vita in trincea

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VITA NELLE TRINCEE a cura di Emanuele Quaresima classe IIIA IC San Vito Struttura delle trincee "Le trincee ... erano delle buche profondamente scavate nel terreno per una lunghezza di cinque metri all'incirca e per la larghezza di un metro. Vi si penetrava per una scala a pioli collocata in posizione assolutamente verticale nell'apertura che affiorava al livello del terreno, e quando s'era dentro ci si trovava nell'oscurità più completa, le feritoie erano inservibili sia perché mancavano di campo di tiro, sia perché erano troppo alte per tiratori in ginocchio, e troppo basse per tiratori in piedi. Gravava sul capo il tetto fatto di travicelli assai sottili, sostenenti uno strato di terra che non avrebbe fermato, non dico il più piccolo proiettile d'artiglieria, ma neppure una pallottola di fucile. Una tana, una orribile tomba!". (A.Monti, Combattenti e silurati, Ferrara 1922) Le trincee si svilupparono per migliaia di chilometri, divennero sempre più profonde e fortificate. A una prima linea, si aggiunsero con il passare del tempo una seconda e una terza linea, che venivano utilizzate per gli spostamenti delle truppe e per il rifornimento di munizioni e vettovaglie. La distanza tra le trincee nemiche variava da poche centinaia di metri a qualche chilometro. Quando una prima linea veniva conquistata, il fronte si spostava e tutte le trincee cambiavano di funzione. Le trincee venivano quasi sempre scavate seguendo una linea a zig zag, che divideva la trincea in settori, al loro volta uniti da trincee trasversali di collegamento. Non esistevano tratti rettilinei di lunghezza maggiore di 10 metri. In questo modo, qualora una parte della trincea fosse stata conquistata dal nemico, questi non avrebbe avuto modo di colpire direttamente il resto della trincea. Inoltre questo schema costruttivo riduceva gli effetti di quei proiettili d'artiglieria che colpivano direttamente la trincea. Il lato della trincea rivolto al nemico era chiamato parapetto. Generalmente era munito di un gradino che consentiva di sporgersi oltre il bordo della trincea. I fianchi della trincea erano rinforzati con sacchi di sabbia, tavole, filo di ferro; il fondo era ricoperto di tavole in legno. Le due

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VITA NELLE TRINCEE a cura di Emanuele Quaresima

classe IIIA IC San Vito

Struttura delle trincee

"Le trincee ... erano delle buche profondamente scavate nel terreno per una lunghezza di cinque metri all'incirca e per la larghezza di un metro. Vi si penetrava per una scala a pioli collocata in posizione assolutamente verticale nell'apertura che affiorava al livello del terreno, e quando s'era dentro ci si trovava nell'oscurità più completa, le feritoie erano inservibili sia perché mancavano di campo di tiro, sia perché erano troppo alte per tiratori in ginocchio, e troppo basse per tiratori in piedi. Gravava sul capo il tetto fatto di travicelli assai sottili, sostenenti uno strato di terra che non avrebbe fermato, non dico il più piccolo proiettile d'artiglieria, ma neppure una pallottola di fucile. Una tana, una orribile tomba!". (A.Monti, Combattenti e silurati, Ferrara 1922)

Le trincee si svilupparono per migliaia di chilometri, divennero sempre più profonde e fortificate. A una prima linea, si aggiunsero con il passare del tempo una seconda e una terza linea, che venivano utilizzate per gli spostamenti delle truppe e per il rifornimento di munizioni e vettovaglie. La distanza tra le trincee nemiche variava da poche centinaia di metri a qualche chilometro. Quando una prima linea veniva conquistata, il fronte si spostava e tutte le trincee cambiavano di funzione. Le trincee venivano quasi sempre scavate seguendo una linea a zig zag, che divideva la trincea in settori, al loro volta uniti da trincee trasversali di collegamento.

Non esistevano tratti rettilinei di lunghezza maggiore di 10 metri. In questo modo, qualora una parte della trincea fosse stata conquistata dal nemico, questi non avrebbe avuto modo di colpire direttamente il resto della trincea. Inoltre questo schema costruttivo riduceva gli effetti di quei proiettili d'artiglieria che colpivano direttamente la trincea.

Il lato della trincea rivolto al nemico era chiamato parapetto. Generalmente era munito di un gradino che consentiva di sporgersi oltre il bordo della trincea. I fianchi della trincea erano rinforzati con sacchi di sabbia, tavole, filo di ferro; il fondo era ricoperto di tavole in legno. Le due

linee contrapposte erano separate dalla cosiddetta "terra di nessuno", un vero e proprio ammasso di cadaveri, feriti e crateri, cui non potevano accedere nemmeno le squadre di soccorso. Lì i feriti, che non potevano più rialzarsi.

Come avveniva l’attacco Quando si doveva partire all’attacco, i soldati andavano all'assalto all'arma bianca con le baionette

inastate sui fucili: moltissimi venivano falcidiati dal fuoco delle mitragliatrici nemiche, altri rimanevano feriti o mutilati nella terra di nessuno senza poter essere soccorsi. Spesso tutti gli sforzi fatti per conquistare qualche linea delle trincee nemiche si rivelavano inutili a causa della controffensiva del nemico. Andare avanti voleva dire andare incontro alla morte, ma anche chi tornava indietro veniva giustiziato in modo sommario per vigliaccheria o per ammutinamento. Fu un vero massacro: migliaia di uomini furono uccisi per conquistare pochi metri, spesso poi regolarmente persi. Infatti la strategia tipica delle guerre di posizione è quella del logoramento, imponendo al nemico un consumo di risorse tale da non consentirgli il proseguimento della guerra.

Vita in trincea

In genere, in trincea, la notte era movimentata e il giorno tranquillo. Di notte, infatti, bisognava restare all’erta: perché i soldati uscivano di pattuglia, perché il nemico poteva tentare una sorpresa, perché le tenebre favorivano un eventuale passaggio di disertori. Di giorno, invece, si faceva poco o nulla. Non c’era la sveglia, e chi voleva poteva continuare a dormire. Le prime linee erano piene di uomini, ma su di esse regnava un assoluto silenzio. La distribuzione dei viveri costituiva l’unico avvenimento della giornata. I soldati in trincea erano sempre esposti al pericolo di morte durante le lunghe ore di inerzia tra un combattimento e l'altro: il fuoco dei cecchini, le granate, le mitragliatrici e gli assalti nemici erano sempre all'ordine del giorno, logorando i nervi delle truppe già provate dalle pessime condizioni di vita dovute alla sporcizia e, nei mesi invernali, al freddo, alla pioggia e al fango. Per sopportare il logorio mentale e la stanchezza sovrumana cui erano sottoposti, i soldati avevano come unici conforti l'alcol, la corrispondenza da casa e le saltuarie licenze.

L’uso dei gas chimici Il 2 Aprile 1915, a Ypres, in Belgio, i francesi vedono avanzare verso le loro trincee una nuvola di

colore giallo-verde alta circa due metri, che continua a crescere fino a diventare una muraglia gassosa: è iniziata la guerra chimica. Sulle prime, i soldati pensano ad una cortina fumogena e si preparano ad accogliere i tedeschi: invece è la morte che arriva nel modo più crudele. In breve, le trincee e i campi circostanti si riempiono di soldati che, come impazziti, corrono in tutte le direzioni, gettando via i fucili, strappandosi i colletti delle camicie e dei pastrani, urlando e implorando acqua, sputando sangue, rotolandosi per terra

nella vana ricerca di un po’ d’aria da respirare. I francesi lo chiamano YPRITE, i tedeschi GELBKREUZKAMPFSTOFF(materiale da combattimento con croce gialla), gli inglesi MUSTARD OIL (gas alla senape). L’attacco di Ypres uccise 5000 soldati, e 10.000 rimasero orrendamente piagati o completamente ciechi.[….] "

Le malattie nelle trincee Durante la Grande Guerra uno dei problemi principali fu la diffusione delle malattie. La vita in trincea fu talmente difficile e precaria che era praticamente impossibile, per un soldato al fronte, trascorrere questo lungo periodo senza problemi fisici. Il freddo, l'assenza di ripari, la completa mancanza di igiene personale per diverse settimane, il cibo mal conservato e consumato in mezzo alla sporcizia assoluta e la mancanza di latrine erano solo alcune delle cause che contribuirono alla diffusione di germi, batteri e virus. Tra le malattie più diffuse negli anni della guerra ci furono il tifo, il colera e la dissenteria. Molti inoltre si ammalarono per patologie legate alle vie respiratorie (basti immaginare un soldato zuppo d'acqua sul Carso sferzato dal gelido vento di bora o un alpino a 2000 metri di altitudine), alla promiscuità nei periodi di riposo sulle retrovie ed alle infezioni che si espandevano per una ferita, anche banale. È stato calcolato come tra gli italiani almeno 100 mila uomini morirono per malattia. Nel 1918 inoltre, come se non bastasse, giunse in Europa la terribile epidemia dell'influenza "Spagnola" che decimò l'intera popolazione (anche quella civile). Non meno importanti poi furono le malattie psichiche dovute ai lunghi periodi passati sul fronte. Un incubo per molti soldati, giovani e non, costantemente minacciati dalla morte. Chiunque fosse schierato in prima linea era consapevole che, in qualsiasi momento, sarebbe potuto morire: i bombardamenti dell'artiglieria nemica furono incessanti ed i cecchini non mancavano mai di vigilare e di sparare sugli obiettivi. Anche solo un gesto imprudente, come alzarsi dalla trincea, poteva costare la vita ad un soldato. La vista costante di cadaveri non aiutava certo a migliorare la situazione resa ancora più tragica dal duro atteggiamento tenuto dagli ufficiali. Ogni battaglia, come si legge in molti diari dei protagonisti, era attesa con un silenzio irreale. Privati della possibilità di ribellarsi, i soldati uscivano dalle trincee rassegnati e alle volte in lacrime sapendo che, chiunque avesse esitato sarebbe stato punito. Fu in questi anni che nacque l'espressione "Scemo di guerra" per indicare tutti

quegli uomini che, durante o dopo la Grande Guerra, furono colpiti da patologia mentale. Essendo una materia ancora oscura, tra i medici si diffuse la pratica dell'elettroshock come tentativo di cura, provocando ulteriori dolori e complicanze a coloro che ritornarono dal fronte. Il piede da trincea si è manifestato specialmente durante la prima guerra mondiale tra i soldati degli opposti eserciti, poiché quel conflitto fu combattuto per lunghissimi periodi in trincee spesso fangose; è stata la più frequente causa di amputazioni

ai piedi, come terapia estrema. Spesso i soldati, nonostante i dolori causati dai danni al sistema nervoso periferico, erano costretti a rimanere nel fango e di fatto venivano curati solo quando i danni neurologici erano tali da non permettergli più di restare in piedi. Accadeva anche che alcuni soldati non evitassero di tenere i piedi nel fango, ma anzi cercassero tale condizione per poter essere ricoverati ed evitare quindi il combattimento. Per porvi rimedio, alla fine del 1915 fu ordinato che nelle trincee i soldati britannici avessero tre paia di calzini ciascuno e cambiassero le calze almeno due volte al giorno, asciugandosi bene i piedi. Inoltre, dovevano coprirsi i piedi con un grasso a base di olio di balena. Tale pratica, come si sarebbe compreso in seguito, avrebbe tuttavia accentuato i problemi, perché non permetteva ai piedi una corretta traspirazione.

I pasti in trincea durante la guerra I pasti si cucinavano nelle retrovie e venivano trasportati durante la notte nella linee avanzate. Un modo per portare a destinazione gli alimenti erano le casse di cottura, casse di legno foderate di materiale coibente, in cui si riponevano marmitta e fornello bollenti. Sia la marmitta che la cassa venivano quindi chiuse ermeticamente, mentre la cottura si completava da sola durante il viaggio. In montagna, le casse venivano caricate sui muli; ogni animale ne poteva portare due. Quando lo spostamento con i muli risultava difficile si ricorreva agli addetti alla sussistenza che usavano contenitori termicamente isolati, adatti al trasporto a spalla. I portatori, in alcuni casi, furono anche donne (si ricordano le portatrici carniche che operarono, volontariamente, lungo il fronte della Carnia) che, nelle loro gerle, oltre al cibo, riponevano armi, munizioni e materiale bellico. Il rancio arrivava a destinazione spesso in ritardo e talvolta non arrivava che a distanza di giorni, deprimendo il fisico e lo spirito dei militari, che ricevevano un cibo ghiacciato e poco nutriente o che dovevano continuare a combattere,

sopportando i morsi della fame. L’acqua potabile, bene prezioso, era scarsa e spesso inquinata. Il vino era previsto nella dose giornaliera di un quarto di litro, ma il suo consumo fu molto superiore. Buona parte della paga percepita dai

soldati finiva infatti nell’acquisto di altro vino. Alle truppe erano inoltre riservate razioni mensili di liquori che aumentavano nell’imminenza degli assalti. Per coloro che stavano in prima linea la gavetta era leggermente più grande. Prima degli assalti la quantità del rancio era anche più consistente: si aggiungevano gallette, scatole di carne, cioccolato, frutta candita, e soprattutto liquori. Un mezzo per riscaldare il cibo semicongelato era costituito dagli scaldaranci, cilindretti di carta avvolta e pressata, imbevuti di paraffina. Una volta accesi, gli scaldaranci sviluppavano calore senza fiamma per circa 15 minuti (buona parte della loro produzione veniva garantita dai Comitati di assistenza del cosiddetto fronte interno). Lo scaldarancio era dotato di un fornelletto in filo di ferro la cui costruzione era sempre dovuta al volontariato. Allo scoppio del conflitto le industrie alimentari trovarono nuovo terreno fertile nella produzione dei cibi conservati in scatola. Le scatole di latta per alimenti destinate all’esercito erano decorate con figure inneggianti alla patria e motti propagandistici, tesi a spiegare lo sforzo bellico o a riproporre il grido di guerra che chiamava all’assalto. Ancora oggi nei musei sono conservati i diversi contenitori di metallo che custodivano carne, alici sott'olio e frutta candita. Ma non solo, lungo le trincee dell’ampio fronte, dal Carso all’Ortigara, si vedono ancora molte scatole di latta abbandonate sul terreno.

Fonti: www.bibliolab.it http://www.larapedia.com/ www.itinerarigrandeguerra.it www.semidicultura.beniculturali.it