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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA Facoltà di Farmacia Scuola di Specializzazione in Biochimica Clinica SINDROMI CORONARICHE ACUTE E DISTURBI DEPRESSIVI: RUOLO DELLE CELLULE PROGENITRICI ENDOTELIALI, IMPLICAZIONI FISIOPATOLOGICHE E PROGNOSTICHE Relatori: Chiar.mo Prof. Alberto Balbarini Chiar.mo Prof. Antonio Lucacchini Candidato: Francesca Felice Anno accademico 2011-2012

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Farmacia

Scuola di Specializzazione in Biochimica Clinica

SINDROMI CORONARICHE ACUTE E DISTURBI DEPRESSIVI:

RUOLO DELLE CELLULE PROGENITRICI ENDOTELIALI,

IMPLICAZIONI FISIOPATOLOGICHE E PROGNOSTICHE

Relatori: Chiar.mo Prof. Alberto BalbariniChiar.mo Prof. Antonio Lucacchini

Candidato: Francesca Felice

Anno accademico 2011-2012

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SOMMARIO

Le Cellule Progenitrici Endoteliali (EPC) sono cellule mononucleate

derivanti da sangue periferico o da midollo osseo. Esse svolgono

l’importante ruolo di mantenere la fisiologica integrità vascolare, e quindi

servire da bacino cellulare in grado di rimpiazzare un endotelio

disfunzionale, con un ruolo protettivo anche nelle fasi più precoci del

processo aterogenetico e di altre malattie cardiovascolari (MCV).

Il livello ematico delle EPC è considerato un marcatore emergente di

rischio cardiovascolare, in quanto risulta ridotto in presenza di fattori di

rischio e di MCV. Recentemente, la presenza di disturbi depressivi (DD) è

stata identificata come un possibile fattore di rischio per una prognosi

avversa ed una ridotta sopravvivenza in pazienti con sindromi coronariche

acute (SCA).

Ad oggi, la natura del legame fra depressione e malattia coronarica

resta ancora da approfondire. In particolare, non è chiaro se malattia

coronarica e depressione siano le manifestazioni di un comune substrato

biologico, oppure se l'una aumenti il rischio dell'altra (o viceversa) ed

eventualmente quali meccanismi fisiopatologici siano alla base di questa

associazione.

Obiettivo del presente lavoro di tesi è determinare l’impatto dei DD

sui livelli ematici delle EPC in pazienti con SCA, e le relative implicazioni

fisiopatologiche e prognostiche.

Per lo studio sono stati reclutati 75 pazienti con SCA (56 M/19 F; età

58±11 anni). In tutti i soggetti sono state raccolte le principali variabili

cliniche ed antropometriche. Per la valutazione psichiatrica sono state

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somministrate, entro una settimana dall'evento SCA indice, specifiche scale

psicopatologiche. In particolare, la scala Hamilton per la depressione

(Hamilton Depression Rate Scale, HDRS) e la SCID-I (Structured Clinical

Interview for Psychiatric Disorders) per determinare la presenza di diagnosi

di Episodio Depressivo Maggiore (EDM) secondo i criteri del DSM-IV e

di eventuali altri disturbi di Asse I in comorbidità. Punteggi HDRS uguali

o superiori a 17 indicano depressione grave; punteggi compresi tra 12 e 16

indicano depressione moderata; punteggi compresi tra 5 e 11 indicano

depressione lieve; punteggi uguali o inferiori a 4 indicano assenza di

depressione. Dei 75 pazienti con SCA, 38 presentavano DD (28 M/10 F;

età 59±10 anni). In tutti i soggetti è stato effettuato un prelievo a digiuno

per la determinazione di glicemia, profilo lipidico, proteina C reattiva

(hsPCR) e troponina ad alta sensibilità. Il livello di EPC circolanti è stato

valutato mediante tecnica citofluorimetrica (FACS) misurando

l’espressione di specifici antigeni di superficie (CD133, CD34, e KDR)

nella popolazione linfomonocitaria. Come gruppo di controllo, sono stati

reclutati 15 volontari sani e 18 soggetti con disturbi depressivi o d'ansia

senza storia positiva pregressa o attuale per disturbi cardiovascolari.

Si è proceduto dapprima alla ottimizzazione delle fasi del protocollo

d'analisi (lisi dei globuli rossi, settaggio delle condizioni di analisi FACS).

Per ogni soggetto sono stati allestiti due campioni: il primo marcato con gli

Abs specifici per la valutazione del numero di EPC, il secondo marcato per

l’identificazione delle cellule CD34+, secondo il protocollo

dell’International Society of Hematotherapy And Graft Engineering

(ISHAGE). Dei 38 pazienti con DD, il 51% presentava una depressione

lieve, il 13% una depressione moderata e l’8% una depressione grave. Il

ii

Sommario

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livello ematico delle EPC è risultato inversamente correlato con l’indice

HDRS (rho=‐0.34; p<0.005). In particolare, i livelli di EPC circolanti nei

pazienti SCA affetti anche da DD è risultato significativamente ridotto,

rispetto ai pazienti con solo SCA (58 ± 37 cellule/ml di sangue vs. 148 ± 91

cellule/ml di sangue; P<0.0001). Dividendo la popolazione nei sottogruppi

aventi infarto miocardico con sopralivellamento del tratto ST (STEMI) e

non-STEMI (NSTEMI), il numero di EPC risultava minore nei soggetti

con SCA e DD rispetto ai soggetti con SCA senza DD, sia negli STEMI

(50 ± 26 cellule/ml di sangue vs. 153 ± 79 cellule/ml di sangue; P<0.0001)

sia negli NSTEMI (75 ± 53.4 cellule/ml di sangue vs. 161.3 ± 132

cellule/ml di sangue; P<0.05). Infine, i livelli ematici delle EPC risultavano

significativamente ridotti nei soggetti con DD senza storia positiva

pregressa o attuale per disturbi cardiovascolari, rispetto sia ai soggetti sani

(73 ± 60 cellule/ml di sangue vs. 213 ± 84 cellule/ ml di sangue;

P<0.0001), sia ai pazienti con SCA senza DD (73 ± 60 cellule/ ml di

sangue vs. 148 ± 91 cellule/ ml di sangue; P<0.001).

I risultati suggeriscono che i DD sono in grado di modificare i livelli

di EPC circolanti. Inoltre, la presenza di depressione, in pazienti con SCA,

sembra modificare la risposta midollare all’evento ischemico acuto, con la

conseguente riduzione dei livelli di EPC circolanti. Pertanto, in

considerazione dell’importante ruolo delle EPC nella neovascolarizzazione

di tessuti ischemici e nella riendotelizzazione di vasi sanguigni danneggiati,

possiamo supporre che i pazienti con SCA e DD siano maggiormente

esposti ad un rischio di prognosi avversa, poiché meno protetti rispetto ai

pazienti SCA privi di tali disturbi.

iii

Parole chiave: Cellule progenitrici endoteliali; depressione; sindromi coronariche acute.

Sommario

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INDICE

ABBREVIAZIONI.....................................................................................pag. vi

CAPITOLO I

1. INTRODUZIONE...............................................................................pag. 1

1.1. Patogenesi delle malattie cardiovascolari..........................................pag. 2

1.2. Sindromi Coronariche Acute..........................................................pag. 7

1.3. Fattori di rischio cardiovascolare...................................................pag. 11

1.3.1. Fattori di rischio classici o tradizionali................................pag. 11

1.3.2. Fattori di rischio emergenti................................................pag. 13

1.4. Disturbi depressivi........................................................................pag. 15

1.4.1. Disturbi depressivi e cardiopatia ischemica.........................pag. 18

1.5. Le Cellule Progenitrici Endoteliali................................................pag. 21

1.5.1. Definizione e caratterizzazione fenotipica e funzionale delle EPC........................................................pag. 25

1.5.2. Origine, mobilizzazione e reclutamento delle EPC.............pag. 30

1.5.3. Fattori che influenzano i livelli delle EPC circolanti...........pag. 34

1.6. Le EPC nelle malattie cardiovascolari............................................pag. 38

1.6.1. Cardiopatia ischemica cronica..............................................pag. 39

1.6.2. Angina instabile.................................................................. pag. 39

1.6.3. Infarto del miocardio...........................................................pag. 40

1.6.4. Stroke...................................................................................pag. 41

iv

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1.6.5. Scompenso cardiaco...........................................................pag. 42

1.7. Ruolo prognostico delle EPC sul rischio cardiovascolare..............pag. 42

1.8. Potenziale rigenerativo delle EPC.................................................pag. 44

1.9. EPC e Disturbi Depressivi...........................................................pag. 45

2. SCOPO DELLA TESI.......................................................................pag. 48

Capitolo II

3. MATERIALI E METODI................................................................pag. 49

3.1. Popolazione di studio .................................................................pag.49

3.2. Valutazione clinica.....................................................................pag. 52

3.3. Determinazione delle EPC circolanti.........................................pag. 53

3.3.1. Principi di citofluorimetria a flusso....................................pag. 54

3.3.2. Dosaggio dei livelli di EPC circolanti.................................pag. 58

3.4. Analisi statistica..........................................................................pag. 63

4. RISULTATI.....................................................................................pag. 64

4.1. Caratteristiche della popolazione studiata...................................pag. 64

4.2. Valutazione dei disturbi depressivi..............................................pag. 64

4.3. Valutazione dei livelli di EPC circolanti in pazienti SCAcon o senza DD..........................................................................pag. 66

4.4. Livelli di EPC in pazienti STEMI...............................................pag. 68

4.5. Livelli di EPC in pazienti NSTEMI...........................................pag. 68

5. DISCUSSIONE ...............................................................................pag. 72

6. CONCLUSIONE.............................................................................pag. 76

v

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ABBREVIAZIONI

BM = Midollo osseo

CAD = malattie dell’arteria coronarica

CFU = Unità formanti colonie

DB = Disturbo bipolare

DD = Disturbo depressivo

DSM-IV-TR = Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali

EC = Cellule endoteliali

eNOS = Ossido nitrico sintasi endoteliale

EPC = Cellule progenitrici endoteliali

HIF = Fattore di trascrizione indotto dal ipossia

HDRS = Hamilton Depression Rate Scale

HSC = Cellule staminali ematopoietiche

ICAM-1= molecola di adesione

IL-6 = interleuchina-6

IMA = Infarto miocardico acuto

LDL = Lipoproteine a bassa densità

MCV = malattie cardiovascolari

MD = depressione maggiore

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MMP-9 = Metalloproteasi-9 di membrana

NO = Ossido nitrico

NSTEMI = Non-ST elevation myocardial infarction

PB = Sangue periferico

PCR = Proteina C-reattiva

PE = Ficoeritrina

PET = Positron Emission Tomography

ROS = Specie reattive dell’ossigeno

SCA = Sindromi coronariche acute

SD = Deviazione Standard

SDF-1 = Fattore 1 derivato dalle cellule dello stroma

STEMI = ST elevation myocardial infarction

TNF‐α = Fattore di Necrosi Tumorale alpha

VE‐Cad = Caderina Vascolare Endoteliale

VEGF = Fattore di crescita dell’endotelio vascolare

VEGFR1 = Recettore 1 del VEGF

VEGFR2 = Recettore 2 del VEGF

vWF = Fattore di vonWillebrand

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Abbreviazioni

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CAPITOLO I

1. INTRODUZIONE

Le malattie cardiovascolari (MCV) rimangono la causa principale di

morte e morbilità nel mondo occidentale e tra di esse la cardiopatia

ischemica, nelle sue manifestazioni acute, ne è la maggior responsabile1.

Le MCV costituiscono uno dei principali problemi di salute pubblica,

non solo nel mondo industrializzato, ma anche nei paesi in via di

sviluppo2. Esse colpiscono pazienti in età lavorativa, nella loro fase

maggiormente produttiva e comportano conseguenze psicosociali ed

economiche particolarmente deleterie. Si prevede che entro il 2020 le

MCV, in particolare l’aterosclerosi, diventeranno a livello mondiale,

l’elemento primario di tutto il carico di malattia, definito come anni di

lavoro sottratti dalla disabilità o da un decesso prematuro alla vita in

buona salute.

Gli ultimi decenni hanno visto importanti evoluzioni nella

comprensione della fisiopatologia e nel trattamento dell’infarto

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Capitolo I Introduzione

miocardico acuto (IMA) e delle sindromi coronariche acute (SCA),

soprattutto nelle loro fasi iniziali3,4. I progressi della medicina,

soprattutto per quanto riguarda la terapia e la prevenzione delle MCV,

hanno consentito di allungare notevolmente l’aspettativa di vita alla

nascita, che in Italia è di 77 anni per gli uomini e di 83 per le donne5,

dato questo che ha reso il nostro Paese il secondo al mondo per

longevità dopo il Giappone. La suscettibilità alle MCV, tuttavia,

aumenta con l’età ed è rilevante da un punto di vista epidemiologico

dopo la quinta‐sesta decade di vita, quindi l’invecchiamento della

popolazione è il fattore che contribuisce in maniera massimale

all’aumentata incidenza di queste patologie.

1.1. Patogenesi delle Malattie Cardiovascolari

Numerose e controverse sono le ipotesi formulate nel tentativo di

identificare meccanismi responsabili di comparsa e progressione della

malattia aterosclerotica. Al momento, comunque, la teoria più

accreditata rimane quella infiammatoria di Russell Ross6, “the response to

injury”, che ipotizza nell’infiammazione il meccanismo mediante il quale

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Capitolo I Introduzione

i fattori di rischio cardiovascolare evocano una risposta riparativa da

parte della parete vascolare, risposta che inizia con la disfunzione

endoteliale, a livello funzionale, per poi progredire e stabilizzarsi con la

formazione della placca aterosclerotica. L’aterosclerosi è infatti, una

patologia infiammatoria caratterizzata da infiltrazione leucocitaria,

dall’accumulo di cellule muscolari lisce e dalla formazione della

neointima (Figura 1.1). L’attivazione e il danno del monostrato

endoteliale sembra innescare lo sviluppo delle lesioni. La disfunzione

endoteliale provoca infatti, risposte di tipo compensatorio che si

estrinsecano nella diminuzione della biodisponibilità di ossido nitrico

(NO), nell’aumentata produzione di endotelina‐1 e nell’attivazione delle

vie di trasduzione che convergono nella regolazione del fattore nucleare

kB (NF‐kB), responsabile della modulazione di un gran numero di geni

ad azione pro‐infiammatoria, tra cui i geni che codificano per

chemochine, enzimi e molecole di adesione.

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Capitolo I Introduzione

Figura 1.1. Rappresentazione schematica della progressione della placca aterosclerotica (Atherosclerosis‐an inflammatory disease. Ross R. N Engl J Med. 1999 Jan 14;340(2):115‐26).

L’accrescimento della lesione può provocare l’ispessimento della parete

arteriosa, determinando un’ulteriore riduzione del lume del vaso. Man

mano che altri leucociti vengono reclutati attraverso un meccanismo di

amplificazione della risposta infiammatoria di basso grado, la lesione va

incontro ad una progressione. E’ stata evidenziata, inoltre, un’elevata

neoangiogenesi all’interno della lesione, sotto lo stimolo di fattori di

crescita prodotti localmente. La neo‐vascolarizzazione dell’intima e

dell’avventizia contribuisce ad incrementare la vulnerabilità della placca

aterosclerotica permettendo l’ulteriore reclutamento di cellule

infiammatorie. Oltre a ciò, poiché i capillari neoformati sono molto

fragili, possono andare facilmente incontro alla rottura: la conseguente

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Capitolo I Introduzione

emorragia favorisce la rapida progressione della placca e l’evoluzione

verso le sue complicanze.

La principale complicanza dell’ateroma è la trombosi. Dal punto di vista

clinico, a livello coronarico, il trombo può essere occlusivo e

relativamente persistente, scatenando un infarto acuto in assenza di

sufficienti circoli collaterali, oppure può occludere solo parzialmente il

lume del vaso come nell’angina instabile.

Le MCV, comunque, definiscono uno spettro di malattie a diversa

etiologia, il cui fattore fisiopatologico unificante è rappresentato da uno

squilibrio tra richiesta metabolica ed apporto di ossigeno (O2) al

miocardio. L’etiologia della MCV è principalmente su base

aterosclerotica. Le principali manifestazioni cliniche di MCV sono:

Angina Pectoris;

Infarto;

Scompenso cardiaco;

Morte improvvisa.

La prima manifestazione di MCV è rappresentata, nel 50% dei casi,

dall’IMA.

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Capitolo I Introduzione

L’IMA è una sindrome clinica derivante da un’ischemia miocardica

acuta che persiste sufficientemente a lungo da provocare necrosi; esso è

dovuto ad instabilizzazione di una placca vulnerabile con conseguente

formazione di trombosi intraluminale ed occlusione della coronaria

interessata.

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Capitolo I Introduzione

1.2 Le Sindromi Coronariche Acute

La definizione di SCA è ampia e articolata e comprende pazienti con

sintomi riconducibili ad un’ischemia miocardica che hanno un IMA o

sono ad elevato rischio di sviluppare una necrosi cardiaca nell’immediato

futuro. Le SCA si distinguono in due grandi categorie, a seconda

dell’aspetto elettrocardiografico:

1. L’infarto miocardico con sopraslivellamento persistente del tratto ST

(STEMI = ST elevation myocardial infarction), causato da un’occlusione

in genere acuta e totale del vaso coronarico colpevole (culprit lesion). I

marker biochimici, sono molto elevati, indice quindi di una necrosi di

tessuto miocardico (Figura 1. 2).

Figura 1.2. Infarto miocardico anteriore esteso (STEMI): nelle vecchie classificazioni veniva definito infarto sub-epicardico. L'elettrocardiogramma mostra delle alterazioni caratteristiche (elevazione del tratto ST in V1-V6 e talora formazione dell'onda Q).

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Capitolo I Introduzione

2. Le SCA senza sopraslivellamento persistente del tratto ST (NSTEMI

= Non-ST elevation myocardial infarction) determinate da un’occlusione

coronarica parziale o intermittente. I marker d'ischemia si modificano

rispetto ai valori normali, ma manca il quadro elettrocardiografico più

noto e caratteristico dell'infarto (Figura 1.3).

Figura 1.3. Alterazioni compatibili con ischemia infero-laterale (NSTEMI): nelle vecchie classificazioni veniva definito infarto sub endocardico. ST sottolivellato in DII-DIII-aVF-V5V6

Le SCA NSTEMI a loro volta si suddividono in due categorie: l’angina

instabile (UA = Unstable angine), in cui i marcatori di necrosi miocardica

sono negativi, e l’infarto NSTEMI in cui i marcatori sono aumentati. In

questo quadro clinico, sono presenti a livello dell'albero coronarico delle

stenosi, che in modo intermittente creano una riduzione del flusso di

sangue con la comparsa del dolore toracico. I marker biochimici di

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Capitolo I Introduzione

ischemia in questo caso sono normali o solo leggermente al di sopra

della norma.

In Italia la mortalità per cardiopatia ischemica rappresenta il 12% di

tutte le morti, l’infarto acuto l’8%, nella popolazione di età compresa tra

35 e 74 anni 7. L’occlusione parziale o completa del vaso coronarico

epicardico dovuto alla rottura di una placca vulnerabile è il meccanismo

fisiopatologico che sta alla base dell’evento coronarico acuto. La

conseguenza è la riduzione della perfusione coronarica e quindi il danno

miocardico 8. Lo STEMI rappresenta la forma più grave di SCA, con

una mortalità a breve termine superiore alle SCA NSTEMI. Tuttavia la

mortalità degli NSTEMI a medio-lungo termine si avvicina a quella

dello STEMI e si tratta generalmente di pazienti con un profilo di

rischio cardiovascolare più elevato.

Lo sviluppo di marcatori sierologici di danno miocardico più sensibili e

specifici, come la troponina, e di tecniche di imaging sempre più precise

ha portato ad un ampliamento della definizione dell’infarto miocardico,

permettendo di identificare anche forme con un danno miocardico

sempre più limitato che in passato potevano sfuggire.

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Capitolo I Introduzione

Per quanto riguarda le caratteristiche della popolazione colpita da una

SCA, esaminando complessivamente i pazienti degli studi BLITZ 1, una

percentuale compresa tra il 30% e il 40% è di sesso femminile, l’età

media è tra i 65 e i 70 anni, con più di un terzo della popolazione con

età >75 anni, un quarto dei pazienti è affetto da diabete mellito, poco

meno della metà ha una storia di coronaropatia pregressa. Un pregresso

ictus o attacco ischemico transitorio era presente in una percentuale tra il

7% e il 9% nel BLITZ-1 e nel BLITZ-2; nel BLITZ-3 la percentuale

arriva fino al 14% ma comprende anche la patologia vascolare periferica.

Confrontando i pazienti con STEMI e NSTEMI, i dati del BLITZ-1

mostrano come i pazienti con NSTEMI siano generalmente più anziani

e più frequentemente abbiano una storia di cardiopatia ischemica

cronica, pregresso infarto miocardico, pregresse procedure di

rivascolarizzazione miocardica e storia di scompenso cardiaco 9.

1 Gli studi BLITZ sono studi osservazionali con una raccolta dei dati durata 15-20 giorni in periodi diversi relativi a pazienti con SCA ricoverati nelle unità di terapia intensiva cardiologica (UTIC) italiane. Il BLITZ-1 ha raccolto dati relativi a pazienti con SCA STEMI e NSTEMI, il BLITZ-2 solo nei pazienti con NSTEMI e il BLITZ-3 in tutti i pazienti ricoverati in UTIC, indipendentemente dalla diagnosi di SCA. Il vantaggio di questi studi è quello di fornire una fotografia del “mondo reale”, i limiti sono il breve periodo di osservazione, l’esclusione di quei casi che muoiono prima dell’arrivo in ospedale o nei reparti di emergenza-urgenza, e dei pazienti con un infarto ricoverati in reparti non cardiologici.

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Capitolo I Introduzione

1.3. Fattori di Rischio Cardiovascolare

Lo studio sistematico dei fattori di rischio nell’uomo è iniziato circa alla

metà del secolo scorso. Il Framingham Heart Study 10, fu lo studio

prospettico di comunità che, per la prima volta, offrì sostegno al

concetto che ipercolesterolemia, ipertensione ed altri fattori sono

correlati al rischio cardiovascolare. Seguirono molti altri studi eseguiti in

diversi Paesi che confermarono il concetto stesso di “fattori di rischio” e

dai quali emerse la complessità del rischio cardiovascolare, caratterizzato

da una genesi multifattoriale.

Esistono diversi fattori di rischio ben noti che si possono suddividere in

due gruppi: fattori di rischio classici (o tradizionali) e fattori di rischio

emergenti.

1.3.1. Fattori di Rischio Classici o Tradizionali

Le linee guida dell’Adult Treatment Panel del National Cholesterol

Education Program (NCEP ATP III) 11, dividono i fattori di rischio

cardiovascolari classici in non modificabili e modificabili da parte di

cambiamenti di stile di vita e/o farmacoterapia (Tabella 1.1). L’età (≥ 45

11

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Capitolo I Introduzione

anni per l’uomo e ≥ 55 per la donna) rappresenta, con il sesso e la storia

familiare, uno dei principali fattori di rischio cardiovascolari non

modificabili. Inoltre, l’alterato metabolismo del colesterolo è una delle

principali cause di morbilità e mortalità cerebro-cardiovascolare, oltre

che uno dei fattori di rischio modificabili più conosciuti e studiati.

Per identificare i soggetti a rischio viene presa in considerazione la

valutazione globale dei fattori, nonostante l’importanza di ognuno di

questi fattori di rischio. Nasce quindi il concetto di “Rischio globale

assoluto”, il quale in presenza di più fattori di rischio, non è la somma

bensì il prodotto del rischio associato ad ogni fattore 12. Il Framingham

Risk score (FRs) è un algoritmo capace di valutare più fattori di rischio

in associazione fra loro. Il FRs è un indice ampiamente utilizzato nel

predire il rischio cardiovascolare cumulativo nella popolazione

generale13. Esso comprende l'età, il genere, il fumo, la pressione

sanguigna e le concentrazioni di colesterolo e stima il rischio di eventi

cardiovascolari stratificando la popolazione in tre categorie di rischio:

basso (rischio di un evento a 10 anni <10%), intermedio (dal 10% al

20%) ed alto (> del 20%) 14.

12

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Capitolo I Introduzione

Non sempre, tuttavia, la presenza di fattori di rischio cardiovascolari

classici spiega la totalità degli eventi. Numerosi studi epidemiologici

suggeriscono che ai fattori di rischio classici si associano nuovi fattori di

rischio detti “emergenti”.

Tabella 1.1. Fattori di rischio cardiovascolare modificabili e non modificabili.

MODIFICABILE NON MODIFICABILE

Colesterolo elevato

Pressione alta

Diabete di tipo 2

Obesità

Fumo

Dieta ricca di grassi e povera di fibre

Mancanza di esercizio Eccessivo

consumo di alcolici

Storia personale di MCV

Storia familiare di MCV

Età

Sesso

Razza

1.3.2. Fattori di Rischio Emergenti

Recentemente, lo studio INTERHEART, che ha preso in

considerazione i maggiori fattori di rischio cardiovascolari modificabili

classici, ha evidenziato che quest’ultimi sono in grado di spiegare per il

90% gli eventi cardiovascolari (infarto miocardico) in entrambi i

13

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Capitolo I Introduzione

generi15. Si deduce quindi che la stima dei fattori tradizionali non sia

ancora sufficiente per la valutazione del rischio globale, che negli ultimi

anni si è imposto come il principale parametro su cui basare la decisione

di attivare un trattamento preventivo. Sono stati perciò esaminati nuovi

fattori “emergenti” che la NCEP ATP III divide convenzionalmente in

tre categorie: fattori di rischio emergenti lipidici, non lipidici e

aterosclerosi subclinica (Tabella 1.2).

Tabella 1.2. Fattori di rischio cardiovascolare emergenti

LIPIDICI NON LIPIDICIATEROSCLEROSI

SUBCLINICA

Trigliceridi

lipoproteine remnants

lipoproteina (a) piccola Lp(a)

sottofrazioni delle HDL

apolipoproteine B e A (APO B,

APO A)

rapporto colesterolo

totale/colesterolo HDL.

Omocisteina

fattori protrombogeni

(quali il fibrinogeno e

l’attivatore tissutale del

plasminogeno)

fattori proinfiammatori

(come la hsPCR e

l’interleuchina‐6).

--

I biomarcatori sierici di infiammazione rivestono un ruolo chiave nella

revisione della stratificazione del rischio cardiovascolare16, in quanto

14

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Capitolo I Introduzione

sono strettamente correlati alla teoria patogenetica dell’aterosclerosi più

accreditata, cioè per l’appunto quella infiammatoria.

Assieme alle sindromi metaboliche, l’infezione/infiammazione,

l’iperomocisteinemia, la lipoproteina(A) e le discrasie trombofiliche, la

Depressione è stata recentemente introdotta tra i fattori di rischio

cardiovascolari emergenti e costituisce, a tutti gli effetti, un fattore di

rischio cardiovascolare 17,18, 19 .

1.4. Disturbi Depressivi

Il termine di Disturbi Depressivi (DD) indica numerose condizioni

cliniche che presentano elementi sintomatologici comuni, ma

differiscono per sintomatologia, gravità, decorso, prognosi e

trattamento. Nella versione rivisitata del Manuale Diagnostico e

Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV-TR), i disturbi dello spettro

depressivo vengono descritti nella sezione dedicata ai disturbi

dell’umore. Questi ultimi sono una vasta classe di patologie e sintomi

che consistono in alterazioni o anomalie del tono dell’umore

dell’individuo, che siano di entità tale da causare alla persona problemi o

15

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Capitolo I Introduzione

disfunzioni persistenti o ripetute, oppure marcato disagio. Il concetto di

tono dell’umore indica il correlato emotivo di fondo della nostra attività

mentale. Ogni persona ha un proprio tono dell'umore che tende a

manifestare con maggiore frequenza. Questo può essere considerato

come caratteristico del soggetto, quale abitudine caratteriale, oppure

parte del carattere della persona. Esso è il risultato sia di una dotazione

biologica di base dell’individuo, ovvero la sua costituzione ereditaria, sia

delle modificazioni dovute all’ambiente di crescita e sviluppo della

personalità (inclusi i fattori presenti nel corso della vita intrauterina).

Sono stati individuati alcuni neurotrasmettitori direttamente associati

alle funzioni di regolazione dell'umore, i principali sono la serotonina, la

noradrenalina e la dopamina.

Esistono quattro criteri fondamentali che sono indicatori di alterazione

patologica del tono dell’umore:

1) Inadeguatezza della reazione affettiva agli eventi (ridere ad un

funerale);

2) Intensità dell’alterazione affettiva: numero e gravità dei sintomi

presentati;

16

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Capitolo I Introduzione

3) Qualità dell’umore (a volte il paziente non si sente triste ma si sente

diverso come se avesse interrotto il suo continuum esistenziale);

4) Compromissione del funzionamento sociale e lavorativo.

Esistono inoltre tre elementi di conferma, che comunque se assenti non

escludono la diagnosi:

1) Precedenti disturbi psichiatrici all’anamnesi;

2) Risultati positivi di scale di valutazione che quantificano e qualificano

il disturbo;

3) Presenza di correlati biologici alterati;

Secondo il DSM-IV-TR i disturbi dell’umore si distinguono, a seconda

della polarità, in episodi bipolari e unipolari. I disturbi bipolari

comprendono episodi depressivi ed episodi maniacali. Questi ultimi

comprendono: il Disturbo Bipolare I (DB I) , il Disturbo Bipolare II

(DB II), ed il disturbo ciclotimico. Gli episodi unipolari sono

esclusivamente depressivi e comprendono: la Depressione Maggiore

(DM), ed il disturbo distimico.

La depressione è considerata un disturbo unipolare caratterizzato da

flessione persistente dell’umore e/o perdita di interesse verso quasi tutte

17

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Capitolo I Introduzione

le attività abituali. In accordo con il DSM-IV-TR, affinché si possa fare

diagnosi di DM è necessario che la flessione dell’umore (o la perdita di

interesse) persista per due settimane e si accompagni ad almeno quattro

di una lista di sintomi che comprendono alterazioni dell’appetito o del

peso, del sonno e dell’attività psicomotoria, ridotta energia, sentimenti

di svalutazione o di colpa, difficoltà a pensare, concentrarsi o prendere

decisioni; oppure ricorrenti pensieri di morte, pianificazione o tentativi

di suicidio nella peggiore delle ipotesi.

1.4.1. Disturbi Depressivi e Cardiopatia Ischemica

Molti studi hanno evidenziato che fattori psicosociali, quali DD,

peculiari caratteristiche di personalità, isolamento sociale e stress cronico

contribuiscono in modo rilavante alla patogenesi ed allo sviluppo delle

varie manifestazioni della cardiopatia ischemica20,21,22 .

Alla base di tale associazione è stato messo in evidenza il ruolo

dell’infiammazione cronica presente in pazienti affetti da DD. La

depressione maggiore (DM) è stata associata ad un processo

infiammatorio di basso grado assieme ad uno stato pro-trombotico e,

18

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Capitolo I Introduzione

per questo, considerata come un fattore di rischio per la cardiopatia

ischemica. Lo studio PRIME, pubblicato nel 2005 su Circulation, ha

dimostrato come nei soggetti affetti da DD siano elevati i livelli di

alcuni mediatori dell’infiammazione, in particolare l’interleuchina-6 (IL-

6), la proteina C-reattiva, il TNF-α il fibrinogeno e la molecola di

adesione ICAM-123.

Bunker e collaboratori hanno dimostrato per la prima volta la possibile

correlazione tra stress e MCV. In particolare gli autori dimostrarono

l’esistenza di una forte correlazione tra la DM ed il rischio

cardiovascolare. Inoltre, tra gli eventi stressogeni, dimostrarono che le

personalità di tipo A, ma ancor più quelle di tipo D, sono suscettibili,

parimenti alla DM, ad un aumentato rischio per cardiopatia ischemica 24

(Tabella 1.3). La DM è associata ad un rischio di mortalità quattro

volte superiore durante i primi 6 mesi dopo SCA. La vulnerabilità

associata non è unidirezionale, negli individui senza patologia coronarica

nota, la depressione aumenta il rischio di sviluppare patologia

coronarica.

19

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Capitolo I Introduzione

Ad oggi, la natura del legame fra depressione e malattia coronarica resta

ancora da approfondire. In particolare, non è chiaro se malattia

coronarica e depressione siano le manifestazioni di un comune substrato

genetico-biologico, oppure se una aumenti il rischio dell'altra (o

viceversa) ed eventualmente quali meccanismi fisiopatologici siano alla

base di questa associazione.

Tabella 1.3. Correlazione tra disturbi depressivi e cardiopatia ischemica

20

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Capitolo I Introduzione

1.5. Le Cellule Progenitrici Endoteliali

Fino a poco tempo fa si credeva che la vasculogenesi, cioè lo sviluppo

vasale de novo a partire da un precursore comune (angioblasto), fosse un

processo esclusivamente embrionale, contrapposto all’angiogenesi che

invece riguarda la formazione di nuovi vasi sanguigni per migrazione e

proliferazione di cellule endoteliali mature preesistenti 25. Questo dogma

fu modificato nel 1997, quando Asahara e collaboratori isolarono da

adulti, cellule progenitrici ematopoietiche CD34-positive (CD34+),

capaci di differenziare ex vivo in un fenotipo endoteliale. Gli autori

dimostrarono che tali cellule, denominate “cellule progenitrici

endoteliali” (EPC), sia eterologhe, omologhe o autologhe, venivano

incorporate nei siti di attiva angiogenesi in modelli animali ischemici 26.

Nel 1998 anche il gruppo di Rafii evidenziò l’esistenza, nell’adulto, di

“cellule endoteliali progenitrici circolanti, derivanti dal midollo osseo”

(CEPC)27. La scoperta delle EPC o CEPC ha portato ad un nuovo

concetto di neovascolarizzazione post-natale dimostrando che la

vasculogenesi e l’angiogenesi possono svolgere un ruolo sinergico nel

processo di rigenerazione e riparazione endoteliale.

21

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Capitolo I Introduzione

La maggior parte delle EPC risiede nel midollo osseo in stretta

associazione con le cellule staminali ematopoietiche (HSC) e con le

cellule dello stroma del midollo osseo, che forniscono il microambiente

ottimale per l’ematopoiesi. Le EPC hanno la capacità di proliferare,

migrare e differenziare in linee cellulari endoteliali, ma non possiedono

ancora le caratteristiche di cellule endoteliali mature (EC). Alcuni autori

definiscono le EPC come cellule non-endoteliali aventi capacità di

espansione clonale (abilità di una singola cellula di moltiplicarsi) e

caratteristiche di staminalità (capacità proliferative e resistenza a

stress)28.

La capacità delle EPC di promuovere la rivascolarizzazione di tessuti

ischemici e danneggiati o, nella terapia cellulare, per individuare la

crescita delle cellule cancerose, è stata esaminata sia in modelli animali e,

più recentemente, in modelli umani nel trattamento dell’ischemia 29, 30, 31.

In presenza di disfunzione endoteliale, infatti, le EPC si incorporano

nell’area del danno vascolare, fornendo cellule endoteliali per la crescita

dei nuovi vasi e stimolando la secrezione di fattori di crescita che

attivano le cellule vicine (Figura 1.4). Recenti studi, hanno dimostrato

22

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Capitolo I Introduzione

che i livelli di EPC circolanti sono modulati durante danno ischemico,

in conseguenza di vari stati patologici, dall’età e dalla presenza di fattori

di rischio per le malattie cardiovascolari come il fumo, l’iperlipidemia, il

diabete 32, 33. In particolare, esaminando il numero delle cellule

CD34+/recettore 2 del fattore di crescita dell’endotelio vascolare

(VEGFR2 o KDR)+, utilizzato come marcatore per le EPC endogene,

o valutando il numero delle colonie primarie di EPC ottenute da sangue

periferico umano (PB), è stato dimostrato che il numero e le attività

funzionali delle EPC sono inversamente proporzionali ai fattori di

rischio cardiovascolare 32, 33.

23

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Capitolo I Introduzione

Figura 1.4. Le EPC facilitano la neovascolarizzazione e l’angiogenesi nell’adulto.

La mobilizzazione delle EPC dal midollo osseo è aumentata da vari fattori quali VEGF, Angiopoietina-1, fattore di crescita dei fibroblasti (FGF), attività MMP-9, agenti farmacologici come le statine.

24

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Capitolo I Introduzione

1.5.1.Definizione e Caratterizzazione delle EPC Circolanti

Le cellule staminali ematopoietiche e gli angioblasti, principali

componenti cellulari del sistema vascolare embrionale, condividono

numerosi determinanti antigenici, come CD34, CD117 (c-Kit),

VEGFR2 ed il recettore dell’angiopoietine-1 (Tie2). Di conseguenza

tali cellule sono state considerate derivare da un precursore comune,

denominato emangioblasto34. Il preciso punto di svolta

dell’emangioblasto ad angioblasto e successivamente ad EPC non è

ancora stato completamente chiarito.

Le EPC, tuttavia, sono definite come cellule mononucleate derivanti da

sangue periferico o da midollo osseo, le quali aderiscono alle molecole

della matrice, come la fibronettina, e sono caratterizzate dalla loro

duplice positività sia al legame della lectina che all’incorporazione di

lipoproteine acetilate a bassa densità (acLDL) marcate con il colorante

Di-l (1,1'-dioctadecil-3,3,3',3'-tetrametilindocarbocianina, Dil-

AcLDL). Inoltre, sono state definite come cellule positive sia ai

marcatori di cellule staminali ematopoietiche, come CD34, sia ad un

marcatore proteico endoteliale, come VEGFR2. Poiché CD34 non è

25

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Capitolo I Introduzione

espresso esclusivamente su cellule staminali ematopoietiche ma, sebbene

a bassi livelli, anche su cellule endoteliali mature, successivi studi hanno

utilizzato marcatori di cellule staminali ematopoietiche immature, come

CD133 35. Il CD133, conosciuto anche come prominina o AC133, è un

antigene altamente conservato, con attività biologica sconosciuta,

espresso su cellule staminali ematopoietiche, ma assente su cellule

endoteliali mature e su monociti 36. È stato dimostrato che cellule

CD133+ hanno la capacità di differenziare in vitro in cellule endoteliali,

quando coltivate in presenza di VEGF e fattori di crescita delle cellule

staminali. Inoltre, Peichev et al. hanno dimostrato che un piccolo

sottogruppo di cellule CD34+, provenienti da diverse sorgenti

ematopoietiche, esprimevano sia CD133 sia VEGFR2 37. L’incubazione

di questo sottogruppo con il fattore di crescita 2 dei fibroblasti (FGF-2),

VEGF e collagene, risultava nella loro proliferazione e differenziazione

in EC mature CD133– e VEGFR2+. La maturazione e differenziazione

in vitro di queste cellule aboliva l’espressione di CD133, suggerendo che

le EPC con potenziale angioblastico possono essere marcate

selettivamente con tale antigene di superficie. Sulla base di questa

26

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Capitolo I Introduzione

caratterizzazione, le EPC possono essere approssimativamente suddivise

in tre classi collegate tra loro. Una classe di precursori di EC è

rappresentata dalle EPC che derivano dall’emangioblasto e positive per

CD133/CD34/VEGFR2. Nel sangue periferico, inoltre, è possibile

distinguere due sottopopolazioni di EPC: le EPC primarie e le EPC

tardive 38. Le EPC primarie o precoci, sono rappresentate dalle cellule

derivanti dal midollo osseo ed entrate immediatamente dopo nel sistema

circolatorio. Queste cellule presentano una forma affusolata, fenotipo

CD133+/-/CD34+/VEGFR2+/CD31+/CD14-/VEcad-/eNOS- ed una

limitata capacità proliferativa, con un picco di crescita in coltura a 2-3

settimane e successiva morte alla 4 settimana di coltura. Le EPC

tardive invece presentano fenotipo CD133- / CD34+ / VEGFR2+ /

CD31+ / VEcad+ /eNOS+ e cominciano ad esprimere il fattore di von

Willebrand. Queste cellule compaiono dopo 2-3 settimane di coltura e

presentano una maggiore capacità proliferativa fino a 12 settimane 39

(Figura 1.5). A conferma dell’esistenza di un precursore comune per gli

angioblasti e per le cellule ematopoietiche vi sono numerosi studi che

mostrano un’alta espressione del marcatore mielo-monocitico CD14 su

27

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Capitolo I Introduzione

EPC circolanti. Tali studi dimostrano che l’infusione di cellule

mononucleate CD34-/CD14+ derivanti da midollo osseo sono anch’esse

capaci di differenziare in un fenotipo endoteliale40. Questi risultati sono

supportati da studi che riportano la presenza, nel sangue periferico

umano, di cellule staminali pluripotenti, rappresentate da un

sottogruppo di monociti circolanti41. Anche da un punto di vista

funzionale le EPC mostrano alcune proprietà tipiche sia delle cellule

ematopoietiche sia delle cellule endoteliali. Un importante aspetto

funzionale delle EPC è la loro capacità di dare origine ad unità formanti

colonie (CFU), una proprietà tipica delle cellule di origine

ematopoietica. Le EPC mostrano anche alcune caratteristiche funzionali

tipiche delle cellule endoteliali, tra cui la capacità di formare vasi

capillari e produrre NO 42.

28

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Capitolo I Introduzione

Figura 1.5. Caratteristiche fenotipiche delle EPC. Le EPC primarie nel midollo

osseo sono positive per CD133/CD34/VEGFR-2. Le EPC circolanti perdono

CD133 e sono positive per CD34/VEGFR-2/CD31/VE-caderine/fattore von

Willebrand (vWF). Cellule di origine mieloide (CD14+) possono anche trans-

differenziare in cellule endoteliali (EC) mature.

29

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Capitolo I Introduzione

1.5.2. Origine, Mobilizzazione e Reclutamento delle EPC

Il mantenimento dell’integrità e delle funzioni endoteliali e la

neovascolarizzazione postnatale sono notevolmente influenzate dai livelli

dalle attività funzionali delle EPC 43.

Nei modelli animali, in risposta all’insulto ischemico, le EPC vengono

rilasciate dal midollo osseo e successivamente, grazie ad un processo

definito di homing 44, indirizzate nel sito colpito da ischemia. La

mobilizzazione delle EPC dal midollo osseo è un processo complesso,

regolato da diversi enzimi, fattori di crescita e recettori di superficie.

Nelle zone ischemiche, infatti, la risposta cellulare locale comporta il

rilascio di fattori di crescita e citochine che promuovono il reclutamento

delle EPC. Questa risposta è principalmente regolata dai fattori di

trascrizione indotti dall’ipossia (HIF) che a loro volta stimolano

l’espressione di diversi fattori proangiogenici 45. Nelle cellule endoteliali

ipossiche HIF-1 induce l’espressione del fattore 1 derivato dalle cellule

dello stroma (SDF-1) 46. Il legame di SDF-1 ai recettori CXCR4

presenti sulle cellule progenitrici circolanti, inducono un aumento della

loro migrazione, adesione, ed homing ai tessuti ischemici. Il VEGF è

30

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Capitolo I Introduzione

uno dei principali mediatori della mobilizzazione delle EPC regolato da

HIF-1. Recentemente è stato dimostrato che la migrazione delle EPC

indotta dal VEGF è mediata sia dal legame al suo recettore 1

(VEGFR1) che a VEGFR2, a differenza delle cellule endoteliali mature

in cui il meccanismo di migrazione avviene solo mediante il legame a

VEGFR2 47. L’esatto meccanismo molecolare mediante il quale le

cellule progenitrici sono stimolate e rilasciate dal microambiente del

midollo osseo è ancora poco conosciuto. È stato suggerito un ruolo

fondamentale per le MMP-9 in questo processo. Il primo step del

reclutamento delle cellule progenitrici dalle nicchie del midollo osseo è

rappresentato dall’attivazione delle MMP-9, non solo da parte del

VEGF, ma anche dalla ossido nitrico sintasi endoteliale (eNOS)

espressa dalle cellule staminali del midollo osseo. Recenti studi hanno

infatti dimostrato la presenza di alterazioni nella mobilizzazione delle

EPC in topi eNOS deficienti48, inoltre il ruolo delle MMP-9 è

confermato da esperimenti in topi MMP-9-/-, in cui la mobilizzazione

delle EPC indotta da VEGF è notevolmente ridotta. L’attivazione della

MMP-9 induce la trasformazione del ligando Kit associato alla

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Capitolo I Introduzione

membrana (mKitL) verso la sua forma solubile (sKitL). Questa

attivazione è seguita dal distacco delle cellule progenitrici primarie cKit+

dalle nicchie dello stroma del midollo osseo e dalla loro successiva

migrazione verso la zona vascolare. Questa traslocazione attiva le cellule

da uno stato quiescente ad uno stato proliferativo (Figura 1.6).

32

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Capitolo I Introduzione

Figura 1.6. La mobilizzazione delle EPC dal midollo osseo è un complesso

processo regolato da numerosi fattori. Il primo step del processo di mobilizzazione

delle EPC prevede l’attivazione della metalloproteasi-9 della matrice (MMP-9), che

promuove la trasformazione del ligando Kit associato alla membrana (mKitL) verso

la sua forma solubile (sKitL). Questa attivazione è seguita dal distaccamento delle

cellule progenitrici primarie cKit-positive (cKit+), tra cui anche l’emangioblasto,

dalle nicchie dello stroma del midollo osseo ed il loro successivo spostamento verso

la zona vascolare del microambiente del midollo osseo. Questa traslocazione attiva

le cellule da uno stato quiescente ad uno stato proliferativo. Il legame di SDF-1,

liberato dalle cellule endoteliali ischemiche, ai recettori CXCR4 presenti sulle

cellule progenitrici circolanti, inducono un aumento della loro migrazione,

adesione, ed homing ai tessuti ischemici.

33

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Capitolo I Introduzione

1.5.3. Fattori che Influenzano il Numero delle EPC

I livelli ematici delle EPC sono regolati sia da condizioni fisiologiche

che fisiopatologiche. esistono limitate informazioni riguardo al range di

normalità ed alle caratteristiche funzionali di queste cellule in condizioni

fisiologiche. v non esistendo una univoca definizione delle EPC, il

numero, in condizioni fisiologiche risulta differente in base alle

metodologie di identificazione e caratterizzazione utilizzate nei diversi

studi. Uno dei primi studi ha riportato come il numero di cellule

CD34+/CD133+/KDR+ circolanti in soggetti sani sia nell’ordine di

0,002% dei mononucleati totali, quindi circa 70‐210 cellule/ml 37. La

maggior parte degli studi tuttavia è concorde nell’affermare che il

numero di EPC circolanti nei soggetti sani è inferiore, rappresentando

lo 0,0001% delle cellule circolanti, meno dello 0,001% del numero totale

di cellule mononucleate di derivazione midollare e meno del 2% delle

cellule staminali mesenchimali totali 49.

Studi correlativi hanno dimostrato che il numero e le attività funzionali

delle EPC sono inversamente correlate ai fattori di rischio

cardiovascolare, come fumo, ipertensione, iperlipidemia, diabete ed età,

34

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Capitolo I Introduzione

tra soggetti apparentemente sani e pazienti con patologie delle arterie

coronarie (coronary artery disease, CAD), riducendone così la potenziale

terapeuticità e limitandone le capacità rigenerative 33, 50. In soggetti

diabetici (sia di tipo I che di tipo II), le EPC mostrano una ridotta

capacità proliferativa, di adesione e di incorporazione nelle strutture

vascolari 51. È stato dimostrato che questi effetti negativi sulle EPC sono

dovuti all’iperglicemia, che induce una diminuzione della produzione di

NO, dell’attività delle MMP-9 52, ed un’accelerazione della senescenza

delle EPC per attivazione della proteina chinasi p38 53. L’età sembra

influenzare sia la disponibilità sia le funzioni delle EPC. La riduzione

nella mobilizzazione delle cellule progenitrici con l’età può essere causata

da difetti nelle nicchie delle cellule staminali del midollo osseo e nella

produzione di chemochine e citochine angiogeniche. È stato dimostrato

che la produzione di VEGF ed NO diminuisce con l’età ed è noto che

questi due fattori svolgono un ruolo sinergico nella mobilizzazione,

migrazione, proliferazione e sopravvivenza delle cellule endoteliali 48,54.

In Tabella 1.4 sono riportate le condizioni fisiologiche e

fisiopatologiche che influenzano i livelli di EPC circolanti.

35

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Capitolo I Introduzione

Tra i fattori che inducono un aumento dei livelli di EPC, ricordiamo: gli

estrogeni, che inducono un aumento del numero delle EPC circolanti

mediante un meccanismo e-NOS dipendente 55. Inoltre, gli effetti anti

apoptotici degli estrogeni sulle EPC sono stati associati ad un

incremento dell’attività delle telomerasi e ad un aumento della

secrezione di VEGF 56. Infine, l’esercizio fisico ed agenti farmacologici

come le statine57 o gli inibitori degli enzimi che convertono

l’angiotensina (ACE inibitori) 58, contrastano la riduzione del numero e

delle attività funzionali delle EPC. Anche l’ischemia dell’arto e l’IMA

sono associati alla mobilizzazione e ad un rapido aumento delle EPC

circolanti 59. Allo stesso modo degli eventi cardiovascolari acuti, i traumi

vascolari come l’impianto di by-pass o le ferite da ustione inducono una

rapida, ma transitoria mobilizzazione di EPC VEGFR2+/CD133+ 60.

36

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Tabella 1.4. Condizioni, farmaci e citochine che possono modificare i livelli e le funzioni delle EPC.

37

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Capitolo I Introduzione

1.6. Le EPC nelle Malattie Cardiovascolari

Nella storia naturale della formazione della placca aterosclerotica si

assiste ad una diminuzione del pool di EPC in presenza di fattori di

rischio CV e di alterazioni subcliniche, come l’aumento dello spessore

medio‐intimale. La presenza della placca ateromasica si associa ad

un’ulteriore diminuzione del numero di cellule progenitrici endoteliali

circolanti. Al contrario, come già detto sopra, qualora si verifichi un

evento cardiovascolare acuto, si assiste ad una rapida mobilizzazione

delle EPC da parte del midollo osseo 59 (Figura 1.7). Esistono varie

correlazione tra i livelli di EPC circolanti nelle diverse condizioni di

MCV.

Figura 1.7. Variazioni nei livelli di cellule progenitrici endoteliali nel processo di formazione della placca aterosclerotica. (Fadini et al. Atherosclerosis 194(2007) 46‐54).

38

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1.6.1. Cardiopatia Ischemica Cronica

Nonostante il numero di EPC nei pazienti con malattia coronarica

cronica sia simile a quello dei soggetti sani, le capacità funzionali delle

cellule mononucleate in vitro sono significativamente ridotte e, se queste

vengono impiantate in modelli murini di ischemia agli arti inferiori,

dimostrano una ridotta capacità di ripristinare la perfusione tissutale 61.

1.6.2. Angina Instabile

In pazienti con UA è stato riscontrato un maggior numero di CFU‐EC

e nessuna alterazione nelle proprietà adesive di queste cellule, ma il

numero di EPC si riduceva di circa il 50% a seguito della stabilizzazione

clinica 62. Questo dato starebbe a indicare che nell’UA vi sia un’iniziale

aumento del numero di EPC circolanti in risposta all’insulto ischemico,

come avviene generalmente nelle sindromi coronariche acute 63. Sono

state evidenziate in questi pazienti anche correlazioni tra i livelli di

hsPCR e livelli di EPC circolanti, ma non è stata riscontrata una

correlazione con le capacità funzionali delle EPC 64. Si può dedurre che

in pazienti con UA lo stato infiammatorio potrebbe interferire col

reclutamento dal midollo osseo e con la funzionalità delle EPC.

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Capitolo I Introduzione

1.6.3. Infarto del Miocardio

Nell’infarto del miocardio il numero di EPC circolanti è notevolmente

aumentato nelle fasi più precoci e raggiunge il picco in settima giornata

per tornare ai livelli di base nel giro di 60 giorni 65. Lo stesso andamento

hanno le concentrazioni di VEGF circolante, il fattore di crescita che

risulta essere il principale responsabile della mobilizzazione di cellule

progenitrici dopo un evento SCA. Inoltre, in settima giornata dopo un

infarto STEMI, è stato registrato un calo delle cellule staminali

mesenchimali, anch’esse deputate alla riparazione endoteliale. In questi

studi potrebbero esserci fattori di confondimento perché alcuni farmaci

utilizzati correntemente nella terapia di questi pazienti (in modo

particolare statine e ACE inibitori) hanno la proprietà di mobilizzare un

maggior numero di EPC 66. Il ruolo delle cellule staminali nell’infarto

del miocardio non è tuttavia attribuibile soltanto alla capacità

angiogenetica, ma anche a quella di reintegrare la popolazione di cellule

progenitrici cardiache. Sembra infatti che le cellule progenitrici siano in

grado di localizzarsi nelle aree infartuate e di trasformarsi in

cardiomiociti, come è stato evidenziato in alcuni modelli animali 66. Le

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Capitolo I Introduzione

EPC inoltre sembrano avere un ruolo prognostico molto importante

nell’infarto del miocardio, poiché un maggior numero di EPC e una loro

maggiore capacità di differenziarsi in cellule endoteliali mature sono

correlati ad un migliore recupero della frazione di eiezione ed a un più

favorevole rimodellamento del ventricolo sinistro dopo l’evento 67. In

pazienti con diffusa restenosi sullo stent coronarico, il numero di unità

formanti colonie di EPC in coltura era ridotto rispetto a quello dei

pazienti con una stenosi solo focale 68.

1.6.4. Stroke

Il numero di EPC circolanti non sembra essere associato con il grado di

aterosclerosi cerebrovascolare in sé ma è significativamente diminuito a

seguito di uno stroke anche in soggetti in cui vi era stato un infarto

cerebrale evidenziabile alla PET (Positron Emission Tomography)

senza un’apprezzabile sintomatologia clinica 69. In questo stesso studio è

stata riscontrata una correlazione positiva tra il numero di EPC e il

flusso sanguigno regionale nelle aree di ipoperfusione cerebrale.

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Capitolo I Introduzione

1.6.5. Scompenso Cardiaco

Lo scompenso cardiaco cronico di classe NYHA (New York Heart

Association) I e II è associato a un numero relativamente alto di EPC

circolanti, mentre negli stadi più avanzati dello scompenso cardiaco

(classe NYHA III e IV) è stato osservato una progressiva riduzione di

queste cellule 70. Livelli più elevati di BNP (Brain Natriuretic Peptide)

sono risultati inoltre essere associati a un minor numero di EPC

indipendentemente dalla terapia in atto e dalla causa dello scompenso.

1.7. Ruolo Prognostico delle EPC sul Rischio

Cardiovascolare

Un recente studio ha riscontrato come i livelli di cellule CD34+/KDR+

rivestano un ruolo predittivo di futuri eventi cardiovascolari e di morte

per ogni causa in pazienti coronaropatici 71. In questo studio è stato

valutato il numero di EPC in 519 pazienti con ostruzione di almeno

un’arteria coronaria documentata angiograficamente. Dopo 12 mesi di

follow-up è stata valutata l’associazione tra livelli basali di EPC e

manifestazione di un evento cardiovascolare maggiore (infarto del

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Capitolo I Introduzione

miocardio, ospedalizzazione, rivascolarizzazione, morte per cause

cardiovascolari) e morte per qualsiasi causa. I pazienti con livelli basali

più elevati di EPC hanno mostrato una minore incidenza di accidenti

cardiovascolari, di ospedalizzazione e di morte per cause vascolari. Le

EPC non sono però risultate predittive di occorrenza di infarto del

miocardio o di morte per tutte le cause. Queste associazioni sono

risultate indipendenti dalla severità della coronaropatia, dalla diagnosi di

una SCA all’epoca dell’arruolamento nello studio, dalla presenza di

fattori di rischio cardiovascolare e dalle terapie farmacologiche in atto.

Secondo questo studio quindi la quantificazione delle EPC sarebbe in

grado di identificare una sottopopolazione di pazienti a più alto rischio

cardiovascolare. L’utilizzo della quantificazione delle EPC con valore

prognostico è molto promettente in quanto, a differenza del dosaggio di

un singolo marker biochimico (come ad esempio è stato fatto con

interleuchina‐6(IL‐6) 72, omocisteina 73 o PCR 74), fornisce un quadro

maggiormente esaustivo di ciò che avviene in vivo in quanto unifica e

rispecchia i molteplici fattori che entrano in gioco nella genesi della

malattia cardiovascolare. Perciò nell’ambito della complessa relazione tra

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Capitolo I Introduzione

alterazioni emodinamiche, infiammatorie e disfunzione endoteliale, che

caratterizzano l’aterosclerosi e precedono di gran lunga la comparsa di

eventi cardiovascolare, lo studio delle EPC potrebbe rappresentare un

modello interessante per studiare le alterazioni che precedono e

accompagnano il danno endoteliale in modo da identificare i soggetti a

maggior rischio cardiovascolare.

1.8. Potenziale Rigenerativo delle EPC

Numerosi studi hanno dimostrato che le EPC partecipano attivamente

alla riparazione dell’endotelio vascolare danneggiato 75,76. Questi studi

hanno introdotto il concetto di “rigenerazione vascolare e d’organo”,

risultanti dall’attività chemotattica delle chemochine sulle EPC nel sito

di neoangiogenesi. La rapida incorporazione delle EPC accelera il

processo di guarigione e previene complicanze vascolari secondarie come

la trombosi e l’ipossia.

Il tessuto ischemico esprime fattori angiogenetici come il VEGF-A che,

attraverso l’interazione con i suoi recettori VEGFR-2 e VEGFR-1

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Capitolo I Introduzione

espressi su EPC, HSC e cellule progenitrici ematopoietiche (HPC),

promuovono la migrazione di queste cellule nel sito danneggiato.

In alcuni studi in vitro è stato dimostrato che EPC marcate

geneticamente, derivanti dal midollo osseo, venivano reclutate in sedi

ischemizzate 77; in aggiunta, è stato dimostrato che il trapianto di EPC

amplificate in vitro può facilitare la rivascolarizzazione di vari tessuti

colpiti da ischemia 78,79.

Il significato fisiologico delle EPC è stato ulteriormente rimarcato

quando in un esperimento condotto da Bhattacharya e collaboratori nel

1998, venne dimostrato che impiantando in cani da laboratorio protesi

aortiche toraciche di politetrafluoroetilene (PTFE), precedentemente

innestate con specie autologhe di EPC CD34+, si otteneva una notevole

crescita endoteliale rispetto ai controlli80.

1.9. EPC e Disturbi Depressivi

Oltre ad essere state correlate negativamente con i fattori di rischio

cardiovascolare classici, le EPC sembrano rivestire un ruolo importante

anche nella depressione. In un recente lavoro, Dome e collaboratori

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Capitolo I Introduzione

hanno evidenziato un ridotto livello di EPC circolanti in soggetti affetti

da DD rispetto a soggetti di controllo sani 81. Tale riduzione è stata

osservata essere inversamente proporzionale alla severità della patologia

depressiva ed ai livelli di TNF-α. Inoltre, è stato dimostrato che in

soggetti depressi, senza CAD e diabete, la presenza di un alto score

depressivo è associato a deplezione di cellule CD34+/KDR+, senza

evidenti variazioni dei livelli di EPC precoci CD133+/KDR+ 82. In fine,

in soggetti con scompenso cardiaco e personalità di tipo D, i livelli di

cellule CD34+/KDR+ sono più bassi del 54% rispetto ai soggetti non

D83.

Dal momento che i livelli di EPC circolanti sono stati considerati un

nuovo bio-marker di MCV ed ischemia critica periferica, appare evidente

che la depressione (recentemente introdotta tra i fattori di rischio

cardiovascolari “emergenti”), costituisce un fattore di rischio

cardiovascolare.

Numerosi studi hanno messo in evidenza il ruolo dell’infiammazione

cronica presente in pazienti affetti da depressione e la sua associazione

con le MCV. Inoltre, è stato dimostrato come alcuni markers

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Capitolo I Introduzione

infiammatori siano negativamente correlati alle capacità angiogenetiche

delle EPC circolanti 84, 85. In particolare, incubando una popolazione di

EPC con la PCR ricombinante, si osservava una diminuzione della

migrazione delle stesse EPC, in risposta al VEGF. La ridotta risposta

allo stimolo indotto dal VEGF sembra essere dovuta ad una diminuita

espressione di NOSe, e di conseguenza, alla ridotta sintesi di NO 76.

Inoltre, è stato dimostrato che l’esposizione alla PCR sembra aumentare

la formazione di ROS nelle EPC, capaci di indurre apoptosi e necrosi 77.

I risultati degli studi riportati confermano il rapporto di correlazione

inversa presente tra depressione e livelli di EPC, esponendo i pazienti

affetti da tale disturbo, a maggior rischio cardiovascolare.

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2. SCOPO DELLA TESI

Abbiamo precedentemente descritto come in letteratura sia nota una

diminuzione del numero di EPC in associazione alla presenza di fattori di

rischio e patologie cardiovascolari. Inoltre, il 15-20% di pazienti affetti da

CAD è in comorbidità con disturbi depressivi 19. I livelli di EPC

circolanti è altresì ridotto in presenza disturbi depressivi rispetto ai

soggetti sani 81, 82, 83.

Ad oggi, non è ancora chiaro quale sia la natura del legame fra

depressione e malattia coronarica.

Obiettivo del presente lavoro di tesi è di determinare, quindi, l’impatto

dei disturbi depressivi sui livelli ematici delle EPC in una popolazione di

pazienti con SCA, al fine di integrare le conoscenze sulle relative

implicazioni fisiopatologiche e prognostiche.

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CAPITOLO II

3. MATERILI E METODI

3.1. Popolazione di Studio

Il reclutamento dei pazienti è avvenuto presso due centri specializzati:

1. Unità Operativa Complessa di Cardiologia della ASL5 di La Spezia.

2. Unità di Cardiologia dell’Ospedale di Lucca.

Sono stati reclutati pazienti di età superiore ai 18 anni, con condizioni

cardiologiche corrispondenti ai criteri standard per SCA (IMA con o

senza sovraslivellamento del tratto S-T o angina instabile). In

particolare, sono stati arruolati 75 pazienti affetti da SCA (56 maschi,

19 femmine, range di età 37-75 anni), di cui 38 presentavano disturbi

depressivi (DD) (28 maschi, 10 femmine; età media 59±10 anni). Come

gruppo di controllo sono stati arruolati 15 volontari sani e 18 pazienti

con DD senza storia positiva pregressa o attuale per disturbi cardiovascolari

(8 maschi, 10 femmine; età media 51 ± 18 anni, range 19-75). Tutti

hanno accettato di partecipare a questo progetto di ricerca dopo aver

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Capitolo II Materiali e Metodi

ricevuto le necessarie informazioni sulle finalità dello studio, sulle

modalità e tempi dei prelievi ematici ed aver firmato il relativo consenso

informato. In tutti i pazienti è stata effettuata una completa valutazione

clinica (anamnesi ed esame obiettivo) ed un’accurata valutazione

psichiatrica utilizzando test adeguati. È stata inoltre valutata la presenza

di alcuni dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolare, ed in

particolare: età, sesso, familiarità per CAD, diabete, ipertensione

arteriosa, obesità, dislipidemia, e fumo di sigaretta.

I criteri di esclusione erano: 1) Condizioni di malattia terminale

(aspettativa di vita inferiore ad un anno), 2) Presenza di sintomi

psicotici, 3) Presenza di Disturbo/Dipendenza da Sostanze Psicotrope,

4) Presenza di deterioramento cognitivo, 5) Impossibilità di effettuare lo

screening entro una settimana dalla data iniziale di ospedalizzazione, 7)

Incapacità di fornire un consenso informato scritto.

In Tabella 3.1 sono riportate tutte le caratteristiche della popolazione in

studio.

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Capitolo II Materiali e Metodi

Tabella 3.1. Caratteristiche cliniche e demografiche della popolazione in studio. SCA

(n = 37)SCA + DD

(n = 38)P-value

Età (anni, media ± SD) 58 ± 11 59 ± 10 0.79*Sesso (maschi/femmine) 28/9 (76 vs 24%) 28/10 (73 vs 27%) 0.79†

Fattori di Rischio CliniciFamiliarità CAD 17 (46 %) 11 (30 %) 0.16†

Diabete 9 (24 %) 4 (11 %) 0.14†

Ipertensione 22 (59 %) 17 (46 %) 0.25†

Dislipidemia 18 (49 %) 21 (56 %) 0.64†

Fumatori attivi 14 (38 %) 16 (43 %) 0.89‡

Ex fumatori 5 (13 %) 4 (11 %) 0.89‡

Risultati di Laboratorio BMI (Kg/m2) 24 ± 5 23 ± 5 0.97*Glucosio (mg/dl) 116 ± 44.8 116 ± 47.7 0.96*Colesterolo totale (mg/dl) 194 ± 44 195 ± 44 0.89*LDL (mg/dl) 111 ± 19 116 ± 37 0.57*HDL (mg/dl) 44 ± 9 45 ± 13 0.65*Trigliceridi (mg/dl) 145 ± 71 152 ± 130 0.77*Proteina C-reattiva (mg/l) 1.82 ± 3.2 2.32 ± 4 0.69*Creatinina (mg/dl) 0.97 ± 0.3 0.92 ± 0.17 0.36*Troponina picco (ng/ml) 41.4 ± 84 39.8 ± 77.6 0.93*Terapia al terzo giornoStatine 34 (92 %) 37 (100 %) 0.11†

ACE inibitori 5 (13 %) 4 (11 %) 0.71†

Beta-bloccanti 34 (92 %) 34 (90 %) >0.99†

Antidiabetici orali (%) 2 (5 %) 1 (4 %) 0.49†

Nitrati (%) 4 (11 %) 2 (6 %) 0.67†

Insulina (%) 5 (13 %) 3 (9 %) 0.71†

Diuretici (%) 7 (19 %) 7 (19 %) >0.99†

Agenti antipiastrinici (%) 36 (97 %) 36 (95 %) >0.99†

Anticoagulanti (%) 7 (19 %) 6 (17 %) 0.768†

Valori espressi come media ± s.d. o numero (%) di soggetti. * t-test; †Fischer’s exact test; ‡X2-test.

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Capitolo II Materiali e Metodi

3.2. Valutazione Clinica

Valutazione cardiovascolare

È stata somministrata una scheda (modello unico) per la Valutazione Clinico-

Cardiologica adattata dal Global Registry of Acute Coronary Events

(GRACE) e da BLITZ. Questo modello di valutazione ha permesso di

esaminare i pazienti colpiti da SCA in modo esaustivo. In particolare sono

stati raccolti dati dettagliati circa i seguenti punti:

1) Anagrafica del paziente;

2) Fattori di rischio cardiovascolare;

3) Eventuale comorbidità con altre patologie;

4) Sintomi;

5) Percorso ospedaliero al ricovero;

6) Presentazione clinica al pronto soccorso;

7) Alterazioni elettrocardiografiche;

8) Marcatori bioumorali;

9) Valutazione della frazione d‟eiezione (F.E. %);

10) Decorso intraospedaliero ed eventuali complicanze;

11) Terapia farmacologica (prima del ricovero, durante il ricovero ed alla

dimissione);

12) Dati circa la dimissione.

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Capitolo II Materiali e Metodi

Valutazione Psichiatrica

Entro una settimana dall'evento SCA indice, tutti i pazienti sono stati

valutati mediante la somministrazione di specifiche scale

psicopatologiche. In particolare, mediante la SCID-I (Structured

Clinical Interview for Psychiatric Disorders) per determinare la presenza di

diagnosi di episodio depressivo maggiore, secondo i criteri del DSM-IV,

e di eventuali altri disturbi di Asse I in comorbidità86; e la scala

Hamilton per determinare la gravità della depressione (Hamilton

Depression Rate Scale, HDRS) 87.

Punteggi HDRS uguali o superiori a 17 indicano depressione grave;

punteggi compresi tra 12 e 16 indicano depressione moderata; punteggi

compresi tra 5 e 11 indicano depressione lieve; punteggi uguali o inferiori

a 4 indicano assenza di depressione.

3.3. Determinazione delle EPC Circolanti

L'identificazione e la quantificazione delle EPC CD34, CD133 e KDR

positive (CD34+/CD133+/KDR+) è stata effettuata mediante

citofluorimetria a flusso (FACS). Nonostante la tecnica sia ampiamente

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Capitolo II Materiali e Metodi

utilizzata non esiste ad oggi un protocollo standardizzato per la

valutazione numerica delle EPC.

3.3.1. Principi di Citofluorimetria a Flusso

L’analisi FACS, è una tecnica di misurazione multiparametrica di

caratteristiche fisiche e/o chimiche condotta su cellule in sospensione

all’interno di un fluido di trasporto. Consente la misurazione e la

caratterizzazione di cellule sospese in un mezzo fluido, garantendo una

dettagliata analisi qualitativa e quantitativa in tempi rapidi. La capacità

di analizzare un elevato numero di cellule in breve tempo (50.000 cellule

in pochi secondi), quantificando diversi parametri per ogni cellula, fa sì

che l’impiego dell’analisi FACS sia largamente diffuso sia nei laboratori

clinici sia in quelli di ricerca.

La sospensione cellulare viene iniettata in un sistema fluidico, il quale

tende a trasportare le cellule in maniera separata e ordinata fino al punto

di misura, dove incontrano un fascio di luce focalizzata proveniente da

un laser. In generale, i citofluorimetri utilizzano una sorgente luminosa

a ioni Argon centrata su una lunghezza d’onda di 488 nm (blu), che

consente una efficace misura dei parametri fisici e la contemporanea

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Capitolo II Materiali e Metodi

eccitazione di diversi fluorofori. Quando il raggio di luce intercetta il

flusso cellulare, ciascuna cellula emette segnali di luce diffusa in base alle

proprie caratteristiche fisiche e morfologiche, per fenomeni di rifrazione

e riflessione. In particolare la luce dispersa in avanti (forward scatter) è

legata alle dimensioni delle cellule, mentre la luce riflessa a 90° (side

scatter) è da attribuire alla morfologia cellulare come granulosità del

citoplasma, rapporto nucleo/citoplasma, rugosità di superficie. Vengono

inoltre raccolti ed analizzati i segnali luminosi provenienti da eventuali

fluorofori coniugati ad anticorpi legati alla superficie cellulare. I segnali

emessi vengono raccolti da un sistema di lenti, specchi, filtri ottici ed

inviati ai rispettivi sensori (fotodiodi o fotomoltiplicatori) che ne

misurano l’intensità. I segnali elettrici provenienti da ogni sensore,

amplificati e digitalizzati, sono inviati ad un analizzatore che provvede

alla visualizzazione dei dati su monitor, rappresentazione grafica e

definizione statistica (Figura 3.1).

Il diagramma bidimensionale che si ottiene dalla combinazione del

forward e del side scatter è detto citogramma e permette di discriminare

tra diverse popolazioni cellulari basandosi solo sulle loro proprietà fisiche

(Figura 3.2).

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Capitolo II Materiali e Metodi

Figura 3.1 Componenti di un citofluorimetro.

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Capitolo II Materiali e Metodi

Figura 3.2. Citogramma: Diagramma bidimensionale ottenuto dalla combinazione del forward (dimensioni), e del side (granulosità) scatter (FSC e SSC, rispettivamente). Permette di discriminare tra diverse popolazioni cellulari basandosi solamente sulle loro caratteristiche fisiche.

I segnali di fluorescenza in citofluorimetria normalmente vengono

rilevati tramite le emissioni generate dall’utilizzo di anticorpi

monoclonali marcati con fluorocromi specifici per antigeni presenti sulla

membrana, nel citoplasma o nel nucleo. Ciò permette l’identificazione

di popolazioni e sottopopolazioni cellulari. I fluorofori maggiormente

utilizzati sono: il FITC (fluoresceina isotiocianato), che emette ad una

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Capitolo II Materiali e Metodi

lunghezza d’onda di 520 nm (verde), l’APC (alloficocianina), che emette

ad una lunghezza d’onda di 700 nm (rosso lontano) e il PE

(ficoeritrina), che a sua volta emette a 575 nm (rosso).

3.3.2. Dosaggio dei Livelli di EPC Circolanti

Le EPC sono state identificate per la presenza di specifici antigeni di

superficie, utilizzando una tripla marcatura con anticorpi monoclonali

anti‐CD34 anti‐KDR e anti‐CD133. In breve, dopo 3-4 giorni

dall’evento di SCA, i campioni ematici sono stati prelevati a digiuno dal

circolo venoso dell’arto superiore, in K3EDTA 5,4mg (VACUTEST®),

sempre dalle ore 09.00 alle 11.00 del mattino, e processati entro 1-2 ore

dal prelievo. 100μL di sangue periferico sono stati incubati per 30' al

buio a temperatura ambiente con 3 diversi anticorpi monoclonali

coniugati direttamente con diversi fluorocromi: PerCP-Ac anti CD34

(5 μL) (BD Biosciences), AlexaFluor 647-Ac VEGFR (5 μL) (BD

Biosciences) e PE-Ac CD133 (10 μL) (Milteny). Dopo lisi delle emazie

con 1 ml di cloruro d'ammonio (BD Pharm Lyse Lysing Buffer) per 15'

al buio, i campioni sono stati acquisiti al citofluorimetro (FacsCalibur

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Capitolo II Materiali e Metodi

Becton Dickinson) in quantità non inferiore a 5x105 eventi per tubo;

l’analisi è stata eseguita usando il CellQuest Software.

Oltre alla tripla marcatura è stata eseguita l’identificazione delle cellule

CD34+, secondo il protocollo dell’International Society of Hematotherapy

And Graft Engineering (ISHAGE).

L’ISHAGE è una tecnica che ha il vantaggio di poter identificare le

cellule tramite l’espressione dei markers quali CD45 e CD34, e con un

basso SSC. In un tubo BD Trucount, all’interno del quale sono presenti

microbiglie, sono stati aggiunti a 100 μl di sangue, 10 μl di una miscela

contenete 2 diversi anticorpi coniugati direttamente con 2 diversi

fluorocromi: FITC-Ac anti CD45, PE-Ac anti CD34. Il campione è

stato incubato al buio per 30' a temperatura ambiente. Al termine

dell’incubazione è stato aggiunto 1 ml di cloruro d'ammonio (BD

Pharm Lyse Lysing Buffer). Dopo 15' di incubazione al buio a

temperatura ambiente il campione è stato acquisito al citofluorimetro.

L’analisi è stata eseguita usando il CellQuest Software seguendo la

strategia di gate logico del protocollo ISHAGE modificato. La strategia

di gating esclude cellule che non legano specificatamente l’anti-CD34.

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Capitolo II Materiali e Metodi

Un passaggio iniziale è un gate (R1) nel Dot-Plot CD45 verso SSC-H

in modo da contare tutti gli eventi CD45+ includendo CD34+ e CD34.

Ciò escluderà gli eventi CD45-. Gli eventi di questo primo passaggio

saranno poi mostrati in un Dot-Plot CD34 verso SSC per selezionare le

cellule CD34 positive (Dim e Bright, gate R2). Il terzo passaggio è

caratterizzato da eventi che rispondono ai gates dei passaggi 1 e 2

riportati su un Dot-Plot CD45 verso SSC per selezionare le cellule

CD45 Dim (gate R3, cluster di cellule). Infine, gli eventi ottenuti da

tutti e tre i passaggi sono mostrati sul Dot-Plot FSC verso SSC su cui è

impostato il gate R4 per verificare che gli eventi CD34 positivi siano

uniformi per FSC/SSC (regione di cellule clusterizzate). Questa regione

(R4) è precisamente stabilita per includere eventi non più piccoli dei

linfociti. Gli eventi della regione R4 sono vere cellule CD34 positive.

Sull’ultimo dot plot CD34 verso VEGFR2, impostato sul gate R4 le

cellule doppie positive per CD34 e VEGFR2, considerate EPCs

cadranno nel quadrante in alto a destra (Upper Right, UR).

Sul dot plot CD45 verso CD34 non “condizionato” da gate seleziono la

regione R5 contenente le microbiglie che sono sottratte da tutti gli altri

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Capitolo II Materiali e Metodi

dot plot eccetto che nel primo (SSC verso CD45), che non è

“condizionato” da gate (Figura 3.3).

Il numero di EPC per volume di sangue è calcolato con la seguente

formula:

61

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Capitolo II Materiali e Metodi

Figura 3.3. Esempio di dosaggio e determinazione fenotipica delle EPC.

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Capitolo II Materiali e Metodi

3.4. Analisi Statistica

I dati sono stati riportati come media ± deviazione standard (d.s.).

Le differenze tra due o più gruppi per variabili continue, con

distribuzione normale, sono state valutate mediante analisi della

varianza (ANOVA, ANalysis Of VAriance) con analisi post hoc

LSD (minima differenza significativa) di Fisher. A causa della

distribuzione non‐normale dei valori di EPC, sono stati applicati

test non parametrici. Le correlazioni tra EPC ed altre variabili sono

state valutate mediante test delle correlazioni di Spearman.

Sono stati considerati significativi valori di p < 0,05. L’analisi

statistica è stata effettuata con il programma StatView for Windows

(SAS Institute Inc. 1992-98).

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CAPITOLO III

4. RISULTATI

4.1. Caratteristiche della Popolazione Studiata

Dei 75 pazienti con SCA reclutati, 48 presentavano STEMI (età media

58±11 anni), 23 NSTEMI (età media 60±7 anni) e 3 UA (età media

62±13 anni). In Figura 4.1 viene riportata la percentuale di ognuna delle

manifestazioni cliniche di SCA.

4.2. Valutazione dei Disturbi Depressivi

Dei 75 pazienti con SCA, 38 (51 %) presentava disturbi depressivi

(n=38; 28 maschi, 10 femmine; età media 59±10 anni). In particolare, il

66 % risultava affetto da disturbi dell’umore (DM, DBI o DBII), mentre

solo il 34 % presentava disturbi d’ansia. Inoltre, dai valori di HDRS è

risultato che il 51% presentava una depressione lieve, il 13% una

depressione moderata e l’8% una depressione grave (Tabella 4.1).

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Capitolo III Risultati

Figura 4.1. Manifestazioni cliniche di SCA al reclutamento.

Tabella 4.1. Anamnesi psichiatrica dei pazienti con SCA

HDRS ≥ 17 SCA + DD(n=38)

Disturbi psichiatrici

SCA + DD(n=38)

5 <HDRS< 11 19 (51%) Disturbi d’Ansia 13 (34%)

12 <HDRS< 16 5 (13%) Disturbi dell’umore (DM, BD I o BD II)

25 (66%)HDRS ≥ 17 3 (8%)HDRS = Hamilton Depression Rating Scale; SCA = Sindromi coronariche acute; DD = disturbi depressive; DM = Depressione Maggiore; DB = Depressione Bipolare di tipo I o di tipo II

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Capitolo III Risultati

4.3. Valutazione dei livelli di EPC circolanti in pazienti SCA con e senza DD

La Figura 4.2 mostra i livelli ematici di EPC (espressi come numero di

cellule EPC/ml di sangue) nei soggetti di controllo sani (Ctr), nei

soggetti di controllo con DD privi di patologie cardiovascolari (cDE),

nei pazienti con SCA (sia STEMI e NSTEMI) ed in quelli con SCA e

DD (SCA + DD), dopo 3-4 giorni dall’evento ischemico acuto.

Nei pazienti con SCA e DD, cosi come per i soggetti cDE, si rilevano

livelli di EPC circolanti significativamente più bassi rispetto ai soggetti

con SCA senza DD (58 ± 37 cellule/ml vs. 148 ± 91 cellule/ml;

P<0.0001, e 73 ± 60 cellule/ml vs. 148 ± 91 cellule/ml; P<0.001,

rispettivamente). Tuttavia i livelli di EPC sono significativamente

ridotti nei pazienti SCA senza DD rispetto ai soggetti sani (148 ± 91

cellule/ml vs. 213 ± 84 cellule/ml; P<0.005).

La popolazione di studio è stata successivamente suddivisa nei

sottogruppi “STEMI” e “NSTEMI” e, per ciascuna sottopopolazione,

sono stati valutati i livelli di EPC circolanti.

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Capitolo III Risultati

Figura 4.2. Livelli di EPC in pazienti STEMI-NSTEMI. I pazienti SCA con disturbi depressivi (SCA+DD) e i pazienti con DD senza MCV (cDE) presentano un ridotto numero di EPC circolanti rispetto ai pazienti SCA senza DD (P<0,0001 e P<0.001, rispettivamente). * vs Ctr, § vs SCA.

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Ctr cDE SCA SCA + DD

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Capitolo III Risultati

4.4. Livelli di EPC in pazienti STEMI

La Figura 4.3 A, mostra i livelli di EPC nei pazienti con STEMI. Nei

soggetti di controllo cDE e nei pazienti SCA con DD (SCA+DD), si

osserva una significativa riduzione dei livelli ematici di EPC rispetto ai

pazienti con SCA (50 ± 26 cellule/ml vs. 153 ± 79 cellule/ml; P<0.0001 e

73 ± 60 cellule/ml vs. 153 ± 79 cellule/ml; P<0.001, rispettivamente).

Ancora una volta i livelli di EPC sono significativamente ridotti nei

pazienti SCA senza DD rispetto ai soggetti sani (Ctr) (153 ± 79

cellule/ml vs. 213 ± 84 cellule/ml; P<0.01).

4.5. Livelli di EPC in pazienti NSTEMI

La Figura 4.3 B, mostra i livelli di EPC nei pazienti con NSTEMI con

o senza DD. Così come per i pazienti con STEMI, anche in questo caso

si osserva una significativa riduzione dei livelli di EPC nei pazienti con

DD rispetto ai pazienti SCA senza DD (75 ± 53.4 cellule/ml vs. 161.3 ±

132 cellule/ml;P<0.05). Al contrario che per gli STEMI, nei pazienti

NSTEMI senza DD non si osservano differenze significative nei livelli

di EPC rispetto ai soggetti di controllo sani (p>0.05).

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Capitolo III Risultati

In Figura 4.4 si osserva la correlazione negativa tra gravità dei DD

(espressa mediante HDRS) e numero di EPC nei pazienti con SCA

(r=-0.34; P<0.005).

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Capitolo III Risultati

Figura 4.3. Livelli di EPC in pazienti con STEMI (A) e con NSTEMI (B) con o senza disturbi depressivi (DD). I pazienti SCA con disturbi depressivi (SCA+DD) e i pazienti con DD senza MCV (cDE) presentano un ridotto numero di EPC circolanti rispetto ai pazienti SCA senza DD (P<0,0001 e P<0.05, rispettivamente).* vs Ctr; § vs SCA.

Ctr cDE SCA SCA + DD

Ctr cDE SCA SCA + DD

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Capitolo III Risultati

Figura 4.4. Correlazione tra livelli di EPC e gravità dei disturbi

depressivi espressa mediante la Hamilton Depression Rating Scale

(HDRS) in pazienti SCA (STEMI e NSTEMI) (r = - 0.34, P<0.005).

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CAPITOLO IV

5. DISCUSSIONE

Diversi studi clinici hanno dimostrato che il numero di EPC circolanti è

inversamente proporzionale ai fattori di rischio per l'aterosclerosi, la

disfunzione endoteliale e futuri eventi cardiovascolari 88,89. Dome e

collaboratori, hanno osservato che nei pazienti senza particolari fattori di

rischio cardiovascolare, i livelli di EPC circolanti sono diminuiti da un

episodio di depressione 81. Su questi presupposti, abbiamo analizzato i

livelli circolanti di EPC in pazienti con recenti SCA in concomitanza

con sindromi depressive rispetto a quelli senza. In accordo con Peichev e

collaboratori37, abbiamo valutato cellule positive CD34/KDR/CD133

come EPC. Nella nostra popolazione in studio, una percentuale elevata

di pazienti affetti da SCA presentava DD (51%). I nostri dati hanno

mostrato che la presenza di depressione è associata ad un significativo

alterato rilascio da parte del midollo osseo (BM, Bone Marow) di EPC

circolanti in pazienti affetti da SCA.

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Capitolo IV Discussione

È importante sottolineare che non vi erano differenze significative di

età, sesso e prevalenza di fattori di rischio tra i pazienti affetti da SCA,

con o senza depressione (Tabella 3.1; tutti P>0.05). Inoltre, non vi

erano differenze significative nel BMI, colesterolo totale, LDL e

trigliceridi, creatinina, CRP, troponina ad alta sensibilità e glicemia a

digiuno, tra i due gruppi (P>0.05; Tabella 3.1).

Anche se i pazienti SCA con DD tendevano ad avere più alti livelli di

CRP rispetto a pazienti senza DD, la differenza tra i due gruppi è

rimasta insignificante da un punto di vista statistico (P = 0.62; Tabella

3.1).

Diversi studi hanno riportato che in pazienti SCA, sembra esservi una

tendenza verso un elevato livello di EPC, suggerendo che queste cellule

sono eventualmente mobilitate nel tentativo di partecipare alla

riparazione dei vasi dopo ischemia grave 63,64,90. In accordo con

Grundmann e collaboratori91, abbiamo osservato che, nonostante il

numero di EPC aumenti dopo 3-4 giorni dall’evento SCA, il numero di

cellule non raggiunge il valore osservato nei volontari sani (150.5 ± 94.7

vs 221.8 ± 90; P<0.0001). L’aumentato livello di EPC in pazienti con

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Capitolo IV Discussione

SCA può essere dovuto alla mobilizzazione delle cellule dal BM, causato

dalle lesioni acute vascolari.

Abbiamo anche trovato che i livelli ematici delle EPC erano

significativamente ridotti nei pazienti con depressione in corso, senza

fattori di rischio cardiovascolare rispetto ai pazienti SCA senza DD

(73.4 ± 60 vs 150.5 ± 94.7; P<0.0001), confermando i dati ottenuti da

Dome. Questi dati indicano che la depressione stessa,

indipendentemente dalla sua associazione con una sindrome coronarica

acuta, ha un impatto sulla circolazione delle EPC. Le relazioni causali

tra questi due fenomeni sono ben lungi dall'essere chiari. Dome e

collaboratori, hanno ipotizzato un rapporto con i processi infiammatori

cronici. Questi autori, infatti, trovato un ridotto livello di EPC circolanti

nei pazienti affetti da un episodio di depressione maggiore e

concentrazioni significativamente elevate di TNF-α. Inoltre, hanno

osservato una correlazione inversa tra TNF-α e i livelli di EPC

circolanti.

Infine, abbiamo osservato una significativa riduzione del livello ematico

di EPC nei pazienti con DD senza disturbi cardiovascolari, rispetto ai

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Capitolo IV Discussione

pazienti SCA senza DD, indipendentemente dal fatto che avevano uno

STEMI o un NSTEMI.

Tuttavia, non sono state osservate differenze significative nei livelli di

EPC tra il sottogruppo NSTEMI senza concomitanti DD e soggetti

sani (P>0.05). Questi dati confermano l'idea che il reclutamento di

cellule progenitrici è legata alla durata dell’ischemia piuttosto che alla

dimensione della zona ischemica del miocardio 92.

I risultati mostrano infine come i livelli di EPC circolanti siano

inversamente correlati alla gravità della sindrome depressiva.

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6. CONCLUSIONI

Questo è il primo studio che dimostra che i pazienti con SCA (sia

STEMI sia NSTEMI) in comorbidità con sintomi depressivi

clinicamente rilevanti hanno un livello significativamente ridotto di EPC

circolanti. Questi dati suggeriscono che la presenza di depressione altera

la risposta del midollo osseo a un evento ischemico acuto.

Considerando il ruolo riparativo delle EPC nei pazienti con SCA, si può

ipotizzare che i pazienti con SCA che sono anche depressi possono

essere meno protetti rispetto ai pazienti senza disturbi depressivi dal

rischio di insorgenza di nuovi eventi cardiaci maggiori. Nonostante ciò,

studi prospettici sono necessari per confermare questa ipotesi. Da tale

punto di vista, stiamo conducendo uno studio prospettico per

testimoniare la forza di associazione tra la presenza di depressione, i

livelli di EPC e l'esito cardiaco nei pazienti con SCA.

Infine, i risultati suggeriscono che gli individui o con fattori di rischio

cardiovascolare o con determinate malattie cardiovascolari, come SCA,

dovrebbero essere sottoposti a screening per la depressione.

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BIBLIOGRAFIA

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