utopia gennaio 2012
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"Emergenza razzismo"TRANSCRIPT
U T O P I A“Gran brutta malattia il razzismo. Più che altro strana: colpisce i bianchi, ma fa fuori i neri.”
Gennaio - Febbraio 201 2 Università di Catania
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Pietro Figuera
(continua a pagina 3)
Melania Cultraro
In meno di dieci giorni due battute micidiali, sulla"sfiga" dei laureandi ultraventottenni e sulla"monotonia" del posto fisso, ci riportano all'allegrasfrontatezza dell'era berlusconiana. Il problema èche, a differenza del passato, queste battute non cifanno ridere o vergognare, ma ci spaventano. Ancheperchè non sono battute (scherzare non èconsuetudine di questo governo, e di certo non è ilmomento più adatto), ma dichiarazioni serie.I messaggi incautamente lanciati possono ancheavere un fondo di verità, ma non tengono affattoconto dell'umore e della sensibilità popolari.Stupiscono perchè esulano del tutto dal politicallycorrect, profilo che il Professore finora sembravatenere a cuore. Sulla "sfiga" degli studenti fuoricorso, mi limito a sottoscrivere ciò che già la nostraElvira Ricotta Adamo ha ribattuto al viceministroMartone, durante la trasmissione Otto e Mezzo diLilli Gruber. Il merito si deve tutelare, ma con laferita ancora aperta dei tagli della Gelmini, laquestione ormai drammatica del diritto allo studioforse meriterebbe più attenzione. Invece, per quantoriguarda l'infelice battuta del Presidente delConsiglio, qualcuno ha già ironicamente osservatocome le banche preferiscano la monotonia del postofisso, quando si tratta di elargire mutui. Al di là diquesto, emerge con una certa evidenza come laformazione politicoeconomica di Monti siaimprontata ad un approccio "americano", moltovicino al modello neoliberista della flessibilità.Come questa visione possa coniugarsi con la societàitaliana, è un dibattito ancora aperto, ma si speraancora per poco. Vent'anni di politiche di flessibilitàdel lavoro sono fallite in una struttura sociooccupazionale come la nostra, e sarebbe ora che glistrenui sostenitori ne prendessero atto. Da unProfessore chiamato in causa per salvarel'economia italiana, francamente ci aspettiamo dipiù e di meglio. Del tutto encomiabili leliberalizzazioni e i blitz antievasione, ma purtropponon bastano a togliere la brutta impressione di ungoverno poco vicino alla gente. Certo, Monti noncerca il consenso popolare, ma deve fare attenzionea non tirare troppo la corda: potrebbe spezzarsi.
«Ogni volta che l'uomo si è
incontrato con l'altro, ha sempre
avuto davanti a sè tre possibilità di
scelta: fargli guerra, isolarsi dietro
a un muro o stabilire un dialogo.
(. . .) L'esperienza di tanti anni
trascorsi in mezzo agli altri di
paesi lontani mi insegna che la
benevolenza nei loro confronti è
l'unico atteggiamento capace di
far vibrare le corde dell'umanità».
Federica Meli
La protesta dei
Forconi
Egitto un anno
dopo
Congresso Udu
Catania
«La semplicità è mettersi nudi
davanti agli altri … E noi abbiamo
tanta difficoltà ad essere veri con
gli altri. Abbiamo timore di essere
fraintesi, di apparire fragili, di finire
alla mercè di chi ci sta di fronte.
Non ci esponiamo mai. Perché ci
manca la forza di essere uomini,
quella che ci fa accettare i nostri
limiti, che ci fa comprendere,
dandogli senso e trasformandoli in
energia, in forza appunto».
(continua alle pagine 2 e 3)
pag. 4 pag. 6 pag. 11
2
«Io amo la semplicità che si accompagna con l’umiltà.(…)
Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle,
sentire gli odori delle cose, catturarne l’anima. Quelli che
hanno la carne a contatto con la carne del mondo. Perché lì
c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora
amore». Ho deciso di esordire dedicando al lettore un celebre
scritto di Alda Merini, per raccontare il viaggio di dieci
ragazzi immigrati approdati in terra sicula il 3 agosto scorso.
La loro storia è ricca di cruenti particolari e costellata di forti
emozioni; quelle emozioni che si trascinano con sé la dignità
dell’essere liberi e dell’essere ancora uomini. Sono sicura
che tramite l’ascolto della loro esperienza, non ne trarremo
solo semplice informazione, ma solidale arricchimento.
Informo i ragazzi dell’ intervista e sin da subito decidono di
mettersi a nudo raccontandomi le loro paure e i loro progetti.
D: «Da dove venite?»
R: «Alcuni Libia, altri Burkina Faso».
D: «Perché avete deciso di partire?»
R: «Noi non volere fare guerra. La guerra si avvicinava
verso i nostri paesi. Non siamo riusciti a salutare famiglia,
non ci facevano tornare indietro. Meglio partire. Noi, poteva
scegliere se morire in Libia o in mare. In Libia però noi
sicuro morire, in mare forse vivere».
D: «Come siete arrivati in Sicilia?»
R: «Noi abbiamo pagato 100 dinari per biglietto. Qualcuno
di noi anche di più. Abbiamo preso barca e messi in mare».
D: «Come è stato il viaggio?»
R: «Il viaggio è durato due notti e tre giorni. La barca ha
finito carburante. Noi rimasti da soli in mezzo al mare.
Gente, tanta tanta gente. Tutti messi stretti, non si poteva
muovere. Poi iniziava a morire qualcuno... (lungo silenzio,seguito da sospiri). Chi moriva, noi buttavamo in mare».
Una fiaccolata per non dimenticare, perchè non esistono
morti di serie A o di serie B, ma solo esseri umani di pari
dignità. Questo è stato lo scopo del corteo organizzato
dall'UdU Catania, per la sera del 1 3 gennaio 2012. Una
processione in memoria di Samb Modou e Diop Mor, i due
uomini senegalesi uccisi esattamente un mese prima a
Firenze da un militante esaltato di estrema destra. E' stata
un'occasione per rilanciare il ruolo attivo della società
civile, unico baluardo contro la diffusione dell'ignoranza e
dei pregiudizi razziali, sempre pronti a riaffiorare nella
debolezza degli uomini. All'iniziativa hanno aderito, oltre i
promotori dell'Unione degli Universitari e del
Dipartimento Immigrazione della CGIL, diverse comunità
di immigrati (bengalesi, mauriziani, eritrei, iraniani,
rumeni), comunità religiose (indù e ortodossi), e altre
associazioni no-profit e organizzazioni non governative
(Arci, Onda Libera, Mani Tese, Arcigay,
Federconsumatori, Amnesty International, Croce Rossa,
CO.PE.). La fiaccolata, partita alle 20.30 da Piazza
Università, si è snodata lungo via Vittorio Emanuele fino a
raggiungere Piazza Cutelli. Con lo slogan "Integrazione è
Civiltà" si è voluto fortemente rimarcare come il primo
passo per l'abolizione di ogni forma di violenza razziale è
costituito dalla volontà di costruire ponti, anzichè barriere.
Gli stranieri spesso anche involontariamente vengono
dipinti come malvagi o 'intrusi', ma ci si dimentica troppe
volte dei Paesi e delle situazioni da cui provengono. Con
quest'iniziativa, abbiamo voluto gettare un sasso nello
stagno della coscienza civile catanese.
"Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e
diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono
agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza" (art. 1
della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo).
(continua dalla prima pagina)
Catania ricorda i senegalesi Samb Modou e Diop Mor, un mese dopo la loro barbara uccisione a Firenze
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(continua dalla prima pagina) Questo brevissimo ma significativo pensiero, estrapolato da "L'altro", uno dei più interessanti libri
di Ryszard Kapuscinski, reporter polacco, morto qualche anno fa a Varsavia, fa da apripista a una riflessione, quanto mai
doverosa, che prende le mosse dai fatti di cronaca che hanno insanguinato la città di Firenze il 1 3 dicembre scorso, ad appena
pochi giorni dall'attacco al campo rom di Torino. I due fatti sono stati immediatamente configurati, dalla stampa sia locale che
nazionale, come due episodi di stampo xenofobo e che quindi in quanto tali andavano all'unanimità condannati.
Ma andiamo con ordine: è il 1 0 dicembre scorso quando a Torino viene incendiato un campo rom. Il tutto parte dalla diffusione
della notizia riguardante uno stupro, che poi si rivelerà falso, denunciato da una ragazza; si sa che di fronte a un estremo gesto
di violenza risultati positivi non se ne ottengono mai, eppure lo stupro, falso, denunciato dalla giovane diventa un movente
sufficiente e valido per incendiare un campo rom (in questo caso, oltre a farlo giustamente per il gesto di stampo razzista,
bisognerebbe inorridirsi anche per la pericolosa denuncia della ragazza che inscena una violenza sessuale), pone all'attenzione
dell'opinione pubblica e dei media il grave problema del razzismo. Problema, quest'ultimo, che sembra acutizzarsi ancora di più
se si attendono pochi giorni e se si passa a Firenze. Nel capoluogo toscano, infatti, ad essere attaccati sono due senegalesi, Samb
Modou, 40 anni, e Diop Mor, 54 anni, uccisi sul colpo dall'ingiustificata e incontrollata violenza di Gianluca Casseri, grande
appassionato di fumetti e autore anche di alcuni testi di recente pubblicazione, definito subito dalla stampa nazionale come un
"antisemita" (Corriere della sera), "simpatizzante di estrema destra con la passione per il fantasy" nonchè "fascista del terzo
millennio" (Il fatto quotidiano). Casseri decide poi di uccidersi con un fatale colpo alla gola, partito dalla stessa magnum 357
con cui aveva poco prima consumato l'assassinio. Il killer viene subito identificato come un collaboratore attivo di CasaPound
Italia, associazione di promozione sociale, regolarmente riconosciuta e costituita, che propaganda avanzate visioni sociali e che
propugna la libertà dell'uomo e l'affrancamento dell'anima dal mercato (descrizione, questa, nella quale ci si può pressapoco
imbattere nel sito ufficiale dell'associazione. Rileggendo tali parole dopo i fatti di Firenze, l'affresco in apparenza innocuo
dipinto nel sito, sembra nascondere un latente ma sinistro messaggio antirazziale). Casapound ad ogni modo decide di
dissociarsi dal gesto inconsulto del Casseri: “Con noi non c’entra nulla. Era un cane sciolto”; "Nel dna di CasaPound Italia la
xenofobia non è contemplata, così come non ha luogo di esistere la violenza discriminatoria, tanto che mai a nessuno di noi è
stata contestata una qualche aggravante per motivi razziali, etnici o religiosi".
Il fatto, gravissimo per il bieco coraggio con cui il Casseri è stato in grado di scaricare una cieca e brutale violenza su due
uonimi senegalesi, deve inevitabilemente interrogarci sull'impoverimento culturale e sociale su cui versa il nostro paese.
Bisognerebbe attribuire un fondamentale significato alla diversità, considerandola una ricchezza, un bene e un valore, proprio
per la sua alterità. Riuscire a riconoscere la multiculturalità del mondo sarebbe ovviamente un passo in favore di un progresso,
innanzitutto sociale, creando quel clima favorevole che si confà all'idea di un progresso di culture fino a ieri calpestate e offese.
Vorrei chiudere il discorso esattamente come l'ho iniziato, con le parole di Kapuscinski che dà una bella immagine dell'umanità:
"Ho sempre visto il mondo come una grande torre di Babele. Ma una torre dove Dio ha mescolato non solo le lingue, ma anche
culture e costumi, passioni e interessi, facendo del suo abitare una creatura ambivalente, comprendente in sè l'io e il non io, se
stesso e l'altro, il simile e l'estraneo". Un simile auspicio, dopo Firenze, diventa ancora più forte.
Melania Cultraro
«Avevamo fame e sete. Noi bere acqua mare. Tunisia ha
visto noi e ci ha detto che dopo veniva Italia. Italia arrivata
dopo tre giorni. Poi arrivati a Lampedusa».
D: «Come vi trovate in Italia?»
R: «Noi dire grazie a Italia. Italia accolto noi come figli.
Solo noi problema. Noi non fare niente qui. Solo studiare
lingua italiana. Noi volere lavorare. Perché in Italia no
lavoro?? In Africa c’è lavoro, qui no».
D: «Volete ancora rimanere in Italia?»
R: «Si, voilà. Noi rimanere in Italia, volere trovare lavoro
qui. Non no tornare in Africa».
Alla vista del mio pc, si avvicinano e mi chiedono se posso
fargli vedere la loro terra. Cliccando Burkina Faso su
youtube, nei laterali, compare un discorso di Thomas
Sankara sul debito pubblico. Alcuni esultano, altri un po’
meno. Ascoltano con attenzione il discorso, sollevano la
mano sinistra e tengono il pugno chiuso, si abbracciano e si
commuovono. Mi spiegano che le idee del giovane leader
tragicamente scomparso prematuramente li ha portati fin qui.
Dopo aver ascoltato la loro storia , mi torna in mente il
monologo di Erri de Luca, dove l’autore si rifiuta di
accordarsi alla concezione geografica “a forma di stivale”
dell’ Italia. Dovremmo invece vedere l’ Italia come un
braccio, che si stacca dalla spalla muscolosa delle Alpi e se
ne va verso sud-est nel Mediterraneo. La Puglia e la Calabria
sono le estremità di una mano aperta e la Sicilia è un
fazzoletto al vento che saluta. Tramite questa immagine
metaforica, possiamo capire che l’Italia è per conformazione
geografica una terra aperta. Una terra che deve
necessariamente aprirsi deve accogliere e deve dare il
benvenuto. Ostinarsi alla chiusura sarebbe come andare
“contro natura”.
Federica Meli
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Lunedì 16 gennaio la pagina Facebook “Movimento dei
Forconi” contava circa 4000 sostenitori: mentre scrivo, una
settimana dopo, ha raggiunto la cifra di 51 .508 “mi piace”,
quasi dieci volte di più. D’altronde in sette giorni in Sicilia è
accaduto di tutto e d’altronde internet, soprattutto nelle sue
declinazioni “social”, ha rappresentato uno dei principali campi
di battaglia nel quadro di una mobilitazione che ha causato
danni all’economia isolana per diverse centinaia di milioni di
euro. Ma anche senza il riferimento strettamente monetario, il
grande impatto della protesta nata dall’alleanza di agricoltori,
pastori, autotrasportatori, commercianti, pescatori, sotto
l’ inequivocabile simbolo del forcone, è stato tangibile nella
quotidianità degli oltre 5 milioni di siciliani: strade e città di
colpo deserte, psicosi collettiva da paura di supermercati e
serbatoi della benzina vuoti, un dibattito pubblico
improvvisamente diventato aspro, dominato dalla radicalità
delle posizioni e delle richieste di chi ha bloccato caselli
autostradali e vie d’accesso: si va dalla comprensibile
defiscalizzazione dei carburanti, all’ inquietante “moneta
popolare”, passando per elementi di protezionismo e svariate
rivendicazioni economiche e di stampo corporativo.
A far da sfondo a tutto questo è la crisi dell’economia italiana
ed occidentale, tanto spietata quanto insormontabile per tante,
troppe persone che così affidano rancori e speranze alla piazza,
non più luogo di democrazia, ma vettore di drastica
antipolitica, di suggestioni reazionarie, di un certo tipo di
“ribellismo meridionale buono a preparare ogni conservazione”
(Provenzano, “IlPost”). Un quadro incerto, convulso, buono
per l’addensarsi di nuvole nere: violenze, intimidazioni
documentate nei confronti di chi non protesta, “infiltrazioni
mafiose” tra gli agitatori e tra i vari volti, “sdentati” per Aldo
Cazzullo, protagonisti delle manifestazioni. E ancora, il ruolo
di primissimo piano avuto dalla galassia neofascista,
dall’accozzaglia autonomista, da vari pezzi di destra Pdl nel
ruolo di capipopolo improvvisamente “apartitici” al servizio
della “rivoluzione dei siciliani”. E’ la retorica del fascismo,
profittatore storico del malcontento popolare, puntellata con le
argomentazioni del revisionismo meridionalista e la sacrosanta
difesa dei portafogli di tutti.
All’ iniziale low profile dei media nazionali, inversamente
proporzionale all’entità dell’adesione, se non altro emotiva, di
tanti siciliani soprattutto via internet, ha fatto seguito un
quotidiano bollettino di guerra sulla protesta, minacciosa anche
per la verosimile capacità di espandersi ad altre regioni del sud,
eclissata soltanto dalla tragedia della Costa Concordia all’ isola
del Giglio. E tuttavia all’aumentare della copertura mediatica,
diminuiva la partecipazione popolare. Di pari passo infatti
all’esaurirsi della benzina nelle auto, il turbinio di proclami che
aveva intasato social network e sale d’attesa si tramutava
rapido in invettiva contro i forconi ribelli, “il danno è solo
nostro, è una guerra tra poveri”. Sicilia, terra di contraddizioni.
Tra sabato e domenica le code ai distributori, tornati a
funzionare dopo la sospensione dei blocchi, sancivano la
ritrovata unità tra l’organismo assoggettato e la sua
dipendenza, tra la gente e la benzina.
Le opinioni più autorevoli hanno accostato gli avvenimenti ora
alla Vandea rivoluzionaria, ora alla rivolta di Reggio Calabria,
in generale riconoscendo ai “poveri padri di famiglia” il diritto
di protestare per la situazione oggettivamente drammatica in
cui versa il Mezzogiorno, prendendo però le distanze dalle
modalità scelte e da tutto quello che la rivolta ha significato.
Del resto, c’è davvero da chiedersi quale legittimità, quale
attendibilità possa reclamare la protesta del “popolo siciliano”,
senza che quest’ultimo abbia prima reciso ogni legame con la
criminalità organizzata, con le classi dirigenti più devote al
clientelismo, con i potentati parassitari ed i notabilati più
reazionari. Tutti quei centri di controllo e di interesse
direttamente responsabili dell’ indigente immobilità del Sud,
una grande e permanente “unità interclassista” al servizio della
stagnazione e dell’egoismo. Così, la presa di coscienza è
ancora una volta contumace, tra la gente ma soprattutto presso
quelle classi dirigenti non compromesse e tuttavia, per la loro
solerte inerzia, coinvolte nella sconfitta della politica e della
rappresentatività democratica che si è già compiuta.
Francesco Vasta
copyright Francesco Vasta
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Claudia CammarataNuovo colpo alla democrazia? Non sono mancate le
polemiche dopo la bocciatura di entrambi i quesiti referendari
da parte della Corte Costituzionale che, con un doppio no ha
dichiarato inammissibili le richieste di abrogazione
dell’attuale legge elettorale, la Legge Calderoli n.270 meglio
conosciuta come “porcellum”.
Per i giudici della Corte, infatti, non ci sono “aspetti di merito
rilevanti” nei due quesiti di illegittimità proposti dal comitato
elettorale. Nonostante il verdetto della Corte sia stato indicato
come frutto di una scelta politica anziché strettamente
giuridica, i quindici giudici hanno esortato il Parlamento a
sostituire al più presto la legge, sollecito che però non ha
appagato gli sforzi dei comitati referendari (1 milione e 200
mila le firme raccolte) e continua a mantenere in vita (o in
agonia) un sistema da tutti considerato ingiusto e
antidemocratico.
Nonostante le aspettative deluse e lo sprono della Corte
Costituzionale, Andrea Morrone (presidente del comitato
promotore) ha dichiarato che la battaglia per il sistema
maggioritario e la democrazia in Italia non subirà alcuna
battuta d’arresto. Altrettanto ferma la reazione di Arturo
Parisi del PD (promotore della raccolta firme): “Ora tocca ai
partiti e ai leader dei partiti. Quelli che questa legge hanno
voluto, quelli che hanno goduto di questa legge e che poi,
sotto l' onda delle firme che abbiamo raccolto, hanno
dichiarato indifendibile”.
Questo era il contenuto dei due quesiti:
- Il primo proponeva l’abrogazione integrale di tutte le
disposizioni di modifica della disciplina elettorale per la
Camera e per il Senato introdotte dalla legge n. 270 del 2005.
- Il secondo era di tipo “parziale”, perché abrogava non
l’ intera “Legge Calderoli” ma le singole disposizioni della
stessa, precisamente le disposizioni che sostituiscono le due
leggi approvate il 4 agosto 1993, rispettivamente n.277
(“Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati”) e
n.276 (“Norme per l’elezione del Senato della Repubblica”).
Queste due leggi introducevano al posto della disciplina
precedente (di tipo proporzionale), un sistema misto, in base
al quale i seggi della Camera e del Senato erano assegnati per
il 75% mediante l’elezione di candidati in altrettanti collegi
uninominali, e per il restante 25% con metodo proporzionale.
La legge è comunemente conosciuta come “Mattarellum”,
dal nome del deputato Sergio Mattarella, relatore del testo.
Se è vero che la battaglia per un sistema elettorale più giusto
e democratico non si deve fermare, è anche vero che è
necessario indirizzare nel verso giusto le voci di dissenso al
sistema, ossia verso chi ha voluto questa legge e di
conseguenza ne ha tratto benefici. Il Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano ha ribadito che “ora tocca ai
partiti e alle Camere”, ma come ha affermato Parisi “non
vorrei essere nei loro panni”.
La bocciatura dei quesiti referendari desta clamore in tutta Italia, ma non tra gli
addetti ai lavori. Una decisione, quella della Corte, forse non scontata (altrimenti
non si spiegherebbe il giorno e mezzo di camera di consiglio prima del verdetto),
ma almeno presumibile. Le motivazioni della Corte riprendono tre sentenze del
1978, del 1987 e del 1995, per affermare che, essendo la reviviscenza un
concetto inapplicabile, c'era la possibilità concreta che un'eventuale vittoria dei
SI' al referendum formasse un pericoloso vuoto normativo. Il vuoto normativo è
insostenibile in materie fondamentali (come quella elettorale appunto), perchè
"gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale non possono essere esposti
neppure temporaneamente alla eventualità di paralisi di funzionamento, anche
soltanto teorica" (sent. C.Cost. n.29, 1 987). A rischiare dunque non è una legge,
ma la stessa effettività della democrazia. La teoria della reviviscenza è da oltre
trent'anni respinta dalle sentenze della Corte Costituzionale. Per dirla con le
parole di Michele Ainis, costituzionalista, "sarebbe come dire che abrogando la
Costituzione tornerebbe in vigore lo Statuto Albertino”.
Dunque non una questione politica, come qualcuno vorrebbe farci credere, ma di
puri principi giuridici (e non per questo meno rilevanti nella sostanza). Resta da
capire come mai il comitato promotore, composto anche da autorevoli
costituzionalisti (come Onida e Zagrebelsky), sia andato avanti con la raccolta
delle firme senza nemmeno considerare i moniti che pur si erano levati. Il rischio
di un simile esito era prevedibile, e oggi i promotori si dovrebbero prendere tutte
le responsabilità della disfatta, anzichè rigettarle sulle spalle dei giudici. P. F.
Roberto Fischetti
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La primavera araba dello scorso anno porta l’Egitto in una
fase storica, in una fase di apertura politica. Il regime
dittatoriale di Hosni Mubarak dopo 30 lunghi anni di attività
viene finalmente fatto crollare, dando riscatto alla
popolazione egiziana. Finiscono i soprusi, finisce la
corruzione e la violenza, per dare ai cittadini una vita più
giusta, fatta di giustizia sociale, di democrazia e libertà. In
molti vorremmo che quest’ultima frase fosse già realtà, ma
non è ancora così. L’esercito, che ha preso la guida del paese
dopo le dimissioni dell’ex dittatore, viene spesso accusato di
aver continuato con la politica del regime, e i recenti scontri
a piazza Tahrir ne sono un esempio. La folla protesta perché
ha rabbia dentro, perché non vuole che ci sia solo un cambio
di testimone, e perché vuole vedere la differenza, dopo
averla fatta. E proprio questa potrebbe essere data dalle
nuove elezioni legislative, il primo passo in senso
democratico. Il 29 novembre scorso, per l’appunto, sono
iniziate le prime votazioni di questo lungo processo
elettorale che porterà alla nomina dei deputati delle due
camere egiziane: l’Assemblea Popolare, o camera bassa, e la
Shura, o camera alta. I partiti sono circa 40, per oltre 6 mila
candidati, coalizzati in 4 grandi gruppi. Sono presenti in
netta maggioranza forze religiose, ma anche forze liberali,
progressiste e laiche. E in tutto questo gioco di candidati,
partiti e coalizioni, il popolo non smette di farsi sentire. Si
contesta il lungo periodo per cui andranno avanti le elezioni,
la poca informazione su come bisogna votare e la
disorganizzazione riscontrata in questi giorni di votazione,
temendo anche brogli come nelle scorse elezioni del
novembre 2010. Nonostante tutto questo c’è voglia di andare
a votare, perché c’è voglia di cambiare la propria vita,
facendo si che la dittatura sia solo un ricordo, orrendo, nella
storia d’Egitto. E proprio nei giorni scorsi abbiamo preso
conoscenza dei primi risultati ufficiali, per quanto riguarda
la nuova formazione dell’Assemblea Popolare, ma bisogna
fare una precisazione. Fin da quando era ancora presente il
regime, le forze religiose islamiche dei Fratelli Musulmani
sono state tra le più presenti tra la popolazione, per dare un
sostegno e un aiuto laddove fosse stato necessario,
garantendo, per così dire, una minima forma di walfare
state, completamente assente nella politica del dittatore.
Successivamente hanno appoggiato la rivoluzione, facendo
aumentare non di poco i loro consensi. Tutto questo fece si
che i Fratelli Musulmani, e la componente islamica in
generale, fossero tra i partiti più favoriti di queste
legislative. Non è un caso, infatti, che abbiano ottenuto la
netta maggioranza con il 47% dei voti e 237 seggi in
Assemblea, seguiti dai Salafiti (altro movimento di natura
islamica, anche se più estremista) e dai liberali. Tutto
questo, però, non piace alle forze laiche del paese, che
temono la degenerazione della futura democrazia in uno
stato teocratico. Ma adesso, può realmente rappresentare un
male questo risultato? Può, per esempio, concretizzarsi
quanto ipotizzano i laici? Sicuramente è possibile. Ma i
Fratelli Musulmani negano questa previsione e, inoltre,
dichiarano che faranno rinascere moralmente l’Egitto,
utilizzando la strada religiosa si, ma senza imporla e senza
essere intolleranti verso nessun’ altra forma di culto o
politica. Ora, per quanto possa esserci dentro di noi
quell’ idea di stato laico, e per quanto magari si possa
preferire quest’ultima, alla luce dei risultati elettorali, la
soluzione religiosa egiziana potrebbe essere una strada non
pericolosa, purché si diminuisca il clientelismo e la
corruzione, la violenza e la discriminazione, per una
maggiore libertà di convivenza pacifica e crescita del paese
in senso democratico. In nome della primavera araba: “i
dittatori non sono mai forti come vogliono far credere e la
gente non è mai così debole come pensa”, Gene Sharp.
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Pietro FigueraAgli imponenti funerali del dittatore nordcoreano Kim Jong-
Il, avvenuti il 28 dicembre, un'immensa folla ha
accompagnato il feretro del "Caro Leader" per tutti i 40
chilometri di strada innevata che portavano al Mausoleo di
Kumsusan. Nessuno può aver fatto a meno di notare le scene
di disperazione manifestate dagli spettatori della cerimonia
funebre. Cosa rappresentano davvero quelle lacrime? La
sofferenza di persone realmente addolorate per la fine
dell'esistenza terrena di un "semi-dio", oppure l'ennesima
montatura propagandistica ben orchestrata? Gli opinionisti
occidentali hanno propeso in larga maggioranza per la
seconda ipotesi, ed è probabile che non abbiano torto. Ma vi
è una naturale tendenza a riflettere secondo il proprio modo
di vedere le cose, che impedisce la comprensione degli eventi
sociali di realtà diverse dalla nostra. Dal nostro punto di
vista, è inconcepibile la dolorosa reazione di chi è stato
vessato per tutta la vita dai vizi e dalla crudeltà di un dittatore
che ha portato un'intera nazione sull'orlo dell'abisso. Ma noi
guardiamo la Corea nella trasparenza della libera
informazione, senza indossare le lenti della 'Juche', la
filosofia di stato comunista che ha preso il posto del
confucianesimo e delle altre religioni. E' probabile che il
governo nordcoreano abbia ingaggiato dei figuranti, quelli
che si davano alle scene più disperate al passaggio delle
telecamere. D'altronde, è davvero importante saperlo?
Simulazione o meno, siamo sempre spettatori di un dramma
nazionale. Se da un lato è sicuro che una manifestazione di
sentimenti diversi, da parte dei cittadini nordcoreani, sarebbe
stata severamente punita, dall'altro è certo che la macchina
propagandistica locale, attiva da oltre 60 anni, abbia
manipolato le menti di generazioni di persone. I coreani delle
ultime due generazioni sono nati con l'immagine del Caro
Leader o del suo predecessore, il "Presidente Eterno", nelle
loro case, un'immagine di fatto sacra e venerata. A scuola
hanno studiato i suoi scritti, all'università si sono laureati in
"Kim Il Sung pensiero", alla radio hanno ascoltato le sue lodi
"per l'immenso amore e dedizione con cui si dedica al suo
popolo". La manipolazione psicologica e culturale che hanno
dovuto subire i nordcoreani è inimmaginabile per noi
occidentali. Nonostante le condizioni indigenti della
popolazione, un'economia chiusa e arretrata e una carestia
che da alcuni anni sta distruggendo l'agricoltura del Paese, i
coreani non sono portati a ribellarsi perchè sono convinti di
essere fortunati rispetto al resto del mondo. La censura del
regime opera come uno specchio deformato. All'esterno,
cerca di mostrare un'immagine felice della propria società e
della propria economia (per fortuna senza successo); al
proprio interno, all'opposto, cerca di convincere i propri
cittadini che la Corea è l'unico luogo pacifico e ordinato del
pianeta. Tiziano Terzani, che visitò la Corea del Nord nel
1980, scrisse: “Il fatto che la gente creda davvero di vivere in
Paradiso è il più grosso successo del regime. La gente è
davvero convinta che il muro di 240 chilometri che corre
lungo la zona smilitarizzata tra Nord e Sud sia stato costruito
dai terribili americani per impedire ai sudcoreani di andare a
vivere nello splendido Nord…”. La telefonia mobile è
proibita dal 2004. Internet praticamente non esiste: al suo
posto vi è 'Kwangmyong' ovvero una rete nazionale intranet
che collega le principali realtà istituzionali e universitarie del
Paese, soprattutto con siti di apologia e propaganda del
regime. Ma anche questo strumento rimane ignoto per la
maggior parte della popolazione. La domanda è: quanto
durerà questo sistema di occultamento? La successione di
Kim Jong-Un non ha aperto finora spiragli incoraggianti. E'
probabile che, se il regime cadrà, sarà merito delle gerarchie
militari e difficilmente di un'insurrezione popolare, per
almeno due motivi. Primo, l'infiltrazione della polizia tra la
popolazione è ai livelli della Stasi nell'ex Germania dell'Est e
scoraggia qualsiasi tentativo di disobbedienza civile
(punibile con torture e detenzione nei campi di
rieducazione); secondo, la gente non ha un'effettiva
conoscenza di ciò che accade nel mondo esterno. L'unica
speranza è che il regime, constatato il fallimento della sua
politica di ricatto nucleare internazionale (richieste d'aiuti in
cambio della neutralità nucleare con la Corea del Sud e gli
altri vicini), abbandoni l'isolamento in favore di una graduale
apertura politica ed economica. Non dimentichiamo che vi è
la forte pressione delle multinazionali che non vedono l'ora
di sfruttare le enormi potenzialità di un territorio ancora
vergine. Ma il regime e la dinastia Kim si reggono sull'idea
del pericolo costante, dello stato di emergenza bellica
permanente. Distesi i rapporti con il Sud, e quindi svanito il
pericolo di una guerra, non si giustificherebbero più le
restrizioni imposte alla popolazione: il regime vacillerebbe.
Ecco perchè la tensione internazionale continua e non è stato
ancora firmato un Trattato di Pace dal 1953, anno della fine
della Guerra di Corea.
Giorgia MusmeciAgli inizi dell'ottocento si leggeva questo motto sui giornali
americani: “West una terra dove tutto è ancora da scoprire, da
costruire, dove la legge ancora non è arrivata e si può essere
liberi”. Liberi e senza legge i coloni potevano guadagnarsi
con qualche colpo di pistola un appezzamento di terra, poco
importava se quella terra era la terra coltivata da generazioni
dalle tribù indiane che, non avendo un Catasto, non potevano
dimostrare i diritti di proprietà su quella terra. Come non lo
erano gli indiani d'America, non
sono dotati di uffici catastali
nemmeno i contadini africani che,
oltre duecento anni dopo, oggi si
ritrovano nella medesima
condizione, protagonisti di un triste
remake di qualche vecchio film
western.
Tutto nasce il 23 Aprile del 2009,
quando la direttiva 28/09 del
Parlamento Europeo impone nella
sua strategia 2020 che “Ogni stato
membro assicuri la propria quota di
energia da fonti rinnovabili in tutte
le forme di trasporto pari almeno al
10%”. Nessuna direttiva sulla
natura delle fonti di energia; il
mercato punta così sulle due più
convenienti, l'olio di palma ed i
carburanti estratti da mais ed altri
cereali, ben 4 volte più redditizie di qualsiasi altra forma di
energia. Questi Biocarburanti, prodotti da fonti naturali
alternative al petrolio, producono meno CO2 ma hanno un
unico difetto: per essere prodotti necessitano di vastissimi
appezzamenti di terra, (solo per raggiungere il 4% della
soglia, ai paesi europei servirebbe una superficie agricola pari
a quella dell'intero stato del Belgio). Scatta quindi la corsa
alla terra, che diventa per i mercati internazionali un bene
preziosissimo. In Europa la terra coltivabile è in esaurimento,
soppiantata da città, fabbriche ed infrastrutture; ma nel nuovo
West è possibile trovarne milioni e milioni di ettari: stiamo
parlando dell'Africa. In Africa la terra costa pochissimo,
l'affitto di un ettaro di terra costa a Dakar 2,53€ l'anno, nel
Mali (una delle zone più fertili) meno di 100€ l'anno ed in
alcune zone più aride addirittura 0,1 4€ l'anno; lo stesso ettaro
di terra affittato in Inghilterra o negli USA costerebbe più di
22.000$ l'anno. Ciò che rasenta l'inverosimile, però, è la
facilità nell'ottenere la concessione statale di tali territori, un
normale contratto d'affitto supera abbondantemente le 1 .000
pagine, i contratti d'affitto per la concessione di queste terre
non superano le 4 pagine; firmati, il più delle volte, da
società fittizie con sedi irrintracciabili. Le terre concesse dai
governi africani (per periodi a volte superiori a 90 anni) alle
grandi società, risultano essere terre vergini, abitate da
nessuno. Peccato che dietro questo
“nessuno” ci siano stati due secoli
fa i pellerossa e le loro famiglie,
oggi ci sono i contadini delle tribù
africane (ben il 75% della
popolazione), che quelle terre le
coltivano da generazioni, ma non
hanno nessun documento per
dimostrarlo; chi protesta finisce in
galera. Tra il 2008 ed il 2009 sono
stati vittime di questo fenomeno
chiamato “land grabbing”
(accaparramento di terre), ben 30
milioni di ettari, circa 2 volte e
mezzo la superficie della
Thailandia, finiti nelle mani delle
grandi compagnie. Quei 30 milioni
di ettari, che prima producevano
sorgo e miglio per sfamare centinaia
di tribù, adesso, e per i prossimi 90
anni, produrranno biodiesel e bioetanolo. E le coltivazioni
delle tribù? Nei contratti le società promettono numerosi
posti di lavoro, nella realtà il lavoro lo fanno le macchine ed i
contadini sfrattati non possono far altro che assistere in
silenzio alla distruzione del proprio lavoro. Dove avviene,
allora, la produzione del cibo per sfamare le tribù?
Semplicemente non viene più prodotto; gli stati non hanno
capitali per investire sulla produzione di cibo e chi i capitali
li possiede, non ha interesse a farlo. Meglio coltivare cereali,
il cui prezzo sale e scende ormai di pari passo al petrolio, per
produrre bioetanolo al mercato mondiale che investire sul
frumento per soddisfare il fabbisogno alimentare locale,
difficilmente vendibile ai prezzi internazionali perché troppo
caro per il mercato africano. Se non i governi, allora
dovrebbero investire sul sostentamento dell'Africa le
organizzazioni di tutela mondiale, come la Banca Mondiale.
8
Duecento anni dopo la conquista del West la nuova inumana corsa all'accaparramento delle terre in Africa
Si è svolto giorno 29 novembre presso l'Aula Magna della
Facoltà di Scienze Politiche il convegno, coordinato dal
professore R. Mangiameli e che ha visto la presenza di
numerosi e autorevoli relatori, che aveva come tema “Mafia
ed Economia” a partire dalla presentazione del volume
“Alleanze nell'ombra. Mafia ed economie locali in Sicilia e
nel Mezzogiorno” a cura di Rocco Sciarrone, docente di
Sociologia all'Università di Torino. L'indagine che si
sviluppa nel libro mira a comprendere i meccanismi
attraverso cui le organizzazioni criminali si inseriscono nei
mercati leciti e nelle economie locali, in diversi contesti
come quelli siciliani, calabresi e campani. Ci si è soffermati
in particolare sulla presenza di un' “area grigia”, quella che
permette alla mafia di avere successo, composta da politici,
professionisti, imprenditori, manager e burocrati che fanno
affari nell'ombra. Dopo la presentazione iniziale di Rocco
Sciarrone, ha preso la parola Raimondo Catanzaro,
sociologo, docente presso l'Università di Bologna, che ha
posto l'accento sulla capacità dei mafiosi di stabilire contatti
a livello transazionale con soggetti dell'area grigia: si
instaurano cosi dei “giochi a somma positiva”, in cui cioè
tutti i partecipanti hanno qualcosa da guadagnare. Giovan
Battista Tona, Consigliere di Corte di Appello di
Caltanissetta, si interroga su quali siano le zone d'ombra in
cui agisce la mafia. Bisogna notare come tutti i boss mafiosi
crescono e prediligono la provincia (l'ombra appunto) e poi
investono in città. Nonostante la globalizzazione dei mercati,
le economie locali sono importanti in quanto permettono alla
mafia di essere presente e controllare il territorio: anche le
zone apparentemente più insignificanti sono significative per
la mafia. Il professore Aleo, penalista, è stato critico nei
confronti dei sociologi, in quanto, a suo avviso, questi ultimi
non hanno ancora chiarito quale sia il vero ruolo dei
professionisti, medici e avvocati nel rapporto con la
criminalità organizzata, in un contesto in cui la mafia ha
cambiato strategia di azione: non ci sono più i 100 morti
ammazzati degli anni '80 a Catania, ma abbiamo molti più
“colletti bianchi” e ciò spiega la presenza in Sicilia di un
numero elevatissimo di sportelli bancari e (a Catania
soprattutto) di centri commerciali. Giuseppe Strazzulla,
coordinatore Provinciale di Libera, Associazione fondata da
Don Ciotti, parla dell'importanza dell'antimafia sociale,
dell'esigenza di costruire reti per fronteggiare ogni tipo di
illegalità, e si sofferma, infine, su alcune lacune del Codice
Antimafia approvato dal governo uscente Berlusconi, come
ad esempio la vendita all'asta dei beni confiscati ai mafiosi.
La professoressa Rita Palidda ha riportato l'esempio di
Vittoria, un'area in cui clan catanesi (Santapaola ed
Ercolano) e clan dei Casalesi si sono uniti per controllare il
settore dell'ortofrutta e dei trasporti. Il professore M. Avola,
infine, si è soffermato sul problema della grande
distribuzione commerciale e sull'anomalia catanese, cioè
l'intreccio di interessi economico-politico-mafiosi
(situazione che aveva già denunciato Giuseppe Fava), e che
quindi bisogna vedere l'imprenditore non come vittima ma
come attore attivo che beneficia di queste collusioni.
Sono fondamentali, dunque, momenti di riflessioni come
questi, per comprendere a fondo il fenomeno mafioso e la
sua penetrazione all'interno dei settori vitali della società e
dell'economia del nostro paese.
Filippo Biondi
9
Difatti la World Bank crea un fondo d'investimento Private
Equity, investito e registrato però nel paradiso fiscale delle
isole Cayman, ben lontano dalle bisognose terre africane,
sulle quali tra l'altro la WB specula copiosamente, figurando
come partner del progetto di accaparramento Sosumar per la
produzione di mais e zucchero in Mali.
Risultato? Un numero sempre maggiore di Africani sta
perdendo la propria terra e con essa l'accesso alle risorse
primarie come l'acqua, il cibo ed i servizi pubblici; le foreste
disboscate vengono trasformate in campi da coltivare e la
popolazione africana si ritrova a produrre biocarburanti,
essenziali per le altre nazioni, senza poter produrre il pane
necessario a sfamare i loro figli. Il tutto in nome di una
riduzione della CO2 che difatti nemmeno esiste, perché gli
stabilimenti che producono il biodiesel che emette meno
smog nelle nostre strade, ne emettono il doppio durante la
lavorazione. Non è necessario cambiare o riorganizzare
questa forma meschina d'investimento, è necessario
debellarla e cancellarla, come dovrebbe essere cancellata
ogni abominevole forma d'ingiustizia fatta dall'uomo
sull'uomo.
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Carica di sentimento e misteri è la vicenda biografica di
George Sand, pseudonimo letterario della francese Amantine
Aurore Lucile Dupin. Figura anticonformista che amava il
suo essere donna e lo difendeva con la penna e le parole. I
suoi scritti velati da un femminismo sempre rispettoso,
inneggiavano a ideali di modernità ed erano attratti dalla scia
di profumo socialista, della quale fu sostenitrice fin dagli
albori. George Sand fu una donna passionale ma selettiva,
come dimostrano le relazioni sentimentali che intreccià con
lo scrittore Alfred de Musset e il musicista Fryderyk Chopin.
“La società non deve esigere nulla da chi non si aspetta nulla
dalla società.”, recita una dei suoi motti di più di largo respiro
e testimonia il suo interesse e l’attività politica; fece anche
parte – senza ricoprire comunque un ruolo di primo piano-
del governo provvisorio del 1 848, facendo valere il concetto
di quote rosa ante-litteram. Nel dicembre del 1 863 i suoi
scritti vennero inseriti nell’ Indice dei libri proibiti dalla
Chiesa Cattolica, perché si ponevano in modo nettamente
critico nei confronti del papato e di tutto l’operato clericale
del tempo. Aurore, discendeva da una nobile famiglia
francese e nel 1 822 sposò il barone Casimir Dudevant, del
quale lei stessa diceva che non facilmente si lasciava andare
in gesti passionali ma col quale piuttosto aveva un rapporto di
tenera amicizia. Infelice col suo uomo, preferiva allettarsi con
la compagnia degli amici Roettiers, a Plessis e del figlio
Maurice, nato il 30 Giugno del 1 823. Lo pseudonimo George
Sand trova ispirazione dal nome di Jules Sandeau, il
giornalista parigino della quale si innamorò dopo la rottura
del suo matrimonio col barone Dudevant. A Parigi collaborò
con lui al giornale Le Figaro. Da quel periodo nascono i
primi romanzi a quattro mani della sua fiorente produzione
letteraria, fra cui Le Commissionnaire e la Rose et Blanche;
siamo nel 1 831 e la firma sulla loro copertina è quella di
J.Sand. L’utilizzo dello pseudonimo maschile, poi adottato in
tutti i suoi libri, fu un’arma di difesa dal pregiudizio verso
una scrittrice di sesso femminile –spesso considerate di
qualità inferiore- e unito al modo di abbigliarsi di George, fu
motivo di infondate accuse di lesbismo per la donna. Siamo
nel 1 848, lo scenario è quello della Rivoluzione parigina e
George Sand, come il figlio Maurice, che era all'epoca il
sindaco di Nohant, si dimostra favorevole mantenendosi sulla
riga sempre moderata dei suoi ideali. Si legge da una sua
intervista: “Sono comunista così come si era cristiani
nell'anno 50 della nostra era. Il comunismo è per me l'ideale
delle società in progresso, la religione che vivrà tra qualche
secolo. Non posso dunque aggrapparmi a nessuna delle
formule di comunismo attuali, perché esse sono tutte
piuttosto dittatoriali e credono di potersi affermare senza il
concorso dei costumi, delle abitudini, delle convinzioni.
Nessuna religione si stabilisce con la forza”. Nel 1 871
collaborò con la rivista La Revue des deux mondes e con la
rivista protestante Le Temps, mentre si poteva già stilare una
lista di fortunate opere destinate a diventare pietre miliari
della letteratura femminista e di genere, quali Francois le
Champi, Histoire de ma vie e Jean de la Roche, nonché 31
opere teatrali di carattere didattico e serio portate in scena nel
suo teatro privato nella tenuta di Nohant e poi postume nei
maggiori teatri di Parigi. Morì l’8 giugno del 1 876, ebbe
funerali religiosi e fu sepolta a Nohant. Le sue nipoti
stringevano orgogliose tra le mani Novelle di una nonna.
Valentina Oliveri
Vuoi scrivere per noi? Hai consigli, idee o suggerimenti? Vuoi segnalarci qualcosa?Scrivi alla nostra redazione! [email protected] perso un numero precedente? Leggilo in PDF nel nostro sito web!http://uduct.webnode.it/Per qualsiasi richiesta o informazione, non esitare a [email protected] [email protected]
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UDU CATANIA, IL TERZO CONGRESSOI l 6 Dicembre scorso si è Svolto i l I I I Congresso dell 'UDU
Catania nella Sala Riunioni “Sebastiano Russo” presso la
locale sede CGIL.
Dopo una breve introduzione del moderatore Gianluca
Scerri è intervenuto i l Coordinatore uscente Fabio Tasinato
che ha, tra le varie cose, prodotto un lucido resoconto sul la
situazione universitaria in città e sul l 'impegno che l'UDU ha
messo e mette tutt'ora nella tutela dei diritti degl i studenti ,
come si può evincere dalle battagl ie sostenute con successo
negli ultimi anni. Non sono mancati i saluti e gl i auguri di
Pina Palel la, responsabile organizzativo CGIL Catania,
Giacomo Rota, segretario confederale, Elvira Ricotta
Adamo, membro dell 'esecutivo nazionale UDU che ha
portato i saluti del Coordinatore Nazionale Michele Orezzi,
Salvo Nicosia e Daniele Sorel l i per i Giovani Democratici,
Jacopo Torrisi per i l Partito Democratico, Salvo Nicosia,
vice-presidente Federconsumatori Etna Sud, Emmanuel
Sammartino che ha raccontato la sua esperienza all 'interno
del sindacato e Matteo Iannitti in rappresentanza del
Movimento Studentesco Catanese. Hanno poi preso la
parola Elvira Celardi, Luca Tasinato, Elviana Palermo e
Pietro Figuera, i qual i hanno ringraziato i l Coordinatore
uscente per l 'impegno profuso negli ultimi anni ed hanno
espresso i propri pareri sul lavoro svolto dal sindacato
insieme a proposte e suggerimenti per i l lavoro da svolgere
da qui in avanti. Si è poi votato l 'esecutivo che, con voto
unanime, ha visto la nomina di Giuseppe Campisi come
nuovo Coordinatore d'Ateneo, Simone Chisari come
responsabile organizzativo, Claudia Cammarata come
responsabile per i l diritto al lo studio ed Elviana Palermo
come responsabile per le pari opportunità. Con questo
ennesimo congresso l 'Unione degli Universitari ha senza
dubbio lanciato un messaggio importante al la città: i l
sindacato c'è stato, c'è e ci sarà, e siamo sicuri che il nuovo
esecutivo sarà in grado di svolgere con competenza ed
entusiasmo il proprio dovere per tutelare i diritti degl i
studenti e portare avanti le piccole, grandi battagl ie che si
presenteranno. In bocca al lupo anche da parte della nostra
redazione!
Dall'alto in basso, vari momenti del Congresso: i saluti di Giacomo Rota, la relazione delCoordinatore uscente Tasinato, un applauso della platea e la presentazione del nuovo Esecutivo(nell'ordine: Claudia Cammarata, Simone Chisari, Giuseppe Campisi, Elviana Palermo).
Cristopher Gaziano
Utopia - Stampato non periodico. Catania, gennaio 201 2. Stampatore: UDU Catania. Direttore: Pietro Figuera. Redazione: Via Crociferi 40, Catania
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Altra battagl ia vinta per l 'Unione degli Universitari .
Sono stati ammessi al la Facoltà di Medicina della
Sapienza di Roma 1 2 studenti extracomunitari rimasti
esclusi a causa di un provvedimento dello scorso anno
della Gelmini, dichiarato lo scorso 1 4 gennaio
i l legittimo da parte dei giudici amministrativi del Tar del
Lazio, che prevedeva un punteggio minimo di
20/80esimi per i l superamento dei test di ammissione
alle facoltà a numero chiuso. L'Udu, attraverso il suo
avvocato Michele Bonetti , ha ritenuto i l legittima questa
soglia per almeno due motivi: i test di ammissione
prevedono 40 domande, sul le 80 total i , di cultura
generale ital iana. E gli stranieri sono ovviamente
svantaggiati . Ma, soprattutto, gl i studenti
extracomunitari che si sono rivolti al Tar Lazio hanno
presentato la domanda per i corsi di ammissione prima
che venisse pubblicato i l decreto che impone lo
sbarramento di 20 punti. Inoltre i l l imite non ha ragione
di esistere perché i posti riservati agl i studenti
extracomunitari nel 2011 sono stati 1 .21 0, ma le
domande appena 859. Secondo l'Udu, non c'era
ragione di imporre un limite di punteggio per essere
ammessi. Anche perché a superare il test, con le
regole della Gelmini, sono stati in 352. Gli oltre 500
posti non assegnati sono rimasti vacanti, non sono
stati riassegnati neppure agli studenti comunitari.
"E' un colpo duro alla gestione ministeriale di
Mariastel la Gelmini", dichiarano i ragazzi del l ’Udu.
"Era stato posto in essere un sistema con una soglia di
punteggio per l 'ammissione che ha lasciato l iberi mil le
posti . Da sempre combattiamo la selezione degli
studenti con un test di ingresso aprioristico ma in
questo caso specifico la situazione era paradossale:
gl i studenti extracomunitari non potevano accedere a
posti riservati proprio per loro, lasciando i posti vacanti
anche per gl i studenti comunitari in una facoltà come
medicina dove gli esclusi dai test ogni anno sono
migl iaia". Lo stesso Ministro dell ’ Istruzione qualche
tempo prima di Natale ha dichiarato che in I tal ia sono
presenti troppo pochi studenti stranieri. Ora che il
decreto Gelmini è stato "bocciato" è auspicabile che il
problema si possa risolvere alla radice. "La vittoria al
TAR va a tutelare i l diritto al lo studio
costituzionalmente garantito - concludono - ma come
sindacato studentesco non possiamo fermarci qui:
chiediamo ora al Ministro Profumo di risolvere il
problema degli altri studenti extracomunitari esclusi, e
di aprire un tavolo di riforma sull 'ingresso nelle
università del nostro Paese, auspicando che questo
sistema iniquo di sbarramento aprioristico cessi
definitivamente di esistere".
L'UDU VINCE RICORSO AL TAR DEL LAZIO: "BOCCIATA" LA GELMINI
in programmazione su Radio Sunshine:
COFFEE AND RADIO (Chiara Iuculano & CesareTrentuno) Musiche dal mondoROCK OUT (Giovanni Timpanaro & FabrizioCanale) Rock e artisti emergenti
Elvira Ricotta AdamoEsecutivo Nazionale UDU