciare l’opera ha bisogno di capire cosa e come deve fare; quale il contenuto, lo stile, lo scopo della sua missione. Deve chiarire a se stesso se vuole davvero vivere da Figlio e come esserlo; se vuole davvero essere Servo e come esserlo. Le tentazioni nel deserto ci parlano di una scelta non facile, ma necessaria.

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Scelta a cui Gesù si atterrà sino alla fine. E quale è stata la sua scelta? Prendendo in prestito le immagini della parabola possiamo dire che Gesù sceglie di essere un servo buono e fedele, un servo che decide di mettere a frutto quanto ricevuto dal Padre suo, di moltiplicare ogni bene, di far esplodere ogni grazia, di metterci del suo, di non lasciarsi paralizzare dalla paura, di non giocare al ribasso, di non essere pusillanime anche quando il gioco si fa duro. Gesù sceglie di essere un servo generoso, dinamico, intraprendente; un servo attento agli “interessi” del Padre suo, capace di rimetterci pur di dar gloria a Dio, capace di scomparire pur di dare a Dio la possibilità di “regnare”. E a Gerusalemme darà la prova suprema di quanto questa scelta sia stata per Lui lo scopo vero della sua vita.

…È PREGATAO Padre, che nel tuo Figlio Gesù hai trovato il servo buono e fedele, il servo obbediente fino alla morte e alla morte di croce, il servo completamente dedito alla manifestazione della tua Gloria, donaci che, con il suo esempio e secondo il suo insegnamento, anche noi possiamo senza paura e senza finzione dedicare la nostra vita a moltiplicare nel mondo i segni del tuo amore. Amen.

…MI IMPEGNASpesso la vita cristiana ci mette dinnanzi esigenze che ci sembrano più grandi di noi. Confidando nell’aiuto del Signore metterò ogni impegno per poter realizzare quanto mi viene chiesto: essere fedele nel poco, facendo fiorire ogni seme di bene che mi è stato posto nel cuore.Giovedì, 19 Novembre 2020Santa Matilde di Hackeborn, vergine

Liturgia della ParolaAp 5,1-10; Sal 149; Lc 19,41-44

LA PAROLA DEL SIGNORE179

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…È ASCOLTATAIn quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».

…È MEDITATASecondo quanto ci dicono i vangeli, solo due volte Gesù pianse: di fronte alla tomba dell’amico Lazzaro e alla vista di Gerusalemme, la città che si chiude all’amore. Quanto Gesù dovesse amare Gerusalemme è facile da comprendere. La città santa era la gioia di ogni pio israelita, era la meta agognata del pellegrinaggio annuale. In essa venivano poste tutte le speranze dei giusti. Era la città scelta da Dio per porre in essa la sua dimora tra gli uomini. Il suo nome è sulla bocca di tutti i profeti che la cantano come una sposa, come l’Amata, come il luogo del banchetto universale che Dio imbandisce per tutti i popoli. Eppure è la città più volte riprovata dai profeti, sferzata per la sua infedeltà, per la sua idolatria; castigata da Dio perché amata di un amore geloso. Era vanto e abominio del popolo eletto. La città di Davide era nel cuore di ogni credente, era una città da sogno continuamente sognata, era oggetto di desiderio: “Quale gioia quando mi dissero andremo nella casa del Signore” (Sal 122,1). E quando, dopo aver percorso l’irto sentiero che da Gerico saliva a Gerusalemme inerpicandosi tra le rocce del deserto di Giuda, il pellegrino giungeva nei pressi di Betfage, il canto proseguiva: “e ora i nostri piedi si fermano alle tue porte Gerusalemme” (Sal 122,2). E quella città la si accarezzava con gli occhi, e gli occhi si riempivano di lacrime, ma erano

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lacrime di commozione, erano lacrime di gioia. Anche Gesù sale a Gerusalemme e da Betfage con lo sguardo abbraccia la città santa e piange, ma le sue lacrime sono lacrime di amarezza per quella città tanto amata eppure tanto indifferente. Quante volte il Signore aveva voluto radunare i suoi figli sotto le sue ali, come fa una chioccia con i suoi pulcini, ma essa ogni volta rifiutava l’amore. La via della pace più e più volte indicata a Gerusalemme, da Gerusalemme veniva ignorata. “Se avessi compreso quello che porta alla pace!”. E gli occhi di Gesù già vedono, quello che non avrebbero mai voluto vedere: un cumulo di rovine fumanti, non una sola pietra sull’altra, sofferenza e desolazione, distruzione e morte, non più in essa un alito di vita. Gerusalemme che non riconosce il tempo in cui viene visitata da Dio, cade tra le braccia dei soldati romani che la stringono in un abbraccio mortale, senza pietà. Gesù da lì a poco, vivrà in anticipo sulla sua carne la sorte di Gerusalemme. Una violenza inaudita si abbatterà su di Lui e Lui assaporerà il gusto acre della morte. Ineffabile mistero: Dio vive in sé la stessa sorte della sua città. E sia scritto in modo indelebile perché si ricordi nei secoli per sempre che Dio condivide la sorte di chi soffre e di chi muore anche a causa delle proprie colpe. Tutti coloro che muoiono sempre, ovunque avranno un Dio che muore accanto a loro.

…È PREGATAO Padre, la nostra indifferenza non ti lascia indifferente, la nostra infedeltà ti addolora, la nostra chiusura al tuo amore ti ferisce e ti amareggia. Eppure non prendi mai le distanze da noi: esiliato con chi viene condotto in esilio, umiliato con chi viene oltraggiato, schiacciato con chi subisce violenza. Tu non conosci vendetta, ma solo compassione e nella tua compassione prendi su di Te la sorte di coloro che ami. Amen.

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…MI IMPEGNANon disprezzerò coloro che rifiutano l’amore di Dio, ma ne avrò compassione. Non prenderò le distanze da coloro che non credono in Dio ma condividerò con essi il cammino della vita. Meglio una lacrima che un giudizio.

Venerdì, 20 Novembre 2020Sant’Edmondo, re e martire

Liturgia della ParolaAp 10,8-11; Sal 118; Lc 19,45-48

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà casa di preghiera”. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.

…È MEDITATA“Tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo”. È capitato a tutti, credo, restare incantati ad ascoltare qualcuno. Una parola suadente, un tono di voce accattivante, l’uso di simboli e immagini che fanno volare con l’immaginazione, un linguaggio semplice, chiaro, acuto, penetrante, discorsi concreti, che toccano la vita, insegnamenti che senti pronunciati proprio per te, religione con i piedi per terra e che nello stesso tempo trasporta in cielo. Un insegnamento nuovo, senza frasi fatte, che ogni volta sorprende e entusiasma, un modo fresco di parlare delle antiche Scritture, parole nutrienti e liberanti. Ascoltare Gesù mandava in fibrillazione, il cuore ardeva, la gioia pullulava nell’intimo. Stavano ore, giorni interi ad ascoltarlo. Facevano chilometri per andargli appresso, per

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vie polverose per non perdersi neppure uno iota del suo insegnamento. Chi lo ascoltava a cuore aperto si sentiva rinato. Gli scribi e i farisei che andavano a sentirlo con sospetto, lo giudicavano, scuotevano la testa, lo consideravano pericoloso ed ogni volta cercavano di metterlo in difficoltà e tramavano di metterlo a morte. Giunto ormai al capolinea della sua missione, Gesù si trova a Gerusalemme. Di giorno insegnava nel Tempio, la sera si ritira con i suoi appena fuori città, dove qualche amico gli metteva a disposizione un alloggio. Gesù amava il Tempio, e forse proprio nel Tempio voleva trascorrere gli ultimi giorni della sua vita terrena. Il brano evangelico di oggi, fotografa proprio questa situazione. Giunto nel Tempio mette alla porta tutti coloro che al Tempio facevano perdere la sacralità. Il Tempio è la casa per tutti coloro che desiderano pregare. Con forza Gesù grida “l’extra omnes”, fuori tutti coloro che con la verità del Tempio non hanno nulla a che fare. E poi nel Tempio si mette ad insegnare. Ancora una volta il suo insegnamento crea divisione. Le sue parole non lasciano indifferente nessuno. Ciascuno è obbligato a prendere una posizione. Il popolo pende dalle sue labbra, i capi cercano il modo di farlo morire. Lo aveva già profetizzato Simeone, il vegliardo che proprio nel Tempio molti anni prima aveva preso Gesù tra le braccia dicendo: “Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele, e come segno di contraddizione” (Lc 2,34). Dinnanzi a Gesù non si può restare indifferenti o lo si ama o lo si odia, o lo si accoglie o lo si rifiuta. Ormai è già chiaro, Gesù si trova nel covo dei suoi oppositori, è finito proprio tra le fauci del leone. Ha i giorni contati. Eppure Egli continua con serenità ad insegnare al popolo. Sa di essere guardato a vista e che mille orecchie cercano di captare una parola che possa metterlo in difficoltà, per incastrarlo attraverso le sue stesse

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parole. Gesù ne è consapevole, ma continua con decisione a raccontare al popolo quello che ode dalla bocca del Padre suo.

…È PREGATAO Padre, parola di verità, che hai messo il tuo verbo sulle labbra di Gesù, rendici uditori attenti della sua Parola e testimoni del suo Vangelo. Fa’ che possiamo mettere in pratica con fedele generosità e con gioiosa autenticità la parola che ascoltiamo, che ci ferisce il cuore e lo fa ardere, che ci colma di stupore e ci fa sognare, che ci lascia a bocca aperta e ci fa credere che un mondo nuovo è possibile. Amen.

…MI IMPEGNADinnanzi a Gesù e al suo insegnamento prenderò una decisione chiara, libera e personale. Non starò in panchina, ma sceglierò da quale parte del campo voglio giocare.

Sabato, 21 Novembre 2020Presentazione della Beata Vergine Maria

GIORNATA MONDIALE DELLE CLAUSTRALILiturgia della Parola

Ap 11,4-12; Sal 118; Lc 20,27-40LA PAROLA DEL SIGNORE

…È ASCOLTATAIn quel tempo si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei - i quali dicono che non c’è risurrezione - e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non

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possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.

…È MEDITATALa setta dei Sadducei, cui appartenevano molti dei sacerdoti del Tempio, non credeva alla risurrezione dei morti. Era una credenza nuova, cosa da progressisti sconsiderati, non secondo l’antica tradizione: aveva solo poco più di 200 anni. La fede nella risurrezione dei morti, infatti, aveva preso piede al tempo dei Maccabei, quando molti israeliti si erano dati alla macchia per combattere l’arrogante re Antioco Epifane che pretendeva si offrisse incenso dinnanzi alla sua statua e si mangiasse carne immolata agli dèi. Gli ebrei di stretta osservanza, chiamarono a raccolta tutti coloro che volevano mantenersi fedeli alla tradizione religiosa ebraica, e proprio per questo impugnarono le armi e si dettero alla resistenza armata. Molti di loro cadevano in battaglia, dando la vita per difendere la legge del Signore. Era possibile che il loro sacrificio fosse senza alcuna ricompensa da parte di Dio? Era chiaro che per tutti costoro Dio aveva in serbo una vita nuova, un regno di luce doveva accoglierli. La morte degli amici di Dio non poteva non sfociare nella risurrezione. I sacerdoti del tempio – e si sa – erano tradizionalisti e questa nuova teoria la giudicavano contraria alla sana tradizione e non perdevano occasione per mettere in ridicolo la credenza nella risurrezione. Volendo che Gesù dichiarasse il suo parere sull’argomento, gli presentano un caso davvero improbabile, paradossale tanto da rasentare il ridicolo: una donna sette

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volte vedova e senza figli. Nella risurrezione di chi sarà moglie, visto che non ha concepito figli con nessuno dei sette mariti? La legge del levirato imponeva ai fratelli di dare una discendenza al fratello che fosse morto senza aver lasciato figli. La risposta di Gesù si muove su due piani distinti. Da una parte afferma la verità della risurrezione e la fa risalire all’esperienza fondativa della fede di Israele, l’esodo. Dio si rivela a Mosè come il Dio dei vivi perché parla dei patriarchi come delle persone vive e non morte, persone che vivono in Dio e partecipano della sua gloria. Dall’altra parte Gesù afferma che non si deve pensare alla risurrezione come una prosecuzione di questa vita terrena, ma come l’ingresso in tutt’altra dimensione, nella quale le logiche di questo mondo non hanno più alcun senso. Affermare che i morti diventano “come angeli di Dio”, serve a far comprendere che con la morte e la risurrezione l’uomo farà un salto di qualità, la sua umanità non sarà cancellata, ma sarà trasfigurata. La certezza della risurrezione si fonda, dice Gesù, sulla rivelazione che gli uomini sono figli di Dio e in quanto figli di Dio destinati alla gloria. Dio infatti non può lasciare che i suoi figli vedano la corruzione della morte.

…È PREGATAO Padre della vita, la morte ti offende, ti umilia, ti contraddice. Tu non hai pensato la morte, non l’hai voluta, non l’hai permessa. Essa è entrata nel mondo perché l’uomo si è lasciato sedurre dal maligno. Tu però da subito hai teso la tua mano all’umanità che ha scelto la morte per offrirgli la possibilità di una vita nuova e immortale. Nel tuo Figlio Gesù, crocifisso e risorto hai sancito una volta per sempre questo tuo progetto e hai posto il sigillo sulla vittoria della vita sulla morte. Amen.

…MI IMPEGNA

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Se Cristo non fosse risorto, e noi non risorgessimo con lui, vana sarebbe la nostra fede. Credo veramente nella risurrezione? Mi impegnerò a comprendere e ad aderire con convinzione a questa straordinaria rivelazione del Vangelo.

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XXXIV Settimanadel Tempo Ordinario

Domenica, 22 Novembre 2020NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO, RE DELL’UNIVERSO

SolennitàGIORNATA DI SENSIBILIZZAZIONE PER IL SOSTENAMENTO DEL CLERO

Liturgia della parolaEz 34,11-12.15-17; Sal 22; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Quando il figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà a quelli posti alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o

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forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna”.

…È MEDITATADio non finisce mai di stupirci! Il grande giorno del giudizio, sarà anche il giorno dell’inattesa, incredibile, sorprendente sorpresa. Più che una resa di conti, sarà lo svelamento di un segreto nascosto da sempre. Più che una sentenza, sarà l’istantanea dello stupore sul volto degli uomini buoni e cattivi: “Quando mai Signore ti abbiamo veduto affamato … ”. Dinnanzi a questa pagina evangelica viviamo un rapporto rovesciato. Sappiamo in anticipo quello che accadrà in quel giorno, e questa pagina ha perso la sua stupefacente carica di meraviglia infantile. Noi sappiamo già che in ogni uomo, in ogni fratello, soprattutto nei più piccoli, poveri e indifesi, nei più bisognosi e dimenticati è presente il Signore Gesù, e nel giorno del giudizio ci perderemo la sorpresa. Noi lo sappiamo già: questa conoscenza dirige il nostro agire morale e nel giorno dell’esame finale sappiamo già su cosa verterà l’interrogazione. Guai a noi! Siamo avvisati prima. Ma questa pagina da sfolgorante pagina escatologica ce la portiamo appresso come un codice di regole morali. Ma, se posso osare, direi di più. Tra le righe di questo Vangelo c’è il rischio che facciamo serpeggiare una sorta di subdola ipocrisia. Mi spiego. Ci è stato insegnato e ce ne siamo convinti che dietro o dentro ogni fratello c’è Gesù, e se amiamo il fratello per ciò stesso amiamo Gesù. Dunque, a rigore di termini, potremmo dire che amiamo il fratello solo perché in esso c’è Gesù. Non amiamo il fratello, amiamo Gesù che è presente in lui. Questa è la grande ipocrisia. L’affamato, l’assetato, il forestiero, il

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carcerato, il malato, il povero, l’escluso, vanno amati in quanto tali, non perché rappresentano qualcun altro. Il fratello va amato perché è il fratello, non perché rinvia a qualcun altro. Il fratello va servito con il suo nome e il suo cognome: si chiama Pasquale, Giovanni, Andrea, Maria, Teresa, Susanna, e non Gesù. Come ci rimarremmo se chi ci dimostra il suo amore, ci volesse bene solo perché gli ricordiamo qualcun altro? Mi dice che mi vuol bene, ma in effetti non vuol bene a me ma a colui che gli rappresento. I buoni che nel giorno del giudizio diranno: “Ma quando mai Signore ti abbiamo visto … ” hanno amato e servito coloro che hanno incontrato nel bisogno, punto e basta. Potrebbero elencare come una litania i nomi delle persone a cui hanno voluto bene e che hanno aiutato, ma certo tra questi nomi non comparirebbe il nome di Gesù. Ed è proprio questo il bello. È proprio questa la sorpresa. È propria questa l’autenticità della fede e dell’amore. Amare l’uomo perché è uomo, amare il bisognoso perché è bisognoso. Che in essi fosse presente Cristo sarà la sorpresa dell’ultimo giorno. Certo noi lo sappiamo in anticipo, ma facciamo finta di non saperlo: la nostra carità sarà più sincera e non ci priveremo della sorpresa finale.

…È PREGATAO Padre, aiutaci ad amare i fratelli per quello che sono, senza secondi fini; amare le loro ferite, le loro piaghe, le loro povertà; amarli senza bisogno di pensare che siano lo strumento per amare il tuo figlio Gesù. Aiutaci a fare dei nostri fratelli un fine e non un mezzo, essi vanno accolti ed abitati, non semplicemente attraversati perché chi interessa sei Tu, il nostro scopo è arrivare a Te. I bisognosi non possono essere usati solo in modo funzionale al raggiungimento del nostro obbiettivo. Se ne fossero consapevoli ne sarebbero doppiamente umiliati, e questo non è secondo la tua volontà.

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Amen.…MI IMPEGNA

Non cercherò il volto di Gesù nel volto del fratello, ma mi metterò al suo servizio semplicemente perché si trova nel bisogno. Mi riservo la sorpresa per l’ultimo giorno.

Lunedì, 23 Novembre 2020San Clemente I, papa e martire

Liturgia della ParolaAp 14,1-5; Sal 23; Lc 21,1-4

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».

…È MEDITATAQuante volte ci accade di guardare e non vedere. I nostri occhi sono rivolti verso il basso o meglio sono rivolti verso noi stessi. Anche lo sguardo può essere egocentrico, centrato cioè sul proprio ego. Vediamo solo noi stessi e quanto può essere funzionale al nostro interesse, alla nostra soddisfazione. È bella l’espressione con cui inizia questo scampolo di vangelo: “Gesù, alzàti gli occhi … vide, … vide … ”. Gesù è capace di distogliere il proprio sguardo da sé, e alzare gli occhi per vedere. Gesù è in grado non solo di guardare ciò che accade attorno a lui, ma di vedere in profondità. Il suo è uno sguardo che non si ferma all’esteriorità, ma sa leggere nel cuore. La sua capacità di vedere oltre le apparenze, è capace di discernere, di interpretare, di svelare, di mettere a nudo ciò che sta sotto l’ingannevole superficie. Questa sua capacità gli

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permette di non cadere nel tranello di un giudizio basato sulla evidenza esteriore. Il rumore delle molte monete gettate dai ricchi nel tesoro del tempio non lo inganna. È il rumore fatto da chi vuole attirare l’attenzione, da chi vuole mettersi in mostra, da chi vuol far sapere a tutti la propria devota, cospicua generosità verso il tempio. In mezzo a tanto frastuono Gesù sente il tintinnio di due monetine; fra tanta pomposità e ampiezza di gesti, di mantelli e di borse che si aprono, di braccia che si protendono verso la cassa delle offerte, Gesù nota il gesto dimesso, silenzioso, furtivo, di una povera vedova, che quasi con vergogna offre due monetine: roba da niente, offerta insignificante, senza valore. Gesù non può non richiamare l’attenzione dei suoi discepoli perché imparino a discernere. Attira l’attenzione sulla vedova e sul suo gesto. Lei sì che si fida veramente di Dio. Non offre il superfluo, ciò che avanza, ciò di cui può fare a meno e non se ne accorge neppure, ciò di cui può privarsi senza subirne detrimento. Questo è ciò che fanno i ricchi. Lei offre la sua vita, il suo futuro, la sua sopravvivenza, il pane di quel giorno, il sostentamento per il giorno appresso. Gettate nel tesoro del tempio le sue due monetine, resta senza sostentamento, non avrà di che vivere. La sua vita è gettata nel tesoro del tempio. E il tempio si fa ricco solo della vita dei fedeli che si affidano completamente a Dio. Questa è la vera ricchezza custodita nel tempio: la fede nella provvidenza. Se Dio sfama gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, a maggior ragione non farà mancare il necessario ai suoi figli che si affidano a lui. Dio non ha bisogno di denaro, ha bisogno di cuori, ha bisogno di figli che rivolgendosi a lui sappiano dire: “Sei tu, Signore, l’unico mio bene”. “Come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni, … così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio” (Sal 123,2). Il Signore non ha bisogno delle tue cose, ha

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bisogno di te; non vuole i tuoi soldi vuole la tua vita; non vuole il tuo superfluo, vuole ciò di cui non puoi fare a meno. Solo così lui sarà l’unica tua speranza: la speranza che non delude.

…È PREGATAO Padre, provvidenza magnanime e generosa, aiutaci non solo a credere in te, ma a confidare in te; non solo a credere che esisti, ma a credere che di te possiamo e dobbiamo fidarci; non solo a confessarti creatore, ma a magnificarti come Padre. Il tuo Spirito ci aiuti a saper gettare in te ogni nostro affanno e ci doni la pace per non preoccuparci di cosa mangeremo o di come vestiremo, ma di cercare anzitutto il tuo Regno, nella consapevolezza che tutto il resto ci sarà dato in più. Amen.

…MI IMPEGNADistoglierò lo sguardo da me stesso, per saper vedere in profondità la realtà che mi circonda. Al Signore non darò niente di meno che la mia vita nella consapevolezza che chi perde la propria vita la salverà.

Martedì, 24 Novembre 2020Santi Andrea Dung-Lac e compagni, martiri

Liturgia della ParolaAp 14,14-19; Sal 95; Lc 21,5-11

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro

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nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo».

…È MEDITATAIn questi ultimi giorni dell’anno liturgico, il vangelo si tinge di fosche tinte. Gesù annuncia eventi catastrofici, ma la sua intenzione è quella di fornire una chiave di lettura per il presente e di svelare il senso vero del futuro che attende l’umanità. La storia non può essere solo un susseguirsi di eventi, è necessario che chi ne fa la narrazione ne sappia svelare anche il progetto unitario che vi è sotteso, la meta verso cui è diretta e il fine che darà pienezza e compimento alla storia stessa e ad ogni evento di cui essa si compone. Ancora una volta è lo sguardo profetico di Gesù ad entrare in campo. Mentre tutti magnificavano le “belle pietre” e i “doni votivi” che adornavano il tempio, Gesù vede oltre. Mentre gli occhi di tutti sono incollati al presente, Gesù vede il futuro; mentre tutti sono soddisfatti di ciò che c’è, Gesù scruta ciò che verrà; mentre tutti sono sazi del già dato, Gesù si interroga su ciò che potrebbe essere: “non sarà lasciata pietra su pietra”. Gesù non vuole fare il guasta feste, non vuole fare il profeta di sventura, cerca solo di mettere in guardia e indicare ai suoi uditori la necessità di non avere lo sguardo miope, né il respiro corto. Non sappiamo cosa ci riserva il futuro, esso ci può piombare addosso senza preavviso e i suoi esiti potrebbero essere nefasti. Ma per chi sa leggere i “segni dei tempi” non è difficile prevedere quello che succederà domani. Il futuro si fa precedere sempre da segni premonitori. Solo chi non vuol vederli non li vede. Il futuro si annuncia con ambasciate spesso anche solo brevi e fugaci, ma significative e premonitrici per chi ne sa cogliere il significato. Le disarmonie antropologiche, sociali, cosmiche di cui siamo

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spettatori e in cui siamo implicati non lasciano sperare nulla di buono. Se il cuore dell’uomo non cerca e non persegue la concordia e la pace; se non si converte dai propri istinti egoistici; se non dà freno ai propri appetiti, questo non fa presagire nulla di positivo. Se l’albero non è buono o non lo si coltiva a dovere, i frutti scarsi o cattivi non saranno certo una sorpresa. Il futuro non avviene, ma lo si prepara; non accade, lo si costruisce. Chi è appagato del presente e nel presente non vede possibili segnali inquietanti, dal futuro sarà inesorabilmente travolto. I ciarlatani del presente, saranno gli untori del futuro. I buon temponi di oggi, saranno i becchini del domani. “Non lasciatevi ingannare” è il monito di Gesù alla sua generazione, alla nostra, a quella di ogni tempo della storia.

…È PREGATAO Padre, nelle tue mani è il futuro della storia. Donaci uno sguardo sapiente che sia capace di leggere i segni dei tempi, di intravvedere nell’oggi ciò che potrà accadere domani. Rendici accorti contro gli affabulatori che ingannano con i loro discorsi vuoti e interessati. Fa’ che con preveggenza e con coraggio possiamo costruire un futuro di bene per noi e per l’umanità intera. Amen.

…MI IMPEGNANon sarò ripiegato sul presente e non mi lascerò ingannare da chi dice “andrà tutto bene”, come se si volesse esorcizzare la paura del futuro. Il futuro non spaventa se sapremo costruirlo con scelte di bene, perché il futuro non si attende, ma lo si edifica.

Mercoledì, 25 Novembre 2020Santa Caterina d’Alessandria, martire

Liturgia della ParolaAp 15,1-4; Sal 97; Lc 21,12-19

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LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

…È MEDITATAGesù non sembra essere un esperto in pubblicità. “Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori … Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti”. Non è questo un manifesto che invogli a seguire Gesù, a dedicarsi alla “sua causa”. Essere suoi discepoli è una scelta in perdita, è una scelta rischiosa, fallimentare. Ciò che mi piace di Gesù è la sua franchezza. Parla chiaro, avvisa prima. Non promette mari e monti per assicurarsi un folto stuolo di discepoli. Anzi, le sue parole sembrano voler scoraggiare a intraprendere il percorso del discepolato. Sembra dire: “Pensaci bene”. D’altra parte ai discepoli non potrà capitare niente di meglio o di diverso di quanto è accaduto al maestro. Un maestro umanamente fallimentare su tutti i fronti: odiato, tradito, perseguitato, messo a morte. Ma ci sono tre perle che risplendono in queste righe.1) “A causa del mio nome”. Quanto di peggio potrà accadere

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ai discepoli non sarà nulla di assurdo, ma sostenuto da un senso profondo: tutto accadrà a causa del nome di Gesù. Anche la peggiore sofferenza avrà significato e sarà significante. Se ciò che accade ha un senso, il motivo per cui accade è lenitivo. Il motivo della violenza che si abbatte sui discepoli è ciò che rende preziosa la dignità perduta, la vita umiliata. La tortura e la morte sono una atrocità, ma essere torturati e morire per un ideale può essere esaltante. L’apostolo Paolo più volte sperimenterà, assieme a Pietro e a Giovanni, l’intima gioia di essere oltraggiati a causa del nome di Gesù.2) “Avrete occasione di dare testimonianza”. Ogni persecuzione è occasione per dimostrare quanto amiamo il Signore, quanto Lui per noi sia importante, quanto valga per noi. È dimostrazione di amore, di scelta preferenziale. È far emergere un amore non a chiacchiere, ma nei fatti. Le vicende dei martiri raccontano la bellezza di una fede per la quale si è capaci di dare la vita; bellezza che attrae, che conquista, che avvince.3) “Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”. È la promessa che ogni discepolo sarà custodito da Dio; da Dio sarà difeso come se fosse pupilla del suo occhio. È assicurazione che ogni discepolo vale per Dio e che nulla andrà perduto. Dio è difesa, rifugio, protezione. Dio trae in salvo da ogni uragano. Dio non permette che “i suoi fedeli vedano la corruzione”. Dio sarà “dolcezza senza fine” per chiunque confida in lui. Quanta forza, quanta consolazione, quanta sicurezza infonde quel semplice “nemmeno un capello”. Nulla, proprio nulla, neppure la cosa più insignificante di noi è priva di valore agli occhi di Dio.

…È PREGATAO Padre, il tuo Figlio ci indica la via di un discepolato esigente

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e “pericoloso”, ma nello stesso tempo ci assicura che tu non abbandonerai mai coloro che si affidano a te. Infondi in noi il coraggio di una fede audace, l’ebbrezza di una testimonianza autentica, nella certezza che con te nulla sarà impossibile, che con te faremo cose grandi, che per te possiamo giocarci la vita intera. Amen.

…MI IMPEGNATrasformerò le piccole contrarietà della vita in occasione per dare testimonianza di quanto l’amore per il Signore Gesù mi abbia rubato il cuore.

Giovedì, 26 Novembre 2020Dedicazione della Cattedrale di Patti

Liturgia della ParolaAp 18,1-2.21-23;19,1-3.9; Sal 99; Lc 21,20-28

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti. Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e

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alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».…È MEDITATA

Basta solo una frase al Signore Gesù per capovolgere un intero discorso. Basta una parola di Vangelo per contraddire una lunga serie di immagini catastrofiche. Quando Gesù utilizza le immagini tipiche del linguaggio apocalittico, non lo fa per annunciare tempi di sventura che come implacabili castighi si abbatteranno su uomini degeneri e peccatori; non servono per descrivere come si compirà l’imminente ira di Dio, ma semplicemente per annunciare il suo Vangelo, la buona notizia insita nel suo insegnamento. Gesù è Vangelo, tutte le sue parole sono Vangelo, belle notizie per arrecare gioia e consolazione ad una umanità ferita, affaticata, confusa e smarrita. Eserciti violenti, fragore di ordigni di morte, devastazione e morte per uomini, donne e bambini; potenze delle natura sconvolte e minacciose, non sono buone notizie, non sono Vangelo. Ma anche in questa pagina emerge limpida e inequivocabile la parola del Vangelo: quando accadranno queste cose “risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. Disastri e sciagure di ogni tipo sono all’ordine del giorno nella storia dell’uomo, ma Dio non ne è la causa bensì la soluzione. Dio non usa questi eventi come veicoli della sua ira, ma da questi eventi e in questi eventi salva. In mezzo al male che colpisce l’umanità, il credente “alza il capo”, si risolleva, gioisce, perché sa che la salvezza è prossima a manifestarsi, sa che il Figlio dell’uomo sta per venire con potenza e gloria. Quanto più difficili si fanno le situazioni di vita, tanto più Dio si fa prossimo e si manifesta come unico artefice di armonia e di pace. In ogni situazione c’è un Vangelo che risuona. Dio è la parola di bene in ogni meandro della storia, è parola di benedizione in ogni interstizio tra le umane vicende. Il Figlio dell’uomo ci fa accorti

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e ci esorta a non avere paura neppure quando “l’angoscia di popoli in ansia” sembra non dare scampo. Egli infatti viene con potenza per salvare. Gli uomini potranno ordire contro ogni altro uomo le più nefaste trame e la violenza più atroce; le forze del cosmo potranno sconvolgersi nel più sconquassante delirio, ma niente e nessuno se non Dio avrà l’ultima parola. E la sua sarà sempre e comunque una parola di bene, un Vangelo.

…È PREGATAO Padre, tu sai quanto le vicende della storia del mondo spesso ci atterriscono, il male ci spaventa, la violenza ci impaurisce, il terrore ci getta nell’angoscia. Alimenta in noi la certezza della tua prossimità paterna, la presenza del tuo amore che consola e che salva. Aiutaci a trovare in te conforto e rifugio. Amen.

…MI IMPEGNANelle avverse vicende della vita, anche quando tutto sembra perduto cercherò di ascoltare le parole di Dio sulla mia vita che sono sempre parole di Vangelo, notizie buone che danno speranza e sollievo al cuore.

Venerdì, 27 Novembre 2020Beata Vergine Maria della Medaglia Miracolosa

Liturgia della ParolaAp 20,1-4.11-21,2; Sal 83; Lc 21,29-33

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole

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non passeranno».…È MEDITATA

Da sempre l’uomo è alla ricerca di fondamenta sicure. Non è un caso che gli antichi pensavano che la terra piatta, fosse saldamente fissata su delle colonne. Da sempre l’uomo cerca sicurezze cui appigliarsi, forse è anche per questo che l’immagine utilizzata da Gesù della casa fondata sulla roccia dà il senso di solidità e di durevolezza, mentre quella fondata sulla sabbia suscita un senso di incertezza e di precarietà. Da sempre l’uomo cerca certezze, forse è anche per questo che cercare la verità è stato da sempre il suo assillo e l’amore verso la sapienza un anelito mai estinto. Tra le bufere che spesso la vita riserva, l’uomo ha bisogno di ancorarsi a qualcosa o a qualcuno che metta al riparo da inevitabili naufragi. Nel fluire del tempo l’uomo cerca qualcosa di eterno. Fra tante chiacchiere cerca la Parola; tra tanti rumori, il Suono; fra tante stelle, quella polare. Proprio conoscendo questo atavico, irrinunciabile bisogno dell’uomo Gesù afferma: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Offre così ai suoi discepoli un riferimento certo e solido. Nell’inesorabile fluire di tutte le cose, Gesù offre la sua parola come una realtà che permane, che non è transitoria, né soggetta alla mutevolezza. Aveva ragione l’apostolo Pietro quando rivolgendosi a Gesù afferma: “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”. Quanti maestri si sono seduti in cattedra promettendo la panacea ad ogni umana difficoltà. Eppure nel volgere di pochi lustri sono stati dimenticati dalla storia e i loro insegnamenti si sono rivelati inconsistenti, fallaci, menzogneri. Quanti abboccano alle fake news prima o poi scoprono quanto siano mendaci e senza fondamento. Gesù ci offre parole certe, parole durevoli, parole senza inganno, parole senza doppi sensi, parole non effimere,

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parole di cui si può star certi. Si evolve la storia e si susseguono le filosofie, ma le parole di Gesù non mutano. Stanno sempre lì, parole come fondamenta, parole come pietre di inciampo, parole con le quali dover fare i conti. Le sue sono parole che ardono e non si consumano, fresche come acqua di sorgente, parole che fanno ardere i cuori. Sono parole di vita, parole che tracciano il cammino, che aprono costantemente al futuro. Se così è, a queste parole occorre ancorare la vita, su queste parole si può scommettere la propria esistenza. Di queste parole ci si può fidare. Il Vangelo non è una bufala, ma Parola affidabile e generosa. Tra i flutti della confusa incertezza in cui spesso navighiamo, la Parola del Signore è sempre una scialuppa di salvataggio.

…È PREGATAO Padre, la tua parola è viva ed efficace, non ritorna a te senza aver operato ciò per cui l’hai pronunciata; è come una spada a doppio taglio che penetra fin nelle midolla; è parola creatrice; è parola che rivela ogni arcano mistero. La tua parola è venuta a noi in Cristo, Parola fatta carne, che illumina ogni uomo. Donaci di accogliere con gioia la tua parola e di custodirla in un cuore puro e sincero. Amen.

…MI IMPEGNAMi impegnerò a leggere ogni giorno una frase del Vangelo per trovare in essa verità, pace e sicurezza.

Sabato, 28 Novembre 2020San Giacomo della Marca, sacerdote

Liturgia della ParolaAp 22,1-7; Sal 94; Lc 21,34-36

LA PAROLA DEL SIGNORE…È ASCOLTATA

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni,

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ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al figlio dell’uomo».

…È MEDITATAÈ l’ultimo giorno dell’anno liturgico. Oggi il Signore ci offre una parola ultima, risolutiva; una parola definitiva quasi a compendio del cammino dell’anno che si chiude: “State attenti a voi stessi … vegliate in ogni momento pregando”. L’esortazione alla vigilanza, questa volta, ha come scopo la necessità di custodire la vita. “State attenti a voi stessi”. Si può vivere un’esistenza frastornata, senza percepirne il valore, il senso, lo scopo, oppure si può crescere in consapevolezza. Si può vivere la vita da vagabondi, oppure si può trascorrere i propri giorni cercando di “ad-tendere”, di tendere cioè verso qualcosa o qualcuno, avendo una meta da perseguire, un scopo da raggiungere, un obbiettivo da realizzare. Si può vivere la vita sprecandola, oppure impegnandosi a custodirla, a proteggerla, a metterla al riparo; si può lasciarsi schiacciare da ogni specie di appetito disordinato e inconcludente, oppure si può custodire una vita santa e pura, una vita armoniosa ed equilibrata; si può continuamente lottare con se stessi e il mondo intero, oppure si può vivere una vita pacificata, riconciliata con sé e i propri fantasmi; si può incessantemente dibattersi contro la propria incoerenza, oppure si può accettare l’ombra che è in noi, per fare, col chiaro-scuro della vita, un’opera d’arte. Insomma la vita non la si può, non la si deve subire, ma vivere sempre e comunque da protagonisti, padroni di sé e mai schiavi perché il Signore Gesù ci ha liberati perché restassimo liberi. A nutrire la vigilanza è la preghiera. La preghiera è certo uno sguardo

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contemplativo verso Dio, è un ascolto obbediente della sua Parola, è un dialogo intimo e fecondo con il creatore e Padre, ma è anche un lungo prolungato amoroso sguardo sulla realtà. L’orante si mette alla scuola di Dio per imparare a vedere il mondo con gli occhi di Dio, ad ascoltarlo col cuore di Dio. Guardando cose e persone con la prospettiva di Dio tutto muta e si trasfigura. Tutto cambia di significato perché è cambiata la prospettiva. Tutto viene giudicato in modo nuovo perché accolto col cuore di Dio. I profeti, i santi, i mistici ce ne svelano il mistero. Molti credenti possono giurare quanto siano veritiere queste parole: se il mondo non cambia, può cambiare il nostro modo di vederlo, e se cambia il nostro modo di vederlo, il mondo cambia. Se da una parte la parola evangelica di oggi ci da la possibilità di valutare ciò che abbiamo vissuto, dall’altra ci offre la possibilità di iniziare il nuovo anno con una nuova prospettiva, cercando di custodire con attenzione la nostra vita e di vedere quanto ci circonda con lo sguardo di Dio. Una buona conclusione, un bel principio.

…È PREGATAO Padre, tu vegli con premura su ciascuno dei tuoi figli e li custodisci da ogni male. Tu vai loro incontro e li previeni con la tua amorevole grazia. Volgi su di noi il tuo sguardo sereno e benigno e fa’ brillare su di noi la luce del tuo volto. Donaci un cuore nuovo capace di custodire nella tua volontà la nostra vita e occhi nuovi in grado di trasfigurare tutto ciò che vediamo. Amen.

…MI IMPEGNAMi prenderò cura di me in ogni pur piccola cosa; cercherò di vedere ogni pur piccola realtà con lo sguardo amorevole di Dio.

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCOIV GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario15 novembre 2020

 “Tendi la tua mano al povero” (cfr Sir 7,32)

“Tendi la tua mano al povero” (cfr Sir 7,32). La sapienza antica ha posto queste parole come un codice sacro da seguire nella vita. Esse risuonano oggi con tutta la loro carica di significato per aiutare anche noi a concentrare lo sguardo sull’essenziale e superare le barriere dell’indifferenza. La povertà assume sempre volti diversi, che richiedono attenzione ad ogni condizione particolare: in ognuna di queste possiamo incontrare il Signore Gesù, che ha rivelato di essere presente nei suoi fratelli più deboli (cfr Mt 25,40).

1. Prendiamo tra le mani il Siracide, uno dei libri dell’Antico Testamento. Qui troviamo le parole di un maestro di saggezza vissuto circa duecento anni prima di Cristo. Egli andava in cerca della sapienza che rende gli uomini migliori e capaci di scrutare a fondo le vicende della vita. Lo faceva in un momento di dura prova per il popolo d’Israele, un tempo di dolore, lutto e miseria a causa del dominio di potenze straniere. Essendo un uomo di grande fede, radicato nelle tradizioni dei padri, il suo primo pensiero fu di rivolgersi a Dio per chiedere a Lui il dono della sapienza. E il Signore non gli fece mancare il suo aiuto.

Fin dalle prime pagine del libro, il Siracide espone i suoi consigli su molte concrete situazioni di vita, e la povertà è una di queste. Egli insiste sul fatto che nel disagio bisogna avere

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fiducia in Dio: «Non ti smarrire nel tempo della prova. Stai unito a lui senza separartene, perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni. Accetta quanto ti capita e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l’oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore. Nelle malattie e nella povertà confida in lui. Affidati a lui ed egli ti aiuterà, raddrizza le tue vie e spera in lui. Voi che temete il Signore, aspettate la sua misericordia e non deviate, per non cadere» (2,2-7).

2. Pagina dopo pagina, scopriamo un prezioso compendio di suggerimenti sul modo di agire alla luce di un’intima relazione con Dio, creatore e amante del creato, giusto e provvidente verso tutti i suoi figli. Il costante riferimento a Dio, tuttavia, non distoglie dal guardare all’uomo concreto, al contrario, le due cose sono strettamente connesse.

Lo dimostra chiaramente il brano da cui è tratto il titolo di questo Messaggio (cfr 7,29-36). La preghiera a Dio e la solidarietà con i poveri e i sofferenti sono inseparabili. Per celebrare un culto che sia gradito al Signore, è necessario riconoscere che ogni persona, anche quella più indigente e disprezzata, porta impressa in sé l’immagine di Dio. Da tale attenzione deriva il dono della benedizione divina, attirata dalla generosità praticata nei confronti del povero. Pertanto, il tempo da dedicare alla preghiera non può mai diventare un alibi per trascurare il prossimo in difficoltà. È vero il contrario: la benedizione del Signore scende su di noi e la preghiera raggiunge il suo scopo quando sono accompagnate dal servizio ai poveri.

3. Quanto è attuale questo antico insegnamento anche per noi! Infatti la Parola di Dio oltrepassa lo spazio, il tempo, le religioni e le culture. La generosità che sostiene il debole,

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consola l’afflitto, lenisce le sofferenze, restituisce dignità a chi ne è privato, è condizione di una vita pienamente umana. La scelta di dedicare attenzione ai poveri, ai loro tanti e diversi bisogni, non può essere condizionata dal tempo a disposizione o da interessi privati, né da progetti pastorali o sociali disincarnati. Non si può soffocare la forza della grazia di Dio per la tendenza narcisistica di mettere sempre sé stessi al primo posto.

Tenere lo sguardo rivolto al povero è difficile, ma quanto mai necessario per imprimere alla nostra vita personale e sociale la giusta direzione. Non si tratta di spendere tante parole, ma piuttosto di impegnare concretamente la vita, mossi dalla carità divina. Ogni anno, con la Giornata Mondiale dei Poveri, ritorno su questa realtà fondamentale per la vita della Chiesa, perché i poveri sono e saranno sempre con noi (cfr Gv 12,8) per aiutarci ad accogliere la compagnia di Cristo nell’esistenza quotidiana.

4. Sempre l’incontro con una persona in condizione di povertà ci provoca e ci interroga. Come possiamo contribuire ad eliminare o almeno alleviare la sua emarginazione e la sua sofferenza? Come possiamo aiutarla nella sua povertà spirituale? La comunità cristiana è chiamata a coinvolgersi in questa esperienza di condivisione, nella consapevolezza che non le è lecito delegarla ad altri. E per essere di sostegno ai poveri è fondamentale vivere la povertà evangelica in prima persona. Non possiamo sentirci “a posto” quando un membro della famiglia umana è relegato nelle retrovie e diventa un’ombra. Il grido silenzioso dei tanti poveri deve trovare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovunque, per dare loro voce, per difenderli e solidarizzare con essi davanti a tanta ipocrisia e tante promesse disattese, e per invitarli a

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partecipare alla vita della comunità.È vero, la Chiesa non ha soluzioni complessive da proporre,

ma offre, con la grazia di Cristo, la sua testimonianza e gesti di condivisione. Essa, inoltre, si sente in dovere di presentare le istanze di quanti non hanno il necessario per vivere. Ricordare a tutti il grande valore del bene comune è per il popolo cristiano un impegno di vita, che si attua nel tentativo di non dimenticare nessuno di coloro la cui umanità è violata nei bisogni fondamentali.

5. Tendere la mano fa scoprire, prima di tutto a chi lo fa, che dentro di noi esiste la capacità di compiere gesti che danno senso alla vita. Quante mani tese si vedono ogni giorno! Purtroppo, accade sempre più spesso che la fretta trascina in un vortice di indifferenza, al punto che non si sa più riconoscere il tanto bene che quotidianamente viene compiuto nel silenzio e con grande generosità. Accade così che, solo quando succedono fatti che sconvolgono il corso della nostra vita, gli occhi diventano capaci di scorgere la bontà dei santi “della porta accanto”, «di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 7), ma di cui nessuno parla. Le cattive notizie abbondano sulle pagine dei giornali, nei siti internet e sugli schermi televisivi, tanto da far pensare che il male regni sovrano. Non è così. Certo, non mancano la cattiveria e la violenza, il sopruso e la corruzione, ma la vita è intessuta di atti di rispetto e di generosità che non solo compensano il male, ma spingono ad andare oltre e ad essere pieni di speranza.

6. Tendere la mano è un segno: un segno che richiama immediatamente alla prossimità, alla solidarietà, all’amore. In questi mesi, nei quali il mondo intero è stato come sopraffatto

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da un virus che ha portato dolore e morte, sconforto e smarrimento, quante mani tese abbiamo potuto vedere! La mano tesa del medico che si preoccupa di ogni paziente cercando di trovare il rimedio giusto. La mano tesa dell’infermiera e dell’infermiere che, ben oltre i loro orari di lavoro, rimangono ad accudire i malati. La mano tesa di chi lavora nell’amministrazione e procura i mezzi per salvare quante più vite possibile. La mano tesa del farmacista esposto a tante richieste in un rischioso contatto con la gente. La mano tesa del sacerdote che benedice con lo strazio nel cuore. La mano tesa del volontario che soccorre chi vive per strada e quanti, pur avendo un tetto, non hanno da mangiare. La mano tesa di uomini e donne che lavorano per offrire servizi essenziali e sicurezza. E altre mani tese potremmo ancora descrivere fino a comporre una litania di opere di bene. Tutte queste mani hanno sfidato il contagio e la paura pur di dare sostegno e consolazione.

7. Questa pandemia è giunta all’improvviso e ci ha colto impreparati, lasciando un grande senso di disorientamento e impotenza. La mano tesa verso il povero, tuttavia, non è giunta improvvisa. Essa, piuttosto, offre la testimonianza di come ci si prepara a riconoscere il povero per sostenerlo nel tempo della necessità. Non ci si improvvisa strumenti di misericordia. È necessario un allenamento quotidiano, che parte dalla consapevolezza di quanto noi per primi abbiamo bisogno di una mano tesa verso di noi.

Questo momento che stiamo vivendo ha messo in crisi tante certezze. Ci sentiamo più poveri e più deboli perché abbiamo sperimentato il senso del limite e la restrizione della libertà. La perdita del lavoro, degli affetti più cari, come la mancanza delle consuete relazioni interpersonali hanno di

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colpo spalancato orizzonti che non eravamo più abituati a osservare. Le nostre ricchezze spirituali e materiali sono state messe in discussione e abbiamo scoperto di avere paura. Chiusi nel silenzio delle nostre case, abbiamo riscoperto quanto sia importante la semplicità e il tenere gli occhi fissi sull’essenziale. Abbiamo maturato l’esigenza di una nuova fraternità, capace di aiuto reciproco e di stima vicendevole. Questo è un tempo favorevole per «sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo […]. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà […]. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente» (Lett. enc. Laudato si’, 229). Insomma, le gravi crisi economiche, finanziarie e politiche non cesseranno fino a quando permetteremo che rimanga in letargo la responsabilità che ognuno deve sentire verso il prossimo ed ogni persona.

8. “Tendi la mano al povero”, dunque, è un invito alla responsabilità come impegno diretto di chiunque si sente partecipe della stessa sorte. È un incitamento a farsi carico dei pesi dei più deboli, come ricorda San Paolo: «Mediante l’amore siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. […] Portate i pesi gli uni degli altri» (Gal 5,13-14; 6,2). L’Apostolo insegna che la libertà che ci è stata donata con la morte e risurrezione di Gesù Cristo è per ciascuno di noi una responsabilità per mettersi al servizio

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degli altri, soprattutto dei più deboli. Non si tratta di un’esortazione facoltativa, ma di una condizione dell’autenticità della fede che professiamo.

Il libro del Siracide ritorna in nostro aiuto: suggerisce azioni concrete per sostenere i più deboli e usa anche alcune immagini suggestive. Dapprima prende in considerazione la debolezza di quanti sono tristi: «Non evitare coloro che piangono» (7,34). Il periodo della pandemia ci ha costretti a un forzato isolamento, impedendoci perfino di poter consolare e stare vicino ad amici e conoscenti afflitti per la perdita dei loro cari. E ancora afferma l’autore sacro: «Non esitare a visitare un malato» (7,35). Abbiamo sperimentato l’impossibilità di stare accanto a chi soffre, e al tempo stesso abbiamo preso coscienza della fragilità della nostra esistenza. Insomma, la Parola di Dio non ci lascia mai tranquilli e continua a stimolarci al bene.

9. “Tendi la mano al povero” fa risaltare, per contrasto, l’atteggiamento di quanti tengono le mani in tasca e non si lasciano commuovere dalla povertà, di cui spesso sono anch’essi complici. L’indifferenza e il cinismo sono il loro cibo quotidiano. Che differenza rispetto alle mani generose che abbiamo descritto! Ci sono, infatti, mani tese per sfiorare velocemente la tastiera di un computer e spostare somme di denaro da una parte all’altra del mondo, decretando la ricchezza di ristrette oligarchie e la miseria di moltitudini o il fallimento di intere nazioni. Ci sono mani tese ad accumulare denaro con la vendita di armi che altre mani, anche di bambini, useranno per seminare morte e povertà. Ci sono mani tese che nell’ombra scambiano dosi di morte per arricchirsi e vivere nel lusso e nella sregolatezza effimera. Ci sono mani tese che sottobanco scambiano favori illegali per

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un guadagno facile e corrotto. E ci sono anche mani tese che nel perbenismo ipocrita stabiliscono leggi che loro stessi non osservano.

In questo panorama, «gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 54). Non potremo essere contenti fino a quando queste mani che seminano morte non saranno trasformate in strumenti di giustizia e di pace per il mondo intero.

10. «In tutte le tue azioni, ricordati della tua fine» (Sir 7,36). È l’espressione con cui il Siracide conclude questa sua riflessione. Il testo si presta a una duplice interpretazione. La prima fa emergere che abbiamo bisogno di tenere sempre presente la fine della nostra esistenza. Ricordarsi il destino comune può essere di aiuto per condurre una vita all’insegna dell’attenzione a chi è più povero e non ha avuto le stesse nostre possibilità. Esiste anche una seconda interpretazione, che evidenzia piuttosto il fine, lo scopo verso cui ognuno tende. È il fine della nostra vita che richiede un progetto da realizzare e un cammino da compiere senza stancarsi. Ebbene, il fine di ogni nostra azione non può essere altro che l’amore. È questo lo scopo verso cui siamo incamminati e nulla ci deve distogliere da esso. Questo amore è condivisione, dedizione e servizio, ma comincia dalla scoperta di essere noi per primi amati e risvegliati all’amore. Questo

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fine appare nel momento in cui il bambino si incontra con il sorriso della mamma e si sente amato per il fatto stesso di esistere. Anche un sorriso che condividiamo con il povero è sorgente di amore e permette di vivere nella gioia. La mano tesa, allora, possa sempre arricchirsi del sorriso di chi non fa pesare la propria presenza e l’aiuto che offre, ma gioisce solo di vivere lo stile dei discepoli di Cristo.

In questo cammino di incontro quotidiano con i poveri ci accompagna la Madre di Dio, che più di ogni altra è la Madre dei poveri. La Vergine Maria conosce da vicino le difficoltà e le sofferenze di quanti sono emarginati, perché lei stessa si è trovata a dare alla luce il Figlio di Dio in una stalla. Per la minaccia di Erode, con Giuseppe suo sposo e il piccolo Gesù è fuggita in un altro paese, e la condizione di profughi ha segnato per alcuni anni la santa Famiglia. Possa la preghiera alla Madre dei poveri accomunare questi suoi figli prediletti e quanti li servono nel nome di Cristo. E la preghiera trasformi la mano tesa in un abbraccio di condivisione e di fraternità ritrovata.

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2020,Memoria liturgica di Sant’Antonio di Padova. 

Francesco

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