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Ufficio Comunicazione DIES ACADEMICUS 2015-2016 09 marzo 2016 VITA CONSACRATA, ESPERIENZA E ANNUNCIO DELLA MISERICORDIA Lectio Magistralis del Card. JOÃO BRAZ DE AVIZ Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica Introduzione Saluto con grande gioia tutta la comunità accademica della Pontificia Università Gregoriana e in particolare il rettore Padre François-Xavier Durmontier, s.j. che ringrazio per l’invito ad essere qui con voi oggi. In questo mio sincero saluto è presente anche quello dell’Arcivescovo Segretario della CIVCSVA Mons. José Carballo e delle 40 persone che lavorano con noi qui a Roma. Anch’io sono stato alunno della Gregoriana nei primi anni dopo il Concilio Vaticano II (1967-1972), come seminarista diocesano del Collegio Pio Brasiliano. Questa esperienza romana e accademica ha segnato positivamente la mia formazione cristiana e sacerdotale in un momento di grande revisione della vita della Chiesa. Sono grato a Dio e ai miei formatori e professori. Porto oggi con semplicità a questo vostro Dies Academicus il mio contributo di prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, dopo questo straordinario Anno della Vita Consacrata (2015), indetto da Papa Francesco per tutta la Chiesa e pieno di frutti, in un momento di grandi trasformazioni della società e in particolare della vita consacrata. Gli incontri a Roma, segnati dalla partecipazione numerosa dei consacrati e delle consacrate di tutto il mondo e dalla presenza costante di Papa Francesco, gli incontri in molte parti del mondo nelle chiese particolari, i viaggi nei cinque continenti fatti dal prefetto e dal segretario, oltre che da alcuni membri del Dicastero, ci hanno allargato la visione su questa ricchissima realtà della Chiesa, la vita consacrata, presente in tutte le parti del mondo e nelle situazioni esistenziali le più diverse e più esigenti, alle volte in contesti quasi impensabili e con la fecondità di un grande numero di martiri. Con l’aiuto di Padre Dumortier e del Consiglio Direttivo dell’Università, che hanno segnalato la possibilità di vari temi collegati alla vita consacrata, ho pensato di scegliere questo: VITA CONSACRATA, ESPERIENZA E ANNUNCIO DELLA MISERICORDIA. La ragione di questa scelta sta nel fatto che il Papa Francesco vede una normale continuità tra l’anno della vita consacrata e il giubileo straordinario della misericordia. Infatti l’esperienza della misericordia del Signore è la ragione d’essere della vita consacrata. Ufficio Comunicazione

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Page 1: VITA CONSACRATA, ESPERIENZA E ANNUNCIO DELLA … · 2017-10-09 · Questo amore è ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di Gesù. La sua persona non è altro che amore,

Ufficio Comunicazione

DIES ACADEMICUS 2015-2016 09 marzo 2016

VITA CONSACRATA, ESPERIENZA E ANNUNCIO DELLA MISERICORDIA

Lectio Magistralis del Card. JOÃO BRAZ DE AVIZ Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata

e le Società di Vita Apostolica

Introduzione

Saluto con grande gioia tutta la comunità accademica della Pontificia Università Gregoriana e in particolare il rettore Padre François-Xavier Durmontier, s.j. che ringrazio per l’invito ad essere qui con voi oggi. In questo mio sincero saluto è presente anche quello dell’Arcivescovo Segretario della CIVCSVA Mons. José Carballo e delle 40 persone che lavorano con noi qui a Roma.

Anch’io sono stato alunno della Gregoriana nei primi anni dopo il Concilio Vaticano II (1967-1972), come seminarista diocesano del Collegio Pio Brasiliano. Questa esperienza romana e accademica ha segnato positivamente la mia formazione cristiana e sacerdotale in un momento di grande revisione della vita della Chiesa. Sono grato a Dio e ai miei formatori e professori.

Porto oggi con semplicità a questo vostro Dies Academicus il mio contributo di prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, dopo questo straordinario Anno della Vita Consacrata (2015), indetto da Papa Francesco per tutta la Chiesa e pieno di frutti, in un momento di grandi trasformazioni della società e in particolare della vita consacrata.

Gli incontri a Roma, segnati dalla partecipazione numerosa dei consacrati e delle consacrate di tutto il mondo e dalla presenza costante di Papa Francesco, gli incontri in molte parti del mondo nelle chiese particolari, i viaggi nei cinque continenti fatti dal prefetto e dal segretario, oltre che da alcuni membri del Dicastero, ci hanno allargato la visione su questa ricchissima realtà della Chiesa, la vita consacrata, presente in tutte le parti del mondo e nelle situazioni esistenziali le più diverse e più esigenti, alle volte in contesti quasi impensabili e con la fecondità di un grande numero di martiri.

Con l’aiuto di Padre Dumortier e del Consiglio Direttivo dell’Università, che hanno segnalato la possibilità di vari temi collegati alla vita consacrata, ho pensato di scegliere questo: VITA CONSACRATA, ESPERIENZA E ANNUNCIO DELLA MISERICORDIA. La ragione di questa scelta sta nel fatto che il Papa Francesco vede una normale continuità tra l’anno della vita consacrata e il giubileo straordinario della misericordia. Infatti l’esperienza della misericordia del Signore è la ragione d’essere della vita consacrata.

Papa Francesco spiega l’identità di Dio nell’amore e nella misericordia partendo da Gesù e dal suo volto misericordioso: «Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità. La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di rivelare il mistero dell’amore divino nella sua pienezza. “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16), afferma per la prima e

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d’essere della vita consacrata. Papa Francesco spiega l’identità di Dio nell’amore e nella misericordia partendo da Gesù e dal suo

volto misericordioso: «Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità. La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di rivelare il mistero dell’amore divino nella sua pienezza. “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16), afferma per la prima e unica volta in tutta la Sacra Scrittura l’evangelista Giovanni. Questo amore è ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di Gesù. La sua persona non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente … tutto in Lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione (Misericordiae vultus, 8).

Tenendo presente questa identità intima di Dio nel volto misericordioso di Gesù, penso di percorrere il nostro tema con voi seguendo questi punti: 1. Chi sono i consacrati oggi nel mondo? 2. Vita Consacrata a 50 anni dal Concilio Vaticano II 3. Vino nuovo in otri nuovi 4. I cinque punti di Papa Francesco per la vita consacrata oggi 5. Vita trinitaria e antropologia cristiana

1. Chi sono i consacrati oggi nel mondo?

Sono donne e uomini che il Signore ha scelto per vivere il Vangelo nella forma di vita di Cristo.

Appartengono a una variegata forma di consacrazione e a una immensa diversità dei carismi: consacrati e consacrate nel mondo, individualmente o in comunità, come gli Istituti Secolari; consacrate a servizio immediato dei vescovi e della Chiesa, come l’Ordo virginum e l’Ordo viduarum; questi due ultimi hanno le loro radici nella Chiesa dell’inizio, ancora al tempo degli apostoli; consacrati e consacrate sono anche la moltitudine delle persone che appartengono ai carismi di vita attiva degli Istituti e delle Società di vita apostolica; e ancora i consacrati e le consacrate nella vita monastica e contemplativa.

Quelli che conosciamo sono più o meno 2.000 Ordini, Istituti e Società di vita apostolica, che formano un popolo di più o meno 800 mila consacrati e consacrate, essendo le consacrate più o meno 3 volte più dei consacrati. Molti sono anche gli Istituti di diritto diocesano dei quali non sappiamo il numero. Identificati dalla sequela di Gesù come suoi discepoli e dal carisma dei nostri fondatori o fondatrici, siamo ora chiamati a intensificare il nostro camino di consacrati insieme, per arricchire la Chiesa ed aiutarci nella forza dell’unità.

In un momento nuovo della storia della Chiesa e del mondo, a 50 anni del Concilio Vaticano II siamo interpellati ad assumere l’esperienza dell’interculturalità, dell’apertura verso gli altri carismi, dei vari campi di possibile cooperazione, dell’ascolto profondo e del discernimento sincero degli appelli della cultura attuale, per condividere con ogni uomo e ogni donna l’esperienza di Dio che portiamo in noi.

2. Vita Consacrata a 50 anni dal Concilio Vaticano II

La Lumen Gentium, il documento del Concilio Vaticano II sulla Chiesa, ha dedicato il capitolo VI ai

religiosi, considerandoli come membri integranti della Chiesa, popolo di Dio, insieme con i fedeli membri

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della gerarchia e del laicato. Come abbiamo visto, i consacrati e le consacrate sono oggi nella Chiesa una realtà plurale, numerosa e molto significativa. Sono uomini e donne che rispondono con la loro vita, non a un comandamento – nonostante siano sottomessi a tutti – ma ai consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza, «dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e con la sua grazia sempre conserva» (n. 43).

E il suo valore è tale che «lo stato di vita (…) costituito dalla professione dei consigli evangelici, pur non concernendo la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia inseparabilmente alla sua vita e alla sua santità» (n. 44 § 4)i.

Dal Decreto Perfectae caritatis, dello stesso Concilio, riprendiamo i principi validi per il rinnovamento della vita consacrata nei nostri giorni (cf. nn.2-4):

- mettere in atto la sequela di Cristo, proposta nel Vangelo come regola suprema; - conoscere e osservare fedelmente lo spirito e le intenzioni specifiche dei Fondatori, nonché le sane

tradizioni; - partecipare alla vita della Chiesa favorendo le iniziative e le intenzioni della Chiesa locale per ciò

che riguarda le dimensioni biblica, liturgica, dogmatica, pastorale, ecumenica, missionaria e le questioni sociali;

- informare i membri circa le condizioni degli uomini e del tempo, delle necessità della Chiesa, per un retto giudizio e un saggio inserimento;

- promuovere il rinnovamento, soprattutto spirituale, che deve avere sempre la priorità; - adattarsi ovunque, ma soprattutto nei territori di missione, alle condizioni fisiche e psicologiche

dei religiosi di oggi, ai bisogni dell'apostolato, alle esigenze della cultura e alle condizioni sociali e economiche;

- coltivare lo spirito di preghiera, andare alle fonti della spiritualità cristiana; - in primo luogo, avere ogni giorno in mano le Sacre Scritture; - celebrare con le labbra e con il cuore la sacra liturgia, soprattutto il mistero eucaristico; - nutriti dalla Parola e dall'Eucaristia, amare i fratelli, rispettare e stimare i Pastori con spirito filiale,

vivere e sentire sempre di più con la Chiesa, dedicandosi interamente alla sua missioneii.

3. Vino nuovo in otri nuovi

Alla fine del mese di novembre 2014, a Roma, un poco prima dell’apertura dell’anno della vita

consacrata, si è riunita l’Assemblea Plenaria della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Eravamo una cinquantina di membri (cardinali, vescovi, superiori generali, teologi ed altri esperti). D’accordo con il Santo Padre abbiamo pensato la vita consacrata partendo dal Vangelo di Marco: “Vino nuovo in otri nuovi” (2,22). Cioè, il vino nuovo che è Gesù, che è il Vangelo, oggi ha bisogno di essere esperimentato in strutture culturali e istituzionali nuove. Ma quali sono queste strutture che non servono più e quali i processi da sviluppare per permettere che nascano le strutture nuove?

L’anno della vita consacrata ha voluto guardare al passato con una memoria grata per le meraviglie che sono state realizzate da Dio per mezzo dei consacrati; guardare al futuro con fiducia perché Dio, il Signore, è sempre fedele; e vivere il presente con passione, cioè decisi a rispondere allo sguardo amorevole del Signore per ciascun consacrato.

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Papa Francesco ha riconosciuto che «dopo il Concilio Vaticano II, il vento dello Spirito ha continuato a soffiare con forza, da una parte spingendo gli Istituti ad attuare il rinnovamento spirituale, carismatico e istituzionale che lo stesso Concilio ha chiesto, dall’altra suscitando nel cuore di uomini e donne modalità nuove di risposta all’invito di Gesù di lasciare tutto per dedicare la propria vita alla sequela di Lui e all’annuncio del Vangelo».

Ma il Papa ha anche richiamato a certe aree di debolezza, che noi stessi, nel Dicastero, abbiamo riconosciuto: «La fragilità di certi itinerari formativi, l’affanno per i compiti istituzionali e ministeriali a scapito della vita spirituale, la difficile integrazione delle diversità culturali e generazionali, un problematico equilibrio nell’esercizio dell’autorità e nell’uso dei beni».

Per rispondere a questo invito del Papa a non “avere paura di lasciare gli otri vecchi” per assumerne di nuovi, l’Assemblea Plenaria del Dicastero ha proposto la cura particolare di tre ambiti della vita consacrata.

3.1. La comunità: contribuire alla cura e regolazione delle diverse forme di strutture di comunione e comunità nella vita consacrata. Ogni persona consacrata e ogni comunità oggi sono chiamate a fondare la propria vita nel mistero e nella missione di Dio Trinità, cioè nell’amore. I consacrati e le consacrate, essendo concretamente questa realtà trinitaria, sono chiamati a disporsi, allora, all’uscita missionaria, in conformità con il proprio carisma, verso scenari e sfide sempre nuovi, specialmente verso quelle periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo. Per questo, è necessario provvedere che le strutture comunitarie diventino più missionarie e le attività più dinamiche e aperte verso questa uscita.

La crescente comunione deve portare alla crescente coscienza della “intimità itinerante” del consacrato e della consacrata con Gesù (EG, 23). Lui e lei non devono dimenticare di vivere in stato permanente come discepoli di Gesù durante tutta la vita. Di qui nasce la “formazione continua”. Il cammino allora sarà realizzato coltivando l’ascolto della Parola del Signore attraverso la “lectio divina”, lasciandosi formare dalla liturgia e dall’anno liturgico, dall’orazione personale. Sarà necessario creare le condizioni per un corretto discernimento comunitario della volontà di Dio, sempre nella circolarità dei rapporti. La storia ci insegna, dice Papa Francesco, che «le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica» (EG, 26).

Camminiamo sempre più verso comunità multiculturali e interculturali. La presenza di molte culture nelle comunità è un dono di Dio per la vita consacrata e per la Chiesa; tuttavia non sempre ha prodotto comunione interculturale, sia nella formazione che nella missione. Perché ciò avvenga, ognuno deve essere soggetto libero e responsabile del proprio dono e aperto a quello altrui. Chi guida deve sapere motivare e provocare il convergere delle diversità verso la sinodalità, la sinergia, la corresponsabilità. Lo sguardo contemplativo reciproco, il desiderio di fare chiesa insieme e l’ospitalità solidale, devono diventare fermento di dialogo e di fiducia in un mondo che manca di accoglienza e di reciprocità fraterna.

3.2. La formazione (continua e iniziale): “Vino nuovo” sono i giovani che chiedono di entrare nella vita consacrata. “Otri nuovi” sono le strutture di accoglienza e di formazione, iniziale e permanente, perché quel vino diventi «vino generoso che potrà rinvigorire la vita della Chiesa e rallegrare il cuore di tanti fratelli e sorelle» (Papa Francesco).

- La formazione è l’azione del Padre che, dalla conversione, forma in noi il cuore del Figlio, per la potenza dello Spirito Santo. Si raccomanda dunque che la formazione sia integrale (umana, intellettuale, teologica e spirituale), che tenda a formare una persona consistente nel volere (integra e “docibilis”, cioè, che si lascia lavorare), attraverso un modello d’integrazione, perché il consacrato, la consacrata abbiano “gli stessi sentimenti di Cristo” (Fil 2,5; VC 70ss). Sia, in particolare, una formazione nutrita da un sapiente discernimento vocazionale e attenta all’area affettivo-sessuale – anche alla luce degli scandali recenti – con un metodo formativo ben integrato tra elementi spirituali e psicopedagogici.

- La “docibilitas”, cioè il lasciarsi lavorare, dovrà riguardare anche i formatori e le formatrici per tutta la vita. Sia previsto nella “Ratio Institutionis” (cioè, nel programma formativo), l’obbligo della

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preparazione dei formatori, attraverso percorsi che mirino il più possibile ad una preparazione integrale di colui o colei che accompagna: per una formazione non solo tecnica, mediante le scienze umane (in accordo con l’antropologia cristiana), ma nemmeno solo spirituale. Il formatore sia persona matura, capace di integrare in sé le due dimensioni e mettersi in stato di ascolto nei confronti della cultura dei giovani. Compito specifico della formazione iniziale è la “docibilitas”, ovvero la persona che ha imparato a imparare dalla vita per tutta la vita. “Docibilis” è il “vir ob-audiens”, che cerca Dio in tutte le cose, e si dispone a lasciarsi formare dalla sua mano nella missione e nell’orazione, inserito nel contesto della chiesa particolare, nella fraternità-sororità e nella “periferia”, nei previsti e negli imprevisti della vita, nei successi e negli insuccessi, in ogni stagione della vita. Non è soltanto il noviziato, infatti, a formare il consacrato, quanto piuttosto la vita, in ogni suo momento e circostanza, che è mediazione misteriosa della mano del Padre, nostro unico Padre formatore.

- La formazione è continua. Ogni Istituto la assuma con serietà e coerenza. Adesso è necessario promuovere una cultura della formazione continua nelle sue due dimensioni essenziali: quella ordinaria (che avviene ogni giorno, ogni istante), di cui è responsabile il singolo nel contesto della sua comunità; e quella straordinaria (che avviene tramite corsi di aggiornamento vari, o nei momenti di particolare difficoltà del consacrato, della consacrata), di cui è responsabile l’Istituto stesso. A tale scopo si consideri la possibilità di dare vita a una struttura, ovvero a una comunità di consacrati e consacrate che si faccia carico di quanto si riferisce alla formazione continua, per aiutare il cammino di ognuno nelle situazioni ordinarie e straordinarie della vita (crisi, passaggi di età, nuovi incarichi, difficoltà varie). Alla luce di queste esigenze della formazione continua e iniziale, si rende necessaria una riscrittura del documento “Potissimum Institutioni”. È un’Istruzione della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica (CIVCSVA) del 02 febbraio 1990 sulle direttive per la formazione nella vita religiosa.

3.3. Il governo e l’economia: Aprire spazi di partecipazione. L’esortazione apostolica “Vita consecrata” aveva affermato che è «urgente compiere alcuni passi concreti, a partire dall’apertura alle donne di spazi di partecipazione in vari settori e a tutti i livelli, anche nei processi di elaborazione delle decisioni, soprattutto in ciò che le riguarda» (VC 58). Per questo, a Roma, abbiamo incominciato a includere più donne consacrate nella struttura del Dicastero (loro rappresentano la grande maggioranza dei consacrati).

- Fare attenzione alla natura specifica degli Istituti misti. «Il sacerdozio… può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere» (EG 104). Per questo il Dicastero porterà avanti il lavoro sul riconoscimento della natura specifica degli Istituti “misti” e dell’esercizio dell’autorità nella loro struttura giuridica.

- Riscrivere il documento “Mutuae Relationes” sul rapporto tra i vescovi e gli Istituti di vita consacrata, nel contesto dell’ecclesiologia di comunione che esprima la co-essenzialità degli elementi gerarchici e carismatici. - Impostare il patrimonio e l’amministrazione dei beni, affinché la nostra povertà sia testimoniante in una “Chiesa povera e per i poveri”. Per questo occorre partire dalla conoscenza del contesto economico in cui si vive; impostare l’economia con professionalità e trasparenza; affermare l’uguaglianza e partecipazione tra tutti i membri; definire le strutture di corresponsabilità nella comunione; garantire la formazione degli economi e delle econome; allargare le aree di condivisione dalla comunità fino all’orizzonte globale.

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4. I cinque punti di Papa Francesco

per la vita consacrata oggi

Il Papa Francesco, in questo nostro momento della vita consacrata nella Chiesa, ci chiama a un nuovo cammino. Lui lo ha indicato in 5 punti che possono diventare ora il nostro programma in quest’anno del Giubileo straordinario della misericordia e poi per gli anni che verranno. Ricordiamoli insieme (Lettera apostolica del 23 novembre 2014).

1. «Che sia sempre vero quello che ho detto una volta: Dove ci sono i religiosi c’è gioia”. Siamo chiamati a sperimentare e mostrare che Dio è capace di colmare il nostro cuore e di renderci felici, senza bisogno di cercare altrove la nostra felicità; che l’autentica fraternità vissuta nelle nostre comunità alimenta la nostra gioia; che il nostro dono totale nel servizio della Chiesa, delle famiglie, dei giovani, degli anziani, dei poveri ci realizza come persone e dà pienezza alla nostra vita … Anche noi, come tutti gli altri uomini e donne, proviamo difficoltà, notti dello spirito, delusioni, malattie, declino delle forze dovuto alla vecchiaia. Proprio in questo dovremmo trovare la “perfetta letizia”, imparare a riconoscere il volto di Cristo che si è fatto simile a noi e quindi provare la gioia di saperci simili a Lui che, per amore nostro, non ha ricusato di subire la croce» (II).

2. «Mi attendo che “svegliate il mondo”, perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia ... la radicalità evangelica non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico». È questa la priorità che adesso è richiesta: «essere profeti che testimoniano come Gesù ha vissuto su questa terra … Mai un religioso deve rinunciare alla profezia … la capacità di scrutare la storia nella quale vive e di interpretare gli avvenimenti … Conosce Dio e conosce gli uomini e le donne suoi fratelli e sorelle. È capace di discernimento e anche di denunciare il male del peccato e delle ingiustizie, perché è libero, non deve rispondere ad altri padroni se non a Dio, non ha altri interessi che quelli di Dio. Il profeta sta abitualmente dalla parte dei poveri e degli indifesi, perché sa che Dio stesso è dalla loro parte» (II).

3. «I religiosi e le religiose, al pari di tutte le altre persone consacrate, sono stati definiti … “esperti di comunione”. Mi aspetto pertanto che la “spiritualità di comunione”, indicata da San Giovanni Paolo II, diventi realtà e che voi siate in prima linea nel cogliere “la grande sfida che ci sta davanti” in questo nuovo millennio: “fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione”. Sono certo che in questo Anno lavorerete con serietà perché l’ideale di fraternità perseguito dai Fondatori e dalle Fondatrici cresca ai più diversi livelli, come a cerchi concentrici» (II). All’interno delle rispettive comunità dell’Istituto: superare critiche, pettegolezzi, invidie, gelosie e antagonismi; camminare sul cammino infinito della carità: accoglienza e attenzione reciproche, comunione dei beni materiali e spirituali, correzione fraterna, rispetto per le persone più deboli, rapporto tra le persone di culture diverse, comunione tra i diversi Istituti, progetti comuni di formazione, di evangelizzazione, di interventi sociali, creare sinergia tra tutte le vocazioni nella Chiesa e oltre i suoi confini (cf idem).

4. Andare nelle periferie esistenziali e così si superano facilmente tutte le piccole beghe di casa; gesti concreti di accoglienza dei rifugiati, di vicinanza ai poveri, di creatività nella catechesi, nell’annuncio del Vangelo, nell’iniziazione alla vita di preghiera; snellimento delle strutture, riutilizzo delle grandi case in favore di opere più rispondenti alle attuali esigenze dell’evangelizzazione e della carità, l’adeguamento delle opere ai nuovi bisogni; tutto questo preserva la vita consacrata dalla malattia dell’auto-referenzialità) (cf idem).

5. «Ogni forma di vita consacrata s’interroghi su quello che Dio e l’umanità di oggi domandano». Nessuno «dovrebbe sottrarsi ad una seria verifica sul suo modo di rispondere alle continue e nuove

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domande che si levano attorno a noi, al grido dei poveri» (II). In sintesi il Papa Francesco ci chiama a essere gioiosi, essere profeti che svegliano il mondo, essere

“esperti di comunione”, andare nelle periferie esistenziali e fare una verifica su cosa Dio e l’umanità di oggi domandano a noi. Per ultimo il Papa ha aggiunto ancora: coraggio.

5. Vita Trinitaria

e antropologia cristiana

La spiritualità di comunione e i due principi co-essenziali della Chiesa (gerarchia e carisma) sono il cuore della rinnovata coscienza e esperienza ecclesiale in questo nuovo momento della vita della Chiesa inserita nel dialogo con il mondo, voluto dal Concilio Vaticano II nella Costituzione Pastorale “Gaudium et spes”.

Spiritualità di comunione e i due principi co-essenziali della Chiesa (gerarchia e carisma), per volere del Papa Francesco, saranno al centro del nuovo documento “Mutuae relations” e aprirà le relazioni nella Chiesa in tutte le direzioni, non solo tra Vescovi e Superiori Maggiori.

Nello stesso modo queste due nuove caratteristiche della vita ecclesiale, delle quali abbiamo ora preso coscienza più chiara, daranno alla vita consacrata la possibilità di esperimentare il cammino tracciato dal documento “Vita consacrata” come Confessio Trinitatis (VC 14-40)

In questo momento della storia umana e ecclesiale la vita consacrata vuol essere una esperienza di Vita Consacrata in Comunione, inserendoci sempre più in quel cammino tracciato dagli orientamenti della Chiesa, in modo particolare dal Concilio Vaticano II, dal magistero posteriore e dalla esperienza della Chiesa negli ultimi 50 anni.

Insieme cerchiamo una comprensione approfondita del cammino che la Chiesa, e la vita consacrata in essa, hanno incominciato a percorrere con decisione per corrispondere agli appelli del Vangelo da una parte, e alle esigenze del momento storico attuale dall’altra. Per realizzare questo cammino oggi abbiamo bisogno di avvicinare, e ancora di più di chiedere a Dio la possibilità di inserirci nella vita del mistero della Santissima Trinità per cogliere lì l’identità di noi uomini e donne e, per di più, di noi uomini e donne consacrati. Chiediamo allo Spirito Santo la sua luce perché questa comprensione ed esperienza sia possibile abbondantemente nei nostri giorni.

Dio è Padre, è Figlio ed è Spirito Santo. Abbiamo ricevuto questa conoscenza attraverso la

rivelazione e la comunicazione fatta dal Figlio Gesù, che è venuto tra noi ed è diventato uomo come noi. Solo Lui poteva rivelarci e comunicarci questo volto di Dio, perché Lui è Dio e viene dal seno del Padre e dello Spirito Santo. Capiamo così che Dio vive in Tre Persone distinte. Un unico Dio sì, ma in tre persone. Allora vuol dire che nel più intimo di Dio, nella sua identità più profonda, convivono insieme, in perfetto equilibrio, unità (un solo Dio) e diversità (Tre Persone). Non solo unità, ma unità e diversità. E questo avviene da tutta l’eternità e per sempre. Queste caratteristiche appartengono all’essere di Dio.

Ma la grande meraviglia è che Dio ha voluto questa stessa realtà per l’uomo e per la donna,

creati da Lui per essere una unità, cioè una individualità (un unico), ma sempre in rapporto con gli altri, diversi da lui ma parte di lui, come le persone in Dio. Infatti l’uomo e la donna sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio, cioè della Trinità (Gn 1,27). Ma come capire allora questa identità di

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Dio che è anche l’identità della sua creatura umana? In tutta la storia della Chiesa il mistero del nostro Dio Uno e Trino è stato al centro della

professione di fede e dell’attenzione degli studi di filosofia e teologia. Oggi abbiamo acquistato un linguaggio molto preciso per avvicinarci alla Santissima Trinità. I Padri della Chiesa, il Magistero e i teologi hanno fatto un grande percorso. Abbiamo bisogno però di inoltrarci di più in questa meravigliosa e affascinante realtà, per capire meglio chi siamo e per rispondere meglio alle sfide del momento attuale.

Partiamo da una affermazione dell’apostolo Giovanni nella sua prima lettera: “Dio è amore”. Essendo Dio amore (1 Gv 4,8.16) anche l’uomo e la donna sono amore. Sì, perché il libro della

Genesi ci assicura che l’uomo e la donna sono creati a immagine e somiglianza di Dio, cioè a immagine e somiglianza dell’amore (cf Gn 1,27).

Nel contesto del Giubileo Straordinario della Misericordia, Papa Francesco ci ha spiegato questa identità di Dio partendo da Gesù e dal suo volto misericordioso: «Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità. La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di rivelare il mistero dell’amore divino nella sua pienezza. “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16), afferma per la prima e unica volta in tutta la Sacra Scrittura l’evangelista Giovanni. Questo amore è ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di Gesù. La sua persona non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente. Le sue relazioni con le persone che lo accostano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione» (Misericordiae vultus, 8).

Come nella Trinità diversità e unità sono essenziali, così anche nell’uomo e nella donna diversità e unità sono essenziali. Per questo l’unità non può essere sperimentata come uniformità ma come unità nella distinzione (cf Papa Francesco), come accade in Dio Padre e Figlio e Spirito Santo.

In Dio che è amore unità e diversità non sono in tensione, ma in perfetto equilibrio. Così anche nell’uomo e nella donna la diversità è chiamata a diventare unità. Qui possiamo capire quanto è centrale oggi costruire o ricostruire bene i rapporti umani come espressione di questa nostra identità cristiana. In questo senso non possiamo non alzare lo sguardo verso la Santissima Trinità. Senza attingere a questa profondità del volto di Dio difficilmente ricupereremo la realizzazione del sogno di felicità presente nel cuore dell’uomo e della donna in questo nostro tempo e che passa attraverso la ricostruzione dei rapporti con quelli che sono diversi da me, ma che allo stesso tempo sono parte di me come persona.

Oggi non basta più solo una spiritualità individuale, anche se necessaria. Diventa centrale per noi l’invito di San Giovanni Paolo II nella “Novo Millennio Ineunte”, cioè la necessità di passare alla spiritualità di comunione che è diventata oggi il criterio educativo per formare l’uomo e la donna (n. 43). A sua volta la spiritualità di comunione può essere esperimentata correttamente solo a partire dalla sua fonte trinitaria.

Il magistero della Chiesa oggi inserisce in questa luce la vita consacrata con tutte le sue vocazioni. I consigli evangelici, che la esprimono, sono visti come un dono della Trinità per vivere la vita nella forma di Gesù (cf VC 20,21). Anche noi consacrati e consacrate siamo chiamati a concretizzarli nella luce della spiritualità di comunione, o la spiritualità dell’unità, percorrendo nella nostra formazione continua i suoi criteri, che hanno l’origine nella Trinità. Solo così prenderemo la forma di vita di Gesù nella vita dei consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza. «Essi infatti sono espressione dell’amore che il Figlio porta al Padre nell’unità dello Spirito Santo. Praticandoli, la persona consacrata vive con particolare intensità il carattere trinitario e cristologico che contrassegna tutta la vita cristiana» (VC n. 21).

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«La castità dei celibi e delle vergini, in quanto manifestazione della dedizione a Dio con cuore indiviso (cfr 1 Cor 7, 32-34), costituisce un riflesso dell’amore infinito che lega le tre Persone divine nella profondità misteriosa della vita trinitaria; amore testimoniato dal Verbo incarnato fino al dono della sua vita; amore “riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5,5), che stimola ad una risposta di amore totale per Dio e per i fratelli» (VC n.21).

«La povertà confessa che Dio è l’unica vera ricchezza dell’uomo. Vissuta sull’esempio di Cristo che “da ricco che era, si è fatto povero” (2 Cor 8,9), diventa dono totale di sé che le tre Persone divine reciprocamente si fanno. È dono che trabocca nella creazione e si manifesta pienamente nell’Incarnazione del Verbo e nella sua morte redentrice» (VC n.21).

«L’obbedienza, praticata ad imitazione di Cristo, il cui cibo era fare la volontà del Padre (cfr Gv 4,34), manifesta la bellezza liberante di una dipendenza filiale e non servile, ricca di senso di responsabilità e animata dalla reciproca fiducia, che è riflesso nella storia dell’amorosa corrispondenza delle tre Persone divine» (VC n. 21).

La vita consacrata «diventa così confessione e segno della Trinità, il cui mistero viene additato alla Chiesa come modello e sorgente di ogni forma di vita cristiana» (VC n.21).

«La stessa vita fraterna, in virtù della quale le persone si sforzano di vivere in Cristo con “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32), si propone come eloquente confessione trinitaria» (VC n.21).

Ma come liberare il nostro cuore per vivere l’amore? Penso che la miglior maniera è guardare e imitare il Figlio nel mistero della sua incarnazione e nel

suo mistero pasquale. Leggiamo insieme un solo testo, Fil 2,5-11, nell’impossibilità di esaminarne tanti altri in questo

senso. Partiamo subito dall’affermazione centrale: l'amore, che è Dio, è Essere e non-Essere allo stesso

tempo. È partendo da questa costatazione che possiamo capire la kenosis come condizione sine qua non dell’amore.

Per capire l'amore e sperimentare i suoi effetti nell'uomo e nella donna, al punto da far loro sperimentare la felicità, non è sufficiente un corretto sistema di idee per quanto ben costruito. L'amore è, prima di tutto, frutto di un’esperienza ripetuta con costanza nella relazione con Dio e nella continua relazione con l'uomo e la donna. Si deve, tuttavia, partire dal supremo mistero della Trinità.

Il Figlio di Dio è stato mandato dal Padre per assicurare agli uomini e alle donne che Dio è amore e quindi mai ha smesso di amare la sua creatura, anzi l’ha destinata a diventare suo figlio e figlia. Il Figlio di Dio fatto uomo ha rivelato e comunicato a noi che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo. Non sono tre dei, ma un solo Dio. Egli è l'essere, il fondamento di ogni essere. Solo in Lui tutte le cose esistono. Soltanto in Lui l'uomo e la donna esistono.

Ma Dio è anche non-essere, perché il Padre non è il Figlio. Il Figlio non è il Padre. Lo Spirito Santo non è né il Padre né il Figlio. In Dio, la diversità è “una sola realtà”, senza cessare di essere allo stesso tempo “diversità”. In Dio l’essere e il non-essere coesistono in perfetta identità e distinzioneiii. L'uomo e la donna, immagine e somiglianza di questa unica vera fonte, sono chiamati ad esprimere nella loro realtà umana di “figli nel Figlio”, il mistero nascosto in Dio.

Per percepire e sperimentare qualcosa di questa realtà infinita abbiamo bisogno di approfondire che cosa è l’Amore. Il modo migliore per farlo è quello di osservare come fa Dio Padre quando manda il suo Figlio nell'incarnazione del Verbo nel grembo della Vergine Maria.

L'apostolo Paolo ci viene in aiuto nella Lettera ai Filippesi (2, 5-11). Questo inno cristologico ci racconta di uno “svuotamento” del Figlio al fine di incontrare la piccolezza dell'uomo e della donna. Solo

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l'amore è capace di tale movimento abnorme e apparentemente contraddittorio. Nella teologia chiamiamo questo modo di agire di Dio kenosis, presente nel mistero dell'incarnazione, nella vita nascosta a Nazareth e in maniera quasi incomprensibile nel mistero della croce (passione e morte del Signore). In questo modo si manifesta l'amore di Dio all’uomo e alla donna nella forma più completa e radicale, fino al punto dell’“abbandono” e della morte di Gesù sulla croce. L'uomo Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, muore “solo”, senza ricevere risposta dal Padre al suo grido di estremo dolore. È morto senza avere risposta dal Padre, nessuna risposta. È stato dalla nostra parte anche nel momento più duro in cui tutta la sua vita e la sua opera potrebbero sembrare una grande assurdità e illusione. Il Padre, da cui il Figlio è venuto e con il quale il Figlio abita e che ha amato e ama il Figlio da tutta l'eternità, ha lasciato il Figlio “solo”, senza intervenire nella sua condizione di fedeltà all'uomo e alla donna. Perciò il Figlio ci dona la beata eredità di una fedeltà a tutta prova, continuando, come unica possibilità a lui rimasta, a credere nell'amore del Padre. Di conseguenza, il suo ultimo gesto è quello di consegnare nelle mani del Padre il suo spirito.

Alla luce dell’insondabile mistero di dolore e di amore racchiuso nel mistero pasquale, la spiritualità dell'unità, o la spiritualità di comunione, ci aiutano oggi a pervenire e ad assumere una conclusione che può avere effetti molto profondi sulla nostra vita di discepoli: il grido di abbandono di Gesù sulla croce è il suo momento di dolore più grande; è anche il momento del suo più grande amore. Il grido di abbandono di Gesù poco prima della sua morte in croce diventa per noi discepoli il modello più perfetto di amore. Questo è, infatti, l'atto di perfetta obbedienzaiv.

Un amore così, vissuto dall’uomo e dalla donna davanti a Dio come risposta incondizionata di amore e, allo stesso tempo, vissuto con la stessa intensità e qualità di fronte a ogni persona umana, è in grado di continuare ad offrire vita e felicità là dove esse sembrano spegnersi e finire. Credo sinceramente che abbiamo qui una realtà spirituale e umana in grado di rilanciare e sviluppare la vita cristiana pur nel suo attuale momento di crisiv.

Un discepolo di Gesù, che ama l’uomo o la donna secondo l'Amore che è Dio, con un amore divino e umano allo stesso tempo, crea le migliori condizioni perché l'altro, amato, provi la gioia e la vera felicità e voglia anch’egli percorrere la stessa strada fatta dal discepolo di Gesù che lo ha amato. Quando questo accade tra due o più persone, si realizza la promessa fatta da Gesù in Mt 18, 20. Tra di loro si inizia una vera comunità, dove si avverte la presenza di Gesù. Questa presenza, attraente di per sé, diventa evangelizzatrice e fa sì che la comunione diventi la vera ed essenziale condizione della missione evangelizzatrice, con risultati visibili e sorprendentivi.

Così l'Amore, che è reciprocità tra le Persone della Santissima Trinità, diventa reciprocità tra i discepoli e genera la presenza del Signore in mezzo a loro. In tal modo si comprende che la missione nasce dalla comunione e di essa si nutre. Possiamo anche dire con convinzione che il Verbo si è fatto carne affinché la carne si faccia comunione, nutrita dalla Parola e dall'Eucaristia. Abbiamo richiamato così, come esperienza da viversi oggi nella comunità, le caratteristiche delle prime comunità di Geru-salemme: erano uniti nella dottrina degli Apostoli (la Parola di Dio), nella koinonia (la comunione) e nella frazione del pane (l’Eucaristia) (cfr. At 2, 42).

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, citando il "Fides Damasi”vii dice: «Dio è uno, ma non solitario» (n. 254). L'amore, l'essenza di Dio, comunione essenziale delle Tre Persone divine, è la fonte e l'origine dell'essenza dell'uomo e della donna. Gesù, il Figlio inviato dal Padre, ci ha rivelato e comunicato questo mistero. È Gesù che ha vissuto in mezzo a noi in questo modo, lasciandoci attraverso gli Apostoli la testimonianza dei suoi gesti e delle sue parole.

Possiamo in verità credere all'incarnazione del Verbo che ha rivelato e comunicato all'uomo e alla donna l'amore che rende i Tre comunione. Come per il Verbo di Dio, la strada che consente all’uomo e

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alla donna di trovare l'amore ed essere l'amore è la kenosis, svuotamento di se stessoviii per essere per l'altro, per amore.

Questa stessa strada è percorsa dal Signore nella dimensione dell'Eucaristia. L'Eucaristia è un abisso assai grande di svuotamento da parte del Signore. La consegna di questo mistero ai discepoli ha provocato un grande scandalo. Alcuni hanno abbandonato definitivamente il Maestro. "O res mirabilis" l’ha chiamata la pietà eucaristica, perché sul Calvario, l’Amore, che è Dio, ha nascosto la divinità di Gesù per essere vicino ad ogni persona. Nell'Eucaristia l'Amore nasconde anche la sua umanità, diventando “cosa” per essere vicino ai suoi, simultaneamente in tutto il mondo.

Conclusione Concludendo questo nostro itinerario di oggi sulla vita consacrata, a 50 anni dal Concilio, raccolgo

qui alcuni punti salienti del percorso che abbiamo fatto, perché siano di stimolo positivo per il nostro impegno di consacrati e consacrate.

* L'esperienza di Dio come Amore ha bisogno di rioccupare il centro della vita consacrata, in modo che il carisma del Fondatore o della Fondatrice sia lo specchio e il cammino del discepolo. La bellezza di ogni carisma dovrà essere vista come un fiore della Chiesa che rientra nel giardino dei molti altri fiori, la cui bellezza sarà aggiunta nello stesso giardino della Chiesa.

* È necessario costruire pazientemente la vita comunitaria, concentrando tutte le forze nel vivere la Parola di Dio per poi comunicarla ai fratelli e alle sorelle come reale esperienza. Fare il passaggio da una spiritualità individuale ad una spiritualità di comunione, ricostruendo le relazioni interpersonali alla luce del mistero della SS. Trinità. Assumere, in spirito di comunione, le strutture di comunione, che passano attraverso gli organismi ai vari livelli ecclesiali e carismatici delle nostre Famiglie religiose.

* A livello personale, migliorare l'esperienza dei consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. Entrare e rimanere nelle ferite personali delle nostre comunità, della Chiesa e dell'umanità con lo stesso spirito di Cristo che grida il suo abbandono e la sua consegna per amore. Credere nel centuplo che il Signore ci dà in questa vita e nella vita eterna. Tornare a sorridere nella nostra Congregazione, come espressione autentica della nostra felicità. Semplificare il percorso spirituale di comunione, dando tutto il valore possibile al momento presente della nostra vita: questo è l’unico di cui realmente disponiamo.

i Questo dato teologico è ripreso dall’Esortazione apostolica Vita consecrata, in cui s. Giovanni Paolo II fornisce la motivazione, unendo la vita consacrata direttamente con la sua fonte per il fatto che «la professione dei consigli evangelici è intimamente connessa col mistero di Cristo, avendo il compito di rendere in qualche modo presente la forma di vita che Egli prescelse, additandola come valore assoluto ed escatologico. Gesù stesso, chiamando alcune persone ad abbandonare tutto per seguirlo, ha inaugurato questo genere di vita che, sotto l'azione dello Spirito, si svilupperà gradualmente lungo i secoli nelle varie forme della vita consacrata. La concezione di una Chiesa composta unicamente da ministri sacri e da laici non corrisponde, pertanto, alle intenzioni del suo divino Fondatore quali ci risultano dai Vangeli e dagli altri scritti neotestamentari» (VC 29).

ii Per questi appelli, a causa del carattere profetico della vita consacrata, potremmo aggiungere le domande che Papa

Francesco ha fatto durante la sua omelia per la Pentecoste: «La novità ci fa sempre un po’ di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo (…) abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti (…). Domandiamoci oggi: siamo aperti alle “sorprese di Dio”? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello Spirito Santo? Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza?» (FRANCESCO, Omelia nella Solennità di Pentecoste, 19 maggio 2013, 1).

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iii Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 254. iv Cfr. GIOVANNI PAOLO II, NMI 37; CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 27. v Cfr. VC 24: La dimensione pasquale della Vita consacrata. vi Nella di vita di comunità dovrebbe anche diventare in qualche modo tangibile che la comunione fraterna, prima di

essere strumento per una determinata missione, è spazio teologale, dove si può sperimentare la mistica presenza del Signore risorto (cfr. Mt 18,20) (cfr. S. BASILIO, Le regole più brevi, q. 225: PG 31, 1231). Questo avviene grazie all'amore reciproco di quelli che compongono la comunità (VC 42 § 3; cfr. 72).

vii Professione di fede di Papa Damaso (cfr. DS 71). viii LONGHITANO T., Vita trinitaria e kénosi, Urbaniana University Press, Roma 2013; CODA P., L'altro di Dio,

Rivelazione e kénosi in Sergej Bulgakof, Città Nuova, Roma 1998; MITCHELL D.W., Saggio sulla kenosi cristiana nell'ottica del dialogo interreligioso, Nuova Umanità XXV (2003/3-4) 147-148, pp. 457-502.