veganzetta numero 2/2 - 15 aprile 2008

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Attiviste ed attivisti travestiti da Agnelli antropomorfi che indossano tute bianche imbrattate di sangue, che espongono silenziosi immagini rac- capriccianti di Agnelli (questa volta veri, purtroppo) scannati a turisti INDICE Pagina 1: PASQUA CHI MANGI? PRECISAZIONI SU ALCUNI TERMINI UTILIZZATI Pagina 2: ETCA E SCIENZA ALLEATE CONTRO LA VIVISEZIONE Pagina3: NELLA SOFFERENZA LA FONTE DEI DIRITTI NECROFAGIA: LIBERTA’ O SCHIAVITU’ BIOGRAFIA DI UNA VITTIMA: IL PICCOLO CANE Pagina 4: STRATEGIA VIRALE (PARTE PRIMA) Pagina 5: DOVERI UMANI O DIRITTI ANIMALI? Pagina 6: ABITARE I CONFINI VEGANZETTA Pubblicazione amatoriale, aperiodica a distri- buzione gratuita, senza scopo di lucro. Tutti i diritti riservati ai rispettivi autori. Redazione vegana: Cristina Zanatta: layout, lettering, impagina- zione. Gloria Salvador: revisione bozze. Adriano Fragano: ricerca, elaborazione conte- nuti. Andrea Furlan: progetto grafico, elaborazione contenuti. Hanno collaborato: Filippo Schillaci, Massimo Filippi, Andrea Landini. Risorse web: www.veganzetta.org/risorse.html Per informazioni: E-mail: [email protected] Web: www.veganzetta.org Vuoi ricevere il prossimo numero della VEGANZETTA? Invia francobolli per Euro 1,40 in busta chiu- sa, a: VEGANZETTA c/o J-Studio, via T. Salsa 45, 31100 Treviso "Umano/i" : non intendiamo utilizzare il sostantivo maschile "uomo" in quanto termine carico di significati filosofici e culturali che volutamente pongono la specie umana al di sopra di altre specie animali. "Animale/i": utilizziamo tale sostantivo per facilitare la leggibilità del testo. Il termine "Animali" in realtà è da intendersi sostitutivo di "Animali non Umani", o "altri Animali", o "Non Umani", in sintesi tutte le specie animali diverse dalla specie animale umana. Riconosciamo a tale termine una valenza assolutamente positiva della Animalità e utilizziamo la "A" maiuscola per sottolineare la dignità intrinseca e pari a quella umana di ogni Animale diverso dall'Animale Umano. "Cane, Maiale, ecc" : utilizziamo tali sostantivi con l'iniziale maiuscola per conferire pari dignità tra le diverse specie animali, in relazione a quella Umana. Anno II - Numero 2 - 15 Aprile 2008 - Versione Web 1 A Pasqua CHI mangi? PRECISAZIONI SU ALCUNI TERMINI UTILIZZATI e passanti, a famiglie e a ragazzi nel pieno centro storico di una Firenze pre pasquale. Tutto questo è accaduto il 9 ed il 22 marzo, organizzato da CEDA, OIPA e Progetto Vivere Vegan con l'au- silio di pubblicità r e a l i z z a t e d a C a - Campagneperglianimali: "A Pasqua CHI mangi?". Utile? Inutile? Retorico? Le domande sono lecite. A prescindere dalla risposta che non può che essere soggettiva ed indi- viduale, è importante sottolineare l'u- tilità di eventi del genere che contri- buiscono fattivamente a sollevare il pesante velo di ipocrisia che amman- ta, per la gioia di tutti coloro che non sopportano le questioni di coscienza, l'industria dello smontaggio dei corpi di milioni di Animali. Se ciò può aiu- tare ad abbassare finalmente lo sguar- do su CHI soffre e viene ammazzato per il nostro tornaconto, allora non possiamo che appoggiarlo e contribui- re nel nostro piccolo a divulgarlo. Anche queste festività religiose sono passate, portandosi via un ennesimo immenso carico di sofferenza e morte; tutto pare già dimenticato, ma non è così: è nostro dovere morale fare in modo che questa orribile ciclicità abbia una fine. La Redazione

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Giornale di informazione vegana ed antispecista

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Page 1: Veganzetta numero 2/2 - 15 aprile 2008

Attiviste ed attivisti travestiti daAgnelli antropomorfi che indossanotute bianche imbrattate di sangue, cheespongono silenziosi immagini rac-capr i c c i an t i d i Agnelli (questavolta veri, purtroppo) scannati a turisti

INDICE

Pagina 1:

PASQUA CHI MANGI?

PRECISAZIONI SU ALCUNITERMINI UTILIZZATI

Pagina 2:

ETCA E SCIENZA ALLEATECONTRO LA VIVISEZIONE

Pagina3:

NELLA SOFFERENZA LAFONTE DEI DIRITTI

NECROFAGIA: LIBERTA’ OSCHIAVITU’

BIOGRAFIA DI UNA VITTIMA:IL PICCOLO CANE

Pagina 4:

STRATEGIA VIRALE(PARTE PRIMA)

Pagina 5:

DOVERI UMANI O DIRITTIANIMALI?

Pagina 6:

ABITARE I CONFINI

VEGANZETTAPubblicazione amatoriale, aperiodica a distri-buzione gratuita, senza scopo di lucro.Tutti i diritti riservati ai rispettivi autori.

Redazione vegana:Cristina Zanatta: layout, lettering, impagina-zione.Gloria Salvador: revisione bozze.Adriano Fragano: ricerca, elaborazione conte-nuti.Andrea Furlan: progetto grafico, elaborazionecontenuti.

Hanno collaborato: Filippo Schillaci, Massimo Filippi, Andrea Landini.

Risorse web: www.veganzetta.org/risorse.html

Per informazioni:E-mail: [email protected]: www.veganzetta.org

Vuoi ricevere il prossimo numero dellaVEGANZETTA? Invia francobolli per Euro 1,40 in busta chiu-sa, a:VEGANZETTA c/o J-Studio, via T. Salsa 45, 31100 Treviso

"UUmano/i" : non intendiamo utilizzare il sostantivo maschile "uomo" in quantotermine carico di significati filosofici e culturali che volutamente pongono laspecie umana al di sopra di altre specie animali. "Animale/i": utilizziamo talesostantivo per facilitare la leggibilità del testo. Il termine "Animali" in realtà è daintendersi sostitutivo di "Animali non Umani", o "altri Animali", o "Non Umani",in sintesi tutte le specie animali diverse dalla specie animale umana.Riconosciamo a tale termine una valenza assolutamente positiva dellaAnimalità e utilizziamo la "A" maiuscola per sottolineare la dignità intrinseca epari a quella umana di ogni Animale diverso dall'Animale Umano. "Cane,Maiale, ecc" : utilizziamo tali sostantivi con l'iniziale maiuscola per conferirepari dignità tra le diverse specie animali, in relazione a quella Umana.

Anno II - Numero 2 - 15 Aprile 2008 - Versione Web

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A Pasqua CHI mangi?

PRECISAZIONI SU ALCUNI TERMINI UTILIZZATI

e passanti, a famiglie e a ragazzi nelpieno centro storico di una Firenze prepasquale. Tutto questo è accaduto il 9ed il 22 marzo, organizzato da CEDA,OIPA e Progetto Vivere Vegan con l'au-silio di pubblicità r e a l i z z a t e d aC a - C a m p a g n e p e r g l i a n i m a l i :" A Pasqua CHI mangi?". Utile?Inutile? Retorico? Le domande sonolecite. A prescindere dalla risposta chenon può che essere soggettiva ed indi-viduale, è importante sottolineare l'u-tilità di eventi del genere che contri-buiscono fattivamente a sollevare ilpesante velo di ipocrisia che amman-ta, per la gioia di tutti coloro che nonsopportano le questioni di coscienza,l'industria dello smontaggio dei corpidi milioni di Animali. Se ciò può aiu-tare ad abbassare finalmente lo sguar-do su CHI soffre e viene ammazzatoper il nostro tornaconto, allora nonpossiamo che appoggiarlo e contribui-re nel nostro piccolo a divulgarlo.Anche queste festività religiose sonopassate, portandosi via un ennesimoimmenso carico di sofferenza e morte;tutto pare già dimenticato, ma non ècosì: è nostro dovere morale fare inmodo che questa orribile ciclicitàabbia una fine. La Redazione

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Pensare che antivi-visezionismo etico escientifico sianoconcetti in antitesi èstrategicamente unerrore: tentare diindire crociate con-tro chi si schiera afavore dell'uno piut-tosto che dell'altronon solo è dannosoper la causa, ma èaddirittura stupido,come stupidi sono icontinui scontri trafazioni animalisteche contribuisconosolo ad aumentaregli sforzi già enormidi combattere labarbarie della vivisezione. E'necessario invece considerareche le due anime dell'antivivise-zionismo sono distanti concet-tualmente, diverse metodologi-camente, ma né avversarie, nétantomeno nemiche. Dato cherisulta impossibile una conci-liazione tra di esse, dovrebbeperlomeno esserci un accordodi non belligeranza, ossia, inestrema sintesi, una dimostra-zione di intelligenza. Nello scor-so numero abbiamo affrontatobrevemente alcuni aspetti del-l'antivivisezionismo scientifico,in questo articolo per par con-dicio proponiamo alcune consi-derazioni di ordine praticoriguardanti l'antivivisezionismoetico. Per entrambi gli argo-menti sono stati pubblicatinumerosi ed eruditi scritti, per-tanto come redazione abbiamodeciso di non addentrarci in uncampo specialistico che non cicompete, ma di fornire a chilegge delle indicazioni di carat-tere generale ed orientativo.Rimandiamo quindi ad altre let-ture chi desidera approfondirela questione. Opporsi per moti-vi morali alla vivisezione èquanto di più efficace vi possaessere dal punto di vista strate-gico, perché di fatto, una con-vinzione morale, se supportatadalla coerenza, è effettivamentedifficilmente attaccabile.Asserire che, indipendentemen-te dal fatto che vi possa essereo meno un "beneficio" per lanostra specie dalla sofferenza ela morte di migliaia di altre spe-

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questione: è taleidea ad essere riget-tata, ma ciò presup-porrebbe una visio-ne del problema bendiversa da quelladell'antivivisezioni-smo scientifico chesi propone di com-battere la vivisezio-ne dal suo interno,con le sue stessearmi, sul suo stessopiano. Il versanteetico rappresentauna scelta ben piùimpegnativa, pre-suppone un rifiutoaprioristico di tuttequelle attività che

prevedano lo sfruttamento del-l'altro per interessi personali,anche a costo di privarsi di pos-sibili benefici. Ma un beneficio,una conquista scientifica utileper l'essere umano, se ottenutacon la sofferenza ed il sangue dimilioni di vittime innocenti èaccettabile? Se lo è, se il finepuò in taluni casi giustificare imezzi, senz'ombra di dubbio cisi ritroverebbe davanti ad unanimalismo welfarista, ad unavisione riformista della nostrasocietà, che si culla ancoranella speranza che tutto siarecuperabile. Se per controtutto ciò non può essere accet-tato, allora l'orizzonte si apre aspazi ancora inesplorati chepossono arrivare a concepire l'i-dea di una nuova societàumana liberata, dove la soffe-renza altrui non può essere unmezzo per l'ottenimento dibenefici di parte, in nessuncaso. Schierarsi sul versanteetico significa quindi ammette-re che non è tutto facile edindolore, che non esiste cam-biamento senza sacrificio,senza rinuncia. Schierarsi sulversante etico significa assu-mersi finalmente le proprieresponsabilità e provare sullapropria pelle (in tutti i sensi) ciòche oggi proviamo con la forzasulla pelle degli altri.Adriano Fragano

Note:* Vedasi: Karl Popper - Logicadella scoperta scientifica(1934).

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ETICA E SCIENZA ALLEATE CONTRO LA VIVISEZIONE

cie di Animali, tale pratica èmoralmente inaccettabile, èun'argomentazione di enormeforza. A ben pensarci il rifiutomorale può essere consideratouna soluzione definitiva al pro-blema, mentre l'approccioscientifico non lo è per il sem-plice fatto che un'ipotesi scien-tifica teoricamente può essereconfutata (*), e nel momentoche la scienza stessa riuscissea dimostrare per assurdo chel'uso di "modelli animali" (ter-mine meccanicista per indicareAnimali sottoposti a sevizie etorture) può rappresentare unreale beneficio per gli interessispecisti umani, allora tuttol'impianto accusatorio dell'an-tivivisezionismo scientificocrollerebbe. Ciò non significa inalcun modo credere che la vivi-sezione possa essere utile, masemplicemente ammettere dinon essere in grado di prevede-re le evoluzioni della scienza,ad esempio, in materia (tantoper citarne una) di ingegneriagenetica. Pertanto l'idea di pro-vare che la vivisezione non habasi scientifiche, potrebbe rive-larsi un pericoloso boomerang.Lo stesso non si potrebbe diredel rifiuto morale dell'antivivi-sezionismo etico, per il qualenon ha importanza che esista omeno una reale efficacia delmetodo, semplicemente perchéè il metodo stesso che non èaccettato. L'idea che sfruttare,torturare ed uccidere altri esse-ri senzienti possa favorire deinostri interessi è il fulcro della

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Nel 1789 Jeremy Bentham pubblicò ThePrinciples of Morals and Legislation, untesto fondamentale alla base del moder-no pensiero filosofico utilitarista (*): l'es-senza dell'uguaglianza morale si fondasul principio per cui ciascuno deve con-tare per uno e nessuno per più di uno.In altre parole gli interessi di ogni esserecoinvolto in un'azione devono esserepresi in considerazione e valutati allastregua degli interessi analoghi di ognialtro essere. Un utilitarista posteriore,Henry Sidgwick, pose la questione in ter-mini più espliciti: "Il bene di ciascunindividuo non è di maggiore importanza,dal punto di vista (se così si può dire)dell'Universo, del bene di ogni altro indi-viduo". L'implicazione più importante diquesto principio è che la nostra preoc-cupazione per gli altri (dove per altri siintende qui qualsiasi altro essere sen-ziente) e la nostra propensione a consi-derare i loro interessi non devono dipen-dere da come loro sono e dalle capacitàche possiedono. Riguardo ai diritti degliAnimali la caratteristica basilare cheattribuisce a un essere vivente il diritto

ad un'eguale considerazione, secondoBentham, è il suo interesse minimofondamentale: la possibilità di provarepiacere o dolore. Il problema non èquindi: "Possono ragionare?", né"Possono parlare?", ma "Possono sof-frire?". Se un Animale soffre non puòesistere nessuna giustificazione mora-le per rifiutarsi di prendere in conside-razione tale sofferenza. Ed è su questofondamento che si basa l'attuale anti-specismo inaugurato da Peter Singer(Animal Liberation edito nel 1975): lospecismo (termine coniato da filosofoinglese Richard Ryder) è un pregiudi-zio o atteggiamento di prevenzione neiconfronti di altre specie, a favore degliinteressi dei membri della propriaspecie. Nella stragrande maggioranzadei casi la mentalità "comune" è quel-la per cui il valore di un Umano èsuperiore di quello di un altroAnimale, questo in modo assoluto(etim. ab-solutus, slegato), cioè a pre-scindere dalle condizioni dei due esse-ri, ma sulla base appunto dell'appar-tenenza a una specie diversa. In EticaPratica (1979) Singer riformula il prin-cipio utilitarista in questi termini: "Gliinteressi di un individuo comprendo-no tutto ciò che.. può desiderare.." Eancora: "Se solo X e Y sono riguardatidalle conseguenze di un'azione, e se Xperde di più di quanto Y guadagni, èmeglio non compiere quell'azione".Dunque secondo Singer il fatto cheun'azione sia giusta o sbagliata dipen-de dal fatto che le sue conseguenzesiano buone o cattive: un'azione habuone conseguenze se promuove nellamisura migliore (massimizza) il benes-sere generale. E' evidente come siapossibile applicare questo principioalle questioni riguardanti il nostro

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N E L L A S O F F E R E N Z A L A F O N T E D E I D I R I T T I

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BIOGRAFIA DI UNA VITTIMA

E' salito agli onori (orrori) delle cronacheun video amatoriale che ritrae un Umanoin divisa da soldato che tiene in mano unneonato di Cane, lo mostra alla telecameraridendo e poi lo getta in un crepaccio. Nelleprime sequenze si vede il volto di quel pic-colo tenuto per la collottola da una manoumana guantata: nel suo volto vi è tutta lasincerità e la inconsapevolezza, il bisognodi amore che porta a fidarsi, di qualsiasibambino. Scodinzolava. Era lì, sospeso,inerme, istintivamente fiducioso nella vita.Ma quando l'Umano lo ha lanciato ha gri-

dato, perché aveva percepito il tradimento,la violenza, la fredda malvagità rivoltaverso di lui, non perché sapeva di stare permorire. Cerchiamo di immaginare la suavita, prima di quel momento fatidico, affin-ché egli non sia solo quel cumulo di foto-grammi gettati in pasto alla curiositàumana. Nacque in una terra calda e arida,ancor più inaridita dagli orrori della violen-za della guerra che tutti indistintamentecolpisce, vittime e carnefici. Forse suamadre ed i suoi fratelli furono uccisi, forselui fu strappato alla sua famiglia per ungioco crudele. Ma sicuramente fece intempo a dormire accanto ai suoi fratelli eda sua madre per un po' di giorni, godendodel calore della sicurezza di una famiglia.

Sicuramente la sua voglia di vivere glimostrava un mondo comunque interessan-te per quanto devastato: era l'unico mondoche conosceva e nel quale trovava i suoispazi di gioco, gioia e serenità con la suafamiglia. Fino a quando qualcuno entrò inquesto mondo e forse con la forza, forsecon l'inganno, lo prese e lo catapultò dalsuo piccolo e sereno nido famigliare e lomostrò al mondo negli ultimi istanti dellasua vita, così, tanto per ridere. Col suogesto di sopraffazione l'Umano ha mostra-to al mondo la sua pochezza e la forza tita-nica di uno sguardo che chiede ed è pron-to a dare amore, perché il protagonista erae sarà solo lui, il piccolo Cane.Andrea Furlan

IL PICCOLO CANE

rapporto con gli Animali; e come il risul-tato sia inevitabilmente uno stile di vitache contribuisca a danneggiare il menopossibile gli altri, come ad esempio quel-lo vegano. Consideriamo, quindi, l'esem-pio dell'alimentazione. La dieta onnivoraprevede la sofferenza e la morte dinumerosissimi Animali, spesso allevatiin condizioni terribili, in spazi angusti econ metodi industriali che necessaria-mente (inseguendo il massimo profittocon la minor spesa) riducono questiesseri viventi a oggetti. Noi Umani nonnecessitiamo per la sopravvivenza di ali-menti di origine animale. Applichiamoora il principio utilitarista di Singer.L'Animale X, destinato a divenire ilnostro cibo, perde la vita (dopo un'esi-stenza di atroci sofferenze). L'AnimaleUmano Y nella stessa situazione ottieneil "soddisfacimento" del proprio palato.Da che parte pende la bilancia utilitari-sta? E' più importante l'ingordigiadell'Umano (che può vivere, e con piùsalute, anche senza alimenti animali) ola vita dell'Animale? Soffre di piùl'Umano a rinunciare alla carne ol'Animale che è ucciso? Lo stesso sem-plice principio può essere applicato inogni ambito che veda un rapporto traUmano e Animale.Andrea LandiniNote:*utilitarismo = L' utilitarismo (dal latinoutilis, utile) è una dottrina filosofica dinatura etica per la quale è "bene" (o "giu-sto") ciò che aumenta la felicità degliesseri sensibili. Si definisce perciò utili-tà la misura della felicità di un esseresensibile.Secondo questa dottrina si deve semprecompiere quell'azione la quale tra lealternative produce le conseguenzemigliori.

NECROFAGIA: LIBERTA' O SCHIAVITU'?La possibilità di nutrirsi dei cadaveri diAnimali uccisi (necrofagia) in questomondo multiforme appare anche comeun esercizio della libertà individuale. Manon lo è. In verità è solo un esercizio dipotere e sopraffazione, anzi, nella moder-na società dei consumi, è solo un eserci-zio di complicità, più o meno consapevo-le. Dunque neppure chi sulle orme diNietzsche asserisse che l'essenza dellavita è sopraffazione come espressionedella volontà di potenza (e con ciò giusti-fica la violenza, con buona pace diNietzsche, in maniera piuttosto superfi-ciale) potrebbe dare tale importanza allanecrofagia consumistica che è solo com-plicità e sottomissione ad un modello

imposto. Paradossalmente l'esistenza dipersone vegane pare giustificare tale ipo-tetica libertà individuale: “come voi sieteliberi di non mangiare "carne", così noidobbiamo essere liberi di mangiare"carne"”. Dovrebbe essere palese achiunque che non si tratta della stessacosa. Eppure la realtà ci urla che non atutti è così palese, a meno che non siammetta che il novantanove percentodella popolazione umana è consapevol-mente crudele. Invece il punto salientedella questione sta nella "distanza": nelladistanza dalla percezione della sofferen-za delle vittime Animali. Nella distanzadalle vittime stesse, percepite non come"esseri" ma come "cose", facenti parte di

un ordine costituito, condiviso e immu-tabile. E' tutto qui (per così dire): chi pra-tica la necrofagia non è consapevole (onon vuole esserlo) della morte e della sof-ferenza che causa con la sua azioneoppure, se ne ha consapevolezza, si con-vince che la sofferenza di un Animale siadiversa da quella di sua madre. Non èlibero, bensì schiavo della falsità di cui ècomplice e spesso co-autore per metterea tacere la coscienza e continuare la sua"tranquilla" esistenza, fatta di supermer-cati luccicanti e allegri ristoranti. Unsogno collettivo autoindotto da cui ogniUmano dotato di coraggio e sincerità sidovrebbe svegliare alle orrende e veridi-che urla di sofferenza delle moltitudinidelle vittime.Andrea Furlan

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Sappiamo in che mondo viviamo.Sappiamo di essere in un mondo lan-ciato in una plurimillenaria pratica didominio violento su ogni forma di vita,conseguente alla pretesa di crescitaillimitata dell'economia. Sappiamo chequesta pratica devastante si fa scudodi un altrettanto plurimillenariomodello culturale che le fornisce lagiustificazione ideologica: l'antropo-centrismo o specismo. Sappiamo cheun mondo liberato, un mondo delrispetto e del bene comune necessa-riamente esteso a ogni forma di vitaimplica la radicale trasformazione nonsolo del modello culturale ma anchedell'assetto economico-produttivo.Implica in altre, brevi, parole, lacostruzione di un'altra società. Nonsappiamo ancora come essa dovràessere ma certamente sappiamo chala nonviolenza nella sua forma piùestesa dovrà esserne il cardine.Un'altra cosa non sappiamo ancora:come fare a costruirla, ad aprire aessa una strada nell'invadenza e nel-l'onnipresenza del "sistema". Ma sap-piamo che esiste un gigantesco divariofra le forze in mano a esso e quelle dicoloro che ne vorrebbero mutare lebasi. E abbiamo la meta di una socie-tà nonviolenta verso ogni vita e versola biosfera come punto di riferimento.Forse è abbastanza per capire comemuoversi per arrivarci davvero.Udiamo spesso termini come "scon-tro", "situazioni conflittuali", "strategiedi disturbo", in altre parole la propo-sta della forza come utile piano dilotta. Aprirsi la strada introducendoun crescente "rumore di fondo" nellasocietà che contrasti in campo più omeno aperto il "sistema" destandone,inev i tab i lmente , l a r eaz i one .Quest'ultimo punto non solo non èritenuto negativo ma anzi è ritenuto ilprincipale criterio per valutare l'effica-cia dell'azione. La prima cosa da faredunque è capire perché questa viaconduce al precipizio. Innanzi tutto,quando si pensa a una conflittualitàbisogna capire fra chi e chi sorge ilconflitto, ovvero, per dirla in intellet-tualese, chi sono i "soggetti storici". Sepensiamo per un momento alle grandirivoluzioni del passato, il problemaera chiaro: da una parte una tiranniada abbattere, dall'altra grandi massepopolari in stato di oppressione e dun-que potenzialmente sensibili alla pro-spettiva del mutamento radicale. Isoggetti storici in gioco insommaerano chiari e facilmente circoscrivibi-li. Se pensiamo invece alla societàdella crescita illimitata e dell'antropo-centrismo, il problema è del tuttodiverso. Qui non c'è nessuna tiranniada abbattere ma un'intera sociocultu-ra di proporzioni planetarie da mutarefin dalle fondamenta. E non c'è nes-sun soggetto rivoluzionario - non c'ènemmeno per le istanze interne all'u-

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L a s t r a t e g i a v i r a l e ( p r i m a p a rt e )manità - perché il signor Rossi deiPaesi industrializzati ha ormai la pan-cia piena e ne è totalmente inebetito alpunto da eleggere egli stesso i governiche puntualmente provvedono a spen-narlo. Eventualmente un tale sogget-to potrebbero essere i poveri assolutidel terzo mondo ma la loro sarebbeun'altra lotta di liberazione, che nonnecessariamente includerebbe quelladi cui stiamo parlando qui. Le istanzealternative - e soprattutto quelle anti-speciste - vengono oggi portate avantiin occidente da minoranze più o menodissenzienti che, anche se fossero benorganizzate e collegate sarebberocomunque minoranze. Mancano dun-que le condizioni fondamentali perporre il discorso sul piano della con-flittualità: la circoscrivibilità dell'av-versario e un positivo rapporto di forzacon esso. Quest'ultimo punto è conse-guenza del fatto che chi è vittima del-l'oppressione (parliamo qui di tutte leforme di vita senziente non umanache popolano la Terra) non è lo stessosoggetto che può divenire soggetto delcambiamento. E questo è un puntoirrimediabile. Dunque ogni strategiadi lotta deve avere come suo requisitofondamentale l'applicabilità sulla basedi piccoli numeri. Perché questi sonoquelli che abbiamo e avremo a dispo-sizione. Tutto il resto è fantasticheria.Ora, una strategia che certamentenon soddisfa questo requisito - insie-me a vari altri - è proprio quella della"conflittualità". Di seguito elencoquattro motivazioni contro questa ipo-tesi.a) Essere coerenti. Vogliamo unmondo senza violenza, senza sfrutta-mento, senza sopraffazione. Unmondo in cui la competizione e laforza non siano più valori fondamen-tali. E come vogliamo arrivarci?Utilizzando, fra tutti i metodi di lotta,la competizione violenta. Mostrandocioè di essere i primi a non crederenella realistica praticabilità di ciò chesosteniamo. A meno che non ci faccia-mo fautori della teoria della "guerragiusta", la famigerata ultima guerrache metterà fine a tutte le guerre (lanon violenza è praticabile ma solodopo che avremo violentemente debel-lato l'avversario). Venendoci però atrovare con ciò, sul piano storico, inpessima, pessima compagnia. "Il finesta nei mezzi come la pianta nelseme": diceva Gandhi e, come spessogli accadeva, aveva ragione. Ovvero, sevogliamo un mondo non violento, nonviolenta deve essere la via che vi con-duce.b) Motivazione tattica: non affrontarel'avversario sul suo terreno. Il peggiorallenatore sa che le partite più sfavo-revoli sono quelle in cui l'avversariogioca in casa. E lo scontro aperto, laprova di forza è proprio il terreno dilotta più congeniale al potere, qualun-

que forma esso assuma. Il potere, pro-prio perché tale, è attrezzatissimo suquesto campo. In più lo scontro è l'u-nica circostanza in cui esso non habisogno di ricorrere a nessuna "astu-zia storica" ma può tranquillamentemostrarsi a viso aperto. Perché dun-que rendergli le cose più facili?c) Motivazione strategica. E' il discor-so di prima: non c'è un avversario bencircoscrivibile (contro chi esattamenteandiamo a fare le barricate in piazza?),non c'è un soggetto rivoluzionario soli-do (chi va a fare le barricate in piaz-za?) né esistono le condizioni storicheper la sua formazione.d ) M o t i v a z i o n e c u l t u r a l e :Immaginiamo di insistere nel voleraffrontare l'avversario sul terrenodella prova di forza. Sappiamo che egliha uomini e mezzi specificamenteaddestrati e concepiti per lo scopo. Peravere speranza di vittoria dobbiamo,oltre che essere anche noi abbastanzanumerosi, diventare anche noi bravi,molto bravi in questo campo. Più bravidell'avversario (dobbiamo vincere,no?). Per ottenere ciò dobbiamo impe-gnarci a fondo, molto a fondo, pratica-mente tutte le nostre risorse materialie intellettuali devono essere finalizzatea questo scopo. Solo a questo puntopotremo fare la nostra brava rivoluzio-ne e vincerla. Solo che poi ci accorge-remmo che il mondo non è cambiatose non in peggio. Perché nell'impe-gnarci così a fondo nell'acquisire illoro modo di fare avremo provocatoanche un piccolo, inavvertito effettocollaterale: avremo acquisito anche illoro modo di essere: saremo diventatiloro. Anzi no, ancora di più: nondimentichiamo che siamo dovutidiventare "più bravi" di loro nell'usodella forza, ovvero peggiori di loro. Sequesto sarà il modo in cui li affronte-remo dovremo augurarci una solacosa: che vincano loro; almeno le cosenon peggioreranno.Quanto alla reazione del sistema comecriterio per valutare l'efficacia dell'a-zione di chi vuol cambiarlo, immagi-niamo una iniziativa conflittuale "effi-cace", cioè fastidiosa. Immaginiamouna reazione del sistema. E poi? Duescenari possibili: o la reazione è statapiù efficace e allora ne siamo usciticon le ossa rotte o noi siamo stati piùefficaci e allora incorriamo nella situa-zione descritta sopra al punto d).Alternative? Sì, c'è un altro scenario:quando l'azione è stata condotta inmaniera tale da mettere il sistema nel-l'impossibilità di reagire. Qui forseavremmo qualcosa da imparare dalladottrina della non azione del buonvecchio taoismo: non azione che nonsignifica assenza di azione ma un'a-zione che non provoca una reazione.Vincere senza contendere. Fantasie?Filippo Schillaci

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Anno II - Numero 2 - 15 Aprile 2008 - Versione Web

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D O V E R I U M A N I O D I R I T T I A N I M A L I ?"La delimitazione della volontà, oragione pratica, rispetto all'arbitrioconsente a Kant di porre in evidenzala specificità dell'etica rispetto al dirit-to, ossia della legislazione etica rispet-to a quella semplicemente giuridica.Mentre la prima fa dell'azione undovere e del dovere un movente dellavolontà, tanto che per poter parlare dieticità si deve sempre partire dall'ideadel dovere, la seconda ammette altrimoventi per le azioni, tra i quali, oltreall'inclinazione e repulsione, anche l'i-dea di una coazione esterna che unitaalla legalità delle azioni, cioè del sem-plice accordo con le leggi, fondi il dirit-to in senso stretto. In etica l'uomo ècostretto dall'idea del dovere che laragione assume come massima dell'a-zione, nell'ambito del diritto vi sono sìdoveri ma esterni, poiché non si esigeche l'idea di dovere sia motivo deter-minante soggettivo dell'arbitrio" (*).Questo passo offre uno stimolantespunto di riflessione sul concetto didovere, ed ancor meglio sul concettodi dovere antispecista, da contrappor-re (o se si vuole, da confrontare) aquello fino ad oggi discusso di dirittianimali. Tale differenziazione puòsembrare inconsistente, in realtà ladicotomia è considerevole e non anco-ra sufficientemente affrontata. Proprioper tale motivo, sarebbe interessanteavviare una seria riflessione sull'op-portunità di poter ancora parlare didiritti animali, e non invece della pos-sibilità di cominciare a discutere didoveri umani. La specificità etica delconcetto di dovere è di primariaimportanza per una filosofia, comequella antispecista, che fa della mora-le, e delle sue implicazioni etiche, unelemento cardinale. Il continuo inter-rogarsi sul rapporto Umano-Animale,la volontà di riconoscere agli esclusi(Non-Umani? A-Umani?) una serie didiritti fondamentali di cui giovano gliappartenenti alla nostra specie, impli-cano l'allargamento della sfera moraleumana agli Animali, o meglio ad unaparte di essi. Il problema è che taleesercizio, seppur spinto da sinceravolontà di uguaglianza, se posto inatto considerandolo risolto mediantel'allargamento della cerchia di coloroche godono di determinati diritti, rica-de forzatamente in un'ottica antropo-centrica di chi, dall'alto della propriaposizione di dominanza, concede deidiritti sorti da contratti sociali umaniad altri che umani non sono.Conferire diritti a chi è al di fuori diuna convenzione sociale specifica,paradossalmente sarebbe arbitrario especista. Sorgono infatti spontaneeuna serie di domande: "chi siamo noiper concedere diritti agli altri?", omeglio "perché estendere diritti chesussistono nella nostra società a chinon appartiene, o non vuole apparte-nere, ad essa perché appartiene adaltre società?", e ancora "quanti equali diritti andrebbero concessi, e

perché?". Riconoscere un diritto è erimane una concessione. Nel caso delrapporto Umano-Animale, l'espansio-ne della sfera di influenza di tale dirit-to ad altri che ne sono privi, cause-rebbe probabilmente un nuovo proble-ma: gli Animali a cui fossero ricono-

sciuti dei diritti facenti capo alla socie-tà umana, in quanto esterni ad essa,finirebbero paradossalmente per sub-irli in quanto diretta emanazione dellavolontà degli Umani. Il diritto stesso,se vogliamo soffermarci a pensarlo inastratto, fonda la sua esistenza sulfatto che sottintende un dovere, e sulfatto che per poter esistere sia rispet-tato, o meglio, debba essere rispettato.Si potrebbe quindi in linea generaledire che è il diritto che scaturisce daldovere e non viceversa (**). Seguendoquest'ottica una società fondata suldiritto, è una società in cui si accettaper convenzione (ma raramente perconvinzione) di esigere un diritto neiconfronti di altri, ai quali viene impo-sto un dovere, e viceversa. In una ipo-tetica società libera non dovrebberoper assurdo esistere diritti, ma solodoveri morali. Perché vi sia una pienaapplicazione dei diritti, deve esistereuna volontà collettiva che costringa ilsingolo a rispettare una normativagiuridica imposta a tutti, e questavolontà si identifica con lo stato didiritto, quindi ogni diritto collettiva-mente riconosciuto diviene di fatto unobbligo, un'imposizione, e non undovere morale che il soggetto si sentedi applicare. Il concetto di dovere, sefosse solamente di natura morale,sarebbe quindi slegato dall'idea dilegge da rispettare per contratto con lasocietà di cui si fa parte. Ritornando alrapporto Umano-Animale/Umano-Umano in una ipotetica societàumana libera, non si dovrebbe quindiragionare in un'ottica di diritto impo-sto come fonte di regola sociale peruna corretta convivenza, ma di doverenei confronti degli altri. Doveri scatu-riti direttamente da una morale figliadi una nuova cultura fondata sul

rispetto dell'altro, sul senso di giusti-zia, sulla solidarietà e sulla libertà.Una società fondata sul dovere moraleindividuale, inteso come controllodelle proprie esigenze filtrate dall'eticaa-specista che permetterebbe di pon-derare le azioni quotidiane dei singoli

rendendole le più solida-li possibili. Nessuno con-cederebbe diritti, ma silimiterebbe ad osservaredei doveri morali.L'allargamento dellasfera morale, quindi,sarebbe un processospontaneo e non impo-sto, indiretto: un proces-so naturale. Per poterparlare di eticità biso-gnerebbe pertantoabbandonare il concettodi diritto, e soprattuttoquello di diritto animale.La speranza è che l'anti-specismo faccia proprioil concetto di doveremorale come espressionedi libertà della specieumana, libertà che si

otterrebbe nell'adempimento di obbli-gazioni morali nei confronti dei nostrisimili e di chi non appartiene allasocietà umana (non vuole, o non puòappartenervi) ma che ha parimentidiritto (perché scaturito dal nostrosenso di dovere) al rispetto, e a viveresecondo la propria natura. Verrebbequindi meno l'esigenza di equipararegli Animali ai pazienti morali, risulte-rebbe ininfluente il tentativo di razio-nalizzare la mente Animale per tenta-re di fornire una giustificazione mora-le all'estensione di privilegi a noi riser-vati. Ma semplicemente si potrebberoconsiderare gli Animali (al di fuoridalla visione dell'Umano che osserval'Animale per osservare se stesso) ciòche in realtà sono: PERSONE (***) nonappartenenti alla società umana, per-sone da rispettare. Potrà l'antispeci-smo giungere a parlare solo di perso-ne?Adriano Fragano

Note:* Vedasi la recensione di GianlucaVerrucci - 10/01/2006 su Kant,Immanuel, Primi principi metafisicidella dottrina del diritto, a cura diFilippo Gonnelli.Roma-Bari, Laterza (Classici della filo-sofia con testo a fronte).**In riferimento a: Vanda Fiorillo,Autolimitazione razionale e desiderio.Il dovere nei progetti di riorganizzazio-ne politica dell'illuminismo tedesco,Giappicchelli editore."nel binomio diritto soggettivo-doveregiuridico la priorità logica è data alsecondo termine: è il diritto che scatu-risce dal dovere e non viceversa" (p.36)***Ci riserviamo di affrontare appro-fonditamente la tematica in futuro

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sei io narranti, che ripercorrono lastessa vicenda da prospettivediverse aggiungendo particolarialla storia che viene così progres-sivamente a delinearsi, ci descriveuna sospensione del tempo chepermette allo spazio di farsi luogo

della convivialità, luogo meravi-glioso proprio per la sua fragiledelicatezza, per la sua costanteinstabilità. A causa della velocitàcon cui lo attraversiamo, a causadell'iperaccelerazione del tempoche la modernità ci impone, abbia-mo contratto lo spazio, il luogodella compassione, fino a farlodiventare il nonluogo neutro eneutralizzante delle autostrade edei centri commerciali, il nonluogoche ci fa consumatori-consumati,cadaveri perennemente sostituibilicome gli Animali della nostra cate-na produttiva. Sospendere iltempo vuol dire, allora, rinegozia-re i confini dello spazio, allargarnele maglie per far emergere la tramadelle storie individuali, mettersi allimitare della foresta (che, guardacaso, ha la stessa radice di fore-stiero), come fanno gli Umani diquesto romanzo per ridiscutere leantitesi - fasulle - che reggono lanostra società, quelle tra uomo edonna, sanità e malattia, amoreeterosessuale e amore omosessua-le, istinto e ragione, mente ecorpo, selvaggio e domestico,natura e cultura, insomma quellaserie di dicotomie gerarchizzate egerarchizzanti che riconoscono laloro cifra più profonda nell'antite-si fondativa della nostra cultura -quella che la cultura si inventa perregolare il traffico di confine e che,a sua volta, giustifica la culturacome dispositivo normativo e nor-malizzante - che è l'antitesi tra

umano ed animale. È in questoterrain vague che la Humpreys ciinvita ad abitare, a vivere e nonsemplicemente ad attraversarlonel tempo della sopravvivenza piùspietata. Poiché invertire l'ordinedei fattori dell'antitesi non cam-

bierebbe il risultato, siamoqui chiamati ad una opera-zione più complessa che nonè equiparare gli animali adun ulteriore, ancorché piùbenigno, "noi", ma divenirenoi i divenire-animali chesempre siamo. Operazionedifficile da rendere con il lin-guaggio del concetto, perchéquesto già si situa nell'aldilàdell'antitesi "Uomo/Animale"(il concetto è cioè il giàmorto), e che, quindi, laHumphreys sapientementerisolve nelle storie che corpi(ancora) vivi si e ci racconta-no nel tentativo di interpreta-re (e non di inventariare,catalogare, classificare) ilfluire del mondo e la caduci-tà dell'essere Animale.Leggendo la Humphreys congli occhiali di Bookchincapiamo l'importanza per il

pensiero antispecista delle rifles-sioni che questo romanzo suscitae cioè la necessità di affiancare alprincipio di uguaglianza - fonda-mentale e inaggirabile, ma che"può essere subdolamente" tra-sformato "da una società che […]non prende in considerazione lecondizioni fisiche o mentali dellepersone" in "disuguaglianza trauguali" - quell' "uguaglianza tradisuguali" che "costituisce il fon-damento dell'ideale di libertà".Accettando così quel confine insu-perabile che è la finitezza deicorpi, la loro vulnerabilità e mor-talità. Come fanno i Cani e gliUmani di questo romanzo, insel-vatichitisi in quell'abbraccio fra-terno che solo la hybris delirantedi una banda di allevatori-caccia-tori decisi a ripulire le campagnedai Cani selvaggi, può credere diinterrompere per sempre. Quasicento anni fa, Rilke chiudeva cosìle sue Elegie Duinesi: "E noi chepensiamo la felicità / come un'a-scesa, ne avremmo l'emozione /quasi sconcertante / di quandocosa ch'è felice, cade". Nella salvi-fica sospensione del tempo a cuiquesto romanzo allude, laHumphreys così chiude oggi: "Latua partenza non si risolverà con iltuo ritorno. Ma l'una non escludel'altro. […] E alla fine, questa fine,ecco quello in cui credo. Il cuore èuna creatura selvaggia e in fuga. Ilcuore è un Cane che torna a casa".Massimo Filippi

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Cani selvaggi, l'ultimo dei quattroromanzi di Helen Humphreys e ilprimo ad essere tradotto in italia-no (Playground, 2007), ci offre lasua chiave interpretativa già nel-l'ossimoro del titolo - almeno per ilnostro immaginario, infatti, ilCane è l'animale dome-stico per antonomasia equindi quanto di menoselvaggio possa esistere.Ma è proprio in questoaccostamento di due ter-mini surrettiziamenteantitetici, nello spaziobianco che si apre tra diloro, in quella terra del-l'indifferenziato che dasempre costituisce iltabù assoluto dellanostra cultura, che sinasconde l'abissale verti-gine e il fascino inquie-tante di questo romanzo.La cornice della storia èesilissima: una fabbricachiude, l'economia dellacittadina di cui costitui-va la principale fonte direddito si contrae e iprimi a farne le spesesono un gruppo di Canidomestici, che vengono abbando-nati o scappano. Molto più densesono invece le riflessioni che com-pongono il corpo del romanzo eche derivano dall'incomprensibilescelta degli Animali di rinunciareagli agi della vita precedente pervivere in branco nel folto del boscoche si apre alle soglie della città.Gli amici Umani dei Cani, quellicome loro più esposti - due donnelesbiche, una bambina ritardata,un adolescente marginale, unquarantenne con gravi turbe psi-chiche e un anziano - quelli chenon possono accettare che gliAnimali siano così lontani da loro,si incontrano ogni sera in quellospazio anfibio tra il bosco e lacittà, lasciandosi contagiare, comeSherazade moderne, dal pertur-bante per eccellenza, dal raccontodelle loro vulnerabilità esistenzia-li, degli amori che finiscono, deifallimenti e delle speranze del vive-re, della morte che scorre carsicasotto gli eventi, in una parola daquel bagliore folgorante e fragile alconfine tra un nulla che lo prece-de e un nulla che lo segue, che è lastoria della vita. E in questa terradi nessuno, non più città e nonancora foresta, gli Umani, come iloro Cani, riscoprono, come inogni Bildungsroman che si rispetti,quello che realmente sono: corpiviventi che si risvegliano dopomigliaia d'anni di addomestica-mento, svalutazione e vergogna. Ilracconto polifonico e a spirale dei

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