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L’EVOLUZIONE DELLA UNIONE EUROPEA. COM’È AVVENUTO IL PASSAGGIO DA UN “SISTEMA DI TRATTATI“ AD UN “SISTEMA POLITICO” DOTATO DI ALCUNI POTERI STATUALI 1) L’UNIONE EUROPEA NON È UNO STATO, NÉ UN TRATTATO TRA STATI MA UN “SISTEMA POLITICO” La prima domanda che viene naturale e che ci facciamo riguarda la “natura” dell’attuale Unione Europea. Perché c’è chi la critica per essere troppo forte rispetto alla sovranità del proprio Stato nazionale, e chi invece l’accusa di essere troppo debole: troppo poco “Stati Uniti d’Europa”. Vogliamo quindi comprendere l’attuale significato della Unione Europea, non tanto attraverso la cronologia del suo divenire, ma neppure cercando più o meno lontane radici culturali, storiche, ideali. Forse l’attuale costruzione europea è davvero senza radici storiche, e per questo appare così embrionale e non chiaramente caratterizzata. Forse è davvero una realtà politica originale e senza precedenti, forse è inutile cercarne radici lontane; questa Europa è davvero nata da poco, precisamente dagli anni ’40 del ‘900 a causa di una frattura radicale con la storia precedente. Occorre forse un tipo di analisi che faccia salva la novità e la natura originale della Unione Europea, cioè le ragioni della sua particolarità che ne fa una creazione politica unica nella storia del mondo. La prima cosa da chiarire è allora di cosa parliamo quando parliamo di Unione Europea: - essa non è uno Stato sovrano (una federazione). E mi riferisco a ciò che desiderano gli euro-entusiasti (federalisti europei) - ma non è neppure una mera relazione tra Stati sovrani regolata da trattati bilaterali o multilaterali. E mi riferisco ai cosiddetti euroscettici che non vorrebbero cedere in nulla la tradizionale sovranità nazionale, a favore di un “potere” (politico) superiore e vincolante. L’Unione europea non è né ciò che descrivono gli europeisti né quello che descrivono gli euroscettici. E tuttavia è un realtà politica concreta e in pieno sviluppo. Cos’è allora? Secondo l’analisi proposta da Marco Mascia (Diritto Europeo, Un. Padova, Vicenza, 2005) il nome giusto per definire questo inedito ibrido è: “sistema politico”; né Stato né organizzazione di trattati, ma tutte e due le cose insieme in una geometria variabile. L’Unione Europea è un “sistema politico”, non uno Stato: e si sta sviluppando rapidamente nella direzione dell’incremento di poteri statuali sovrani sui paesi aderenti, superando via via l’iniziale modello di “organizzazione di trattati”, che è il modello di organizzazioni internazionali come l’ONU. E’ allora importante partire da un quadro sistematico che distingua cosa vi sia di “statuale” e cosa vi sia di “trattato internazionale” nell’attuale funzionamento della Unione.

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L’EVOLUZIONE DELLA UNIONE EUROPEA.COM’È AVVENUTO IL PASSAGGIO DA UN “SISTEMA DI TRATTATI“AD UN “SISTEMA POLITICO” DOTATO DI ALCUNI POTERI STATUALI

1) L’UNIONE EUROPEA NON È UNO STATO, NÉ UN TRATTATO TRA STATIMA UN “SISTEMA POLITICO”

La prima domanda che viene naturale e che ci facciamo riguarda la “natura” dell’attuale Unione Europea. Perché c’è chi la critica per essere troppo forte rispetto alla sovranità del proprio Stato nazionale, e chi invece l’accusa di essere troppo debole: troppo poco “Stati Uniti d’Europa”. Vogliamo quindi comprendere l’attuale significato della Unione Europea, non tanto attraverso la cronologia del suo divenire, ma neppure cercando più o meno lontane radici culturali, storiche, ideali. Forse l’attuale costruzione europea è davvero senza radici storiche, e per questo appare così embrionale e non chiaramente caratterizzata. Forse è davvero una realtà politica originale e senza precedenti, forse è inutile cercarne radici lontane; questa Europa è davvero nata da poco, precisamente dagli anni ’40 del ‘900 a causa di una frattura radicale con la storia precedente.Occorre forse un tipo di analisi che faccia salva la novità e la natura originale della Unione Europea, cioè le ragioni della sua particolarità che ne fa una creazione politica unica nella storia del mondo. La prima cosa da chiarire è allora di cosa parliamo quando parliamo di Unione Europea:

- essa non è uno Stato sovrano (una federazione). E mi riferisco a ciò che desiderano gli euro-entusiasti (federalisti europei)

- ma non è neppure una mera relazione tra Stati sovrani regolata da trattati bilaterali o multilaterali. E mi riferisco ai cosiddetti euroscettici che non vorrebbero cedere in nulla la tradizionale sovranità nazionale, a favore di un “potere” (politico) superiore e vincolante.

L’Unione europea non è né ciò che descrivono gli europeisti né quello che descrivono gli euroscettici. E tuttavia è un realtà politica concreta e in pieno sviluppo. Cos’è allora?Secondo l’analisi proposta da Marco Mascia (Diritto Europeo, Un. Padova, Vicenza, 2005) il nome giusto per definire questo inedito ibrido è: “sistema politico”; né Stato né organizzazione di trattati, ma tutte e due le cose insieme in una geometria variabile.L’Unione Europea è un “sistema politico”, non uno Stato: e si sta sviluppando rapidamente nella direzione dell’incremento di poteri statuali sovrani sui paesi aderenti, superando via via l’iniziale modello di “organizzazione di trattati”, che è il modello di organizzazioni internazionali come l’ONU. E’ allora importante partire da un quadro sistematico che distingua cosa vi sia di “statuale” e cosa vi sia di “trattato internazionale” nell’attuale funzionamento della Unione. Poi cercheremo di ricostruire le radici di questo stato di cose.

2) UN QUADRO DEGLI ASPETTI DI “STATUALITÀ” O DI “ORGANISMO INTERNAZIONALE” DELLA U.E.

Secondo il Prof. Mascia possiamo classificare come aspetti statuali i seguenti:

a) La cittadinanza europea (stabilita nel 1992 con il Trattato di Maastricht): ognuno di noi è allo stesso tempo cittadino nazionale e cittadino europeo e gode, sotto il secondo aspetto di specifici diritti civili (di voto, di petizione, di circolazione) e tutele (vedi il punto seguente).

b) I vincoli e limiti stabiliti dalla Carta dei Diritti della Unione Europea (i diritti e valori personali, sociali, ambientali, economici ecc.), a cui deve ispirarsi ogni decisione e azione dell’Unione e a cui si devono uniformare gli stati aderenti per il vincolo dell’Acquis Comunitario (la Carta di Nizza è stata approvata nel 2000, adottata nel Trattato di Lisbona del 2007 e con voto del Parlamento Europeo).

c) Le Istituzioni europee che emanano leggi, regolamenti e sentenze vincolanti per gli stati membri. Ci si riferisce ai poteri del “triangolo legislativo” (Commissione-Parlamento-Consiglio) e della Corte di Giustizia Europea, organismi che non si limitano ad adottare “raccomandazioni” agli Stati come l’ONU o l’Europa Council.

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d) Il Parlamento europeo eletto a suffragio universale e diretto (dal 1978); è diventato ormai un organo democratico statuale rappresentativo del “popolo europeo” poiché ha acquisito un peso preponderante nella procedura legislativa di “codecisione” che condivide con gli altri due lati del “triangolo” legislativo: Commissione, Consiglio, Parlamento. Il suo ruolo, nonostante il fallimento del percorso costituzionale nel 2004, si è andato sempre più amplificando dal Trattato di Maastricht (1992) ad oggi, per merito del Trattato di Lisbona (2007). Questo rafforzamento è avvenuto in quattro direzioni: l’incremento delle materie di competenza; il nuovo potere di “controllo politico” sulla determinazione della figura del Presidente della Commissione (divenuto effettivo con le elezioni 2014); il potere di dare la “fiducia” sui singoli commissari e sulla Commissione intera; il peso ormai preponderante nella procedura di “codecisione”, incrementato attraverso il nuovo metodo delle “risoluzioni di iniziativa” rivolte alla Commissione.

e) L’impatto diretto che le decisioni di Bruxelles hanno sui “valori sociali” negli Stati membri, ovvero sulla distribuzione delle opportunità e ricchezze.

f) Il possesso e gestione di risorse proprie (bilancio proprio, incasso diretto dei dazi doganali da paesi terzi, fondi dagli Stati membri per l’1% del PIL).

g) La moneta unica, il maggior simbolo di statualità, con i connessi poteri monetari e di controllo bancario (la recente Legge Bancaria) centralizzati nella BCE.

h) La libera circolazione di persone e merci.i) Il primato della legge comunitaria sulla legge dei paesi membri (il 70% della legislazione

nazionale è attualmente in attuazione di leggi e direttive europee).

Se consideriamo invece gli aspetti di “organizzazione di trattati internazionali” il quadro è il seguente:

a) Il principio dell’interesse nazionale vitale, in virtù del quale un paese può ad esempio sospendere provvisoriamente il Trattato di Schenghen sulla libera circolazione delle persone, come nel 2015 ha fatto l’Austria con gli immigrati dal Mediterraneo che prendevano il treno a Belluno per l’Austria.

b) L’assenza di un testo Costituzionale-democratico (fatta eccezione per la Carta dei diritti, che funziona come tale fissando i principi e i diritti.

c) Il principio di unanimità (potere di veto) in materie rilevanti nel voto del Consiglio Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea (gli organismi del “triangolo istituzionale” che comprendono i Capi di governo o i ministri per tematica). Il Trattato di Lisbona ha introdotto tuttavia il voto a maggioranza in molte materie.

d) Il ruolo ancora dominante degli organi intergovernativi come il Consiglio.e) L’assenza di un esercito europeo (l’uso della forza rimane prerogativa degli Stati membri).

Se confrontiamo questo quadro con quello dei primi passi della costruzione europea (CECA e CEE), vediamo una progressione sempre più veloce verso l’Europa politica, dotata di poteri statuali sempre più larghi e importanti. Questa è la tesi che cercherò di argomentare.

La recente crisi finanziaria dei sette anni (2007-2014) con i suoi effetti di destabilizzazione dell’area-euro ha accelerato questo processo spingendo l’Unione ad assegnare alla Bce e al Parlamento poteri sovrani “statuali” in senso classico:

- nella governance del sistema monetario europeo (la BCE è divenuta “garante di ultima istanza” del sistema finanziario con il cosiddetto “bazooka” di Mario Draghi, ovvero con il potere di interventi di quantitative easing e con il Meccanismo europeo di stabilità (MES);

- nella “governance” del sistema bancario europeo: - con l’accordo Basilea II del 2004, frutto delle pressioni della Unione Europea verso gli USA. Sotto la presidenza Clinton, nel 1999, gli Usa avevano liberalizzato l’attività di “banca di investimento” o “banca d’affari” abolendo le limitazioni stabilite con il Glass Steagal act firmato da Rooswelt nel 1933 per bloccare le attività speculative e ad alto rischio che avevano causato il crack del 1929. Basilea II impose, chiudendo la stagione del “liberismo” in campo finanziario,

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nuovi criteri restrittivi nella formulazione dei bilanci bancari, con un rapporto più alto tra capitale proprio e investimenti rischiosi di “banca d’affari”. - con la nuova Legge Bancaria del 2014, che esclude i salvataggi bancari con capitale pubblico (la crisi finanziaria nel 2007-8 aveva portato ad una serie di salvataggi bancari molto onerosi, a carico del debito pubblico dei paesi membri. La Legge bancaria stabilisce i requisiti minimi di capitalizzazione delle banche, basati su simulazioni di situazioni di grave crisi detti “stress test”, e carica il rischio di “fallimento bancario” esclusivamente sui soci e clienti della banca stessa;

- nella “governance” dei bilanci degli Stati membri con il cosiddetto Fiscal Compact, o Patto di Bilancio europeo (“Trattato di stabilità fiscale”) varato nel 2011, a cui si sono però sottratti il Regno Unito e la Repubblica Ceca. Esso sottopone i bilanci degli stati membri a rigidi parametri sul deficit di bilancio e sul debito, con severi controlli e correzioni automatiche imposte da Bruxelles (come accaduto per l’Italia nel 2011 con la nascita del Governo Monti, per eseguire l’agenda dettata da Bruxelles).

- Nella centralità conquistata dal Parlamento entro il “triangolo istituzionale” che incarna il potere legislativo europeo (come già illustrato).

3) LA DISCUSSIONE SUL FUTURO (L’ATTUALE “SENTIMENT” DEI CITTADINI SULLA U.E.)

L’Unione Europea risponde oggi a questo quadro, emerso progressivamente sotto due situazioni di forte stress: la fine del mondo bipolare negli anni ’90, con l’Unificazione tedesca e l’allargamento conseguente all’est europeo e nei Balcani; la più grave crisi finanziaria ed economica dopo la crisi del ’29. La discussione sul futuro della UE presenta almeno 3 poli, emersi con chiarezza nel voto per il Parlamento europeo e per il nuovo Commissario europeo del 2014.

- chi la vorrebbe distruggere, a partire dall’Euro: gli euroscettici

- chi la vorrebbe mantenere così com’è, come un sistema di reciproco vantaggio (di trattati e poco più) che consente alle sovranità nazionali di vivacchiare in situazioni ostili come la globalizzazione del mercato e la crisi finanziaria ed economica: gli intergovernativi.

- chi vorrebbe premere sull’acceleratore per fare dell’Unione Europea uno Stato vero e proprio, di natura federale, sovrano su tutti gli aspetti fondamentali, e competitivo sullo scenario globale. Gli Stati nazionali dovrebbero cedere i poteri residui (politica estera, esercito, controllo sui confini, politiche industriali …) sul modello della gloriosa storia degli Usa: sono i Federalisti e gli “europeisti comunitari”.

(si proiettano i sondaggi Eurobarometro e Demos, e le vignette della Mostra sugli umoristi sul tema della crisi dell’Unione Europea)

4) EXCURSUS STORICO: UNA EUROPA COME POTERI STATUALI NON È MAI ESISTITA

Abbiamo detto fin qui che l’Unione Europea è un “Sistema politico” e non uno “Stato sovrano” (come lo sono gli Stati Uniti): l’U.E. è un unicum nella storia, un sistema di trattati tra Stati sovrani (per quanto tempo ancora sovrani?) che determina decisioni e direttive vincolanti per gli Stati stessi e detiene il potere della moneta comune, l’euro. Detiene vari poteri politici vincolanti, ma non è uno Stato sovrano né nazionale, né federale. Un unicum nato e sviluppatosi sotto il pungolo di una serie di necessità ed emergenze, di natura storica, umanitaria, politica ed economica.

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Come ha scritto lo storico Lucien Febvre: L’Europa è un rimedio disperato, perché nacque così, come un “rimedio disperato” alla catastrofe umana, morale e politica della seconda guerra mondiale e della Shoah, ed ha continuato a svilupparsi così, come un rimedio disperato sotto il pungolo di situazioni difficili globali o di emergenze. La costruzione di nuovi piani dell’edificio europeo è sempre stata la risposta a problemi irrisolvibili altrimenti, come la recente crisi finanziaria 2007-2014, quando hanno rischiato la bancarotta almeno cinque Stati dell’Unione: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna.Il modo della nascita di qualcosa in effetti decide, almeno in parte, la sua “natura” e i modi del suo sviluppo. L’Europa che oggi conosciamo è nata di fatto quasi 70 anni fa, attraverso alcuni Trattati tra Stati sovrani. Il primo fu firmato nel 1951, con la nascita della Ceca, la cui Assemblea è stata l’embrione da cui si è sviluppato l’attuale Parlamento Europeo. Una seconda infornata di trattati fu firmata nel 1957, con i Trattati di Roma che costituirono la Comunità economica europea e i Trattati Euratom, che istituivano la comunità europea per l’energia nucleare. Qui il primo embrione di Unione economica sul carbone e l’acciaio cominciò ad allargarsi verso tutti i settori l’economici. E tentò anche di diventare unione nella governance della ricerca sull’energia atomica a scopo pacifico, e su questo piano prosegue anche oggi con i progetti di ricerca sulla energia da fusione nucleare (con il recente accordo tra ITER, il progetto del “tokamak” per l’accelerazione e la fusione del plasma, e il Giappone del 2007).Ma in realtà queste prime istituzioni non furono un risultato solo europeo: nacquero sulla base di nuove spinte sia esterne che interne che cercheremo di ricostruire rispondendo a qualche domanda di fondo: come mai non è mai nata nella storia precedente e recente una Europa come Stato? quali furono le situazioni storiche che hanno spinto alla nascita e crescita di questo “sistema politico” così inedito? quale natura ha l’attuale Unione Europea e quale sviluppo possiamo attenderci?

La natura ibrida di “sistema politico” senza Stato della UE, e non di “Stato sovrano federale” (come gli Stati Uniti d’America), non si è formata nel modo e nel tempo in cui si è formata (la metà del ‘900) solo per un caso. Tutti i tentativi precedenti di dare un’unità politica di qualche genere all’Europa, erano falliti proprio a causa della loro natura e della loro epoca. Ne riconosciamo alcuni, di natura potremmo dire federatrice, nelle politiche dei vari Sacri romani imperatori medievali, da Carlo Magno agli Ottoni, ai Franconia e agli Asburgo. Furono tentativi in aperta competizione e collisione con analoghe ambizioni della Chiesa romana di stabilire un Imperium Christi sulla christianitas europea (F. Hee, Storia del Sacro Romano Impero, 2007). Tentativi falliti dall’una e dall’altra parte.Feudale e federale sono due parole che hanno la stessa radice, da foedus-foederis, che significa certamente un diritto o privilegio concesso in cambio di un servizio od obbligo, nel sistema del latifondo signorile o nei rapporti tra re e signori, ma significava anche nell’antica Roma un accordo internazionale, una societas o alleanza tra popoli diversi. Insomma l’Europa degli imperi sacri e romani aveva una sua unità di tipo federale in senso medioevale e romano, si riconosceva in una regalità europea. Ma oscillò sempre tra due polarità: l’essere, come la descrive la dottrina di Bonifacio VIII della bolla Unam Sanctam (1302), una doppia sovranità di due spade “una spirituale e l’altra temporale” di cui la seconda, in mano all’Imperatore, subordinata alla prima, per servire e proteggere la Chiesa; oppure l’essere una sola sovranità spirituale e temporale insieme unite nella persona dell’Imperatore, sul modello bizantino. Le due spade di Bonifacio, o l’unica spada sacra e temporale di Federico II, erano di dimensione europea, ma in concorrenza tra di loro. Non determinarono mai nel medioevo poteri sovrani centralizzati di tipo statuale-moderno. Generarono piuttosto unioni-federazioni temporanee in stato di necessità (per la guerra), molto fluide, di molteplici reami e principati. Quella europa costituiva al massimo una “societas cristiana” o “christianitas”, come l’aveva denominata il monaco Ildebrando di Soana, papa Gregorio VII. Questa Europa medioevale-feudale non fu mani né “Stato”, né “Sistema politico” nel senso che abbiamo indicato nei paragrafi precedenti, ma più semplicemente, ma anche più in profondità, una civiltà, “una unità storica”, come scrive Lucien Febvre:

“Chiamo Europa, chiamerò Europa in questo corso, non un continente (ci ritornerò), non una divisione geografica del globo, non un dipartimento razziale dell’umanità bianca, giacché nessun antropologo, nessun etnologo, nessun razziologo si è mai sognato di parlare di una razza europea, di sostituire alla più prodigiosa delle diversità etniche una unità immaginaria e una purezza razziale

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meramente convenzionale (o propagandistica). Chiamo Europa non una formazione politica definita, riconosciuta, organizzata, dotata di istituzioni fisse e permanenti, una sorta di Stato o di super Stato, formula che gli europei, o almeno certi europei, hanno potuto sognare talvolta, ma che è rimasta sempre allo stato di sogno, e a proposito della quale, dunque, ci dovremo chiedere se è destinata a diventare realtà, o condannata a restare un sogno. Chiamo Europa, semplicemente, una unità storica, una incontestabile, innegabile unità storica, una unità che si è costituita in una data definita, una unità recente, una unità storica, comparsa nella storia sappiamo esattamente quando, giacché l’Europa in questo senso, così come noi la definiamo, come la studiamo, è una creazione del Medio Evo , una unità storica che, come tutte le altre unità storiche, è fatta di diversità, di pezzi, di cocci strappati da unità storiche anteriori, a loro volta fatte di pezzi, di cocci, di frammenti di unità precedenti”. (L. Febvre, L’Europa. Storia di una civiltà, Roma 1999, pag.3).

Ci furono invece tentativi nell’epoca moderna di trasformare questa entità a geometria altamente variabile in qualcosa di più, in un territorio governato uniformemente da un centro. In una realtà statuale di dimensione imperiale. Il primo fu quello di Carlo V, a capo dell’Impero su cui non tramontava mai il sole, che si estendeva oltre Atlantico, rapidamente fallito sotto la spinta del differenziarsi del cristianesimo europeo nel XVI sec. in Chiese nazionali o autonome, luterane e calviniste. Le riforme protestanti andarono nella direzione di disarticolare l’Europa e di costituire Stati moderni sovrani, come effettivamente fu riconosciuto con la pace di Westfalia (1648) dopo l’ultima guerra di religione europea.

Con l’imporsi in Europa dello Stato moderno sovrano e poi dello Stato nazionale ci saranno anche dei tentativi di realizzare il dominio sull’Europa di una sola nazione. Ad esempio con Napoleone ed Hitler. Si trattava di fare del continente uno Stato moderno dominato “modo militare”. Ma così l’Europa come Stato non nacque mai, semplicemente perché non poteva nascere così, viste le premesse chiarite sopra da L. Fevbre. Anzi finì per dividersi ancor più, sulla base di “destini” storici diversi e divaricanti. Nell’Europa moderna, soprattutto dopo la rivoluzione francese, le parole che più si affermarono non furono più quelle universalizzanti della “civiltà medioevale”, ma si imposero due sole parole d’ordine che dividevano l’umanità: “nazionale” e “straniero”. Fu l’Europa dei confini ben sorvegliati. Gli altri europei diventarono sempre più “stranieri”, alcuni amici (alleati) e altri nemici, secondo le convenienze. La competizione si era già manifestata inizialmente sul piano mercantile, si era poi spostata sul piano degli apparati industriali, e dei rapporti tra i mercati nazionali, che si chiusero rispetto ai concorrenti per allargarsi alle “aree vuote” in Africa e Asia. L’Europa divenne quella delle potenze economico-industriali, in competizione: i grandi imperi inglese, francese, tedesco, e uno piccolo anche per l’Italia. Una competizione regolata da Trattati e da conflitti. Sfociata nella grande “guerra civile europea” del ‘900 e nella “catastrofe europea”.

5) TRE FATTORI “ESTERNI” CHE HANNO SPINTO L’EUROPA

Torna allora viva più che mai la domanda da cui siamo partiti: qual è l’origine di “questa” Unione Europea? Questo embrione che si è sviluppato in settant’anni e non si capisce ancora se sta diventando uno Stato o no? Questo nuovo e atipico “sistema politico”, né Stato né semplice sistema di trattati, che, crescendo nella sua complessità e importanza, da quasi settant’anni smentisce una storia di divisioni, competizioni e guerre?Forse è inutile cercarne radici lontane, fatta eccezione per la sua storia di “civiltà” di cui parla Lucien Fevbre. Occorre piuttosto cercare il suo inizio nel cuore della “catastrofe” da cui di fatto è emersa, come una novità senza precedenti, anzi, forse contro i suoi stessi precedenti. Negli anni ’40 del ‘900 sono state poste le vere condizioni della sua genesi, che sono di due ordini: “esterne” e “interne”. Sono condizioni nuove e iniziali in cui troveremo anche le radici dei pregi e difetti della sua evoluzione successiva.Le radici “esterne” della Unione Europea datano negli anni ’40, durante e dopo la guerra. Tra gli anni 1941 e 1948, molto prima del primo Trattato Europeo istitutivo della CECA (1951). Le troviamo in tre

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atti di politica internazionale che definiscono dall’esterno un nuovo ordine per l’Europa occidentale. Portano la firma degli Stati Uniti e del Regno Unito (i primi due) o dei soli Stati Uniti (il terzo). Sono:

- La Carta Atlantica firmata nel 1941- Gli accordi economici di Bretton Woods firmati del 1944- Il Piano Marshall varato nel 1948

Qui troviamo le essenziali condizioni di tipo politico-giuridico ed economico poste per l’Europa occidentale dai nuovi protagonisti dell’ordine mondiale, e finalizzate all’edificazione di un nuovo ordine “atlantico”. Questo nuovo ordine aveva estremo bisogno di un’Europa occidentale coesa, e quindi ne incoraggiava la genesi. Anche per fronteggiare il “mondo sovietico”.Una quarta radice ha invece una natura “interna” all’Europa, e la esamineremo separatamente nel paragrafo successivo. Anticipiamo qui che essa consiste nel prevalere delle culture democratiche, antinazionaliste, antiimperialiste ed antifasciste. Una nuova temperie culturale superava l’ideologia dello Stato sovrano e di potenza, e affermava l’idea epocale che, dopo Auschwitz, il nuovo fondamento di legittimità dei poteri dello Stato moderno poteva essere dato solamente da limitazioni ai suoi poteri sovrani a favore di istituzioni internazionali e dalla definizione della dignità umana della persona e dai suoi diritti umani inviolabili. In questo quadro si iscrive coerentemente anche la Costituzione italiana (come le altre costituzioni europee del dopoguerra), in particolare con gli articoli 2, 3 sul punto della dignità umana della persona, e 11 sulle auto-limitazioni di sovranità: “La Repubblica consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Questa quarta radice tutta “interna” all’Europa, la possiamo definire la radice e il germoglio di un “Albero delle cittadinanze” in Europa (Antonio Papisca, Riflessione in tema di cittadinanza europea e diritti umani, 2004).

Vediamo adesso di conoscere nei particolari le tre “condizioni esterne”, che sono di ordine politico ed economico allo stesso tempo.

La Carta Atlantica (1941)La Carta Atlantica fu un accordo bilaterale orientato a disegnare il profilo politico del nuovo spazio occidentale-atlantico che si veniva profilando all’orizzonte quando la Seconda Guerra Mondiale era ancora in pieno svolgimento. Precisamente quando la Germania aveva ormai perso la “Battaglia d’Inghilterra”. Fu sottoscritta dal presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt e dal primo ministro britannico Winston Churchill il 14 agosto del 1941 a bordo della nave da battaglia Prince of Wales ancorata nella Baia di Terranova. Prevedeva l’enunciazione di alcuni principi per il futuro ordine mondiale: divieto di espansioni territoriali, autodeterminazione interna ed esterna, democrazia, pace, rinuncia all’uso della forza, sistema di sicurezza generale che permettesse il disarmo. Riprendeva i “Quattordici punti” di Wilson ed affermava la libertà di commercio e di navigazione e il diritto dei popoli a vivere “liberi dal timore e dal bisogno”. Essa fu il seme della nascita dell’ONU ma anche degli accordi di Bretton Woods.

Gli accordi di Bretton Woods * (1944)(Video: economia politica del 900/2 Bretton Woods e Piano Marshall, minuti 7,31-22,20). (Video sulle radici della moneta unica di R. Mundell)Gli accordi di B.W. del luglio 1944 stabilirono i nuovi rapporti economici che coinvolgevano 44 stati del mondo tra i quali anche gli stati europei occidentali. Li sottoscrissero in Europa Gran Bretagna, Francia, Regno d’Italia (ad opera del governo di “unità nazionale” a guida Bonomi, espressione del CLN). I tra settori occidentali della Germania ne fecero parte automaticamente in quanto sottoposti a Usa, Francia e Gran Bretagna. Gli accordi disegnarono uno spazio di libero mercato in Europa precedente il Mercato Comune Europeo e lo caricarono di significati keynesiani come “stabilità, sviluppo, occupazione, benessere (welfare)”. Bretton Woods fu anche un’estensione della logica del New Deal americano allo spazio disegnato dalla Carta Atlantica e quindi anche all’Europa: stabilì infatti l’Europa occidentale come parte di una vasta area di libero mercato e sviluppo, fondati a loro volta sulla stabilità monetaria tra i paesi partecipanti. Gli accordi avevano lo scopo principale di raggiungere la

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stabilità monetaria dopo i gravi disordini degli anni ’30, conseguenti alla crisi del ’29: si riteneva questa la condizione essenziale della ”espansione del benessere (welfare)”, cioè di un’economia di mercato internazionale sufficientemente stabile da garantire la ripresa e lo sviluppo del commercio internazionale, quindi della domanda e dell’occupazione. Il commercio internazionale si era inabissato negli anni ’30 in conseguenza delle svalutazioni e dei protezionismi degli stati, e si era inabissata ovunque anche l’occupazione. Per 25 anni, e cioè fino all'inizio degli anni '70, il sistema di Bretton Woods fu la cornice monetaria e di politica economica per i primi passi dell’Europa della ricostruzione e del boom economico. Fu efficace nel realizzare gli obiettivi di sviluppo. In seguito, la guerra del Vietnam fece aumentare fortemente la spesa pubblica statunitense, e mise in crisi il sistema della stabilità monetaria: la forte emissione di dollari per far fronte alle spese, unita al crescente indebitamento degli USA, resero impossibile la convertibilità in oro della nuova massa monetaria. Ciò spinse il 15 agosto 1971 il presidente statunitense Richard Nixon, ad annunciare la sospensione della convertibilità del dollaro in oro, cioè della stabilità dei cambi. Il dollaro fu svalutato e iniziò la nuova epoca della fluttuazione dei cambi, portatrice di instabilità e stagnazione economica (arrivarono gli anni della ”stagflazione”, aggravata poi dallo shock petrolifero del 1973). Le tre istituzioni create a Bretton Woods per la stabilità del mercato internazionale ed il suo sviluppo (FMI, BMI, GATT, poi divenuto il WTO) continuarono tuttavia a vivere, garantendo che la fluttuazione dei cambi non degenerasse nel disordine e nella crisi sistemica come negli anni ’30.In questa situazione problematica dei cambi cominciarono anche le prime riflessioni del Nobel per l’economia Robert Mundell sulla stabilità monetaria in Europa e sulla creazione di una moneta unica in Europa da lui individuata come “area monetaria ottimale”.

(Il testo seguente è liberamente tratto da Wikipedia)* La conferenza di Bretton Woods si tenne dal 1º al 22 luglio 1944 nell'omonima località nei pressi di Carroll (New Hampshire), per stabilire le regole delle relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi industrializzati del mondo. Essa consisté in una serie di accordi per definire un sistema di regole e procedure per controllare la politica monetaria internazionale. Furono il primo esempio nella storia del mondo di un ordine monetario totalmente concordato.I 44 governi che siglarono gli accordi di Bretton Woods (tra cui Usa, Canada, Australia, i paesi dell’Impero britannico come l’India, il Sud Africa, e nel continente europeo la Gran Bretagna, la Francia, il Regno d’Italia) concordarono sul fatto che la dura lezione del caos monetario del periodo tra le due guerre fosse sufficiente per placare gli animi e superare le divergenze. Nella mente degli economisti era bene impressa la recente esperienza della Grande depressione, durante la quale i controlli sul tasso di cambio e le barriere commerciali avevano portato al disastro economico. Negli anni '30 il controllo del mercato dei cambi aveva minato il sistema di pagamenti internazionali su cui era basato il commercio mondiale. In quel periodo, infatti, i governi avevano usato politiche di svalutazione per far crescere le esportazioni giocando sulla competitività del cambio, con lo scopo di ridurre il deficit della bilancia dei pagamenti, causando, però, come effetti collaterali la caduta a picco delle entrate nazionali, la riduzione della domanda, un enorme aumento della disoccupazione ed un declino complessivo del commercio mondiale. Gli accordi di Bretton-Woods sono un compromesso tra i due piani presentati dal delegato dell’Inghilterra (il futuro Nobel John M. Keynes) e quello americano (Harry D. White).

Prevedevano:- la creazione del FMI con il compito di vigilare sulla stabilità monetaria con l'obiettivo di ricostituire un

commercio internazionale aperto e multilaterale;- la creazione della Banca Mondiale per gli investimenti e lo sviluppo (BMI);- che tutte le valute dovessero essere convertibili in dollari. Era un sistema dollaro-centrico, per cui i

commerci internazionali avvenivano soprattutto in dollari; per esempio, i prezzi delle materie prime, come il petrolio, erano espresse in dollari;

- che le banche centrali dovessero mantenere un cambio stabile con il dollaro;- che la svalutazione era ammessa solo in caso di approvazione del FMI e sotto la sua vigilanza.Il sistema progettato a Bretton Woods era un gold exchange standard , basato su rapporti di cambio fissi tra le valute, e favoriva un sistema di mercato internazionale con il minimo delle barriere e il massimo di stabilità. Questa era secondo Keynes la prima condizione per riavviare lo sviluppo, cioè la domanda aggregata, la produzione e l’occupazione”.

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Il Piano Marshall o ERP (European Recovery Program* 1948)Con il Piano Marshall incontriamo per la prima volta il concetto di Europa come si è poi venuto sviluppando. Il nome ufficiale era infatti “Piano per la ripresa europea ” (in inglese European recovery program, abbreviato in ERP) e fu lo strumento principale per realizzare gli scopi degli accordi di Bretton Woods in Europa occidentale.Il segretario di Stato statunitense George Marshall annunciò al mondo, il 5 giugno 1947 l'elaborazione e l'attuazione di un piano di aiuti economico-finanziari per l'Europa. Secondo gli Usa l'Europa aveva bisogni finanziari, almeno per 3-4 anni, senza i quali, avrebbe conosciuto un gravissimo deterioramento delle condizioni politiche, economiche e sociali. Il segretario di Stato si augurò che dal piano ERP sarebbe potuta scaturire non solo una nuova e più proficua epoca nella collaborazione tra le due sponde dell'Atlantico, ma anche una prima realizzazione di quei progetti europeisti finora caratterizzati, a suo avviso, da una certa vaghezza utopistica.

(Il testo seguente è liberamente tratto da Wikipedia)* Lo European Recovery Program (ERP) realizzò uno stanziamento di poco più di 17 miliardi di dollari per un periodo di quattro anni. Con l'obiettivo di favorire una prima integrazione economica nel Continente, nacque contestualmente anche l'Organization for European Economic Cooperation (OEEC, in italiano OECE), in cui i programmatori inviati da Washington cercarono di spingere gli europei ad utilizzare gli aiuti non per fronteggiare le contingenze del momento, quanto piuttosto per avviare un processo di trasformazione strutturale dell'economia dei loro Paesi.Clayton, che rappresentava gli Stati Uniti, insistette sulla presentazione di un piano complessivo, dove fosse tutelata la libertà di commercio e promossa l'integrazione europea. A sostegno della sua tesi evidenziò che difficilmente il Congresso statunitense avrebbe approvato il Piano se questo non fosse stato caratterizzato da questi punti e se ogni stato non avesse presentato richieste individuali, come stava accadendo. Alla fine si decise di presentare al Governo statunitense un unico programma di richieste, per un totale di 22 miliardi di dollari. I risultati furono poi senza dubbio positivi per gli obiettivi strategici di Bretton Woods: il Piano Marshall avviò infatti quella ripresa del ciclo economico nel Vecchio Continente che si sarebbe poi dispiegata nel boom economico, quando l'industria europea diventò, nel giro di pochi anni, un temibile concorrente di quella statunitense. Inoltre esso indicò agli europei che l'interdipendenza poteva costituire una soluzione alle tensioni ed ai conflitti, che da sempre avevano caratterizzato la loro storia. Sul piano interno, poi, l'aiuto statunitense consentì alle fragili democrazie occidentali di rilassare le politiche di austerità e di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni, cosa di cui beneficiarono i partiti politici allora al potere.

Gli Aiuti finanziari del Piano Marshall ai sei fondatori della CECA e CEE (dal 1948 al 1951):

Belgio e Lussemburgo 777 (in milioni di dollari)Francia 2.296Germania Ovest 1.448Italia 1.204Paesi Bassi 1.128

6) UN “FATTORE INTERNO” NELLA GENESI EUROPEA

Ricapitolando quanto fin qui osservato, diciamo che l’effettiva nascita dell’Europa come spazio di condivisione di decisioni e di sviluppo attraverso il libero mercato è preceduta da alcune condizioni poste dall’esterno: con la Carta Atlantica fu stabilito che anche l’Europa occidentale sarebbe stata uno spazio di pace, democrazia, benessere, libero mercato. Con gli accordi di Bretton Woods si stabilirono obiettivi e metodi di uno spazio atlantico dello sviluppo e del benessere (welfare): anche in Europa occidentale si doveva promuovere lo sviluppo tramite la stabilità dei cambi, superando i conflitti monetari degli anni ’30, trovando quella condizione essenziale della ripresa del commercio internazionale che avrebbe generato il pieno impiego, e la crescita dei redditi e dei consumi. Infine il Piano Marshall, lo strumento finanziario per riavviare il ciclo economico in una Europa inserita nello spazio di Bretton Woods. Il piano Marshall inoltre concretizza per la prima volta il nome “Europa”

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(1948): si chiama in effetti European Recovery Program (ERP) e stabilisce per il coordinamento delle richieste dei paesi europei la nascita di un’agenzia che si chiama OECE (European Economic Cooperation). Nel nome del “piano Marshall” troviamo il soggetto (l’Europa), nel nome dell’OECE il metodo (la cooperazione tra Stati). Disegnavano un nuovo orizzonte per Stati e popoli che si erano fatti la guerra per secoli e fino a tre anni prima.

L’Europa Council* e il diritto dei diritti umani (1949)Veniamo adesso al quarto fattore della costruzione europea, che abbiamo chiamato “interno”. Esso è il fattore che determina l’aspetto più spiccatamente politico dell’Europa che si andrà costruendo. Segna un nuovo inizio per la storia europea sotto l’aspetto che chiameremo con Lucien Fevbre, della civiltà. Soprattutto giuridica.Ci occupiamo quindi del metodo dei trattati internazionali e dei diritti umani, cioè di quella nuova forma di collaborazione tra popoli e Stati che rinunciano a parti importanti della propria sovranità e riconoscono una uguale e complementare sovranità ad altri popoli e Stati nazionali, allo scopo di decidere ed operare insieme in un contesto di pace e cooperazione fondato sulla tutela e promozione dei diritti umani. Il primo Trattato internazionale europeo non fu infatti di tipo economico. Non fu l’istituzione della CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio), come comunemente si afferma, ma di tipo politico-giuridico. Fu il Trattato di Londra del 1949 con cui nacquero un parlamento internazionale consultivo, l’Europa Council, detta anche la “piccola ONU d’Europa”, con sede a Strasburgo, città martire delle guerre mondiali e due anni dopo sede anche della CECA, e la Corte europea dei diritti dell’uomo. L’Europa Council (Consiglio d’Europa) è un organismo parlamentare fondato su un Trattato internazionale, orientato agli obiettivi della pace tra i popoli e della promozione dei diritti umani. Il motivo della sua nascita non fu evitare gli errori di politica economica e monetaria che causarono la grande depressione, ma rispondere sul piano della civiltà alle tragedie dei totalitarismi, della Shoah e della guerra tra i popoli europei. “Mai più la guerra, mai più Auschwitz” significò subito la costruzione di uno spazio europeo condiviso di garanzia per i diritti umani e di pace. Tra i fondatori ci sono tutti quelli dell’Europa dei 6, eccetto la Germania federale, nata proprio nel 1949 e che aderirà un anno dopo (1950)

(Il testo seguente è liberamente tratto da Wikipedia)* Il Consiglio d'Europa (Europa Council) è un'organizzazione internazionale il cui scopo è promuovere la democrazia, i diritti dell'uomo, l'identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa. Il Consiglio d'Europa fu fondato il 5 maggio 1949 col Trattato di Londra e conta oggi 47 Stati membri.La sede istituzionale è a Strasburgo, in Francia, nel Palazzo d'Europa. Lo strumento principale d'azione consiste nel predisporre e favorire la stipulazione di accordi o convenzioni internazionali tra gli Stati membri e, spesso, anche fra Stati terzi. Le iniziative del Consiglio d'Europa non sono vincolanti e vanno ratificate dagli Stati membri.I principali organi del Consiglio d'Europa sono: il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, il Segretario generale del Consiglio dell'Unione europea, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, il Congresso dei poteri locali e regionali, la Corte europea dei diritti dell’uomo.Finalità. Tutela dei diritti dell'uomo, della democrazia parlamentare e garanzia del primato del diritto. Sviluppo dell'identità europea, basata su valori condivisi, che trascendono le diversità culturali. Conclusione di accordi europei per armonizzare le pratiche sociali e giuridiche degli Stati membri.Dopo il 1989, il ruolo del Consiglio d'Europa è stato quello di essere l’ispiratore di un modello politico e il custode dei diritti dell’uomo per le democrazie post-comuniste d’Europa, di assistere i paesi dell’Europa centrale e orientale ad attuare e a consolidare le riforme politiche, legislative e costituzionali, parallelamente alle riforme economiche, di fornire competenze in settori quali i diritti dell’uomo, la democrazia locale, l’educazione, la cultura, l’ambiente.Gli Stati membri sono attualmente 47 (comprende anche Turchia, Russia e Ucraina), di cui 28 fanno parte dell'Unione europea: i paesi che diedero vita inizialmente al Consiglio d'Europa sono 10.

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7) DE GASPERI E ADENAUER: IL SIGNIFICATO POLITICO DELLA COSTRUZIONE EUROPEA

Il processo europeo comunemente viene fatto iniziare con il trattato istitutivo della CECA (Comunità Europea Carbone e Acciaio, 1951). Di questo trattato parleremo estesamente nel successivo paragrafo. Per ora ci limitiamo a sottolineare che esso non fu solo un trattato economico, e neppure fu la realizzazione di un progetto ideale europeista. Fu l’esito di una frattura nella storia, l’inizio di una risposta nuova. Una analisi delle motivazioni che spinsero i fondatori della CECA, considerati unanimemente i Padri della costruzione europea, chiarisce in modo inequivocabile che essi furono spinti principalmente dall’esigenza di rispondere alla catastrofe morale europea, consumatasi con le due guerre mondiali fratricide, e resa innegabile dai crimini di guerra, dai genocidi e dai campi di sterminio. Questo punto era già stato condiviso negli scopi e nel metodo dell’Europa Council, che poneva i giudici del Corte europea dei diritti dell’uomo al di sopra dei singoli governi, seppure solamente dotati di un potere morale di raccomandazione. Secondo i filosofi T.W. Adorno, J. F. Lyotard, Hans Jonas, Z. Baumann, Aushwitz* è in effetti il simbolo di una catastrofe morale della “civiltà moderna europea”: i campi di sterminio sono stati il culmine della modernità europea, del potere organizzativo e tecno-scientifico dello Stato moderno e della società industriale, della sua capacità di annientamento della dignità umana (Z. Baumann, Modernità e olocausto, 1992). Troviamo questa consapevolezza al centro della ispirazione politica dei Padri dell’Europa. I padri della UE - i francesi Schumann e Monnet, il tedesco Conrad Adenauer, l’Italiano Alcide De Gasperi, il belga Paul Henri Spaak – volevano tutti in effetti un’Europa “dopo Auschwitz”*, essenzialmente nuova, non più ispirata al nazionalismo, all’imperialismo, alla competizione tra Stati sovrani, al razzismo, all’autoritarismo dirigista e del potere burocratico e tecnico esibiti tra ‘800 (H. Arendt, Le origini del totalitarismo - 1951) e ‘900 dagli Stati e dalle economie nazionali industriali moderne con il nazionalismo e l’imperialismo.

* “Dopo Auschwitz”. Il frutto del nuovo tempo “dopo Auschwitz” è il “paradigma dei diritti umani” (A. Papisca, Il diritto della dignità umana, 2010) al centro del quale troviamo l’architrave della dignità della persona umana e della pace nelle differenze, della cui tutela si fanno carico istituzioni politiche sovranazionali. E’ il frutto di un “mai più”, non di una tradizione. La dignità umana era stata distrutta brutalmente dalle logiche di potenza degli Stati nazionali, e adesso doveva essere finalmente riconosciuta giuridicamente e tutelata in dimensione sovranazionale, e con una limitazione della sovranità nazionale. Si pone infatti la questione del riconoscimento e della tutela di un diritto ontologicamente fondato, dopo che esso è stato annullato.

Questa motivazione si riassume nella semplice parola “pace”, e nelle idee basilari, e negative, che “mai più la guerra fratricida”, “mai più Auschwitz”. Cerchiamo adesso di evidenziare questa motivazione alla pace tramite il “fare insieme” (cooperazione) nel pensiero di Adenauer e De Gasperi, ma sottolineando nuovamente che essa era ben presente anche negli altri padri dell’Europa (su Monnet e Schumann torneremo successivamente per riflettere sul loro “metodo funzionalista” nella costruzione dell’Europa). Tutti i padri europei videro nella nascente cooperazione economica soprattutto il metodo per generare la pace e l’unione politica.Per chiarire questo punto vorrei citare innanzitutto un discorso che Helmut Kohl, il cancelliere della riunificazione tedesca, fece nel 2003 in onore di Adenauer:

«In retrospettiva sappiamo chi erano quegli uomini e quelle donne di cinquant’anni fa che solo alcuni anni prima erano venuti fuori dalle prigioni, dai campi di concentramento e dai campi di battaglia della seconda guerra mondiale. Desideravano la pace. Allora noi giovani, insieme alla generazione precedente, abbiamo giurato: mai più guerra. Non dobbiamo dimenticare che la costruzione della casa comune europea è stato il presupposto più importante per la pace in Europa . Questo è l’obiettivo fondamentale che noi dobbiamo perseguire e garantire. È importante: si tratta ancora oggi di assicurare la pace e la libertà».

E’ questa l’idea di fondo dei padri fondatori, di Adenauer e di De Gasperi, sono tutti grandi “costruttori di pace”. Per tutti vale la condanna del nazionalismo e dell’innalzamento dello Stato ad un valore etico

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superiore alla dignità della persona e alla libera costruzione di formazioni sociali. Per loro questo è connaturato all’antropologia e alla dignità umana, davanti alla quale lo Stato deve arretrare. A partire da questo paradigma della dignità e dei diritti deve crescere (“evolvere” dice De Gasperi) una forma politica nuova capace di decisioni comuni e impegnative, sovranazionali, capace cioè di dialogo e riconoscimento tra differenze.

IL PENSIERO POLITICO DI DE GASPERIDe Gasperi era stato scelto nel 1923 da Don Luigi Sturzo quale nuovo segretario del PPI. Poi il PPI fu sciolto dal fascismo l’anno seguente. Mentre il fascismo crollava, nel 1942 De Gasperi elaborò la Idee ricostruttive dalla Democrazia Cristiana, il programma politico del nuovo partito cristiano popolare, la DC, che doveva prendere il testimone del disciolto PPI. Ecco il capitolo sulla politica estera per l’Italia nuova.

«RICOSTRUZIONE DELL'ORDINE INTERNAZIONALE SECONDO GIUSTIZIA.Una "Dichiarazione dei diritti e dei doveri delle Nazioni" dovrà conciliare nazione e umanità, libertà e solidarietà internazionale. Il principio dell'autodecisione sarà riconosciuto a tutti i popoli, ma essi dovranno accettare limitazioni della loro sovranità statale in favore d'una più vasta solidarietà fra i popoli liberi. Dovranno quindi essere promossi organismi confederali con legami continentali e intercontinentali.Così l'Italia, superata la crisi del suo libero reggimento, ed in tal modo riacquistando nuova dignità spirituale e politica, collaborando lealmente nella Comunità europea, potrà riprendere la sua secolare funzione civilizzatrice».

De Gasperi fu ministro degli Esteri nei governi Bonomi e Parri nel 1944 e poi come Primo Ministro lavorò alla costruzione di organismi sovranazionali a stretto contatto con Adenauer e Schumann, che condividevano con lui una comune formazione mitteleuropea. Da questo lavorìo nacque nel 1951 la CECA della cui Assemblea, l’embrione del futuro Parlamento europeo, fu eletto Presidente lo stesso De Gasperi. Ecco la sua visione della CECA esposta in occasione di una conferenza parlamentare europea nell’Europa Council, il 21 aprile 1954, quattro mesi prima della morte e dopo tre anni di vita della CECA.

«Dopo aver parlato al Congresso dell’Aja nell’ottobre 1953 davanti ai rappresentanti dei paesi che si sono voluti chiamare la “Piccola Europa” (la CECA), sono felice ora di poter levare lo sguardo verso più vasti orizzonti. (...) Bisogna riconoscere che la vera e solida garanzia della nostra unione consiste in una idea architettonica che sappia dominarla dalla base alla cima, armonizzando le tendenze in una prospettiva di comunanza di vita pacifica ed evolutiva. … Mi pare che questa idea dominante non possa essere il solo concetto liberale e dell’allargamento del mercato comune. Nè potrebbe bastare a questa costruzione la sola idea della solidarietà della classe operaia. E se con Tonybee io affermo che all’origine di questa civiltà europea si trova il cristianesimo, non intendo con ciò introdurre alcun criterio confessionale. Nessuna delle tendenze che prevalgono nell’una o l’altra zona della nostra civiltà (europea) può pretendere di trasformarsi da sola in idea dominante ed unica dell’architettura e vitalità della nuova Europa, ma queste tre tendenze opposte debbono insieme contribuire a creare questa idea e ad alimentare il libero e progressivo sviluppo. Ora sarà proprio questa nostra Assemblea che, nel corso dei prossimi dibattiti, si sforzerà di trovare i principi di una sintesi politica, sociale, economica e morale in base alla quale gli stati sovrani possano decidere di edificare la casa comune».

Questa “casa comune” era per i padri d’Europa di formazione cristiana una “piccola Europa”, già nata con la CECA e costituita da Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, di un territorio approssimativamente coincidente con quello su cui regnò Carlo Magno. E’ interessante leggere come De Gasperi intenda la CECA non come un organismo economico intergovernativo, ma piuttosto come la palestra in cui dare forma ad una capacità dialogica, ad una associazione umana supernazionale capace di essere un embrione di parlamento politico. Per De Gasperi la CECA non è un’iniziativa funzionalista. Per questo si chiama “Comunità”, che cristianamente significa unione di differenze. La politica non “segue” l’economia, perché con-vivere in uno spazio economico-sociale comune, e decidere insieme su questo, è già essere comunità politica. Purché l’organo di decisione sia sovranazionale. Per De Gasperi la CECA ha natura rivoluzionaria non tanto sotto il profilo dei compiti economi, ma

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soprattutto per il funzionamento stesso dei propri organi che dovevano sottrarre un settore economico strategico per la guerra alla sovranità degli Stati nazionali, sottoponendolo ad una autorità sovranazionale. La CECA (“piccola Europa”) era nata in effetti da una raccomandazione dell’Europa Council (1949) che fu raccolta dal ministro degli esteri francese R. Schumann . Egli fece successivamente, nel 1950, una celebre dichiarazione pubblica a nome del Governo francese, che passò alla storia come la dèclaration Schumann con cui proponeva di “porre l’insieme della produzione franco tedesca dell’acciaio sotto un’Alta autorità comune”. Il controllo sull’Alta Autorità, presieduta inizialmente dal francese Jean Monnet, ministro del commercio, e che si componeva di nove membri, fu affidato ad un’Assemblea presieduta da De Gasperi. Nel 1958, con il trattato di Roma, questa prima Assemblea mutò nome in Assemblea Parlamentare Europea, e si occupò non più solo del carbone e dell’acciaio, ma anche dell’energia atomica e del mercato comune. Nel 1978 divenne elettiva a suffragio universale, ed è l’attuale Parlamento Europeo.

IL PENSIERO POLITICO DI KONRAD ADENAUERTroviamo le stesse basi antropologiche anche nel pensiero di Konrad Adenauer, che durante la repubblica di Weimar fu esponente di spicco del Zentrum cattolico e Borgomastro della città di Colonia. Cacciato da questa carica nel ‘33 con l’avvento del nazismo, si ritirò a vita privata. Nel ’45 fu restaurato come Borgomastro a Colonia dall’amministrazione militare americana: la città era ridotta a 32.000 abitanti dai 760.000 dell’ante guerra, e distrutta per il 90%. Adenauer si lanciò quindi nella costruzione della CDU di cui nel 1949 fu il primo Presidente e che portò alla vittoria elettorale. Cancelliere dal 1949, fino al 1963 ricoprì anche la carica di ministro degli Esteri della RFT portando la Germania prima dentro l’Europa Council e poi nella CECA di cui presiedette il Consiglio dei ministri. In occasione della prima riunione di questo organo di controllo della CECA tenne un discorso che illustra la sua visione d’Europa. E’ il giorno 8 settembre 1952 e Adenauer dice ai ministri della sua Piccola Europa:

«Eccellenze. Egregi signori,In conformità alle disposizioni del trattato sulla creazione della CECA, l’Alta Autorità ha avviato i propri lavori già da un mese, e oggi, con l’istituzione del Consiglio (dei ministri dell’Economia e degli Esteri dei sei paesi adereNti) entra in funzione anche il secondo organo della Comunità. (...) Il Consiglio speciale dei ministri svolge quindi un ruolo di collegamento e intermediazione. Si trova nel punto di contatto tra due diverse sovranità, quella sovranazionale e quella nazionale. Deve soddisfare in egual misura sia gli interessi della Comunità sia quelli dei singoli Stati, trovando un equilibrio che possa garantire a ciascuno ciò che gli spetta.Come dice il Trattato, il Consiglio deve trovare un’armonia tra gli interessi di entrambe le parti. Come organo si trova quindi davanti ad un compito che si pone a chiunque si impegni a favore della unità dell’Europa. Ma questa unità non può essere raggiunta attraverso un centralismo europeo. Essa deve compiersi su una base federativa e confederativa, altrimenti non potrà mai compiersi. Deve rendere giustizia in egual misura sia al carattere molteplice e unico dei singoli Stati come risultato del passato storico, sia all’unificazione in una struttura unitaria che si impone come esigenza impellente per il futuro.L’opera che abbiamo intrapreso è audace. Lo sviluppo degli Stati nazionali a partire dalla prima parte del XIX secolo non ha favorito il senso comunitario degli Stati nazionali. Il Consiglio speciale dei ministri deve salvaguardare gli interessi nazionali degli Stati membri, ma deve ben guardarsi dal trattare questo compito in modo prioritario. Il suo compito primario sarà piuttosto quello di favorire gli interessi della Comunità, senza i quali essa non può evolversi. Lascerà quindi o eventualmente creerà un’ampia libertà di sviluppo per la struttura sovranazionale della Comunità. (...)Si sono fatti molti progetti e si è parlato molto della creazione dell’Europa. In un’epoca nella quale prevaleva il pensiero nazionale questa era un’idea quasi audace e a qualcuno poteva sembrare perfino utopistica, nonostante fosse consapevole della necessità di creare l’Europa.Il primo passo dal progetto alla realtà è compiuto. Siamo fiduciosi che sarà l’inizio di una nuova era per il nostro continente, un’era di pace, di concordia e di rinnovato benessere . Nell’interesse della pace e nell’interesse del progresso dobbiamo creare l’Europa, e la creeremo».

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8) IL “METODO FUNZIONALISTA”: L’EUROPA NASCE IN FORMA DI TRATTATI ECONOMICI (CECA, CEE),MA HA SCOPI POLITICI, L’INTEGRAZIONE E LA PACE

La logica di “Trattato internazionale” dell’Europa Council anima anche i successivi trattati con cui si concretizzò l’Europa economica dei sei: sono i trattati CECA (1951) e CEE (1957). Questi ultimi, almeno apparentemente, non hanno a che vedere con la pace e i diritti umani, ma con lo sviluppo dello spazio economico stabilito dalla logica di Bretton Woods e dal Piano Marshall. Si occupano in effetti di carbone e acciaio, di comunità economica. E tuttavia non sono solo questo. Obbediscono al “metodo funzionalista” per la costruzione di un’Europa politica, teorizzato da un altro Padre dell’Europa, Jean Monnet. Vediamo di cosa si tratta.

a) La prima Europa “funzionalista*” e la “déclaration Schumann” (il testo seguente è liberamente tratto da G. Testolin)

Il progetto di una Europa funzionalista* - cioè di un’Europa che procede “in funzione di” limitati settori strategici – fu messo a punto nel 1950 dall’economista e ministro francese del commercio nel governo del generale De Gaulle, Jean Monnet. Il progetto si tradusse poi nella famosa Déclaration Schumann*, con cui il ministro degli esteri francese apriva le porte alla nascita della CECA. A partire dai settori del carbone, dell’acciaio e del commercio Jean Monnet propose nel 1950 una progressiva integrazione fra Stati europei, partendo da accordi graduali su limitati settori economici (funzioni), settori tuttavia strategici quali il carbone e l’acciaio, il commercio... La proposta era così articolata:- Venivano coinvolte innanzitutto Francia e Germania: infatti carbone e acciaio erano stati la ragione prima del contendere tra i due Stati e stavano creando nuove tensioni. La messa in comune di queste risorse avrebbe: 1) allentato la tensione, 2) creato una solidarietà di fatto tra gli Stati per lo sviluppo economico, 3) posto sotto controllo la produzione di armamenti, che richiedeva queste materie prime.- L’accordo di cooperazione era aperto all’adesione degli altri Paesi europei.- Per la gestione concreta dei settori si sarebbe creata un’istituzione indipendente, dotata di autorità e risorse proprie. Tuttavia il potere di indirizzo restava di competenza di un organismo intergovernativo, che avrebbe deciso all’unanimità.- L’accordo di cooperazione funzionale sarebbe stato il primo passo verso la creazione di una Federazione europea.Ecco il passaggio chiave della Déclaration Schuman in cui si illustra il “metodo funzionalista” della costruzione di istituzioni europee: «L’unione delle nazioni esige l’eliminazione del contrasto secolare tra Francia e Germania: l’azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania. Il governo francese propone di mettere l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei. La fusione delle produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea. La solidarietà di produzione in tal modo realizzata farà sì che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile». (Déclaration Schuman, 9 maggio 1950).

* Il funzionalismo (tratto liberamente da: piattaforma INDIRE)Il funzionalismo ha come obiettivo un'integrazione forte per molti versi analoga a quella cui tende il federalismo, ma esso propone modalità di avvicinamento all'obiettivo radicalmente diverse. La dinamica dell'integrazione, secondo i funzionalisti, non deve essere affidata a una assemblea costituente il cui prodotto impegni improvvisamente tutti gli Stati a una radicale rinuncia alla propria sovranità a favore delle istituzioni federali, dal momento che non si sarebbe creata in questo modo la precondizione essenziale a qualsiasi integrazione politica: la cittadinanza comune. In altri termini, l'Europa rischierebbe di trovarsi con una costituzione magari profondamente democratica, ma senza una cittadinanza comune cui quella costituzione possa riferirsi.Non sarebbe possibile in questo caso realizzare stituzioni autorevoli e far sì che le decisioni prese da queste ultime siano pacificamente accettate da Stati nazionali ancora immaturi e restii a rinunciare alla propria sovranità in maniera così radicale.Il funzionalismo prevede dunque la progressiva “integrazione” di singoli settori o funzioni degli Stati

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nazionali e delle loro amministrazioni in modo da rendere più agevole l'integrazione politica e produrre il necessario humus a livello della cittadinanza, che si troverebbe, secondo questa teoria, sempre più unificata quasi naturalmente.E' quindi prevista la creazione di enti comuni (poste, telecomunicazioni, trasporti…) che, essendo di natura pressoché esclusivamente tecnica, non mettono in campo schieramenti politici e non creano dissapori e divisioni.Dal punto di vista concettuale, il funzionalismo prevede uno slittamento spontaneo dal piano tecnico dell'azione a quello politico degli ideali: l'integrazione tecnica anticipa quella politica. Ovvero, come sostenuto da Jean Monnet: all’Europa economica seguirà spontaneamente l’Europa politica.

Il contesto storico in cui il progetto “funzionalista” nacque. (testo liberamente tratto da G. Testolin)- Appena concluso il secondo conflitto mondiale con la disfatta nazista, si delineava lo scontro est-ovest di cui si è parlato presentando la proposta di Churchill. Gli Stati Uniti di Truman premevano per riarmare la Repubblica Federale Tedesca (1949) in funzione antisovietica. La Francia, maggioranza del Parlamento e popolo, era assolutamente contraria.- L’alternativa era quella di consentire alla Germania (RFT) di ritornare nel pieno possesso delle regioni minerarie e industriali della Ruhr e della Saar, con l’obiettivo che essa accelerasse la ripresa economica e tornasse ad essere una potenza di primo piano al centro dell’Europa. In questi termini anche l’alternativa era inaccettabile per la Francia. Politicamente la situazione era in stallo.- Inoltre i rapporti tra Francia e Germania (RFT) rimanevano tesi proprio sul problema della Ruhr e della Saar, sulle quali la Francia manteneva il controllo come contropartita per i danni di guerra. D’altra parte era chiaro a tutti che proprio l’atteggiamento punitivo francese nei confronti della Germania dopo la prima guerra mondiale era stata la principale causa del risentimento tedesco e dell’esplosione del nazionalismo nazista. Dunque l’errore (a suo tempo bene evidenziato da Keynes) non andava ripetuto.- Si profilava imminente una crisi di sovrapproduzione dell’acciaio ed era alta la probabilità che i “padroni delle ferriere” reagissero come tra le due guerre: un cartello per ridurre la produzione e mantenere elevati i prezzi in modo speculativo. Tale situazione in piena fase di ricostruzione sarebbe stata intollerabile, per cui era necessario intervenire preventivamente a regolare il settore.Gli Stati Uniti premevano: la loro ossessione era ormai la “guerra fredda” e volevano una soluzione al problema del contenimento dell’espansionismo sovietico in Europa attraverso il reintegro della Repubblica Federale tedesca tra i Paesi Alleati dell’occidente. Fu convocata una conferenza dei ministri degli esteri dei tre grandi (U.S.A., Regno Unito e Francia) per affrontare il problema e l’incarico di proporre una soluzione fu affidato a Robert Schuman. La palla era dunque nel campo francese. Il ministro degli esteri Schuman la girò a Jean Monnet che elaborò la proposta del “metodo funzionalista”, da cui Schumann trasse i contenuti per la successiva dichiarazione politica del 9 maggio 1950.Il 9 maggio 1950, giorno che precedeva l’incontro trilaterale Francia-USA-Inghilterra, Schuman fece infatti una Dichiarazione esplosiva (di cui peraltro aveva messo al corrente il cancelliere tedesco Adenauer, che si era immediatamente dichiarato entusiasta).

b) 1951: il Trattato CECA, primo trattato Europeo; il fallimento del trattato CED (video Istituto Luce)

Il processo di integrazione europea cominciò quindi secondo il “metodo funzionalista”, in funzione della gestione comune di un settore strategico dell’economia, carbone e acciaio. Come già detto la sollecitazione a creare la CECA era venuta dall’Europa Council con una “raccomandazione” del 1949 raccolta dal Ministro degli esteri francese R. Schumann. Il Trattato di Parigi che istituì la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) fu firmato nel 1951, l’anno successivo alla Déclaration Schumann. Il Trattato non era ispirato da scopi prevalentemente economici, come gli accordi di Bretton Woods e il Piano Marshall. Basta leggere attentamente le parole finali della dichiarazione-Schumann: “La fusione delle produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea … farà sì che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile”. Sono dunque la federazione europea e la pace le cause finali dei primi passi dell’Europa economica che comincia con l’integrazione del carbone e dell’acciaio. La tesi dell’Europa funzionalista si poneva a metà strada tra il metodo dell’Europa federalista sostenuto dal Manifesto di Ventotene degli italiani Altiero Spinelli e Rossi (1944) e quello di una “Europa dei Blocchi contrapposti” avanzata W. Churchill,

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che voleva una unione più forte in continente per fare fronte meglio alle sfide della guerra fredda. Secondo la tesi funzionalista di Monnet, che fu anche il primo Presidente della CECA, l’Europa politica sarebbe seguita all’Europa economica. L’obiettivo era sperimentare un’integrazione parziale, per avviare poi un ampliamento all’intera economia. Si cominciò dunque con il Carbone e l’Acciaio, che erano stati il cuore dell’industria bellica, intesi adesso come un patrimonio comune da gestire in modo cooperativo allo scopo di realizzare insieme lo sviluppo. La CECA fu effettivamente un successo: negli anni dal 51 al 57 crebbe in modo esponenziale la produzione siderurgica in Europa rendendo possibile lo sviluppo delle industrie automobilistiche e dell’edilizia (lamiere, tondini), e generando una forte crescita occupazionale nel settore: 300 mila posti di lavoro furono creati direttamente nella siderurgia e nell’estrazione del carbone. Trovano lavoro grazie alla CECA anche molti disoccupati italiani: sia nelle industrie siderurgiche che nelle miniere del carbone. A Marcinelle, in Belgio, un incendio nel 1958 morirono 262 minatori, in gran parte italiani.Falliscono invece i tentativi di ampliare l’integrazione in campo militare e politico:- Comunità Europea di Difesa (CED)- Comunità politica europea (CEP)I rispettivi accordi, caldeggiati da Churchill e dagli Stati Uniti in funzione antisovietica, sono bloccati dal Parlamento francese (“gli accordi armano la Germania e disarmano la Francia”) e non hanno seguito (1952-1954). La difesa europea ricadrà sul Patto Atlantico (NATO) già siglato nel 1949. Il processo di integrazione ritorna sui binari dei trattati di settore.

Gli organi di gestione della CECA (testo di G. Testolin)La forma istituzionale della CECA è fondamentalmente intergovernativa. L’Europa nasce con il metodo dei Trattati, non come potere statuale. Questo rispecchia bene il momento storico e risponde pienamente alle indicazioni più volte espresse dai governi di allora, consapevoli che una vera unione politica, anche su settori relativamente ristretti, poteva ottenersi solo in prospettiva. Ecco il funzionamento delle istituzioni della CECA, le prime istituzioni europee. Si segnala che l’Assemblea era detta Parlamento, ed è l’embrione dell’attuale Parlamento della Unione europea.- L’Alta Autorità, organo insieme esecutivo e depositario in via esclusiva dell’iniziativa legislativa; composto di nove membri nominati dai governi di comune accordo. Una volta insediatasi l’Alta Autorità non risponde ai governi ma all’Assemblea. Primo presidente è nominato Monnet.- Il Consiglio dei ministri, vero organo politico, formato dai capi di Stato o di governo dei Paesi membri, o, a seconda dei temi in discussione, dai ministri economici. Si tratta di un organismo intergovernativo, che può decidere solo all’unanimità; in questo modo tutti i Paesi aderenti, anche quelli più piccoli, si sentono tutelati da eventuali prevaricazioni dei Paesi più forti.Così giustifica Monnet nelle sue Memorie questa scelta del principio di uguaglianza tra gli Stati: “La facoltà di opporre il veto era la sicurezza dei grandi [Francia e Germania] nei loro rapporti tra di loro e quella dei piccoli contro i grandi”. E nel presentare la proposta ad Adenauer in un incontro a Bonn nell’aprile 1951: “Lo spirito di discriminazione [delle grandi potenze nei confronti dei piccoli Stati] è colpevole delle più grandi disgrazie del mondo; la Comunità si sforza di farlo retrocedere”.Di questo Consiglio bene illustra il compito il suo primo presidente Adenauer nella riunione di apertura: “Il Consiglio speciale dei ministri deve salvaguardare gli interessi nazionali degli Stati membri, ma deve ben guardarsi dal trattare questo compito in modo prioritario. Il suo compito primario sarà piuttosto quello di favorire gli interessi della Comunità, senza i quali essa non può evolversi”.- L’Assemblea, vigila sull’Alta Autorità e può censurarne le decisioni con un voto a maggioranza qualificata.

c) 1957: i Trattati di Roma istitutivi della CEE e dell’EURATOMCome detto il Trattato della CECA fu un successo economico, per questo passarono solo 6 anni e si arrivò alla decisione di allargare la cooperazione economica al di là dei soli carbone e acciaio. Per Trattati di Roma si intendono due trattati firmati a Roma il 25 marzo 1957: il trattato che istituisce la Comunità economica europea e il trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica. Insieme al trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, firmato a Parigi il 18 aprile del 1951, rappresentano il momento costitutivo delle Comunità europee.Il Trattato della Comunità Economica Europea (CEE) stabilì uno spazio economico comune con la progressiva riduzione dei dazi doganali interni, la libera circolazione delle merci, l’adozione di una tariffa comune verso l’estero, la politica agricola comune, i fondi per lo sviluppo delle zone più

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arretrate...); il trattato della Comunità Europea per l’Energia Atomica (Euratom) stabilì invece la cooperazione nel settore dell’energia all’epoca più promettente, quella dall’atomo.

I TRATTATI DI ROMA (testo di G. Testolin integrato)Quelli di Roma sono considerati a buona ragione i trattati fondativi della Comunità Europea: infatti a partire da essi inizia un percorso di cinquant’anni, che condurrà i Paesi aderenti ad una sempre maggiore integrazione economica coinvolgendo nuovi settori, come auspicato fin dal Trattato di Parigi. Ma nei cinquant’anni che sfociano nel Trattato di Lisbona 2007 si assisterà anche all’avvio della collaborazione politica ed in settori non strettamente economici, quali le politiche sociali, la giustizia, l’ambiente.Dunque i Trattati di Roma costituiscono già un significativo ampliamento della collaborazione economica. Essi infatti sviluppano l’integrazione lungo due nuove direttrici:- Comunità Europea per l’Energia Atomica, Euratom per la messa in comune delle ricerche per lo sfruttamento a scopo pacifico dell’energia nucleare. Esso mira alla condivisione delle conoscenze, delle infrastrutture e del finanziamento dell'energia nucleare. Questo trattato non ha mai subito modifiche ed è attualmente in vigore (il progetto ITER di costruzione del più grande tokamak del mondo, in corso in Francia, per la fusione nucleare controllata a partire dal plasma, ne è parte).- Comunità Economica Europea, CEE con due obiettivi:1° obiettivo: arrivare in 12 anni all’unione doganale dei Paesi membri, realizzando un mercato comuneeuropeo (MEC) in cui le merci circolino liberamente. Questo doveva realizzarsi mediante:- la progressiva riduzione dei dazi doganali interni- l'istituzione di una tariffa doganale esterna comune- la libera circolazione delle merci2° obiettivo: realizzare sul lungo periodo politiche omogenee nei settori agricolo, industriale e socialeattraverso:- politica agricola e dei trasporti comune- fondi per lo sviluppo delle zone più arretrate (istituzione del Fondo Sociale Europeo)- l'istituzione della Banca europea degli investimenti.

I Trattati Roma determinarono anche cambiamenti nelle prime istituzioni europee: l’Assemblea della CECA divenne l’Assemblea Parlamentare Europea, allargata a 142 membri, con sede a Strasburgo composta da deputati non elettivi, ma scelti tra parlamenti dei paesi membri. Nel 1962 l’Assemblea mutò nome in Parlamento Europeo. Parallelamente si ebbe l’evoluzione anche della Commissione europea. Il nucleo originario da cui deriva l'attuale Commissione europea fu l'Alta autorità della CECA. I Trattati di Roma affiancarono alla CECA la Comunità Economica Europea e la Comunità europea dell'energia atomica, entrambe dotate di una propria "Commissione". Primo Presidente della Commissione CEE fu il tedesco Walter Hallstein, mentre il primo Presidente della Commissione Euratom fu il francese Louis Armand. La prima riunione della Commissione della CEE si svolse il 16 gennaio 1958. I tre esecutivi europei (Alta autorità della CECA, Commissione della CEE, Commissione dell'Euratom) coesistettero fino al 1º luglio 1967, quando il Trattato di fusione portò a combinarli in un unico organismo, la Commissione delle Comunità europee, presieduta dal belga Jean Rey. La Commissione Rey portò a compimento l'unione doganale nel 1968 e si impegnò per l'elezione diretta del Parlamento europeo.

9) LA STASI DAL 1957 AL 1978

Questo era l’orizzonte di pace e cooperazione tra Stati che Adenauer e De Gasperi proposero per il futuro europeo. Erano convinti che operando insieme in campo economico la situazione sarebbe spontaneamente evoluta verso spazi federativi sempre più vasti. Il Trattato di Roma, frutto del successo del Trattato CECA, fu comunque il vero atto fondativo di un’Europa economica sovranazionale, creò infatti una Comunità Economica Europea, con un mercato comune delle merci (MEC), una politica agricola comune e condivisa, interventi economici per lo sviluppo delle aree più arretrate.L’Europa politica restava solo una prospettiva, più immaginata che reale. Fino alla fine degli anni ’70 l’Europa dei Trattati non previde vere istituzioni politiche comuni: le decisioni politiche comuni venivano prese con metodo “intergovernativo”, cioè con “vertici europei”, riunioni informali dei capi di Stato o di Governo senza cadenza prestabilita, non previste nei Trattati. Nel 1961 si decise che tali

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riunioni senza cadenza prestabilita dovevano avere carattere di conferenza internazionale e furono chiamate “Consigli Europei”. Il loro scopo era dare impulso alla cooperazione politica al di fuori delle formalità e lungaggini delle procedure previste nei Trattati. Nel 1974 si decise che i Consigli dovevano avvenire con cadenza regolare. Il “Consiglio europeo” come organismo istituzionale vero e proprio compare per la prima volta solo con l’Atto Unico, nel 1986, Art. 2. Diventa organo vero e proprio dell’Unione, con precise mansioni, solo con il Trattato di Maastricht (nel 1992).Questa faticosa e lunga gestazione di uno egli organi di codecisione legislativa della attuale Unione Europea (l’altro è il Parlamento che diventa elettivo solo nel 1979) è significativa: corrono 35 anni dal Trattato di Roma al Trattato di Maastricht. Sono trentacinque anni che presentano due fasi: la prima è di stasi, dal 1957 al 1979, in cui non cambia nulla nella natura della Comunità Europea, essa è solamente un sistema di trattati internazionali, non ha nulla di politico. Non vi è nessun potere federato tra gli Stati, nessuna rinuncia di sovranità a favore di un potere “statuale” e sovrano più ampio. L’Europa è solo “intergovernativa”. La prima frattura in questa stasi avvenne con la decisione di rendere elettivo e a suffragio universale il Parlamento europeo, nel 1978. Le prime elezioni si ebbero effettivamente nel 1979. Una seconda fase si apre invece con la crisi economica ed occupazionale degli anni settanta (stagflazione) e trovò impulso nel nuovo Parlamento eletto: essa va dal 1979 al 1992, anno in cui i progetti di una Europa politica elaborati negli anni ’80 ispirati al modello del “federalismo europeo”, presero forma, almeno in parte, con il nuovo Trattato di Maastricht.

10) LA CRISI ECONOMICA DEGLI ANNI ’70 (STAGFLAZIONE) E LE PRIME RISPOSTE: PARLAMENTO EUROPEO ELETTIVO E SME (SISTEMA MONETARIO EUROPEO)

Il 1971 segnò l’inizio di nuovi ragionamenti sull’Europa politica e monetaria: in quell’anno si ruppe l’equilibrio monetario di Bretton Woods e cominciò il decennio della stagflazione. Gli anni ’70 furono senza crescita, con alta inflazione: arrivò in Italia al picco del 25% nel 1975, e rimase sopra il tasso annuo del 20% per sei anni consecutivi, dal ’75 all’81. All’inflazione fuori controllo si affiancava per la prima volta anche la stagnazione del PIL, se non la recessione. Crebbe parallelamente all’inflazione anche la disoccupazione: in Italia, dal 6% del 1975 al 12% del 1987. Cresceva la concorrenza industriale delle temibili tigri asiatiche, soprattutto nell’industria strategica ad alta tecnologia. Le industrie dell’automobile e dell’alta fedeltà coreana, giapponese, di Taiwan.I nuovi ragionamenti cominciarono con la trasformazione del Parlamento Europeo in istituzione democratica-elettiva e con la nascita dello SME*, Sistema Monetario Europeo, che rispondeva ai disordini monetari anticipando l’Euro. Poi arrivarono in sequenza: - Il “Progetto Spinelli”, adottato dal Parlamento stesso nel 1984- L’Atto Unico di Jacques Delors (1989) che accelerò il processo di innovazione immaginato da

Spinelli- Il Trattato di Maastricht, che concretizzò l’Unione (monetaria e politica) dell’Europa.

* Il sistema monetario europeo, detto anche SME, entrato in vigore il 13 marzo 1979 e sottoscritto dai paesi membri dell’allora Comunità Europea (ad eccezione della Gran Bretagna, entrata nel 1990), costituì un accordo per il mantenimento di una parità di cambio prefissata (stabilita dagli Accordi di cambio europei), che poteva oscillare entro una fluttuazione del ±2,25% (del ±6% per Italia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo), avendo a riferimento una unità di conto comune (l'ECU), determinata in rapporto al valore medio dei cambi del paniere delle divise dei paesi aderenti. Lo Sme fu preceduto dal "serpente monetario europeo", costituito nel 1972, che si sciolse due anni dopo con l'uscita di Francia e Italia.Nel caso di eccessiva rivalutazione o svalutazione di una moneta rispetto a quelle del paniere, il governo nazionale doveva adottare le necessarie politiche monetarie che ristabilissero l'equilibrio di cambio entro la banda. Cessò di esistere il 31 dicembre 1998, con la creazione dell’Unione economica e monetaria.Lo Sme, in seguito alle turbolenze che nel 1992 avevano colpito il meccanismo di cambi (e avevano portato all'uscita di Gran Bretagna e Italia), fu revisionato nel 1993 con l'allargamento degli Accordi europei di cambio, che portarono ad un innalzamento dei margini di oscillazione della valuta fino al ±15%, un maggiore coordinamento delle politiche monetarie, e l’ulteriore liberalizzazione dei movimenti di capitale. Fu inoltre costituito nel 1994 l’Istituto monetario europeo, con sede a Francoforte, antenato della Banca centrale europea.

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11) IL PROGETTO SPINELLI (1984)

IL MODELLO FEDERALISTA - Altiero Spinelli, con Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, confinato nell’isola di Ventotene, è autore nel 1941 del Manifesto di Ventotene, il primo progetto concreto di un’Europa federale. Secondo Spinelli vi svolge una critica del nazionalismo: “l'ideologia dell'indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso … portava però in sé i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali. […] La sovranità assoluta degli Stati nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri e considera suo "spazio vitale" territori sempre più vasti che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza senza dipendere da alcuno”.Secondo Spinelli e Rossi la storia doveva ora dirigersi verso il superamento della sovranità assoluta degli Stati: “il problema che in primo luogo va risolto […] è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani”.Proponeva gli “Stati Uniti d’Europa. Un largo Stato federale … il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche […], abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli Stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l'autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”.I tre autori del Manifesto crearono a questo scopo nel 1943, a Milano, il Movimento Federalista Europeo. Gli Stati nazionali nel dopoguerra si ricomposero e la proposta di Ventotene non ebbe seguito. Tuttavia Spinelli promosse la sua visione federalista come consulente di Spaak, Monnet e De Gasperi. Alla metà degli anni ’70 il quadro cominciò a cambiare, come già detto con la crisi occupazionale e la stagflazione. Il tema di una Europa politica cominciò ad emergere come possibile risposta alle difficoltà, e questa prima discussione portò alla decisione di rendere elettivo il Parlamento Europeo (1979): Spinelli nel frattempo era stato membro della Commissione Europea unificata dal 1970 al 1976, poi del Parlamento italiano (1976). Nel 1979 fu eletto nel primo Parlamento europeo eletto a suffragio universale nel 1979. E vi esercitò un ruolo propulsivo notevole attraverso il Il Club del coccodrillo. Il club fu un intergruppo di europarlamentari appartenenti a diversi gruppi politici per promuovere la riforma delle costituzioni comunitarie. La prima riunione si tenne il 9 luglio 1980 al ristorante Crocodile di Strasburgo e raccolse 9 parlamentari europei. L'intergruppo venne costituito ufficialmente il successivo settembre, quando già raccoglieva una sessantina di parlamentari, che nel luglio 1981 saliranno a 180. Il primo obiettivo dell'intergruppo fu la creazione di una commissione del Parlamento europeo incaricata di elaborare proposte per la riforma delle istituzioni comunitarie. A partire dal 1982 la commissione preparò i contenuti di un nuovo trattato per la realizzazione dell'Unione europea.

“PROGETTO SPINELLI” PER UN TRATTATO DI UNIONE EUROPEA (1984) - Nel settembre 1983 il Parlamento europeo approvò lo schema del nuovo trattato e il 14 febbraio 1984 il testo definitivo, denominato Progetto di Trattato che istituisce l'Unione europea (noto come Progetto Spinelli). Il testo non venne poi accolto dai governi degli Stati membri, e perciò dal Consiglio Europeo, e rimase allo stato di progetto, con il sostegno del Parlamento democraticamente eletto, ma fu comunque determinante per i successivi sviluppi dell'integrazione europea, molte delle proposte del Progetto Spinelli furono accolte nelle successive grandi innovazioni della costruzione Europea degli anni ’80 e ‘90: l'Atto unico europeo (1986)e il Trattato di Maastricht (1992). Il Progetto Spinelli può essere considerato l’avvio del processo di costituzionalizzazione dell'Unione europea, cioè di una vera Europa politica. Vediamone alcune profetiche proposte.Il progetto Spinelli configura un nuovo Trattato istitutivo dell' Unione europea. Altiero Spinelli voleva avviare un processo “costituzionale” dell'Unione, come stabilirà il Trattato di Maastricht.- L'articolo 1 del progetto Spinelli prevede la creazione: di un'Unione europea che vada al di là delle tre Comunità europee esistenti nel 1984; del sistema monetario europeo; della cooperazione politica. - L'articolo 3 del progetto Spinelli introduce la nozione di cittadinanza dell'Unione in parallelo alla cittadinanza nazionale, le due essendo intimamente connesse fra di loro. Questa concezione è stata poi ripresa dal Trattato di Maastricht.- L'articolo 4 introduce la nozione dei diritti fondamentali quali risultano dai principi comuni delle

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Costituzioni nazionali, nonché dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti umani economici e sociali, come farà più tardi la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea promulgata a Nizza nel 2000.- L'articolo 4, comma quarto, introduce, a garanzia del rispetto dei diritti fondamentali, il principio di sanzioni nei riguardi degli Stati che violassero i principi democratici o gli stessi diritti fondamentali.- Il progetto Spinelli introduce anche il concetto di Legge europea votata dai due rami dell'organo legislativo bicamerale (il Parlamento europeo ed il Consiglio). L'approvazione della legge europea avviene tramite una procedura di codecisione fra il Parlamento europeo ed il Consiglio come sarà previsto successivamente dal Trattato di Maastricht.- Prevede che la Commissione entri in funzione dopo aver ricevuto un voto di investitura da parte del Parlamento europeo. Anche questa disposizione è stata ripresa e nperfezionata nei Trattati successivi.- L'articolo 42 consacra la preminenza del diritto europeo su quello degli Stati membri. - L'articolo 73 prevedeva un sistema di perequazione finanziaria al fine di ridurre gli squilibri economici eccessivi fra le regioni dell'Unione una disposizione ispirata dal sistema federale tedesco per attenuare le differenze fra i Länder; non è stata recepita nelle modifiche successive dei Trattati.- L'articolo 82 prevedeva la possibilità di un'entrata in vigore del Trattato anche in assenza di una ratifica da parte di tutti gli Stati membri. Una maggioranza di Stati rappresentanti i due terzi della popolazione poteva decidere della sua entrata in vigore e dei rapporti con gli Stati che non avessero ratificato. Questa clausola mirava a modificare l'unanimità imposta oggi dall'articolo 48 dei Trattati in vigore.- L'articolo 71 prevedeva la possibilità di creare nuove entrate per l'Unione senza la necessità di modificare il Trattato. Inoltre, la Commissione poteva essere autorizzata per legge ad emettere prestiti.

Un calcolo approssimativo mostra che circa i due terzi delle disposizioni innovative del cosiddetto “Trattato Spinelli” sono state recepite nei Trattati effettivamente stipulati negli anni successivi.

12) L’ATTO UNICO EUROPEO (1986): LA PRIMA RIFORMA DELLA CEE

L'Atto Unico Europeo fu elaborato per riformare i Trattati CEE risalenti agli anni ’50, ormai inadeguati ad affrontare i nuovi problemi economici emersi con la rottura dei cambi fissi di Bretton Woods (1970): proseguivano da più di un decennio, senza che si trovassero soluzioni, l’aumento della disoccupazione, l’instabilità delle monete e la fine della crescita economica degli anni del boom (stagflazione). Questo preoccupava tutti i governi europei. Il mercato interno europeo era da troppo tempo al palo dopo le crisi economiche degli anni Settanta. I successi della CECA erano un ricordo lontano. Si doveva andare incontro alle nuove necessità con soluzioni nuove:- completando la costruzione del mercato unico;- avviando un primo embrione di Unione politica.Nel giugno 1983 il Consiglio europeo riunito a Stoccarda proclamava una Dichiarazione solenne sul futuro della Comunità europea. Su quelle basi l'anno successivo vennero convocati dei Comitati di esperti. In particolare il Comitato Dooge composto da rappresentanti personali dei capi di Stato e di governo, formulò suggerimenti al fine di potenziare il funzionamento della cooperazione comunitaria.

IL RAPPORTO DOOGE elencava tutti i grandi obiettivi della futura Unione europea, dalla creazione di una "comunità tecnologica" basata sulla formazione e la ricerca, al potenziamento dello SME (Sistema Monetario Europeo), attraverso un coordinamento delle politiche economiche, di bilancio e monetarie. Veniva proposta inoltre la creazione di uno spazio giuridico comune per la lotta contro il crimine e la tutela delle libertà fondamentali. La maggioranza del Comitato Dooge propose inoltre la riduzione del voto a unanimità a poche materie, e la maggioranza qualificata o semplice – come standard. Il rapporto si concludeva con la proposta di convocare una Conferenza dei rappresentanti degli Stati membri al fine di elaborare un Atto unico europeo. Cosa che venne fatta.L’obiettivo del completamento del mercato interno venne raggiunto con l’approvazione di questo Atto Unico Europeo, che configurava anche una “riforma della CEE”, cioè dei modi di decidere insieme, superando in molte materie il principio del potere di veto di un solo Stato membro. Incrementò quindi la capacità di decisione politica delle istituzioni europee. L’Atto Unico Europeo apportava importanti modifiche ai trattati CEE riguardo agli strumenti da utilizzare per la realizzazione del mercato unico interno; l’Atto Unico:- modificava l'art. 100 CEE eliminando la decisione all’unanimità in diversi settori-chiave riguardanti

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la rimozione delle barriere alla circolazione delle merci sostituendola con quella a maggioranza qualificata. Le decisioni da prendere a maggioranza salivano da 2/3 a ¾,- istituzionalizzava nuove politiche comunitarie quali la politica regionale, ambientale e la politica di ricerca. Quest’ultima tesa a generare un primato tecnologico europeo nei settori industrialmente più promettenti;- istituiva un Fondo europeo di sviluppo regionale come strumento fondamentale per la coesione economica e sociale, nuovo obiettivo introdotto dall'Atto. Esso definiva sostegni allo sviluppo delle cosiddette “aree depresse”. Nel Veneto venne riconosciuta come tale l’area agricola del basso vicentino, veronese e padovano, che con questi fondi poté avviare importanti iniziative agro industriale e finanziare infrastrutture;- riconosceva le procedure di cooperazione monetaria istituite con lo SME. Che prepararono la strada alla successiva istituzione della BCE;- apportava modifiche anche a livello di istituzioni e cooperazione politica : conferiva al Parlamento il potere di "parere conforme" per gli accordi di adesione, associazione e cooperazione con Paesi terzi; il Parlamento otteneva il nuovo potere della "procedura di cooperazione" con il Consiglio (che anticipa in parte l’attuale “procedura ordinaria di codecisione”): essa prevedeva un sistema di doppia lettura delle proposte legislative avanzate dalla Commissione da parte di Parlamento e Consiglio. Al termine della seconda lettura, il Consiglio nel caso in cui non avesse voluto accogliere gli emendamenti del Parlamento avrebbe dovuto adottare la proposte con voto unanime;- la procedura di "cooperazione" veniva riconosciuta anche sul piano della politica estera,- veniva definita anche una prima politica di sicurezza comune.

13) IL TRATTATO DI MAASTRICHT (“TRATTATO SULL’UNIONE EUROPEA” - TUE): “TRE PILASTRI” SU CUI COSTRUIRE UNA UNIONE EUROPEA

Fino al 1992, eccettuato l’Atto Unico, non vi furono reali progressi né nel processo di integrazione, né nella direzione dell’unione politica. Ci furono però due allargamenti: si passò dall’Europa dei sei all’Europa dei nove (1971: ingresso di Danimarca, Regno Unito, Irlanda). Poi si passò all’Europa dei dodici (1981: la Grecia, 1986: la Spagna e il Portogallo). La caduta del muro di Berlino nel 1989, e il crescente timore per la concorrenza dell’industria asiatica (“tigri asiatiche”: Corea, Taiwan, Giappone) furono i nuovi fattori propulsivi.Il Trattato di Maastricht, o Trattato sull'Unione Europea, fu firmato il 7 febbraio 1992 a Maastricht, in Olanda, dai dodici paesi membri di allora della Comunità Europea (Europa dei 12). Entrò in vigore il 1º novembre 1993. Il Trattato si pose sulla scia delle innovazioni teorizzate e realizzate negli anni ’80 (Progetto Spinelli e Atto Unico) e venne alla luce sotto la spinta dei nuovi grandi eventi storici che segnarono la fine della guerra fredda e cambiarono la prospettiva politica del continente europeo:

- la caduta del Muro di Berlino (1989), - la ritrovata libertà e sovranità politica delle repubbliche satelliti della URSS (1989: Polonia,

Cecoslovacchia, Ungheria e Romania; 1990: Lettonia Lituania ed Estonia), - la riunificazione nel 1990 della RFT (Germania federale) e della DDR (Germania Democratica),

o “riunificazione tedesca”, - il crollo della Urss (1991),- la nascita nel 1991 della attuale Federazione Russa.

Il Trattato di Maastricht (Trattato sull'Unione europea: TUE) ha trasformato la Comunità Europea in Unione Europea. E’ stato un passaggio fondamentale, un salto di qualità nella costruzione dell’integrazione europea, o meglio, nel passaggio dall’integrazione (funzionalismo) alla unione (federalismo) perché ha reso possibile la definizione e lo sviluppo di veri poteri “statuali” sovrani europei. Con Maastricht si comincia a superare la logica tradizionale dei trattati, a favore di poteri politici di dimensione europea. Il Trattato concluse il decennio della riflessione sulla crisi economica della stagflazione e sulla sua soluzione, e aprì il quindicennio della costruzione e dell’allargamento di un’Europa politica, che porterà all’Euro, alla BCE, al tentativo fallito di dotare l’Unione di una propria Costituzione (prevista dal Trattato), alla cittadinanza europea con la Carta dei diritti della Unione europea, e al grande

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allargamento fino all’Europa dei 27.Il Trattato di Maastricht ha piantato i tre pilastri (le fondamenta: moneta unica, politica europea di sicurezza, cittadinanza europea) di un’Europa che si lasciava alle spalle la fase funzionalista e dei Trattati tra Stati sovrani, e cominciava a costruire una vera e propria “Unione Europea”, una unione davvero politica, almeno sotto alcuni fondamentali aspetti. Si avviava così una nuova fase più vicina alle aspettative del metodo federalista di Spinelli e al suo Progetto.L’Europa cominciò a orientarsi verso autentici poteri statuali, anche se non in ogni campo. Ecco i tre pilastri su cui fondare il nuovo edificio politico da costruire:

1) la moneta unica (Euro*) e la creazione di una Banca Centrale Europea unica e sovrana sulle politiche monetarie e di cambio (primo pilastro); tutto ciò veniva legato strettamente a vincoli che dovevano condurre progressivamente alla convergenza delle economie, e doveva realizzare le condizioni di base per poter finalmente realizzare una vera politica economica ed industriale europea, capace di portare l’Europa verso una lunga stagione di sviluppo. I vincoli erano definiti nei tre parametri di convergenza che dovevano essere rispettati da ogni Stato: parametro dell’inflazione massima al 2,5%, del rapporto debito/Pil massimo all’60 % e del rapporto deficit statale/Pil entro un massimo del 3%. Nacque su questa base nel 2000 anche l’Agenda di Lisbona**.

* LA NASCITA DELL’EURO - Inizialmente l’Euro fu solo una moneta virtuale, con una vita parallela, solo contabile, a quelle nazionali: esisteva solo nei conti correnti bancari con una doppia denominazione di crediti e debiti in lire ed euro, obbligatoria. Conclusa con successo questa prima fase sperimentale, e poiché i cambi tra le monete nazionali si erano del tutto stabilizzati e allineati al valore dell’Euro, la nuova moneta unica cominciò effettivamente a circolare sostituendo le monete nazionali dal primo gennaio 2002 nei 12 paesi che lo avevano adottato. Oggi i paesi che hanno adottato l’Euro sono 19 sui 27 dell’Unione e costituiscono la cosiddetta “area euro” coordinata nel cosiddetto “Eurogruppo” formato dai ministri delle finanze dei 19.

** L’AGENDA DI LISBONA (2000). Il rapido avvicinamento della convergenza delle economie europee dopo la firma del Trattato di Maastricht, si realizzò anche per le economie più fragili e sbilanciate sul debito pubblico, come quella italiana, grazie ai notevoli sforzi fiscali e di bilancio dei governi dagli anni 1996 al 2001 (governi Prodi, D’Alema), e rese possibile il debutto dell’euro sui mercati come moneta virtuale nel 1999 e come moneta reale nel 2002. L’illusione che si stesse realizzando una definitiva e stabile convergenza delle economie portò nel Consiglio Europeo del 2000 ad approvare la cosiddetta “Agenda di Lisbona”, che fissava una serie di obiettivi economici ed industriali che dovevano “fare dell’Europa la più competitiva e dinamica economia della conoscenza entro il 2010”. L’illusione si dimostrò tale qualche anno dopo la nascita dell’Euro (anni 2003-2006), quando il parametro di Maastricht sul limite del deficit al 3% non fu rispettato da Germania, e Francia, mentre l’Italia (governo Berlusconi) non ritenne di chiedere la procedura di infrazione, poiché non era ottemperante sul parametro del rapporto debito/pil. Il debito aveva infatti ricominciato a crescere a causa dei tagli delle tasse del governo neoliberista, dopo otto anni in cui con molta fatica era diminuito: dal 124% al 107% sul pil. Per valutare la situazione occorre tener presente la particolare situazione del debito italiano: esso era il doppio rispetto al parametro di Maastricht già nel 1992, fu accettata una deroga al parametro purché le politiche di bilancio italiane ne determinassero una costante diminuzione. Si determinarono così a causa degli egoismi economico-finanziari di Germania, Francia e Italia, nuove divergenze tra le economie europee. Furono poste tra il 2003 e il 2006 le condizioni dell’instabilità finanziaria degli anni successivi, quando si scatenò la crisi finanziaria nata negli USA (2007), e l’unione monetaria fu percepita come incapace di reggere dai mercati finanziari, a causa soprattutto dei dissesti di cinque paesi detti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). Si evidenziava tutta la precarietà della costruzione degli anni ’90.

2) la cittadinanza e la costituzione europea, con la definizione dei diritti del cittadino europeo (secondo pilastro) e la prevalenza della normativa europea su quella nazionale (vedi qui sotto la scheda tratta da Wikipedia).

3) la politica di sicurezza comune - PESC (terzo pilastro)(vedi qui sotto la scheda tratta da Wikipedia).

Il disegno di Maastricht ha posto dunque i “tre pilastri” su cui si è edificato successivamente, in alcuni casi positivamente (moneta unica e BCE), in altri meno. E’ quest’ultimo soprattutto il caso del fallimento della Costituzione nel 2005 con la bocciatura nei referendum di ratifica in Olanda e Francia, ma è anche il caso della politica europea di “sicurezza comune” (PESC) che ha dimostrato tutta la sua aleatorietà nell’emergenza degli sbarchi dei profughi dall’Africa nel 2014-2015.

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Si è comunque determinato, a partire da Maastricht, l’attuale assetto: molto sviluppato sul pilastro monetario-finanziario, sotto la spinta brutale dell’emergenza “grande crisi” finanziaria, recessiva e deflattiva iniziata nel 2007, importata dagli USA e conclusasi nel 2015 (torna utile al proposito riflettere sul giudizio di Lucien Fevbre: “L’Europa è un rimedio disperato”); sviluppato a metà sotto l’aspetto della cittadinanza e costituzionalizzazione: il fallimento della Costituzione è stato attenuato con il nuovo Trattato di Lisbona, che l’ha fatta salva in alcune parti; per nulla sviluppato sul terzo pilastro della sicurezza comune, che dovrebbe significare anche polizia ed esercito comune. Insomma, dopo vent’anni i tre pilastri sono cresciuti in modo asimmetrico e sbilanciato.

(Il seguente testo è tratto da Wikipedia) Negli Anni Ottanta si cominciò a proporre la realizzazione di un'unione politica dell'Europa, che s'integrasse con la CEE e che avrebbe avuto come nome quello di Unione Europea. La Dichiarazione solenne sull'Unione europea adottata dal Consiglio europeo di Stoccarda nel giugno 1983 stabilì di andare in questa direzione. Solo la riunificazione della Germania - resa possibile dalla caduta del Muro di Berlino e dal cancelliere Helmut Kohl - permise di rilanciare e attuare quel disegno. Nei fatti, il presidente francese François Mitterrand temeva la ricostruzione di una Germania forte e militarizzata e fu tra i promotori di un'accelerazione dell'integrazione europea che legasse ineluttabilmente il governo tedesco in un'Europa integrata.In due Consigli europei tenutisi a Dublino (1990, 1991) si rilanciò formalmente l'impegno e si decise a maggioranza di convocare una nuova Conferenza intergovernativa a questo scopo (CIG). Conclusi i lavori preparatori della Conferenza intergovernativa, a Maastricht si apriva il 9 dicembre 1991 lo storico Consiglio europeo che avrebbe dato vita al nuovo Trattato.Nella prima giornata fu deciso che entro il 1º gennaio 1999 si sarebbe avuta l'introduzione della moneta unica. L'opposizione britannica venne superata con la clausola di opting-out attraverso la quale la Gran Bretagna avrebbe potuto rimanere nella futura Unione europea pur senza accogliere le innovazioni che il suo governo avesse rifiutato. Nasceva così per la prima volta l'idea di un'Europa a due velocità. Sul piano della PESC (politica estera e di sicurezza comune), veniva accolta la volontà futura di costituire una difesa comune e si stabiliva che sulle decisioni di politica estera generale sarebbe rimasta l'unanimità, salvo adottare la maggioranza per le “decisioni di applicazione”.Chiusi i negoziati, il 7 febbraio 1992 veniva firmato il Trattato sull'Unione europea che da allora sarebbe stato noto come Trattato di Maastricht. Esso comprendeva 252 articoli nuovi, 17 protocolli e 31 dichiarazioni. L'Unione disponeva ora di un quadro istituzionale unico in quanto le sue istituzioni sovraintendono a tutti e tre i pilastri: la Commissione Europea, il Consiglio Europeo, il Parlamento Europeo. L'Unione europea restava tuttavia una struttura anomala in quanto priva di personalità giuridica e di risorse proprie.

Nascita dell'unione monetaria e parametri di convergenza (primo pilastro)Dopo la creazione dell'Istituto monetario europeo (IME), entro il 1º gennaio 1999 sarebbe nata da esso la Banca centrale europea (BCE) e il Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) che avrebbe coordinato la politica monetaria unica. Venivano distinte due ulteriori tappe: nella prima le monete nazionali sarebbero continuate a circolare pur se legate irrevocabilmente a tassi fissi con il futuro Euro; nella seconda le monete nazionali sarebbero state sostituite dalla moneta unica (Euro). Per passare alla fase finale dell’adozione dell’Euro, ciascun Paese avrebbe dovuto rispettare cinque parametri di convergenza:

- Rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%.- Rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60% (Belgio e Italia furono esentati).- Tasso d'inflazione non superiore dell'1,5% rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi.- Tasso d'interesse a lungo termine non superiore al 2% del tasso medio degli stessi tre Paesi.- Permanenza negli ultimi 2 anni nello SME senza fluttuazioni della moneta nazionale.

PESC e cooperazione negli affari interni e giudiziari (secondo pilastro)Nel campo della politica estera, i risultati furono inferiori alle aspettative. Le decisioni all'unanimità permanevano. L'art. 11 afferma gli obiettivi della PESC: sviluppo della democrazia e dei diritti dell'uomo attraverso un ampliamento dello spazio in cui ciò avviene.In campo giudiziario e di affari interni venivano realizzate importanti innovazioni:- nuova procedura riguardo all'accesso di cittadini di Stati terzi nell'Unione e maggiore cooperazione

doganale verso l'esterno,- creazione dell'Europol (Ufficio europeo di polizia)- rafforzamento della lotta contro terrorismo, traffico di droga, grande criminalità.

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Introduzione della cittadinanza europea e della Costituzione Europea (terzo pilastro)Insieme all'Unione economica e monetaria dell'Unione europea (UEM), l'innovazione più importante di Maastricht fu l'introduzione della Cittadinanza dell'Unione europea: è cittadino dell'Unione chiunque possieda la cittadinanza di uno Stato membro. Veniva rafforzato il diritto di stabilimento, circolazione e soggiorno nel territorio dell'Unione e riconosciute diverse novità:- diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni municipali del comune di residenza e a quelle del Parlamento europeo dello Stato di residenza,- diritto alla protezione consolare attraverso cui un cittadino europeo può chiedere assistenza all'estero alle autorità diplomatiche di un qualsiasi Paese dell'UE in assenza di istituzioni di rappresentanza del proprio.- diritto di presentare una petizione al Parlamento europeo,- istituzione di un mediatore comunitario incaricato di tutelare persone fisiche e giuridiche in caso di cattiva amministrazione delle istituzioni comunitarie.Il terzo pilastro stabiliva infine che si sarebbe scritta una Costituzione europea, un passo decisivo nella direzione dell’Europa Politica: si doveva trasformare l’Unione in un vera e propria realtà di natura federale, sovrana su alcuni decisivi aspetti e capace di decisioni, anche in politica estera, con voto a maggioranza.

Rafforzamento del Parlamento (bicameralismo con la procedura di codecisione)Il Trattato garantiva inoltre un aumento dei poteri del Parlamento europeo, attraverso l'aggiunta della procedura di codecisione; il Parlamento otteneva il potere di approvare gli atti legislativi comunitari insieme al Consiglio: il potere legislativo diventava bicamerale, mentre il potere di iniziativa legislativa rimaneva il capo alla Commissione europea. Il Parlamento otteneva anche il potere di investitura della Commissione dovendo votare la fiducia di ogni nuovo Presidente della Commissione e di ogni commissario. Nasceva quello che oggi è il “triangolo istituzionale europeo”: Commissione (iniziativa legislativa), Parlamento e Consiglio (approvano entrambi le leggi e le direttive: “codecisione”).

Nuove competenze comunitarie e principio di sussidiarietàDiverse competenze comunitarie venivano ampliate, come la politica di coesione economica e sociale che si arricchiva di un fondo ad hoc per finanziare progetti di sviluppo economico nelle regioni più arretrate. Nei campi della legislazione sociale, della ricerca, dello sviluppo e dell’ambiente veniva adottata la regola della maggioranza qualificata nel processo decisionale.Veniva riconosciuta come politica comunitaria anche la protezione dei consumatori e lo sviluppo dellereti transeuropee (trasporti, comunicazioni, energia). I tre ultimi settori avranno notevole sviluppo dopo il duemila, con la progettazione e realizzazione dei “corridoi europei” (TAV), e la direttiva sugli obiettivi a medio termine nello sviluppo delle energia rinnovabili e sulla riduzione dei consumi energetici (direttiva 20-20-20).

14) IL TRATTATO DI LISBONA (2009): I NUOVI RAPPORTI DI FORZA NEL “TRIANGOLO ISTITUZIONALE” EUROPEO

Il Trattato di Maastricht prevedeva la creazione di una Costituzione dell’Unione Europea. Il testo di un Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa fu preparato da una apposita Convenzione Europea in diciassette mesi tra il 2002 e il 2003. Il 29 ottobre 2004 a Roma il trattato veniva solennemente firmato da 25 capi di Stato e di Governo, nella stessa sala dove era stato firmato nel 1957 il Trattato di Roma (CEE). Ora la Costituzione doveva essere ratificata anche dai 25 parlamenti o direttamente dai popoli (tramite referendum). La procedura di ratifica tramite referendum fu adottata da Spagna, Lussemburgo, Francia e Olanda. I referendum in Olanda e Francia si tennero nel 2005, con un risultato negativo. Furono così resi inutili i voti positivi degli altri Stati. Il processo costituzionale si arenò e fu abbandonato.Negli anni successivi con l’avvicinarsi delle nubi della crisi finanziaria, divenne sempre più chiaro che occorreva incrementare la forza politica dell’Unione e si scelse di trasformare parti della Costituzione fallita in un nuovo Trattato. Il nuovo “Trattato di Lisbona” fu firmato nel dicembre 2007 ed entrò in vigore, dopo la ratifica dei 27 Stati, nel dicembre 2009.Esso modifica il Trattato di Maastricht (Trattato sull’Unione Europea - TUE), meno ambizioso della Costituzione, esso tuttavia introduce importanti novità per quanto riguarda il cosiddetto “triangolo legislativo” o “triangolo istituzionale europeo” (Parlamento + Commissione + Consiglio). Il

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“triangolo istituzionale*” è il titolare del potere legislativo (“processo decisionale”): con il Trattato di Lisbona i rapporti di forza tra le tre istituzioni di Bruxelles vengono fortemente modificati in un modo che incrementa il peso del Parlamento sugli altri due vertici del triangolo (Commissione e Consiglio). Questo accade in vari modi:

1. la procedura di “codecisione” diventa “ordinaria” e si estende praticamente a tutte le materie finora riservate al Consiglio (rappresentativo degli Stati europei): una normativa è approvata quando ha il consenso sia del Parlamento (rappresentativo del popolo europeo) che del Consiglio. Abbiamo così in sostanza un potere legislativo bicamerale;

2. il Parlamento può votare “risoluzioni di iniziativa”, ovvero chiedere alla Commissione di avviare un iter legislativo (il potere di “iniziativa legislativa”, ovvero di proporre un legge, rimane in capo alla Commissione);

3. il presidente della Commissione sarà il leader del gruppo politico vincitore delle elezioni parlamentari (com’è avvenuto con le elezioni 2014), infatti il Trattato stabilisce che egli va scelto “tenendo conto del risultato elettorale”. Poiché il presidente della Commissione (e con lui tutti i commissari) deve avere la fiducia del Parlamento, ecco che il Parlamento ottiene un vistoso primato politico sulla Commissione: il Commissario deve tener conto delle risoluzioni di iniziativa (punto 2) del Parlamento perché la maggioranza parlamentare è la “sua” maggioranza politica;

4. è praticamente azzerato il potere di veto di un singolo Stato nel Consiglio: la procedura “ordinaria” prevede il voto a maggioranza (degli Stati e degli abitanti rappresentati); perciò il Consiglio non può bloccare l’itinerario di una legge invisa a qualche singolo Stato. Ciò rende la volontà politica del Consiglio molto più omogenea a quella del Parlamento (il potere di veto rimane solo sulle questioni fiscali e di politica estera e difesa).

* IL “TRIANGOLO ISTITUZIONALE EUROPEO” NEL TRATTATO DI LISBONA(fonte: 1) Camera dei deputati, Le novità del Trattato di Lisbona, 2009; 2) Sito ufficiale del Consiglio UE, 2015)- Parlamento europeo. Il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio (“codecisione”), la funzione legislativa e la funzione di bilancio. La rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente proporzionale con una soglia minima di 6 seggi per Stato membro ed una soglia massima di 96 seggi. I seggi in totale sono 751. Controlla politicamente gli altri organismi (potere di controllo democratico); approva in blocco la nomina della Commissione, ne elegge il Presidente, può censurarne l’operato; - Consiglio dell’Unione Europea (Consiglio UE). È l'istituzione in seno alla quale i ministri di tutti i paesi dell'UE si riuniscono per adottare le normative e coordinare le politiche. L'adozione delle decisioni avviene a maggioranza qualificata: 55% dei paesi (almeno 15 degli attuali 28), almeno il 65% della popolazione totale dell'UE. Per bloccare una decisione, servono almeno 4 paesi (in rappresentanza di almeno il 35% della popolazione totale dell'UE). Eccezione: materie delicate come la politica estera o la fiscalità richiedono l'unanimità (tutti i paesi a favore). Ha i seguenti poteri:• Approva la legislazione dell'UE (in “codecisione” con il Parlamento)• Coordina le politiche economiche generali dei paesi membri• Firma accordi tra l'UE e gli altri paesi• Approva il bilancio annuale dell'UE (in “codecisione” con il Parlamento Europeo)• Elabora la politica estera e di difesa dell'UE• Coordina la cooperazione fra i tribunali e le forze di polizia nazionali dei paesi membri. - Commissione europea. Il Presidente della Commissione europea è eletto dal Parlamento Europeo, a maggioranza dei membri che lo compongono, sulla base di una candidatura proposta dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata, tenendo conto del risultato delle elezioni del Parlamento, e previe consultazioni appropriate. Il Presidente, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e gli altri membri della Commissione sono soggetti, collettivamente, a voto di approvazione del Parlamento europeo. In seguito a tale approvazione la Commissione è nominata dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata.

Il Trattato di Lisbona prevede inoltre:- l’attribuzione della personalità giuridica unica all'Unione europea che assorbirà, sostituendola, la Comunità europea. Ciò comporterà l’attribuzione all’Unione della soggettività giuridica internazionale, con la competenza di stipulare accordi con gli Stati terzi e le organizzazioni internazionali.- La nuova figura dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza nominato dal Consiglio europeo, a maggioranza qualificata. L’Alto Rappresentante guida la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione, in qualità di mandatario del Consiglio, presiede il Consiglio “Affari esteri” ed è uno dei

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Vicepresidenti della Commissione (cosiddetto “doppio cappello”). L’Alto rappresentante, in quanto membro della Commissione europea è soggetto al voto di approvazione del Parlamento europeo sull’intero collegio.- Il Trattato introduce la gerarchia tra le norme mediante la distinzione tra atti di natura “legislativa”, atti delegati ed atti di esecuzione ed introduce il nuovo strumento dei regolamenti delegati.- Il Trattato prevede una generale estensione del ricorso alla procedura di codecisione (di Parlamento e Consiglio dei ministri, su proposta della Commissione) con voto a maggioranza qualificata, che diventa laprocedura legislativa ordinaria.

15) SINTESI E CONCLUSIONI

Possiamo adesso provare a trarre qualche conclusione a domande sulla natura attuale dell’Unione Europea e sulla sua evoluzione futura: vale ancora il quadro di partenza che dipingeva solamente uno spazio economico tra gli Stati sovrani tramite Trattati intergovernativi (Europa dei Trattati)? Oppure siamo arrivati ad una Europa con propri poteri sovrani di natura “statuale” (Europa Stato)? All’inizio di questo studio abbiamo definito questa Unione Europea come “un originale ibrido” tra un sistema di Trattati tra Stati sovrani e un “sistema politico” dotato di poteri sovranazionali: qual è attualmente la percentuale dei due ingredienti?Per rispondere a queste domande dobbiamo considerare gli ultimi vent’anni, da Maastricht a Lisbona e fino ad oggi. Credo che possiamo riconoscere in questa seconda fase della costruzione dell’Europa (la prima è quella che arriva fino alla crisi degli anni ‘70), tre momenti distinti.

- dal 1992 al 2003: è il periodo dell’euroentusiasmo: comincia da Maastricht e comprende soprattutto l’introduzione dell’Euro, ma anche la formulazione dei diritti di cittadinanza e del testo costituzionale poi fallito nella fase di ratifica: la Carta fondamentale dei diritti della Unione Europea nel 2000 e il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa nel 2003. Inoltre sono gli anni del grande allargamento a 27 dopo la fissazione delle regole di adesione, il cosiddetto Acquis Comunitario. Esso è l'insieme dei diritti, degli obblighi giuridici e degli obiettivi politici che accomunano e vincolano gli Stati membri dell'Unione europea e che devono essere accolti senza riserve dai paesi che vogliano entrare a farne parte: i paesi che aderiscono alla UE devono accettare l’Acquis, l’insieme del diritto acquisito della UE (in francese: acquìs significa appunto acquisito). Ciò comporta l’adesione a tutti i Trattati e alle decisioni già prese in sede comunitaria sul piano dei rapporti economici, degli obiettivi politici interni ed esterni, delle regole istituzionali e bilaterali, della tutela dei diritti, in particolare dei diritti umani, con il rispetto della la Carta fondamentale dei diritti della Unione Europea e il riconoscimento della sovranità della Corte di Giustizia europea in questi campi riguardo alla legislazione nazionale. Definito l’Acquis venne il momento del grande allargamento: con delibera del 13 dicembre 2002 il Consiglio dell'Unione europea approvò l'adesione di Cipro, Malta, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, Repubblica Ceca e Slovenia che firmarono il trattato d'adesione il 16 aprile 2003 ad Atene.

- Dal 2003 al 2010 abbiamo un‘eurofrenata: con il duplice fallimento della costituzionalizzazione dell’Unione Europea e delle tre convergenze stabilite dal Trattato di Maastricht, due dei tre pilastri. Le economie dell’area euro anziché convergere cominciano a disallinearsi; in particolare quella tedesca diventa sempre più forte, mentre quelle mediterranee sempre più deboli e instabili. Di questo “tradimento” della logica dell’Euro sono protagonisti Germania (A. Merkel), Francia (F. Sharkozy) e Italia (S. Berlusconi). I primi due allentano i vincoli del deficit per sostenere la crescita interna dell’economia del proprio paese, il terzo allenta il vincolo del debito per lo stesso motivo (abbassando le tasse). Per l’Italia negli anni successivi le conseguenze saranno catastrofiche, con il successivo declassamento del rating sulla sostenibilità del debito italiano da parte delle “agenzie” internazionali e l’esplosione del differenziale dei tassi di interesse sul debito rispetto alla Germania (spread). Questa fase annuncia la prossima tempesta sull’Euro, ed è così descritta da Romano Prodi, all’epoca presidente della Commissione Europea (dal 1999 al 2004): «Nel 2003, mentre ero il presidente della Commissione europea, la Francia e la Germania violarono i parametri di Maastricht. Il rigore da loro predicato agli altri non l’avevano messo in pratica fino in fondo. Nulla di terribile, per carità, ma quanto bastava per avviare le procedure da attivare in caso di infrazione. Parigi e Berlino si opposero così come si oppose Roma, in quel momento presidente di turno. Proponemmo di istituire almeno un’autorità di sorveglianza dei conti. Rifiutarono, perché – dissero – c’erano già molti organismi e si spendeva troppo. La Commissione voleva allora dare all’Eurostat, che già esisteva, il potere di vigilare sui bilanci valutandone l’attendibilità formale, dando cioè un giudizio sulla correttezza aritmetica dei conti e astenendosi da qualunque valutazione politica. Incassammo il terzo no» … «La Grecia ne ha fatte

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tante, ma fino a ieri le è stato permesso tutto perché Francia e Germania non volevano che si arrivasse a un’autorità sovrannazionale» … «Negli anni Novanta abbiamo creato i presupposti per due decisioni che adeguassero l’Europa alle nuove esigenze della storia. Parlo dell’euro, entrato in circolazione il primo gennaio 2002, un modo per permettere al Vecchio Continente di rimanere protagonista reagendo positivamente alle sfide della globalizzazione. E parlo dell’allargamento dell’Unione che il primo maggio 2004 passò da 15 a 25 Stati membri (oggi 28), riempiendo il vuoto creato dalla caduta del Muro» … «Kohl, Chirac e gli altri leader non erano incoscienti. Tutti sapevano che l’euro precedeva un’ulteriore cessione di sovranità e dunque un altro grande cambiamento, ma bisognava dar tempo al tempo. Il problema è che l’Europa ha repentinamente cambiato umore. La paura dell’altro, dell’idraulico polacco come del lavoratore maghrebino che ti ruba il lavoro perché costa meno, ha generato movimenti populistici, alfieri della chiusura delle frontiere. La Lega in Italia, Le Pen in Francia, Haider in Austria. Sono solo alcuni esempi» . (da Famiglia Cristiana, 10 luglio 2012)

- Dal 2010 al 2015 abbiamo la tempesta finanziaria e poi l’euro-ripresa. Nel 2007 scoppiò negli Stati Uniti la più grave crisi finanziaria dai tempi della grande depressione: come ha incrociato questa crisi la situazione creatasi con quella che abbiamo chiamato l’eurofrenata? A me sembra che abbia prodotto un incremento di due istituzioni europee di natura tipicamente “statuale”: la BCE e il Parlamento . Mentre arretra l’aspetto dell’Europa come Trattato internazionale, fino quasi a sparire. Se questo fosse vero allora avremmo avuto ancora una volta l’effetto di un’accelerazione della costruzione europea sospinta da una situazione d’emergenza (ricordo quanto sostenne L. Fevre: “L’Europa è un rimedio disperato”). Cominciamo con il ricordare le tappe di questa crisi iniziata in USA. Nel 2007 scoppia la bolla immobiliare dei cosiddetti mutui subprime (caratterizzati da bassa qualità del creditore); poi è la crisi finanziaria delle “banche d’affari” specializzate nelle cartolarizzazioni, cioè nell’emissione dei cosiddetti CDO (Collateral debt Obbligations), che sono titoli ad altissimo rischio per risparmiatori tenuti all’oscuro: sono infatti garantiti sui “mutui subprime”, cioè su crediti delle banche di restituzione molto incerta. Nel 2008 la crisi delle banche si estende anche all’Europa. Nel 2009 crollano la produzione industriale e il Pil (-26% e -6,7% rispettivamente in Italia) e poi l’occupazione (in Italia il tasso di disoccupazione raggiunge il 9,8%). Nel 2010 gli squilibri iniziati nel 2003 si aggravano sotto i colpi della crisi, fino a diventare incontrollabili. La Grecia non riesce a rifinanziare il debito perché i tassi di interesse sono esplosi, il FMI avverte che lo stesso sta per accadere per l’Italia. L’Unione Europea si trova nel 2010 dentro la “tempesta finanziaria perfetta” e comincia a reagire creando l’EFSF, un “fondo salvastati” da utilizzare per il salvataggio della Grecia. Nel 2011 il rischio di bancarotta del debito sovrano si estende a cinque membri della Unione (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna). I giornali riportano voci di simulazioni di exit strategy dall’Euro da parte dei paesi del nord Europa. L’Euro viene raccontato come una moneta in crisi e che sta per crollare. L’Unione Europea interviene in Italia con una lettera della BCE che contiene un elenco di riforme (in primis delle pensioni) da realizzare subito per riportare la stabilità finanziaria, mentre lo spread tocca il massimo: i titoli del debito italiano devono pagare + 5,57% in termini di tasso di interesse annuale rispetto a quelli tedeschi se si vogliono trovare sottoscrittori. L’Italia viene commissariata dalla UE che “impone” il Governo di Mario Monti al posto di quello di Silvio Berlusconi, affinché venga realizzato l’elenco degli interventi richiesto l’anno prima. In cambio la BCE finanzia le banche perché acquistino il debito italiano. Comincia così l’euroripresa: attraverso l’incremento dei poteri della BCE si raggiunge l’obiettivo della stabilità finanziaria (2012) e del superamento della crisi recessiva (2014 in Europa e 2015 in Italia). Nonostante le grandi resistenze dei banchieri tedeschi e del nord Europa la BCE rafforza i suoi poteri.

1. Nel 2101 crea e gestisce il MES (Meccanismo di stabilità europea). E’ l’evoluzione dell’ESFS (“fondo salvastati” creato nel 2010, che diventa adesso una dotazione permanente (non più d’emergenza) di 700 miliardi di Euro utilizzabili per salvare le finanze statali a rischio dei paesi membri ogni volta ve ne fosse la necessità, con prestiti subordinati al rispetto delle direttive di politica economica, soggette a verifica da parte dello stesso MES.

2. Nel 2014 ottiene dalla nuova Legge Bancaria la vigilanza su tutto il sistema bancario d’Europa, che viene anche sottoposto alla nuova regola secondo cui le perdite delle banche (derivanti da gestioni rischiose) sono garantite dal capitale privato e dagli azionisti, e non più dall’ombrello pubblico (come accaduto durante la crisi con i salvataggi delle banche private per evitare i rischi sistemici). A questo scopo le banche devono aumentare i capitali propri in funzione della capacità di superare “stress test”, cioè simulazioni di gravi crisi finanziarie future.

3. Nel 2015 la BCE avvia per la prima volta un’operazione di quantitative easig, sul modello dalla Federal Reserve Americana, giustificato con il ristabilimento del normale parametro inflattivo stabilito a Maastricht (2,5%) in una situazione di inflazione negativa in Europa (deflazione).

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La BCE dispone adesso di potenti “bazooka” contro le manovre monetarie e finanziarie della finanza internazionale, come ha detto con suggestiva immagine Mario Draghi. Della grande crisi, anche grazie ai nuovi poteri della BCE, oggi rimane quasi solo l’incertezza sulla Grecia di Tsipras, mentre i dati sullo Spread, sul cambio con il dollaro, sul PIL parlano di stabilizzazione e ripresa. Della fine dell’Euro non si parla più; l’euroscetticismo sembra adesso in ritirata dopo il successo delle ultime azioni monetarie e di quantitative easing della Bce.

Una prima conclusione può essere tratta per quanto riguarda l’evoluzione della BCE durante la crisi: essa si è trasformata da Istituto di vigilanza intergovernativo sulla stabilità dell’inflazione nell’area euro, in vera e propria Banca Sovrana. La BCE con questi nuovi poteri è diventata una Banca Nazionale: 1) garante di ultima istanza dei debiti sovrani dei paesi membri, tramite prestiti del MES in cambio del rispetto dei parametri di convergenza, verificati dalla cosiddetta Troika economica europea (BCE, FMI e Commissione). Questo significa che oggi Draghi è a capo di un potere “statuale” capace di imporre l’allineamento ai parametri di convergenza di Maastricht. Lo abbiamo misurato in Italia con il governo Monti nel 2012. Lo stanno ancora misurando in Grecia. Si è parlato al proposito di dittatura europea: io direi piuttosto che per la prima volta abbiamo visto gli Stati Uniti d’Europa sovrani rispetto agli Stati “federati” attorno alla BCE. Abbiamo con la BCE un potere “statuale” in senso pieno in campo monetario, finanziario e bancario; 2) capace di creare moneta per combattere una recessione con il sostegno alla domanda aggregata tramite operazioni di quatitative easing; 3) capace di gestire le politiche dei cambi (svalutando di fatto l’Euro sul Dollaro); 4) titolare della vigilanza bancaria su tutto il territorio europeo.

Una seconda conclusione può anche essere tratta sull’evoluzione del Parlamento Europeo verso una più forte forma di rappresentanza democratica. In effetti per il Parlamento è accaduto qualcosa di analogo all’evoluzione della BCE: il suo potere è cresciuto parallelamente allo svolgersi e risolversi della crisi.

1) Nelle elezioni europee del 2014 abbiamo assistito alla applicazione “forte” del principio contenuto nel Trattato di Lisbona secondo cui la scelta del Presidente della Commissione europea deve avvenire “tenendo conto dei risultati delle elezioni”. Questo principio, in sé generico è stato concretizzato in un modo che rafforzasse la rappresentatività democratica della Unione Europea in crisi di fiducia popolare: le candidature a Commissario sono state indicate dai gruppi politici agli elettori prima delle elezioni parlamentari: con la vittoria del PPE, il suo leader proclamato J.K. Juncker, è diventato il nuovo Commissario. Si è così concretizzata una elezione diretta e di natura politica del Presidente della Commissione (non più una scelta intergovernativa), sottoposta poi alla fiducia del Parlamento come tutti gli altri commissari. Nel caso il Consiglio avesse deciso per un altro Presidente della Commissione, si sarebbe trovato davanti all’opposizione del Parlamento.

2) In questo processo il ruolo del Consiglio si è fatto evanescente, di mera ratifica di decisioni prese dai Gruppi politici del Parlamento Europeo e dagli elettori. Di fatto Parlamento e Commissione ora sono due poteri che attingono ad uno stesso momento di legittimazione dell’elettorato;

3) La Commissione e il Commissario, essendo espressione più del Parlamento che del Consiglio, devono al Parlamento un ascolto particolare: come potrebbe il presidente della Commissione mettersi contro il Parlamento che lo ha indicato, legittimato e fiduciato?

4) Di conseguenza il nuovo potere del parlamento di votare “risoluzioni di iniziativa” rivolte alla Commissione, potere previsto dal Trattato di Lisbona, e diviene di fatto un potere di iniziativa legislativa: il Parlamento può suggerire alla Commissione su quale tema essa deve prendere l’iniziativa legislativa.

5) Il Trattato di Lisbona prevede infine che la codecisione tra Parlamento e Consiglio sia “procedura ordinaria”. In questo modo ogni provvedimento (con le poche eccezioni già esposte) è approvato da entrambi i rami legislativi: si configura un bicameralismo europeo, con il ramo Parlamentare che ha però più peso per i motivi esposti nei punti precedenti.

Il rapporto paritario nel ”Triangolo Istituzionale Europeo” (Commissione, Consiglio, Parlamento) si è perciò modificato a favore del Parlamento, mentre ha perso ruolo il Consiglio. Si può concludere con questo che il Parlamento è diventato, come la BCE, un Parlamento sovrano? Direi di no, ma qualche concreto passo in avanti in questa direzione si è fatto.

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Dunque io trarrei questa conclusione finale: la costruzione di una Unione Europea simile a degli Stati Uniti d’Europa ha avuto una accelerazione a partire dagli anni ’90, poi ha subìto una fase di stasi, e quindi ha avuto un altro scatto dopo il 2009-2010 con il Trattato di Lisbona e le risposte alla crisi finanziaria come il MES, il fiscal compact, la Legge Bancaria e i nuovi poteri della BCE. Il risultato è l’emergere di due poteri “statuali” europei. Il primo a carattere sovrano (la BCE), il secondo ancora con alcune limitazioni intergovernative nel processo di “codecisione”: il Parlamento Europeo.Questo significa che la Ue è sempre più Stato e sempre meno organismo intergovernativo. L’accelerazione, in questo caso, è dovuta alla grande crisi finanziaria 2007-2014. Un’accelerazione non più economica, ma monetaria e finanziaria, che è come dire, in Europa, di natura tipicamente politica. Poiché moneta e finanza pubblica sono due cardini dell’azione degli Stati.