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Pagina 1 di 99 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA - POLO di MATERA - FACOLTÀ DI INGEGNERIA D.U. IN INGEGNERIA DELL’AMBIENTE E DELLE RISORSE IMMAGINI LANDSAT E SPOT: ESTRAZIONE DI PARAMETRI PER UNA CARTOGRAFIA DI USO DEL SUOLO DELL’ALTA VAL D’AGRI Relatore: Prof.sa Ing. Aurelia Sole Diplomando: Borneo Vito Matricola ……. A.A. 2002/2003

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA

- POLO di MATERA -

FACOLTÀ DI INGEGNERIA

D.U. IN INGEGNERIA DELL’AMBIENTE E DELLE RISORSE

IMMAGINI LANDSAT E SPOT: ESTRAZIONE DI PARAMETRI PER UNA

CARTOGRAFIA DI USO DEL SUOLO DELL’ALTA VAL D’AGRI

Relatore: Prof.sa Ing. Aurelia Sole

Diplomando: Borneo Vito Matricola …….

A.A. 2002/2003

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Premessa

I sistemi satellitari attualmente in uso consentono una copertura globale e

ciclica di quasi tutta la superficie terrestre.

Il Telerilevamento è sicuramente una disciplina affascinante, osservare

dall’alto e così da lontano il nostro pianeta rappresenta uno dei sogni più antichi

dell’uomo.

La tecnologia ci consente non solo di osservare nel mondo del visibile, ma

anche in quello dell’infrarosso, dove le tonalità di colore acquisiscono gradazioni

differenti da quelle a cui siamo normalmente abituati: la vegetazione ci appare

rossa e gli specchi d’acqua di colore nero, permettendone una più congrua

discriminazione.

Ad oggi, con i satelliti per scopi commerciali, non è possibile osservare

dettagli nitidi, ma siamo in grado di distinguere i diversi usi del suolo del nostro

pianeta: identificare le zone urbanizzate, separare i territori agricoli da quelli

boscati e le zone umide dai corpi idrici.

La cartografia di uso del suolo è un’importante strumento di pianificazione

territoriale, al cui utilizzo sono interessate le Amministrazioni in base alle diverse

estensioni territoriali (dai Comuni, alle Regioni, fino all’Unione Europea) ed alle

estensioni tematiche.

Il lavoro è stato svolto in ambito di tirocinio aziendale svoltosi in

collaborazione con la Geocart s.r.l. di Potenza, presso strutture messe a

disposizione dall’ASI di Matera nel Centro di Geodesia Spaziale.

A loro ed a quanti hanno collaborato al fine di realizzare questo lavoro, va

tutto il mio ringraziamento.

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Introduzione

La realizzazione di una cartografia di uso e copertura del suolo è un processo

lungo e costoso in particolare il superamento della “carta tradizionale” (intesa

come rappresentazione di un territorio ad una certa data e con una certa scala) al

“Database Informatico” rende possibile costruire dei “Sistemi Informativi” che

gestiscano al loro interno diverse modalità di rappresentazione degli stessi

elementi territoriali, legati alle diverse scale di interesse.

Alla ricchezza di informazioni deve però associarsi da un lato una

strutturazione mirata a garantirne la congruenza logica e geometrica, dall’altro un

processo basato sulle reali necessità che spingono una istituzione preposta al

governo del territorio a munirsi di uno strumento di conoscenza dell’ Uso del

Suolo.

L’analisi dei requisiti imposti dall’utente porta alla definizione dei livelli di

approfondimento più opportuni, tale livello di approfondimento (che nella

cartografia tradizionale viene riassunto nella “scala”) viene espresso in termini di:

• dettaglio tematico (legenda);

• densità informativa (unità minima cartografabile);

• precisione / accuratezza;

A questo proposito è bene anche ricordare il significato dei termini e delle

definizioni da adottare:

• Land Cover o copertura del suolo è ciò che attiene alle caratteristiche

fisiche della superficie terrestre come la distribuzione della vegetazione,

dell’acqua e dalle caratteristiche antropiche come insediamenti ed

infrastrutture;

• Land Use o uso del suolo è tutto ciò che attiene all’impiego ed alle

strategie di gestione di determinate coperture del suolo da parte dell’uomo.

Una volta individuati i requisiti è possibile definire il Modello concettuale,

ovvero la struttura delle informazioni che devono essere gestite nel sistema ed in

particolare le loro relazioni.

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Fig. 1 – Samples of land cover and land use mapping of identical territory (Feranec et al. 1996). A- Land cover: 1 - built up compound, 2 - built up area of scattered buildings, 3 - soil without vegetation, 4 - grassland, 5 - grassland with scattered trees and shrubs, 6 - coniferous forest, 7 - water bodies, B- Land use: 1 compound of agricultural buildings, 2 - leisure area, 3 - arable land without vegetation, 4 - pasture, 5- coniferous forest with protecting function relevant for water management 6 – nature reserve, 7 - pond.

Il database geografico sull’uso / copertura del suolo viene estratto da

immagini telerilevate elaborate ed interpretate a video – computer, appoggiandosi

su supporti ortocorretti e infine trasformato in formato vettoriale.

Attualmente i sistemi satellitari maggiormente idonei e che meglio rispondono

ai requisiti di base quali: multispettralità ed acquisizione continua della superficie

terrestre sono i satelliti Landsat e Spot.

L’aumento vertiginoso delle informazioni territoriali disponibili in svariate

forme di sistemi geografici e territoriali, unitamente all’avvento delle metodologie

satellitari per il posizionamento e la localizzazione di quelle informazioni e delle

tecnologie digitali di elaborazione, ha reso inderogabile affrontare il problema

anche dalla Comunità Europea.

La particolarità dei sistemi informativi geografici consiste nel fatto che le

informazioni, oltre ad avere una definizione quantitativa e/o qualitativa intrinseca,

sono anche collocate spazialmente, cioè definite, rispetto ad un sistema di

riferimento unificato.

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Per la realizzazione di cartografia relativa all’Uso del Suolo viene utilizzata la

legenda derivante dal sistema di nomenclatura del progetto CORINE Land

Cover della Unione Europea fino al terzo livello, avente come sistema di

coordinate di riferimento l’European Datum del 1950.

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Obiettivi del Lavoro

Il presente lavoro di tesi si propone il raggiungimento di due principali

obiettivi:

1) Confronto tra i dati provenienti dai satelliti Landsat e Spot;

2) Realizzazione di un data base geografico sull’uso / copertura del suolo, in

formato vettoriale, di una area campione della Val d’Agri.

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Indice

Premessa 2

Introduzione 3

Obiettivi del lavoro 6

Indice 7

Capitolo 1: il Telerilevamento

1.1 – Introduzione 9

1.2 – Cenni sul Telerilevamento 11

1.3 – Principi della radiazione Elettromagnetica 14

1.4 – Lo spettro elettromagnetico 16

1.5 – La propagazione dell’energia 17

1.6 – Caratteristiche spettrali degli elementi della superficie terrestre 21

1.7 – I sensori 24

Capitolo 2: Le missioni satellitari

2.1 – Introduzione 29

2.2 – Caratteristiche dati Landsat 30

2.3 – Il Satellite Spot 33

2.4 – Caratteristiche dati Spot 34

Capitolo 3: Il programma Corine

3.1 – Introduzione 36

3.2 – Il programma Corine: contenuti, finalità e metodologie 37

3.3 – La Legenda 39

3.4 – La legenda dettagliata 40

3.5 – Territori modellati artificialmente 41

3.6 – Territori agricoli 47

3.7 – Territori boscati e ambienti semi – naturali 53

3.8 – Zone umide 57

3.9 – Corpi idrici 60

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Capitolo 4 – Area di studio

4.1 – Introduzione 62

4.2 – La banca dati 65

4.3 – Utilizzo della banca dati 66

4.3.1 – Utilizzo dell’immagine Landsat del 30/08/01 e dell’immagine

Spot del 15/10/01

67

4.3.1.1 – Utilizzo dei dati Landsat 68

4.3.1.2 – Criterio usato: rapporto tra Bande 72

4.3.2 – Utilizzo dell’Immagine Landsat del 19/05/1984 75

4.3.3 – Utilizzo dell’immagine Landsat del 18/07/1994 e del

13/07/1998

76

4.3.4 – Ricapitolo sulle classi ricavate da ciascuna immagine 77

Capitolo 5 – Generazione della carta di uso del suolo

5.1 – Introduzione 78

5.2 – Cartografia in scala 1:250.000 – 1.100.000 79

5.3 – Considerazione generali sulla generalizzazione delle mappe 80

5.4 – Analisi della mappa 82

5.4.1 – Approccio alla classificazione 84

5.4.2 – Processi post classificazione 85

5.5 – Metodo di generalizzazione dei dati 87

5.5.1 – Generalizzazione dei dati dell’area di studio 88

5.5.2 – Dati in formato vettoriale 94

Capitolo 6 – Conclusioni e sviluppi futuri

6.1 – Conclusioni 95

6.2 – Sviluppi futuri 97

Bibliografia 98

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Capitolo 1: il Telerilevamento

1.1 – Introduzione Il telerilevamento si può dire che ebbe inizio nel 1840 quando le mongolfiere

acquisirono le prime immagini del territorio con la macchina fotografica appena

inventata. Probabilmente alla fine dell'ultimo secolo la piattaforma più nuova era

la rinomata flotta di piccioni che operava come novità in Europa (Figura 1.).

Figura 1.1 – La flotta dei piccioni

La fotografia aerea diventò uno strumento riconosciuto durante la Prima

Guerra Mondiale e lo fu a pieno durante la Seconda. L'entrata ufficiale dei

sensori nello spazio cominciò con l'inclusione di una macchina fotografica

automatica a bordo dei missili tedeschi V-2 lanciati dalle White Sands, NM.

L'avvento dello Sputnik nel 1957 rese possibile il montaggio di macchine da

ripresa su navicelle in orbita. I primi cosmonauti e astronauti documentavano con

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riprese dallo spazio la circumnavigazione del globo. I sensori che acquisivano

immagini in Bianco e Nero sulla Terra vennero montati su satelliti metereologici a

partire dal 1960. Altri sensori sugli stessi satelliti potevano poi eseguire sondaggi

o misure atmosferiche su una catena di rilievi.

Il telerilevamento raggiunse una successiva maturità, con sistemi operativi per

l'acquisizione di immagini sulla Terra con una certa periodicità, nel 1970 con

strumenti a bordo dello Skylab (e più tardi dello Space Shuttle) e su Landsat, il

primo satellite espressamente dedicato al monitoraggio di terre e oceani allo

scopo di mappare risorse culturali e naturali. Un sistema radar per l'acquisizione

di immagini è stato il primo sensore a bordo di Seasat e negli anni '80 una varietà

di sensori specializzati, CZCS, HCMM, e tra questi AVHRR, vennero messi in

orbita come progetti di ricerca o studi di fattibilità.

Il primo sistema radar non-militare fu lo Shuttle Imaging Radar SIR-A)

montato dal JPL a bordo dello Space Shuttle nel 1982. Altre nazioni realizzarono

poi altri sensori simili o con distinte capacità. A partire dal 1980 il Landsat è stato

privatizzato ed in diverse nazioni, tra cui Francia, Stati Uniti, Russia e Giappone,

ha avuto inizio un utilizzo più vasto e commerciale del telerilevamento.

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1.2 – Cenni sul Telerilevamento Il Telerilevamento (remote sensing) è definibile come quell’insieme di

tecniche, strumenti e mezzi interpretativi che permettono di estendere e migliorare

le capacità percettive dell’occhio umano, fornendo all’osservatore informazioni

qualitative e quantitative su oggetti posti a distanza e quindi sull’ambiente

circostante [Lechi, 1999].

Ha come scopo la produzione di mappe tematiche del territorio: per mappa

tematica si intende una carta sulla quale una generica superficie (per esempio

quella terrestre) è suddivisa in aree dal comportamento omogeneo rispetto a certe

caratteristiche. Il telerilevamento usa come veicolo d’informazione l’energia

elettromagnetica in tutte le sue forme di interazione con la superficie della Terra

(emissione, riflessione, diffusione ecc.).

La produzione di cartografia metrica è invece dominio della Fotogrammetria,

della topografia, e delle tecniche di descrizione del suolo

Estende quindi la capacità di osservazione dell’uomo nello spazio al di là del

suo campo visivo e nel mondo dell’invisibile, superando le possibilità spettrali

della sua retina, a quasi tutto lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche.

Ciò che interessa è raccogliere informazioni qualitative e quantitative

provenienti da superfici poste in genere lontano dall’osservatore: lontano significa

fare riferimento a una distanza che può variare da qualche metro (proximal

sensing) fino a migliaia di chilometri (remote sensing), come nel caso delle

osservazioni effettuate dai satelliti geostazionari (36.000 Km dalla superficie

terrestre).

Le condizioni di osservazione dei satelliti artificiali dipendono dalle loro

proprietà astronomiche quali la distanza dell’orbita dalla Terra e la cadenza dei

sorvoli. L’inclinazione del piano orbitale rispetto a quello equatoriale definisce

l’estensione della zona della Terra che può essere sorvolata: si parla ad esempio di

orbita polare se l’inclinazione è prossima a 90°, fig. 1.1.

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Figura 1.2 – Orbite satellitari

I satelliti per il telerilevamento possono essere suddivisi in due grandi

famiglie: quelli meteorologici e quelli per l’osservazione della superficie terrestre

in senso stretto.

I primi sono geostazionari, ossia hanno una velocità angolare uguale a quella

della Terra, un’inclinazione di 0° e descrivono un’orbita circolare sul piano

dell’equatore. Gli altri, per lo scopo cui sono destinati, devono poter sorvolare

regolarmente una stessa regione, nelle stesse condizioni di illuminazione ed alla

medesima quota. Per questi motivi l’orbita non può essere che circolare, polare ed

eliosincrona. Tra questi satelliti è compresa la piattaforma Landsat 7 utilizzata in

questo studio.

Il termine “Landsat” indica sia un programma della NASA per lo studio delle

risorse terrestri mediante l’uso di satelliti artificiali, sia una serie di satelliti

dedicati a questo scopo. Il dominio del non visibile ha esteso incredibilmente le

capacità di analisi ambientale, tanto da ottenere risultati impossibili con altre

tecniche tradizionali: si pensi alle mappe termiche degli oceani, al controllo dello

stato di salute della vegetazione, all’inventario delle risorse naturali in zone

inaccessibili.

Il Telerilevamento è strettamente legato alle altre discipline del rilevamento

quali la geodesia, la fotogrammetria, la topografia, la cartografia ed anche ad altre

materie quali l’informatica, la statistica, l’elaborazione di immagini. Questa

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disciplina, nata per usi civili alla fine degli anni ‘60, a tutt’oggi ha già visto tre

generazioni di satelliti artificiali, durante lo sviluppo delle quali sono migliorate le

risoluzioni geometriche, radiometriche e spettrali; man mano che passa il tempo ci

si rende conto del piccolissimo rapporto fra dati utilizzati e dati ripresi, e nel

contempo dell’importanza dei dati “storici” quali unica testimonianza e memoria

dell’aspetto esteriore del nostro pianeta nel passato.

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1.3 – Principi della radiazione elettromagnetica L'unità fondamentale utilizzata nei fenomeni elettromagnetici è il fotone (un

tipo di "quanto", come definito nella teoria quantistica). Si tratta della particella

subatomica che corrisponde alla radiazione emessa dalla materia eccitata

termicamente, o da processi nucleari (fusione, fissione), o da altra radiazione. I

fotoni, privi di massa, si muovono alla velocità della luce: 300.000 km/sec.

Queste particelle hanno una natura "duale" per cui sono anche caratterizzate da

una propagazione ondosa. Tali onde sono rappresentabili analiticamente

attraverso funzioni trigonometriche, come illustrato nella figura 1.3.

Figura 1.3 – Diagramma di onde sinusoidali a diversa frequenza

La distanza fra punti equivalenti (corrispondenti a stesse ampiezze dell'onda)

su un treno d'onda è la lunghezza d'onda. Il numero di punti equivalenti che

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attraversano una posizione di riferimento in un secondo è indicato dalla frequenza

dell'onda (espressa in cicli/sec o hertz). Un fotone è caratterizzato da una certa

quantità di energia determinabile (in erg) dalla equazione generale di Planck:

E = h v

dove h è la costante di Planck (6.6260... x 10-34 Joule) e v indica la frequenza.

I fotoni di frequenza più alta sono dunque più energetici. Se un materiale eccitato

sperimenta un passaggio da un livello energetico più alto E2 ad un livello inferiore

E1, la formula precedente diventa:

laddove il valore di v e' dato da (v2 - v1); in altri termini, una particolare

transizione energetica è caratterizzata dall'emissione di radiazione (fotoni) con

una precisa frequenza e una corrispondente lunghezza d'onda λ.

La lunghezza d'onda è l'inverso della frequenza (frequenze più alte sono

associate a lunghezze d'onda più piccole e viceversa), secondo la relazione:

c = v λ

dove c è la costante che indica la velocità della luce, così che l'equazione di

Planck può essere riscritta come

E = hc / λ

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1.4 – Lo spettro elettromagnetico La distribuzione delle energie di radiazione può essere rappresentata sia in

funzione della lunghezza d'onda che della frequenza in un grafico noto come

spettro elettromagnetico (EM), fig. 1.4.

Figura 1.4 – Lo Spettro elettromagnetico

Lo spettro EM è stato arbitrariamente suddiviso in regioni o intervalli cui sono

stati attribuiti nomi descrittivi. All'estremo più energetico (alte frequenze, piccole

lunghezze d'onda) ci sono i raggi gamma e i raggi x (le cui lunghezze d'onda sono

usualmente misurate in angstroms [Å], ovvero in unità di 10-8 cm). La radiazione

ultravioletta si estende da circa 300 Å a circa 4000 Å. Per le regioni centrali dello

spettro è opportuno utilizzare una fra le due seguenti unità di misura: micron

(µm), ovvero multipli di 10-6 m o nanometri (nm), di base 10-9 m. La regione

visibile occupa l'intervallo fra 0.4 e 0.7 µm, o quello equivalente da 4000 a 7000

Å o ancora da 400 a 700 nm. La regione infrarossa, compresa fra 0.7 e 100 µm, ha

quattro sottointervalli di particolare interesse: (1) l'IR riflesso (0.7 - 3.0 µm) e (2)

l'IR fotografico (0.7 - 0.9 µm), ovvero il range di sensibilità delle pellicole; (3) e

(4) le bande termiche a (3 - 5 µm) e (8 - 14 µm). Per gli intervalli di lunghezze

d'onda maggiori si passa dai mm ai cm ai metri. La regione delle microonde va da

0.1 a 100 cm; include i range di frequenze di tutti i sistemi radar costruiti

dall'uomo che producono la radiazione a microonde che "illumina" gli oggetti e

viene da questi riflessa. La regione di lunghezze d'onda maggiori (frequenze più

basse) oltre i 100 cm corrisponde alle bande radio.

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1.5 – La propagazione dell'energia La principale sorgente di eccitazione energetica utilizzata per illuminare i

bersagli naturali è la radiazione solare. Il suo spettro è determinato dalla

temperatura della fotosfera solare (caratterizzata da un picco in prossimità di 5600

°C). La radiazione solare incidente è prevalentemente concentrata nell'intervallo

di lunghezze d'onda fra 200 e 3400 nm (0.2 e 3.4 µm), con un massimo di potenza

a circa 480 nm (0.48 µm) (nel verde). Quando la radiazione solare attraversa

l'atmosfera terrestre una frazione dell'energia irraggiata viene assorbita o riflessa,

e il resto è trasmesso.

Figura 1.5 – Land Solar Radiation

La radiazione incidente (tecnicamente, radianza sulla superficie terrestre o

oceanica è caratterizzata da tre diversi modi di propagazione successiva:

- trasmissione - parte della radiazione penetra in alcuni mezzi, per esempio

nell'acqua;

- assorbimento - parte della radiazione è assorbita attraverso interazioni

molecolari o elettroniche con il mezzo attraversato; in seguito potrà essere

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parzialmente riemessa: emittanza), soprattutto in corrispondenza delle

lunghezze d'onda maggiori, cosicché la radiazione solare contribuisce al

riscaldamento dei corpi che forniscono una risposta termica;

- riflessione - parte della radiazione è effettivamente riflessa (e diffusa) dal

bersaglio a diversi angoli (in funzione della "rugosità" della superficie e

dell'orientazione relativa della direzione di incidenza della radiazione

solare rispetto all'inclinazione della superficie), inclusa la direzione del

sensore che effettua l'osservazione. Un gran numero di sistemi di

telerilevamento sono designati alla misura della radiazione riflessa.

Figura 1.6 – Trasmissione atmosferica della radiazione incidente per diverse lunghezze

d'onda

L’immagine in fig. 1.5, riporta un diagramma generalizzato che illustra la

trasmissione atmosferica della radiazione incidente per diverse lunghezze d'onda.

Il blu evidenzia le zone di minima radiazione incidente e/o riflessa mentre in

bianco sono riportate le aree note come "finestre atmosferiche" in cui la

radiazione ha una quantità ridotta di interazioni con le diverse specie molecolari, e

può quindi attraversare l'aria con perdite minime o nulle dovute all'assorbimento.

La maggior parte dei sensori per il telerilevamento in aria o sulle piattaforme

spaziali sono stati costruiti per operare in una o più di una di tali finestre e

effettuano le misure utilizzando rivelatori "sintonizzati" su certe frequenze

(lunghezze d'onda) specifiche che attraversano l'atmosfera. Nondimeno alcuni

sensori, in particolar modo quelli a bordo dei satelliti metereologici, mirano a

misurare direttamente fenomeni di assorbimento, quali quelli dovuti al CO2 e ad

altre molecole gassose. Si osservi come l'atmosfera sia praticamente opaca alla

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radiazione EM in parte dell' infrarosso medio e in tutto l'infrarosso lontano. Nella

regione delle microonde invece la maggior parte della radiazione attraversa

l'atmosfera non ostacolata per cui i segnali radar di tutte le bande comunemente

utilizzate raggiungeranno la superficie (sebbene le goccioline di pioggia

producano riflessioni che consentono di rivelare le precipitazioni).

La quantità di radiazione EM riflessa (assorbita, trasmessa) da un qualsiasi

oggetto varia al variare della lunghezza d'onda. Questa importante proprietà della

materia consente l'identificazione e la separazione di diverse sostanze o classi

attraverso la loro firma spettrale (curve spettrali) come mostrato in figura 1.7.

Figura 1.7 – Alcune firme spettrali

Dunque la sabbia può riflettere più luce della vegetazione a certe lunghezze

d'onda ma assorbirne di più ad altre. In linea di principio, vari tipi di superfici

possono essere riconosciute e distinte fra loro grazie a tali differenze nelle

riflettività relative, supposto che ci sia un metodo adeguato per la misura di tali

differenze in funzione della lunghezza d'onda e dell'intensità della radiazione

riflessa (come frazione o percentuale della radiazione incidente). A scopo

esemplificativo si osservino, nella figura 1.8, le posizioni dei punti che indicano le

percentuali di riflettività in corrispondenza di due lunghezze d'onda per quattro

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tipi comuni di superfici (GL = terreni erbosi; PW = pinete; RS = sabbia rossa; SW

= acqua fangosa).

Figura 1.8 – percentuali di riflettività

Qualora si considerino più di due lunghezze d'onda, i grafici in spazi

multidimensionali tendono ad aumentare la separabilità di materiali diversi;

questa è la base del telerilevamento multispettrale.

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1.6 – Caratteristiche spettrali degli elementi della superficie

terrestre Nella coppia di curve spettrali mostrate in fig. 1.9 (misurate in campo con uno

spettrometro portatile) è evidente che la risposta spettrale della vegetazione è

distinta da quella della materia inorganica grazie alla improvvisa crescita della

riflettività a circa 0.7 µm seguita da una graduale diminuzione fino al

raggiungimento dell'intervallo a 1.1 µm. Le prime curve (a sinistra o in alto)

indicano una crescita graduale della riflettività all'aumentare della lunghezza

d'onda per materiali prodotti dall'uomo. Il calcestruzzo, caratterizzato da una

colorazione tenue, ha una risposta media più elevata dell'asfalto scuro; gli altri

materiali si collocano nel mezzo (la ghiaia è probabilmente più blu come

suggerito dalla crescita della riflettanza fra 0.4 a 0.5 µm e dalla risposta piatta nel

resto della regione visibile [0.4 - 0.7 µm]). Le altre curve (a destra o in basso)

indicano che gran parte dei tipi di vegetazione hanno una risposta molto simile fra

0.3 e 0.5 µm; mostrano variazioni modeste nell'intervallo 0.5 - 0.6 µm; e la loro

massima variabilità (e quindi la discriminazione ottimale) è fra 0.7 e 0.9 µm.

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Figura 1.8 – Coppie di curve spettrali

In senso stretto, dunque, le misure spettrali coinvolgono l'interazione fra la

radiazione che illumina e la struttura atomica/molecolare di qualsiasi mezzo,

determinando un segnale riflesso modificato in seguito all'attraversamento

dell'atmosfera e in funzione della natura della risposta del sistema di rivelazione

del sensore. Comunque, in pratica, oggetti e proprietà della superficie terrestre

sono descritti piuttosto in termini di classi che di materia. Si consideri, per

esempio, il calcestruzzo. Lo si può trovare in strade, parcheggi, piscine, edifici e

altre strutture, ciascuna delle quali può essere trattata come classe distinta. La

vegetazione può essere distinta in: alberi, coltivazioni, prati, alghe lacustri, ecc.; si

può ricorrere anche a suddivisioni ulteriori, classificando gli alberi come decidui o

sempreverdi, o ancora gli alberi decidui come querce, aceri, pioppi, ecc.

Le varie classi sono distinte attraverso due proprietà aggiuntive agli attributi

spettrali, ovvero la forma (caratteristiche geometriche) e l'uso o il contesto (in

certi casi la dislocazione geografica). Quindi una struttura di calcestruzzo può far

parte della classe delle "strade" e dei "parcheggi" a seconda che sia lineare o più o

meno estesa. Due oggetti con caratteristiche spettrali pressoché identiche di

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vegetazione potrebbero essere assegnate alle classi "foresta" e "area coltivata" in

funzione della regolarità dei contorni (rettilinei, spesso con strutture rettangolari o

irregolari). Un'applicazione fondamentale del telerilevamento è nella

classificazione della miriade di tipologie presenti in una scena (generalmente

presentata come immagine) in categorie significative o classi che possono essere

convertite in mappa tematica.

Obiettivo di un qualsiasi sistema di telerilevamento è semplicemente la

rivelazione di segnali di radiazione, la determinazione del loro carattere spettrale,

la derivazione di adeguate firme, e la correlazione delle distribuzioni geografiche

delle classi che rappresentano. Tutto ciò ha come risultato la visualizzazione di un

prodotto interpretabile, che può essere una mappa o un insieme di dati numerici,

che rispecchia le caratteristiche di una superficie (o di una proprietà

dell'atmosfera) attraverso indicazioni sulla natura e sulla distribuzione degli

oggetti presenti nel campo di vista.

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1.7 – I Sensori La radiazione riflessa viene registrata a distanza da un sensore. In realtà la

radiazione effettiva misurata risente anche degli effetti di assorbimento e

diffusione cui va soggetto il segnale durante la sua propagazione attraverso

l'atmosfera. Più del 50% dello spettro elettromagnetico é inutilizzabile perché la

radiazione corrispondente é totalmente bloccata dall'atmosfera. In definitiva, ciò

che viene quindi registrato dal sensore ed espresso con un valore di intensità

relativa, non é soltanto la radiazione proveniente dalla superficie,

ma anche il risultato di tutti questi processi fisici di interazione con le particelle

atmosferiche.

Un sensore non é altro che uno strumento capace di acquisire informazioni

attraverso la misura e la registrazione di energia elettromagnetica.

Perché un sensore possa raccogliere e registrare l'energia riflessa o emessa

dalla superficie, deve essere posto su una piattaforma stabile lontana dalla

superficie che deve essere osservata. Le piattaforme per sensori remoti possono

essere situati sul terreno, su un aereo o su una navicella o un satellite al di fuori

dell'atmosfera terrestre.

Sensori a terra sono spesso usati per registrare le informazioni della superficie

da confrontare con le informazioni raccolte dai sensori montati su aereo o su

satellite. In alcuni casi possono essere usati per meglio caratterizzare il target

osservato che è stato visualizzato da questi altri sensori, rendendo possibile una

migliore comprensione delle informazioni nelle immagini. Le piattaforme aeree

sono spesso usate per ottenere immagini di dettaglio. Nello spazio il rilevamento a

distanza è, a volte, effettuato da uno shuttle o, più comunemente, da satellite.

I sensori possono essere attivi o passivi: questi ultimi misurano la radiazione

naturalmente disponibile (emessa o riflessa dagli oggetti), i sensori attivi generano

invece un segnale che "illumina" l'oggetto e ne registrano l'eco di ritorno. I sensori

passivi possono solo essere usati per registrare l'energia che è disponibile

naturalmente. Per tutte le energie riflesse, questo può avvenire solo quando il sole

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illumina la Terra, per cui la notte non c'è energia riflessa disponibile. L'energia

che viene naturalmente emessa (come quella dell'infrarosso termico) può essere

registrata sia di giorno che di notte, purchè la quantità di energia sia tale da essere

registrata. I sensori attivi, invece, forniscono la sorgente di energia per

l'illuminazione. Il sensore emette la radiazione che è diretta verso l'oggetto che

deve essere osservato. La radiazione riflessa dall'oggetto è registrata e misurata

dal sensore. I vantaggi dei sensori attivi comprendono la capacità di ottenere

misure in ogni momento senza problemi legati al momento del giorno o della

stagione. Comunque i sistemi attivi richiedono la generazione di una enorme

quantità di energia per illuminare adeguatamente l'oggetto. Un esempio di sensore

attivo è il Radar ad Apertura Sintetica (SAR).

Ogni sensore é caratterizzato da quattro proprietà:

- la risoluzione spaziale;

- la risoluzione radiometrica;

- la risoluzione spettrale;

- la risoluzione temporale.

La risoluzione spaziale é l'area minima sul terreno vista dallo strumento da

una data altezza ad un dato istante e viene rappresentata dalla dimensione

dell'elemento di superficie riconoscibile in una immagine registrata da un sistema

di telerilevamento o, ancora, dalla distanza minima entro la quale due oggetti

appaiono distinti nell'immagine. Per alcuni strumenti di telerilevamento, la

distanza tra gli oggetti che devono essere visualizzati e la piattaforma gioca un

ruolo importante nel determinare il dettaglio delle informazioni ottenute e l'area

totale visualizzata dal sensore. Sensori a bordo di piattaforme molto lontane dagli

oggetti da osservare normalmente osservano un'area più grande ma non possono

ottenere un grande dettaglio. Il dettaglio in una immagine dipende dalla

risoluzione spaziale del sensore. La risoluzione spaziale dei sensori passivi

dipende prima di tutto dal loro Istantaneo Campo di Vista (Instantaneous Field of

View o IFOV), fig. 1.10.

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Figura 1.10 – IFOV

L'IFOV è il cono angolare di visibilità del sensore e determina l'area della

superficie terrestre che è "vista" ad una data altezza in un particolare momento. La

dimensione dell'area osservata è determinata moltiplicando l'IFOV per la distanza

dal terreno al sensore. Quest'area sul terreno è detta cella di risoluzione e

determina la risoluzione spaziale massima del sensore. Perché un oggetto

omogeneo sia osservabile, la sua dimensione generalmente deve essere uguale o

più grande della cella di risoluzione. Se l'oggetto è più piccolo di questa, non può

essere identificato per cui sarà registrata la luminosità media di tutti gli oggetti in

quella cella di risoluzione.

I satelliti commerciali forniscono immagini con risoluzioni che variano da

pochi metri a diversi chilometri, figura 1.11.

30 metri 10 metri 3 metri

Figura 1.11 – Stessa area osservata a diverse risoluzioni

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La risoluzione radiometrica rappresenta la minima differenza di intensità

che un sensore può rilevare tra due valori di energia raggiante. Le caratteristiche

radiometriche descrivono il contenuto informativo in un'immagine. Ogni volta

che una immagine è acquisita su un film o da un sensore, la sua sensibilità alla

grandezza dell'energia elettromagnetica determina la risoluzione radiometrica.

Migliore è la risoluzione radiometrica di un sensore, più sensibile è nel registrare

piccole differenze nell'energia riflessa o emessa. E' anche definito come il numero

di livelli discreti in cui può venire suddiviso un segnale. I dati in una immagine

sono rappresentati da numeri digitali positivi che variano da 0 a (uno meno di)

una potenza di 2. Questo range corrisponde al numero di bits usati per codificare i

numeri nel formato binario. Ciascun bit registra un esponente della potenza di due

(per esempio 1 bit = 21 = 2). Il massimo numero di livelli di luminosità disponibili

dipende dal numero di bits usati per rappresentare l'energia registrata. Quindi se

un sensore usa 8 bits per registrare i dati, i valori digitali disponibili sono 28 =

256, variando da 0 a 255. Se sono usati solo 4 bits i valori disponibili saranno 24

= 16 variando da 0 a 15 con una risoluzione radiometrica minore. I dati in una

immagine sono generalmente visualizzati in un intervallo di toni di grigio con il

nero che rappresenta il numero digitale 0 e il bianco che rappresenta il valore

massimo (per esempio 255 in dati a 8 bit). Confrontando una immagine a 2 bit

con una a 8 bit possiamo vedere che c'è una grande differenza nel livello di

dettaglio individuabile in funzione della risoluzione radiometrica. Più alto è il

numero di livelli di grigio, migliore è la risoluzione radiometrica.

La risoluzione spettrale é l'ampiezza delle bande spettrali risolte dal sensore

cioè il minimo intervallo tra le lunghezze d'onda medie di due bande spettrali che

un sensore può separare. Migliore è la risoluzione spettrale, più sottile è

l'intervallo di lunghezze d'onda per una particolare banda. Le pellicole in bianco e

nero registrano le lunghezze d'onda che si estendono su tutta la porzione del

visibile dello spettro elettromagnetico. La sua risoluzione spettrale è piuttosto

bassa dal momento che diverse lunghezze d'onda dello spettro del visibile non

sono distinte singolarmente, ma viene registrata la riflettanza globale nell'intera

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porzione del visibile. Anche le pellicole a colori sono sensibili all'energia riflessa

dalla porzione visibile dello spettro, ma hanno una risoluzione spettrale più alta

per cui sono sensibili all'energia riflessa singolarmente nel blu, nel verde e nel

rosso. Quindi possono rappresentare oggetti di diversi colori in funzione della loro

riflettanza in ciascuno di questi intervalli di lunghezza d'onda.

Molti sistemi di telerilevamento registrano l'energia di intervalli separati di

lunghezza d'onda a diverse risoluzioni spettrali. Questi sono detti sensori

multispettrali. Sensori multispettrali avanzati, chiamati iperspettrali, registrano

centinaia di ristrette bande spettrali nella porzione dello spettro elettromagnetico

del visibile, dell'infrarosso vicino e del medio infrarosso. La loro risoluzione

spettrale molto alta rende possibile la discriminazione tra differenti oggetti sulla

base della loro risposta spettrale in ciascuna delle bande.

La risoluzione temporale é il tempo che intercorre tra acquisizioni successive

della stessa area. Il periodo di rivisitazione di un sensore satellitare è normalmente

di diversi giorni. Quindi la risoluzione temporale assoluta di un sistema di

telerilevamento per riprendere una seconda volta la stessa area con lo stesso

angolo di vista è uguale a questo periodo. Comunque, a causa del fatto che c'è una

certa sovrapposizione dell'ampiezza di ripresa di orbite adiacenti per la maggior

parte dei satelliti, e che questa sovrapposizione aumenta all'aumentare della

latitudine, alcune aree della Terra possono essere riprese più frequentemente.

Inoltre, alcuni satelliti hanno la capacità di orientare i loro sensori per riprendere

la stessa area in passaggi differenti con intervalli temporali più ristretti. Quindi la

risoluzione temporale di un sensore dipende da una varietà di fattori fra cui le

caratteristiche del satellite e del sensore, la sovrapposizione dell'ampiezza di

ripresa e la latitudine.

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Capitolo 2: Le missioni satellitari Landsat e Spot

2.1 - Introduzione Le missioni di Osservazione della Terra vengono classificate in: scientifiche,

operative e commerciali. Le missioni scientifiche sono dedicate allo studio e alla

ricerca sull'ambiente e sul clima, quelle operative sono missioni gestite da autorità

Governative, spesso multinazionali, dedicate ad applicazioni operative del

telerilevamento, le missioni commerciali sono quelle che hanno come obbiettivo

il ritorno di parte dei costi di sviluppo dalla vendita dei dati.

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2.2 – Caratteristiche dati Landsat Il primo satellite costruito specificatamente per il Telerilevamento

multispettrale fece il suo ingresso il 23 Luglio del 1972 e segnò il lancio dell’

Earth Resources Technology Satellite (ERTS-1). Il Landsat, così come fu

rinominato, ha permesso sin d’allora di osservare con continuità la maggior parte

della superficie terrestre e tuttora rende possibile tale osservazione con il Landsat

5.

I Sistemi Landsat sono stati progettati per effettuare acquisizioni su quasi tutta

la superficie terrestre.

Il Landsat 5 è stato lanciato il 01/03/1984 ed è ancora attivo

Il Landsat 6 è stato lanciato il 05/10/1993 ed è andato perduto

Il Landsat 7 è stato lanciato il 15/03/1999 ed è ancora attivo

Tali satelliti sono da considerarsi di nuova generazione, sulle piattaforme

Landsat 4 e 5 è stato installato un nuovo tipo di sensore, il TM, caratterizzato da

sette bande spettrali, mentre l’attuale Landsat 7 è caratterizzato dal sensore ETM,

anch’esso di sette bande, ma tecnologicamente più recente e avanzato.

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Caratteristiche del sensore TM – Thematic Mapper

Name of sensor Thematic Mapper Platform Landsat 4 – 5 Type Opto-mechanical scanner Spatial resolution (m) 30/120 Spectral range (μm) 0.45 – 12.5 Number of bands 7 Temporal resolution (days) 16 Size of image (Km) 185 x 172 Swath (Km) 185

Caratteristiche del sensore ETM – Enchanced Thematic Mapper

Name of sensor ETMP – Enchanced Thematic Mapper Platform Landsat 7 Type Opto-mechanical scanner Spatial resolution (m) 15/30/60 Spectral range (μm) 0.45 – 12.5 Number of bands 8 Temporal resolution (days) 16 Size of image (Km) 183 x 170 Swath (Km) 183

Caratteristiche delle bande del sensore TM

Band Number Spectral Range (μm) Ground Resolution (m) 1 0.450 – 0.515 30 2 0.525 – 0.605 30 3 0.630 – 0.690 30 4 0.750 – 0.900 30 5 1.550 – 1.750 30 6 10.400 – 12.500 120 7 2.090 – 2.350 30

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Caratteristiche delle bande del sensore Multispettrale ETM

Band Number Spectral Range (μm) Ground Resolution (m) 1 0.450 – 0.515 30 2 0.525 – 0.605 30 3 0.630 – 0.690 30 4 0.750 – 0.900 30 5 1.550 – 1.750 30 6 10.400 – 12.500 60 7 2.090 – 2.350 30

Caratteristiche delle bande del sensore Pancromatico ETM

Band Number Spectral Range (μm) Ground Resolution (m) Pan 0.520 – 0.900 15

Caratteristiche Orbitali Landsat 4 – 5 e 7

Orbita Sun – synchronous, near polar Altitudine (Km) 705 Periodo (minuti) 99 Ciclo copertura (giorni) 16

Figura 2.2 – Caratteristiche di copertura del satellite Landsat

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2.3 – Il satellite SPOT Gli scanner simili a quelli montati su Landsat (TM, MSS) sono stati i primi

sensori di osservazione della terra negli anni 1970-80. Questi strumenti dotati di

parti mobili e oscillanti come gli specchi erano soggetti a deterioramento (sebbene

possiamo ricordare che l’MSS sul Landsat 5 ha continuato a funzionare nel 1998

dopo il lancio avvenuto nel Marzo 1984). Un nuovo approccio chiamato scanner

“a scopa battente” fu sviluppato nel frattempo sfruttando i CCD (Charge-Coupled

Devices) come rivelatori. Un CCD è un piccolo sensore sensibile alla luce. Il

primo utilizzo su satelliti di osservazione della terra è stato lo SPOT-1 francese

lanciato nel 1986

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2.4 – Caratteristiche dati Spot I sistemi Spot furono progettati per garantire un’acquisizione continua di

immagini della terra.

Spot 4 è stato lanciato il 24/03/1998 ed è ancora attivo

A bordo di questo satellite abbiamo sensori multispettrali e pancromatici.

Sensore Multispettrale HRV

Band Number Spectral Range (μm) Ground Resolution (m) green 0.500 – 0.590 20 red 0.610 – 0.680 20 near infrared 0.790 – 0.890 20 infrared 1.580 – 1.750 20

Sensore Pancromatico HRV

Band Number Spectral Range (μm) Ground Resolution (m) 1 0.510 – 0.730 10

Caratteristiche Orbitali Spot 4

Orbita Sun – synchronous

Altitudine (Km) 822

Periodo (minuti) 101.4

Ciclo copertura (giorni) 26

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Entrambi i sensori hanno uno swath di 60 Km ogni 80 Km

Figura 2.3 – Caratteristiche di copertura del satellite Spot

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Capitolo 3 – Il Programma CORINE

3.1 – Introduzione

Il programma CORINE (COoRdination de l' INformation sur l'

Environnement), varato dal Consiglio delle Comunità Europee nel 1985, e

prodotto dall’European Environment Agency, ha lo scopo primario di verificare

dinamicamente lo stato dell'ambiente nell'area comunitaria, al fine di orientare le

politiche comuni, controllarne gli effetti, proporre eventuali correttivi.

Obiettivi secondari, ma non per questo meno validi, sono la formazione e la

diffusione di standard e metodologie comuni e la promozione di contatti e scambi

internazionali, per facilitare la realizzazione di iniziative intercomunitarie.

All'interno del programma CORINE, il progetto CORINE-Land Cover è

specificamente destinato al rilevamento e al monitoraggio, ad una scala

compatibile con le necessità comunitarie, delle caratteristiche del territorio, con

particolare attenzione alle esigenze di tutela.

L'azione relativa ha preso le mosse nel 1986, con un intervento pilota sul

Portogallo, nel corso del quale sono state individuate e messe a punto esigenze

strumentali e metodologie.

Il progetto e' attualmente in corso di completamento nell'ambito dell'Unione

Europea, e si è esteso anche a Paesi dell'Est europeo e del bacino mediterraneo

non appartenenti all'Unione.

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3.2 – Il programma CORINE: contenuti, finalità e

metodologie Il progetto CORINE Land Cover prevede la realizzazione di una cartografia

della copertura del suolo alla scala di 1:100.000, con una legenda di 44 voci su 3

livelli gerarchici, e fa riferimento ad unità spaziali omogenee o composte da zone

elementari appartenenti ad una stessa classe, di superficie significativa rispetto

alla scala, nettamente distinte dalle unità che le circondano e sufficientemente

stabili per essere destinate al rilevamento di informazioni più dettagliate.

Nel quadro del progetto l'unità spaziale da cartografare è stata definita in

modo da soddisfare tre esigenze fondamentali:

• Garantire la leggibilità della restituzione cartacea e agevolare il processo

di digitalizzazione a partire dai lucidi di interpretazione;

• Permettere di rappresentare quegli elementi della realtà al suolo

essenziali per coprire le esigenze tematiche del progetto;

• Raggiungere un rapporto costi/benefici, in termini di soddisfazione delle

esigenze conoscitive sulla copertura del suolo, compatibile con le

disponibilità finanziarie complessive.

Ciò premesso, la superficie minima cartografabile è stata indicata in 25

ettari, e corrisponde, alla scala di rappresentazione prescelta, ad un quadrato di 5

mm di lato o ad un cerchio di 2,8 mm di raggio.

La carta finale risultante, in formato numerico, costituisce la base di

riferimento geografico e tematico del Sistema Informativo CORINE.

Il progetto CORINE – Land Cover intende principalmente fornire al

programma CORINE e ad ogni possibile utilizzatore interessato informazioni

sulla copertura del suolo. Queste informazioni devono essere quanto più possibile:

• omogenee

• esattamente compatibili e comparabili per tutti i paesi interessati

• suscettibili di aggiornamento periodico

• di costo sostenibile

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Il progetto è inoltre finalizzato a fornire agli operatori locali gli strumenti

culturali e metodologici necessari per la prima elaborazione e per i successivi

aggiornamenti.

La metodologia operativa adottata consta di 5 fasi:

1) Lavori preliminari;

2) Preparazione delle immagini satellitari (di norma Landsat D-TM

Spot-HRV), in falso colore, per lo più con la combinazione, per il

Thematic Mapper delle bande 4,5,3, che è quella che consente la

miglior discriminazione degli oggetti identificati nella legenda;

3) Fotointerpretazione assistita da calcolatore. Delimitazione-

identificazione degli oggetti. Validazione dell'interpretazione;

4) Digitalizzazione;

5) Validazione della banca dati

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3.3 – La Legenda La legenda si articola su 3 livelli, il primo dei quali comprende 5 voci

generali che abbracciano le maggiori categorie di copertura sul pianeta (Territori

modellati artificialmente, territori agricoli, territori boscati e ambienti semi-

naturali, zone umide, corpi idrici), il secondo 15, adatte ad una rappresentazione a

scale di 1:500.000/1.000.000 e il terzo 44, con voci più dettagliate, adatte appunto

ad una scala di 1:100.000.

La legenda, proposta come immutabile per ragioni di omogeneità a livello

europeo, può essere integrata da successivi livelli di approfondimento desiderati

dagli esecutori, i cui dati peraltro non devono figurare a livello comunitario.

Attualmente peraltro, essendosi rivelati insufficienti i contenuti per alcune

aree comunitarie, come le zone subartiche e quelle alpine, si sta esaminando,

nell’ambito del CentroTematico Europeo Land Cover (ETC-LC), alle cui attività

partecipa anche il Centro Interregionale, la possibilità di modificare il testo

attuale, con l'inserimento di voci, come ad esempio "tundra" e "taiga", al

momento non presenti.

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3.4 – La legenda dettagliata

1. Territori modellati artificialmente;

2. Territori agricoli

3. Territori boscati e ambienti semi – naturali

4. Zone umide

5. Corpi idrici

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3.5 – Territori modellati artificialmente

1.Territori modellati artificialmente

1.1. Zone urbanizzate

1.1.1. Tessuto Urbano continuo

1.1.2. Tessuto urbano discontinuo

1.2. Zone Industriali, commerciali e reti di comunicazione

1.2.1. Aree industriali o commerciali

1.2.2. Reti stradali e ferroviarie e spazi accessori

1.2.3. Aree portuali

1.2.4. Aeroporti

1.3. Zone estrattive, discariche e cantieri

1.3.1. Aree estrattive

1.3.2. Discariche

1.3.3. Cantieri

1.4. Zone verdi artificiali non agricole

1.4.1. Aree verdi urbane estrattive

1.4.2. Discariche

1.1 Zone urbanizzate

1.1.1. Tessuto Urbano continuo

Spazi strutturati dagli edifici e dalla viabilità. Gli edifici, la viabilità e le

superfici ricoperte artificialmente occupano più dell'80% della superficie totale.

La vegetazione non lineare e il suolo nudo rappresentano l'eccezione. Sono

qui compresi cimiteri senza vegetazione. Problema particolare degli abitati a

sviluppo lineare (villes - rue): anche se la larghezza delle costruzioni che

fiancheggiano la strada, compresa la strada stessa, raggiunge solo 75 m, e a

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condizione che la superficie totale superi i 25 ha, queste aree saranno classificate

come tessuto urbano continuo (o discontinuo se le aree non sono congiunte).

Figura 3.1 – Differenza tra la densità dei fabbricati urbani.

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1.1.2. Tessuto urbano discontinuo

Spazi caratterizzati dalla presenza di edifici. Gli edifici, la viabilità e le

superfici a copertura artificiale coesistono con superfici coperte da vegetazione e

con suolo nudo, che occupano in maniera discontinua aree non trascurabili. Gli

edifici, la viabilità e le superfici ricoperte artificialmente coprono dal 50 all'80%

della superficie totale. Si dovrà tenere conto di questa densità per le costruzioni

localizzate all'interno di spazi naturali (foreste o spazi erbosi).

Questa voce non comprende:

• le abitazioni agricole sparse delle periferie delle città o nelle zone di

coltura estensiva comprendenti edifici adibiti a impianti di

trasformazione e ricovero;

• le residenze secondarie disperse negli spazi naturali o agricoli.

Comprende invece:

• cimiteri senza vegetazione.

1.2 Zone industriali, commerciali e reti di comunicazione

1.2.1. Aree industriali o commerciali

Aree a copertura artificiale (in cemento, asfaltate o stabilizzate: per esempio

terra battuta), senza vegetazione, che occupano la maggior parte del terreno. (Più

del 50% della superficie).

La zona comprende anche edifici e/o aree con vegetazione. Le zone

industriali e commerciali ubicate nei tessuti urbani continui e discontinui sono da

considerare solo se si distinguono nettamente dall'abitato. (Insieme industriale di

aree superiore a 25 ha con gli spazi associati: muri di cinta, parcheggi, depositi,

ecc.). Le stazioni centrali delle città fanno parte di questa categoria, ma non i

grandi magazzini integrati in edifici di abitazione, i sanatori, gli stabilimenti

termali, gli ospedali, le case di riposo, le prigioni, ecc.

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Figura 3.2 – Esempio di 1.2.1. Aree industriali o commerciali

1.2.2. Reti stradali e ferroviarie e spazi accessori

Larghezza minima da considerare: 100 m.

Autostrade, ferrovie, comprese le superfici annesse (stazioni, binari,

terrapieni, ecc.) e le reti ferroviarie più larghe di 100 m che penetrano nella città.

Sono qui compresi i grandi svincoli stradali e le stazioni di smistamento, ma non

le linee elettriche ad alta tensione con vegetazione bassa che attraversano aree

forestali.

1.2.3. Aree portuali

Infrastrutture delle zone portuali compresi i binari, i cantieri navali e i porti

da diporto. Quando i moli hanno meno di 100 m., di larghezza, la superficie dei

bacini (d'acqua dolce o salata) delimitati dagli stessi è da comprendere nel calcolo

dei 25 ha.

1.2.4. Aeroporti

Infrastrutture degli aeroporti: piste, edifici e superfici associate. Sono da

considerare solo le superfici che sono interessate dall'attività aeroportuale (anche

se alcune parti di queste sono utilizzate occasionalmente per agricoltura-foraggio).

Di norma queste aree sono delimitate da recinzioni o strade. In molti casi, l'area

aeroportuale figura sulle carte topografiche a grande scala (1:25.000 e 1:50.000).

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Non sono compresi i piccoli aeroporti da turismo (con piste consolidate) ed edifici

di dimensioni molto piccole.

1.3 Zone estrattive, discariche e cantieri

1.3.1. Aree estrattive

Estrazione di materiali inerti a cielo aperto (cave di sabbia e di pietre) o di

altri materiali (miniere a cielo aperto).

Ne fanno parte cave di ghiaia, eccezion fatta, in ogni caso, per le estrazioni

nei letti dei fiumi. Sono qui compresi gli edifici e le installazioni industriali

associate. Rimangono escluse le cave sommerse, mentre sono comprese le

superfici abbandonate e sommerse, ma non recuperate, comprese in aree

estrattive. Le rovine, archeologiche e non, sono da includere nelle aree ricreative.

Figura 3.3 – Esempio di 1.3.1. Aree estrattive

1.3.2. Discariche

Discariche e depositi di miniere, industrie e collettività pubbliche.

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1.3.3. Cantieri

Spazi in costruzione, scavi e suoli rimaneggiati.

Figura 3.4 – Esempio di 1.3.3. Cantieri

1.4. Zone verdi artificiali non agricole

1.4.1. Aree verdi urbane

Spazi ricoperti di vegetazione compresi nel tessuto urbano. Ne fanno parte

cimiteri con abbondante vegetazione e parchi urbani.

1.4.2. Aree sportive e ricreative

Aree utilizzate per camping, attività sportive, parchi di divertimento, campi da

golf, ippodromi, rovine archeologiche e non, ecc. Ne fanno parte i parchi

attrezzati (aree dotate intensamente di attrezzature ricreative, da picnic, ecc.)

compresi nel tessuto urbano. N.B.: sono escluse le piste da sci, da classificare,

di norma, come 2.3. l. e 3.2.1

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3.6 – Territori agricoli

2.Territori agricoli

2.1. Seminativi

2.1.1. Seminativi in aree non irrigue

2.1.2. Seminativi in aree irrigue

2.1.3. Risaie

2.2. Colture permanenti

2.2.1. Vigneti

2.2.2. Frutteti e frutti minori

2.2.3. Oliveti

2.3. Prati stabili

2.3.1. Prati stabili

2.4. Zone agricole eterogenee

2.4.1. Colture annuali associate a colture permanenti

2.4.2. Sistemi colturali a particellari complessi

2.4.3. Aree prevalentemente occupate da colture agrarie con

presenza di spazi naturali (formazioni vegetali naturali,

boschi, lande, cespuglieti, bacini d’acqua, rocce nude,

ecc.) importanti

2.4.4. Aree agroforestali

2.1. Seminativi

Superfici coltivate regolarmente arate e generalmente sottoposte ad un

sistema di rotazione.

2.1.1. Seminativi in aree non irrigue

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Sono da considerare perimetri irrigui solo quelli individuabili per

fotointerpretazione, satellitare o aerea, per la presenza di canali e impianti di

pompaggio. Cereali, leguminose in pieno campo, colture foraggere, coltivazioni

industriali, radici commestibili e maggesi. Vi sono compresi i vivai e le colture

orticole, in pieno campo, in serra e sotto plastica, come anche gli impianti per la

produzione di piante medicinali, aromatiche e culinarie. Vi sono comprese le

colture foraggere (prati artificiali), ma non i prati stabili.

Figura 3.5 – Esempio di 2.1.1. Seminativi in aree non irrigue

2. l. 2. Seminativi in aree irrigue

Colture irrigate stabilmente e periodicamente grazie ad un'infrastruttura

permanente (canale di irrigazione, rete di drenaggio). La maggior parte di queste

colture non potrebbe realizzarsi senza l'apporto artificiale d'acqua. Non vi sono

comprese le superfici irrigate sporadicamente.

2.1.3. Risaie

Superfici utilizzate per la coltura del riso.

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Terreni terrazzati e dotati di canali di irrigazione. Superfici periodicamente

inondate.

2.2. Colture permanenti

Colture non soggette a rotazione che forniscono più raccolti e che occupano

il terreno per un lungo periodo prima dello scasso e della ripiantatura: si tratta per

lo più di colture legnose. Sono esclusi i prati, i pascoli e le foreste.

2.2. l. Vigneti

Superfici piantate a vigna

2.2.2. Frutteti e frutti minori

Impianti di alberi o arbusti fruttiferi: colture pure o miste di specie

produttrici di frutta o alberi da frutto in associazione con superfici stabilmente

erbate. Ne fanno parte i castagneti da frutto e i noccioleti. I frutteti di meno di 25

ha compresi nei terreni agricoli (prati stabili o seminativi) ritenuti importanti sono

da comprendere nella classe 2.4.2.. I frutteti con presenza di diverse associazioni

di alberi sono da includere in questa classe.

2.2.3. Oliveti

Superfici piantate ad olivo, comprese particelle a coltura mista di olivo e

vite.

2.3. Prati stabili

2.3. l. Prati stabili

Superfici a copertura erbacea densa a composizione floristica rappresentata

principalmente da graminacee, non soggette a rotazione. Sono per lo più pascolate

ma il foraggio può essere raccolto meccanicamente. Ne fanno parte i prati

permanenti e temporanei e le marcite. Sono comprese inoltre aree con siepi. Le

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colture foraggere (prati artificiali inclusi in brevi rotazioni) sono da classificare

come seminativi (2. l. 1).

Figura 3.6 – Esempio di 2.3.1. prati stabili

2.4. Zone agricole eterogenee

2.4. l. Colture annuali associate a colture permanenti

Colture temporanee (seminativi o prati) in associazione con colture

permanenti sulla stessa superficie, quando le particelle a frutteto comprese nelle

colture annuali non associate rappresentano meno del 25% della superficie totale.

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Figura 3.7 – Esempio

di 2.4. l. Colture

annuali associate a

colture permanenti

2.4.2. Sistemi colturali e particellari complessi

Mosaico di piccoli appezzamenti con varie colture annuali, prati stabili e

colture permanenti, occupanti ciascuno meno del 75% della superficie totale

dell'unità.

Vi sono compresi gli "orti per pensionati" e simili.. Eventuali "lotti"

superanti i 25 ha sono da includere nelle zone agricole.

Figura 3.8 –

Esempio di 2.4. 2.

Sistemi colturali e

particellari

complessi

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2.4.3. Aree prevalentemente occupate da colture agrarie con presenza di

spazi naturali (formazioni vegetali naturali,boschi, lande, cespuglieti, bacini

d'acqua, rocce nude, ecc.) importanti

Le colture agrarie occupano più del 25 e meno del 75% della superficie

totale dell'unità.

Figura 3.9 – Esempio di 2.4.3. Aree prevalentemente occupate da colture agrarie con

presenza di spazi naturali

2.4.4. Aree agroforestali

Colture annuali o pascolo sotto copertura arborea composta da specie

forestali.

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3.7 – Territori boscati e ambienti semi – naturali

3.Territori boscati e ambienti semi – naturali

3.1. Zone boscate

3.1.1. Boschi di latifoglie

3.1.2. Boschi di conifere

3.1.3. Boschi misti

3.2. Zone caratterizzate da vegetazione arbustiva e / o erbacea

3.2.1. Aree a pascolo naturale e praterie d’alta quota

3.2.2. Brughiere e cespuglieti

3.2.3. Aree a vegetazione sclerofilla

3.2.4. Area a vegetazione boschiva ed arbustiva in evoluzione

3.3. Zone aperte con vegetazione rada od assente

3.3.1. Spiagge, dune, sabbie (più larghe di 100 m)

3.3.2. Rocce nude, falesie, rupi, affioramenti

3.3.3. Area con vegetazione rada

3.3.4. Area percorsa da incendi

3.3.5. Ghiacciai e nevi perenni

3.1. Zone boscate

3.1.1. Boschi di latifoglie

Formazioni vegetali, costituite principalmente da alberi ma anche da

cespugli e arbusti, nelle quali dominano le specie forestali a latifoglie. La

superficie a latifoglie deve coprire almeno il 75% dell'unità, altrimenti è da

classificare bosco misto.

N.B.: vi sono compresi i pioppeti e gli eucalipteti.

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3.1.2. Boschi di conifere

Formazioni vegetali costituite principalmente da alberi ma anche da cespugli

e arbusti, nelle quali dominano le specie forestali conifere. La superficie a

conifere deve coprire almeno il 75% dell'unità, altrimenti è da classificare bosco

misto. N.B.: vi sono comprese le conifere a rapido accrescimento.

3.1.3. Boschi misti

Formazioni vegetali, costituite principalmente da alberi ma anche da

cespugli ed arbusti, dove non dominano né le latifoglie, né le conifere.

3.2. Zone caratterizzate da vegetazione arbustiva e/o erbacea

3.2.1. Aree a pascolo naturale e praterie d'alta quota

Aree foraggere a bassa produttività. Sono spesso situate in zone accidentate.

Interessano spesso superfici rocciose, roveti e arbusteti. Sulle aree interessate

dalla classe non sono di norma presenti limiti di particelle (siepi, muri, recinti).

3.2.2. Brughiere e cespuglieti

Formazioni vegetali basse e chiuse, composte principalmente di cespugli,

arbusti e piante erbacee (eriche, rovi, ginestre dei vari tipi ecc.). Vi sono comprese

le formazioni a pino mugo.

3.2.3. Aree a vegetazione sclerofilla

Ne fanno parte macchie e garighe. Macchie: associazioni vegetali dense

composte da numerose specie arbustive miste su terreni silicei acidi in ambiente

mediterraneo. Garighe: associazioni cespugliose discontinue delle piattaforme

calcaree mediterranee. Sono spesso composte da quercia coccifera, corbezzolo,

lavanda, timo, cisto bianco, ecc. Possono essere presenti rari alberi isolati.

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3.2.4. Aree a vegetazione boschiva e arbustiva in evoluzione

Vegetazione arbustiva o erbacea con alberi sparsi. Formazioni che possono

derivare dalla degradazione della foresta o da una rinnovazione della stessa per

ricolonizzazione di aree non forestali.

Figura 3.10 – Esempio di 3.2.4. Aree a vegetazione boschiva e arbustiva in evoluzione

3.3. Zone aperte con vegetazione rada o assente

3.3.1. Spiagge, dune, sabbie (più larghe di 100 m)

Le spiagge, le dune e le distese di sabbia e di ciottoli di ambienti litorali e

continentali, compresi i letti sassosi dei corsi d'acqua a regime torrentizio. Le

dune ricoperte di vegetazione (erbacea o legnosa) devono essere classificate nelle

voci corrispondenti: boschi (3.1.1., 3.1.2. e 3.1.3.), prati (2.3. 1.) o aree a pascolo

naturale (3.2. 1.)

3.3.2. Rocce nude, falesie, rupi, affioramenti

3.3.3. Aree con vegetazione rada

Comprende le steppe xerofile, le steppe alofile, le tundre e le aree

calanchive in senso lato.

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3.3.4. Aree percorse da incendi

Superfici interessate da incendi recenti. I materiali carbonizzati sono ancora

presenti.

3.3.5. Ghiacciai e nevi perenni

Superfici coperte da ghiacciai o da nevi perenni.

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3.8 –Zone umide

4.Zone umide

4.1. Zone umide interne

4.1.1. Paludi interne

4.1.2. Torbiere

4.2. Zone umide marittime

4.2.1. Paludi salmastre

4.2.2. Zone intertidali

4.1. Zone umide interne

Zone non boscate, parzialmente, temporaneamente o permanentemente

saturate da acqua stagnante o corrente.

4.1.1. Paludi interne

Terre basse generalmente inondate in inverno e più o meno saturate d'acqua

durante tutte le stagioni.

Figura 3.11 – Esempio di 4.1.1. Paludi interne

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4.1.2. Torbiere

Terreni spugnosi umidi nei quali il suolo è costituito principalmente da

muschi e materiali vegetali decomposti. Torbiere utilizzate o meno.

4.2. Zone umide marittime

Zone non boscate, saturate parzialmente, temporaneamente o in permanenza

da acqua salmastra o salata.

4.2.1. Paludi salmastre

Terre basse con vegetazione, situate al di sotto del livello di alta marea,

suscettibili pertanto di inondazione da parte delle acque del mare. Spesso in via di

riempimento, colonizzate a poco a poco da piante alofile.

Figura 3.12 – Esempio di 4.2.1. Paludi salmastre

4.2.2. Saline

Saline attive o in via di abbandono.

Parti di paludi salmastre utilizzate per la produzione di sale per

evaporazione. Sono nettamente distinguibili dal resto delle paludi per la forma

regolare delle particelle e il loro sistema di argini.

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4.2.3. Zone intertidali

Superfici limose, sabbiose o rocciose generalmente prive di vegetazione

comprese fra il livello delle alte e basse maree.

Figura 3.13 – Esempio di

4.2.3. Zone intertidali

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3.9 – Corpi idrici

5. Corpi idrici

5.1. Acque continentali

5.1.1. Corsi d’acqua, canali ed idrovie

5.1.2. Bacini d’acqua

5.2. Acque marittime

5.2.1. Lagune

5.2.2. Estuari

5.2.3. Mari ed oceani

5.1. Acque continentali

5.1.1. Corsi d'acqua, canali e idrovie

Corsi di acqua naturali o artificiali che servono per il deflusso delle acque.

Larghezza minima da considerare: 100 m

5.1.2. Bacini d'acqua

Superfici naturali o artificiali coperte da acque.

Figura 3.14 –

Esempio di 5.1.2.

Bacini d'acqua

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5.2. Acque marittime

5.2. 1. Lagune

Aree coperte da acque salate o salmastre, separate dal mare da barre di terra

o altri elementi topografici simili. Queste superfici idriche possono essere messe

in comunicazione con il mare in certi punti particolari, permanentemente o

periodicamente.

5.2.2. Estuari

Parte terminale dei fiumi, alla foce, che subisce l'influenza delle acque.

Figura 3.15 – Esempio di 5.2.2. Estuari

5.2.3. Mari e oceani

Aree al di là del limite delle maree più basse.

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Capitolo 4: Area di studio

4.1 – Introduzione L’area di studio, riportata in fig. 4.1, è costituita dalla Alta Val d’Agri,

porzione del bacino della Val d’Agri, compresa tra latitudine 40° 30’ 11” Nord,

longitudine 15° 40’ 02” Ovest e 40° 11’ 47” latitudine Sud 16° 07’ 18”

longitudine Est, per una estensione totale di circa 131.000 ha.

Fig. 4.1 – Area di studio: Il reticolo geografico ben evidenzia l’estensione dell’area. Visibile

la Diga del Pertusillo con a monte il suo invaso delimitato da una intensa vegetazione

La Val d'Agri si estende entro la Provincia di Potenza, nella porzione sud-

occidentale della Basilicata, per circa 1122,8 km2, nel cuore dell'Appennino

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Lucano in direzione nord ovest-sud est. Le valli così orientate, scavate fra le

grandi dorsali calcaree, sono tipiche della parte occidentale della Basilicata. Dal

punto di vista geologico siamo di fronte ad una notevole varietà di elementi: ai

calcarei dolomitici del Mesozoico, dei quali sono composti i principali rilievi,

s'affiancano i depositi lacustri del periodo pleistocenico. In quest'era geologica -

di controversa datazione, ma che ha il suo limite estremo in circa 10.000 anni fa -

tutta la zona era occupata da un vasto lago, alimentato dagli attuali affluenti

dell'Agri.

Oggi è il fondovalle ad essere invaso dalle acque di questo fiume di 136

chilometri di lunghezza che ha le sorgenti sulle falde meridionali del monte

Maruggio e alle pendici occidentali del monte Volturino e sfocia in mare nel

Golfo di Taranto, presso Policoro. L'Agri, al contrario di altri fiumi lucani,

presenta un corso regolare non soggetto a piene improvvise.

Forse questa sua qualità è all'origine del nome: Agri viene infatti collegato

all'aggettivo "akìros" che significa "lento e tardo, senza moto". Lo sbarramento

realizzato all'altezza di Spinoso - mediante la realizzazione di un'imponente diga

di 100 metri d'altezza e 380 di lunghezza - ha fatto nascere il lago artificiale della

Pietra del Pertusillo, un invaso della capacità di 155 milioni di metri cubi d'acqua.

Se è il corso dell'Agri a caratterizzare il fondo della vallata, sono le vette dei

monti a fare da guardiano e delimitare la Val d'Agri, con il massiccio del

Volturino, il monte di Viggiano, il monte Raparo e il monte Sirino.

I centri abitati sono collocati sulla sommità delle colline poste lungo il corso

del fiume Agri. La popolazione dell’area ammonta a circa 50.000 abitanti

distribuiti in 19 comuni, figura 4.2.

Per l’Alta Val d’Agri:

Grumento Nova, Marsiconuovo, Marsico Vetere, Montemurro,

Moliterno, Paterno, S.Chirico Raparo, San Martino d’Agri, Sarconi,

Spinoso, Tramutola, Viggiano;

per la Media Valle dell’Agri:

Armento, Gallicchio, Missanello, Roccanova, SantArcangelo;

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per la zona dell’Alto Sauro:

Guardia Perticara e Corleto Perticara.

Figura 4.2 – I 19 Comuni della Val d’Agri.

La zona più marcatamente montana della Valle comprende le cime più elevate

dell’Appennino Lucano: Monte Sirino (2005 m.), Monte Volturino (1836 m.),

Monte Raparo (1761 m.), Monte di Viggiano (1724 m.), Monte Maruggio (1577

m).

Sostanzialmente collinare è invece la sezione centro-orientale, caratterizzata

dalla presenza di suggestivi calanchi. La straordinaria bellezza paesaggistica del

lago del Pertusillo, posto nel cuore della Valle, e le numerose pittoresche sorgenti

dei fiumi e dei torrenti fanno assumere all’insieme una rilevanza ambientale

d’assoluto valore.

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4.2 – La banca dati I dati utilizzati per questo studio sono provenienti da differenti sorgenti e

tecnologie e coprono un ampio intervallo temporale, si va infatti dal 1984 al 2001,

periodo entro cui le zone antropiche quali in particolar modo quelle urbane ed

industriali, sono mutate.

La banca dati è la seguente:

Ø dati da aereo

§ Ortofoto volo Italia 1997

Ø dati da satellite

§ Landsat 5 di data 19/05/1984

§ Landsat 5 di data 18/07/1994

§ Landsat 5 di data 13/07/1998

§ Landsat 7 ETM di data 26/09/1999

§ Landsat 7 ETM di data 30/08/2001

§ Spot di data 15/10/2001

Ø cartografia IGMI

§ fogli 1:50.000.

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4.3 – Utilizzo della banca dati Dall’elenco della banca dati, si evince che la immagini in nostro possesso

coprono un periodo stagionale annuo compreso tra il mese di maggio (immagine

Landsat del 19/05/1985) ed il mese di ottobre (immagine Spot del 15/10/2001).

La realizzazione di una carta di uso del suolo non necessita di acquisizioni

effettuate durante il periodo autunnale – invernale, dove l’eccessiva piovosità e la

parziale copertura nuvolosa, mal influenzerebbero la discriminazione a terra.

I sensori montati sui satelliti Landsat e Spot, sono sensori passivi, pertanto, in

presenza di giornate nuvolose, parzialmente nuvolose o con umidità a terra

provocata dal naturale accumulo dell’acqua nel terreno e da banchi di nebbia o

foschia, registrerebbero tali fenomeni atmosferici e li riporterebbero

sull’immagine. Se si volesse definire l’estensione di un ghiacciaio perenne, per

quanto non ricadente nel nostro caso, proprio per la sua definizione intrinseca, si

analizzerebbero immagini relative al periodo estivo o al massimo di inizio

autunno, quando le nevi ed il ghiaccio circostanti si sono completamente ritirati

ed i confini risultano ben marcati.

L’uso di immagini ricadenti in un periodo di acquisizione primaverile – estivo

diventa una necessità ed una procedura ad oggi ampliamente usata.

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4.3.1 – Utilizzo dell’immagine Landsat del 30/08/01 e

dell’immagine Spot del 15/10/01 Da un immediato confronto temporale si nota la vicinanza di date tra

l’immagine Landsat del 30/08/01 e l’immagine Spot del 15/10/01.

Il periodo finale dell’estate è quello di massima aridità, provocata da scarsa o

quasi nulla piovosità, massima presa dalle fonti idriche e temperature elevate. I

raccolti sono stati del tutto ultimati, nei terreni restano le stoppie e molti

appezzamenti sono stati arati, facendo affiorare la nuda terra. Nei terreni non

coltivati di media – bassa quota la vegetazione selvatica è quasi del tutto secca. I

bacini idrici non ricevono ricarica da parecchio tempo, sono stati ampliamente

usati per scopi potabili ed irrigui, sono quindi ai minimi stagionali, si sono ritirati,

facendo affiorare ampie zone di territorio, precedentemente sommersi. Elemento

immutato in questo periodo è rappresentato dai sempreverdi, anche loro hanno

perso vigore e tono, ma restano sempre ben identificabili. Anche l’urbano è

immutato, purtroppo l’eccessiva solarità confonde le ampie zone cementificate

con il semplice terreno nudo.

Pertanto, queste immagini Landsat e Spot ben si prestano per la

classificazione di sempreverdi, e con riferimento al sistema Corine, al livello 3.1.

Zone Boscate:

3.1.1. Boschi di latifoglie;

3.1.2. Boschi di conifere.

L’interpretazione delle diverse classi di uso del suolo è stata derivata

dall’osservazione delle immagini con opportune combinazioni di bande.

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4.3.1.1 – Utilizzo dei dati Landsat L’uso dei dati Landsat multispettrali nell’uso del suolo, nella pianificazione

del territorio e quindi nella cartografia tematica, deriva dalla possibilità di

disporre di ben 7 bande, di cui 3 nel visibile e 4 nell’infrarosso. L’importanza

dell’utilizzo di più bande è evidente nell’esempio di figura 4.3, dove tre terreni

diversi (A, B e C) presentano caratteristiche comuni nei punti di incrocio dei

diagrammi, i cui valori letti individualmente porterebbero ad errori.

Figura 4.3 – Lo spettro di tre terreni differenti (Landcover A, B e C) in relazione alle bande

TM

Le caratteristiche spettrali delle varie bande, con le relative applicazioni sono:

- banda 1 - blu (0,450 – 0,515): indicata per lo studio delle zone costruite,

permette di discriminare le conifere dalle latifoglie;

- banda 2 – verde (0,520 – 0,600): utilizzata per misurare lo stato di vigore

della vegetazione;

- banda 3 – rosso (0,630 – 0,690): importante per discriminare e

diversificare le classi di vegetazione, le diverse intensità di rosso danno la

misura dell’assorbimento della clorofilla che caratterizza le varie specie;

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- banda 4 – infrarosso (0,760 – 0,900): utilizzata per lo studio della

biomassa, è assorbita completamente dall’acqua, adatta a delimitare le

masse d’acqua e la distribuzione del reticolo idrografico;

- banda 5 – infrarosso (1,550 – 1,750): permette di individuare il

contenuto di umidità del manto fogliare e quindi serve a rilevare la siccità

dei raccolti, inoltre discrimina le nuvole dal manto nevoso (riflette ed

appare chiaro a differenza delle nuvole);

- banda 6 – infrarosso termico (10,4 – 12,5): determina le zone soggette a

stress vegetativo, in questa banda si misura l’emissività e la temperatura,

si utilizza per studi sulla geotermica e sulla inerzia termica;

- banda 7 – infrarosso termico (2,080 – 2,350): indicata per la

classificazione dei litotipi e per l’assorbimento dell’acqua.

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Un primo confronto diretto tra le due immagini riguarda lo Spectral Range

delle bande utilizzante. La combinazione ritenuta idonea per la classificazione dei

territori boscati è la 432 per le immagini Landsat e Green Red Near infrared per

lo Spot, come mostrato in Figura 4.4.

Figura 4.4 – Immagine Landsat, bande 432 (sinistra) e immagine Spot in bande equivalenti.

Evidente la differente risoluzione spaziale.

Le due immagini sono simili: la vegetazione assume tonalità principalmente di

rosso acceso, l’immagine con risoluzione maggiore fornisce indubbiamente

particolari più marcati. Le bande così caricate accorpano in un solo colore tutte le

zone boscate, non permettendone una discriminazione agevole e semplificata.

La tabella 4.1 ben evidenzia il confronto in termini di Spectral Range: I due

sensori, per quanto differenti hanno valori medi spettrali di 4 bande vicini,

caricando opportunamente le bande nella rappresentazione RGB il risultato

ottenuto è confrontabile.

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Landsat Spot Band Name Spectral Range Media Band Name Spectral Range Media 1 0.450 – 0.515 0.4825 blue 2 0.525 – 0.605 0.565 green 0.500 – 0.590 0.545 3 0.630 – 0.690 0.660 red 0.610 – 0.680 0.645 4 0.750 – 0.900 0.825 near infrared 0.790 – 0.890 0.840 5 1.550 – 1.750 1.650 infrared 1.580 – 1.750 1.665 6 10.400 – 12.500 11.450 7 2.090 – 2.350 2.220 Tabella 4.1 – Confronto tra bande Landsat e Spot. In colore giallo i valori confrontabili

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4.3.1.2 – Criterio usato: Rapporto tra bande Questo metodo serve per ovviare alle limitazioni dell’utilizzo di fasce spettrali

relativamente vaste nei dati Landsat. Usando il rapporto tra bande si riescono ad

evidenziare essenzialmente le seguenti caratteristiche:

- Rapporto 3/4: per definire le terre sterili e l’area urbana;

- Rapporto 4/3: per distinguere la vegetazione, l’acqua e le terre da

raccolto, aumentando il contrasto tra vegetazione e terre sterili. La

vegetazione ha un’alta riflessione nella fascia 4 (0,750 – 0,900) e un alto

assorbimento nella banda 3 (0,630 – 0,690). Questo rapporto definisce

unicamente la distribuzione della vegetazione, maggiore è il tono acceso,

maggiore è la presenza di vegetazione. Inoltre è possibile ben distinguere

le strade all’interno di essa.

- Rapporto 2/3: per una netta distinzione tra le terre coltivate e quelli

sterili. Non ha però distinto tra loro le terre coltivate, i boschi e l’acqua,

infatti appaiono in tono chiaro, la vegetazione in un tono più alto e le terre

non coltivate sono di colore scuro. La clorofilla ha una forte riflessione

nella banda 2 (0,520 – 0,600) ed un forte assorbimento nella banda 3

(0,630 – 0,690);

- Rapporto 3/2: Per separare le foreste e le terre coltivate. La banda 3

(0,630 – 0,690) è la fascia rossa di assorbimento della vegetazione verde e

sana, la banda 2 (0,520 – 0,690) la fascia di riflessione della superficie

della foglia. Può essere utile a discriminare i vari tipi di vegetazione. Le

terre coltivate sono di tono chiaro (luminose) e i boschi sono di tono più

scuro;

- Rapporto 4/5: Aumenta il tono dell’acqua, la vegetazione e la presenza

del tenore di umidità nelle terre coltivate. L’acqua appare con tono scuro e

la vegetazione più chiara. Poiché l’acqua ha un alto assorbimento nella

banda 4 (0,750 – 0,900) ed una forte riflessione nella fascia 5 (1,550 –

1,750), può essere utile per discriminare i corpi d’acqua dalle terre;

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- Rapporto 5/4: Separa il corpo d’acqua dai boschi, dalle terre sterili e dalla

vegetazione. In questo rapporto l’acqua appare di tono scuro, leggermente

più chiari i boschi, invece le terre coltivate e no esibiscono tono più

luminoso.

- Rapporto 3/5: evidenzia le terre aride, le strade principali, le vie

all’interno delle aree urbane e le zone cementate. Utile per osservare la

differenza tra l’acqua limpida e quella torbida. L’acqua limpida risulta la

più chiara, gli spazi urbani ed edificati, le strade principali sono

leggermente più scuro, i boschi e le terre coltivate appaiono di colore

scuro;

- Rapporto 7/2: separa i boschi (scuri) dalle terre coltivate, separa le strade

principali, le aree urbane e gli spazi edificati, tutte risultano di colore

chiaro, ad eccezione dell’acqua di colore scuro, simile ai boschi;

- Rapporto 7/5: unicamente per separare il terreno dall’acqua. I terreni

hanno un forte assorbimento nella banda 7 (2,080 – 2,350) ed un’alta

riflessione nella banda 5 (1,550 – 1,750), il terreno è visualizzato come

tono chiaro, e l’acqua come tono scuro;

Generando successivamente un Color – Ratio – Composite (CRC) usando i

rapporti di banda precedentemente creati è possibile visualizzare ulteriore

informazioni.

- Banda 7/5 nel rosso, 4/3 nel verde e 3/2 nel blu: Questa composizione di

colore ha rilevato il corpo dell’acqua, i boschi, le terre coltivate, le terre

aride ed i terreni umidi;

- Banda 4/3 nel rosso, 3/2 nel verde e 3/4 nel blu: con questa

combinazione di colori, l’azzurro ha rilevato l’acqua, i boschi e le terre

coltivate delineati dal rosso;

- Banda 3/2 nel rosso, 5/3 nel verde e 5/6 nel blu: il colore bluastro –

verde ha rilevato l’acqua, i boschi e le terre coltivate.

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- Banda 7/5 nel rosso, 3/5 nel verde e 2/3 nel blu: il corpo dell’acqua è

apparso di colore bianco, i boschi di conifere sono stati separati da quelli

di latifoglie (Figura 4.5).

Utilizzando proprio quest’ultimo rapporto di bande abbiamo ottenuto il

risultato cercato: la netta distinzione tra conifere (di un acceso colore celeste) e

latifoglie (visibili in colore blue) da tutto il verde presente nell’area, agevolandone

la classificazione.

Il rapporto di bande presuppone la possibilità di disporre di un numero di

bande pari almeno al doppio di quelle caricate in CRC e quindi nel caso di RGB

di almeno 6 bande. Tale requisito è ampliamente soddisfatto nel caso di utilizzo di

immagini Landsat.

Pertanto, dal confronto diretto tra Landsat e Spot, per ciò che riguarda

l’estrazione di classi di sempreverdi, ne il primo è più indicato ad evidenziare tale

categoria.

Figura 4.5 – Confronto tra bande Landsat. A sinistra 432 e a destra 7/5 3/5 2/3

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4.3.2 – Utilizzo dell’immagine Landsat del 19/05/1984 Questa immagine fotografa il paesaggio in un periodo successivo a quello

invernale, corrispondente al massimo vigore della vegetazione. Le lunghe

precipitazioni del periodo invernale hanno provveduto a ricaricare gli invasi,

rendendo agevole la determinazione della estensione reale della diga del

Pertusillo. Nel 1984 la diga di Marsico Nuovo non è stata ancora costruita ed al

suo posto troviamo un’ampia zona arida. La particolarità di questo invaso è di

disporre di sponde con una forte pendenza e di estendersi su di una zona poco

vasta, ma con grande pendenza. Ne risulta una notevole profondità, il che ci

agevola la classificazione calcolata sull’immagine del 13/07/98, senza

commettere errori rilevanti.

Questa immagine è stata utilizzata anche per individuare con precisione le

aree urbane ed industriali nettamente in contrasto con la vegetazione e le rocce

nudi (Figura 4.6).

Figura 4.6 –

Immagine Landsat

del 19/05/1984:

Le zone chiare

rappresentano alcune

porzioni di terreno

modellate

artificialmente

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4.3.3 – Utilizzo dell’immagine Landsat del 18/07/1994 e del

13/07/1998 Il successivo confronto si nota tra le immagini del mese di luglio in nostro

possesso. La scelta ricade quasi ovviamente su l’immagine del 1998 (Figura 4.7),

è la più recente e si avvicina anche maggiormente alla prima decade di luglio,

periodo in cui la nostra classificazione risulta agevolata.

Figura 4.7 – Immagine Landsat del 13/07/1998

L’immagine del 13/07/1998 è la più ricca di informazioni, utile per la

discriminazione di varie colture e seminativi. L’opportuno confronto tra questa

immagine e le altre, ci permette di completare la classificazione.

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4.3.4 – Ricapitolo sulle classi ricavate da ciascuna immagine Le classi ottenute sono in totale 14, lo stesso numero presente nel progetto

Corine, ed in particolare

Classi ricavate dall’immagine del 19/05/1984:

­ 1.1.1. Urbano continuo;

­ 1.2.1. Aree industriali o commerciali;

­ 1.3.1. Aree estrattive;

­ 3.3.2. Rocce nude, falesie, rupi, affioramenti;

­ 5.1.2. Bacini d’acqua.

Classi ricavate dall’immagine del 30/08/2001:

­ 3.1.1. Boschi di latifoglie;

­ 3.1.2. Boschi di conifere;

­ 1.2.4. Aeroporti.

Classi ricavate dall’immagine del 13/07/1998:

­ 2.1.1. Seminativi in aree non irrigue;

­ 2.4.1. Colture annuali associate a colture permanenti;

­ 2.4.2. Sistemi colturali e particellari complessi;

­ 2.4.3. Aree prevalentemente occupate da colture agrarie con

presenza di spazi naturali;

­ 3.2.1. Aree a pascolo naturale e praterie d’alta quota;

­ 3.2.4. Aree a vegetazione boschiva e arbustiva in evoluzione.

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Capitolo 5 – Generazione della carta di uso del

suolo

5.1 Introduzione In un sistema informatico il tradizionale concetto di scala è sostituito da quello

di “scala di riferimento”, che ingloba non solo l’accuratezza e la precisione

geometrica, ma anche l’approfondimento tematico e le fonti dei dati.

Gestire il tema dell’uso del suolo in un sistema informatico richiede quindi di

definire una coerenza di base tra i vari elementi che compongono il concetto

“scala di riferimento”.

In particolare sarà necessario accoppiare il livello di definizione tematico

(concretamente espresso dal sistema di nomenclatura adottato nella legenda) con

la definizione geometrica (concretamente espressa dall’unità minima

cartografabile), ed utilizzare a ciascun livello le corrette fonti di dati.

In linea di principio, si ricorda che l’unità minima cartografabile, alle varie

scale, dovrebbe essere pari ad un quadrato di 4 mm di lato, o ad un poligono di

altra forma, purché con linee distanti non meno di 2 mm (ad esempio nel caso di

forma rettangolare il lato minore non dovrà essere di lunghezza inferiore a 2 mm).

Figura 5.1 – Unità minima cartografabile

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5.2 – Cartografia in scala 1:250.000 – 1:100.000 Il supporto da utilizzare per la realizzazione di una cartografia in questa scala,

prevede l’impiego di immagini Landsat e Spot con risoluzione di 30 e 20 metri,

supportate dall’interpretazione a video di foto aeree.

Pertanto l’unità minima cartografabile da utilizzare in queste scale è quella

indicata in tabella 5.1, da cui si evince che non ha senso usare una legenda di

grandissimo dettaglio per queste scale di riferimento.

Scala Livello nomenclatura

Corine

Unità minima

cartografabile Supporti

1:250.000 Terzo 50 – 25 ha Immagini Landsat

1:100.000 Terzo 25 – 16 ha Immagini Landsat e Spot, volo

aereo minimo 1:50.000

1:50.000 Terzo 4 ha

Immagini Spot / Landsat

ricampionate a 10 m

Volo aereo minimo 1:25.000

1:25.000 Quarto 1 – 2 ha

Immagini Spot ricampionate a

10 m, Volo aereo minimo

1:25.000

1:10.000 Quarto / quinto 0,5 ha

Volo aereo minimo 1:20.000

Immagini Ikonos,

Rilevamenti sul campo

Tabella 5.1

In base alle diverse scale di restituzione di cartografia tematica vettoriale, si

indicano:

§ Cartografia in scala 1: 250.000 – 100.000 (livello di

riconoscimento);

§ Cartografia in scala 1: 50.000 – 25.000 (livello di semidettaglio);

§ Cartografia in scala 1: 10.000 (livello di dettaglio);

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5.3 – Considerazione generali sulla generalizzazione delle

mappe La produzione di cartografie è legata alla ricerca ed implementazione di dati

necessari al raggiungimento dell’obiettivo prefissato, utilizzando generalmente

dei software grafici. Questo genere di procedura porta inevitabilmente alla

produzione di semplificazioni ed errori.

Il voler automatizzare la procedure di generalizzazione delle mappe,

attraverso l’applicazione di algoritmi è dettato dall’esigenza di ridurre al minimo

l’intervento del digitalizzatore in un processo estremamente noioso e lungo che

porta inevitabilmente alla produzione di errori

Il processo di generalizzazione consta fondamentalmente di tre passi:

1) analisi;

2) sintesi;

3) valutazione.

È necessario stabilire un metodo di analisi del contenuto della mappa e di

valutare la struttura esistente fra gli elementi geografici; data l’analisi, sarà poi

possibile stabilire un metodo di generalizzazione (sintesi) che dia la possibilità di

manipolare gli oggetti all’interno della carta, al fine di determinare soluzioni ad

hoc, al fine di garantire una coerenza fra i dati di origine e quelli di sintesi,

bisognerà testare i risultati attraverso una fase di valutazione.

La necessità di diminuire il numero di punti che formano un arco deriva

dall’esigenza di dover garantire leggibilità alla mappa, infatti avere un arco

composto da un elevato numero di punti ha senso ad una scala di rappresentazione

elevata, ma ad una scala a minor grado di dettaglio, genera esclusivamente

confusione nella lettura, aumentando il “rumore” dei dati.

Lo stesso discorso si applica per la semplificazione di elementi poligonali. In

questo caso però si determina un’ulteriore complicazione: se il poligono risulta

essere inferiore all’unità minima cartografabile, si potrà eliminare il poligono o

inglobarlo in uno adiacente. Se invece il poligono risulta maggiore dell’unità

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minima cartografabile, sarà necessario poterne semplificare la sua geometria al

fine di garantirne una buona leggibilità del dato.

Gli obiettivi da raggiungere sono così sintetizzabili:

§ mantenere chiarezza e leggibilità nella cartografia (definendo una minima

separazione tra gli oggetti ed una dimensione minima)

§ conservare un buon livello nella qualità degli oggetti rappresentati (le loro

caratteristiche in termini di localizzazione, forma, omogeneità e

distribuzione);

§ mantenere un livello di informazione commisurato alla scala di

rappresentazione.

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5.4 – Analisi della mappa Perché i dati telerilevati siano utili, dobbiamo essere in grado di estrarre

informazioni significative dalle immagini. Questo ci porta all'elaborazione e

all'interpretazione delle immagini. L'interpretazione e l'analisi delle immagini

telerilevate implica l'identificazione e quindi l'estrazione di utili informazioni sui

diversi elementi presenti sull'immagine. Molte delle interpretazioni e

identificazioni di elementi presenti nelle immagini telerilevate sono effettuate da

un interprete umano su immagini in formato analogico rappresentate in un

computer come una griglia di pixel, con ciascun pixel corrispondente ad un

numero digitale che rappresenta il livello di luminosità di quel pixel nella

immagine. Le immagini possono essere visualizzate in bianco e nero (anche dette

monocromatiche) o come immagini a colori combinando differenti canali o bande

che rappresentano differenti lunghezze d'onda.

L'analisi e l'elaborazione digitale viene usata per migliorare i dati, come

preparazione ad una interpretazione visiva per identificare gli elementi nella

immagine ed estrarre informazioni e possono anche essere effettuati in maniera

automatica senza nessun intervento da parte di un interprete. Spesso tale analisi è

fatta come ausilio a quella effettuata dall'interprete.

Sia le tecniche manuali che quelle digitali per l'interpretazione di dati

telerilevati hanno i loro vantaggi e svantaggi. L'interpretazione manuale è spesso

limitata ad analizzare una singola banda o una singola immagine alla volta a causa

della difficoltà nell'effettuare l'interpretazione visiva con immagini multiple.

L'analisi digitale è utile per analisi simultanee di molte bande spettrali e, inoltre, è

possibile elaborare set di dati voluminosi molto più velocemente di un interprete

umano. Inoltre l'interpretazione manuale è un processo soggettivo, ciò significa

che i risultati varieranno con differenti interpreti, mentre l'analisi digitale è basata

sulla manipolazione di numeri digitali in un computer e quindi è più obiettiva,

dando generalmente risultati più consistenti. In ogni caso la determinazione della

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validità e della accuratezza dei risultati dall'elaborazione digitale può essere

difficoltosa.

E' importante comprendere che l'analisi visiva delle immagini telerilevate non

esclude l'analisi digitale e viceversa. Entrambe le metodologie hanno i loro meriti.

Nella maggior parte dei casi, un mix di entrambi i metodi costituisce la soluzione

ottimale.

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5.4.1 – Approccio alla classificazione Scopo del telerilevamento è, come si è detto, la produzione di una mappa

tematica, ovvero di un’immagine costituita da un insieme di punti (pixel) a cui è

associato, oltre all’informazione di tipo spaziale, un attributo di carattere non

spaziale relativo ad uno specifico tema, detto classe o categoria. Per questo

motivo l’elaborazione dei dati in forma digitale che si occupa di generare una

mappa tematica è detta “classificazione”: queste classi che interessano l’utente del

telerilevamento, come ad esempio differenti tipi di colture agricole o differenti

tipi di bosco, non sono registrate direttamente nelle immagini, ma si devono

derivare, in modo indiretto, usando le evidenze contenute nelle misure spettrali

che costituiscono le immagini.

Una mappa tematica mostra quindi la distribuzione spaziale di elementi

identificabili sul territorio: essa fornisce non una descrizione dei dati bensì delle

informazioni dal punto di vista semantico [Brivio, 1999].

Si possono individuare due tipi di approccio per la classificazione di immagini

telerilevate: Supervised, come la massima verosimiglianza o la minima distanza, e

Unsupervised quali la Isodata e la K-means.

Questa classificazione, si basa sul principio che un pixel appartiene o non

appartiene ad una classe. Tale logica a due valori (logica booleana), che sta alla

base di gran parte della matematica e della scienza dei calcolatori, non ammette

sovrapposizioni di classe, non ammette la possibilità di appartenenza parziale ad

un insieme né il concetto di verità parziali.

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5.4.2. Processi post classificazione L’interpretazione automatica delle immagini telerilevate, ha usualmente

associato nelle discipline che riguardano lo studio del territorio e le Scienze della

Terra (Geografia, Geologia, ecc.) il concetto che ogni cella elementare

dell’immagine rappresenti una e una sola categoria. È evidente invece come la

suddivisione del territorio in unità spaziali ben definite operata dal sensore che

produce una sequenza di pixel discreti, ognuno associato ad un insieme di misure,

sia arbitraria e determinata dalle caratteristiche del sensore e della ripresa, mentre

la realtà presenta dei caratteri di continuità.

La necessità di generare continuità nell’immagine e di eliminare il “rumore”

presente porta all’utilizzo di algoritmi di elaborazione immagini quali:

• Majority Analysis;

• Clump Classes.

Il primo è usato per cambiare i falsi pixel classificati con altri presi da una

singola classe maggiormente vicini.

Il secondo algoritmo raggruppa le aree simili classificate. viene usato per

sfumare l’immagine (Figure 5.2, 5.3).

Figura 5.2 – Immagine Landsat in falsi colori

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Figura 5.3 – Esempio di post classificazione. L’immagine di sopra rappresenta la

classificazione del bosco effettuata sull’immagine Landsat del 30/08/2001. All’immagine di

sotto è stato applicato il filtro Clump Classes alle classi di colore viola e carminio.

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5.5 – Metodo di generalizzazione dei dati Allo scopo di rappresentare e gestire le informazioni spaziali mediante un

GIS, è necessario utilizzare una rappresentazione dei dati che sia sganciata dalla

realtà fisica; questo viene realizzato definendo un modello dei dati che sia

abbastanza ampio da accogliere al suo interno tutti gli oggetti che esistono nel

mondo fisico (aree, linee, punti, quote, ecc.) e che sia sufficientemente elastico da

permettere di adattarlo a tutte le combinazioni che effettivamente occorrono nella

realtà.

I principali approcci che consentono di formalizzare queste idee concettuali

usano o serie di punti, linee ed aree (modello vettoriale) oppure discretizzazzioni

regolari per descrivere le varie entità presenti in una porzione di spazio (modello

raster). L’adozione di uno di questi due modelli influenza il tipo e le modalità di

acquisizione dei dati che possono essere usati per descrivere il fenomeno, il modo

in cui saranno visualizzati e le interrogazioni e analisi spaziali che potranno essere

eseguite.

L’evoluzione dei GIS è stata fortemente influenzata da questa dicotomia di

formati. Nei moderni sistemi GIS, al fine di aumentare le capacità di analisi, i dati

vettoriali ed i dati raster coesistono e si integrano a vicenda.

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5.5.1 – Generalizzazione dei dati dell’area di studio Caso molto comune è di due poligoni adiacenti rappresentanti ad esempio

tessuto urbano continuo e discontinuo, ciascuno minore di 25 ha, ma in totale

maggiore di 25 ha, i quali vengono uniti e classificati con l’area privilegiata.

Figura 5.4 – Esempio di generalizzazione di poligoni con area minore di 25 ha

(M. Bossard, J. Feranec & J. Otahel – February 2000)

Altro caso: piccoli fabbricati urbani discontinui con area minore di 25 ha

vengono raggruppati insieme, se la distanza tra loro è inferiore di 300 m, per

generare una classe di 25 ha.

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Figura 5.5 – Esempio di generalizzazione di poligoni urbani aventi area minore di 25 ha

(M. Bossard, J. Feranec & J. Otahel – February 2000)

In caso di aree racchiuse, ad esempio da urbano discontinuo, in base alla loro

estensione si deciderà se includerle od escluderle

Figura 5.6 – Esempio di generalizzazione di poligoni racchiusi da altri

(M. Bossard, J. Feranec & J. Otahel – February 2000)

In caso di aeroporti, la classe 124, include anche le aree verdi racchiuse molto

spesso dalla recinzione, opportunamente inglobate per raggiungere i 25 ha.

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Figura 5.7 – Esempio di generalizzazione di aeroporto

(M. Bossard, J. Feranec & J. Otahel – February 2000)

La generalizzazione della classe 2.4.2. Sistemi colturali e particellari

complessi, dipende appunto dalla complessità dell’area da mappare e dalla sua

posizione nel contesto.

Figura 5.8 – Esempio di generalizzazione di Sistemi colturali e particellari complessi

(M. Bossard, J. Feranec & J. Otahel – February 2000)

Altro particolare caso è rappresentato dalla classe 2.4.3. Aree prevalentemente

occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali, per la loro particolarità

posizione.

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Figura 5.9 – Esempio di generalizzazione di Aree prevalentemente occupate da colture

agrarie con presenza di spazi naturali (M. Bossard, J. Feranec & J. Otahel – February 2000)

Passando poi alle aree boscate, qui i casi che si possono presentare sono

notevoli, dipendenti dalla posizione degli alberi e dalla loro distribuzione. La

figura sottostante ne sintetizza alcuni.

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Figura 5.10 – Esempio di generalizzazione di Aree boscate

(M. Bossard, J. Feranec & J. Otahel – February 2000)

Infine, la generalizzazione dei bacini d’acqua implica la separazione o

l’accorpamento degli argini della diga o da porzioni di terra emersa, dipendenti

dalle loro estensioni.

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Figura 5.11 – Esempio di generalizzazione di Bacini d’acqua

(M. Bossard, J. Feranec & J. Otahel – February 2000)

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5.5.2 – Dati in formato vettoriale I dati in formato vettoriale memorizzano le informazioni relative alle primitive

geometriche semplici: punti e linee; e complesse come cerchi e poligoni, secondo

una serie di coordinate x, y e z.

La rappresentazione in questo formato ben si presta per la restituzione di

oggetti fisici reali con precise geometrie: un rettangolo, magari rappresenta una

piscina o un campo da tennis, con le sue coordinate reali, il valore della superficie

ed i suoi attributi (profondità, nome del proprietario, ecc.).

La generalizzazione di oggetti naturali, i quali non seguono forme dettate da

interpretazioni matematiche, richiede una sintesi ed una riduzione dei vertici ad

un numero esiguo ma soddisfacente (Figura 5.10)

Figura 5.12 – Dati in formato vettoriale. Restituzione in formato vettoriale dell’ area di

studio.

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Capitolo 6 – Conclusioni e sviluppi futuri

6.1 – Conclusioni L’obiettivo di questo lavoro di tesi è stato la realizzazione di una cartografia

informatizzata di uso del suolo per un’area campione dell’Alta Val d’Agri (circa

131.000 ha), mediante l’elaborazione di alcune immagini satellitari idonee allo

scopo e commercialmente disponibili, quali:

­ Immagini Landsat;

­ Immagini Spot;

opportunamente integrate da:

­ Ortofoto aeree;

­ Cartografia IGMI.

A tale scopo si sono utilizzati i seguenti pacchetti software:

­ Envi;

­ Arcview.

La cartografia ottenuta da questo lavoro è contenuto in un file di tipo

vettoriale Shape (*.shp), formato comunemente utilizzato dai principali software

per Sistemi Informativi Territoriali (SIT o GIS).

Le informazioni in essa contenuta sono suddivise in 3 livelli gerarchici fino ad

un livello di precisione che copre le 14 classi presenti in una scala di riferimento

compresa tra 1:250.000 – 1:100.000.

La metodologia impiegata è la stessa adottata nll’ambito del programma

CORINE (COoRdination de l' INformation sur l' Environnement), varato dal

Consiglio delle Comunità Europee nel 1985

Ciò consente la gestione ed il confronto di una notevole quantità di

informazioni, relative a due periodi differenti: il 1990, anno della realizzazione

ufficiale del progetto CORINE, ed il 2002, anno di completamento di questo

lavoro.

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In questo più che decennio le fonti utilizzate come dati di partenza non sono

tecnologicamente molto differenti, pertanto i problemi affrontati in questo lavoro

sono gli stessi affrontati da chi in precedenza ha realizzato la CORINE Land

Cover e dovuti alla non copertura delle bande impiegate di tutto lo spettro

elettromagnetico. Di conseguenza esistono sicuramente regioni dello spettro nelle

quali la classificazione ottenuta non è univoca. Per ovviare a questo problema è

necessario un sopralluogo sul territorio o l’integrazione di altre fonti di

informazione.

In futuro questi problemi saranno sicuramente superati grazie all’uso di nuovi

satelliti dotati di sensori iper spettrali, quali il Cosmo – Skymed., ben superiori ai

sensori non multi spettrali presenti nei satelliti attuali.

Un ulteriore difficoltà si è riscontrata nei pacchetti software utilizzati. Questi,

pur essendo tra i più innovativi attualmente disponibili, presentano alcune lacune

e talvolta falliscono nella classificazione automatica del territorio. Questo ha

richiesto notevoli interventi da parte dell’operatore, che oltre ad essere lunghi e

ripetitivi sono sicuramente fonte di errore e incongruenze.

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6.2 – Sviluppi futuri Il territorio è in continua evoluzione, quindi qualsiasi forma di cartografia

tende all’obsolescenza.

Di conseguenza risulta necessario l’aggiornamento periodico di un qualunque

SIT.

L’aggiornamento di un database informatico è senza dubbio il punto di

partenza sullo studio dell’evoluzione del territorio. Anche la realizzazione di un

modello dati ambientale, quale ad esempio un modello idrologico, richiede per

una corretta interpretazione una carta di uso del suolo recente.

La cartografia finale ottenuta da questo lavoro, potrà per tanto essere usata ed

integrata in lavori futuri, su di un’area di grande interesse sia ambientale che

economica quale è la Val D’Agri.

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Bibliografia Centro interregionale di coordinamento e documentazione per le informazioni

territoriali (http://www.centrointerregionale.it):

Metodologie per una cartografia di uso del suolo multilivello e multiscala:

analisi e sperimentazione applicativa – MARCO MARCHETTI – Roma, 19

luglio 2002;

Evoluzione del territorio della Regione Emilia – Romagna: analisi

comparativa tra le due edizioni della carta dell’uso del suolo – STEFANO

CORTICELLI, MARIA LUISA GARBERI, ANDREA GAVAGNI – La Rivista

n. 48 di luglio 2002.

Asita (http://www.asita.it):

Sperimentazione per l’aggiornamento della carta dell’uso del suolo

dell’Emilia-Romagna – Atti della 5° Conferenza Nazionale ASITA, Rimini, 9-12

ottobre 2001, Volume 1 – Corticelli S., Campiani E., 2001.

La georeferenziazione delle informazioni territoriali – LUCIANO SURACE

(Direttore Geodetico, Istituto Geografico Militare, Firenze), Relazione invitata

alla 1° Conferenza Nazionale delle Associazioni Scientifiche per le Informazioni

Territoriali e Ambientali – Parma, 30 settembre-3 ottobre 1997.

Il progetto CASI (Carta delle Aree di Studio per l’Irrigazione) –

Monitoraggio delle aree irrigue e con attitudine all’irrigazione nelle regioni

Obiettivo I – ANDREA FAIS, PASQUALE NINO – Istituto Nazionale di

Economia Agraria (http://www.inea.it).

Breve corso sul Gis (http://www.mondogis.it)

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Introduzione ai Sistemi Informativi Geografici – Franco Tiviani Editore

Il Telerilevamento – Giovanni Lechi e Eugenio Zilioli

http://www.sister.it

http://www.planetek.it - Corso On line di Telerilevamento

Principles of Geographical Information System – Peter A. Burrogh and

Rachael A. McDonnell – Oxford University Press.

A guide to remote sensing – Oxford Science Publications

Corine Land Cover Technical guide – European Environment Agency –

http://www.eea.eu.int