v commissione permanente della camera dei deputati ... · guarino giuseppe (dc) 15 gunnella...
TRANSCRIPT
Atti Parlamentari — 1 — Camera dei Deputati X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
V COMMISSIONE PERMANENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE)
V COMMISSIONE PERMANENTE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO)
8.
SEDUTA CONGIUNTA DI GIOVEDÌ 7 GIUGNO 1 9 9 0 (Ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del regolamento della Camera e dell'articolo /25-bis, comma 3, del regolamento del Senato della Repubblica)
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI MARIO D'ACQUISTO
AUDIZIONE DEL DIRETTORE GENERALE DELLA BANCA D'ITALIA, DOTTOR LAMBERTO DINI
I N D I C E
PAG.
Audizione del direttore generale della Banca d'Italia, dottor Lamberto Dini:
D'Acquisto Mario, Presidente della V Commissione permanente della Camera dei deputati .' 3, 8, 9, 20
Andreatta Beniamino, Presidente della V Commissione permanente del Senato 11
Becchi Ada (Sin. Ind.) 18, 19 Carrus Giovanni (DC) .' 8 Dini Lamberto, Direttore generale della Banca d'Italia 3, .9, 10, 12, 14, 17, 19 Guarino Giuseppe (DC) 15 Gunnella Aristide (PRI) 9, 17 Macciotta Giorgio (PCI) 13, 14 Soddu Pietro (DC) 19
Atti Parlamentari — 3 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
La seduta comincia alle 15.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
Audizione del direttore generale della Banca d'Italia, dottor Lamberto Dini.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore generale della Banca d'Italia, dottor Lamberto Dini, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del documento di programmazione economico-finanziaria.
Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito, ai sensi dell'articolo 65, comma 2, del regolamento, che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante impianto audiovisivo a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Il dottor Dini è stato delegato dal governatore della Banca d'Italia, dottor Ciampi, ad illustrare alle Commissioni riunite le osservazioni dell'Istituto di emissione in relazione alla manovra economica per il triennio 1991-1993, sulla quale il Parlamento ha già svolto alcune audizioni che hanno consentito importanti approfondimenti in materia. Ulteriori passi in avanti, al fine di ampliare le informazioni sulla manovra di finanza pubblica, saranno consentiti dall'odierno intervento del direttore generale della Banca d'Italia con il quale si rinnova la ormai tradizionale collaborazione.
LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Ringrazio il presidente e le Commissioni bilancio della Camera e del Senato per l'invito che ci è stato rivolto.
Nel decennio trascorso, l'economia italiana ha conseguito importanti progressi e le prospettive permangono favorevoli per l'anno in corso. L'attività produttiva continua a espandersi a un ritmo del 3 per cento, favorita dal perdurare di un'intensa attività di investimento. L'inflazione è in diminuzione e il suo tasso, a distanza di dodici mesi, si è collocato nel maggio scorso sul 5,7 per cento. L'occupazione fa registrare ulteriori aumenti; il tasso di disoccupazione dà segni di miglioramento: esso è sceso all'I 1,5 per cento a gennaio. Per effetto dell'azione correttiva avviata dal Governo nel mese di maggio, il fabbisogno pubblico dell'anno non dovrebbe discostarsi significativamente dai valori inizialmente programmati. La liberalizzazione valutaria è stata accolta con favore dai mercati. In questa prima parte del 1990, la lira si è costantemente mantenuta al margine superiore della banda di fluttuazione, segnalando la fiducia dei mercati internazionali circa le prospettive di sviluppo e di stabilità della nostra economia.
I tassi d'interesse tendono a diminuire, quale riflesso del calo dell'inflazione e degli effetti positivi indotti dall'ingresso della lira nella banda stretta dello SME. Il 19 maggio è stato ridotto al 12,50 per cento il tasso ufficiale di sconto. Il rendimento medio lordo all'emissione dei BOT, dopo aver raggiunto un picco del 13,7 per cento nel novembre scorso, ha seguito una tendenza alla diminuzione; negli ultimi mesi la discesa si è fatta più rapida: tra la fine di marzo e quella di maggio, il rendimento dei BOT è sceso dal 13,2 all'I 1,8 per cento.
In base alle previsioni formulate dagli organismi internazionali, nel prossimo triennio lo sviluppo del reddito dei paesi
Atti Parlamentari — 4 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
industrializzati dovrebbe collocarsi intorno al 3 per cento. Il commercio mondiale dovrebbe continuare a espandersi a ritmi sostenuti. Politiche monetarie e di bilancio meglio coordinate possono contemperare l'obiettivo di espansione dell'attività produttiva con quello del contenimento dei prezzi.
Gli eventi nei paesi dell'Europa centro-orientale e, soprattutto, il processo di integrazione comunitaria aprono nuove prospettive per i paesi della CEE, ma presentano aree di rischio per quelle economie che non si ponessero nelle condizioni di affrontare con successo la crescente competizione internazionale.
Affinché l'Italia possa trarre beneficio dalle opportunità che il contesto internazionale offre, è necessario che vengano eliminati i principali elementi di debolezza che permangono nell'economia. Occorre rimuovere i rischi di instabilità insiti nell'accumularsi del debito pubblico, oggi accentuati dalla maggior rapidità con cui turbolenze esterne possono trasmettersi al mercato interno. La moderazione nell'evoluzione dei redditi nominali e un incisivo sforzo per conseguire più elevati livelli di produttività, sono condizioni per annullare il divario di inflazione che ancora ci separa dagli altri principali paesi e avviare a soluzione i nodi strutturali del Mezzogiorno e della disoccupazione.
Anche ipotizzando una dinamica molto contenuta dei costi unitari dei fattori produttivi diversi dal lavoro, l'obiettivo di ridurre l'inflazione al 3,5 per cento nel 1993 richiede, in particolare, che la crescita delle retribuzioni lorde pro capite, muovendo dagli attuali ritmi del 7-8 per cento, si avvicini a quella consentita dal tasso di inflazione programmato e dalla crescita della produttività stimabile, per l'intero sistema economico, intorno al 2 per cento all'anno.
La questione centrale dell'economia italiana resta il risanamento dei conti pubblici, condizione necessaria per una crescita equilibrata e per tenere il passo con le economie più stabili nella costruzione europea.
Il riassorbimento del disavanzo corrente dello Stato, pari al 5,7 per cento del prodotto interno nel 1989, consentirebbe, oltre che di innescare un circolo virtuoso di riequilibrio, di ridurre il costo e di accrescere la disponibilità del credito per il finanziamento degli investimenti, indispensabili per il conseguimento di più elevati livelli di produttività. La politica monetaria potrà assecondare la discesa dei tassi di interesse che nelle condizioni delineate tenderebbe a configurarsi: il differenziale tra i tassi italiani e quelli prevalenti sui mercati esteri dovrebbe gradualmente ridursi, come viene messo in rilievo nello stesso documento del Governo.
L'azione correttiva della finanza pubblica e le linee di politica economica definite nel documento del Governo sono coerenti, a nostro giudizio, con gli obiettivi macroeconomici ivi indicati. Nel contesto internazionale sopra delineato appare possibile innalzare gradualmente il tasso di crescita del prodotto al 3,5 per cento nel 1993 e compiere ulteriori, significativi passi nel rientro dall'inflazione, tendendo ad annullare il differenziale che ci separa dai più stabili paesi della CEE.
Il Governo ha opportunamente ritenuto necessario rafforzare l'azione diretta a correggere gli squilibri della finanza pubblica. A nostro giudizio vari fattori rendono indispensabile tale rafforzamento; tra questi 'vi è la constatazione che i progressi fatti non sono stati sufficienti a ridurre il divario con gli altri paesi per.ciò che concerne lo stato della finanza pubblica (in assenza di incisivi interventi, tale divario tenderebbe anzi ad ampliarsi); la necessità di compensare il più alto livello dei saggi di interesse rispetto a quello ipotizzato nel documento dello scorso anno.
Con riferimento al primo aspetto, un raffronto dei nostri conti pubblici con quelli degli altri principali paesi della CEE mostra che il divario esistente nell'incidenza del disavanzo complessivo è rimasto pressoché immutato rispetto alla fine degli anni settanta. Dato il permanere di un elevato divario nei flussi, il
Atti Parlamentari — 5 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
differenziale nel peso della consistenza del debito si è aggravato.
Tra il 1979 ed il 1989 l'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni (quale emerge dalla contabilità nazionale) in rapporto al prodotto interno è lievemente aumentato sia in Italia sia in Francia; nella Germania federale è sceso di due punti; nel Regno Unito si è passati da un disavanzo del 3,3 per cento del prodotto interno lordo ad un avanzo dell'1,7 per cento. Se si fa riferimento al disavanzo primario, in Italia esso è sceso di oltre 3 punti e mezzo, attestandosi sull'I,2 per cento nel 1989, sempre in base ai dati della contabilità nazionale; ma miglioramenti notevoli sono stati conseguiti anche dagli altri principali paesi della CEE, dove tale saldo è diventato positivo. L'Italia è ormai l'unico tra i principali paesi europei in cui permane un disavanzo primario.
Da noi, alla forte crescita della pressione fiscale degli anni ottanta, si è accompagnato - a differenza degli altri principali paesi della CEE - un notevole aumento dell'incidenza della spesa pubblica.
In Italia, infatti, la pressione fiscale è cresciuta di quasi dieci punti, passando dal 29,2 per cento nel 1979 al 38,8 nel 1989, quando risultava inferiore di poco più di due punti percentuali rispetto a quella media dei tre principali paesi della CEE. Come spiegato nel documento del Governo, la differenza riflette la minore incidenza nel nostro paese dell'imposizione indiretta, a sua volta da ricondurre al maggior grado di evasione, di elusione e di erosione delle basi imponibili, piutto--sto che a un più basso livello delle aliquote.
L'incidenza delle erogazioni, al netto degli interessi, da noi è salita dal 36,1 per cento del prodotto interno nel 1979 al 42,7 nel 1989. Negli altri principali paesi della CEE tale incidenza è diminuita; la media dei valori riscontrati nella Germania federale, in Francia e nel Regno Unito, inizialmente più elevata che in Italia, è scesa al di sotto del livello nel frattempo raggiunto dal nostro paese.
Come risultato dell'andamento delineato si è ampliata la divergenza nel peso del debito sul prodotto: in Italia esso è cresciuto dal 61 per cento nel 1979 al 98 per cento nel 1989; negli altri principali paesi della CEE la sua crescita è risultata assai minore, ovvero, come nel Regno Unito, si è avuta una significativa diminuzione.
Differenze rilevanti permangono anche nella qualità dei servizi resi e nell'efficienza dei loro processi di produzione. Indagini condotte da vari enti ed istituti di ricerca italiani segnalano disfunzioni e carenze in importanti settori dell'attività pubblica e, in generale, notevoli divergenze rispetto ai livelli medi europei.
Il confronto internazionale pone quindi in luce l'esigenza di uno sforzo massiccio per avvicinare l'Italia ai principali paesi della Comunità sotto il profilo sia degli equilibri della finanza pubblica sia dell'efficacia dei servizi resi.
Il riacuirsi dell'inflazione in Italia e l'aumento dei tassi di interesse dei principali paesi industriali a partire dall'autunno non hanno consentito nel 1989 la programmata discesa dei nostri tassi sui titoli pubblici. I mutamenti intervenuti nello scenario internazionale fanno temere che non si possa conseguire nei prossimi anni l'obiettivo di ricondurre i saggi di interesse al livello della crescita del prodotto, come ipotizzato nel documentò di programmazione economico-finanziaria 1990-1992. Vari fattori tendono a mantenere alti i tassi internazionali. Tra questi, la scarsità di risparmio disponibile per far fronte alla maggior domanda per investimenti che deriverà in particolare dall'unificazione tedesca e dall'apertura dei mercati dei paesi dell'Europa centro-orientale. Dato l'alto livello
• di utilizzo della capacità produttiva esistente nei paesi industriali, potrebbero emergere tensioni inflazionistiche ed orientamenti più restrittivi delle politiche monetarie.
Tuttavia tra le autorità dei principali paesi sta maturando il convincimento che alla base degli elevati tassi di interesse vi sia anche un eccessivo affidamento alla
Atti Parlamentari — 6 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
politica monetaria per contenere le pressioni della domanda sui prezzi. Se tale convincimento si tradurrà in un più incisivo ricorso alle politiche fiscali e di bilancio, per incrementare il risparmio e contenere la domanda aggregata, nei prossimi anni sarà possibile conseguire la ricercata riduzione dei tassi di interesse reali.
Per quanto riguarda l'azione di riequilibrio dei conti pubblici, i principali obiettivi programmatici per il periodo 1990-1993 contenuti nel documento del Governo possono essere riassunti come segue.
In primo luogo, anticipare il conseguimento di un avanzo primario, pari allo 0,6 per cento del prodotto interno, al 1991 (in precedenza previsto per il 1992) ed accrescere tale avanzo dell'I per cento del prodotto nel 1992 e nel 1993, quando esso raggiungerebbe il 2,55 per cento del prodotto interno lordo.
In secondo luogo, ridurre il peso del fabbisogno sul prodotto interno dal 10,7 per cento previsto nel 1990 gradualmente al 9,4 nel 1991, all'8,2 nel 1992 ed al 6,4 nel 1993. Il peso del disavanzo corrente si ridurrebbe gradualmente dal 5,4 per cento previsto nel 1990 al 4,2 nel 1991, per flettere ulteriormente al 3,1 nel 1992 e all'1,4 per cento nel 1993.
Infine, assicurare così l'inversione della tendenza ascendente del peso del debito pubblico sul prodotto interno a partire dal 1993.
Per raggiungere questi risultati entro il 1993 la manovra correttiva prevede, rispetto alle tendenze in atto, provvedimenti volti ad ottenere: maggiori entrate tributarie e contributive, pari, a fine periodo, al 2,6 per cento del prodotto interno (3,1 per cento con l'adeguamento delle accise al tasso di inflazione); una riduzione della spesa al netto di quella per interessi pari al 2,1 per cento del prodotto interno, di cui 1,4 per la parte corrente e 0,7 per quella in conto capitale; la manovra prevede inoltre introiti, dell'ordine dello 0,4 per cento del prodotto interno, derivanti da dismissioni di beni patrimoniali, in ciascun anno del triennio 1991-1993.
Implicite nelle valutazioni tendenziali sono la graduale discesa dell'inflazione al 3,5 per cento nel 1993 e una riduzione dei tassi di interesse nominali di mercato in linea con quella dell'inflazione. Il quadro programmatico prevede un ulteriore calo dei tassi di interesse sul debito pubblico per effetto della diminuzione dei disavanzi e del connesso premio al rischio. Ne deriverebbe complessivamente un ridimensionamento, rispetto alle ipotesi tendenziali, della spesa per interessi pari a due punti del prodotto interno lordo a fine periodo.
Gli obiettivi fissati nel documento del Governo sono giustamente ambiziosi, implicano scelte difficili. Tuttavia il loro conseguimento è necessario per scongiurare rischi di instabilità e per consentire al nostro paese di partecipare a pieno titolo con gli altri partner comunitari alla costruzione europea. L'integrazione economica e finanziaria restringe sempre più i margini di manovra delle politiche monetarie nazionali e rende sempre più urgente il riequilibrio dei conti pubblici.
Il comitato dei governatori della CEE avvierà già da quest'anno un più stretto coordinamento dell'impostazione delle politiche monetarie finalizzato alla stabilità dei prezzi, dando così concretezza alla prima fase dell'Unione economica e monetaria. « •
L'analisi della composizione della manovra indicata nel documento del Governo solleva due ordini di problemi, tra loro strettamente connessi: la sostenibilità del livello della pressione fiscale programmata e l'urgenza delle azioni dirette a modificare strutturalmente il tasso di crescita della spesa.
Nell'innalzamento della pressione fiscale difficoltà potrebbero sorgere dalla restituzione completa e automatica del drenaggio fiscale, da misure di armonizzazione tributaria nei paesi comunitari, che potrebbero implicare perdite di gettito, e dalla revisione degli oneri impropri gravanti sulle imprese.
Va rilevato inoltre che i provvedimenti di bilancio adottati nel 1990 dovrebbero innalzare la pressione fiscale a un livello
Atti Parlamentari 7 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
inferiore solo di qualche decimo di punto a quello medio della Germania federale, della Francia e del Regno Unito. Poiché la pressione fiscale in quei paesi è in lieve diminuzione, il suo ulteriore innalzamento di 2,1 punti percentuali in Italia nel triennio 1991-1993 porterebbe l'aggregato circa due punti al di sopra di quello medio di detti paesi.
D'altra parte è da ritenere che l'aumento programmato della pressione fiscale possa essere conseguito soprattutto ri ducendo gli ampi margini di evasione, di elusione e di erosione delle basi imponibili oggi esistenti. Ulteriori inasprimenti fiscali oltre a quelli programmati appaiono difficilmente perseguibili.
Queste considerazioni sottolineano l'urgenza di porre in essere interventi in gradp di ridimensionare la spesa, moderandone la crescita. L'urgenza deriva anche dai tempi, relativamente lunghi, occorrenti per ottenere risultati apprezzabili sulle erogazioni: non è infatti da ritenere che si possa ridurre in misura significativa l'attuale livello di servizi e prestazioni: è perciò necessario moderare, soprattutto, la dinamica delle nuove occorrenze. Per conseguire gli obiettivi indicati nel documento del Governo occorre definire i necessari provvedimenti correttivi delle norme che regolano i vari settori di spesa (previdenza, sanità, finanza locale), seguendo le linee tracciate nel documento stesso.
Un contributo al risanamento potrà provenire da una riforma del processo di formazione del bilancio dello Stato e della sua struttura che consenta una riconsiderazione della parte discrezionale della spesa in funzione degli obiettivi perseguiti. Nella spesa in conto capitale le risorse disponibili andrebbero concentrate nella realizzazione di opere in grado di dare un significativo apporto al miglioramento delle infrastrutture al servizio della produzione.
È necessario, inoltre, che all'azione correttiva dei disavanzi si accompagnino interventi diretti ad accrescere l'efficienza dei processi produttivi nei servizi pubblici e la loro efficacia nel soddisfaci
mento dei bisogni della collettività. Importante al riguardo potrebbe essere una ridefinizione della linea di demarcazione tra « pubblico » e « privato » nella nostra economia.
Per quanto riguarda la politica monetaria e i tassi di interesse nel resto dell'anno, il recente rafforzamento della manovra correttiva del fabbisogno del 1990 e la discesa dell'inflazione hanno già consentito significative riduzioni dei tassi di interesse. Il loro calo continua a essere favorito dalla fiducia nella stabilità della lira e dall'afflusso di fondi dall'estero. Entro la fine dell'anno, se il disavanzo sarà contenuto nei limiti indicati e i comportamenti delle parti sociali saranno coerenti con la discesa dell'inflazione, non è impossibile conseguire risultati migliori di quelli ipotizzati nel documento del Governo, che prevede per il dicembre del 1990 un tasso di interesse medio sui BOT dell'ordine dell'I 1,5 per cento.
La crescita della moneta (M2) si è mantenuta fino ad aprile in prossimità del valore centrale della fascia obiettivo del 6-9 per cento. Nei prossimi mesi, spinte a un più rapido accrescimento della massa monetaria potrebbero manifestarsi qualora le banche, per sostenere l'espansione degli impieghi, non riducessero i tassi passivi in linea con l'ipotizzata flessione del rendimento dei titoli di Stato. L'evoluzione del quadro macroeconomico del settembre scorso conferma la validità dell'obiettivo monetario allora indicato (espansione della quantità di moneta dal 6 al 9 per cento), che la Banca centrale è impegnata a perseguire.
L'evoluzione del credito al settore non statale dovrebbe rimanere nei limiti del 12 per cento, come indicato nel settembre scorso al CIPE. La crescita degli impieghi bancari si va riavvicinando a quella dei depositi; questa tendenza è favorita dal-l'assottigliarsi del portafoglio titoli delle banche: per alcuni istituti, la dimensione del portafoglio si è ormai ridotta a un minimo tecnico e l'andamento della raccolta è tornato a essere un vincolo per l'ulteriore crescita dei prestiti. Peraltro, tra i vari effetti che conseguono dalla
Atti Parlamentari — 8 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA — QUINTA COMMISSIONE — SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
liberalizzazione valutaria, vi è anche la graduale perdita di significatività della distinzione tra credito interno e credito dall'estero; infatti, in questi mesi prosegue a ritmo intenso la crescita del credito concesso a operatori residenti dalle filiali estere delle nostre banche.
In conclusione, ritengo che l'economia italiana, per la sua forza, sia in grado di sostenere l'onere dell'aggiustamento programmato, senza correre rischi di rallentamento produttivo, ma anzi vedendo rafforzate le sue prospettive di sviluppo nel medio termine. Va infatti posto in rilievo che la spesa corrente del bilancio dello Stato non solo terrebbe il passo con l'inflazione, ma crescerebbe in termini reali del 2 per cento all'anno nel periodo 1991-1993. Il ridimensionamento della spesa in conto capitale troverebbe compenso in un aumento degli investimenti privati stimolati dalla riduzione dei tassi di interesse e dal consolidarsi delle aspettative di crescita.
Il riequilibrio della finanza pubblica, integrandosi con un'azione coerente di politica economica, potrà rafforzare le prospettive di crescita della nostra economia, consentendo al paese di utilizzare appieno le elevate potenzialità di cui dispone.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Dini per la sua relazione estremamente lucida che fornisce un quadro completo e abbastanza rasserenante rispetto ad altre analisi che, invece, giorni fa avevano suscitato motivi di preoccupazione e di allarme.
GIOVANNI CARRUS. Mi associo al ringraziamento del presidente per l'intervento svolto dal dottor Dini, al quale desidero rivolgere una domanda.
Il dottor Dini e, in altre occasioni, i rappresentanti della Banca d'Italia hanno posto la loro attenzione sulla diminuzione del deficit primario, affidando ad una sola variabile - al tasso di interesse anziché allo stock di debito - la diminuzione dell'incidenza della spesa per interessi nel servizio del debito.
Le chiedo, se non ritenga (così come era avvenuto del resto l'anno scorso a fronte di un ottimismo governativo, avallato anche da vari istituti di ricerca, sulla discesa dei tassi) che il tasso di interesse possa divenire una variabile sempre più indipendente dalle autorità di Governo quindi sempre più legata all'andamento dei mercati internazionali.
Lo stock del debito è certamente preoccupante; vi è una valutazione abbastanza diversa sulla determinazione del limite di compatibilità del debito rispetto al disavanzo al lordo degli interessi. Vi è insomma una divergenza tra le iniziative parlamentari e quelle governative, per quanto riguarda, per esempio, l'alienazione di beni pubblici o le privatizzazioni. Mentre le iniziative parlamentari tendono a destinare i proventi delle privatizzazioni e delle alienazioni di beni pubblici alla pura e semplice riduzione dello stock di debito, il disegno di legge di iniziativa governativa, in discussione al Senato, sembra più mirato ad ottenere un miglioramento del saldo netto da finanziare senza porsi problemi qualitativi.
Giunti a questo punto, anche un azzeramento del deficit primario porterebbe il nostro fabbisogno ad un livello di circa 125-130 mila miliardi di lire per il solo ed esclusivo servizio del debito pubblicò. Credo sia importante da parte dell'autorità monetaria, nel momento in cui i nostri impegni europei ci portano a bloccare qualsiasi tentativo di finanziamento monetario del deficit, enfatizzare questo dato veramente preoccupante.
Il secondo problema concerne l'anticipazione della Banca d'Italia ai fabbisogni del Tesoro, che non è altro che un finanziamento monetario del debito. Rispetto agli impegni assunti recentemente al vertice di Dublino, ritiene il direttore generale che vi debba essere una revisione legislativa dei limiti entro i quali la Banca d'Italia possa effettuare anticipazioni al Tesoro ? Desidero sapere se questi siano soltanto impegni politici oppure stiano per diventare impegni istituzionali; se così fosse, dovremmo porre mano ad una riforma della norma che consente le
Atti Parlamentari — 9 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
anticipazioni della Banca d'Italia al Tesoro per i fabbisogni di cassa.
LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Onorevole Carrus, il Governo si è posto già da alcuni anni l'obiettivo dell'eliminazione del disavanzo primario. Il secondo obiettivo più ambizioso, ma che deve essere perseguito, consiste nell'eliminazione del disavanzo corrente del bilancio dello Stato. Il programma di Governo si muove in questa direzione in maniera efficace, mirando a ridurre nel 1993 il disavanzo corrente all'1,4 per cento rispetto al prodotto interno lordo.
L'obiettivo del programma - che, come ho detto, comporta scelte difficili — è quello di invertire la tendenza del rapporto debito-prodotto interno lordo nel 1993. Se il programma venisse realizzato, in quell'anno comincerebbe a ridursi il peso dello stock del debito sul prodotto nazionale.
Ritengo che questi siano obiettivi, anche se ambiziosi, coerenti con un rafforzamento del processo di crescita; essi devono pertanto essere perseguiti. Arrivare al 1993 nelle condizioni indicate dal documento del Governo non significa essere esattamente nelle medesime condizioni degli altri principali paesi europei, perché permarrebbe un fabbisogno complessivo di circa il 6,4 per cento rispetto al prodotto interno lordo, quando i disavanzi complessivi dei principali paesi europei sono molto inferiori in rapporto al PIL (nel Regno Unito vi è addirittura un avanzo). Ci troveremmo comunque in fase avanzata di convergenza con la situazione comunitaria.
Mi sembra, quindi, che il documento governativo ponga l'enfasi su un'inversione della tendenza fra il peso del debito pubblico ed il prodotto interno.
Per quanto riguarda i tassi d'interesse, lei ha giustamente osservato che essi sono sempre meno nelle mani delle autorità monetarie nazionali. L'Italia (che è parte integrante del Sistema monetario europeo) deve perseguire politiche monetarie
che consentano la stabilità della lira entro la fascia di fluttuazione. I tassi di interesse permangono elevati, oltre che per le ragioni che ho indicato, anche per una generale scarsità di risparmio che comincia ad avvertirsi nel mondo, a cui si accompagna un peso eccessivo conferito dai principali paesi industriali - in primo luogo dagli Stati Uniti - alla politica monetaria per il contenimento della domanda (e quindi dei prezzi) piuttosto che ad un policy-mix diverso nel quale le politiche di bilancio svolgano un ruolo più incisivo.
Per quanto riguarda il secondo quesito da lei sollevato, relativo al conto corrente di tesoreria presso la Banca d'Italia, in effetti non posso che confermare che negli incontri a livello comunitario viene posta come condizione per la prima fase dell'Unione economica e monetaria l'eliminazione. - ove esso esista - di un accesso automatico del Tesoro al finanziamento della Banca centrale. È corretto ciò che lei ha affermato, cioè che in Italia dovremo tener conto della volontà che emèrge a livello europeo nel senso di riformare le disposizioni di cui alle norme del 1948, che consentono al Governo l'accesso al finanziamento della Banca d'Italia.
PRESIDENTE. La ringrazio per la sua esauriente risposta. L'onorevole Carrus, come è sua consuetudine, ha consentito alla Commissione un approfondimento della questione.
ARISTIDE GUNNELLA. Ringrazio il direttore generale Dini per la sua relazione in ordine alla quale svolgerò una brevissima considerazione cui farà seguito una domanda.
Mi sembra che il giudizio della Banca d'Italia sul programma presentato dal Governo sia positivo, pur ritenendo che gli obiettivi siano ambiziosi, ma, nello stesso tempo, è critico perché reputa che si debba compiere uno sforzo enorme per raggiungere tali obiettivi. Sorge quasi il dubbio se tale impegno sia possibile nel-
Atti Parlamentari — 10 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
l'attuale stato della finanza pubblica sia per la struttura del bilancio sia per quella della pubblica amministrazione, a fronte di un nuovo impegno internazionale e di una rinnovata collocazione a livello mondiale dell'Italia. Si tratta di situazioni che stanno maturando nel quadro genenale indicato nel documento del Governo e riassunto nella relazione che il direttore generale della Banca d'Italia ha presentato oggi alla Commissione.
Per non essere onnicomprensivo desidero sottolineare un solo aspetto. Il documento del Governo fa leva essenzialmente su un aumento degli investimenti pubblici in tutti i settori: in quelli di base, nelle infrastrutture e nelle strutture. Tutto ciò dovrebbe essere realizzato — si ritiene - con uno sforzo eccezionale, secondo quanto illustrato sia nella prima parte del documento del Governo sia nelle parti che riguardano i settori. Tali obiettivi vengono posti mentre assistiamo ad un ridimensionamento nel bilancio degli investimenti pubblici ritenuti invece, nel documento governativo, la parte essenziale della manovra economica per determinare le condizioni favorevoli allo sviluppo della struttura privata, del reddito e conseguentemente del gettito, in definitiva per porre le basi di un riequilibrio finanziario. Allora mi chiedo come si possa conciliare questo fortissimo impegno del Governò con il ridimensionamento di bilancio che viene richiamato soltanto in una breve battuta finale della relazione del direttore generale; il ridimensionamento degli investimenti sarebbe compensato dall'aumento dell'attività privata, ma gli obiettivi dell'uno e dell'altra non sono comparabili per quanto riguarda la formazione di tutte le strutture necessarie per lo sviluppo del sistema Italia. Questa è la preoccupazione fondamentale che nutro soprattutto in riferimento al Mezzogiorno. Su tale punto, che mi premeva sottolineare con forza, sarà gradita la risposta del dottor Dini.
Il secondo tema che intendo affrontare riguarda le variabili indipendenti legate alla determinazione del tasso d'interesse, le quali possono naturalmente mutare in relazione ai momenti decisionali e possono influire sulla prospettiva programmatica che il Governo si è posto sia per l'inflazione sia per la riduzione del debito primario sia per l'incidenza del debito sul prodotto interno lordo sia, infine, per quanto concerne l'aumento della pressione fiscale più alta in Italia ed in lieve calo negli altri paesi, con uno scarto di due punti.
Facendo riferimento ad un errore commesso ieri in televisione da qualcuno il quale ha sostenuto che la pressione fiscale nel Mezzogiorno è molto più bassa che al Nord - mentre è esattamente il contrario - vorrei sapere se lei non ritenga, dottor Dini, che con l'aumento della base imponibile possano essere davvero raggiunti gli equilibri che il Governo indica quale obiettivo prioritario.
LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. La prima domanda dell'onorevole Gunnella riguarda gli investimenti pubblici. Il programma di Governo, per i tre anni dal 1991 al 1993 rispetto alle tendenze in atto, prevede una riduzione dell'1,4 per cento della spesa corrente rispetto al PIL e dello 0,7 per cento' della spesa in conto capitale. Non si prevede, quindi, al momento, una riduzione degli attuali livelli delle spese di parte corrente in conto capitale, ma un rallentamento della loro crescita. Non posso giudicare se la spesa in conto capitale prevista nel documento del Governo sia sufficiente per soddisfare le necessità di investimento pubblico cui ha fatto riferimento l'onorevole Gunnella. Ciò che resta da verificare è se la distribuzione della riduzione della spesa tendenziale tra quella corrente e quella in conto capitale possa essere corretta a favore di quest'ultima, operando uno sforzo maggiore sulla prima. Non credo di poter dire di più al riguardo.
Atti Parlamentari ■ — 1 1 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE
L'onorevole Gunnella ha poi accennato ai tassi d'interesse; ora essi sono in dimi
nuzione. L'inflazione sta scendendo e se, come previsto, essa si collocherà intorno al 5 per cento alla fine dell'anno, non è irrealistico l'obiettivo del Governo di giungere al 4,5 nel 1991; ciò consenti
rebbe di proseguire la tendenza alla ridu
zione dei tassi, che potrebe essere raffor
zata per effetto di una diminuzione del premio al rischio. Per quanto riguarda i tassi d'interesse, quindi, la realizzazione del programma di Governo dovrebbe ar
recare i benefìci attesi. A proposito dell'aumento delle ali
quote fiscali e contributive, il programma prevede un notevole sforzo (2,6 per cento oppure 3,1, se s'includono anche gli ag
giustamenti delle accise). Potrebbero sor
gere difficoltà, come ho indicato nella re
lazione, dal pieno ristorno del fiscal drag, dalle possibili armonizzazioni fiscali co
munitarie e dall'atteggiamento del Go
verno verso gli oneri impropri a carico delle imprese. È uno sforzo non indiffe
rente, ma realizzabile se si pensa al grado di evasione, elusione ed erosione delle aliquote. Consideriamo cioè possi
bile il raggiungimento dell'obiettivo rela
tivo alle entrate soprattutto attraverso la riduzione delle aree di evasione, piuttosto che con un aumento delle aliquote. A fine periodo, secondo l'obiettivo del Governo, in Italia si arriverebbe ad una pressione fiscale superiore di 2 punti a quella degli altri paesi. Pertanto, riteniamo non perse
guibile la strada di ulteriori inasprimenti fiscali rispetto a quelli programmati, an
che per mantenere la concorrenzialità del sistema Italia nei riguardi degli altri paesi.
BENIAMINO ANDREATTA, Presidente della V Commissione permanente del Se
nato. Desidero innanzitutto fare un'osser
vazione: anche quest'anno vi è nella rela
zione della Banca d'Italia una tabella ma
liziosa, la n. 4, con la quale il dottor Dini ci suggerisce che lo sforzo da lui definito « non indifferente, ma realizza
bile », è lo stesso che in qualche data degli anni ottanta hanno compiuto tutti i
SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
paesi europei, operando una riduzione (o
scillante tra il 5 ed il 10 per cento) del deficit primario rispetto al PIL. È interes
sante notare come in tutti i paesi in cui negli anni Ottanta si è tentata e rea
lizzata una politica di stabilizzazione non vi siano stati rallentamenti o interruzioni nella crescita del PIL.
La Banca d'Italia ha pubblicato nella relazione una nuova tabella molto inte
ressante sull'andamento della creazione di liquidità per conto del tesoro, su base giornaliera. Da questa risulta un'estrema volatilità, per percentuali molto alte, dello stock monetario, per effetto del ti
raggio intramensile del conto di tesoreria. Personalmente, ritengo molto meno preoc
cupante il problema dell'apporto annuale al finanziamento del Tesoro (che può es
sere fornito attraverso il conto di tesore
ria) rispetto alla « volatilità » piuttosto ri
levante, della creazione mensile di mo
neta che ritengo comporti qualche diffi
coltà, naturalmente saggiamente ammini
strata dalla Banca d'Italia attraverso ope
razioni pronti contro termine. Vorrei sa
pere se la « volatilità » di cui ho parlato rappresenti un problema serio di gestione della politica monetaria. Desidero inoltre qualche chiarimento in ordine ad un al
tro punto. Il Governo pensa di poter far fronte, nei primi anni (soprattutto attra
verso la vendita di azioni di enti già organizzati in società per azioni o da tra
sformare in società di questo tipo) al fi
nanziamento del deficit. Naturalmente, non si tratta di collocare tali azioni sol
tanto sul mercato italiano, anche se, os
servando le esperienze degli altri paesi, si può effettivamente notare che le privatiz
zazioni sono state in gran parte assorbite dal mercato domestico. Pertanto, data la dimensione dell'attuale assorbimento del
l'emissione di nuovi titoli sul mercato fi
nanziario italiano, vorrei sapere se il dot
tor Dini ritenga che vi possano essere difficoltà per un assorbimento aggiuntivo di 67 mila miliardi.
Nella semantica della Banca d'Italia si colloca ancora come obiettivo la crescita degli aggregati monetari M2 , nell'am
Atti Parlamentari — 12 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
bito di una determinata forchetta; contemporaneamente, ci viene detto che la crescita di tali aggregati non dipende più dal comportamento delle autorità. Se, allora, consideriamo tale elemento come una meta da raggiungere, può sembrare effettivamente troppo alto ed inflazionistico un obiettivo che si colloca tra il 6 ed il 9 per cento: esso tenderebbe a riconoscere tutta la dinamica dei prezzi esistente, senza agire come elemento di contenimento. In realtà, però, la Banca d'Italia non ha la libertà di determinare tale obiettivo, perché esso in un mercato aperto dei capitali è largamente determinato dai comportamenti dell'economia; pertanto in queste condizioni la crescita della base monetaria è il sottoprodotto della crescita dell'inflazione e del reddito. Mi domando, allora, se non convenga accentuare questa presunta area di autorità della Banca d'Italia, quando in realtà si tratta di evitare che si formino movimenti disordinati. La soluzione non è facile. Sappiamo, infatti, che il nostro non è il paese centrale del sistema; le monete agganciate a quella del paese centrale del sistema, infatti, hanno come unico obiettivo quello di restare nel mercato. Se, invece, quello ricordato dovesse essere annunciato come un obiettivo di rigore, mi sembra che esso presenterebbe - a confronto con quelli delle altre banche centrali - un eccésso verso l'alto, rispetto ad una politica antinflazionistica.
Infine, mi domando se la Banca d'Italia non sia preoccupata della tendenza all'accumulo di debiti netti verso l'estero, cioè dei cosiddetti debiti invisibili che caratterizzano, in gran parte, la nostra bilancia dei pagamenti. Infatti, per la parte relativa ai redditi da capitale i debiti invisibili rappresentano 10 mila miliardi di esborso, mentre risulta rilevante il tasso di aumento dell'accumulo della posizione debitoria netta sull'estero. Probabilmente la politica di stabilizzazione avrà anche un effetto su quest'andamento, ma se non vi sarà un cambiamento della tendenza in atto, potremmo
trovarci con 300-400 miliardi di lire di accumulo di debito estero. Tuttavia, anche nel caso in cui fosse possibile realizzare una politica di stabilizzazione, l'impressione ricavata dalle simulazioni compiute è che la tendenza attuale non muterebbe ugualmente.
LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Per quanto riguarda la prima domanda posta dal senatore Andreatta, relativa alla creazione della liquidità tramite il conto corrente del Tesoro, sono stati rilevati non solo una notevole variabilità, ma anche un ricorso mediamente più elevato, nel mese, di quello previsto per la fine del mese dalle disposizioni vigenti. Tuttavia, ciò non ha posto problemi seri, in quanto la Banca d'Italia è in condizione di compensare la liquidità che il Tesoro crea giorno per giorno attraverso le proprie operazioni di mercato aperto. In ogni caso, il problema potrebbe sussistere anche se il conto corrente di tesoreria venisse abolito. Infatti, per il Tesoro l'abolizione del conto corrente implicherebbe la necessità di costituire un « cuscinetto » di cassa per far fronte agli sbilanci giornalieri fra entrate e uscite.
Dunque, anche nel caso in cui si costituisse quel « cuscinetto », ricorrendo eventualmente ad una maggiore emissione di titoli, nel momento in cui il Tesoro utilizzasse questo conto corrente positivo, evidentemente la liquidità continuerebbe a variare così come avviene oggi. Quindi, a me sembra che, con gli strumenti attualmente a disposizione, sia possibile compensare le fluttuazioni di liquidità causate dal Tesoro nel corso del mese.
Per quanto riguarda la vendita di azioni e le privatizzazioni, non crediamo che sia difficile assorbire 6-7 mila miliardi nel corso di un anno; ci sembra invece piuttosto difficile identificare quei beni e quelle società che nel corso di un anno possano portare a flussi di quell'ordine. In effetti, se si guarda alle socie-
Atti Parlamentari — 13 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
■tà quotate (bancarie e non), collocamenti dell'ordine di 5 mila miliardi possono si
gnificare operazioni di privatizzazione piuttosto ragguardevoli.
A proposito degli obiettivi monetari, il senatore Andreatta ha indicato, giusta
mente, come il controllo della moneta si sia ridotto con l'apertura dei mercati e l'appartenenza al Sistema monetario eu
ropeo, di modo che la crescita della mo
neta (M2) fra il 6 ed il 9 per cento po
trebbe risultare alta, rispetto all'obiettivo di ridurre ulteriormente l'inflazione.
Noi riteniamo che tale crescita, oltre a non essere necessariamente restrittiva del
l'attività economica, possa, nel contempo, conciliarsi con la situazione corrente, nonché con una bilancia dei pagamenti che, grosso modo, nel corso di questi ul
timi anni ed anche nel 1990, ha manife
stato disavanzi continui, ma contenuti. Il ricorso alla leva monetaria per forzare i prezzi al ribasso significherebbe tassi d'interesse più elevati, i quali di per sé potrebbero indurre afflussi di capitali dal
l'estero e, conseguentemente, rendere più difficile il controllo della domanda in
terna. L'obiettivo da raggiungere può es
sere considerato non rigoroso, ma certa
mente non è lassista: noi lo consideriamo in linea con la crescita spontanea dell'e
conomia e non certo in grado di causare, di per sé, squilibri insostenibili, in parti
colare nella bilancia dei pagamenti. Anche se i limiti quantitativi all'e
spansione monetaria appaiono, nel nuovo assetto, meno significativi a livello nazio
nale, essi mantengono tutte le loro vali
dità a livello di creazione monetarie euro
pee. In effetti, il coordinamento delle po
litiche monetarie europee si effettuerà at
traverso la fissazione di limiti quantita
tivi. Un andamento negativo nell'ambito
della bilancia dei pagamenti, presenta il saldo delle partite invisibili, in relazione sia ai flussi turistici, sia alle remunera
zioni del debito estero. Nel 1989 il saldo di tali partite è risultato negativo per oltre 90 mila miliardi, livello da ritenere elevato. Tuttavia, senatore Andreatta, a me non pare che esso sia suscettibile di
portare, rapidamente, ad un accumulo di debito estero delle dimensioni da lei indicate e che possa rappresentare un elemento destabilizzante della nostra economia. Mentre da un lato l'apertura dei mercati e la liberalizzazione valutaria favoriscono un afflusso di fondi in grado di facilitare la crescita dell'economia, dall'altro esse generano una fuoriuscita di fondi, a causa della diversificazione dei portafogli, in particolare da parte delle famiglie. Finora i flussi verificatisi non hanno assunto un livello tale da destare preoccupazione, anche se nella relazione ho posto l'accento sulla crescita dell'indebitamento netto; se esso dovesse aumentare ulteriormente, si imporrebbe la necessità di adottare politiche monetarie più restrittive.
GIORGIO MACCIOTTA. Innanzitutto, vorrei rifarmi ad una questione già posta dal senatore Andreatta, cioè quella relativa ai flussi intramensili della tesoreria.
Concordo con quanto ha affermato poco fa il direttore generale della Banca d'Italia, ma ritengo che dovrebbe esservi, comunque, un « cuscinetto » per far fronte alla differenza giornaliera tra entrate ed uscite. Vi è però la necessità di rendere esplicito un uso dei flussi che, al momento, appare distorto. Da questo punto di vista, taluni suggerimenti offerti dalla commissione Spaventa (la quale prevedeva la valutazione media dell'esposizione di tesoreria) potrebbero rappresentare uno dei modi con cui responsabilizzare maggiormente il Tesoro ed evitare usi eventualmente distorti del conto corrente di tesoreria, con rientri a fine mese per restare nei margini e con maggiori scoperti nel corso del mese.
Vorrei conoscere l'opinione della Banca d'Italia, anche in relazione a quanto è stato esplicitato in documenti scritti del Ministero del tesoro.
La seconda domanda che desidero porle, dottor Dini, è relativa alla sottoscrizione all'estero dei titoli del debito pubblico. La Banca d'Italia ritiene che essa sia sotto controllo ? Inoltre, vorrei conoscere le dimensioni di tale sottoscrizione e quali problemi potrebbero porsi
Atti Parlamentari — 14 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
in relazione alla compiuta liberalizzazione dei mercati.
Una terza domanda riguarda l'inflazione, a proposito della quale il Governo prevede tassi abbastanza contenuti. In particolare, le chiedo quale tasso d'inflazione tendenziale la Banca d'Italia ritiene compatibile a fine anno, tenendo conto che ci si è proposti di raggiungere l'obiettivo di un tasso medio del 5,5 per cento ? Tale tasso medio è ritenuto dalla Banca d'Italia in linea con le successive evoluzioni dell'inflazione previste nel decennio, eventualmente anche in relazione all'input di inflazione internazionale dei prossimi anni ?
LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Onorevole Macciotta, per quanto riguarda il conto corrente del Tesoro, il documento della commissione Spaventa era stato predisposto prima che in sede comunitaria si manifestasse consenso sull'abolizione di ogni accesso automatico alla Banca centrale. Credo che quella commissione prevedesse di costituire un fondo per far fronte alla stagionalità degli sbilanci tra entrate e spese modificando il ricorso al conto corrente di tesoreria. Quella maniera di vedere il problema a me pare superata dalla tendenza, ora prevalente in sede comunitaria, che dovrebbe portare, se non all'abolizione, ad una sostanziale revisione dell'automaticità di accesso al conto corrente di tesoreria.
Per quanto riguarda i titoli del debito pubblico, le emissioni di certificati in ECU sono sottoscritte in buona parte da non residenti. Si tratta di emissioni lorde dell'ammontare di circa 1000-1500 miliardi di lire al mese. Poiché tali titoli quando sono in scadenza vengono normalmente rinnovati, l'importo netto sottoscritto risulta essere molto minore. Per quanto riguarda la consistenza, i nostri dati mostrano che i titoli pubblici netti nelle mani di non residenti alla fine del 1989 ammontavano a circa 10 mila miliardi di lire. Si tratta, quindi, di un
volume non rilevante rispetto alle dimensioni dell'economia ed ai flussi monetari e finanziari.
L'andamento dell'inflazione nel 1990, è compatibile con l'obiettivo del Governo del 5,5 per cento; ciò implica che il tasso d'inflazione tendenziale nel corso del secondo semestre scenda al 5 per cento, dato che ad inizio d'anno esso era pari al 6 per cento.
Questa tendenza al ribasso, a meno di sconvolgimenti di natura esterna, quali eventuali importanti cambiamenti del livello del cambio del dollaro o dei prezzi delle materie prime, in particolare del petrolio, dovrebbe consentire senza eccessive difficoltà il raggiungimento dell'obiettivo del 4,5 per cento stabilito per il 1989. Anzi, per alcuni tale obiettivo potrebbe essere considerato non sufficientemente ambizioso: se la manovra di bilancio impostata in maggio sarà realizzata e se l'evoluzione delle retribuzioni non eccederà i limiti previsti, vi sono buone possibilità di contenere l'inflazione entro il limite indicato.
GIORGIO MACCIOTTA. Il contenimento dell'evoluzione delle retribuzioni mi sembra un'ipotesi abbastanza irreale.
LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Onorevole Macciotta, il ritmo di crescita delle retribuzioni lorde pro capite è dell'ordine del 7-8 per cento annuo. Se si accettassero nella loro interezza le piattaforme sindacali sugli aumenti retributivi, l'aumento sarebbe dell'ordine del 10 per cento. Come ho dichiarato nella mia relazione, prevediamo che il ritmo di tali aumenti nel corso dell'anno rimarrà sui livelli indicati; per essere in linea con gli obiettivi del Governo, è necessario che successivamente gli aumenti si riducano in funzione del calo del tasso d'inflazione e dell'incremento della produttività media dell'intera economia, che riteniamo si attesterà al 2 per cento annuo.
Atti Parlamentari — 15 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
GIUSEPPE GUARINO. Signor direttore generale, ritengo che vi sia una certa mancanza di omogeneità tra quanto si afferma nella sua relazione a pagina I l e ciò che, invece, si sostiene a pagina 6 del medesimo documento da noi letto in modo necessariamente frettoloso. A me pare di intendere che nel primo capoverso di pagina 11 vi sia un'affermazione di fatto ed una previsione quando si sostiene che: « Il recente rafforzamento della manovra correttiva del fabbisogno del 1990 e la discesa dell'inflazione hanno già consentito significative riduzioni dei tassi di interesse ». A pagina 6, invece, leggo che: « Il riacuirsi dell'inflazione in Italia e l'aumento dei tassi di interesse nei principali paesi industriali a partire dall'autunno non hanno consentito nel 1989 la programmata discesa dei nostri tassi sui titoli pubblici ».
Quanto alle previsioni per il futuro, la diminuzione dei tassi, anche al di là degli obiettivi ipotizzabili nel documento del Governo, la si collega in modo particolare alla discesa dell'inflazione, mentre da quanto desumo da pagina 6 e ancora da quanto si afferma a pagina 11, secondo capoverso, sembra che si debba attribuire, invece, ad . un preminente andamento dei tassi internazionali. Se questi ultimi sono determinati dalla domanda per investimenti (che deriverà in particolare dall'unificazione tedesca e dall'apertura dei mercati, quindi da una politica di espansione anche interna degli impieghi che indurrebbe una maggiore richiesta di credito interno, indipendentemente dall'inflazione) è probabile che anche nel prossimo anno si abbia un aumento dei tassi internazionali, con riflessi anche su quelli interni. Aggiungerei a tutto ciò il fenomeno delle attese in relazione a ciò che sta accadendo nell'Europa orientale.
Nell'eventualità che prevalga l'effetto internazionale anziché quello interno connesso alla discesa dell'inflazione, mi domando - naturalmente questo non riguarda tanto l'istituto di emissione, quanto le valutazioni del Parlamento - se il giudizio e le preoccupazioni per il futuro non debbano essere molto più cauti
e se non si debba richiamare l'attenzione su tale questione molto di più di quanto non avvenga anche nella relazione del direttore generale della Banca d'Italia. Il dottor Dini mentre da una parte apprezza l'obiettivo della manovra governativa, dall'altra solleva dubbi ragionevoli per ciascuna delle componenti della manovra stessa, la quale dovrebbe riguardare soprattutto tre aspetti tra cui la manovra fiscale, per la quale si pone in evidenza la necessità di incidere sull'evasione e sull'elusione fiscale. Sappiamo come fino a questo momento siano stati vani tutti i tentativi e non mi risulta che sia stato ipotizzato dal documento governativo un sistema per arrivare a tale risultato, mentre sappiamo come le manovre condotte fino a questo momento - in modo particolare l'aumento delle aliquote sull'imposizione indiretta - siano state sicuramente una delle componenti che ha ridotto l'andamento dell'inflazione.
Inoltre, nello stesso documento, si mette in rilievo - personalmente ne sono perfettamente convinto - che l'impossibilità di ottenere un'armonizzazione fiscale per via autoritaria in ambito CEE determinerà una situazione di svantaggio per i paesi che non vi provvederanno autonomamente; di conseguenza, quanto più aumentiamo le aliquote, soprattutto dell'imposizione indiretta, tanto più penalizziamo il nostro paese.
Per quanto concerne la spesa, considero la percentuale di spesa della pubblica amministrazione in Italia non tra le più elevate rispetto agli altri paesi, ed anzi ritengo che essa sia abbastanza contenuta: ciò è preoccupante perché l'Italia è ancora uno dei paesi che ha maggiore bisogno di capitalizzazione sociale, nelle ferrovie, nelle strade e, soprattutto in alcune zone, nelle scuole e negli ospedali. Inoltre, va tenuto presente che nel nostro paese alcuni costi sono più elevati a causa della situazione geografica e morfologica (per esempio, nelle zone di montagna e di alta collina). Ho, pertanto, l'impressione che incidendo sulla spesa si possano bloccare investimenti già in corso, con effetti (cui si accenna rapida-
Atti Parlamentari — 16 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
mente anche nel documento al nostro esame), da ritenersi più negativi che positivi.
Anche con riferimento alla spesa, peraltro, vi è una notevole differenza tra « il dire e il fare »; dovremmo, infatti, essere certi che i provvedimenti diretti alla riduzione della spesa siano in grado di produrre effetti immediati nel corso dell'anno !
Per quanto riguarda il terzo punto, quello delle cessioni (argomento di cui ultimamente si discute molto), va considerato l'interrogativo sollevato dal senatore Andreatta circa l'esistenza di un risparmio disponibile per l'acquisizione dei beni in questione, o se, in sua assenza, tali acquisizioni dovranno essere finanziate mediante il credito, il che determinerebbe non solo un ritorno al punto di partenza, ma anche un incentivo all'aumento dei tassi di interesse. Quello che è più difficile, però, è predisporre misure legislative che siano operative in tempi brevi.
Le misure indicate finora non incidono sul bilancio dello Stato: per esempio, la normativa sulla trasformazione delle banche pubbliche in società per azioni sicuramente non produrrà alcun beneficio per il bilancio statale perché il ricavo dalle partecipazioni vendute rimarrà agli enti pubblici, attualmente proprietari delle aziende di credito. Anche se consideriamo cessioni nell'ambito delle partecipazioni statali, dobbiamo ritenere che non potrà prodursi alcun effetto diretto sul bilancio dello Stato, che potrebbe invece realizzarsi se trasformassimo gli enti di gestione in società a partecipazione statale, con notevole alterazione degli attuali equilibri, anche istituzionali. Svolgo tali considerazioni per dimostrare che le difficoltà di ordine istituzionale nel perseguimento degli obiettivi che ci proponiamo non devono essere sottovalutate.
Se ci rendiamo conto che i tre mezzi tecnici che dovrebbero rendere attuabile la manovra possono dar luogo a problemi di elaborazione e di applicazione a livello istituzionale e che comunque essi non ci consentono di prevedere risultati in tempi brevi, resta il fatto che il nostro sistema
appare affidato a variabili esterne: i tassi internazionali d'interesse, il prezzo del petrolio e l'andamento del turismo. Per quanto concerne il prezzo del petrolio, dovremmo porci ogni anno una domanda relativa al suo prevedibile livello (il Governo dovrebbe in proposito impegnarsi ogni anno in una previsione il più attendibile possibile): per esempio, nel prossimo anno, probabilmente si registrerà un aumento del prezzo del petrolio, poiché a ciò conducono interessi concorrenti. Non va sottovalutata inoltre, la maggiore produzione che si rende necessaria per rifornire di beni i paesi dell'Europa orientale.
Se teniamo conto di tali valutazioni e del fatto che la « comunitarizzazione » conseguente all'Atto unico europeo e ad una serie di sue applicazioni privano l'autorità monetaria della parte più importante dei poteri di cui disponeva nel passato, credo che dovremmo esprimere un giudizio di attenta preoccupazione ed invocare provvedimenti più radicali rispetto a quelli oggi all'attenzione del Governo, al fine di soddisfare le esigenze del nostro paese.
In particolare, sul seguente punto vorrei una risposta precisa: se sia vero che i poteri dell'autorità monetaria vanno gradualmente scomparendo rispetto al loro assetto originario e che, dipendendo da variabili esterne, dovremmo avere un margine molto ampio di flessibilità nella manovra interna. A ciò non è possibile giungere con la strumentazione politica e giuridica che stiamo immaginando, come del resto è possibile constatare nell'altro grafico, che non è stato ancora richiamato, ma è molto rilevante, dimostrando che, nonostante tutte le politiche cui facciamo riferimento negli ultimi anni, l'incidenza dell'indebitamento sul prodotto interno lordo è salita notevolmente, arrivando al 98,3 per cento nel 1989, mentre era il 93 per cento nel 1987 ed il 95,6 per cento nel 1988; ciò dimostra che il pericolo che tale incidenza si accresca anche nel prossimo anno è realistico, nonostante tutti i programmi (e fino a quando essi rimarranno contenuti in determinati àmbiti).
Atti Parlamentari — 17 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Cercherò di rispondere alle considerazioni dell'onorevole Guarino, osservando innanzitutto che, a nostro giudizio, gli obiettivi fissati nel documento del Governo sono compatibili con il quadro macroeconomico ivi delineato. Le considerazioni che ho svolto partono dall'ipotesi che il programma sia realizzato, per quanto i suoi intenti possano apparire ambiziosi.
La realizzazione degli obiettivi conduce ad un'inversione di tendenza nel rapporto tra lo stock del debito ed il prodotto interno lordo; ciò rappresenterebbe un successo notevole, anche se esso sarà raggiunto soltanto nel 1993.
Per quanto concerne le entrate, ho sottolineato che forse vi saranno difficoltà per conseguire il previsto obiettivo dell'aumento del 2,6 per cento del peso delle entrate sul PIL. Tuttavia, esso non mi sembra richiedere uno sforzo eccezionale, tenendo conto del fatto che l'Italia presenta un'economia forte ed in continua espansione; visto che il prodotto interno continua a crescere al ritmo del 3 per cento, o più appare realizzabile un aumento della pressione fiscale nella misura dello 0,8.
I livelli della nostra spesa pubblica, al netto degli interessi sul debito, sono già in linea con quelli comunitari. Non si può quindi affermare che l'Italia sia divergente, perché la sua spesa pubblica rapportata al PIL è più bassa rispetto a quella degli altri paesi. Nulla impedisce evidentemente alle autorità, in particolare al Parlamento, di fissare limiti di spesa più elevati di quelli degli altri paesi. Tuttavia ciò avrebbe conseguenze dal lato della fiscalità; un aumento del livello della pressione fiscale, notevolmente al di sopra di quello degli altri paesi, produrrebbe riflessi negativi sulla competitività del sistema italiano.
ARISTIDE GUNNELLA. Allora questo potrebbe suggerire nella previsione una leggera diminuzione dal 2,6 al 2,2, per
evitare scostamenti eccessivi tra noi e gli altri paesi ?
LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Muoversi nella direzione che lei indica significa compiere uno sforzo ancora maggiore verso un'ulteriore riduzione della spesa, dato l'obiettivo di diminuire i disavanzi indicati nel documento; è una questione di dosaggio, sulla quale spetterà al Governo ed al Parlamento prendere decisioni.
Per quanto riguarda i tassi, forse non è chiaro quello che appare alle pagine 11 e 6 della relazione che ho rassegnato. A pagina 11 è indicato che nel corso del 1990 i tassi di interesse sono in diminuzione; in effetti, essi sono calati notevolmente. Nel 1989 era stato impossibile raggiungere una riduzione dei tassi, principalmente a causa dell'aumento del tasso di inflazione.
In effetti i tassi medi netti sui BOT nei primi cinque mesi dell'anno sono diminuiti dell'1,20 per cento, essendo passati dall'I 1,40 circa al 10,20 per cento, a fronte di una riduzione dell'inflazione dello 0,8, ossia dal 6,5 al 5,7 per cento; ciò significa che i tassi reali di interesse hanno registrato una sensibile diminuzione in un arco di tempo limitato.
Le osservazioni di pagina 6 della relazione riguardano, ciò che non è stato possibile conseguire nel 1989, a causa dell'aumento dell'inflazione, specialmente per quanto concerne gli obiettivi che erano stati posti nel documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 1990-1992, il quale prevedeva, a fine periodo, l'allineamento dei tassi di interesse alla crescita del prodotto. Il quadro internazionale è cambiato e si può temere che questo obiettivo possa non essere raggiunto neppure nel 1993, a meno che vi sia un mutamento nel policy mix da parte dei grandi paesi industriali, a cominciare dagli Stati Uniti.
Pertanto, una discesa dei tassi reali di interesse richiede più incisive politiche fi-
Atti Parlamentari — 18 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1 9 9 0
scali e di bilancio nei grandi paesi, compresa la Germania, che dovrà far fronte a spese aggiuntive dell'ordine di 2-3 punti percentuali del prodotto interno in ciascuno dei tre anni a venire, e che dovranno in qualche modo essere finanziate.
ADA BECCHI. La prima domanda che intendo rivolgerle è relativa alla questione di cui alle pagine 2 e 3 della sua relazione nella quale vi sono due punti che non capisco. Innanzitutto, non comprendo su quali basi la Banca d'Italia stimi (mi sembra di capire che si tratti di una stima della Banca e non del documento ufficiale del Governo) un incremento medio della produttività del 2 per cento annuo, essendo noto - e del resto ricordato in questo appunto — che la domanda nell'ultimo periodo è rimasta su livelli elevati soprattutto a causa della componente investimenti. Nel prossimo triennio dovrebbe quindi registrarsi un aumento della produttività come conseguenza anche dell'elevato livello di investimenti che è stato realizzato nell'ultimo periodo e che dovrebbe contribuire ad accrescere il tasso medio di aumento della produttività rispetto al trend. Non comprendo bene perché si parli del 2 per cento e chiedo spiegazioni sul modo in cui è stato effettuato il calcolo.
Vengo ora al secondo punto che non comprendo. Non credo di essere l'unica (anche se il dottor Dini ha alle spalle un'esperienza internazionale e non so dove fosse a metà degli anni sessanta) a ricordare che a metà degli anni sessanta questo paese ha sperimentato un dibattito sulle modalità di realizzazione di una politica dei redditi. Da allora la cosa ha funzionato molto poco, come ricordiamo tutti; sia l'ipotesi di politica dei redditi centralizzata, sia quella di politica dei redditi decentrata non hanno avuto sostanzialmente una vera adozione, non se ne è più parlato, ed i richiami che la Banca d'Italia fa ogni anno alla politica dei redditi hanno poca credibilità, al punto che l'avvocato Agnelli, commentando le considerazioni finali del Governatore il 31 maggio scorso, ha affermato
che di politica dei redditi si parla, ma poi non la si attua.
La domanda sta « a valle » di queste considerazioni un po' sconfortate e sconfortanti ed è la seguente: nel corso degli anni ottanta abbiamo assistito ad un riaprirsi dei differenziali retributivi intersettoriali che ha riportato (in questo momento non ricordo esattamente le quantità, ma solo le tendenze) la situazione dei differenziali retributivi tra settori e, in particolare, tra lavoratori dell'industria e lavoratori del settore pubblico intorno alle condizioni degli anni sessanta. La tendenza si è ulteriormente accentuata in questo periodo. Sappiamo che lo splafo-namento della spesa del 1990 rispetto a quanto programmato è stato dovuto fondamentalmente a due voci: le retribuzioni del pubblico impiego e gli interessi. Vorrei sapere se la Banca d'Italia ritenga che non sia fair predicare la politica dei redditi a questo punto, nel quale (del resto la stampa ha correttamente interpretato così le considerazioni finali lette dal Governatore il 31 maggio) sembra inevitabilmente un'esortazione rivolta ai contratti del settore privato che sono in questo momento in corso di negoziazione, esortazione che non ha nemmeno il pudore di essere fatta almeno dopo una valutazione di quello che è stato il peso sulla finanza pubblica dei contratti rinnovati recentemente - cioè negli ultimi due anni — nel settore pubblico. Le sarei grata se potesse dare un chiarimento a questi sospetti o a queste critiche che sono state rivolte.
Un'ultima brevissima domanda è relativa alla spesa in conto capitale. Nello scenario prefigurato dal Governo, la spesa in conto capitale avrebbe una contrazione nell'arco del prossimo triennio. Vi sono però molti elementi che suggeriscono un'interpretazione peculiare di questa contrazione, perché vi è una tendenza a recuperare un modo di finanziamento degli investimenti pubblici che era stato adottato tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta (e forse anche dopo), cioè di autorizzare le imprese pubbliche o a partecipazione statale ad
Atti Parlamentari — 19 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
emettere obbligazioni con cui finanziare spese in conto capitale di breve periodo, essendo queste emissioni obbligazionarie totalmente coperte dal contributo dello Stato. Se di questo si trattasse, questa riduzione della spesa in conto capitale sarebbe evidentemente una finzione che ipotecherebbe pesantemente il futuro.
PIETRO SODDU. Nella relazione del dottor Dini ed anche nei documenti del Governo, sia quello di programmazione, sia quello a medio termine, ho notato un certo ottimismo. L'esperienza degli anni scorsi, invece, ci porta a dubitare che tale programma abbia successo poiché non lo ha avuto nel passato. Desidero allora porre una domanda forse ingenua: quali sono i motivi che hanno ingenerato l'insuccesso degli anni scorsi, quali ancora persistono e quali abbiamo superato ?
Sono stati posti obiettivi a medio termine molto ambiziosi e aggiungerei molto onerosi dal punto di vista della finanza pubblica, a cominciare dall'ammodernamento generale della pubblica amministrazione, dal recupero delle sacche di inefficienza ed anche dalla lotta ad alcuni fenomeni come quello dell'evasione fiscale, della criminalità organizzata e di tanti altri di cui conosciamo l'esistenza.
LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. La prima domanda dell'onorevole Becchi riguardava la produttività. Abbiamo assunto come punto di riferimento la media della produttività per l'intera economia degli ultimi cinque anni, che si è assestata su circa il 2 per cento. Il periodo di forte aumento della produttività connesso con la ristrutturazione del sistema industriale è in parte superato; pertanto, non prevediamo — a meno che aumenti il ritmo degli investimenti anche attraverso la realizzazione del programma di Governo sulla finanza pubblica - che la produttività possa essere mediamente più elevata. Nel settore di trasformazione industriale essa è stata mediamente superiore ogni anno a quella dell'intera economia.
Prevediamo che le retribuzioni mediamente debbano adeguarsi al ritmo della produttività per l'intera economia e non a quello per determinati settori; per esempio, nel campo dei servizi la produttività è più bassa.
ADA BECCHI. E le retribuzioni sono più alte.
LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Questo è l'obiettivo per realizzare una produttività media della quale tener conto nelle retribuzioni lorde pro capite.
Per quanto riguarda la politica dei redditi, a noi sembra che senza una politica rigorosa e senza che il Governo stabilisca limiti quantitativi, i comportamenti non tenderanno ad allinearsi ai grandi obiettivi del paese (il primo dei quali è rappresentato dalla collocazione europea dell'Italia). Per compiere passi verso il conseguimento di tali obiettivi occorre una maggiore consapevolezza di ciò che è necessario per una crescita equilibrata della nostra economia: le retribuzioni devono crescere in linea con la produttività, come accade nei principali paesi della Comunità, per favorire in particolare l'occupazione e gli investimenti.
Del resto - e vengo al problema del rapporto pubblico-privato - la stretta del cambio è di per sé un fattore limitativo della crescita della remunerazione dei settori dell'economia aperti alla concorrenza internazionale. Nel settore industriale, in particolare, la competitività di prezzo è in diminuzione; nel corso del 1989 essa è scesa del 2,9 per cento. Sono considerazioni che le imprese esposte alla concorrenza non possono ignorare. Lei ha notato, giustamente, che gli aumenti retributivi nel pubblico impiego negli ultimi anni hanno superato quelli concessi nel settore privato; forse vi era un recupero da realizzare per lo meno sulle remunerazioni nominali. Rispetto ai livelli di produttività è difficile operare un confronto, perché esse nei servizi, ed in quelli pubblici in particolare, sono di difficile misurazione. In particolare i contratti del set-
Atti Parlamentari — 20 — Camera dei Deputati
X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990
tore pubblico, stipulati nel corso del 1989 e del 1990, eccedono i limiti che abbiamo indicato come coerenti con la realizzazione del programma di Governo. Comunque non possiamo che prendere atto di quanto è accaduto ed indicare ciò che è necessario predisporre in avvenire per quanto riguarda le compatibilità.
L'avvocato Agnelli, cui lei ha fatto riferimento, conosce molto bene la situazione della sua azienda e del settore automobilistico e sa quali siano le possibilità di variazione delle remunerazioni per rimanere sul mercato. Quindi, la contrattazione in quel settore ed in altri avrà luogo tenendo conto di quelle che sono le compatibilità di azienda e del vincolo del cambio, che sta diventando un punto di riferimento fondamentale nella condotta della politica economica.
Per quanto riguarda la spesa in conto capitale, lei ha fatto una osservazione pertinente: la sua contrazione, prevista nel programma di Governo è dello 0,7 per cento nell'intero periodo. Naturalmente, se le imprese pubbliche fossero autorizzate — come lei dice - ad emettere titoli garantiti dalla Stato per il finanziamento degli investimenti, si opererebbe uno spostamento di spesa dallo Stato agli enti pubblici, ma il risultato rimarrebbe invariato.
L'onorevole Soddu notava un certo ottimismo nella relazione che stride se posto a raffronto con gli insuccessi del passato nel controllo della finanza pubblica. Tali insuccessi sono derivati in particolare dall'andamento della spesa pubblica, soprattutto a causa dei contratti del pubblico impiego che hanno pesato più del previsto, ed anche dall'andamento dei tassi di interesse ai quali abbiamo fatto ampio riferimento. Si prevedeva una loro diminuzione sul piano internazionale ed
in Italia, in funzione di una riduzione del disavanzo che poi non si è verificata nei limiti inizialmente previsti. Non intendiamo certo peccare di ottimismo, le banche centrali sono tipicamente prudènti, ma operiamo in un contesto particolarmente favorevole allo sviluppo della nostra economia, del quale dobbiamo approfittare per compiere lo sforzo necessario. Infatti, in un periodo di espansione come quello attuale - ci troviamo all'ottavo anno di crescita continuativa dell'economia italiana e a ritmi sostenuti, con un aumento dell'occupazione — lo sforzo che il Governo richiede con tale programma è tutt 'altro che irrealistico, è anzi realizzabile. Vi saranno difficoltà nell'attuazione, ma è un programma che nelle sue mete finali noi riteniamo indispensabile, anche per l'obiettivo Europa cui ho fatto riferimento.
PRESIDENTE. Ringrazio anche a nome delle Commissioni il direttore generale della Banca d'Italia per il suo impulso che, da un canto, significa fiducia nel futuro della nostra economia e, dall'altro, ci obbliga ad un grande senso di responsabilità e serietà nello svolgimento del nostro lavoro.
La seduta termina alle 16,50.
IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO STENOGRAFIA DELLE COMMISSIONI
ED ORGANI COLLEGIALI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
DOTT. LUCIANA PELLEGRINI CAVE BONDI
Licenziato per la composizione e la stampa dal Servizio Stenografia delle Commissioni
ed Organi Collegiali il 27 giugno 1990.
STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO