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GIOVANNI SARTORI

IL PAESE DEGLI STRUZZI CLIMA, AMBIENTE, SOVRAPPOPOLAZIONf

E Edizioni

Ambiente

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Giovanni Sartori

IL PAESE DEGLI STRUZZI CLIMA, AMBIENTE, SOVRAPPOPOLAZIONE

REALIZZAZIONE EDITORIALE

Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it

COORDINAMENTO REDAZIONALE

Paola Franchini

PROGETTO GRAFICO: G r a f C o 3 M i l a n o

IMPAGINAZIONE: Roberto Gurdo

© 2011, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02 .45487277, fax 02 .45487333

ISBN 978-88-96238-98-1

Finito di stampare nel mese di marzo 2011 presso Grafiche del Liri - Isola del Liri (FR)

Stampato in Italia - Printed in Italy

Questo libro è stampato su carta riciclata 100%

I SITI DI EDIZIONI AMBIENTE

www.edizioniambiente.it www.nextville.it www.reteambiente.it www.verdenero.it

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SOMMARIO

PREFAZIONE 7

SANTA FINIMOLA. IL MIO SOGNO DI FERRAGOSTO 11

POLITICA DEMOGRAFICA E LIBERTÀ DI DISSENTIRE 15

LA VERGOGNA DEGLI INCENDI 19

SIAMO INCOSCIENTI E S IAMO IN TROPPI 25

L'ALTRA FACCIA DELLA CRESCITA. 31

LA MALATTIA È LA SOVRAPPOPOLAZIONE

LA TECNOLOGIA CI PUÒ SALVARE? 35

IL TEXANO TOSSICO CHE AFFONDA KYOTO 39

RIFLESSIONI SULLA FAME E SUI POPOLI DI SEATTLE 4 3

LA FAO CI INGANNA 4 7

UNA CORSA INSENSATA E PERDENTE 51

LA CRESCITA DEMOGRAFICA NON SI FERMA DA SOLA 55

L'ACOUA MANCA COME SI SAPEVA 59

IL RISCALDAMENTO DELLA TERRA SCONVOLGE IL CLIMA 63

TUTTI A JOHANNESBURG TRANNE IL BUONSENSO 67

SMETTIAMOLA DI VENDERE PANZANE 71

IL PROBLEMA È LA BOMBA DEMOGRAFICA 75

I CATTIVI ALIBI DELLO SVILUPPISMO 83

LA TESTA SOTTO LA SABBIA 89

HOMO STUPIDUS STUPIDUS 93

IL NEMICO NON È IL CONTADINO RICCO 97

INQUINAMENTO DA IGNORANZA IOI

CRICHTON, KYOTO E I LIETOPENSANTI 1 0 5

IL MERCATO NON CI SALVERÀ 1 0 9

L 'ENERGIA DIMENTICATA 113

PIÙ ENERGIA E PIÙ COERENZA 117

L ' INTELLIGENZA CRESCE O DECRESCE? 121

EFFETTO SERRA E CONTEGGI FAO 125

I GLOBALISTI SONNAMBULI 129

UNO SVILUPPO NON SOSTENIBILE 133

INCENDI : R IMEDI ESTREMI PER MALI ESTREMI 139

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CRISI ENERGETICA. L ' IMPREPARAZIONE AL POTERE 143

DEMOCRAZIA AL VERDE 147

IL MERCATO NON SALVERÀ LA TERRA 153

LA COPERTA È CORTA 159

AMBIENTALISMO SENZA POLITICA 163

MALTHUS E IL CLUB DI ROMA 167

VERDI FASULLI, GOVERNO SORDO 171

EVVIVA NOI CREPI IL MONDO 175

COSÌ NON POSSIAMO DURARE 179

IL POZZO SENZA FONDO 183

LA SALUTE DELL'AMBIENTE. 187

I CONFRONTI SBAGLIATI CON IL PASSATO

SALUTE DELL 'AMBIENTE: DIBATTITO 191

LA CONFERENZA DI COPENAGHEN SUL CLIMA 195

HIMALAYA BENE IL RESTO MALE 199

ECONOMIA CARTACEA E I LIMITI ALLO SVILUPPO 2 0 3

LA CRESCITA DEMOGRAFICA NON FA BENE ALL'ECONOMIA 2 0 7

LA POLITICA DELLO STRUZZO È LA PEGGIORE 211

APPENDICE

NON CRESCETE. NON MOLTIPLICATEVI

L ' INFLUENZA DELLA CHIESA 217

VITA, VITA UMANA E ANIMA 223

LA VITA UMANA SECONDO RAGIONE 231

C'È VITA E VITA 235

QUANDO ARRIVA L 'ANIMA 241

L 'EMBRIONE E LA PERSONA 2 4 9

LA PERSONA CHE NON C'È 253

VITA ARTIFICIALE E LIBERTÀ DI SCELTA 261

LA CHIESA E IL DIRITTO DI MORIRE 265

FONTI 269

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PREFAZIONE

Questo volume raccoglie scritti sparsi, e perciò stes-so più o meno persi, dell'ultimo decennio. Pertanto sono molto lieto della proposta delle Edizioni Am-biente di riproporli raccolti in volume. Che non accoglie nessuno scritto invecchiato per la sempli-cissima ragione che sul tema del collasso ecologico del nostro pianeta e sul come fronteggiarlo siamo ancora non dico a zero, a niente, ma a quasi zero, a quasi niente. Una prima raccolta del 2003 dei miei scritti in ar-gomento si intitolava La Terra scoppia. Questo vo-lume era a due mani, mio e di Gianni Mazzoleni. Che tengo qui a ringraziare per la preziosa collabo-razione. In quel volume scrivevo nella Prefazione così: "La Terra è malata? Sì, ma non è grave. Sia-mo in troppi? Per carità, c'è posto per tutti. Manca l'acqua? Sì, ma provvederemo. E la fame? La fame c'è, ma solo perché il cibo è mal distribuito. L'in-quinamento atmosferico? Non esageriamo, l'aria

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sporca è solo aria sporca e ci abitueremo. E il clima? Del clima non sappiamo nemmeno se stia davvero cambiando. Insomma, niente paura". Negli ultimi dieci anni un po' di paura è venuta. Ma non tanta, non abbastanza. Non siamo animali lungimiranti e le notizie sgradevoli ci danno fastidio e le rimuoviamo. Tuttavia l'evidenza è incalzante. Quando il petrolio venne scoperto negli Stati Uni-ti stava a poche decine di metri di profondità. Og-gi siamo costretti a cercarlo in mare a tremila e più metri di profondità. E tutti avvertono che il clima è impazzito e che non è più come era, diciamo, si-no a cinquanta anni fa. Il fatto è che la Terra è un piccolo pianeta le cui risorse sono finite (non infinite) sul quale siamo, quasi di colpo, diventati troppi: al momento circa 7 miliardi, ma ancora in crescita, forse addirittura fino a 9 miliardi. Questa esplosione demografica è insensata e suicida. Eppure non viene ostacolata. La vita è sacra, si dice. Ma quale vita è sacra? Anche quella delle zanzare e dei pidocchi? Evidentemente, no. Anzi, li ammazziamo volentieri e senza pecca-to. In questo libro raccolgo in Appendice tutti gli scritti nei quali discuto la differenza tra "qualsiasi" vita (di miliardi di esseri viventi e piante che nasco-no e muoiono senza rendersene conto) e, appunto, la "vita umana". San Tommaso e tutta la teologia cattolica hanno sempre fermato questa differenza: la Chiesa cattolica di oggi, degli ultimi due pon-tefici, l'ha cancellata. Peccato. Perché se vogliamo

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PREFAZIONE | 9

sopravvivere come genere umano dobbiamo asso-lutamente fermare la nostra crescita demografica. Beninteso, dobbiamo anche fare molte altre co-se. Che non facciamo, italiani per primi. La poli-tica ecologica dei nostri governi — tutti, sinistra e destra — è stata e a tutt'oggi resta, la politica dello struzzo. Come dice il titolo di questo libro. I nostri governanti, da sempre, si rifiutano di vedere e di af-frontare il problema. E così lo aggravano.

Giovanni Sartori

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SANTA FINIMOLA. IL MIO SOGNO DI FERRAGOSTO

Siamo troppi. Lo sappiamo dalle statistiche. Tra non molto saremo, sul nostro modestissimo piane-ta, sei miliardi. Quando nascevo, se ricordo bene, eravamo sui due miliardi. Per sopravvivere stiamo sempre più distruggendo la natura che ci consente di vivere. Abbattiamo foreste, desertifichiamo ter-re fertili, sciupiamo l'aria, inquiniamo fiumi, laghi e mari, e l'acqua dolce già non basta. Queste sono cose che sappiamo in astratto, appunto dalle stati-stiche. Ma l'agosto è, quantomeno per gli italiani, il mese nel quale ci accorgiamo in concreto, toccan-dolo con mano, di essere troppi. Le autostrade si ingorgano, dei treni è meglio non parlare, e gli ae-roporti, Fiumicino in testa, sono bolge dantesche. E per scalare, e anche morire, sul Monte Bianco si fa la coda. Quando poi il grosso dei "troppi" arri-va alla meta più agognata, al mare, allora i troppi davvero si contano. Sulle spiagge roventi gli om-brelloni fanno a gomitate e, non potendo invadere

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la strada retrostante, entrano quasi in acqua. E an-che il mare, quando non infetta, brulica. Se ti pro-vi a nuotare in bello stile picchi subito nella ciccia circostante; e se cerchi scampo al largo rischi di es-sere affettato dalle eliche che ti ronzano attorno e addosso. Il bagno di folla, e anche di folla in ba-gno, davvero ci piace? Visto che i nostri bagnan-ti ferragostani non sono comandati, visto che non sono obbligati a "spiaggifìcarsi", forse ai nostri fer-ragostani il bagno di folla - stare tutti appiccicati, sudati, unti, insabbiati — forse piace davvero. Ma forse no. Perché i forzati delle vacanze all'italiana un po' "forzati" sono. Andarsene per Ferragosto per noi è un dovere. Chi resta in città, a casa, disonora il casato: è un pove-raccio che porta scritto in fronte di essere un mor-to di fame. Insomma, schiuma della terra. Comun-que, anche se ci piace essere troppi, il fatto resta che davvero troppi siamo. Il biblico "Crescete e molti-plicatevi" è un'esortazione di altri tempi che anda-va bene sin quando sulle carte geografiche si scri-veva hic sunt leones, qui stanno i leoni. Va ancora bene? Per Papa Wojtyla, sì; ma per le persone sen-sate non può andar bene. Il cupio multiplicandi è oramai una folle voluttà di autodistruzione, un cu-pio mortis. A che serve e a chi serve la nostra dissennata corsa alla moltiplicazione incessante? In Africa serve a far crescere il numero dei morti per denutrizione o in eccidi tribali; in America Latina e molte altre parti

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SANTA FINIMOLA. IL MIO SOGNO DI FERRAGOSTO | 13

povere del mondo per cancellare la crescita econo-mica con una ancor maggiore crescita di bocche da sfamare. Non sono mai stato in Cina (il solo paese intelligente che cerca davvero di limitare le nasci-te); ma sono stato in India, e il formicaio umano di esseri scheletrici che ho visto nel Gange e dintorni mi ha terrorizzato. Perché crescere? Perché molti-plicarsi? Per mal vivere e, alla fine, mal morire in un pianeta brucato sino all'ultimo cespuglio da mi-liardi e miliardi di uomini-capra? Torniamo al Ferragosto. La Chiesa ha ritenuto di solennizzare il mezzo-mese sacro degli italiani fa-cendone una festa della Madonna. Ma, dico la ve-rità, non vedo il nesso. L'Assunzione della Madon-na può essere celebrata in qualsiasi giorno dell'anno (tanto non si sa). E sprecare il Ferragosto a questo modo mi sembra proprio peccato. Volendone fa-re una festa religiosa io la dedicherei — pensando ai "troppi" — a San Troppone, o ancor meglio a San Popoloso (inventato), un santo che immagino se-duto, sempre più grosso e grasso, su una Terra sem-pre più piccola. E volendone fare una festa utile, una festa benefica, proporrei che venga chiamata la Festa di Finimola. Finimola era il nome, nelle fa-miglie contadine toscane del passato, appioppato, mi pare, alla settima femmina; un nome che stava appunto per dire "ora basta" (finimola è il dialet-tale di finiamola, di facciamola finita). Gran sag-gezza dei contadini antichi. E sarebbe gran saggez-za nostra se oggi dedicassimo il Ferragosto a Fini-

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mola chiamandola affettuosamente Santa Finimola. Perché no? I santi assegnati al 15 agosto sono tutti di poca fama: San Alipio, San Altfredo, San Ardu-ino, Santa Limbania, San Neapulo, San Tarcisio. Una Santa Finimola in più non stonerebbe affatto. Anche io, in vacanza, ho un sogno: di poter tornare al mare nell'anno di grazia 2100 trovandolo pulito e visibile (dalla spiaggia dove siedo). Le probabili-tà che quel mare sia proprio io a vederlo sono infi-nitamente basse; ma anche le probabilità che quel sogno si avveri per i miei pronipoti tanto buone al momento non sono. A meno che non intervenga, si diceva, Santa Finimola.

15 agosto 1997

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POLITICA DEMOGRAFICA E LIBERTÀ DI DISSENTIRE

A quanto mi risulta, il grosso dei lettori dell'artico-lo di giovedì "Il mio sogno di Ferragosto" ha capito che il mio voleva essere un divertissement e si sono divertiti. Nel mondo siamo troppi, e Ferragosto è il giorno che più si presta, mi è sembrato, per ricor-darlo. Ma alcuni lettori si sono risentiti. Scherzan-do, ho scherzato anche con il fuoco. E così l'indo-mani mi sono arrivati quasi tre metri di fax. Nuccio Fava - felpatissimo direttore delle tribune elettorali della televisione - mi ritiene colpito dal sole e protesta con, per lui, inusitato vigore: "E for-se sensato proporre di sostituire la festa dell'Assunta con quella di Santa Finimola?". Rispondo: se quella proposta non fosse giocosa e fosse invece da pren-dere sul serio, allora no, allora non sarebbe sensa-ta. Comunque, l'Assunzione non è, per la Chiesa, una festa ma soltanto una solennità; e la Madon-na viene celebrata a vario titolo, sette volte all'an-

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no. In tanta abbondanza speravo che un po' di le-vitas mi fosse consentita. Il signor Massimo Caneva, esperto di programmi internazionali di aiuti umanitari, si meraviglia che il Corriere permetta "banali superficialità" come l'af-fermazione che il "desiderio di avere figli sia una folle volontà di autodistruzione". Ma lei confon-de, signor Caneva, tra l'umano desiderio di aver fi-gli (che condivido visto che ne ho) e una irrespon-sabile media di sei-sette figli per donna che i geni-tori non possono mantenere e che il pianeta Terra non può più sostenere. Per lei, chi raccomanda il controllo delle nascite sostiene una "cultura della morte e dell'egoismo". Ma quando saremo 15 mi-liardi (quanti ne vuole, signor Caneva?) questa ac-cusa si ritorcerà su di lei. Mai sentito parlare del-la eterogenesi dei fini? A mia volta io non ho mai sentito parlare del fatto (da lei riferito) che in Ci-na il secondo figlio "viene ucciso per legge". Dav-vero? Il signor Ruggero Sangalli è anche lui irato con me, ma fa un rilievo giusto quando scrive che "dove il mondo oggi si popola, la Bibbia ha sem-pre contato poco". Difatti la Chiesa non combatte la sua battaglia nei paesi cattolici, ma cercando di bloccare le politiche di contenimento demografico studiate e proposte dalle Nazioni Unite. Curiosamente nessuno dei miei assaltatori dà mo-stra di sapere che le preoccupazioni espresse nel mio articolo ricalcano senza nessuna originalità le pre-occupazioni espresse da tre congressi mondiali sulla

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popolazione (nel 1974 a Bucarest, nel 1984 a Cit-tà del Messico e nel 1994 al Cairo). Ai primi due la Chiesa disse no; al congresso Onu del Cairo si inserì invece, abilmente, nella trattativa e accettò il documento sulla contraccezione sottoscritto, se ri-cordo bene, da 182 paesi. Documento che ha però sottoscritto con riserve, e che Papa Giovanni Paolo II non dà mostra di ricordare. Il dottor Giuseppe Failla, medico radiologo, raccomanda al Corriere di non andare in edicola a Ferragosto se non ha nien-te di meglio (di me) da pubblicare. Quel che ci se-para, dottor Failla, è che io riconosco uno scherzo quando lo vedo. Il suo scherzo mi ha divertito. Pec-cato che lei sia così serio. Il professor Luca Sorren-tino di Varese è forse il più irato di tutti. Mi accu-sa di "indigeste panzane malthusiane", mi dà dello stupido e conclude dottamente che "talvolta dormi-tili Homerus, ma qui il nostro vate delirai". Insom-ma, al professor Sorrentino ho davvero sciupato il Ferragosto, il che mi dispiace. E siccome mi chie-de dove sta scritto che "la crescita è una minaccia per il progresso economico e civile" cercherò di fa-re ammenda inviandogli (non appena tornato nel-la sede nella quale "maturo" i miei "fichi secchi", e cioè a New York) titolo e indirizzo di un mensi-le specializzato nel quale le cose che dico "stanno scritte" e anche ben documentate. Debbo sorvolare su altre lettere che esprimono ana-loghe scontentezze. E siccome tutti i miei critici mi vogliono serio e non (come sono stato il 15 agosto)

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in vena giocosa, ecco per loro una domanda seria. Mi spieghino, per favore, come sanno conciliare un pianeta finito con una moltiplicazione demografica infinita. Hic Rhodus, hic salta. Il nodo è questo. E ora una postilla sull'attacco a valanga che mi arri-va tre giorni dopo, il 18 agosto, da II Giornale con un pezzo a firma di Renato Farina, che si intitola: "Bossi dopo Sartori: la nuova moda, offendere il Papa". Il titolo già promette male. Che cosa c'en-tro io con Bossi, o viceversa Bossi con me? E poi, basta così poco per istituire una moda? Infine, dissentire è offendere? Oppure è proibito dissentire? Anche le Nazioni Unite, come ho già ri-cordato, dissentono dalla politica demografica per-seguita dal Papa. Anche l'Onu, allora, emette "rut-tini" e tratta il Papa come se fosse "scemo" e "fes-so", e cioè come, a detta del mio elegante e ficcante contraddittore, l'avrei trattato io? Non entro nel merito. Ma una precisazione è dovuta. Farina si chiede: "Questo è il vertice della cultura laica ita-liana? E questo che pensa del Papa e del cattolicesi-mo il Corriere della Seraì". No, niente paura. Non so a quale caserma Farina sia abituato, ma il Corrie-re non lo è. Al Corriere ho piena libertà di scrivere quel che penso e poi di firmare quel che scrivo. E se una cosa è scritta e firmata da me, è con me che uno se la deve prendere. Ma non facendomi dire cose che non ho assolutamente detto.

19 agosto 1997

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LA VERGOGNA DEGLI INCENDI

È una vergogna. L'Italia brucia ogni anno di più, e ogni anno la lasciamo tranquillamente bruciare. Ogni anno, d'estate, la risibile e vergognosa sceneg-giata è la stessa. Si versa qualche doverosa lacrima, si denunzia l'incuria di ignoti responsabili che non vengono mai individuati, si dichiara che occorre as-solutamente fare qualcosa: ma poi l'estate passa, gli incendi vengono spenti dalle piogge, e tutto rica-de nel letargo. Tra qualche anno si scoprirà che in percentuale l'estensione della terra bruciata è dimi-nuita. Tante grazie, ci sarà sempre meno da brucia-re. Ma per ora è un crescendo. Quest'anno nel so-lo mese di luglio sono andati in fumo 68.000 etta-ri di boschi e macchie soltanto in Sicilia, Calabria e Sardegna. Nei giorni scorsi la Liguria è stata ad-dirittura tagliata in due dagli incendi, girando in Toscana ho visto fumo e roghi un po' dappertut-to, e ho letto con trepidazione di fiamme anche vi-cino a Positano.

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Per stanare il governo quest'anno abbiamo dovuto aspettare una interrogazione parlamentare dell'ono-revole Bonaventura Lamacchia in data 8 luglio (con fuochi già copiosi e dilaganti) alla quale il Presiden-te del Consiglio ha risposto che l'origine dolosa di gran parte degli incendi era indubbia e che occorre-vano pene più severe contro i piromani. Certo: oc-corrono pene più severe. Quanto severe? Nessuno si spericola. Precisare le pene in un paese di avan-zatissima sensibilità buonistica è sempre rischioso. E la verità è che nessuno sa bene quali siano. A na-so dovrebbero valere le pene previste dall'articolo 424 del codice penale (tutti sono invitati a ridere: da sei mesi a un massimo di due anni!). E vero che girovagando nella selva oscura di altri articoli ci im-battiamo in pene massime di sette e di cinque an-ni, variamente riducibili. Ma non risulta che i nostri magistrati mandino mai nessuno in galera. I pochis-simi piro-delinquenti colti sul fatto vengono lesta-mente rilasciati e rimandati al lavoro di incendiare. Si capisce che il problema non è solo di punizio-ne degli incendiari ma anche di spengimento degli incendi. Ma anche a quest'ultimo effetto la situa-zione è indecorosa e avvilente. All'inizio della sta-gione degli incendi la Protezione civile disponeva di otto Canadair, i preziosissimi aerei antincendio. Di questi otto aerei tre erano in avaria perché du-rante l'inverno non si era provveduto alla loro nor-male manutenzione. Di chi la colpa? Come sempre, di tutti e di nessuno. E ad oggi tutti i responsabi-

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li restano al loro posto. I Canadair sono aerei co-stosi, e anche per questo sono da utilizzare al mas-simo. Invece no. Per ogni aereo esistono solo due equipaggi (invece di tre) vincolati a sei ore massi-mo di volo. Per di più stiamo perdendo (per fare una pidocchiosa economia) i pochi piloti addestra-ti che abbiamo. E questa è solo là punta dell'iceberg. Perché tutto il settore della prevenzione idrogeologica è sganghe-rato, mal coordinato e mal funzionante. A quando una commissione di inchiesta, e poi una autorità con effettivi poteri di coordinamento e decisione? In passato l'alibi della colpevole inerzia dei gover-ni era che non duravano abbastanza e che cadeva-no annualmente con lo stesso ritmo (annuale) de-gli incendi. Ma lei, Presidente Pròdi, è in carica da 27 mesi e quindi ha lasciato già passare senza vederle tre stagioni di devastazione. Perché la sua già tardi-va promessa di luglio di aumentare le pene è resta-ta lettera morta? Ci vuole davvero tanto a ritocca-re un articolo del codice? E parte dei soldi che sta per buttare al vento per soddisfare Bertinotti per-ché non li impiega — così dando davvero lavoro e occupazione - per rinforzare la Forestale, i vigili del fuoco e organizzare sul serio la difesa del territorio? E perché non ha già fatto la prima e più ovvia co-sa da fare: istituire (come per esempio in Grecia) una taglia sugli incendiari? Due ore di volo di un Canadair costano 40 milioni. Sarebbe più intelli-gente darli a chi segnala i piromani e li fa catturare.

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E i Verdi? Questa partita non dovrebbe essere la loro? Sì, dovrebbe. Ma sugli incendi i nostri Verdi non si sono mai scaldati. Difendono a spada tratta l'ambiente contro il raddoppio dell'autostrada del Sole tra Firenze e Bologna, ma a fronte dell'ambien-te che brucia la loro spada non si è mai vista. Sono soltanto dieci giorni che un Verde, l'onorevole Pe-coraro Scanio, si è finalmente mosso con due pro-poste di legge: una che prevede la delega al gover-no per la revisione del codice penale in materia dei "delitti contro l'incolumità pubblica" e l'altra che propone l'istituzione presso il ministero del Teso-ro di un "fondo nazionale per la difesa dei boschi". Quest'ultima è una proposta che mette il dito su una ulteriore piaga, e cioè sul fatto che nemmeno le Regioni fanno il loro dovere. Dichiara Scanio: "Gli incendi di questi giorni han-no messo in evidenza tutti i limiti delle Regioni. Un autentico disastro. In Italia le Regioni sono sempre più enti burocratici di spesa incapaci di controlla-re il proprio territorio. Nella maggior parte dei ca-si cercano di sfruttare le calamità per avere soldi". La teoria del federalismo salvatutto è servita. E il principio sul quale si basa la proposta Scanio è di punire chi non attua un buon controllo del territo-rio detraendo per ogni ettaro bruciato 10 milioni (da versare sul fondo del Tesoro) dai trasferimenti che lo Stato destina alle Regioni. L'idea è bellina e sa-rà subissata, immagino, dalla indignazione dei re-gionalisti. Lo ridico: è tutto davvero una vergogna.

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Possibile che gli italiani odino la natura, che ne vo-gliano la distruzione? A me, quando vedo boschi e macchie di vegetazione secolare che bruciano, a me piange il cuore. Possibile che io sia il solo? For-se ha ragione Giorgio Bocca quando scrive che "i boschi bruciano, i piromani si moltiplicano perché l'umanità tra cui vivono non è più degna di rispet-to". Ma anche se così fosse, l'irresponsabile negli-genza dei nostri governanti deve essere denunziata con forza. Presidente Prodi, lei ha già gestito, nulla facendo, tre estati di fuoco, l'una peggiore dell'al-tra. La prego, ci risparmi la quarta.

15 agosto 1998

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SIAMO INCOSCIENTI E SIAMO IN TROPPI

Questa volta il ventesimo secolo si chiude davvero, e con il primo gennaio 2001 comincia davvero il ventunesimo secolo. Ma facciamo bene a festeggia-re il giro del millennio due volte. Perché se la fol-lia umana non troverà una pillola che la possa cu-rare, e se questa pillola non sarà vietata dai folli che ci vogliono in incessante moltiplicazione, il "regno dell'uomo" arriverà a malapena al 2100. Tra un se-colo, di questo passo, il pianeta Terra sarà mezzo morto e gli esseri umani anche. Chi vuol esser lieto lo sia subito. Perché la certez-za del domani è incerta (lo è sempre) per ciascuno di noi, ma è invece certa per la specie, per l'Homo sapiens. A meno, dicevo, che non venga sollecita-mente scoperta una pillola anti-follia. Tutti sanno, anche se fanno gli struzzi, che il pianeta Terra è finito, e che perciò non può sostenere una po-polazione a crescita infinita. E la "non sostenibilità" del nostro cosiddetto sviluppo è ormai sicurissima.

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L'unico punto non sicuro della catastrofe ecologi-ca in corso è quello del buco nell'ozono, che ci po-trebbe "bruciare" lasciando penetrare i raggi ultra-violetti. Questo buco ha raggiunto una estensione pari a tre volte quella degli Stati Uniti. Ed è impor-tante non solo di per sé, ma anche perché costitui-sce ad oggi l'unico pericolo che siamo stati in gra-do di fronteggiare. L'ozono viene distrutto dai gas usati per la refrigerazione e come propellenti nel-le bombole. Non era difficile proibirli, e dopo tre-dici anni gli effetti di questa proibizione (che risale al 1987) sembra che si stiano facendo sentire. Però la persistenza dei gas in questione nella stratosfera è stata prevista male (si è rivelata maggiore del pre-visto), e quindi non è sicuro che tra mezzo secolo il buco nell'ozono non ci sarà più. Comunque, su questo fronte ci possiamo aspettare un migliora-mento. Ma su tutti gli altri ci possiamo solo aspet-tare peggioramenti. Cominciamo dall'effetto serra, e cioè dal riscalda-mento della Terra provocato dall'anidride carbonica, dai carburanti e dal carbone. Qui non siamo a nulla. La Conferenza dell'Aia di questo novembre (2000) non ha nemmeno ratificato la modesta riduzione entro dieci anni delle emissioni nocive concordata nel '97 a Kyoto. Così l'anidride carbonica aumen-ta sempre più a dispetto del fatto che i suoi effetti sul cambiamento del clima siano sempre più evi-denti e devastanti. Tra questi effetti c'è la crescita del livello dei mari man mano che i ghiacci polari

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dell'Antartide si liquefano; ma soprattutto e nell'im-mediato c'è una diversa piovosità, che da un lato provoca disastrose inondazioni e dall'altro crea va-ste zone di siccità. Il fatto è che l'acqua è sempre più insufficiente. Già oggi più di cinque milioni di persone muoiono ogni anno, nelle zone di alta povertà, perché bevono ac-qua contaminata. Già oggi oltre un quinto della po-polazione mondiale soffre la scarsità di acqua pota-bile. Nel 2025 si prevede che 2 miliardi di indivi-dui non disporranno di acqua bevibile. Si capisce, possiamo togliere l'acqua all'agricoltura e sfruttar-la meglio. Ma non è così che la spostiamo da dove c'è a dove non c'è. Ed è risibile ritenere che potre-mo rimediare desalinizzando i mari. C'è poi la desertificazione o comunque l'erosione del top soil, della copertura vegetale e organica che fertilizza il suolo (un accumulo di 2 centimetri che richiede mille anni). Ad oggi circa 2 miliardi di etta-ri di terra arabile e da pascolo - un'estensione pari a quella di Stati Uniti più Messico - risultano degra-dati. Il che mette a rischio l'alimentazione di circa un miliardo di bocche da sfamare. E si calcola che se la desertificazione e degradazione del suolo con-tinueranno al ritmo attuale, tra cinquant'anni l'A-frica perderà metà della sua terra coltivata mentre la sua popolazione salirà (se i più sopravvivessero) a due miliardi di persone. C'è infine la distruzione delle foreste. Gli alberi non solo ossigenano l'aria assorbendo l'anidride carbo-

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nica, ma salvano anche il top soil frenando lo scor-rere delle acque piovane, e per di più aumentano le riserve di acqua di falda consentendo l'infiltra-zione delle piogge nel sottosuolo. Eppure la defo-restazione continua alla grande. Abbiamo già per-duto i quattro quinti delle foreste che esistevano prima che l'uomo si dedicasse alla loro distruzio-ne. E quasi metà dell'ultimo quinto è a rischio: che 16 milioni di ettari di bosco (due volte l'Australia) vengono tagliati ogni anno; una devastazione che non è certo compensata dalla riforestazione. An-che perché gli alberi tagliati per produrre carta so-no ripiantabili; ma non lo sono gli alberi che sono eliminati (al 60 per cento) da chi cerca nuova ter-ra da coltivare per sfamarsi. Tutto questo perché? Perché succede? I deserti che crescono, e i pesci, gli animali, gli alberi, la terra coltivabile e l'acqua che decrescono, tutto questo immane insieme di disastri non è certo causato dal biossido di carbonio, vulgo, dall'anidride carboni-ca che c'era fino a cinquant'anni fa (che è benefica e necessaria), ma dal suo sproporzionato aumento; un aumento a sua volta causato, in ultima analisi, dalla sovrappopolazione, da una esplosione demo-grafica che ancora nessuno ferma. Nel 1500 eravamo ancora 500 milioni in tutto; all'i-nizio del '900 eravamo 1 miliardo e 600 milioni; oggi siamo 6 miliardi. In un solo secolo la popola-zione del mondo si è più che triplicata. L'Unicef de-nunzia il dramma di 30.000 bambini che muoiono

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ogni giorno di malattie curabili. Non fa dramma, invece, che ogni giorno la popolazione del mondo cresca di più di 230.000 persone; il che fa circa 7 milioni al mese, e 84 milioni all'anno. Ogni anno nascono così più di due Spagne. Di questo passo nel 2015 saremo già cresciuti di un ulteriore miliar-do; e nel 2050 saremo, si prevede, 9-10 miliardi. Siamo impazziti? Sì, chi asseconda un siffatto for-micaio umano deve essere impazzito. Si risponde che il calo delle nascite nei popoli sottosviluppati avverrà "naturalmente" (quando? Quando saremo 15 miliardi?) con lo sviluppo economico. Ma asso-lutamente no. Anche perché l'aumento incontrolla-to delle nascite è, circolarmente, causa ed effetto di povertà e di sottosviluppo. E poi, attenzione, quan-do saremo, in ipotesi, il doppio di oggi (12 miliar-di), la Terra vivibile sarà, in ipotesi, la metà di og-gi. Non so se il ventesimo secolo sia stato lungo o corto. Ma temo di sapere che se il giro del millen-nio non ci farà lestamente aprire gli occhi, il ven-tunesimo secolo sarà un secolo corto.

31 dicembre 2000

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L'ALTRA FACCIA DELLA CRESCITA. LA MALATTIA È LA SOVRAPPOPOLAZIONE

Come mi aspettavo e speravo, il mio fondo di fine millennio sulla esplosione demografica ("Siamo in-coscienti e siamo in troppi", Corriere, 31 dicembre 2000) ha fatto rumore. Lo speravo non solo per-ché il tema davvero merita "rumore", ma perché le critiche intelligenti (specie quella di Giorgio Ruf-folo su Repubblica) mi danno modo di completare il mio discorso, così come le critiche sballate (tra le quali quella di Massimo Fini sul Tempo) mi aiuta-no a rafforzarlo. L'obiezione che mi aspettavo è che una spiegazione monocausale (che fa capo a una sola causa) è sempre semplicistica e che non è mai esauriente. La causa primaria, originante, di tutti i mali che oggi affliggo-no i terrestri e affaticano il pianeta Terra, è davvero la crescita esponenziale della popolazione? Questa era e resta la mia tesi. Ma ora la debbo qualificare. Me lo impongono e consentono i miei critici. So be-ne che nessun evento può essere ricondotto a una

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sola causa. Ma è lecito organizzare la multicausalità (l'esistenza di molte cause) in un ordine di priorità. Il che vuol dire che nel mio argomento la sovrap-popolazione è causa "primaria" anche se non è in alcun modo causa esclusiva. Ci mancherebbe altro. E preciso subito che la più importante causa conco-mitante è indubbiamente la tecnologia, lo sviluppo tecnologico. Infatti è la tecnologia che ci consente di vivere e di sopravvivere in modo innaturale, e cioè oltrepassando i limiti imposti dalle risorse naturali. Sino a due secoli fa l'economia si limitava a gestire i prodotti consentiti dal sole, dall'acqua e dalla fer-tilità originaria del suolo. Oggi l'economia si fonda essenzialmente sulla chimica e sulla trasformazione di risorse naturali in energia: elettricità, carbone, pe-trolio. E se l'elettricità prodotta dalle centrali ad ac-qua produce energia pulita, il carbone e il petrolio producono invece energia inquinante. Dal che si ri-cava che l'inquinamento tecnologico è una variabi-le indipendente, un fattore a se stante. SI, ma anche no. Perché l'entità dell'inquinamento è pur sempre collegata alla numerosità della popola-zione. Massimo Fini rileva che "non sono i cinque miliardi di uomini del Terzo mondo a provocare l'inquinamento e tutti i disastri indicati da Sarto-ri, ma il miliardo che vive nei paesi industrializza-ti. Basti pensare che gli Stati Uniti, che hanno il 4 per cento della popolazione mondiale, producono il 25 per cento della emissione di gas serra". E co-sì. Ma vediamo meglio.

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L'ALTRA FACCIA DELLA CRESCITA. LA MALATTIA £ LA SOVRAPPOPOLAZIONE | 3 3

Gli Stati Uniti, con una popolazione di circa 280 milioni, emettono annualmente circa 5,5 milio-ni di tonnellate di anidride carbonica, il che fa più di 20 tonnellate a persona. L'Unione europea ne emette circa 3,3 milioni, il che fa 8,5 tonnellate a persona. Pertanto Stati Uniti ed Europa occiden-tale producono insieme quasi 9 milioni di tonnel-late di inquinamento atmosferico. Il che non toglie che il resto del mondo ne produca quasi 10 milio-ni. Dunque anche i poco inquinanti inquinano per più della metà del totale. Mettiamo che la popola-zione mondiale fosse ancora al livello del 1930 di 2 miliardi di viventi. Ne risulterebbe, pareggiando la tecnologia, che le emissioni di anidride carboni-ca sarebbero oggi 6-7 milioni di tonnellate invece di 19 milioni. E dunque la crescita della popola-zione c'entra. Fini confonde due problemi diversi: 1) la diseguale distribuzione delle colpe, con (2) la colpa di tutti di essere troppi. Se nel 2020 la Cina arriverà a 1.400 milioni di abitanti, l'inquinamento crescerà di pa-recchio anche in Cina; e se nel 2020 il continente indiano arrivasse a 2 miliardi di abitanti, anche lì la crescita dell'inquinamento sarebbe catastrofica. Per converso, se la popolazione degli Stati Uniti fosse re-stata quella che era nel 1930 (123 milioni) l'inqui-namento prodotto dagli americani risulterebbe più che dimezzato rispetto a quello di oggi. Queste precisazioni mi portano a concordare con quanto precisa Ruffolo, e cioè che "crescita e tee-

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nica concorrono, con la popolazione, a provocare l'insostenibilità dello sviluppo". La differenza tra la mia tesi e la sua è che io cerco di stabilire una ge-rarchia di cause, mentre l'argomento di Ruffolo è equi-causale, equipara "popolazione, più affluenza (crescita di beni materiali), più tecnologia". Que-sta differenza non è importante di per sé; ma si ri-flette, e quindi diventa importante, in tema di ri-medi. Per bloccare l'esplosione demografica basta una pillola (e il favorirne, invece che ostacolarne, la utilizzazione). Non saprei invece come persuadere i popoli affluenti a fare marcia indietro e a rinun-ziare alla loro affluenza. Tantopiù che gli affluenti vivono in democrazie nelle quali hanno voce in ca-pitolo, e quindi in paesi nei quali chi predica egua-le povertà, o comunque rinunzie di benessere, per-de le elezioni. Il povero Fini (mi consenta di commiserarlo, visto che lui dà di "pazzo" a me) sostiene che occorre "fer-mare il cosiddetto sviluppo, il cosiddetto benesse-re". Al povero Fini sfugge che per questa impresa ci vorrebbe uno Stalin. E quando scopre che "il cibo di oggi non va dove ce n'è bisogno ma dove ci sono i quattrini per comprarlo", dovrebbe anche scopri-re come si fa a produrre cibo senza costo da regala-re a chi non lo può pagare. Perché non prova lui?

14 gennaio 2001

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LA TECNOLOGIA CI PUÒ SALVARE?

Il disastro del petrolio che inquina le Galapagos ci colpisce; il disastro del pianeta Terra no. Ci colpi-scono le cose (piccole) che possiamo concretamente vedere in immagini; ma senza cose visibili e per co-se troppo grandi (un insieme di milioni di Galapa-gos) gli occhi della mente si socchiudono e il pen-sare serio viene sostituito dal lieto pensare. E così a me capita di essere rifiutato come "apocalittico". La fine del mondo, mi assicurano i lietopensanti, non ci sarà. Certo, non ci sarà se apriremo gli oc-chi e ci daremo da fare. Ma una "cattiva fine" ci sarà se daremo retta a chi sa soltanto toccare ferro. Nostradamus è oscurissimo; ma una delle possibili decifrazioni delle sue profezie è che il mondo fini-rà quando la Pasqua cade il 25 di aprile. Dal 1566, l'anno della morte di Nostradamus, questa coinci-denza è già avvenuta quattro volte. La prossima sa-rà nel 2038. E se in passato non c'era alcun motivo di sospettare che il mondo fosse in pericolo, per il

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2038 quel sospetto è fondatissimo. Lo dico anche io che l'astrologo deve crepare. Ma per farlo crepa-re lo dobbiamo ascoltare. Bisogna sempre sperare e mai disperare. Disperare è sbagliato perché induce alla rassegnazione, all'iner-zia. Ma è altrettanto sbagliato sperare nel miracolo e, in attesa, fare fìnta di nulla e così non fare nul-la. Occorre invece sperare nello sperabile. E qui mi chiedo in quale misura si può sperare che la tecno-logia ci possa salvare. In precedenza ne ho sottoli-neato le colpe: inquinamento ed effetto serra. L'al-tra faccia della medaglia è che la tecnologia scopre anche le medicine che la curano, e quindi che i pro-gressi della tecnologia ne possono curare i danni. La grande speranza è di costruire una economia energetica "pulita" che ricava l'energia dall'idroge-no. Ma l'idrogeno deve essere prodotto (esattamen-te come l'elettricità), e i due metodi conosciuti per produrlo non risolvono il problema. Il primo mo-do è l'estrazione dell'idrogeno dal metano. Qui l'in-conveniente è che questa trasformazione ha come sottoprodotto l'anidride carbonica. Inoltre anche il metano andrà a finire. Il secondo modo è l'estrazio-ne dell'idrogeno dall'acqua per elettrolisi. Senonché questo procedimento richiede grandi quantitativi di energia elettrica che oggi è in gran parte "sporca", e cioè generata da centrali nucle-ari o da idrocarburi e carbone. Pertanto siamo al cospetto di un circolo vizioso. Il metodo risoluti-vo sarebbe, allora, di produrre energia da reazioni

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di fusione nucleare (una sorta di bomba all'idroge-no controllata). Ma questo è un metodo di incerta fattibilità. Occorre perseverare. Ma raccontarci che otterremo sufficiente elettricità dal sole, dai venti e dalle maree è raccontarci una favola. Intanto, e in attesa (lunga, almeno un quarto di se-colo) di idrogeno in quantità bastevole, è urgentis-simo ridurre le emissioni di gas inquinanti e riscal-danti. L'accordo di Kyoto ne prevedeva entro dieci anni una riduzione del 5,2 per cento. La metà del necessario per restare all'effetto serra che già abbia-mo. E all'Aia i responsabili dell'ambiente non sono nemmeno riusciti a ratificare il Protocollo di Kyo-to. Più irresponsabili di così si muore (appunto). Intendiamoci. Ai fini del controllo della emissione dei gas nocivi la tecnologia sarebbe già adeguata. Ma i costi di questa tecnologia possono essere sopporta-ti — volendo - solo dai paesi affluenti. India, Cina, Russia (e contorni) vanno a ciminiera libera e non filtrano nulla. Una stima credibile di un comitato delle Nazioni Unite è che già nel 2025 (tra appe-na venticinque anni!) il maggior sviluppo dei paesi sottosviluppati porterà a moltiplicare per quattro le attuali emissioni di anidride carbonica. Con tanti saluti alla tesi che se l'Occidente riducesse i propri iperconsumi tutto andrebbe a posto. No. Anche perché l'aumento dei gas inquinanti è ormai modesto, o comunque in decelerazione, in Europa, mentre è in accelerazione crescente nel mondo sottosviluppato o di popolazione crescente.

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Noi predichiamo lo sviluppo; ma tanto più svilup-po, tanto più inquinamento. Finché non ammet-teremo che il maggior sviluppo deve essere neutra-lizzato da una minore popolazione. Allora la tecnologia ci può salvare? Sì; ma ci può anche finire di ammazzare. E ci ammazzerà di cer-to se accettiamo la formula che il problema non è lo sviluppo ma il sottosviluppo. A popolazione cre-scente, sviluppar il sottosviluppo può soltanto pro-durre un collasso da ipersviluppo.

26gennaio 2001

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IL TEXANO TOSSICO CHE AFFONDA KYOTO

Se ci deve essere un ordine internazionale, oltre che un ordine civile, pacta sunt servartela, i patti si deb-bono rispettare. Invece uno dei primi atti del Presi-dente Bush junior è stato di dichiarare che gli Stati Uniti si dissociano dagli accordi di Kyoto sulla ri-duzione dell'inquinamento atmosferico e che, per lui, "Kyoto è morto". Intendiamoci: tecnicamente questa non è una violazione di un trattato. Sul Protocollo di Kyoto esisteva soltanto una fir-ma apposta da Al Gore quando era vice-presiden-te di Clinton. Una firma contestualmente inficiata nel 1997 (lo stesso anno) da uno schiacciante vo-to contrario di 95 a zero del Senato di Washing-ton. Ma quel voto negante era di quattro anni fa, e nel frattempo l'allarme climatico è esploso. Inol-tre, quando un presidente americano davvero vuo-le qualcosa, si sa che dispone di mille modi per ot-tenerla. Ma se è proprio il presidente che non vuo-le, allora un no è no.

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Come mai Bush il giovane affonda Kyoto? Per due motivi. Il primo è l'egoismo nazionale. Il suo dove-re prioritario - dichiara - è di tutelare l'economia e l'interesse degli americani. Domanda: questo in-teresse è davvero tutelato da un isolazionismo an-ti-ecologico? Ovviamente no. Ovviamente il clima non conosce frontiere, ovviamente il surriscalda-mento della Terra danneggia tutti, americani inclu-si. L'argomento che gli americani devono badare a se stessi e basta, non è solo squallido; è anche mio-pe. A meno che Bush non pensi di costruire uno scudo spaziale anche contro i venti e l'inquinamen-to atmosferico, il male degli altri sarà anche il ma-le degli americani. Pertanto il suo primo argomen-to serve soltanto a lui per prendere e perdere tem-po. Ma abbiamo tempo da perdere? Qui interviene la linea di difesa sussidiaria del texa-no tossico: dobbiamo prendere tempo perché anco-ra non c'è nulla di sicuro. La dottrina dell'egoismo nazionale si affida così al puntello dello scienziato che non è mai "certo", che conosce solo probabi-lità e mai certezze. Ma questo è nascondersi dietro un dito. Anche se i nostri dati sono imprecisi e per molti rispetti incerti, anche cosi disponiamo (per al-tri rispetti) di "quasi-certezze" che è lecito chiamare certezze. Per esempio, è certo che l'anidride carbo-nica è in vistoso aumento. È altresì certo che esisto-no gas riscaldanti. Qui l'incertezza è solo questa: se il riscaldamento della Terra non derivi anche da al-tre cause, da cause cosmiche. Ma questa è davvero

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una ipotesi incertissima. Sappiamo che in lontanis-simi passati la Terra si è surgelata, per poi tornare a scaldarsi. Ma non sappiamo perché. E dunque le certezze che abbiamo non possono essere cancella-te da una incertezza non spiegata. Pertanto l'argomento del "non siamo del tutto sicu-ri" non può in alcun modo giustificare il nulla-fare ecologico di Bush e degli interessi affaristici e con-sumistici che lui protegge. In verità non abbiamo scelta. Anche se finissimo per scoprire che la nor-malizzazione dell'anidride carbonica nell'atmosfera non basta a normalizzare il clima della Terra, anche così il non tentare è negligenza suicida. Se ripulire l'aria è un costo, è un costo che dobbiamo affron-tare. E poi il costo della pulizia ecologica è davve-ro così terribile, è davvero insopportabile? Secon-do il nostro ministro dell'Ambiente Altero Matteoli la pulizia ambientale ci costerebbe 110.000 miliar-di di lire: sarebbe una cifra devastante per l'econo-mia? Via. Sarebbe soltanto due-tre volte, il patri-monio di Berlusconi. E dobbiamo anche mettere in conto, sull'altro versante, i danni economici causati dai disastri naturali imputabili al cambiamento del clima. Questi disastri sono aumentati, negli ultimi dieci anni, di almeno cinque volte, con danni sti-mati, al minimo, in 50 miliardi di dollari. Per contentare il texano tossico o, meglio, per sot-trargli alleati (Giappone, Canadà, Australia e Nuo-va Zelanda) gli europei sono stati costretti (Bonn, luglio 2001) a ridurre la riduzione entro il 2012

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delle emissioni inquinanti previste dal Protocol-lo di Kyoto dal 5,2 per cento all'1,8 per cento. Il 5,2 per cento (rispetto alle emissioni del 1990) era già insufficientissimo. Scendere all'1,8 per cento è scendere a un livello risibile. Era necessario cercare di salvare il salvabile. Il che non toglie che il "dan-no Bush" sia terrificante. Bush ci spiega che lui non può e non vuole danneggiare gli interessi dei suoi concittadini. Come se invece a Blair, Chirac, Schroeder e agli altri leader europei questo suppo-sto danneggiamento faccia piacere. No, combattere la macchina infernale del consumismo non è faci-le per nessuno. La differenza è che i leader europei sono ancora, in qualche misura, leader responsabi-li, mentre il giovane Bush è un esemplare avanzato di leader irresponsabile. Il Presidente degli Stati Uniti si atteggia a padrone del mondo. Forse lo è. A tanta maggiore ragione il mondo non lo può perdonare. Vergogna.

9 agosto 2001

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RIFLESSIONI SULLA FAME E SUI POPOLI DI SEATTLE

Salvo contrordini, ai primi di novembre (2001) si dovrebbe riunire a Roma il vertice Fao (Food and Agriculture Organization). L'argomento all'ordine del giorno è la fame nel mondo. Però l'argomento che più preoccupa il nostro governo è se i popoli di Seattle — i Seattlisti — scenderanno in piazza an-che a Roma, o se a Roma saranno più buoni che a Genova. Chissà. Intanto riflettiamo sulla fame. Una condanna an-tica che non riusciamo a cancellare. Come Veltro-ni quasi più di ogni altro non si stanca di ripetere, nelle aree povere del mondo muoiono ogni giorno 30.000 bambini. Il che fa, arrotondando, 11 mi-lioni all'anno. Però Veltroni non ricorda mai l'al-tra faccia della medaglia, e cioè che ogni anno la popolazione del nostro piccolo pianeta aumenta di 70-80 milioni di persone. Il che fa un miliardo in più entro il 2015. Ora, Veltroni ha tutto il dirit-to di tacere su un problema e su cifre che la Chiesa

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non gradisce. Ma il fatto è che sul problema della sovrappopolazione il silenzio è assordante a tutto campo. Zitti tutti. Ivi inclusi, e questa è la sorpre-sa, gli antitutto di Seattle. Tutto da bloccare, ma la popolazione no? Riprendiamo il filo dalla fame. Perché c'è, e perché perdura (a dispetto della Fao)? Per i procreazioni-sti che vogliono sempre più bambini, la colpa non è della crescita delle bocche da sfamare ma è della distribuzione, che è poi una distribuzione che ri-flette la malvagità dei popoli benestanti. Il loro ar-gomento è che la Terra potrebbe sfamare fino a 10 miliardi di uomini-formica, ma che chi ha cibo in eccesso non lo cede a chi ne difetta. Chi ragiona co-sì forse pensa che il cibo cresca da solo sugli alberi, e che alla sua distribuzione provveda senza spesa il vento. La realtà è, invece, che l'agricoltore lavora e che il cibo che produce costa. Se lo cedesse gratis morirebbe di fame anche lui. Dunque, il cibo da distribuire ai poveri va pagato. Chi lo paga? Per pa-garlo in quantità bastevole occorrerebbe che le tas-se di chi le paga (non siamo in tanti, e siamo qua-si tutti in Europa, Nordamerica, Giappone e poco più) venissero raddoppiate. E chissà se basterebbe. Tornando ai popoli di Seattle, notavo che i no-stri bravi giovanotti si oppongono a valanga a tut-to, ma non (è quasi l'unica eccezione) alla crescita demografica. Eppure non ha nessun senso oppor-si ai cibi transgenici (ai cosiddetti Ogm) se non ci si oppone al tempo stesso all'eccesso di popolazio-

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RIFLESSIONI SULLA FAME E SUI POPOLI DI SEATTLE | 4 5

ne. Perché la realtà delle cose è che senza i "cibi di Frankenstein" (soia, pomodoro, mais, grano, riso geneticamente modificati) il Terzo mondo è sem-pre più destinato a morire di fame. Una osservazione analoga vale per la povertà. Da un secolo a questa parte l'America Latina è stata impoverita, e cioè il reddito individuale è diminu-ito, soprattutto perché la crescita della popolazio-ne ha superato la crescita dell'economia. Come si fa, allora, a chiedere meno povertà senza chiedere al tempo stesso meno popolazione? Appunto, non si fa, si fa male. Notavo che il problema della esplosione demogra-fica — che poi sta anche alla base della incomben-te catastrofe ecologica - è soffocato da un silenzio assordante, da una congiura del silenzio. I popo-li di Seattle sono sicuramente rumorosi. Se rumo-reggiassero contro la follia suicida di una corsa ver-so i 9, persino i 10 miliardi di viventi, darebbero mostra di capire quel che fanno e servirebbero una buona causa.

15 agosto 2001

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LA FAO CI INGANNA

Da domani a mercoledì la Fao — Food and Agricul-ture Organization — celebrerà a Roma i suoi fasti, e cioè il suo vertice biennale (previsto per un anno fa ma rinviato, dopo i fattacci di Genova, a luogo o momento più tranquillo). L'evento Fao è stato pre-ceduto ieri dalla marcia "Terra e Dignità" (io avrei proposto "terra e scarsità", ma nessuno mi dà mai retta) dei no-global e fiancheggiatori. Poi il 12-13 seguiranno azioni dimostrative (speriamo soltanto dimostrative) contro i marchi multinazionali. Ma restiamo alla Fao. Il bilancio annuo della Fao è di poco più di 1.200 milioni di dollari, metà dei quali pagano le spe-se dell'organizzazione e dei suoi 3.500 impiegati e funzionari. Per gli aiuti diretti agli affamati restano così 600 milioni. Briciole. Ma briciole miracolose, perché la Fao dichiara che il suo intervento riduce il numero degli affamati di 6 milioni l'anno (rispet-to a un totale di 800 milioni). È vero? È proprio

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così? Non lo so, e sospetto che nessuno lo sappia. Quando insegnavo queste cose insegnavo che una ricerca diventa credibile solo se è replicabile, e cioè se può essere rifatta con gli stessi criteri da altri ri-cercatori. Ma per la Fao questo controllo non c'è. Quali sono i criteri per separare chi soffre la fame da chi no? E ci possiamo fidare delle statistiche del grosso dei paesi del Terzo mondo? Manipolando quei criteri io saprei includere o escludere dal no-vero degli affamati anche un miliardo di persone. Ed è certo che molte delle suddette statistiche non sono attendibili. Sia come sia, come è che la Fao arriva al suo totale (di presunti sfamati) di 6 milio-ni? Il computer della Fao è forse l'unico che lo sa. E il punto è che un valore assoluto (6 milioni) non corredato da percentuali e da universi di riferimen-to è un dato insufficiente per definizione. La Fao prevede che i terrestri aumentino dai 6 mi-liardi di oggi a 7 miliardi nel 2015, per poi salire a 8 miliardi nel 2030. Questi incrementi demografi-ci sono colossali, e senza ombra di dubbio andran-no a disastrare sempre più, e in accelerazione espo-nenziale, il "sistema Terra". Eppure tutte queste variabili (e variazioni) non di-sturbano le proiezioni della Fao. L'anno scorso il suo Presidente, il senegalese Diouf, dichiarava in una intervista al Corriere (6 settembre) che anche se "non cambierà nulla (nei finanziamenti) il nume-ro delle persone che soffrono la fame sarà comun-que dimezzato nel 2030". Che strana aritmetica.

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LA FAO CI INCANNA | 4 9

Nel 2030 saremo (proprio per la Fao) 2 miliardi in più di oggi. E siccome questa dissennata cresci-ta avverrà soprattutto in Africa, è plausibile che i moribondi di fame di oggi (800 milioni) saliranno complessivamente a 2 miliardi e passa. Leva i 128 milioni sfamati a colpi di 6 all'anno dalla Fao, sia-mo pur sempre al cospetto di un vertiginoso incre-mento. Altro che dimezzamento! La semplice verità è che la fame (e ancor prima la sete) sta vincendo, e che vincerà sempre più, perché ci rifiutiamo di ammettere che la soluzione non è di aumentare il cibo ma di diminuire le nascite, e cioè le bocche da sfamare. La Fao, la Chiesa, e al-tri ancora, si ostinano a credere che 6-8 miliardi di persone costituiscano uno sviluppo "sostenibile". Invece costituiscono uno sviluppo perverso e "in-sostenibile". Oramai più mangianti si traducono automaticamente in più affamati. E in un ecosiste-ma in collasso che non li può sostenere i bambini che muoiono li ha sulla coscienza chi li fa nascere.

9 giugno 2002

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UNA CORSA INSENSATA E PERDENTE

Una proiezione delle Nazioni Unite di dieci anni fa indicava che un tasso di prolificità costante (ai li-velli del 1992) avrebbe teoricamente prodotto una popolazione terrestre, nel 2150, di 694 miliardi di persone (vedi J. E. Cohen, Quante persone possono vivere sulla terra? p. 29). Sì, non scherzo: quasi set-tecento miliardi di uomini-formica (il conto è pre-sto fatto: una crescita di 130 volte nell'arco di 160 anni). Ovviamente questa proiezione non è una pre-visione. Una proiezione è soltanto una estrapolazio-ne; e in questo caso non ha nessun valore preditti-vo. Perché un tasso di prolificità costante ci porte-rebbe a 22 miliardi già nel 2050; e quindi già allora la partita potrebbe essere chiusa con Terra e terre-stri insieme al cimitero. Tra i 6 miliardi di oggi e i 22 sopra ipotizzati a qua-le livello la Chiesa vorrà ammettere che siamo in troppi e che occorre intervenire? È diffìcile rispon-dere perché se la contraccezione è peccato, allora è

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peccato sempre, a prescindere da quanti siamo. Sa-rebbe peccato anche se fossimo 700 miliardi. Però la Chiesa distingue tra peccati capitali e peccati ve-niali, peccati sorvolabili. La contraccezione è diven-tata un peccato capitale (non parlo con proprietà teologica, beninteso) con l'enciclica Humanae vitae di Papa Paolo VI del 1968. Questa enciclica nac-que dal nulla, fu una sorpresa. L'Humanae vitae era stata preceduta da tre anni di lavoro di una com-missione vaticana nominata dal Papa la quale aveva concluso che il divieto di contraccezione non po-teva essere ricavato né dalle Sacre Scritture né dal-la tradizione, teologia e legge naturale della Chie-sa. Questa "apertura" spaventò la Curia, e l'allora potentissimo cardinale Ottaviani convinse il Papa a disattendere le raccomandazioni dei suoi esper-ti. Ma se è bastato un cardinale Ottaviani per in-castrare la Chiesa in una morta gora, forse un nuo-vo Papa può bastare a disincagliarla. Gli atti della commissione sul controllo delle nascite degli anni '60 (il cui segretario fu un domenicano svizzero, pa-dre Henri de Riedmatten) sono sempre riesumabi-li. Giacciono negli archivi vaticani. Nel frattempo la Chiesa di Papa Wojtyla ha trova-to un sostegno, o meglio una via di uscita, nella te-si che la crescita demografica troverà un suo natu-rale punto di equilibrio e di arresto con l'educazio-ne e lo sviluppo. Il noto e bravo missionario Piero Gheddo mi controbatte così: "La Chiesa dice: aiu-tiamo i poveri a svilupparsi e diminuirà anche la

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loro crescita demografica. L'educazione unita al-lo sviluppo è il solo metodo che funziona" (Corrie-re del 20 giugno). Purtroppo no. Padre Gheddo si dimentica di precisare che i demografi prevedono che l'arresto "naturale" della crescita avverrà quan-do saremo 10-12 miliardi. E allora sarebbe tardi (a prescindere dal fatto che questo arresto "naturale" non è mai del tutto naturale). Già oggi, a livello di 6 miliardi, siamo al limite di rottura degli equilibri ecologici. L'avvelenamento dell'aria è pericolosamente crescente anche a po-polazione costante. Figurarsi quando entreranno in campo 1 miliardo e 500 milioni di cinesi "sviluppa-ti" che sostituiscono la bicicletta con l'automobile. Presto la Cina inquinerà e surriscalderà l'atmosfera più degli Stati Uniti. A un altro estremo prendia-mo la Nigeria, il più popoloso Stato africano (lar-gamente popolato, al 40 per cento, da cristiani) che nel 1950 aveva 33 milioni di abitanti, e che ne avrà, si prevede, 250 milioni nel 2050. A quel momen-to i nigeriani saranno più ricchi e istruiti? No. Con ogni probabilità saranno più poveri e sottosvilup-pati che mai: il caso di uno sviluppo che è soltanto perverso, soltanto a somma negativa. Il dilemma è cornuto. Se lo sviluppo virtuoso (di padre Gheddo) riesce, allora il mondo umano di-struggerà il mondo naturale: l'inquinamento diven-ta insostenibile, il clima ne viene sconvolto, la deser-tificazione avanza, l'acqua non basta. E se, invece, lo sviluppo virtuoso non riesce, allora resta solo un

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crescendo di prolificità che equivale a un crescendo di morti di fame. Nel qual caso, scrive Paolo Sylos Labini nel suo Sottosviluppo, "prevenire la nascita di... milioni di esseri umani destinati a soffrire nei modi più gravi è un atto di carità laica". E in en-trambe le ipotesi siamo al cospetto di uno sviluppo non-sostenibile, di una corsa insensata e perdente.

25 giugno 2002

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LA CRESCITA DEMOGRAFICA NON SI FERMA DA SOLA

Tempo fa ricordavo scherzosamente su queste co-lonne la profezia di Nostradamus che il mondo fi-nirà quando Pasqua cadrà un 25 aprile. La prossima volta avverrà nel 2038. Ora il Wwf (World Wildlife Fund), che è la più autorevole organizzazione am-bientalista, lancia un nuovo drammatico allarme: di questo passo al pianeta Terra e ai suoi abitanti re-stano cinquant'anni di vita. Davvero bravo il nostro Nostradamus: forse lui lo sapeva da cinque secoli. La diagnosi è irrefutabile: la Terra è troppo sfrutta-ta, troppo "consumata". Dal che si dovrebbe rica-vare che la colpa primaria è dei troppi consumato-ri, del fatto che siamo in troppi a consumare. Ma il Wwf questo non lo dice. Dice invece che il col-lasso in corso è dovuto, in primo luogo, agli stili di vita dissennati dei paesi più ricchi, al fatto che il "peso sull'ambiente" dei consumatori occidenta-li è di quattro volte maggiore di quello di tutti gli altri. Però attenzione: questa disparità di danno è

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di oggi, e cioè si applica a 6 miliardi di viventi. Ma nel 2050 il Wwf prevede che saremo 9 miliardi; e questo incremento sarà quasi tutto extra-occiden-tale. Pertanto a quel momento i macro-consuma-tori "spreconi" saranno ancora soltanto 1 miliar-do, mentre i micro-consumatori (che consumano meno, ma pur sempre consumano) saranno diven-tati 8 miliardi. A quel momento, allora, il collas-so ambientale non sarà più colpa degli occidentali ma della prolificità. Con questo non difendo lo spreco, e tantomeno di-fendo la politica ecologico-demografica del Presi-dente Bush (che ritengo vergognosa). Però ci dob-biamo chiarire le idee. La crescita e il surplus di ricchezza dei paesi ricchi sono oggi legati al loro consumismo. Gli Stati Uniti tremano ogni qual volta la consumer confidence, la fiducia del consu-matore, si incrina. E la parola d'ordine dello svi-luppo economico è di stimolare i consumi. Male? Sì, forse malissimo. Ma la macchina gira così. E se la fermiamo denun-ciando il consumismo, anche la crescita economica rallenterà. I paesi ricchi si troveranno a essere meno ricchi. Con tanti saluti, in tal caso, agli aiuti ai paesi poveri. I paesi ricchi non sono governati da despo-ti illuminati; sono democrazie il cui demos chiede benefìci per sé. Pertanto al detto, the economy, stu-pidi dobbiamo affiancare il detto, this is democracy, stupidi (questa è democrazia, stupidone). E dunque il discorso dei ricchi che pagano i poveri e la loro

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moltiplicazione non quadra. Impostato così, il pro-blema è insolubile e ci scappa sempre più di mano. "Dobbiamo inventare una soluzione... Abbiamo dalla nostra la scienza e la tecnologia" scrive (ieri) Edoardo Boncinelli, anche lui (come tantissimi al-tri) bravissimo nell'auspicare soluzioni "di fantasia" che non sa trovare. Eppure la soluzione c'è. Come qualsiasi persona di normale e libera intelligenza (li-bera da paraocchi ideologici o religiosi) capisce be-nissimo, il nostro problema è di esplosione demo-grafica; dal che consegue che per sopravvivere co-me genere umano la dobbiamo bloccare. Ma la dobbiamo bloccare subito e intervenendo at-tivamente, oppure dobbiamo aspettare che si fermi da sola? La Chiesa di Papa Wojtyla ci raccoman-da di aspettare la fine "naturale" di questa crescita. In materia il Papa non è protetto (per la dottrina stessa della Chiesa) da infallibilità. Pertanto non c'è offesa nel ritenere — come ritengo — che il Papa sbaglia e si sbaglia. A parte il fatto che non possiamo aspettare che la crescita arrivi, prima di stabilizzarsi, ai previsti 10-12 miliardi di viventi, il punto è che la stabilizza-zione demografica non è mai "naturale". E vero che esiste una indubbia correlazione tra educazio-ne e indipendenza delle donne da un lato, e dimi-nuzione dei loro bambini dall'altro. Ma perché? Una correlazione non stabilisce nessun rapporto di causa-effetto. Esiste anche una fortissima corre-lazione tra l'arrivo delle rondini e l'arrivo della pri-

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mavera, il che non significa che le rondini "causa-no" la primavera. Citando Amartya Sen, Paolo Mieli (Corriere del 28 giugno 2002) scrive che "sono l'educazione, la de-mocrazia e la modernità che sconfìggono la natali-tà selvaggia... Non altro". Come non altro? A dirla così sembrerebbe che l'educazione e la modernità riducano la fertilità. In realtà le donne modernizza-te sono tanto fertili, volendo, quanto le donne pre-moderne. Il punto è, allora, che una donna istruita sa usare i contraccettivi meglio di una donna anal-fabeta. Ma sempre i contraccettivi deve usare. Se non li usa anche la sua può essere natalità selvaggia, anche lei può generare venti figli. Pertanto l'argo-mento che a un certo punto dello sviluppo la mol-tiplicazione dei bambini si fermerà da sola è falso. Il calo delle nascite che avviene nei paesi sviluppa-ti non è spiegato da cause naturali, ma dalle pra-tiche contraccettive che la Chiesa condanna come "innaturali". La crescita degli umani non è mai fer-mata dalla natura.

11 luglio 2002

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L'ACQUA MANCA COME SI SAPEVA

In parecchie regioni del Sud, ma specialmente in Si-cilia, manca l'acqua. E, specialmente in Sicilia, una situazione gravissima, drammatica. Di chi la colpa? Di un malgoverno scandalosamente infiltrato dal-la mafia? Oppure della siccità? E, terza domanda, la crisi dell'acqua si poteva prevedere? Cominciando dall'ultima domanda la risposta è: sì, questa crisi si poteva prevedere e la previsione era certa, certissima. L'incertezza era solo sul quando, su quando sarebbe avvenuta la congiunzione tra l'imprevidenza del malgoverno e una bassa piovo-sità. Dal che deriva la domanda cruciale: se la pre-visione era certa, perché è stata ignorata? Scaricare la colpa sulla siccità è risibile e vergogno-so. A Palermo non si sa che le siccità capitano? Una arsura analoga era già capitata 70 anni fa. E a Paler-mo si dovrebbe anche sapere che una eguale siccità avrebbe prodotto, oggi, effetti enormemente aggra-vati dall'aumento della popolazione (che in Sicilia

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c'è stato) e dalla correlativa crescita del suolo agri-colo a irrigazione intensiva. Comunque sia, era si-curo, sicurissimo, che la crisi dell'acqua sarebbe ar-rivata. Eppure nessuno si è mosso, né in Sicilia né altrove, per allacciare gli invasi e per riparare una rete idrica ridotta a un colabrodo che perde quasi metà dell'acqua che dovrebbe trasportare. Lasciando la Sicilia e allargando il discorso, il fat-to è che l'acqua è sempre più insufficiente in molte aree del mondo. Una scarsità aggravata dall'impo-verimento irreversibile delle falde acquifere sotter-ranee. In Italia il problema è ancora, in larga misu-ra, di distribuzione. Altrove è proprio di mancan-za: l'acqua proprio non basta. Si calcola che per i 6 miliardi di viventi ai quali siamo arrivati occor-rerebbe già un 20 per cento di acqua in più. Molti dei grandi fiumi asiatici sono allo stremo. Il Gan-ge e lo Yangtse rischiano di non arrivare più al ma-re (come è già successo con il fiume Colorado ne-gli Stati Uniti). In Cina le falde acquifere del Nord si sono abbassate, in trent'anni, di 37 metri, e dal 1990 scendono di 1,5 metri all'anno. Il mare inter-no di Arai, dell'Asia centrale, ha già perduto metà della sua estensione. Il lago Ciad era una volta il se-sto più grande lago del mondo, ora ha perso quasi il 90 per cento della sua superficie e sta agonizzan-do. E si tratta di un lago che disseta 22 milioni di persone e che è fondamentale per il Ciad, il Came-rún, la Nigeria, il Niger. Eppure il collegamento tra l'acqua che manca e la

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L'ACQUA MANCA COME SI SAPEVA 6L

popolazione che cresce viene, al solito, sottaciuto. Il problema dell'acqua è trattato dagli organismi in-ternazionali — Onu in testa — come un problema di distribuzione. L'acqua basterebbe se fosse ben di-stribuita. Poveri noi. In Italia l'acquedotto pugliese è tutto sforacchiato, perde un 40 per cento dell'ac-qua che trasporta. In Sicilia l'acqua viene rubata nel corso del suo cammino. E si tratta di poche centi-naia di chilometri. Vorrei davvero vedere cosa suc-cederebbe ai migliaia di chilometri di acquedotti da installare in Africa e affidati a una manutenzio-ne, immagino, tribale. Chi ci racconta che il pro-blema della crisi idrica si risolve trasportando l'ac-qua a giro per il mondo non è una persona seria. L'unico discorso serio è di risparmiare l'acqua de-stinata all'agricoltura. Perché circa il 70 per cento dell'acqua dolce di cui la Terra dispone va in irri-gazione. A questo riguardo il miracolo è Israele, che ha inventato per gli agrumi la irrigazione a goccia. Ma l'alta tecnologia idrica presuppone una società altamente scolarizzata. Gli assetati delle zone aride del mondo sono, invece, analfabeti. Per loro si può pensare, tutt'al più, a sostituire i prodotti agricoli affamati di acqua con piante che crescono nel de-serto, per esempio il cactus e specialmente il fico d'India. Il guaio è che il fico d'India fruttifica per poco più di un mese. Gli israeliani stanno cercan-do di farlo fruttificare tutto l'anno con una fertiliz-zazione forzata e attentamente dosata. Il che torna a dire che quel che riesce agli israeliani non riusci-

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rebbe, probabilmente, a chi li vorrebbe copiare. In ogni caso, soprawiveremo "cactifìcandoci"? E mol-to dubbio. E poi che brutto avvenire! Tornando all'acqua, oggi (si è detto sopra) ce ne manca già un 20 per cento. Il World Water Sympo-sium stima che se nel 2050 saremo 8 miliardi - co-me si prevede — questo aumento demografico com-porterebbe un aumento del 17 per cento dell'uso dell'acqua. Il che significa, tirando le somme, che tra poco più di venti anni due terzi della popolazio-ne mondiale sentirà il morso, in un modo o nell'al-tro, della crisi idrica. Di fronte a questi dati, come si fa a sostenere che il problema è soltanto un pro-blema di spreco e cattiva distribuzione?

18 luglio 2002

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IL RISCALDAMENTO DELLA TERRA SCONVOLGE IL CLIMA

Abbiamo avuto, quest'anno, più caldo del solito? Le misurazioni dicono di sì. Così come ci dicono che il clima è sempre più instabile ed esagerato. Più cal-do, più freddo, più temporali devastanti, più allu-vioni. In Italia l'agosto è stato, finora, selvaggio; e prima giugno è stato eccezionalmente torrido e lu-glio eccezionalmente piovoso. Non accadeva da 200 anni. Il che vuol dire che non accadeva da quando caldo e piogge vengono misurati. Ci dobbiamo allarmare? Sicuramente sì. Non sia-mo al cospetto di bizzarrìe climatiche che ci sono sempre state. Siamo invece al cospetto di una ten-denza costante di riscaldamento della Terra. La mi-gliore spia di questo trend sono i ghiacciai, che evi-denziano il più grande disgelo dalla fine delle gla-ciazioni. Lo spessore e la superfìcie della calotta polare artica (Polo Nord) si stanno paurosamente riducendo. Nel secolo scorso i ghiacciai del Monte Kenya hanno perso il 92 per cento del loro volu-

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me, quelli del Kilimangiaro il 73, e i nostri ghiac-ciai alpini il 50. E la domanda cruciale è se questo riscaldamento sia imputabile a cause umane (l'ef-fetto serra dell'inquinamento atmosferico) oppure a cause naturali. I sostenitori delle cause naturali fanno presente che la Terra è già passata molte volte da periodi di sur-riscaldamento a periodi di raffreddamento. Sen-za retrocedere di centinaia di milioni di anni, circa 10.000 anni fa la Tasmania era unita all'Australia e l'Inghilterra era attaccata all'Europa. Poi lo scio-glimento dei ghiacci alzò il livello dei mari, creò la Manica e trasformò la Tasmania in un'isola. In tempi più vicini, il nostro Medioevo fu particolar-mente caldo tra il 1100 e il 1400 (allora i Vichin-ghi coltivavano in Groenlandia), mentre il periodo 1450-1850 fu di raffreddamento. Dunque il clima può cambiare da sé. Ma non sappiamo perché. E se non sappiamo perché, come si fa a sostenere che anche il riscaldamento del nostro tempo è dovuto a ragioni cosmiche? Questa è pura congettura. Una congettura che non è sostenuta da nessuna prova. Difatti una preponderante maggioranza della co-munità scientifica ritiene che ci stiamo scaldan-do per colpa nostra. Chi ne dubita - ripeto - lo fa con l'argomento che è già successo in passato: il che non prova nulla. E lecito dubitare, invece, della precisione delle pre-visioni. Quali saranno la grandezza e la velocità del riscaldamento, e quindi l'entità delle conseguen-

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IL RISCALDAMENTO DELLA TERRA SCONVOLGE IL CLIMA | 6 5

ze che andrà a produrre? I modelli di simulazio-ne con i quali cerchiamo di prevedere le variazio-ni del clima sono molto complessi. Giustamente le loro previsioni sono a ventaglio: variano (nelle sti-me dell'International Panel on Climate Change, sponsorizzato dall'Onu) da un aumento, in questo secolo, tra l 'I,4 e i 5,8 gradi centigradi. Ed è inuti-le dibattere su quale previsione risulterà azzeccata. Siccome non lo sapremo mai in tempo utile, qui vale una logica prudenziale per la quale il non fare nulla per bloccare il nostro gassarsi e moltiplicarsi è sicuramente stupido. Se il riscaldamento fosse naturale, allora saremmo fritti, perché un mondo "naturalmente", e perciò irresistibilmente sconvolto da un clima che può addirittura cancellare i monsoni e che ci dà troppa acqua oppure zero acqua non potrà certo sostene-re i 9-10 miliardi di viventi che Bush, il Vaticano e altri irresponsabili ci stanno regalando. Ma se il riscaldamento fosse umano, prodotto da noi e dai troppi esseri umani, allora se interveniamo con ri-solutezza ci possiamo ancora salvare.

15 agosto 2002

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TUTTI A JOHANNESBURG TRANNE IL BUONSENSO

Oggi i sessantamila di Johannesburg si riuniscono per salvare la Terra. Li seguono cinquemila gior-nalisti (basteranno?). E quindi nei prossimi nove giorni saremo tutti rintronati da valanghe di mes-saggi che ci lasceranno, temo, più confusi che mai. I sessantamila concedono che la Terra sia ammala-ta. Fanno anche fìnta di sapere perché. Ma non è vero. Non lo sanno; o se lo sanno non lo vogliono dire. Ai sempliciotti come me sembra ovvio che la Terra è ammalata, in primissimo luogo, perché è troppo piccola per una popolazione troppo grande (e in continua demenziale crescita). Ma per i ses-santamila sofisticatissimi cervelli di Johannesburg questa è una diagnosi troppo semplice. E per di più una diagnosi sacrilega. Tantovero che nel loro di-re la parola "popolazione" ed espressioni come "so-vraccarico demografico" sono rigorosamente ban-dite. Leggere per credere. Colin Powell, il segretario di Stato americano, di-

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tirambeggia così: "Gli Stati Uniti sono impegna-ti a costruire un mondo nel quale i bambini pos-sano crescere al riparo dalla fame, dalle malattie e dall'analfabetismo... un mondo di speranze che si avverano per tutti i figli di Dio". E diffìcile esibi-re una retorica più vuota e più sfrontata. Sfrontata perché Powell parla in nome e per conto di un pre-sidente che nemmeno ratifica gli accordi di Kyoto su una modestissima riduzione dell'inquinamento atmosferico. Nitin Desai, il vice del segretario generale delle Na-zioni Unite Kofi Annan, che capeggia il summit di Johannesburg, dichiara che "abbiamo ancora mol-to da fare per proteggere gli oceani, fermare l'avan-zata dei deserti, portare acqua potabile...". Anco-ra molto da fare? Che faccia tosta! La verità è che abbiamo tutto da fare, visto che nei dieci anni tra-scorsi tra Johannesburg e il precedente summit di Rio de Janeiro del 1992 tutti i suddetti problemi si sono ingigantiti. La Banca mondiale prevede per il 2030 un mondo di sterminate bidonvilles malsane, assetate, oscura-te dall'inquinamento, irrespirabili, dove si affolle-ranno 6 miliardi di persone, più un altro miliardo e mezzo di affamati nelle campagne (su un totale complessivo di 9 miliardi). Quale il rimedio? Al so-lito, la favola miracolistica di cambiare "modelli di sviluppo e produzione". Dulcis in jundo, il nostro ministro dell'Ambiente Altero Matteoli è ottimista perché "c'è una maggiore consapevolezza che fame,

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TUTTI A JOHANNESBURG TRANNE IL BUONSENSO | 6 9

povertà e ambiente sono correlati". Correlati con cosa? Con la sovrappopolazione? Non sia mai detto. Non sia mai detto nemmeno per il guru più guru di tutti, il premio Nobel indiano Amartya Sen. Tem-po fa esaltava l'India come uno straordinario suc-cesso di crescita simultanea di popolazione e pro-duzione agricola. Ora sull'India tace, forse perché gli hanno spiegato che la sua madrepatria sta esau-rendo, con uno sfruttamento selvaggio, le sue fal-de acquifere e che rischia una immane catastrofe idrica. Imperterrito, il Nostro rilancia. Non solo "non si può guarire il pianeta Terra senza risolvere il problema di fondo di fame e povertà". Aggiun-ge anche che non basta definire lo sviluppo "pura-mente in termini di soddisfacimento dei bisogni". No, occorre anche adottare "la prospettiva più vasta dell'incremento della libertà umana". Come si fa a non applaudire? Finito l'applauso, viene in mente che agli esordi della Rivoluzione francese Marat si chiedeva: "A che serve la libertà politica a chi non ha il pane?". Già, illustre professor Sen, a che serve? Inutile continuare a citare. Il coro è sempre lo stes-so ed è un coro che recita un ingannevole libro dei sogni. Io non mi auguro - come leggo in un titolo del Foglio — che il carrozzone di Johannesburg fal-lisca. Il dramma è che nasce morto. Il toro va pre-so per le corna, mentre la grande armata dei ses-santamila lo tira per la coda. Come ha ben ribadito l'altro giorno (Corriere del 20 agosto) Alberto Ron-chey, se non si parte dalla premessa che "ogni svi-

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luppo sostenibile presuppone l'urgenza di affrontare la prospettiva dell'inflazione umana", e che "la que-stione primaria e pregiudiziale per la salute futura del pianeta è la demografia", allora tutto il nostro fare si trasforma in malfare. Perché il vangelo del-lo sviluppo a oltranza può solo aggiungere ai dan-ni ecologici prodotti dal mondo industriale avan-zato, gli ancor più smisurati danni ambientali pro-dotti da un mondo preindustriale sovrappopolato che si sviluppa bruciando foreste (Indonesia) e car-bone (Cina). Altro che Homo sapiens sapiens. A Jo-hannesburg si celebrano, semmai, i fasti dell'Homo stupidus stupidus.

26 agosto 2002

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SMETTIAMOLA DI VENDERE PANZANE

Il fiasco del summit di Johannesburg — già lo scrive-vo il 26 agosto — era sicuro, era scontato. Ma anche un fiasco può servire se insegna qualcosa. E Johan-nesburg insegna che i mega-baracconi, i macro-car-nevali, devono finire. Oramai fanno molto più male che bene. In difesa di Johannesburg si è scritto che ha avuto il merito di sensibilizzare l'opinione pub-blica mondiale sulla "emergenza Terra". Davvero? A me sembra, piuttosto, che Johannesburg abbia funzionato da oppiaceo, da tranquillante. Se tante eccelse menti convengono che i problemi possono essere rinviati a soluzioni a venire di dieci, venti o anche cinquanta anni, il messaggio è che l'emergen-za Terra è prematura e che per ora tutto può con-tinuare come prima. Il solo successo concreto del summit è stato di aver risuscitato, a dispetto del Presidente Bush, l'accordo di Kyoto del 1997 sull'inquinamento atmosferico. Ma questo successo ha soltanto un valore simboli-

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co. Kyoto impone una riduzione del 5,2 per cen-to dei gas serra entro il 2012. In realtà questa ri-duzione è solo il rallentamento di una crescita. Ci occorre molto, molto di più. Nel suo L'ambienta-lista scettico il danese Bjorn Lomborg (uno statisti-co) sostiene molte tesi pierinesche. Ma ha ragione sul punto che le riduzioni di Kyoto non risolvono niente e che l'inquinamento che più occorre com-battere proviene dalle polveri sottili del carbone. Intanto l'inquinamento è già gravissimo. Nelle scor-se settimane ci è stato rivelato che da circa sei anni una enorme nube marrone sovrasta i cieli dell'Asia (India, Cina e dintorni), che cresce, e che già dan-neggia l'agricoltura e altera pericolosamente il cli-ma. Ma anche noi, in Europa e in Italia, abbiamo la nostra nuvola, il nostro smog. Uno smog che ci avvelena sempre di più. Le centraline di rilevazio-ne delle varie città italiane hanno segnalato livelli di allarme tutta l'estate, mentre le automobili vil-leggiavano altrove. Il rimedio? Il rimedio è stato di non dirlo. E ora che le automobili e i motorini ri-entrano alla base, il ministro dell'Ambiente Matte-oli ci fa sapere che le domeniche a piedi non servo-no a niente. Nemmeno servono a niente, a quan-to pare, i temporali che dovrebbero pulire l'aria e i venti che dovrebbero disperdere i veleni che respi-riamo in città. E allora, ministro Matteoli? A prescindere dalla cre-scente scarsità di bel tempo, noi respiriamo male e di questo passo i nostri figli vivranno (ed eventual-

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SMETTIAMOLA DI VENOERE PANZANE | 7 3

mente moriranno) respirando aria irrespirabile. La-sei stare le risibili promesse di Johannesburg, e ci dica subito, ora, che cosa si deve fare in Italia per la salvaguardia dei nostri polmoni. A Johannesburg Berlusconi ha promesso che aumenterà il contribu-to italiano al Terzo mondo istituendo una detas-sazione. Lasci stare, Presidente. Non butti via sol-di. Li investa, piuttosto, nella respirabilità dell'aria delle nostre città. In attesa rivediamo il problema. Per le persone di normale buonsenso il problema è che la Terra è malata di sovraconsumo: noi stiamo consumando molto più di quanto la natura può dare. Pertanto a livello globale il dilemma è questo: o riduciamo drasticamente i consumi, oppure riduciamo altret-tanto drasticamente i consumatori. Johannesburg è l'ennesima conferma del fatto che la via alla ridu-zione dei consumi non è percorribile. Resterebbe, allora, l'altra via. Ma la via del controllo delle nasci-te fu bloccata alla conferenza sulla popolazione de Il Cairo del 1994 da una strana alleanza tra Chie-sa, Cina e femministe (ed è oggi bloccata dal mol-to devoto Presidente Bush). Come ne usciamo? La risposta è che ci salverà la tecnologia, e cioè che la tecnologia può curare i mali che produce. Vero o falso? In astratto può essere vero. Cioè è ve-ro che la tecnologia può moltiplicare le risorse (an-che se non all'infinito). Ma in pratica la tesi degli "sviluppisti" che chiedono la salvezza alla tecnolo-gia è falsa, falsissima. L'uomo può colonizzare la

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Luna? Sì, tecnologicamente è possibile ma prati-camente è insensato. La tecnologia può trasforma-re l'acqua salata in acqua potabile? Sì, ma a un co-sto proibitivo. E così via. Se ci salveremo non sarà con la tecnologia ma con un ritorno all'intelligen-za. Anche se per ora, scrivevo, sta vincendo YHo-mo stupidus stupidus.

8 settembre 2002

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IL PROBLEMA È LA BOMBA DEMOGRAFICA

Il 2002 è andato male per chi racconta che tutto va bene. Quest'anno il maltempo, l'aumento del tem-po cattivo, è stato di tutta evidenza. Così tutti co-minciano ad avvertire che il clima sta cambiando, e che sta cambiando rovinosamente. I "tranquilli-sti" ci tranquillizzano ricordandoci che il clima è sempre stato variabile, a volte buono, a volte no. È vero; ma il peggioramento del clima è ormai co-stante, è ormai un trend. Nubifragi, inondazioni e siccità non sono certo novità; ma e nuova la loro fre-quenza, la loro accelerazione. Negli ultimi dieci anni il numero di eventi mete-orologici estremi è balzato da 360 a più di 700 (il calcolo è della Organizzazione mondiale di mete-orologia dell'Onu). Del pari, i grandi eventi allu-vionali del mondo sono stati sei negli anni '50, 18 negli anni '80, 26 negli anni '90 (calcoli della Geo-scienze di Monaco). Inoltre piogge e siccità si spo-stano. In Italia la forbice tra piogge disastrose e sic-

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cità è crescente: il che mette a rischio una metà del-la nostra agricoltura. Questi i fatti. Sono contestabili? Ormai sempre me-no. Ma come si spiegano? Su questo fronte i tran-quillisti si trasformano in fatalisti. Ammesso, come ormai ammettono, che il clima sta peggiorando, la loro spiegazione è che il trend riscaldante dipende da cicli cosmici. Ma se è vero che la Terra si è sem-pre scaldata e poi raffreddata, è anche vero che non abbiamo mai scoperto perché. E se le cause cosmi-che sono soltanto una congettura per il passato, al-lo stesso titolo lo sono per il presente. Anzi, per il presente questa congettura è davvero poco credibile. Perché nel passato i cicli di glaciazione e di riscalda-mento sono stati lentissimi, mentre il nostro cam-biamento climatico è veloce. Dal che consegue che deve essere attribuito a un fattore nuovo. Di que-sto fattore - il cosiddetto effetto serra - sappiamo ormai parecchio. E sappiamo con certezza che que-sto effetto serra - con tutti i malanni che ne deri-vano — è prodotto dall'uomo. Siamo noi i responsabili dello sfascio del nostro pia-neta. Ma "noi" chi? Noi come? Per via dell'ecces-so di popolazione? Per colpa di un eccesso di con-sumismo? O perché la tecnologia che ci salva è an-che una tecnologia che ci distrugge? Il discorso comincia con Malthus, che alla fine del Settecento enunciò nel suo celebre Saggio sulla po-polazione tre principi. Primo, che la crescita della popolazione era frenata dal fatto che i poveri mo-

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rivano di fame (morivano davvero, non figurativa-mente). Secondo, che altrimenti la popolazione si sarebbe raddoppiata ogni 20-25 anni, il che com-portava una crescita in progressione geometrica (1, 2,4, 8, 16...). Terzo, che l'agricoltura, e cioè il cibo, non poteva crescere allo stesso ritmo ma soltanto in progressione aritmetica (1, 2, 3, 4 ...). Pertanto, il buon abate Malthus raccomandava il controllo e la limitazione delle nascite: la dottrina che viene appunto detta malthusiana. Le previsioni di Malthus erano sbagliate? In parte sì, ma in parte no. Ai suoi tempi la Terra era abi-tata da 1 miliardo di persone. Due secoli dopo sia-mo arrivati a 6 miliardi. L'aumento non sarà sta-to in progressione geometrica, ma poco ci manca; e poi nemmeno Malthus prevedeva che lo sareb-be stato, visto che metteva in conto un crescendo di poveri che morivano di fame. La previsione sba-gliata era quella sul cibo. Malthus scriveva agli al-bori della rivoluzione industriale, e la rivoluzione tecnologica che avrebbe moltiplicato a dismisura la resa dell'agricoltura non era nemmeno alle viste. A questo effetto la sua contabilità non poteva non essere sbagliata. Questa considerazione sposta il discorso dalla de-mografia alla tecnologia, e allo sviluppo fondato sulla tecnologia. La tecnologia è il miracolo che ci tiene vivi in 6 miliardi, e che forse ci consentirà di diventare - quanto meno sulla carta — 10 miliar-di tra una cinquantina d'anni. Ma la tecnologia è

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un miracolo costoso, un miracolo gravido di effetti collaterali nocivi. Il fatto è che il nostro habitat sta diventando sempre più inabitabile, e che la tecno-logia ci ha già fatto imboccare il tunnel dello svi-luppo "non sostenibile". Non sostenibile nel senso che la natura non è più in grado di provvedere a se stessa, di rigenerarsi e di auto ripararsi. Non è solo che noi stiamo consumando risorse finite (petrolio e carbone) che finiranno presto; è anche che stia-mo pericolosamente inquinando l'aria e l'acqua e pericolosamente disturbando gli equilibri climatici. Il che ci riporta alla domanda: per colpa di chi o di che cosa? Sì, lo abbiamo appena detto: per colpa della tecnologia. Ma questa è soltanto una risposta interlocutoria. Perché la tecnologia è uno strumen-to i cui effetti dipendono da come viene adopera-to. Adoperato, appunto, dall'uomo. E così tornia-mo alla sovrappopolazione, al problema di Malthus. Con questa differenza: che nel Settecento la popo-lazione poneva soltanto un problema di cibo, men-tre oggi pone anche, in più, un problema di ecces-so di consumo, di un "consumo cospicuo" (come diceva Veblen) che si traduce sia in uno spreco di risorse, sia in un fattore di inquinamento. I rimedi, le cose da fermare o comunque da frenare, sono essenzialmente tre: la crescita della popolazio-ne, il consumismo inquinante, la tecnologia inqui-nante. Contro la tecnologia inquinante il combatti-mento è, ed è stato, del tutto perdente. Gli accordi di Kyoto del 1997 sull'inquinamento che produce

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i gas serra attendono ancora le ultime ratifiche, so-no stati rinnegati dagli Stati Uniti, e comunque ri-chiedono entro il 2012 una riduzione risibile (ini-zialmente del 5,2, ora dell'1,8 per cento) che equi-vale soltanto a un modestissimo rallentamento di un inquinamento galoppante. Kyoto è importante solo come caso emblematico. In termini di costi-benefìci economici, "pulire" le emissioni nocive è un costo sproporzionato al benefìcio. Il problema è da impostare, invece, in termini di co-sti-benefìci ecologici, di salute della T erra e anche dei nostri polmoni. Ma da questo orecchio i politi-ci e gli affari non ci sentono. E così l'àmara conclu-sione è che il nostro suicidio tecnologico, nel senso sopra precisato, non è fermabile. Veniamo al consumismo. Qui il discorso è che i po-poli ricchi consumano troppo, e che tutto andrebbe a posto se consumassero meno. Ma se è vero che gli Stati Uniti consumano e sprecano in modo spropor-zionato, se guardiamo ai totali invece che all'inqui-namento prò capite, già oggi il mondo occidentale da un lato, e il resto del mondo dall'altro, inquina-no l'atmosfera a metà. E lo sviluppo dei paesi sot-tosviluppati, che è uno sviluppo fondato su energia "sporca" (carbone, petrolio, più le foreste bruciate in Indonesia per ricavarne pochi anni di suolo agri-colo), comporta che i grandi inquinatori dei pros-simi decenni saranno la Cina, l'India, l'Indonesia e tutti i paesi (Africa inclusa) ad alta prolificità. Pertanto, non è vero che il problema sarebbe risol-

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to se i paesi sviluppati consumassero e quindi in-quinassero meno. Il problema ormai è posto, con accelerazione drammatica, dalla popolazione cre-scente dei paesi poveri o "in sviluppo". Il fatto che gli Stati Uniti, con meno del 5 per cento della po-polazione mondiale, emettano più del 25 per cento dei gas serra, irrita anche me. Il che non toglie che in questi termini il problema sia mal posto. Resta, allora, soltanto la soluzione di fermare la crescita demografica. A questo effetto la tecnolo-gia è benefica, la tecnologia aiuta: contraccettivi, pillole del giorno dopo, pillole abortive, costano pochissimo e la loro utilizzazione richiede soltan-to un addestramento minimo. Ed è la soluzione che davvero risolve. Se fossimo ancora 2 miliar-di — quanti eravamo appena 70 anni fa, quando gli anziani di oggi erano già nati — potremmo in-quinare senza danno, e tutti i problemi che ci as-sillano in 6 miliardi (in rapida marcia verso i 10) sarebbero tutti di facile soluzione, proprio nuova tecnologia aiutante. Eppure di questa soluzione quasi non si parla. L'ar-gomento è tabù. La Chiesa cattolica si oppone, e la sua opposizione riesce a bloccare tutti. Soltan-to la Chiesa cattolica? Sì. Perché il Cristianesimo protestante - che pur si richiama agli stessi testi sa-cri e allo stesso Dio — consente la contraccezione. Così come la consentono tutte le religioni orienta-li, e anche l'Islam. Di recente l'Iran — il più teocra-tico di tutti gli Stati musulmani — si è fortemente

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impegnato, con successo, in una campagna di ri-duzione della natalità (che è scesa da 6,5 a 2,1 fi-gli per donna). La domanda allora diventa: possibile che la Chiesa di Roma conti per tutti? SI, è possibile perché di-spone di voti strategici negli Stati Uniti e nell'Onu. E se le Nazioni Unite rifiutano persino di ammette-re che esista un problema di esplosione demografi-ca, quella esplosione non può essere fermata. Tan-to vero che la popolazione mondiale sta aumentan-do di 70-80 milioni di persone all'anno. Ogni anno nascono, per così dire, due Spagne in più. E folle, è follia. E folle anche perché l'accanimento "pro-creazionista" del Vaticano è recente, recentissimo. L'enciclica Humanae vitae di Paolo VI è del 1968, allora cadde praticamente nel nulla, e non costitu-isce un pronunciamento infallibile (non è coperto dalla dottrina della infallibilità del Papa). Pertan-to la crociata pro-nascite della Chiesa di Roma è tutta opera di Papa Wojtyla. Certo è che il divieto di pratiche contraccettive non trova nessun soste-gno nelle Sacre Scritture, nella tradizione, teologia e legge naturale del cattolicesimo. E poi, come si fa a condannare non solo l'interruzione di una gravi-danza ma, alla stessa stregua, anche la sua preven-zione? La Chiesa non si può opporre ai contrac-cettivi con l'argomento che usa contro l'aborto, e cioè che si tratta di assassinio. Assassinio di che co-sa? Del nulla, visto che la prevenzione impedisce la fecondazione.

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L'argomento — lo so bene — è delicato. Ma se la na-talità non viene fermata (è la mia tesi di fondo nel libro La Terra scoppia: sovrappopolazione e svilup-po) la Terra davvero scoppierà. Alla fine del 2002 l'uomo europeo è allarmato soprattutto dal clima, e per ora si accorge del fatto che in città respira ma-le, respira veleno. Ma la nuvola asiatica, la nuvo-la marrone di altri veleni riscaldanti, è in arrivo sul Mediterraneo; e quindi tra poco respireremo ma-le anche al mare. E tempo di cominciare a capire, allora, che è il nostro habitat che è minacciato dai troppi abitanti, e che esiste un punto di non ritor-no ecologico oltre il quale l'uomo distrugge le pro-prie condizioni di vita.

1 gennaio 2003

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I CATTIVI ALIBI DELLO SVILUPPISMO

La crescita, lo sviluppo, l'aumento incessante di tut-to, sono le parole d'ordine del nostro tempo. Die-tro queste parole d'ordine si nascondono colossali interessi economici. Chi vuole frenare, chi chiede uno sviluppo sostenibile, danneggia i soldi, danneg-gia i profitti. Orrore, anatema e dunque chi si pone il problema della sostenibilità deve essere boicotta-to e denunziato come un apocalittico, un catastro-fìsta, un uccello di malaugurio che sinora si è sem-pre sbagliato e che quindi continuerà a sbagliare. Questa linea di attacco, o di contrattacco, è ottima-mente riassunta (e sostenuta) da Elena Comelli sul Corriere del 15 luglio 2002. I titoli e sottotitoli del suo pezzo già dicono tutto. Eccoli: "Bufale sempre-verdi: risorse esaurite, fame globale, bioestinzione: scenario credibile ma falso". Sotto: "Da Malthus al Club di Roma di Peccei: due secoli di previsioni ne-rissime: sbagliate". Lasciamo stare il povero Malthus. E cominciamo da Paul Ehrlich, il cui libro The Po-

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pulation Bomb del 1968 è stato il primo importante segnale di allarme del nostro tempo sulla sovrappo-polazione. Ehrlich prevedeva la morte per fame di un quarto della popolazione mondiale entro 1 '83. La scadenza era sbagliata; ma la previsione sui mor-ti di fame in arrivo era sbagliata? No. E soprattut-to non era sbagliata l'equazione sulla quale Ehrlich fondava il suo argomento, e cioè che l'impatto am-bientale dell'uomo è pari al prodotto di tre fattori: 1) il numero delle persone, 2) moltiplicato per il lo-ro reddito prò capite (quanto possono consumare), 3) il livello di tecnologia. Il che resta esattissimo. Del pari, quale è stato lo sbaglio nelle previsioni del Club di Roma di Peccei? Nel rapporto aggiornato da Donella Meadows si sosteneva, inter alia, che le riserve di petrolio si sarebbero esaurite, che il ci-bo sarebbe mancato e che l'aria e l'acqua diventa-vano sempre più inquinate. Sul petrolio la Comel-li ribatte trionfalmente così: che oggi "le riserve co-nosciute sono molto più abbondanti di allora". E con ciò? Questo argomento non dimostra che le ri-serve di petrolio non finiranno; dimostra solo che dureranno più del previsto. Le ultime stime sono che tra venti-trent'anni la metà di tutte le riserve conosciute e ancora scopribili di petrolio saranno state consumate. Da quel momento la crescita del prezzo del petrolio sarà inesorabile, dal che conse-gue che diventerà sempre più conveniente utilizza-re il carbone, e quindi consegue un forte peggiora-mento dell'inquinamento.

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I CATTIVI ALIBI DELLO SVILUPPISMO | 8$

Sul cibo la Comelli è ancora più trionfante: non so-lo la prevista carenza di cibo non si è avverata, ma "il cibo sta diventando più abbondante". Sì; ma non dove occorre, né durerà. Nell'ultimo rappor-to che ho letto di Lester Brown (State of the World 1999) trovo che "anche se l'India ha fatto straor-dinari progressi nella produzione del grano, questa crescita è largamente annullata dalla crescita della popolazione, che lascia quasi due terzi dei bambi-ni sottonutriti". In merito all'altro grande caso, la Cina, Lester Brown cita la previsione che nel 2025 i cinesi rischiano di dover importare 175 milioni di tonnellate di grano. Un quantitativo che supera largamente le disponibilità mondiali. Eppoi, al so-lito, manca l'acqua (un punto sul quale la Comel-li è maestosamente silenziosa). Nota Lester Brown: "La Cina e l'India dipendono già per più della me-tà del loro cibo da terreni irrigati". Per l'acqua di cui dispongono sono già troppo irrigate. E il grano non cresce nel deserto. Per non parlare del riso, il cibo che richiede più acqua di tutti. Proprio non ci siamo, allora. La previsione tempo-rale è una cosa, la previsione di tendenza tutt'al-tra cosa. Sbagliare una scadenza non è sbagliare un trend. Nel nostro caso le scadenze sono state allon-tanate dalla tecnologia; ma così la tecnologia sta so-lo aggravando, rinviandola, la resa dei conti. In se-condo luogo, è un errore isolare le variabili. Dopo averle differenziate occorre correlarle, occorre ve-derle in interazione. Se il cibo ci fosse ma l'acqua

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no, il disastro sussisterebbe in ogni modo. Gli uo-mini non possono mangiare senza bere. Se petrolio e carbone non finiscono subito, nelle more ci inqui-nano più che mai. Gli alibi alla Comelli sono risi-bili nella loro logica e micidiali nei loro effetti pra-tici. Il loro messaggio è di andare avanti così sen-za darsi pensiero di nulla. E un messaggio esiziale. Cattivi alibi a parte, c'è poi l'argomento della scien-za che non è mai abbastanza "certa", che non sa mai abbastanza. Ora, è vero che non disponiamo di una spiegazione esauriente e sicura degli sconvolgimenti meteorologici in corso. Ma lo scienziato che si trin-cera dietro a un suo non-sapere non può poi sape-re se la colpa di quel che succede è dei venti solari. È davvero cattiva logica ricavare dal non sapere as-serzioni che sottintendono sapere. In generale l'argomento è che la scienza conosce sol-tanto probabilità. Il sole sorgerà domani? Per la te-oria della scienza, non si deve mai rispondere: sì, è sicuro. Si può soltanto rispondere che le probabilità sono altissime. Alla stessa stregua conosco scienzia-ti che rifiutano di riconoscere un calvo se non pos-sono contare esattamente quanti capelli gli restano in testa. Esagerano? Forse sì. E chiedo loro di con-sentirmi l'imprecisione di riconoscere un calvo a vista. Che il dibattito sulla Terra "a rischio" sia af-flitto da mille imprecisioni, non toglie che, all'in-grosso, quel rischio ci sia. In ultima analisi la verità è, come ha scritto Guido Ceronetti su La Stampa, che "pochi hanno voglia

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I CATTIVI ALIBI DELLO SVILUPPISMO | 8 7

di vivere ad occhi aperti: siamo dentro a una ocea-nica moltitudine di struzzi". Pertanto non occorre che gli alibi in prò di un incessante tutto-sviluppa-re (inclusa la popolazione) valgano qualcosa. An-che se non valgono nulla, gli sviluppisti li rivolgo-no a struzzi che desiderano solo di essere bamba-giati e tranquillizzati.

gennaio 2003

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LA TESTA SOTTO LA SABBIA

Non ho ancora capito bene se il genere umano de-riva dallo struzzo, oppure se finirà struzzifìcato, fa-cendo lo struzzo. Darwin, sul punto, non mi sa il-luminare. Ma ormai propendo per la seconda tesi: finiremo tutti male, tutti con la testa sotto la sabbia. Proprio perché ai problemi di sopravvivenza della Terra, e sulla Terra, non vogliamo proprio pensa-re. Ogni tanto ci viene imposto nelle grandi città di andare a piedi; e in quel giorno forse ci ricordia-mo che respiriamo un'aria sempre più avvelenata; ma il giorno dopo riprendiamo lietamente la mac-china, forniamo il nostro doveroso contributo alla gassificazione, e ce ne dimentichiamo. Ogni tanto ci accorgiamo che piove troppo (allu-vioni), o che piove troppo poco (siccità). Così a Milano sta piovendo troppo poco, mentre l'estate scorsa Palermo ha dovuto affrontare una gravissima crisi idrica. Ma poi piove giusto e ci rimettiamo tut-ti tranquilli. Chiedo perdono agli struzzi, ma oggi

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sul problema dell'acqua li devo proprio disturbare. Perché sappiamo che per una settimana è riunito a Kyoto il Forum mondiale dell'acqua. Il fatto è di tutta evidenza: il mondo è sempre più pieno di as-setati. Dice Gorbaciov: l'acqua è un bene raro per un miliardo di persone. Altri dicono un miliardo e mezzo. E una previsione moderata (ce ne sono di peggiori) teme che tra venticinque anni la caren-za idrica affliggerà 3 miliardi di persone. Dunque, manca l'acqua. Perché? Non sia mai detto che è perché siamo troppi, perché "il mondo scoppia" (è un mio titolo) di sovrappo-polazione. No; è perché siamo malvagi. Non è che l'acqua manca; è, piuttosto, che non viene equa-mente distribuita. Nadine Gordimer, premio No-bel per la letteratura, scrive che il Forum di Kyoto "tenterà di far sì che l'uso delle risorse idriche non privilegi le piscine dei ricchi lasciando al secco i ru-binetti dei poveri". Speriamo che i 10.000 delegati di Kyoto (basteranno?) siano meno sprovveduti del-la brava Gordimer (brava come scrittrice, non cer-to come acquologa). Ma la statistica che imposta i loro lavori è, purtroppo, distorcente: che "1' 11 per cento della popolazione, quella che controlla l'84 per cento della ricchezza prodotta, consuma l'88 per cento dell'acqua". Insomma, l'acqua c'è, ma se la pappano i ricchi. Che sciocchezza. Il grosso dell'acqua dolce del mondo sta nell'An-tartide, poi in Groenlandia, Alaska e Islanda. Che cosa ne facciamo? La trasportiamo in Africa, in In-

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LA TESTA SOTTO LA SABBIA 91

dia e in Cina? Come? Se un islandese ha venti vol-te più acqua di un italiano, non è una ingiustizia; è semplicemente perché l'acqua viene distribuita dalla natura e dalle piogge così. Il discorso serio sull'ac-qua è quello di Lester Brown, Presidente dell'Earth Policy Institute, pubblicato sabato sul Corriere. Dal quale trascrivo questa conclusione: che l'opzione di rendere più efficiente l'irrigazione per l'agricoltura e di pompare più acqua dalle falde acquifere non ri-solve i problemi e anzi (nel caso del prosciugamen-to delle falde acquifere) li aggrava; e quindi che la sola opzione praticabile è di "stabilizzare la popola-zione". Se più di due milioni di persone muoiono ogni anno di sete o di acqua cattiva, è perché do-ve non c'è acqua non ci dovrebbero essere persone. Signori struzzi, svegliatevi. E non date retta alle frottole che ci vengono regolarmente dispensate dai carrozzoni dell'Onu. Come questa: che per ri-solvere il problema dell'acqua di 9 miliardi di per-sone basterebbe "investire da 50 a 100 miliardi di dollari". Pfui.

17 marzo 2003

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HOMO STUPIDUS STUPIDUS

Quest'anno è stato caldissimo? Non c'è dubbio: sì. Fa troppo caldo sin da maggio e l'estate è stata tor-rida. L'esperto conferma: la Terra non è mai stata così calda da 500 milioni di anni. Capito? Da 500 milioni di anni. Non c'è da scherzare. Sarà così, e anche peggio, negli anni che verran-no? Temo di sì. Beninteso, è impossibile prevede-re se l'anno prossimo sarà caratterizzato da alluvio-ni o da siccità. Ma è sicuro che il clima è diventato estremizzato. Così come è sicura la linea di tenden-za: che il riscaldamento della Terra è crescente e che sta raggiungendo livelli pericolosi. Per Martin Rees, un autorevole esperto di cosmologia e astrofìsica, c'è solo una probabilità su due che la razza umana arrivi al prossimo secolo. Rees ricorda che il nostro pianeta è già incorso in cinque cicli di estinzione, la più celebre delle quali, 65 milioni di anni fa, fece sparire i dinosauri. E ora, conclude, Y Homo sapiens sta approntando una sesta estinzione: la propria.

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Secondo il paleontologo Michael Benton, la tempe-ratura della Terra sarebbe solo a sei gradi dal livello nel quale le forme di vita che conosciamo (ivi in-clusa la nostra) non potranno sopravvivere. Perché proprio sei gradi non so. Ma è chiaro che il clima è già sbilanciato e che, quando un sistema di equi-libri si squilibra, scattano dinamiche ingovernabili e imprevedibili. Nessuno aveva previsto la subita-nea impennata di calore di quest'anno. Tutti pre-vedevano un crescendo più lento. Ma perciò il se-gnale di allarme è serio. La domanda ora è: che cosa possiamo fare per bloc-care una catastrofe ecologica? Ma prima dobbiamo eliminare le risposte irresponsabili di chi sostiene che non occorre fare nulla perché "tutto è norma-le", perché il clima della Terra è sempre stato cicli-co, oppure che non possiamo fare nulla perché i ci-cli di riscaldamento e di raffreddamento sono pro-dotti da cause naturali. Entrambe queste risposte sono ormai abbondante-mente confutate. I cicli naturali sono sempre stati a decorso lento, mentre noi stiamo subendo scon-volgimenti rapidissimi. Quanto alle cause naturali, la National Academy of Science degli Stati Uniti è perentoria: "Ogni suggerimento che il riscaldamen-to degli ultimi vent'anni sia prodotto da cause na-turali, e specialmente da un crescente irradiamento del sole..., è semplicemente non sostenibile". Allora, è sicuro che la causa primaria dello stravol-gimento del clima siamo noi. Sul come rimediare

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HOMO STUPIDUS STUPIDUS 9 5

globalmente (il problema è senza dubbio globale) ho scritto un libro che non saprei riassumere in poche righe. Qui importa sollecitare una presa di coscienza del problema e segnalare alcune cose che sono subi-tissimamente da fare. Cinque anni fa, proprio per Ferragosto, scrivevo un pezzo intitolato "La vergo-gna degli incendi". La vergogna è oggi più vergo-gnosa che mai. Gli incendi sono quasi tutti dolo-si. Ma non riesco a ricordare quanti fuochisti sia-no mai stati condannati ai 15-20 anni previsti dalla legge. Eppure, gli incendiari (e i loro mandanti) so-no tra i criminali più rovinosi e spregevoli di tutti. C'è poi il problema incalzante dell'acqua, che andrà sempre più a mancare. In Sicilia gli invasi non sono allacciati e al Sud gli acquedotti perdono per strada metà dell'acqua. Ma il governo punta su opere fa-raoniche (il ponte sullo Stretto di Messina) e non si cura di dissetare persone e terre. Intanto, al Nord si stanno liquefacendo i ghiacciai che alimentano d'e-state i fiumi. C'è qualcuno che propone qualcosa? No: ci limitiamo a pregare per la pioggia. Altro che Homo sapiens sapiens; siamo al cospetto dell 'Homo stupidus stupidus.

17 agosto 2003

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IL NEMICO NON È IL CONTADINO RICCO

Il vertice di Cancun della Wto (World Trade Or-ganization) è clamorosamente fallito. I new global e altri contestatori hanno gridato "vittoria", men-tre la Wto grida al disastro. Non capisco la vittoria, ma nemmeno il disastro. O meglio, il disastro non è tanto nel nulla di fatto di Cancun, quanto nelle teste disastrosamente arretrate dei signori che "si-gnoreggiano" i vertici sui destini del mondo. Prendo il caso cruciale, quello dell'agricoltura e spe-cialmente del grano. Sull'agricoltura il punto do-lente è che Stati Uniti ed Europa la sussidiano ro-bustamente. Questi sussidi hanno sinora portato a una sovraproduzione che viene poi smaltita nel Terzo mondo a prezzi stracciati (dumping). Ma se l'accusa è che così affamiamo i loro poveri, allora questa accusa è inesatta. In realtà, a questo modo i poveri ricevono cibo sottocosto. In realtà, i contri-buenti dei paesi ricchi pagano una tassa (comples-sivamente di circa 300 miliardi di euro) che aiuta gli affamati del Terzo mondo a sfamarsi.

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L'accusa corretta è che il nostro dumping strangola i contadini (i contadini, non i consumatori) dei pa-esi poveri. Questo è vero. Pertanto il dumping deve essere impedito (e ci sono almeno due modi di im-pedirlo). Ma se la richiesta dei paesi poveri è di eli-minare i sussidi, allora questa richiesta è non solo improponibile ma anche stupida. È improponibile perché l'Occidente è governato da democrazie che hanno il difetto di dover sottostare ai voti degli in-teressi agricoli. Ma soprattutto è stupida, è una ri-chiesta da incoscienti. Dove vivono i signori di Cancun? Non sanno che esiste un effetto serra che riscalda il nostro piane-ta, e che ne sta estremizzando il clima con effetti disastrosi anche e proprio sull'agricoltura? In Italia si prevede che la siccità di questa estate diminuirà i raccolti del 25 per cento, e in Ucraina addirittura del 75 per cento. Tutta l'Europa è, dove più dove meno, in queste condizioni. E si tratta di un trend negativo costante. Sono già tre-quattro anni che la produzione mondiale di cereali è in calo. Peggio an-cora, all'India e alla Cina mancherà presto l'acqua per irrigare. Altro che esportare! Dovranno dispe-ratamente cercare prodotti alimentari che rischia-no di non trovare. In nuce il problema è questo. Eliminare i sussidi si-gnifica, in Occidente, uccidere la propria agricol-tura. Pertanto per aiutare l'agricoltura dei pove-ri, Europa e Usa dovrebbero affossare la loro. Per-ché? Un suicidio è sempre difficile da giustificare.

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IL NEMICO NON Ì IL CONTADINO RICCO | 9 9

E non può essere giustificato se si tratta di un suici-dio esiziale per tutti. Perché l'agricoltura sussidiata dell'Occidente è la sola riserva alimentare (per tut-ti) in grado di resistere, forse, alle devastazioni cli-matiche. Ringraziamo che ci sia. E bene che a Cancun non si sia concluso nulla? Sì, date le premesse di cui sopra. Però sarebbe male pre-cipitare in un globalismo selvaggio e senza regole di scambio. E dunque dobbiamo tornare a negozia-re. Ma su premesse nuove e abbandonando la au-toflagellazione colpevolista nei confronti del Terzo mondo che oggi inebria il colto e l'inclita. I paesi ricchi sono tali per virtù e merito proprio, non perché hanno rapinato i paesi poveri. Que-sti ultimi sono poveri perché malgovernati e per-ché sovrappopolati. In secondo luogo, è sbagliato e ingiusto sputacchiare sulle cosiddette lobby degli agricoltori e su un protezionismo agricolo dichia-rato addirittura una "vergogna planetaria". I con-tadini non sono una lobby esattamente come non lo sono gli operai. Infine, eliminare i nostri conta-dini è abbandonare la campagna al dissesto idrolo-gico. Il contadino "salva la terra".

20 settembre 2003

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INQUINAMENTO DA IGNORANZA

Il fumo di sigaretta fa male ai polmoni? Certo che fa male. Ma è proprio sicuro che faccia male? No-vanta specialisti di malattie polmonari su cento ri-sponderanno di sì (mia stima), ma dieci risponde-ranno che la scienza deve sempre dubitare e quindi che loro non sono sicuri. D'altronde c'è anche chi sostiene che il fumo fa bene. Prenda e porti a casa, ministro Sirchia. Del pari, è proprio sicuro che le nostre città siano sempre più avvelenate da polveri sottili e quindi da uno smog urbano che ci fa respi-rare male? I soliti novanta risponderanno di sì; ma i soliti dieci risponderanno che proprio non si sa, vi-sto che le misurazioni sono lacunose e insufficienti. Il che è vero; ma non toglie che quando annuso l'a-ria di Città del Messico o di Pechino o di Calcutta, io annuso un'aria che puzza, che puzza senza om-bra di dubbio, che puzza anche se sono infreddato. L'ambientalista scettico (un certo Lomborg) ci fa sa-pere che però l'aria di Londra è migliorata. Sì, cer-

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to; proibito il carbone, a Londra si respira molto meglio. Ma Lomborg sorvola sul fatto che in mil-le e mille città di tutto il mondo (in Italia primeg-giano Roma, Milano e Napoli) la "gassificazione" è sempre più frequente. Come che sia, dal fumo ci possiamo salvare smettendo di fumare e dall'avve-lenamento urbano scappando in campagna. Resta però il problema dello sfascio ecologico del pianeta Terra. E dalla Terra, se butta male, non possiamo scappare. Ma è vero che butta male? E cioè è vero che l'inquinamento crescente dell'atmosfera da ani-dride carbonica e altri svariati gas produce un effet-to serra che riscalda la Terra e che di conseguenza modifica il clima, le piogge, le siccità e quant'altro? Oppure questo scenario è soltanto uno spauracchio agitato da allarmisti pagati da sinistri interessi? Secondo quasi tutti i competenti è molto verosimile. E questa volta la stima non è mia; è di Donald Ken-nedy, direttore dell'autorevole rivista Science, che scrive così: "Il 90 per cento della comunità scien-tifica è convinta della gravità della situazione am-bientale". La scienza è raramente unanime; ed è bene che non lo sia. Però è unanime nel sostenere che la Terra non è quadrata ed è sicuro che l'acqua è un com-posto di idrogeno e di ossigeno. E in ogni caso la scienza è governata dal consensus scholarum, che va-ria nel tempo e che può anche essere sbagliato. Ma la scienza che sbaglia può soltanto essere corretta e modificata dal processo e dal metodo scientifico.

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INQUINAMENTO DA IGNORANZA | 1 0 3

In un mondo serio di persone responsabili dovreb-be essere così. E dovrebbe essere così soprattutto quando è in gioco il destino della Terra e, con es-so, il nostro destino. Ma il nostro è diventato un mondo nel quale im-perversano i fattucchieri, i ciarlatani e i furbacchio-ni. Secondo Martin Rees, una autorità internazio-nale di cosmologia, il nostro secolo potrebbe essere "finale" nel senso che esiste una probabilità su due che tra cento anni la razza umana faccia la fine dei dinosauri. Colpa del sole? No. Secondo la National Academy of Sciences degli Stati Uniti l'ipotesi che il riscaldamento degli ulti-mi vent'anni dipenda da cause naturali "è sempli-cemente insostenibile". Dunque colpa dell'uomo. Ma secondo Rocco Buttiglione (l'altro giorno in tv) queste sono tutte "bugie della tribù ecologista". Come lo sa? Lo sa perché Buttiglione ha già letto Crichton. E chi è Crichton? E un romanziere di thriller, di fantascienza pseudo documentata. Negli Usa non c'è gruppo di scienziati di rilievo che non lo abbia già duramente condannato. Ma lui vende decine di milioni di copie, e poi lo sostiene Mur-doch e da noi il filosofo del Papa. Grazie per l'aiu-to a farci finire tutti male.

16gennaio 2005

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CRICHTON, KYOTO E I LIETOPENSANTI

Da parecchi anni il giro dell'agosto è per me il gior-no del rendiconto ecologico. Come sta la salute del-la Terra? Come andiamo con l'ambiente, con l'in-quinamento atmosferico, con il clima, con l'esauri-mento delle risorse? Va da sé che su tutto il fronte andiamo peggio. Va da sé perché non vogliamo né vedere né affrontare la realtà. Si, finalmente il Protocollo di Kyoto è diventa-to operativo. Applaudo perché qualcosa è sempre meglio che nulla. Ma i rimedi di Kyoto sono lar-gamente insufficienti. Eppure il texano tossico, il Presidente Bush, non solo continua a rifiutarli, ma si ingegna anche a sabotarli accordandosi con In-dia, Cina e una manciata di altri paesi su una co-siddetta "soluzione alternativa" (lo sviluppo di al-te tecnologie pulite) che però non viene seriamente finanziata e che comunque non sarebbe alternativa ma complementare.

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Un'altra buona notizia è che la comunità scienti-fica è sempre più convinta e concorde nel denun-ziare la gravità della situazione e che, correlativa-mente, le voci dei lietopensanti che ci raccontano che tutto va bene sono sempre più fioche e sem-pre più contraddette da valanghe di dati, da valan-ghe di smentite. Però, però. Tre anni fa i lietopen-santi sono stati rassicurati dalle balordaggini di un certo Lomborg (sconfessato dai suoi stessi colleghi della "Commissione danese sulla disonestà scien-tifica"); e quest'anno fa già furore il romanzo Sta-to di paura di Crichton, la cui tesi è che il riscal-damento globale è l'invenzione di scienziati e gior-nalisti al servizio di interessi politici ed economici il cui proposito è di preservare "i vantaggi politici dell'Occidente e favorire il moderno imperialismo nei confronti dei paesi in via di sviluppo". Questa è soltanto una tesi dogmatico-marxista rispolvera-ta negli anni '70. Ma se un logoro vetero-marxismo viene rimesso a nuovo da un autore di thriller che sa vendere milioni di copie, allora "l'imbroglio an-ti-ecologico" riprende fiato. Il guaio è che sul drammatico problema della "Ter-ra che scoppia" (di sovrappopolazione) e che si au-todistrugge, i media, gli strumenti di informazio-ne di massa, non mobilitano l'opinione e non si impegnano più di tanto. Forse perché sono frena-ti da una colossale rete di interessi economici tutta progettata e proiettata nell'assurdo perseguimento di uno sviluppo illimitato, di una crescita infinita.

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CRICHTON, KYOTO E I LIETOPENSANTI 1 0 7

Comunque sia, il fatto dell'anno è che su questo cieco "sviluppismo" sta cadendo addosso una bel-la tegola. In questi giorni il costo del petrolio greg-gio si è avvicinato ai 70 dollari, e quindi al record massimo di un quarto di secolo fa di 80 dollari (costo ragguagliato a oggi) che produsse allora una grave crisi di stagflazione. Cosa succede? Il petro-lio sta diventando scarso? Per il grande (ciarlatano) Lomborg non sarebbe possibile: lui ci assicura ri-serve per 5-000 anni. Ma anche i petrolieri ci rassi-curano: abbiamo riserve per 50 anni (due zeri me-no di Lomborg) e la stretta è colpa degli impianti di raffinazione. Ma a parte il fatto che 50 anni sono pochissimi, questa tranquillizzazione è un inganno. Nei pros-simi venti anni la popolazione sarà ancora in au-mento (quest'anno, saremo ancora 70-75 milioni in più), e si prevede che il fabbisogno energetico mondiale - con lo sviluppo dell'India e della Ci-na - crescerà del 50 per cento. Per questo rispet-to siamo già allo stremo. Il campanello d'allarme è squillato dal 1980. E noi cosa abbiamo fatto e stia-mo facendo? Ancora niente. Leggiamo e arricchia-mo Crichton. Bravi, bravi.

17 agosto 2005

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IL MERCATO NON CI SALVERÀ

Il terribile uragano che ha distrutto New Orleans ha anche colpito le piattaforme di estrazione del petrolio del Golfo del Messico facendone schizza-re il prezzo a 70 dollari. Ma era già arrivato a 65-67, dai 25-30 dollari degli anni scorsi. E sotto Ferragosto ricordavo che il campanello di allarme sui costi e sulla scarsità del greggio risale a 25 anni fa (se non addirittura al 1973) e che da al-lora non si è fatto nulla, quasi nulla, per rimedia-re. Perché? Siamo soltanto stupidi e miopi? Non si sbaglia mai a rispondere che lo siamo. Ma questa miopia e il nostro non-fare sono giusti-ficati da un alibi: il mercato. È il mercato — ci vie-ne spiegato da mattina a sera — che con i suoi au-tomatismi provvede a tutto. Guai a far intervenire la nostra "mano visibile". Dobbiamo invece lasciar fare alla "mano invisibile", appunto San Mercato (oppure, per i laici, a Sua Maestà il Mercato).

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Qualche mese fa VEconomist dava larga evidenza e credito a un saggio di due americani che si intito-la "Morte dell'ambientalismo", la cui tesi è che un ambientalismo antiquato (nei suoi concetti e me-todi) va rilanciato, appunto, dal mercato e dall'ot-timismo. Sì, anche dall'ottimismo. "Pensate — scri-vono — se Martin Luther King invece di dire "ho un sogno" avesse detto "ho un incubo". Pensa e ri-pensa, io non ci arrivo. Anche io (da ambientalista) ho il sogno di salvare l'ambiente; e ce l'ho proprio perché sono assillato dall'incubo di vederlo distrut-to. Il sogno non sostituisce l'incubo; lo presuppone. Sciocchezzaio ottimistico a parte, il punto è quan-to possa fare, in questa partita, il mercato. Sia chia-ro: la concorrenza di mercato è uno strumento in-sostituibile per la determinazione dei costi e dei prezzi. Senza mercato (vedi la pianificazione sovie-tica) un sistema economico diventa anti-economi-co. Ciò detto, Sua Maestà il Mercato non è un mec-canismo salvatutto. Il caso del petrolio è esemplare. Oggi come oggi il petrolio fornisce il 70 per cen-to dell'energia usata nei trasporti. Domanda: ben-zina e diesel derivati dal petrolio sono sostituibili? La risposta è: in non piccola misura, sì. Sono sosti-tuibili con l'etanolo ed equivalenti ricavati da pian-te zuccherine (anche barbabietola, girasole, mais); prodotti che hanno l'ulteriore pregio di essere "pu-liti". Però a tutt'oggi il solo paese che produce olio combustibile e benzina da vegetali è il Brasile. Al-trove niente. Niente perché il mercato decreta co-

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IL MERCATO NON CI SALVERÀ 111

sì, perché ai prezzi di ieri il petrolio costava meno. Ma ai prezzi di oggi, e peggio ancora, di domani? A questo effetto San Mercato ci lascia pericolosa-mente a terra. II guaio è che il mercato "vede corto", che non ha progettualità. Il che lo rende inidoneo, e contro-producente, nel fronteggiare il futuro. Il mercato ha anche altri limiti. Ma, restando al tema, l'idea di affidare le nostre speranze - il "sogno" degli sce-motti che citavo - un'analisi (di mercato) di costi-benefìci è davvero peregrina. Perché il mercato non calcola e non sa calcolare il danno ecologico. Se ab-batto alberi, il mercato contabilizza soltanto il co-sto di tagliarli, non il danno prodotto dall'abbat-timento delle foreste. Se surriscaldiamo l'atmosfe-ra, il mercato registra, tutto giulivo, solo un boom di condizionatori d'aria. Per questo rispetto, Dio ci liberi da San Mercato. Il nostro pianeta non sa-rà salvato "a costi di mercato"; dovrà essere salvato costi quel che costi.

3 settembre 2005

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L'ENERGIA DIMENTICATA

L'ondata di freddo polare, o meglio siberiano, ha fatto scoprire al grosso pubblico che ci scaldiamo a miracolo. E in precedenza le canicole estive ci han-no fatto scoprire che non abbiamo sufficiente ener-gia elettrica per raffreddare le nostre case. Ogni vol-ta è lo stellone che ci deve salvare. Il guaio è che, passate le emergenze, il buon "popolo bue" se ne scorda; ma se ne scorda anche perché nessuno gli spiega che cosa si possa e debba fare per rimediare. Per il Potere (tutto quanto, ad oggi senza gran dif-ferenza tra destra e sinistra) questi sono problemi da oscurare. Anche perché il Potere si illude — non sa-pendone niente — che se ne andranno come vengo-no. Poveretti. E anche, di conseguenza, poveri noi. Cominciamo dai dati e dal metano. Noi lo impor-tiamo dall'Algeria, dalla Libia e dalla Russia. Dal-la Russia soltanto per un quinto del nostro fabbi-sogno. Eppure basta un calo di consegna del 3 per cento (ma con punte anche del 13 per cento) per

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metterci in crisi. In questo momento le scorte ope-rative sono ridotte da 8 a 1,5 miliardi di metri cubi, e la riserva strategica residua di 5 miliardi di metri cubi ci può bastare, leggo, soltanto per 15 giorni. Lo sapevate? Il "popolo bue" certo no. Ma proba-bilmente nemmeno Berlusconi. A lui premono so-lo cose sbandierabili come il ponte di Messina. Se poi ci mancherà il metano la colpa non sarà della sua imprevidenza ma della Russia. E poi lui potrà rimediare con una telefonata all'amico Putin. Passiamo all'elettricità. Avendo rinunziato al nucle-are siamo costretti a comprare a caro prezzo (e con grave danno del nostro sistema industriale) l'ener-gia elettrica dalla Francia, che poi la produce (iro-nicamente) con centrali nucleari. E anche su questo fronte i nostri margini di tenuta sono risicatissimi. Se manca il metano e accendiamo le stufe elettriche rischiamo un blackout da sovraccarico. Così come lo rischiamo, in estate, se le nostre centrali idroelettri-che sono messe in difficoltà dalla siccità o se accen-diamo troppo, per il troppo caldo, i condizionatori. Resta il petrolio, l'oro nero. Noi lo riceviamo in larga misura dal Medio Oriente, un'area altamen-te inaffidabile; e per di più comincia a costare più dell'oro giallo. Dai 20-25 dollari al barile siamo le-stamente saltati a 60-70, e qualcuno prevede che si arriverà a 100. In ogni caso il petrolio è scarso e lo diventerà sempre più. Le stime sono che nei prossi-mi 25 anni il fabbisogno energetico mondiale cre-scerà del 60 per cento. Fornito da cosa? Se dal car-

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L'ENERGIA DIMENTICATA | 115

bone, ne può risultare un inquinamento letale. Se dal petrolio, non ce n'è abbastanza. Come s'intende siamo al cospetto di urgentissimi problemi di vera e propria sopravvivenza. Eppure il più durevole e "maggiorato " governo della no-stra storia non ha alzato nemmeno un dito per af-frontarli. Il governo Berlusconi ha soltanto sotto-scritto gli accordi di Kyoto, e da allora li ha viola-ti. Ma nemmeno Prodi dà mostra di interessarsene davvero. Mesi fa (il 3 settembre) ricordavo che ben-zina e gasolio derivati dal petrolio sono sostituibi-li o comunque integrabili con l'etanolo e altri bio-carburanti ricavati da piante zuccherine facilmente coltivabili. La tecnologia per la produzione di bioe-nergia è perfettamente a punto (il Brasile la svilup-pa da 80 anni), il prodotto è "pulito" (non produ-ce anidride carbonica), e così si salverebbe anche l'agricoltura europea. Allora, perché non ci siamo ancora mossi? È tardi per chiederlo a Berlusconi. Ma a Prodi siamo an-cora in tempo a chiedere quale sarà il suo proget-to energetico. Dico sarà perché dal patto di gover-no dell'Unione presentato oggi a Roma al teatro Eliseo risulta che il pensatoio prodiano all'energia non ha pensato a fondo. Pensato sul serio, intendo.

11 febbraio 2006

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PIÙ ENERGIA E PIÙ COERENZA

I due interventi - per i quali ringrazio — del ministro delle Attività produttive Claudio Scajola, e dell'e-stensore "energetico" del programma prodiano, Giu-seppe Vatinno, pubblicati ieri sul Corriere in rispo-sta al mio pezzo su "L'energia dimenticata" (di sa-bato 11), si cancellano un po' l'uno con l'altro. Ma sottolineano anche — involontariamente — quanto il problema sia stato sottovalutato in passato e reste-rà sottovalutato, si direbbe, in futuro. Vatinno mi assicura che il programma energetico dell'Unione è stato "pensato a fondo" per tre anni più sei me-si. Non ne dubito, ma non si nota. Intanto, in un programmone di ben 281 pagine, la parte del pro-gramma energetico è in tutto di pagine 4, dico 4. Il meno che si possa dire è, allora, che il tema dell'e-nergia non è per Prodi e il suo pensatoio un caval-lo di battaglia. Mentre lo poteva essere, visto che a tutti gli italiani interessa molto, moltissimo, di ave-re l'elettricità, riscaldamento e benzina.

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La seconda osservazione è che la parola "etanolo" nemmeno compare nel vostro testo. Per voi questa entità — che potrebbe ridurre il nostro fabbisogno di petrolio del 25 per cento — nemmeno esiste. Nel testo dell'Unione trovo invece la parola "biomas-sa". Ma siccome non è pensabile che questa fonte d'energia possa sostituire l'etanolo, la conclusione è che proprio non ci siamo. Vatinno mi fa anche torto quando scrive che il mio è "il solito attacco al pro-gramma energetico dell'Unione". No, è il primo. Quando a settembre entrai nell'argomento etanolo non potevo menzionare un programma che non c'e-ra. Speravo, è vero, che qualcuno mi leggesse e tro-vasse l'idea, anche elettoralmente, una buona idea. Figurarsi. Dimenticavo che i pensatoi devono pen-sare e non hanno tempo di leggere. Tantovero che Vatinno mi insegna, con benevola sufficienza, che lo sviluppo economico "dicesi sviluppo sostenibi-le". Sì, lo so, come risulta da un volumetto Sartori-Mazzoleni che si intitola La Terra scoppia: sovrap-popolazione e sviluppo. Ma che questo scritto gli sia sfuggito è male solo per me. E male anche per lui, però, che gli sia anche sfuggito che al dipartimen-to di Chimica dell'Università di Ferrara - addirit-tura a due passi — esiste un professor Giorgio Man-tovani che di bioetanolo sa moltissimo. Passo al ministro Scajola che ha senza dubbio ragio-ne sul punto che il "partito del no" non è trasversa-le ma sta a sinistra. Per Scajola sta tutto a sinistra; io mi permetterei di correggerlo dicendo che sta so-

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prattutto a sinistra. Sugli impianti eolici ho anch'io i miei dubbi (e condivido quanto ha scritto in pro-posito Carlo Ripa di Meana, Presidente di "Italia Nostra" sul Corriere dell'altro giorno). Ma il caso eclatante e non scusabile è quello di Nichi Vendola che blocca addirittura il terminale di rigassifìcazio-ne del metano liquido (congelato) in quel di Brin-disi. E una vergogna che non ha nessuna giustifi-cazione ecologica. Il caso Marrazzo è diverso. Perché Marrazzo ha an-che sottoscritto un protocollo di intesa tra Regione Lazio e Coldiretti per la coltivazione di 100.000 et-tari a girasole per produrre, entro il 2008, 100.000 tonnellate di biodiesel. Dopodiché, e purtroppo, ha cancellato con la mano sinistra il benfatto del-la sua mano destra, bloccando la riconversione a carbone della centrale elettrica di Civitavecchia. Il carbone non piace neanche a me. Però c'è carbo-ne e carbone, sporco e pulito (abbastanza pulito). I trinariciuti che si tingono (abusivamente) di ver-de bocciano sempre senza distinguere. Ma noi sia-mo allo stremo. E qui la sinistra non è affatto una-nime nel suo no. Avendo concesso a Scajola che il suo punto forte è forte, resta vero, mi sembra, che il bilancio com-plessivo dei cinque anni del governo Berlusconi è negativo. Abbiamo un solo «gassificatore del meta-no che risale agli anni '60. Gli altri due "approvati" (oltre Brindisi) vanno a rilento, nessuno li spinge. Nel contempo le emissioni di gas serra non sono

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diminuite, come richiesto dal Protocollo di Kyo-to, ma aumentate del 13 per cento. E Berlusconi sul fronte delle bioenergie rinnovabili ha ignorato i girasoli e ha solo "avviato" il quasi nulla. Certo dobbiamo chiedere al centrosinistra come intende riscaldare le nostre case e alimentare le no-stre aziende. Ma al contempo dobbiamo constatare che sul punto il consuntivo del centrodestra è sta-to fallimentare. L'aria che respiriamo è sempre più sporca e pericolosa per il clima; e ieri siamo arriva-ti a dover intaccare addirittura le riserve strategiche di metano. Riserve calcolate per garantire punte di un consumo annuale di 60 miliardi di metri cubi, mentre nel 2005 siamo già arrivati a 84 miliardi. E questa è una irresponsabile negligenza dei cinque anni berlusconiani. Non di altri.

15 febbraio 2006

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L'INTELLIGENZA CRESCE O DECRESCE?

Leggo che uno studio di una Università americana scopre che noi — noi genere umano — stiamo diven-tando non solo più longevi, più alti, più belli, ma anche più intelligenti. Questa proprio non me l'a-spettavo. Ho sempre considerato Aristotele intel-lettualmente imbattibile, anche se vecchio di più di duemila anni. Confucio, ancora molto più antico, resta forse il più saggio di tutti i saggi. Quando il Medioevo tornò a scoprire gli antichi li vide come giganti i cui successori erano al paragone dei nani; e nel chiedersi come loro, i nani, potevano essere "all'altezza" escogitarono il rimedio di arrampicarsi sulle spalle, o anche sopra la testa, dei giganti. Solu-zione ingegnosa che però non ci è più di aiuto, vi-sto che la rivoluzione giovanile, o giovanilista, del '68 ha cancellato i giganti e interrotto la trasmis-sione culturale tra il passato e il presente. Tornando al punto, la questione dipende da come l'intelligenza viene definita; e per l'appunto il con-

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cetto di intelligenza sfugge quasi più di ogni altro al nostro intelligere. Se ne possono dare diecine e diecine di definizioni (nonché centinaia di misu-re). Nulla di male, perciò, se in questo mare ma-gno propongo questa mia definizione: una persona è intelligente (potenzialmente, in nucé) se sa ricono-scere e apprezzare l'intelligenza di un altro. Se no, è stupida. Carlo Maria Cipolla in un suo delizioso divertissement stabilisce che lo stupido è chi fa non soltanto il male degli altri ma, senza volerlo, anche il male proprio. Parallelamente direi così: lo stupi-do non individua il non-stupido, e quindi non ha motivo di ascoltare nessuno né di dar retta a nes-suno. Essendo stupido sa già tutto da sé; e semmai l'intelligente è lui. Dunque basta cambiare definizione per cambiare il discorso che ne discende. E certo la mia definizione già mette di per sé in serio dubbio la tesi della "in-telligenza crescente". Ma la tesi contraria dell'intel-ligenza decrescente" è anche sostenuta da forti pro-ve. La prima è nel mio argomento su\YHomo videns che soppianta l'Homo sapiens sapiens confinando-lo al piccolo mondo delle cose visibili, rendendo-lo incapace di astrazione, e anche ormai di capacità di concentrazione. (I nostri ragazzi non sanno stare attenti per più di 15 minuti e sfuggono al loro ta-edium vitae con un incessante divagare e svagarsi.) C'è poi, in secondo luogo, il gravissimo problema di come il pianeta Terra possa sostenere più di sei miliardi di viventi (ancora in forte crescita) senza

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collassare. Questo collasso è evidenziato dal fatto che respiriamo aria sempre più avvelenata, che la Terra è sempre più scaldata (assieme ai mari) dai gas serra che immettiamo nell'atmosfera, che il cli-ma sta pericolosamente cambiando, che l'acqua è sempre più scarsa (così come lo sono le risorse ener-getiche), e così via. Eppure i più - ancora moltissi-mi — di questa imminente catastrofe ecologica se ne infischiano. Se ne infischiano perché non ascolta-no e non danno credito agli scienziati e agli esperti che in grandissima maggioranza denunziano que-sta situazione. Il che equivale a dire, per la mia de-finizione, che siamo stupidi, e anzi più stupidi che mai vista l'enormità del problema. Oggi, Ferragosto, è il grande giorno di festa-vacan-za nel quale fuggiamo la città, cerchiamo il mare, la montagna, la campagna. Il mezzo dell'agosto è un momento di ritorno alla natura. Ma se davvero amiamo la natura, allora lo dobbiamo dimostrare con il proponimento di esserne amico e non nemi-co, con il proponimento di salvarla. Tra l'altro, sal-vare madre natura — la Terra - è salvare noi stessi. Oppure siamo tanto stupidi da scoprire che siamo morti solo quando lo siamo già?

15 agosto 2006

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EFFETTO SERRA E CONTEGGI FAO

Qualche sassolino dalle scarpe ogni tanto ce lo dob-biamo levare, sennò il male ai piedi diventa insop-portabile. L'occasione me la dà il summit mondia-le di Nairobi sul clima, organizzato dall'Onu con tanto di seimila delegati. Qualcuno forse ricorde-rà che ho sollevato il problema del riscaldamento della Terra e delle sue catastrofiche conseguenze sul clima cinque anni e qualcosina fa, e che per an-ni sono restato una Cassandra pressoché solitaria. I più (parecchi) mi sono saltati addosso sul punto che mancava la prova, che non era dimostrato che quel riscaldamento fosse da addebitare all'effetto serra dell'anidride carbonica. Un illustre tributarista dell'Università di Pavia, il professor Gerelli, mi ha così demolito: "È oramai provato che le previsioni catastrofiche sono articolo di fede, non di ragione". Siccome non mi era mai ca-pitato di essere accusato di fideismo, ci restai di sasso. Per altri il problema era posto dai paesi ricchi che in-

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quinavano di più. Noto con soddisfazione che il pri-mo gruppo di critici alla Gerelli è diventato sempre più smilzo e silenzioso. Noto con eguale soddisfazio-ne che anche al secondo argomento sta mancando il terreno sotto i piedi. Scriveva Massimo Fini: "Non sono i 5 miliardi di uomini del Terzo mondo a pro-vocare i disastri e l'inquinamento indicati da Sarto-ri, ma il miliardo che vive nei paesi industrializzati". Ma la diseguale distribuzione delle colpe non toglie che il totale sia in costante, esiziale aumento. E poi Cina e India stanno già per sorpassare, come inqui-natori, i peccatori del passato. Difatti a Nairobi del-le due suddette sciocchezze non si parla più. La dia-gnosi, e anche la prognosi, è come dicevo. Eppure la terapia non si muove, per quanto sia ur-gentissima. Il summit di Nairobi si è concluso con un rinvio al 2007 per il "Kyoto plus" (tagli crescen-ti alle emissioni di gas serra per il 2013-2020, con l'obiettivo ultimo di arrivare dal 5 al 50 per cento nel 2050), e un rinvio al 2008 per affrontare il no-do cruciale: se i tagli possono e debbono essere vin-colanti. Un grossissimo nodo perché gli Stati Uni-ti sono ancora schierati per tagli volontari, e Cina e India rifiutano qualsiasi disciplina. Il segretario generale dell'Onu Kofi Annan dichiara che il pro-blema è "la spaventosa mancanza di leadership". Certo. Ma lo sono ancor più la spaventosa cecità o ipocrisia che ci vietano di riconoscere che la causa ultima, la causa di fondo, del disastro ecologico è la sovrappopolazione.

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EFFETTO SERRA E CONTECCI FAO | 127

Passo al secondo sassolino. Poco tempo fa è sta-to presentato il rapporto Fao (l'organizzazione per cibo e agricoltura dell'Onu che siede a Roma) nel quale l'inossidabile direttore generale, il senegalese Diouf, ci fa sapere che stiamo perdendo la guerra alla fame. Vero. Ma era vero anche nel 2002, quan-do il rapporto Diouf prometteva di ridurre - fer-mo restando il suo bilancio — gli affamati del mon-do di 6 milioni l'anno rispetto a un totale di 800 milioni. Scrivevo allora che i dati Fao erano sicu-ramente sbagliati o falsi, e che la previsione che nel 2030 (quando proprio per la Fao saremo, preve-dibilmente, due miliardi in più di oggi) quel tota-le "sarà dimezzato", costituiva una "strana aritme-tica". Passano solo quattro anni e Diouf ci comu-nica che i sottonutriti sono diventati 854 milioni. Dunque non 6 milioni in meno, ma 6 milioni in più l'anno. Allora, quando contestavo le statistiche della Fao, nessuno mi rispose. Ora viene fuori che Diouf sbaglia tra sottrazione e addizione, tra il se-gno meno e il segno più. Liberarmi di questo sas-solino non dà soddisfazione nemmeno a me. Ma se costringesse la Fao a rendere controllabili i suoi fantasiosi conteggi sarebbe già un passo avanti.

22 novembre 2006

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I GLOBALISTI SONNAMBULI

C'era una volta l'uomo universale che sapeva di tut-to. Poi le cose da sapere sono diventate troppe, e man mano l'uomo universale è stato sostituito dal-. 10 specialista. Però per qualche secolo lo speciali-sta è restato curioso, si guardava intorno, era "aper-to". Invece oggi gli specialisti sono "chiusi": san-no sempre di più su sempre meno e meno. Oramai ciascuno si inscatola, si chiude in una scatola sen-za finestre. E questa chiusura si applica anche agli "importanti" in generale: banchieri, imprenditori, amministratori di multinazionali. Il mondo econo-mico-finanziario è diventato globale; ma i globali-sti che lo viaggiano sono anch'essi debitamente in-scatolati, e lo viaggiano come sonnambuli. Ci raccontano che tra dieci-venti anni la Cina sarà 11 massimo potere mondiale, con l'India al secondo posto, e intanto si buttano sulla Cina e dislocano i servizi in India. E fin qui vedono bene, a corto pe-riodo, perché lo sviluppo della Cina, specialmente

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della Cina, è straordinario. Ma è sostenibile? Può durare? E qui i sonnambuli non ci vedono più. Si inscatolano nei loro calcolini numerici, e così igno-rano tutto il resto, che è di gran lunga il più. Alla metà di questo secolo i cinesi dovrebbero essere 1,5 miliardi, e lo stesso gli indiani. Ma questi 3 miliar-di (ai quali possiamo aggiungere, con ulteriori 1,5 miliardi, gli africani) come li nutriamo? E una do-manda che non scuote i sonnambuli. Per loro la ri-sposta è ovvia: coltiveremo di più. Ma come facciamo se già oggi l'acqua sta venendo a mancare? In Cina il fiume Giallo è allo stremo, in India il Gange è un liquame che arriva a mala-pena al mare. Ovunque l'agricoltura è sempre più irrigata da acqua di falda, e le falde scendono pau-rosamente di anno in anno. Le statistiche dell'Onu ci dicono che ogni 20 secondi un bambino muore ucciso da acqua inquinata, e che più di un miliar-do di persone non hanno accesso all'acqua potabi-le. Oggi. Ma tra poche decine di anni potrebbe es-sere che ogni secondo muoiono 200 bambini, e che altrettanti adulti muoiono sterminati dalle carestie. Dunque, già oggi consumiamo molta più acqua di quanta ne riceviamo dal cielo, dalle piogge. Questo è un dato certissimo. Aggiungi il cambia-mento del clima dovuto al riscaldamento della Ter-ra. Non entro nelle tante, drammatiche conseguen-ze dello sconvolgimento climatico in corso. Tra queste, il fatto che non pioverà più (a sufficienza) dove piove adesso, e quindi dove fiorisce l'agricol-

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tura, e che invece pioverà dove non serve, dove non fiorisce un bel nulla. Nell'area mediterranea il no-stro Sud rischia la desertificazione e il nostro Nord è esposto a prolungata siccità. Esempi a parte, sia-mo esposti ovunque a siccità devastanti, che ovvia-mente sono molto più disastrose e letali nei paesi ad alta densità di popolazione agricola (appunto, Cina e India). Il pianeta Terra rischia una terribile crisi idrica e alimentare, ma di tutto questo il nostro sonnambu-lo globale non sa e non vuole sapere nulla. Vener-dì scorso, a Parigi, 500 qualificati climatologi han-no concluso il loro lavoro di sintesi dei dati raccol-ti da 2.500 esperti, asserendo che al 95 per cento il disastro climatico è opera dell'uomo. I sonnambuli finora se la sono cavata dicendo che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati, e che noi non ci possiamo fare niente. Invece no, invece è falso. Questa volta, e per la prima volta, tutte le colpe sono nostre. Niente più balle. I sonnambuli si devono svegliare. E la Cina non sarà l'Eldorado.

7 febbraio 2007

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UNO SVILUPPO NON SOSTENIBILE

La Terra è ammalata, il clima è impazzito, le risor-se si assottigliano. Pian piano (troppo piano) se ne stanno accorgendo un po' tutti. Ma la gente non vuole sapere; vuole sperare. E così la gente "rimuo-ve" le cattive notizie. Chi ne dà notizia è un cata-strofico, un apocalittico, e magari anche un uccello di malaugurio. Ma se una cattiva notizia è vera, al-lora è vera. Ed è purtroppo vero - la scienza è pres-soché unanime nel certificarlo — che siamo al co-spetto di una catastrofe ecologica che andrà a ren-dere invivibile anche la vita dell'uomo. Comincio dalla notizia più sconfortante: che i più indifferen-ti al loro stesso destino sono i giovani. Gli spregiati anziani si battono, in definitiva, per le generazioni future (al momento della resa dei conti loro, gli an-ziani del Duemila, non ci saranno più). Ma i giova-ni se ne sbattono, non gliene frega niente. Il documentario americano di Al Gore, Una veri-tà scomoda, sul riscaldamento globale è stato visto

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da molta gente; ma, a quanto pare, da un pubbli-co tutto al di sopra dei 40 anni, nessuno, o quasi, sotto. Il cosiddetto popolo di Seattle gira il mondo diffondendo sciocchezze sul capitalismo e sulla glo-balizzazione, senza capire che la loro causa dovreb-be essere di salvare la Terra e, con essa, se stessi. Pe-rò anche tra i quarantenni in su l'istinto è di "struz-zeggiare". Anche se l'evidenza scientifica sul collasso ecologico è ormai schiacciante, per il grosso pubbli-co ogni pretesto è buono per non crederci. Il dibat-tito si svolge su tre fronti: 1) la fallibilità delle previ-sioni, 2) l'incertezza sulle cause, e quindi sulle "col-pe", 3) l'efficacia dei rimedi. Se queste tre indagini vengono pasticciate, allora "l'ambientalista scetti-co" ha buon gioco nel far confusione. Ma se vengo-no separate, allora si vede subito che bara al gioco. 1. Nelle previsioni bisogna distinguere tra prevede-re un trend, una linea di tendenza, e prevedere una scadenza. Le previsioni sbagliate sono quasi sem-pre le seconde. Il che non vuol dire che siano sba-gliate per eccesso di pessimismo. Al momento ri-sultano semmai sbagliate per ottimismo. Per esem-pio, la Terra si sta scaldando più rapidamente del previsto. E lo stesso vale per l'esaurimento del pe-trolio, che potrebbe avvenire anzitempo. Invece la previsione di un trend è raramente sbagliata. Per-ché in questo caso non anticipiamo il "quando" di un evento, ma che avverrà. E il punto è che lo sba-glio cronologico (di date) non scredita la credibili-tà di un andamento.

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2. In materia di spiegazione causale, l'ambientali-sta scettico ci racconta che le oscillazioni climati-che ci sono sempre state, e quindi che sono causa-te da fattori naturali e astronomici che sfuggono al nostro controllo. Se così fosse, saremmo impoten-ti. Ma per fortuna non è così. Nell'ultimo milione di anni i cicli glaciali sulla Terra si sono ripetuti per durate medie di 100.000 anni; e la più recente "pic-cola era glaciale" copre un periodo di circa 500 an-ni con un massimo di raffreddamento tra il 1645 e il 1750. E questi richiami fanno già intravedere ra-dicali differenze tra quei passati e il nostro presen-te. Il nostro cambiamento è velocissimo e cumula-tivo, il che induce a sospettare uno sviluppo linea-re "senza ritorno ", e cioè senza ciclicità. A conferma basta la logica, l'argomento che i fatto-ri scatenanti dell'inquinamento dell'atmosfera e an-che del suolo non esistevano in passato. L'inquina-mento industriale, l'inquinamento da automobili, l'inquinamento da produzione di energia, e così via, sono una novità assoluta. Inoltre il problema non è soltanto un inquinamento riscaldante, ma anche un rapido esaurimento delle risorse, ivi incluse le risorse rinnovabili. Il nostro è ormai uno "svilup-po insostenibile ", tale perché l'uomo consuma le risorse rinnovabili della Terra — specialmente l'ac-qua e il cibo — a un ritmo che già supera del 20 per cento la capacità che ha la Terra di rigenerarle. Un ritmo che ha tutte le minacciose sembianze di una crescita esponenziale (come nella sequenza aritme-

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tica 1, 2, 4, 8, 16...). Dunque che la nostra cata-strofe ecologica sia causata da fattori cosmici non è soltanto smentito da tutta la scienza seria e dai mi-lioni di dati che ha raccolto, ma risulta anche una tesi del tutto implausibile a lume di logica. 3. Veniamo ai rimedi. Ovviamente i rimedi dipen-dono dalle cause, e cioè dalla malattia che li richie-de. Altrettanto ovviamente molti rimedi non ri-mediano: sono sbagliati o comunque insufficienti. L'aspirina non cura la polmonite. L'acqua è un ri-medio per la sete ma non per la fame. In gergo tec-nico le cause sono chiamate variabili indipendenti, che possono essere tantissime (multicausalità). Inol-tre una variabile indipendente può risultare dipen-dente da una variabile che la precede. Ma niente paura. Il groviglio viene semplificato se ci chiedia-mo: qual è la variabile primaria che sta a monte di tutte le altre? E cioè la variabile che più e meglio fa variare tutte le altre? A mio avviso è la variabile de-mografica, la "bomba demografica", e cioè l'esplo-sione della popolazione. In un solo secolo la popo-lazione si è più che triplicata. Sono passate dieci-mila generazioni per farci arrivare a 2 miliardi di essere umani. Oggi siamo 6 miliardi e mezzo; e tra 50 anni potremmo essere 9 miliardi. Follia. Si ri-sponde che ci salverà la tecnologia. Forse. Ma for-se no. Perché un effetto collaterale della tecnologia è di aggravare il danno. L'uomo dell'età tecnologica ha, rispetto ai suoi an-tenati, un potere cento volte superiore (dico a ca-

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so) di danneggiare il suo habitat. Oggi ogni perso-na in più dei paesi sviluppati o in rapido sviluppo (Cina inclusa) inquina ed esaurisce le risorse natu-rali (mettiamo) 50 volte di più di un uomo di cin-quecento anni fa. Comunque, ammettiamo — ot-timisticamente - che la tecnologia ci possa salvare. Ma questa speranza è sottoposta a una condizione tassativa: fermare, e anzi fare retromarcia, sulla cre-scita della popolazione. Volendo, è l'intervento più facile e indolore: basta promuovere con risolutezza l'uso dei contraccettivi. Già, volendo. Senonché la Chiesa cattolica (non le altre religioni) non vuole, il piissimo Presidente Bush non vuole, e i demografi (assieme a molti economisti) vogliono sempre più bambini per alimentare le pensioni. Si può essere più irresponsabili e dissennati di così? Non volere i contraccettivi equivale a condannare, nei prossimi decenni, due miliardi di persone a mo-rire di sete, e un altro miliardo a morire di fame. An-che se queste sono stime all'ingrosso, sono stime at-tendibili. A fronte delle quali non ci dovrebbero es-sere tabù (religiosi o emotivi) che tengano. Invece tengono. Ci siamo fregiati del titolo di Homo sapiens sapiens. Ma un'umanità che non sa salvare se stessa da se stessa merita semmai il titolo di Homo stupidus stupidus. A proposito: buon Ferragosto. Oggi siate lieti e spensierati. Se poi vi interessa il futuro, allo-ra mi potete ancora leggere e "male dire" domani.

15 agosto 2007

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INCENDI: RIMEDI ESTREMI PER MALI ESTREMI

I boschi continuano a bruciare, e io pure (di rab-bia). Da ultimo è stata incendiata anche Ponza, una splendida piccola isola difendibilissima (volendo). In Grecia il governo si è mobilitato. Ma Prodi ha lietamente vacanzato, e tornato a Palazzo Chigi si concentra sulla sopravvivenza del suo potere. Tanto è questione di poco: i fuochi saranno spenti dall'au-tunno, e così tanti saluti fino all'estate dell'anno prossimo. E una presa in giro che dura almeno da una trentina d'anni. Tanto gli italiani sono un po-polo di pecoroni (stavo per dire di pecorai) che pro-testa poco e dimentica subito. I governi tremerebbero se la nostra televisione det-ta di "servizio pubblico" mandasse in onda docu-mentari e inchieste che denunziano l'incuria e l'ir-responsabilità della classe politica. Saxa Rubra se ne guarda bene. Ha più paura delle vendette del Palazzo e delle spudorate querele di Totò Cuffaro che del fuoco. Per la tv pubblica la colpa degli in-

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cendi è degli incendiari. Punto e basta. Alla stes-sa stregua la colpa dei furti è dei ladri. Ovvio. Ma esiste anche e soprattutto la colpa di chi non pre-dispone i mezzi per combattere gli incendi e cattu-rare gli incendiari. Nel mio precedente articolo in argomento di saba-to scorso, ho sottolineato il lassismo e il formalismo della magistratura e promesso un seguito (questo) sui colpevoli più colpevoli di tutti: i nostri politici. Nel frattempo Vittorio Grevi mi ha garbatamente tirato le orecchie, lunedi scorso, con un intervento nel quale sostiene che le leggi ci sono e che sareb-bero sufficienti. Grevi è un bravissimo giurista e lo prendo sulla parola. Ma in tal caso sono le colpe della magistratura che diventano più gravi che mai. Perché il fatto resta che se le leggi ci sono, i puniti non ci sono: neanche uno. Un primo punto, come ho già scritto, è la "flagran-za di reato". Per gli incendi boschivi una nuova legge dovrebbe precisare che l'arresto è obbligato-rio (non discrezionale) quando una persona viene colta in possesso di ordigni incendiari. In mitiga-zione si potrebbe stabilire che la custodia carcera-ria dell'indiziato è obbligatoria nel periodo giugno-settembre di ogni anno, dopodiché il giudice può consentire gli arresti domiciliari (beninteso soltanto fino al giugno dell'anno successivo, se a quel mo-mento non ci sarà ancora una sentenza definitiva). Il problema è che i nostri magistrati tengono po-co conto della pericolosità di un indiziato. Un in-

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cendiario che viene regolarmente rilasciato è peri-colosissimo perché torna a incendiare il giorno do-po (vedi i numerosi recidivi) convinto, purtroppo a ragione, che se la caverà. Se invece i 2.746 indi-ziati degli ultimi sette anni fossero restati tutti in carcere o agli arresti domiciliari, sono convinto che i fuochisti comincerebbero a mancare. Mi sbaglie-rò, ma proviamo. Un secondo punto verte sul business, sugli interessi (specialmente mafiosi) che sono in gioco. La legge proibisce che la destinazione dei suoli incendiati sia cambiata per 15 anni, e perciò impone ai Comuni di censirli con mappe catastali; ma tre Comuni su quattro non lo fanno. E il governo sinora ha fatto finta di nulla (si è svegliato solo ad agosto). Ancora un punto. Anni fa proponevo una taglia sugli incen-diari. Naturalmente (mi capita sempre) la proposta è caduta in un profondissimo silenzio. Ora la Gre-cia istituisce una taglia da 100.000 a un milione di euro. Se le taglie non funzionano, allora non ci co-stano nulla; altrimenti ci costerebbero infinitamente meno dei 500 e più milioni di euro della spesa an-nuale in conto incendiari. Ma farlo capire al com-prendonio di chi ci governa sembra difficilissimo.

1 settembre 2007

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CRISI ENERGETICA. L'IMPREPARAZIONE AL POTERE

Riusciremo a svernare senza trovarci al freddo? Lo sa solo San Fortunino. E poi, d'estate, l'elettricità basterà per i condizionatori? Dipenderà da Santa Fortunella. Intanto il petrolio è arrivato a costare 100 dollari al barile. Anche se questa è una punta speculativa, la realtà è che il petrolio sta diventan-do scarso. Si sapeva? Certo che si sapeva. Salvo che in Italia. Emperocché noi arriviamo alla crisi ener-getica più impreparati e indifesi di tutti. La colpa è ovviamente di chi ci ha governato. Ma è anche di un sistema di informazione che si appiattisce sotto il potere e che ne copre i colossali buchi di inazione. Da anni vado in tv per discutere del clima, delle ri-sorse, e dello "sviluppo non sostenibile" che ci met-te tutti in pericolo. E tutte le volte mi imbatto in chi mi controbatte dicendo "tutte balle". Tra que-sti il più popolare è un certo Bjorn Lomborg, da-nese, che per esempio scrive che "c'è petrolio suf-ficiente per coprire il fabbisogno energetico totale

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dei prossimi 5 mila anni". Va da sé che il personag-gio è screditatissimo. Ma alla tv piace: vivacizza lo spettacolo. Davvero un buon servizio pubblico (re-so al pubblico). Ma procediamo con ordine. Il problema energetico si apre, in Italia, con il referendum del 1987 che ci proclamava paese non-nucleare. La decisione non aveva molto senso, visto che la Francia pullula di centrali nucleari a un paio di ore (di vento) da noi, e che l'elettricità che ci manca la dobbiamo com-prare, più cara, dal nucleare altrui. Comunque sia, se ti privi del nucleare lo devi sostituire con qual-cosa. Elementare. Invece, e al solito, niente. In Ita-lia si chiudono le vecchie prigioni, ma non si apro-no nuove prigioni, aumenta la spazzatura ma non aumentano gli inceneritori; le nostre infrastruttu-re (strade, ferrovie) sono ferme da decenni. Quan-to alla politica energetica, non è proprio esistita. I rigassifìcatori del metano sono tutti, o quasi, bloc-cati da gran tempo; la riconversione a carbone "pu-lito" della centrale di Montalto non trova mai fine; e la produzione dell'etanolo, della benzina da pian-te vegetali, è sempre stata scoraggiata. E così siamo ridotti a sperare che il clima sia clemente, e che ci sia petrolio a sufficienza anche per noi. Purtroppo i dati sono nerissimi. Prevedono, pri-mo, che entro 20 anni 3 miliardi e mezzo di cinesi e di indiani (troppi?) raddoppieranno il loro con-sumo di energia; secondo, che nello stesso perio-do in Cindia (è il felice conio di Federico Rampi-

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ni) i consumi di petrolio, gas e carbone cresceran-no di oltre il 50 per cento; terzo, che le emissioni carboniche esploderanno, al contempo, di quasi il 60 per cento (con tanti saluti, tra l'altro, alla salute dei nostri polmoni). Sono dati al cospetto dei quali non c'è rimedio eolico o solare che possa rimedia-re (checché ne dica il ministro Pecoraro Scanio). Il mio consiglio? Prodi, che è di origini dossettiane, a fine mandato si potrebbe ritirare in convento per meglio pregare San Fortunino e Santa Fortunella. Quanto a Berlusconi, che è uomo ingegnosissimo, dovrebbe andare in Cina con Lomborg consiglie-re. Chissà, forse il miracolo di inventare energia a gogò, a lui potrà riuscire.

17 novembre 2007

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DEMOCRAZIA AL VERDE

Torno ai programmi elettorali. Scrivevo che oramai si riducono a essere strumenti acchiappa-voti. Ser-vono per vincere. Il che non implica che servano per ben governare. Può darsi; ma può anche dar-si che costringano a governare malissimo. In par-te perché promettono quel che non dovrebbero, e in parte perché occultano i veri problemi, i proble-mi che sono davvero da affrontare. Questi proble-mi, scrivevo, costituiscono la parte sommersa del-le campagne elettorali. Vediamo di farla emergere. Una prima partita sulla quale troppo si sorvola è quella del nostro debito pubblico. Sì, sappiamo che c'è; ma poi si svicola. Eppure batte ogni re-cord: oscilla intorno al 105 per cento del Pil (pro-dotto interno lordo), e cioè della ricchezza prodot-ta dal paese in un anno; il che comporta un cari-co di interessi di 70 miliardi di euro. Ora, anche un bambino (ma non i sindacati e nemmeno la si-nistra-sinistra) arriva a capire che trovarsi ogni an-

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no con 70 miliardi bloccati è un'intollerabile pal-la al piede. Questo debito era superato, in passato, dal Belgio, che però è riuscito a dimezzarlo. A noi non riesce. Perché? E un segreto di Pulcinella, de-bitamente oscurato da tutti. Una seconda partita dolente, anzi dolentissima, è quella della mafia (nella quale ricomprendo camor-ra e 'ndrangheta). Vedi caso, nessun programma si impegna in una "guerra alla mafia". Eppure la ma-fia è la più grossa azienda del paese, con un fattu-rato nell'ordine di 90 miliardi all'anno, tutti esen-tasse, tutti in nero. Ma né Tremonti né Visco né nessuno hanno mai davvero cercato soldi nel co-lossale patrimonio mafioso. Perché? E un altro se-greto di Pulcinella. E che il voto malavitoso condi-ziona e inquina la politica e le elezioni di metà del paese. Nel 2001 Berlusconi vinse in Sicilia 61 col-legi su 61. E comune opinione che quel trionfo fu dovuto anche ai voti controllati dalla mafia. E ora il Cavaliere ritenta il colpo rilanciando il ponte di Messina, che sarebbe inevitabilmente una colossa-le pacchia per l'onorata società. Come insegna l'au-tostrada Salerno-Reggio Calabria, fatturata metro per metro dalle cosche. Aggiungo che questo lassismo, e ancor più la collu-sione tra politica e mafia, sono particolarmente ver-gognosi perché impiombano l'economia del Sud e di riflesso tutta l'economia italiana. Il Sud non ri-esce a decollare, economicamente, anche perché strangolato dal "pizzo" e da un gigantesco parassi-

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ta che oramai è arrivato al Lazio. Come scrive Gior-gio Bocca, la malavita sta "sconfìggendo lo Stato in metà dello Stato". Eppure i partiti (paghi di qual-che fortunato arresto) non fiatano e anzi candida-no personaggi in altissimo odore di sospetto. Una terza grossa partita è quella delle infrastruttu-re. Sono tante. Qui ho in mente strade e ferrovie, che sono infrastrutture disattese da decenni. Giu-seppe Turani stima che la rete ferroviaria da rifa-re costerebbe 30-40 miliardi, e che "per diventare (in materia di viabilità) un paese moderno in me-dia con gli altri paesi europei dovremmo spende-re nell'arco di una ventina d'anni almeno un altro Pil al completo". Basta e avanza così? Purtroppo no. Perché tra le partite ad alto costo c'è anche la partita ecologica e dell'incombente disastro climatico. In materia i no-stri Verdi fanno ridere o fanno danno. Per loro il problema principale è di bloccare strade, ferrovie e fabbricati "brutti", nonché il grosso degli impianti per l'energia elettrica e la rigassificazione del meta-no. Il brutto non piace nemmeno a me. Ma è irre-sponsabile raccontarci che il fabbisogno energetico (in vertiginosa crescita) sarà fronteggiato dal sole e dal vento. Nel contempo si limitano a piangere, sol-tanto l'estate, quando i nostri boschi bruciano; e il ministro Pecoraro Scanio si è distinto nel bloccare a Napoli i termovalorizzatori perché il suo collegio elettorale è, appunto, Napoli. Abbiamo sottoscritto gli accordi di Kyoto, dopodiché le nostre emissioni

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di gas serra (il vero problema) hanno superato del 13 per cento il limite che abbiamo accettato. La ve-rità è che sia Berlusconi che Prodi del riscaldamento della Terra si sono strafregati, e nemmeno Veltro-ni si stravolge più di tanto. Quanti Pil verrà a co-stare, quando i nodi verranno al pettine (sarà pre-sto), questa cecità? Nessuno lo sa né lo vuol sapere. Infine c'è il costo del federalismo promesso a Bos-si da Berlusconi. Nei programmi è un costo non contemplato, come se spezzettare il paese in parec-chie Sicilie aggiuntive non comportasse un esizia-le aggravio di sprechi clientelari e di ogni sorta di disfunzioni. Pertanto quando si osserva che i pro-grammi del Pd e del Pdl si equivalgono, si dimen-tica che se Berlusconi vincerà dovrà pagare a Bossi il salatissimo prezzo del suo sostegno. Ripeto, nes-suno lo nota ma su questa partita Berlusconi, e sol-tanto lui, ci costerà molto caro. Cerchiamo di fare il punto a oggi. Siamo una democrazia troppo in-debitata? Sicuramente sì. Siamo anche una "demo-crazia in deficit", per dire che le uscite superano re-golarmente le entrate? Per ora è ancora così; e du-bito sulla redenzione prevista per il 2012. La cosa certa è, invece, che siamo una "democra-zia al verde", senza un sòldo in tasca, e che ha ra-schiato il fondo del barile (ci resta soltanto la risor-sa, poco saggia, di continuare a vendere il patrimo-nio dello Stato). Si risponde che siamo pur sempre una "democrazia in crescita" in termini di Pil. Ma questa crescita è modestissima. Eppoi il Pil a que-

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sto effetto non è un buon indicatore. Il dato signi-ficativo è che oggi, secondo i dati Ocse, il potere di acquisto dei nostri lavoratori è del 18 per cento circa inferiore a quello dei paesi dell'euro. E sicco-me ci mancano i soldi per rimediare, il mio sospet-to è che noi siamo una "democrazia in decrescita" e cioè caduta nel vortice di uno sviluppo non so-stenibile che distribuisce più di quel che produce.

13 marzo 2008

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IL MERCATO NON SALVERÀ LA TERRA

Qual è il rapporto tra democrazia e sviluppo eco-nomico? Nel secondo dopoguerra ha trionfato la dottrina economicistica che sostiene che per tra-sformare i regimi autocratici in democrazie occor-re una crescita di benessere, e che il benessere por-ta automaticamente con sé la democrazia. Insom-ma, la democrazia dipende dai soldi e nasce con i soldi. E proprio così? Direi di no. Cominciamo con il rapporto tra democrazia e mer-cato. E ormai assodato che una democrazia senza sistema di mercato è poco vitale. Ma non è vero il contrario. Un'economia di mercato può esistere e fiorire senza democrazia, o precedendo la democra-zia: vedi Singapore, Taiwan, Corea del Sud, Cina. Altro quesito: se la democrazia produca benessere. Sì, ma anche no. L'America Latina è stata impo-verita anche dalla democrazia, perché la democra-zia induce o può indurre a consumare più di quello che si produce o si guadagna. E le "democrazie in

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deficit" sono state e continuano a essere frequenti. Guardiamo allora all'aspetto nuovo del problema, al rapporto tra democrazia e sviluppo. Finora si è ar-gomentato, per un verso, che il benessere promuo-ve la democrazia e, dall'altro, che il denaro la cor-rompe e la compra. Ma finora il rapporto tra Stato e mercato vedeva uno Stato che variamente regola-va e interferiva nel mercato. Ma recentemente, con la globalizzazione, si è creato lo "sviluppismo", una dinamica, un vortice che nessuno (neanche gli Sta-ti) riesce a disciplinare né a frenare, uno sviluppar-si a ogni costo, il più presto possibile, alla maggio-re velocità possibile. È bene che sia così? Sarebbe un bene se vivessimo in un pianeta sotto-popolato e, diciamo, dieci volte più grande del no-stro con risorse praticamente integre. Il guaio è che il nostro è un pianetino disperatamente sovrappo-polato, nel quale la crescita non può essere illimi-tata, e che da qualche decennio è entrato nel vor-tice di uno "sviluppo non sostenibile", tale perché consuma più risorse di quante ne produca, e che at-tinge a risorse in via di esaurimento. Ma di questo sviluppo non sostenibile il grosso degli economisti non si vuole nemmeno accorgere. Il loro mantra è che a tutti i problemi dello sviluppo infinito e della crescita a gogò prowederà il mercato, quando sarà tempo di provvedere. Ma no, proprio no. Dicevo dello sviluppo non so-stenibile, e che questo problema non è affrontato e tanto meno risolto dai meccanismi di mercato.

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IL MERCATO NON SALVERÀ LA TERRA 155

Intanto, mercato e sistema economico non coinci-dono. Il mercato non contabilizza tantissime cose, per esempio i "bèni collettivi", quei beni che nes-suno paga e che sono pagati, di regola, dalle tasse. Gli esempi classici sono la polizia, la sicurezza, le strade. Se chiedo l'intervento della polizia, non è che poi ricevo il conto da pagare. Né pago per l'il-luminazione stradale. Ma ci sono casi più complica-ti. Prendiamo gli alberi, una foresta. Sono beni col-lettivi? Nella misura in cui forniscono il servizio di pulire l'aria, di fornire legno e di proteggere la fer-tilità del suolo, direi di si. Ma non per il mercato. Chi abbatte alberi mette in conto soltanto il costo del loro abbattimento. Il costo della distruzione di una foresta va in cavalleria. Lo stesso vale per l'ac-qua. Quella di superficie che è canalizzata viene di solito fatta pagare, ma l'acqua freatica, l'acqua di falda, no; chi la estrae paga soltanto il costo dell'e-strazione. Va bene finché il consumo dell'acqua di falda viene pareggiato dalla sua sostituzione natu-rale. Ma altrimenti il consumo in eccesso produce un danno collettivo che non viene pagato né con-tabilizzato. Poi ci sono le cosiddette externalities, gli "effetti esterni". Chi inquina l'acqua o avvelena l'aria con "gas serra" produce danni che il danneg-giarne non paga e che il mercato non registra. Ep-pure si tratta di danni colossali, con costi di ripri-stino e di riparazione — che sicuramente si rende-ranno necessari - altrettanto colossali. Il succo del discorso è che gli economisti si sono

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chiusi nel recinto del mercato, e che non avver-tono che la crescita e la prosperità economica so-no ormai crescite in deficit, pagate, in proporzioni sempre crescenti, da un collasso ecologico su sca-la planetaria. Un ulteriore limite del mercato è che è lento, che è miope. Non anticipa i tempi, ma al contrario prevede e calcola solo a brevissimo rag-gio. Quando si dice markets do not clear, si sottin-tende che i mercati non sbrogliano i problemi in tempo, che affrontano i nuovi problemi quando è troppo tardi. Tra pochi decenni il petrolio diven-terà insufficiente. Che cosa dice l'economista? Di-ce: va bene, quando il petrolio diventerà scarso, il prezzo salirà e renderà competitivi prodotti sosti-tutivi, per esempio metanolo e biodiesel ricavati da piante zuccherine. Tante grazie! Dal momento in cui il petrolio arriverà, mettiamo, a 150-200 dol-lari al barile a quando lo potremo sostituire con i biocombustibili passeranno 4-5 anni. Dovremo far crescere le piante, costruire le fabbriche, organiz-zare una rete di distribuzione, adattare le automo-bili. Che cosa faremo nel frattempo? Nell'affìdarsi ai "miracoli" del mercato gli economisti ignorano anche che i biocombustibili non basteranno, anche perché le coltivazioni, diciamo, "petrolifere" si svi-luppano a danno dell'agricoltura che produce gra-no e che ci sfama. Non c'è abbastanza territorio per produrre contemporaneamente piante per la ben-zina e prodotti alimentari. Siamo saturi, eppure gli economisti non se ne accorgono.

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Un altro esempio. Non mi sono ancora imbattu-to in un economista che affronti davvero il proble-ma della scarsità già grave e sicuramente crescente dell'acqua. Secondo le regole di mercato, per rime-diare occorre che l'acqua venga a costare quanto la desalinizzazione del mare. Ma l'agricoltura non po-trà mai affrontare questo enorme costo di estrazione e anche di distribuzione. Senza contare che ci man-ca l'energia (altro problema!) per mettere in moto questo processo. E cosi la vita stessa di un miliardo e anche più di persone si troverà, in tempi abba-stanza brevi, in pericolo. È uno scenario terrificante. Il punto è che il mercato arriva tardi e male per fron-teggiare i drammatici cambiamenti in corso, men-tre dall'altro lato li accelera e li aggrava, innescan-do sempre più uno "sviluppismo cieco" destinato all'implosione. La Terra è già popolata da sei mi-liardi e mezzo di persone, e il loro numero è anco-ra in crescita. Per gli economisti e per i demogra-fi la sovrappopolazione è un problema extraecono-mico, che non li riguarda. Addirittura molti di loro sostengono che bisogna essere prolifici perché oc-corre una forza lavoro crescente, altrimenti l'econo-mia ristagna o diventa diffìcile pagare le pensioni. Ma questo è un vortice senza fine. Lo sarà ancora di più quando saremo 9-10 miliardi. Nel frattem-po una crescita demografica fuori controllo ci sta inesorabilmente portando al disastro climatico e al collasso idrico. Senza che quasi nessuno (inclusi gli economisti) se ne avveda.

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Il paradosso è che il sistema economico di mercato ha per circa duecento anni promosso la liberaldemo-crazia, mentre ora la minaccia con un'accelerazio-ne fuori controllo, la cui implosione può travolgere anche la democrazia che aveva allevato. Un catacli-sma climatico e ambientale può affossare, assieme a tutto il resto, anche la città libera. Perché lo svilup-po non sostenibile è anche uno sviluppo inaccetta-bile, che impone un ritorno a quel passato di care-stie e di povertà che ci eravamo lasciati alle spalle.

26 marzo 2008

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LA COPERTA È CORTA

D'un tratto abbiamo scoperto che nel mondo c'è molta gente che muore di fame. Eppure si sapeva da tempo. Sei anni fa contestavo i dati Fao (Food and Agricultural Organization delle Nazioni Unite) la cui previsione era che nel 2030 il numero delle persone che soffrono la fame sarebbe stato dimez-zato e scrivevo così: "La semplice verità è che la fa-me sta vincendo perché ci rifiutiamo di ammettere che la soluzione non è di aumentare il cibo ma di diminuire le nascite, e cioè le bocche da sfamare. La Fao, la Chiesa e altri ancora si ostinano a crede-re che 6-8 miliardi di persone consentano uno svi-luppo ancora sostenibile. No. Più mangianti si tra-ducono oggi in più affamati. I 30 mila bambini che muoiono di fame ogni giorno li ha sulla coscien-za chi li fa nascere" (Corriere del 9 giugno 2002). Da allora provo ogni tanto a ricordare che alla ori-gine di tutti i nostri mali, ivi incluso il disastro eco-logico, sta l'esplosione demografica. Agli inizi del

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secolo scorso eravamo 1.500 milioni; oggi siamo 6.500 milioni (tuttora in crescita di 60 milioni l'an-no). Ma è un predicare al vento. Sul punto si è cre-ato un blocco mentale. L'argomento è tabù, è reli-giosamente scorrettissimo e proprio non se ne de-ve parlare. E così continuiamo a essere impegnati in una rincorsa inevitabilmente perdente, insensa-ta e anche suicida. Tornando agli affamati, sei an-ni fa erano stimati in 800 milioni; oggi si può pre-vedere che arriveranno a 2 miliardi e passa. Sono stime che sottintendono una vera e propria "strage " in corso, che non ha fatto notizia finché avveniva in ordine sparso. È quando una carestia arriva nelle città che diventa visibile e minacciosa. Ed è nelle città del mondo in via di sviluppo (co-me si diceva) che oggi manca il grano, manca il ri-so, manca il mais. Perché? Di colpo si scopre che la colpa è dei biocarburanti che sottraggono terre-no agricolo alle coltivazioni alimentari. In verità il Brasile va quasi tutto a biocarburanti e in trent'an-ni nessun premio Nobel (in economia sono tantis-simi) ha avvertito il pericolo. Ma ora che l'America si è messa a incentivare l'etanolo, ecco il colpevole: la politica energetica di Washington e la specula-zione che si concentra a Chicago. Sulla speculazio-ne (che c'è) mi limito a osservare che presuppone che un bene diventi ràro. Sull'acqua di mare non ci sarà mai speculazione. Quindi la speculazione non è all'origine del pro-blema. Il problema è che le risorse petrolifere sono

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LA COPERTA È CORTA | L6L

in diminuzione e soprattutto sempre più a rischio. Se l'America restasse a secco sarebbe una catastro-fe (anche per tutto l'Occidente) rispetto alla quale la crisi del 1929 sarebbe una inezia. La situazione è, allora, che per 6-7 miliardi di persone la coper-ta è corta. Per rimediare, tutti cercano di tirarla a sé. E così per turare una falla ne apriamo un'altra. Quando la coperta è sempre più corta, l'unica so-luzione è di ridurre il numero di chi ne deve essere coperto e protetto. In attesa ogni egoismo è sacro, e cioè il diritto di sopravvivere è eguale per tutti. Pertanto trovo insensato e irresponsabile dichiara-re che alienare i terreni dalla produzione agricola "è un crimine contro l'umanità" (così le Nazioni Unite per bocca di Jean Ziegler, riecheggiato con mia sorpresa anche da Tremonti). Per un proble-ma terribilmente serio, occorre essere seri.

6 maggio 2008

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AMBIENTALISMO SENZA POLITICA

Il problema ecologico, che è poi un problema di sopravvivenza del genere umano, ci sta esploden-do in mano senza che quasi nessuno — specialmen-te in Italia — ne avverta non solo la gravità, ma l'esi-stenza. A scuola l'ecologia è materia ignota che non s'insegna; in televisione compare poco e soprattutto male, perché i "telecapi" vogliono che l'audience sia svagata e mai allarmata; e nei giornali il problema è sottoposto, a scanso di grane, alla par condicio: una voce prò, anche se parla per 100.000 esperti, e una voce contro, anche se ne rappresenta soltanto 100. Non parliamo poi dei nostri politici. Sinora abbia-mo avuto Ministri dell'Ambiente indegni di essere ricordati, e che si intendevano di ecologia quanto io m'intendo di fisica nucleare. Un'altra considerazione generale è che sin dalla prei-storia e sino a pochi decenni fa, l'uomo presuppone che la natura ci sia, si adatta all'ambiente che tro-va, e ricava da questo "dato" come vivere e soprav-

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vivere. D'un tratto, e appena da due secoli, questa ottica si rovescia, non è più la natura che accoglie l'uomo, ma è l'uomo che "fa" la natura, che la tra-sforma e consuma senza rimedio (esaurendola). In sostanza oggi è l'uomo che avvelena l'aria, che di-strugge gli equilibri climatici, che riscalda la Terra, e che prepara il proprio suicidio. Fino a poco tempo fa parecchi studiosi dubitavano che il clima sia cambiato dall'uomo, e hanno attri-buito questo cambiamento a fattori astronomici. Ma il numero dei dubbiosi è ormai ridottissimo. E il fatto che si impone a tutti è che l'anidride carbo-nica la produciamo noi, la producono le nostre in-dustrie, le nostre automobili, e il sempre crescente fabbisogno energetico. Se fossimo ancora un miliar-do, e se vivessimo ancora in società pre-industriali, il problema ecologico non esisterebbe. Esiste per-ché in un secolo ci siamo moltiplicati per sei, sia-mo diventati 6 miliardi e mezzo, e perché il nostro mondo è tutto prodotto e sostenuto da un'energia che dobbiamo ricavare depauperando la natura. Scusate queste premesse, che sono forse fuori pro-porzione. Ma il problema ecologico può essere ab-bordato sia partendo dal piccolo come dal grande. Il mio percorso parte dall'ecosistema nel suo com-plesso e cerca di mettere assieme le molteplici otti-che specialistiche che lo compongono, ma che al-lo stesso tempo lo dividono. Il che non toglie che io mi sia anche occupato e preoccupato di proble-mi concreti e parziali, specialmente quello del ter-

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AMBIENTALISMO SENZA POLITICA |

ritorio. Il giardino, per me, appartiene al territorio agricolo costruito dall'uomo, specialmente nell'ha-bitat collinare, e all'insieme di coltivazioni e albe-ri, di campi, di boschi e di case coloniche. Un in-sieme il cui valore è il bello, la bellezza; un valore che riscalda e allieta la nostra vita forse più di ogni altro. E in questo caso il bello è anche la difesa del territorio. I boschi lasciati bruciare, la terra coltiva-ta che viene abbandonata alle sterpaglie, non ci fe-riscono solo come una offesa alla qualità della vita, ma anche come una minaccia per la nostra soprav-vivenza alimentare. I terzomondismi che raccomandano da anni all'U-nione europea di non sussidiare più la nostra agri-coltura non sanno nulla di ecologia, e quindi non sanno che l'acqua sta mancando (l'agricoltura ne as-sorbe il 70/80 per cento), e che ci aspettano (spe-cialmente in Africa, India e Cina) sempre più dram-matiche carestie. Se li avessimo ascoltati, anche gli europei dovrebbero già oggi importare il grano (per il quale non ci sono più riserve). Per fortuna — non certo per lungimiranza - non li abbiamo ascolta-ti. Questo giardino è bellissimo. E il suo monito, o messaggio, è che dobbiamo tornare a promuove-re un territorio che è, in uno, bellezza e strumen-to di vita.

29 maggio 2008

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MALTHUS E IL CLUB DI ROMA

La grande carnevalata della Fao si è chiusa il 6 giu-gno (dopo avere intasato Roma per tre giorni) con la risibile e irresponsabile promessa di vincere la fa-me nel mondo entro il 2050. Speriamo che prima venga chiusa la Fao. Perché i discorsi seri si fanno altrove: tra poco, il 16 e 17 giugno, al convegno in-detto dalla fondazione Aurelio Peccei per celebrare il 40° anniversario del Club di Roma. Siccome ri-sulta che moltissimi italiani non sanno nemmeno che cosa festeggiano il 2 giugno, ricorderò che Pec-cei fu il primo "profeta" della impossibilità di una crescita illimitata del pianeta Terra, così come due secoli fa il bravo abate Malthus fu il primo a intra-vedere la "bomba demografica". Oggi Malthus viene molto irriso da chi non lo ha letto. Eppure in principio aveva ragione. Calco-lò che mentre la popolazione poteva crescere in progressione geometrica (1, 2, 4, 8), la produzio-ne agricola può solo crescere in progressione arit-

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metica (1, 2, 3, 4). Ma Malthus non riteneva che questa crescita geometrica della popolazione sareb-be mai avvenuta: lo impediva, appunto, la fame. D'altra parte il suo Saggio sulla popolazione usciva nel 1798, prima della rivoluzione industriale. Ed è l'agricoltura meccanizzata, che Malthus non po-teva prevedere, che ha rinviato di due secoli la re-sa dei conti. Ma ora ci siamo. La preoccupazione di Peccei e del Club di Roma fu diversa: segnalava l'imminente venir meno delle risorse naturali, e segnatamente del petrolio. Si ca-pisce, consumiamo troppo perché siamo in troppi. Ma nel 1972, quando uscì il primo rapporto, I li-miti dello sviluppo, la popolazione mondiale era di 3 miliardi e 850 milioni. Vi rendete conto? In me-no di quaranta anni si è quasi raddoppiata. Così oggi la preoccupazione primaria diventa quella del riscaldamento della Terra e dell'impazzimento del clima. Riscaldamento perché? Anche se è vero che la Terra ha sempre avuto cicli di glaciazione segui-ti da riscaldamenti, una stragrande maggioranza di esperti ritiene che nessun ciclo astronomico possa spiegare la velocità, intensità e frequenza delle no-stre variazioni climatiche; e dunque ritiene che il disastro ecologico che ci aspetta sia causato dall'uo-mo e dal sovraffollamento del nostro pianeta. Non occorre una intelligenza straordinaria per ca-pire che tutti i suddetti fattori - popolazione, esau-rimento delle materie prime (e dell'acqua), scon-quasso del clima - afferiscono al problema della fa-

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me. Ma gli intelligentoni delle Nazioni Unite, della Fao, e anche dei media, preferiscono scoprire, inve-ce, che la colpa è dei biocarburanti che tolgono ter-reno alla agricoltura alimentare. Ma se senza man-giare si muore, anche senza petrolio si muore. L'a-gricoltura è meccanizzata, e cioè va a nafta; e così i pescherecci e le navi che trasportano il cibo. Al-la fin fine nel nostro mondo tutto richiede energia largamente generata dal petrolio. Scrivevo poco fa che oramai viviamo su una coperta troppo corta che se tirata da una parte lascia scoperta un'altra parte. Con questo giochino non si risolve nulla e si aggra-vano i problemi.

16giugno 2008

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VERDI FASULLI, GOVERNO SORDO

Verde è il colore emblematico della natura. Emper-rocché chi si dichiara "verde" si dovrebbe occupare della natura. Ma i Verdi italiani sono anch'essi all'i-taliana. Sono una costola mal riuscita del '68 e so-no restati alla "piccola natura" di quaranta anni fa. Da allora la natura è diventata "grande" e ricom-prende tutto l'ambiente nel quale viviamo e tutte le risorse che ci danno da vivere. La differenza tra la natura in piccolo e la natura in grande è tanta che per designare la seconda usiamo la parola ecologia (e la nozione di ecosistema). Ma i nostri Verdi all'ecologia non sono mai arriva-ti. Non sono nemmeno mai arrivati a combattere efficacemente gli incendi dolosi dei nostri boschi. Il governo Berlusconi ha soppresso il ministero della Sanità e salvato il ministero dell'Ambiente. Chissà perché. Ma certo non perché il gran capo dia im-portanza all'ecologia. Come si ricava dal fatto che all'Ambiente ha insediato la leggiadra onorevole

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Prestigiacomo, che sinora non ha battuto colpo e che ha fatto notizia solo perché il suo è l'unico di-castero che sfida Brunetta e non riduce l'assentei-smo. Il timore è, allora, che anche dal governo in carica di ecologia sentiremo parlare poco e fare an-cora meno. Eppure la domanda che oramai si po-ne in tutto l'Occidente è: come va la salute della Terra? Domanda alla quale quasi tutti (salvo i si-lenziosissimi italiani) rispondono: maluccio, e an-zi ancor peggio del previsto. Finora nelle previsioni dell'Ipcc (Intergovernmen-tal panel on climate change), una delle fonti più autorevoli sul cambiamento climatico, prevaleva, per così dire, l'ottimismo: da oggi al 2100 un au-mento di temperatura di 2 gradi. Ma le ultime ri-levazioni indicano un'accelerazione crescente nello scioglimento dei ghiacci del Polo Nord che lascia prevedere un riscaldamento, davvero catastrofico, che potrebbe arrivare a 6 gradi. La gente fa spalluc-ce. Pensano che se avremo più caldo i nostri figli e nipoti lo combatteranno con l'aria condizionata e soprawiveranno lo stesso. Sbagliato. Se nel 2100 fossimo 9 miliardi (come sembra che il Vaticano e chi raccomanda "più figli" si augurino), in tal ca-so mancherebbe l'energia per raffreddarsi. E poi il punto non è questo. E che per il pianeta Terra già 4 gradi in più farebbero crescere il livello dei mari di 5 metri (addio Venezia), creerebbero enormi zone desertifícate nelle fasce che sono oggi di clima tem-perato (Italia inclusa), falcerebbero la vita animale

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e vegetale (e addio anche alla foresta Amazzonica). È esatto parlare di catastrofe? Per un'anima sensibi-le, sì. Eppure i nostri governanti - tutti - dormo-no della grossa. Se la cavano - irresponsabilmente -con il vile argomento che l'ecologia non interessa. Certo, anche l'acqua non interessa finché c'è; an-che l'aria non interessa finché è respirabile; e anche le carestie non interessano finché non ci ammazza-no. Rispetto agli accordi di Kyoto eravamo tenu-ti a ridurre le nostre emissioni di gas serra del 6,5 per cento; invece le abbiamo aumentate del 13 per cento. Che fare? Svegliarsi. Per una volta i cittadi-ni siano migliori dei loro governi.

15 agosto 2008

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EVVIVA NOI CREPI IL MONDO

Sono arrivate le vacche magre (magrissime) ed è purtroppo tempo di "tagli", di tagli al borsellino e alle spese. I tagli nessuno li vuole (quantomeno per sé). Ma siccome sono inevitabili, avrei giurato che i primi sarebbero stati a carico dell'ecologia. Vede-te come è facile essere profeti? E stato proprio così. Sulla salute del pianeta Terra noi facciamo da sem-pre gli struzzi. L'Italia ha sottoscritto a suo tempo gli accordi di Kyoto che ci imponevano di ridur-re le emissioni di CO2 - tra il 1990 e il 2012 - del 6,5 per cento. Noi invece le emissioni di gas serra le abbiamo tranquillamente aumentate accumulan-do così un debito di circa 1,5 miliardi. Dunque, fin qui niente tagli, o meglio, siamo mo-rosi e ci proponiamo di non pagare. Dopodiché abbiamo annunciato che l'accordo europeo per il 2012-2020 che abbiamo testé firmato in gennaio (che prevede una riduzione delle emissioni del 20 per cento) non ci sta più bene. Ipse dixit (Berlusco-

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ni): "Non possiamo, in un momento di crisi, cari-carci il costo di qualcosa di irragionevole". Irragio-nevole? Intendiamoci: sin dall'inizio abbiamo tutti detto che le riduzioni di Kyoto erano insufficien-ti, insufficientissime. Ma bisognava pur comincia-re, soprattutto a sensibilizzare l'opinione pubblica. Resta l'obiezione seria che senza Usa, Cina e India (che hanno rifiutato gli accordi di Kyoto) non si arriva a risolvere nulla. Vero. Ma gli Stati Uniti si sono già ravveduti, e a dispetto del "texano tossi-co" (il Presidente Bush) fanno già più e meglio di noi. Quanto a India e Cina, saranno i primi a esse-re drammaticamente puniti per il loro "sacro egoi-smo" (visto che sono i paesi di gran lunga più fra-gili e più esposti al collasso climatico). Il discorso è, allora, che siamo arrivati a essere più di 6 miliar-di e mezzo di abitanti su un pianetino che oramai è come una casa pericolante, in imminente perico-lo di crollo. Per le singole abitazioni di solito inter-vengono i pompieri che le fanno sgomberare. Ma il pianeta Terra non può essere salvato così. Non ab-biamo a disposizione un pianetone contiguo dove ci possiamo trasferire. Se c'è dunque una priorità assoluta, inderogabile, e non differibile è questa. Lo sottolinea con allarme quasi tutto il sapere scientifico. Ma la nostra mini-stro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo ha rice-vuto i suoi ordini e va all'assalto. L'accordo post-Kyoto sulla futura politica ecologica europea non è più accettabile. Chiediamo la dilazione di un anno

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(per quanti anni?), la diminuzione del nostro one-re (che la nostra ministro ha artificiosamente esa-gerato), e un ricalcolo dei costi-benefici (perché ora e non quando abbiamo firmato?). Insomma, siamo alle solite. Siamo sleali, infidi, e facciamo i furbac-chioni. Allora, la nostra prima decapitazione sarà sui costi che ci dovrebbero consentire - si spera -di sopravvivere come genere umano. Eppure il nostro paese è tuttora sovraccarico di "grasso" parassitario. Intanto alleva e lascia pro-sperare una mafia che è davvero una micidiale san-guisuga. Inoltre abbiamo una pubblica amministra-zione elefantiaca, e una scuola (mi dispiace ammet-terlo) con troppi insegnanti. Anche sull'Università chi è senza peccato scagli la prima pietra. Sì, man-cano i soldi per la ricerca: ma intanto abbiamo mol-tiplicato docenti di materie ridicole e anche una miriade di piccole università cartacee e scadenti. E che dire, infine, degli sperperi clientelari di moltis-sime amministrazioni locali? Presidente Berlusco-ni, di "grasso" in giro ce n'è tantissimo. Ma è più comodo non scontentare nessuno a danno del fu-turo dei ragazzi di oggi.

29 ottobre 2008

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COSÌ NON POSSIAMO DURARE

La Terra come sta? Di recente abbiamo avuto tan-ti terribili dispiaceri — dal terremoto all'Aquila al-la depressione economica globale — che lo stato di salute del nostro pianetino (che diventa tanto più piccolerquanto più i suoi abitanti diventano nume-rosi) è lutato quasi dimenticato. Il 22 aprile è sta-ta celebrata, nel mondo, la "giornata della Terra". Da noi questa celebrazione è passata quasi inosser-vata. L'importante notizia resta che, dopo le scia-gurate presidenze Bush, gli Stati Uniti di Obama si stanno rapidamente sensibilizzando anche al pro-blema ecologico. E un po'anche la nostra Confìn-dustria (Marcegaglia dixit). Me è proprio vero che il surriscaldamento del nostro pianetino sia opera dell'uomo, che sia colpa nostra? Il sempre più spa-ruto plotone di scienziati che lo nega pur sempre ammette che le emissioni inquinanti dell'uomo con-tribuiscono, nell'ordine di almeno un 25 per cen-to, all'effetto serra e quindi alla alterazione del eli-

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ma. Anche se così fosse (e per i più così non è) in ogni caso non vedo perché non ci si debba impe-gnare a oltranza nel combattere la catastrofe clima-tica che ci minaccia. Ciò premesso, il problema non è solo il clima. E anche che manca, e mancherà sempre più, l'acqua potabile, o comunque l'acqua per l'agricoltura. Dal che consegue che nelle zone povere e sovrappopola-te mancherà il cibo, e quindi che in Africa, India e anche in Cina incombe la minaccia di terribili ca-restie. Non basta. Un ulteriore problema è che per sopravvivere in tanti, in troppi, abbiamo sempre più bisogno di energia, mentre le nostre riserve di ener-gia (a cominciare dal petrolio) sono in via di esau-rimento; e non ci sarà, temo, vento o sole che ba-stino per soddisfare la fame di energia dei sette mi-liardi di esseri umani ai quali presto arriveremo, per non parlare dei 9 miliardi stimati da infauste previ-sioni. Tutti i suddetti problemi non esisterebbero se fossimo ancora i 3 miliardi di quando io nasce-vo. Il che equivale a dire che la popolazione della Terra non deve crescere ma diminuire. Elementare, mi sembra. Ma per la Chiesa l'argomento è tabù. Anche il grosso degli economisti ha sinora puntato su uno "sviluppismo" (arricchismo?) infinito, co-me se noi vivessimo in uno spazio illimitato prov-visto di risorse inesauribili. Il guaio è che da gran tempo gli economisti leggono solo se stessi e che si sono chiusi anche loro nella propria nicchia specia-listica. Così come i giuristi evadono dai problemi

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cosi NON POSSIAMO DURARE | L8L

della realtà dichiarandoli extra-giuridici, alla stes-sa stregua gli economisti eliminano i problemi che non sanno o non vogliono affrontare sotto la vo-ce externalities, di effetti esterni che non li riguar-dano. Vedi caso, tra queste externalities c'è l'inqui-namento dell'atmosfera e dell'acqua, la deforesta-zione selvaggia che desertifica il suolo e, insomma, tutti i problemi posti dal tracollo ecologico. Eppu-re è di tutta evidenza che il danno ambientale già prodotto è enorme e che comporterà costi enormi di riparazione e di ripristino. Ammesso che non sia già troppo tardi. Dio non voglia. E vero che al momento l'emissione dei gas inqui-nanti sta calando; ma è perché siamo in una reces-sione che chiude industrie. E un male che ne scac-cia un altro non è la soluzione del problema. La soluzione è di capire che l'avvenire dello sviluppo industriale è la sua riconversione in un'economia "verde" di risparmio energetico.

24 aprile 2009

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IL POZZO SENZA FONDO

Per chi non lo sapesse, il pozzo di San Patrizio è un pozzo senza fondo, e quindi un pozzo che non si riempie mai. Finora risultava che la Terra fosse un pianeta tondo e racchiuso in sé stesso. Ma per i "popolazionisti" e per chi si occupa di migrazioni di massa è, si direbbe, un pozzo di San Patrizio. Sia-mo più di 7 miliardi? Nessun problema, il pozzo li ingurgita tutti. Sarebbe lo stesso se fossimo 77 mi-liardi: prowederebbe sempre San Patrizio. Un San-to del VI secolo che la Chiesa dovrebbe rivalutare. Ma procediamo con ordine. Di recente Alberto Ronchey ricordava su queste colonne che un seco-lo fa gli africani erano 170 milioni, mentre oggi si ritiene che siano 930 milioni. La sola Nigeria po-trebbe arrivare, nel 2050, a 260 milioni di abitanti; e le Nazioni Unite stimano che paesi come l'Etio-pia, il Congo e il Sudan, già stremati da ricorren-ti carestie, rischiano di raddoppiare, entro il 2050, la loro popolazione. E mentre la popolazione ere-

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sce a dismisura, le risorse alimentari del continente africano sono state malamente dilapidate dall'ero-sione del suolo e dalla desertificazione. Questi so-no, all'ingrosso, i numeri della "pressione dell'A-frica" richiamata da Ronchey, che è la pressione a noi più vicina e quindi più minacciosa. Una pres-sione che si ascrive alla categoria degli "eco-profu-ghi", e correlativamente degli "eco-rifugiati". Che fare? Come accoglierli? Finora si è parlato di diritto di asilo. Ora si comin-cia a parlare di "profughi ambientali". La prima ca-tegoria è impropria e difficile da accertare, mentre la seconda è davvero troppo larga, troppo onnica-piente: presuppone che il mondo sia quel pozzo di San Patrizio che non è. Il diritto di asilo è stato, nei millenni, una protezione, una immunità religiosa dalla "vendetta del sangue" (i parenti di un ucciso, o simili) per chi si rifugiava in un luogo sacro. Que-sto asilo trova la sua massima espansione nell'Euro-pa medievale, per poi venir meno. E il punto è che l'asilo non è mai stato riconosciuto come "diritto" di intere comunità e tanto meno per motivi politici. Pertanto il diritto di asilo concepito come titolo di entrata in un paese per i rifugiati politici è una re-cente invenzione. E andiamo ancora peggio con la nozione di "vittime ecologiche". Questa categoria è davvero smisurata e sconfitta dai numeri. Gli eco-profughi sono già centinaia di milioni; e bastereb-be che il dissesto del clima spostasse i monsoni per ridurre alla fame mezzo miliardo di indiani. Il ri-

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medio certo non può essere di accogliere tutti e di un Occidente che si prende carico dei diritti di asi-lo e dei profughi ambientali. Per l'Africa un'idea sa-rebbe di "rinverdirla", di renderla di nuovo fertile e vivibile. Un po' tardi, visto che l'agricoltura è già per metà perduta, che i laghi si prosciugano e che la desertificazione è irreversibile. Per carità, l'Africa va aiutata. Ma tutto è inutile se e finché non apriremo gli occhi alla realtà, al fatto che l'Africa (e non soltanto l'Africa) muore di sovrap-popolazione, e che la crescita demografica (ovun-que avvenga) va risolutamente affrontata e fermata.

15 giugno 2009

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LA SALUTE DELL'AMBIENTE. I CONFRONTI SBAGLIATI CON IL PASSATO

Passa un Ferragosto, passa l'altro, torno sempre al tema dell'ambiente e del clima. Chi la dura la vin-ce, dice il proverbio. Speriamo che sia vero. Che tempo fa? Che tempo farà? È quel che ogni giorno vien spiegato e previsto dai meteorologi. Qual è il clima, e cosa succede del clima, è invece una domanda del tutto diversa che verte, nel lun-go periodo, sulle condizioni di siccità, calore, in-quinamento e vivibilità del nostro pianeta. Eppure moltissime persone confondono le due cose. L'an-no scorso — dicono - ha piovuto poco e ha fatto molto caldo; ma quest'anno ha piovuto molto e sia-mo stati bene. Dunque — concludono - quelle dei climatologi sono balle. E se la pensa così anche un bravo giornalista come Pietro Calabrese, mi tocca di rispiegare tutto daccapo. L'indicatore più ovvio del riscaldamento climatico è che i ghiacciai si stanno sciogliendo, con una ve-locità imprevista, dappertutto: in Asia, Africa, Eu-

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ropa, sulle Ande, ai Poli. Abbiamo poi misure pre-cise della quantità crescente di anidride carbonica e di altri gas serra nell'atmosfera. Pertanto la disputa non è più sul riscaldamento del clima terrestre - il fatto è indubbio - ma sulle sue cause. Chi dubita che la causa prima, primaria, "siamo noi", ricorda che i cicli di riscaldamento e di raf-freddamento della Terra sono sempre avvenuti, e quindi che possono soltanto dipendere da cause astronomiche. Sì, ma nel ciclo che stiamo vivendo sono entrate due nuove variabili: la società indu-striale, che è fortemente inquinante, e un gigante-sco "salto" in popolazione. E l'entrata in gioco di questi due nuovi fattori inficia le analogie con il passato. Tanto vero che la stragrande maggioranza degli studiosi ritiene che il riscaldamento in corso non appartiene alla naturale variabilità del clima. Beninteso la scienza non è mai unanime. C'è anco-ra chi nega, per esempio, che il virus dell'Hiv sia la causa dell'Aids. Inoltre, e soprattutto, il problema del clima e dell'ambiente è davvero un macro-pro-blema, tanto grande e complesso da non consen-tirci di stabilire chi sia un competente e chi no, chi abbia davvero voce in capitolo e chi no. Ma non c'è dubbio che la scienza nel suo complesso punti il dito su un malfare e strafare dell'uomo, su cause "antropiche". Ciò posto, a che punto siamo? La buona notizia è che ci siamo liberati del "texa-no tossico", del nefasto ex Presidente Bush, e che il suo successore Obama ha già fatto approvare dal

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LA SALUTE DELL'AMBIENTE. I CONFRONTI SBAGLIATI CON IL PASSATO |

Congresso una severa legge anti-inquinamento che prevede una riduzione dei gas serra dell'83 per cen-to entro il 2050. E l'America è un paese che quan-do si mobilita, si mobilita sul serio. Anche l'Unio-ne europea si è convinta, e propone la formula del 20-20-20 (meno 20 per cento di emissioni di ani-dride carbonica, più 20 per cento di efficienza ener-getica, più 20 per cento da fonti di energia rinnova-bili). Ma Berlusconi è come Bush, Berlusconi non ci sta. Combatte persino le esigue (e insuffìcientis-sime) riduzioni imposte dal Protocollo di Kyoto; e a dicembre ha brutalmente dichiarato a Bruxelles: "Trovo assurdo parlare di emissioni quando è in at-to una crisi". Sì, ma no. Perché una catastrofe ecolo-gica sarebbe mille volte più grave della crisi in atto.

15 agosto 2009

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SALUTE DELL'AMBIENTE: DIBATTITO

Quando il simpatico Mauro della Porta Raffo mi punzecchia con la sua erudizione e pignoleria (Cor-riere della Sera di ieri) di solito imparo qualcosa. Questa volta presenta un breve elenco di recenti periodi di freddo e di caldo della Terra, per poi as-serire in tutta semplicità che siccome ci sono sem-pre stati, sarebbero "naturali". E siccome ignora bellamente le mie obiezioni a questa tesi, io non ho nulla da controbattere. Mi limito a segnalargli che la sua tesi è anche smentita dalla National Ac-cademy of Science, che è il massimo consesso scien-tifico del mondo. Invece di scrivere a me, perché non prova a scrivere a Washington? Invece chi mi attacca a valanga e da zoticone (sul Giornale di lunedì scorso) è un certo Franco Battaglia che insegna a quanto pare Chimi-ca ambientale. Il predetto esordisce così: "Ogni Fer-ragosto il 'Corsera' pubblica ogni anno sempre lo stesso articolo". La ripetizione letterale dell'artico-

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lo dell'anno prima, oppure il mio tornare sul tema dell'ecologia? La prima asserzione sarebbe spudo-ratamente falsa, mentre la seconda è soltanto stupi-dotta. Sarebbe come criticare un economista per-ché scrive sempre di economia, o un costituziona-lista perché scrive sempre di costituzione. Ciò premesso, tutto l'editoriale di Battaglia è in-farcito da inesattezze e da distorsioni. Come dice-vo, il nostro è un chimico; ma al servizio di Berlu-sconi, che non solo lo ospita sul suo (pardon, del fratello) quotidiano, ma che addirittura "presenta" un libretto del 2007 del suo chimico. Sarebbe co-me se io chiedessi una presentazione a Bob Dylan o a uno dei Beatles. Ma ognuno si fa raccomanda-re da chi trova. Non posso chiosare tutte le bellurie del Battaglia. Scelgo due perle. Il nostro mi insegna che la leg-ge ecologica fatta approvare da Obama (sulla quale mi sono limitato a riferire) richiede ogni anno, per 42 anni, una riduzione delle emissioni inquinanti del 4,2 per cento. Ma perché mai? La riduzione in questione sicuramente non sarà mai lineare, e cioè la stessa ogni anno. E se un chimico non sa nean-che questo mi chiedo che cosa sappia. Seconda perla, che è sulla mia osservazione che la scienza non è mai "unanime". Secondo Battaglia direi così per "pararmi dall'accusa che vi sono fior di scienziati che contraddicono le bizzarrie che lei (sarei io) propina ogni Ferragosto". Dopodiché il nostro passa trionfalmente a spiegare che "la scien-

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za non è mai democratica, e non ha importanza al-cuna quale sia il numero di scienziati che dicono una cosa". Ora, che la scienza non sia e non debba essere sottoposta al voto di un demos è ovvio. Ma non è ovvio che debba essere giudicata dal solo vo-to di un chimico di piccola o nessuna fama. A torto o a ragione, la scienza procede sulla base del consensus scholarum, del consenso che riceve dalla professione. "Nella scienza contano i fatti" asseri-sce il Battaglia con banale tracotanza. Certo. Ma non i fatti dichiarati tali da Lei. Come climatologo io posso soltanto essere un divulgatore che riferisce su una letteratura che ha studiato. Ma ho sempre insegnato metodologia della scienza. Ne so molto più di lei, professor Battaglia. Mi creda.

19 agosto 2009

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LA CONFERENZA DI COPENAGHEN SUL CLIMA

Dicono i medici che il paziente ha la polmonite. Ri-spondono i congiunti: anche se è vero non abbia-mo soldi per curarlo e nemmeno siamo d'accordo sulla terapia. Allora lo lasciamo morire? Risposta: forse se la caverà, intanto speriamo. Il paziente in questione è la Terra, e i congiunti al suo capezzale sono i cosiddetti "grandi" della Terra, che si riuni-scono a Copenaghen da lunedì 7 dicembre per un vertice sul clima che suscitava molte speranze e che invece già nasce mezzo morto. Finalmente gli Sta-ti Uniti hanno un Presidente consapevole dell'in-combente collasso ambientale; ma Obama è anda-to in Cina, e la Cina lo blocca. Subito dopo l'In-dia torna a farci sapere che non è per niente pronta a comportarsi bene. Figurarsi tutti gli altri paesi a "sviluppo ritardato". Se l'India deve ancora cresce-re (prima di preoccuparsi di altre inezie come il de-stino dei monsoni), figurarsi loro.

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Perché non riusciamo a sfondare? È perché siamo impiombati, oltre che da vischiosissimi interessi co-stituiti, da un mare di pretesti senza capo né coda. Per dirne una, la tesi che i paesi sottosviluppati de-vono essere risarciti per quel passato durante il qua-le gli "sviluppati" li hanno inquinati. Ma quando mai? Come si fa a sostenere che una persona è re-sponsabile di avere trasmesso l'Aids prima che fos-se scoperto? Alla stessa stregua, quando la società industriale fece proliferare le ciminiere alimenta-te a carbone nessuno sapeva che quelle ciminiere avrebbero minacciato il clima. Nel 1968 Paul Ehr-lich denunziava l'esplosione demografica (a ragio-ne), ma nemmeno lui sapeva della bomba ecologi-ca. E lo stesso vale, a metà degli anni '70, per Au-relio Peccei e il Club di Roma, che concentrò la sua attenzione sulla limitazione delle risorse, non su un collasso ecologico che la scienza non aveva ancora captato. Dunque, nessuno può essere ritenuto responsabi-le di un evento non voluto e non previsto. Eppure assistiamo allo spettacolo di un Occidente piagno-ne che si sente "colpevole"e promette risarcimenti non dovuti pagati con soldi che, tra l'altro, non ha. Ma passiamo al punto cruciale: la contabilità, come si conta che cosa. Oggi i paesi che inquinano di più sono, nell'ordine, Cina, Stati Uniti, India. Ma Ci-na e India obiettano, a loro difesa, che chi sporca e spreca di più sono, prò capite, individuo per in-dividuo, gli americani. Vero. Ma irrilevante. L'in-

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quinamento è globale, aleggia su tutto il pianeta nel suo insieme. Pertanto quel che conta è il tota-le, soltanto il totale, delle emissioni inquinanti. La Cina (e l'India seguirà presto) fa più danno inqui-nante di tutti perché i cinesi sono un miliardo e tre-cento milioni. Che poi, singolarmente presi, siano più frugali degli americani, non sposta il problema di un millimetro. E il fatto resta che se negli ulti-mi 50 anni le emissioni di CO2 dei paesi ricchi so-no raddoppiate, quelle dell'India sono decuplicate. Ma non è più tempo di recriminare e di mercan-teggiare. Chi arriva a Copenaghen con questi in-tenti vuole il male di tutti e anche il male proprio.

6 dicembre 2009

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HIMALAYA BENE IL RESTO MALE

Himalaya bene, il resto male. L'ultima novità eco-logica è che i ghiacciai dell'Himalaya non si sciol-gono più, che questa previsione dell'Ipcc (l'organiz-zazione che studia per l 'Onu l'effetto serra) è stata sbagliata di grosso. E molti gongolano. Per l'India gongolo anch'io, perché senza l'acqua dei ghiacciai che alimentano i suoi maggiori fiumi centinaia di milioni di persone rischierebbero di morire di fa-me e di sete. Ma se anch'io sono lieto per l'India, è esageratissimo ricavare da questo episodio che la scienza "non sa", che vanta un sapere che non pos-siede, e anche che cerca di imbrogliare. Che esista-no ricercatori che falsano i dati per fare carriera è noto a tutti. Ma di regola le frodi scientifiche so-no facili da scoprire perché le scienze sono tali in quanto consentono la replicabilità delle ricerche. Il Signor Tizio ci dica come ha fatto, e il signor Ca-io farà la riprova. Torniamo all'Himalaya. Qual è stato l'errore?

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E stato, in linea di principio, di attribuire una da-ta, una scadenza temporale, a un trend, a un an-damento di fondo. Essendo un po' del mestiere, io evito sempre di citare date e scadenze; registro sol-tanto linee di tendenza. Alcune delle quali sono, in ecologia, certe, anche certissime. Per esempio è cer-tissimo che respiriamo aria sempre più inquinata. E meno certo, invece, se il surriscaldamento della Terra sia lineare e quali siano i fattori che lo pos-sano rallentare. Dico rallentare perché se l'Hima-laya tiene, l'Artico è tuttora in rapido scioglimen-to. E anche certissimo che le risorse naturali, a co-minciare dal petrolio, finiranno. Quando? Non si sa, non è sicuro. Ma è sicuro che la tecnologia le potrebbe rimpiazzare per i 2 miliardi di viventi di quando io nascevo, ma non certo per i 9 miliardi di formiche umane previste dai demografi per la me-tà di questo secolo. Senza contare che lo "sviluppismo " frenetico predi-cato dagli economisti ci prevede anche tutti egual-mente benestanti in tutto il mondo. Mettiamo al-lora che la Cina, diventata opulenta come noi, con-sumi (è un calcolo che è stato fatto) trenta volte più di oggi. In tal caso il conteggio demografico sareb-be da moltiplicare per la quantità di consumo prò capite. Fantascienza? A questo punto sì. Anche per-ché a quel punto saremo, o saremmo, tutti estinti. Fantasticherie economiche a parte, il punto serio, e anche certissimo, sul quale tutti sorvolano è la scar-sità dell'acqua. Che già manca endemicamente in

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Africa (specialmente all'Est), ma anche altrove. Co-me si sa, circa il 70-80 per cento dell'acqua dolce è assorbito dall'agricoltura; un assorbimento che può essere ridotto adottando colture che richiedono me-no acqua. Anche così il problema resta drammati-co perché da tempo consumiamo in eccesso acqua di falda che non si ricostituisce.

8 marzo 2010

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ECONOMIA CARTACEA E I LIMITI ALLO SVILUPPO

L'ultima stima di qualche anno fa che ho sott'oc-chio contabilizza il Pil, il Prodotto interno lordo, del mondo in 54 trilioni di dollari, mentre gli atti-vi finanziari globali risultano quattro volte tanto, di addirittura 240 trilioni di dollari. Oggi, con i deri-vati e altre furbate del genere, questa sproporzione è ancora cresciuta di chissà quanto. E questa spropor-zione non solo è di per sé malsana ma modifica la nozione stessa di sistema economico, di economia. Semplificando al massimo, da un lato abbiamo una economia produttiva che produce beni, che crea "cose", e i servizi richiesti da questo produrre, e dall'altro lato abbiamo una economia finanziaria essenzialmente cartacea fondata su vorticose com-pravendite di pezzi di carta. Questa economia car-tacea non è da condannare perché tale, e nessuno nega che debba esistere. Il problema è la spropor-zione; una sproporzione che trasforma l'economia finanziaria in un gigantesco parassita speculativo

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la cui mira è soltanto di "fare soldi", di arricchirsi presto e molto, a volte nello spazio di un secondo. Gli economisti "classici" facevano capo alla econo-mia produttiva; oggi i giovani sono passati in mas-sa all'economia finanziaria. E lì, hanno capito, che si fanno i soldi, ed è in quel contesto che l'econo-mia come disciplina che dovrebbe prevedere, e per-ciò stesso prevenire e bloccare gli errori, si trasforma in una miriade dispersa di economisti "complici" che partecipano anch'essi alla pacchia. È chiaro che in futuro tutta la materia dell'economia finanziaria dovrà essere rigorosamente regolata e controllata. Ma anche l'economia produttiva si deve riorienta-re e deve cominciare a includere nei propri conti le cosiddette esternalità. Per esempio, chi inquina l'aria, l'acqua, il suolo, de-ve pagare. Vale a dire, tutto il sistema di incentivi va modificato. La dissennata esplosione demogra-fica degli ultimi decenni mette a nudo che la Terra è troppo piccola per una popolazione che è trop-po grande. Ma anche su questa sproporzione gli economisti non hanno battuto ciglio. Anzi, per lo-ro stiamo andando di bene in meglio, perché tanti più bambini tanti più consumatori e tanti più sol-di. Il loro "far finta di non ricevere", di non vede-re, è così clamoroso da indurre Mario Pirani a chie-dersi (su Repubblica) se gli economisti abitino sulla Terra o sulla Luna. Io direi su una Luna che è due volte più grande della Terra. Ma qui cedo la parola a Serge Latouche, professo-

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ECONOMIA CARTACEA E I LIMITI ALLO SVILUPPO 2 0 $

re alla Università di Parigi, economista eretico ma anche lungimirante. Latouche ha calcolato che lo spazio "bioproduttivo" (utile, utilizzabile) del pia-neta Terra è di 12 miliardi di ettari. Divisa per la popolazione mondiale attuale questa superfìcie as-segna 1,8 ettari a persona. Invece lo spazio biopro-duttivo attualmente consumato prò capite è già, in media, di 2,2 ettari. E questa media nasconde di-sparità enormi. Se tutti vivessero come i francesi ci vorrebbero tre pianeti; e se tutti vivessero come gli americani ce ne vorrebbero sei. La morale di questa storia è che già da troppo tempo siamo infognati in uno sviluppo non-sostenibile, e che dobbiamo per-ciò fare marcia indietro. Latouche la chiama "de-crescita serena". Serena o no, il punto è che la cre-scita continua, infinita, non è obbligatoria. Oramai è soltanto suicida.

25 giugno 2010

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LA CRESCITA DEMOGRAFICA NON FA BENE ALL'ECONOMIA

Tra le persone pensanti — coloro che vedono al di là del proprio naso e riflettono sui malanni del piane-ta Terra — i più sono convinti che siamo sovrappo-polati e che l'uomo stia consumando più di quan-to il nostro pianeta consenta. Ma i pensanti taccio-no, o meglio non hanno voce, non hanno modo di farsi sentire. L'argomento della sovrappopolazione è tabù. E chi lo solleva nei paesi cattolici perde vo-ti. Perché la Chiesa di Roma si è impegnata in una difesa della vita, della vita già dell'embrione, che di fatto produce una crescita demografica dissennata. Anche la maggioranza dei demografi, è vero, avver-sa la limitazione delle nascite. Ma questo è un po' una deformazione professionale: tanti più bambi-ni e tanto più la loro disciplina diventa importante. E anche vero che molti economisti temono il calo demografico perché in tal caso le nuove generazio-ni dovranno pagare di più per la pensione e la cu-ra degli anziani. Quest'ultima è una preoccupazio-

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ne fondata che però aggrava il problema senza ri-solverlo, e anzi rendendolo sempre più intrattabile. Ripeto: la tesi è esatta, ma non è lungimirante; an-zi, è davvero corto-veggente. Ma ecco una nuova pensata. Il Corriere ha pubblica-to in anteprima nei giorni scorsi un testo del profes-sor Ettore Gotti Tedeschi che verrà poi presentato a Rimini alla riunione di Comunione e Liberazione il 27 agosto. Il predetto viene presentato come un economista; ma la sua qualifica di gran lunga più importante è di essere Presidente dello Ior, Istitu-to per le opere di religione, che è poi, tanto per ca-pirsi, la potentissima banca della Santa Sede. Per-tanto immagino che il professor Gotti Tedeschi sia un bravo banchiere. Ma se parla da economista al-lora non mi pare bravo. Perché la sua tesi è che il calo demografico sia il fattore principale della crisi economica dell'Occidente, dal che ricava che se ri-prendiamo a fare più figli l'economia ripartirà. Ma perché? Quali sono le pezze di appoggio di questa azzardatissima tesi? Il professor Gotti Tedeschi se la prende, come è ormai di rito, con Malthus, al qua-le fa dire che "cercò di fare della crescita della po-polazione una scienza spiegando matematicamen-te che la crescita della popolazione avrebbe esauri-to le risorse disponibili". Non è proprio così, e chi cita Malthus lo dovrebbe leggere meglio e nel con-testo di più di due secoli fa. Ma gli strali dell'argo-mento del Nostro sono i neo-malthusiani del no-stro tempo che avrebbero decretato che "prima del

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2000 diecine, centinaia di milioni di persone sa-rebbero morte di fame soprattutto in Asia e in In-dia... Invece ciò non è successo nei predetti pae-si, che grazie alla popolazione sono diventati be-nestanti". Ma perché non citare, allora, l'America Latina, il cui decollo economico è stato fortemen-te rallentato e "mangiato" dalla eccessiva crescita demografica, e ancor più perché non citare l'Afri-ca, dove l'aumento incontrollato della popolazio-ne si rivela sempre più disastroso, laddove la Cina si è impegnata in una drastica politica di controllo delle nascite, e anche l'India cerca di rallentare la crescita della sua popolazione? Esempi a parte, il punto è che non esiste nessuna prova, nemmeno di correlazione, tra crescita demo-grafica e crescita economica. Il professor Gotti Te-deschi ha ragione, invece, quando lamenta la crisi della famiglia. Ma la famiglia "nucleare" che sosti-tuisce la grande famiglia patriarcale crea un uni-verso di anziani soli, tristi e abbandonati a sé stes-si, che diventano per ciò stesso un costo che ricade sulla finanza pubblica: un costo, non un fattore di crescita economica.

9 agosto 2010

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LA POLITICA DELLO STRUZZO È LA PEGGIORE

Estate rovente o piogge torrenziali, siccità o diluvi un po' dappertutto. In Italia il caldo è stato soffo-cante per gran parte di giugno e di luglio. Ed è sta-to aggravato, nelle grandi città, dall'ozono tropo-sferico, che ha impoverito l'ossigenazione dell'aria che respiriamo. Ma l'estate è stata torrida in tutta Europa, negli Stati Uniti, Cina, Russia. Soprattut-to, e per la prima volta, in Russia, colpita da un'on-data di calore mai raggiunta nei 130 anni di regi-strazioni ufficiali. Gli incendi spontanei dei boschi che lambiscono anche Mosca non hanno preceden-ti. Altrove, invece, abbiamo avuto alluvioni deva-stanti, inedite soprattutto in Pakistan. Allora, è proprio vero che il clima sta cambiando? Io credo di sì; ma di per sé il gran caldo così come i grandi freddi non costituiscono prova sufficien-te di niente. Anche se una frequenza crescente di oscillazioni climatiche estreme rafforza i nostri so-spetti. Ma molti governi, Italia in testa, non fanno

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nulla per creare un'opinione "verde" né per affron-tare seriamente il problema del collasso ecologico. La crisi economica è e resta grave, ma il problema della crescente invivibilità del nostro pianeta è mol-to, molto più grave. Eppure da noi è fiorita soltanto l'industria dell'eolico, dei mulini a vento. Ed è fio-rita quasi soltanto perché fonte di tangenti e di in-trallazzi. Perché l'energia prodotta dal vento è lar-gamente un imbroglio, visto che la nostra penisola non ha abbastanza vento per giustificarla. Anni fa il portavoce per eccellenza, di fatto, degli interessi petroliferi e di gran parte della grande in-dustria è stato il danese Bjorn Lomborg, che con il suo molto reclamizzato libro L'ambientalista scetti-co negava la stessa esistenza del problema ecologico e anche la crescente scarsità delle risorse energeti-che e dell'acqua. Ma Lomborg ora dichiara che "il riscaldamento globale esiste, è provocato dall'uo-mo, e che l'uomo deve fare qualcosa per porvi ri-medio". Bene. Alla buon'ora. Lomborg soggiun-ge, però, che "la tattica consistente nell'incutere ti-more, per quanto abbia buone intenzioni, non è la soluzione giusta". D'accordo. Ma quale è la solu-zione giusta? Gli scienziati che oggi studiano il clima, la rarefa-zione delle risorse naturali e, in ultima analisi, il problema della nostra sopravvivenza, sono miglia-ia. S'intende che possono sbagliare. Ma la scienza procede provando e riprovando. E noi già disponia-mo di un enorme patrimonio di dati e di conoscen-

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ze che però vengono bellamente ignorate dai più. Il fatto è che gli esseri umani non si muovono "a freddo" guidati dalle ragioni della ragione. Gli uma-ni si attivano "a caldo", se hanno paura o se mos-si da passioni (ivi incluse la passione per il potere e per il denaro). E così la scienza ricorre, per farsi ascoltare, a proiezioni con date ravvicinate di sca-denza. Ma noi siamo in grado di prevedere un per-corso, dei trends, non il "quando". Dunque predire scadenze è sbagliato; ma non farlo rende la predi-zione inefficace. Come uscire da questo circolo vi-zioso? Non lo so. Ma so che la politica dello struz-zo dei nostri governanti è la politica peggiore.

15 agosto 2010

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APPENDICE NON CRESCETE. NON MOLTIPLICATEVI

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L'INFLUENZA DELLA CHIESA

La Chiesa di Roma è responsabile delle troppe na-scite? I suoi difensori lo negano adducendo la prova che l'esplosione demografica è avvenuta soprattut-to in aree non cattoliche. Al che si può aggiungere che in materia sessuale i cattolici obbediscono sem-pre meno, specie in Europa, alle ingiunzioni eccle-siastiche. L'Europa oramai non si moltiplica. Que-sti dati di fatto sono innegabili. Ma chi "colpevo-lizza" la Chiesa vede un altro aspetto del problema, e cioè ne vede il potere bloccante. Un potere bloc-cante che si riconduce al fatto che il Papa controlla voti — a livello mondiale — che sono voti strategici. Tanto per cominciare, controlla voti decisivi negli Stati Uniti. Tantovero che il primo provvedimen-to del Presidente Bush appena insediato alla Casa Bianca è stato di ripristinare la cosiddetta globalgag rule, e cioè di bloccare la educazione contraccettiva nel mondo (che dipende per il suo finanziamento quasi esclusivamente da soldi Usa). Ha anche bloc-

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cato, aggiungo, il piccolo ma importante finanzia-mento stanziato dal Congresso americano a favore del fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) una organizzazione che ha operato molto efficacemente negli ultimi venti anni nei paesi in via di sviluppo. Cosi facendo Bush pagava il suo de-bito all'elettorato cattolico che gli aveva consenti-to di vincere le elezioni. Come volevasi dimostrare. Del pari la Chiesa è riuscita a paralizzare le Nazioni Unite. Alla conferenza sulla popolazione del Cairo del 1994 Papa Wojtyla ha scatenato tutte le sue ar-tiglierie, si è alleato con il mondo islamico (in pre-cedenza il Vaticano si era anche alleato con Mao) ed è riuscito a bloccare tutte le proposte di con-trollo delle nascite. Da allora le Nazioni Unite so-no mute, ammutolite dal veto dei paesi cattolici o comunque condizionati dal voto cattolico. Come si è visto di recente al vertice della Fao di Roma del giugno 2002, dove nessuno ha osato dire che la fa-me sarebbe più facile da ridurre se il numero dei mangianti venisse ridotto. E come si vedrà di nuo-vo (è una previsione scontata) a fine agosto al me-ga-summit di Johannesburg. Le immagini dei bambini sottonutriti si spreca-no. Ma nessuno ricorda le donne che muoiono per aborti clandestini, e cioè perché il divieto religio-so le costringe a ricorrere a rozze "mammane" (sol-tanto in Brasile la World Health Organization sti-ma che ne muoiano mezzo milione all'anno). Poi c'è l'Aids. L'Africa "nera" ne è appestata. E in Afri-

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ca la Chiesa conta, i missionari contano. Ma hanno le mani legate: la Chiesa di Roma combatte l'Aids raccomandando la castità. Figurarsi. Papa Wojtyla si è rivolto ai malati di Aids nel 1981 così: "Dio vi ama tutti senza distinzioni... ama anche coloro che soffrono di Aids". Da allora non ha detto niente di più. Scrive Corrado Augias su Repubblica che oggi i malati di Aids nel mondo sono 40 milioni (con altri 15 milioni in arrivo entro il 2010), e che sol-tanto in Africa gli infetti sono 28 milioni. E com-menta: "Davanti alle dimensioni del massacro osta-colare o impedire l'uso di massa dei preservativi... a me pare francamente delittuoso. Altro termine non trovo". Nemmeno io. L'enciclica Humanae Vitae di Papa Paolo VI è del 1968. Allora la popolazione del mondo era di 3 mi-liardi e mezzo. Oggi, appena trentacinque anni do-po, è di 6 miliardi, che diventeranno 7 miliardi tra poco più di 10 anni. Di fronte a questo allucinan-te crescendo la Cina, l'India e da ultimo il grosso degli Stati islamici hanno aperto gli occhi e si sono impegnati nel controllo e nella riduzione delle na-scite. Con il successo, davvero non piccolo, dimo-strato dai dati di Massimo Livi Bacci. Lo cito (da Repubblica del 5 giugno 2002). "Nella società islamica ancora verso il 1970 il controllo del-le nascite era praticamente sconosciuto... il numero medio dei figli per donna era tra 6 e 7. Trent'an-ni più tardi il quadro è estremamente variegato... In Indonesia il tragitto verso la bassa natalità è sta-

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to pressoché completato (2,06 figli per donna nel 2001)... Turchia e Egitto si avvicinano, rispettiva-mente con 2,3 e 3 figli per donna... In Iran il pri-mo programma di pianificazione familiare fu can-cellato dalla Rivoluzione khomeinista. Ma nel 1989 il governo invertì la rotta... Il cambiamento è stato sorprendente e la fecondità media delle donne ira-niane, che era ancora attorno ai 6,5 figli alla metà degli anni '80 è sceso velocemente a 2,1 nel 2001." Anche nei paesi del Magreb il calo è stato rapido e importante: l'indice di fecondità delle donne tuni-sine è oggi di 2, e di quelle marocchine e algerine è sceso, si stima, a 2,5 o meno. Invece il Pakistan resta altamente prolifico, e "il Bangladesh, uno dei paesi più poveri del mondo è a metà del guado". Aggiungi che è falso (anche se è una falsità larga-mente ripetuta) che le politiche contraccettive si-ano fallite in Cina e in India. In India la riduzio-ne delle nascite è ancora insufficiente: tuttavia (ci-to dal libro di Antonio Golini su La popolazione del pianeta) in India il risultato di "un diffuso e accet-tato controllo delle nascite" è stato che "il nume-ro medio dei figli per donna è sceso dal valore di 6,0 nel 1950-55 a 3,1 nel 1995-2000". E in Cina la fecondità "è stimata per il 1995-2000 in 1,8 figli per donna". Lasciati a moltiplicarsi secondo natu-ra i cinesi sarebbero oggi 200 milioni in più. Si po-trà protestare sulla crudeltà delle norme sulla pro-creazione imposte in Cina dal 1971 in poi. Ma in precedenza, a cavallo degli anni '50-60, tra i 15 e i

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30 milioni di cinesi erano morti di fame e di epi-demie. E più crudele imporre l'aborto o lasciar fa-re alle carestie? Tornando ai paesi nei quali la religione influisce o può influire sulla politica demografica, oggi come oggi l'Islam ha largamente aperto gli occhi, e le vi-stose eccezioni del Pakistan e del Bangladesh non sono basate su divieti religiosi. Nel 2000 chi si ri-fiuta ancora di vedere e di provvedere è soltanto la Chiesa di Papa Wojtyla (non il Cristianesimo pro-testante). Con una voce in capitolo diretta o indi-retta (non solo in sede Onu ma anche su un mol-teplice volontariato) che inficia l'argomento che il Vaticano conta soltanto nelle zone cattoliche. Se la Chiesa non può fermare il Pakistan, potrebbe pe-rò fermare la crescita demografica della Nigeria (at-tualmente del 3,1), del Congo (che è in maggioran-za cristiano), e dell'Etiopia (di religione prevalente-mente cristiano-copta) che oggi conta tanti abitanti quanti l'Italia, ma che è in lizza tra cinquant'anni per averne 110 milioni. E lo stesso vale per le Filip-pine in Asia e per gran parte dell'America Latina. Si crede ancora che i maggiori paesi cattolici siano in Europa. Non più. Il Messico aveva, nel 1940, 19 milioni di abitanti; oggi ne ha 100 milioni. E un lettore messicano mi scrive cosi: "Tenete il vostro Papa in Italia per una ventina d'anni e noi risolve-remo la maggior parte dei nostri problemi. Invece ogni 4/5 anni viene qui in visita pastorale e scatena la campagna in favore della famiglia che altro non

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è che una esortazione a fare figli... Di conseguen-za assistiamo a un'altra invasione di disperati dalle campagne che vanno a ingrossare le bidonvilles. E tutti i nostri sforzi per creare nuovi posti di lavoro e migliori condizioni di vita vengono regolarmen-te vanificati. Stessa situazione in Brasile". Sì, stes-sa situazione in Brasile. Nel 1900 i brasiliani era-no 17 milioni, oggi sono più di dieci volte tanto, superano i 170 milioni. E così nemmeno il Brasile riesce a uscire dalla spirale della povertà. Il Papa non conta? Ammettiamo che la sua influen-za sia da me sovrastimata. Resta che una politica non deve essere giudicata soltanto dal suo succes-so, ma anche dalle sue intenzioni. E l'intenzione di combattere qualsiasi intervento di limitazione delle nascite a me sembra altamente irresponsabile. E poi il Papa conta. In una lettera al Corriere (del 3 luglio 2001) padre Gheddo scrive: "Non c'è al mondo al-cuna catastrofe demografica alle viste. Vent'anni fa si parlava di 'bomba demografica', oggi non se ne parla più". Il problema c'è, eccome. Ma, appunto, non se ne parla più. Papa Wojtyla (chi altro?) è ri-uscito a silenziarlo urbi et orbi.

16giugno 2002

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VITA, VITA UMANA E ANIMA

Vita non è "vita umana". Anche le zanzare, i pidoc-chi, i tafani sono animaletti viventi. Ma li ammaz-ziamo volentieri e nessuno ritiene che ammazzarli sia male, sia peccato. Invece la vita umana è invio-labile, è sacra. Perché? Quale è la differenza? La filosofìa — che è il nostro migliore sapere sulle cose umane - risponde che la vita umana è diver-sa dalla vita animale perché l'uomo è un essere ca-pace di riflettere su se stesso, e quindi caratterizza-to da autoconsapevolezza. L'animale non sa di do-ver morire; l'uomo sì, l'uomo lo sa. L'animale soffre solo fisicamente; l'uomo soffre anche psicologica-mente, anche spiritualmente. E da questa risposta risulta che l'uomo non è diverso dall'animale fin-ché non diventa autoconsapevole, finché non di-venta un "animale pensante". Il bambino appena nato non lo è ancora. Se muore nascendo non si rende conto di morire e non soffre "mentalmente" la propria morte più di qualsiasi animale. Diciamo,

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2 2 4 | I l PAESE DEGÙ STRUZZI

allora, che la vita umana comincia a diventare di-versa, radicalmente diversa, dalla vita di ogni altro essere vivente quando il bambino comincia a "ren-dersi conto". Non certo quando è ancora nell'ute-ro della madre. Ovviamente questa è una risposta laica. Non è, per-tanto, una risposta che vincola la Chiesa. La Chiesa - siamo oramai soliti dire - poggia sulla fede, non sulla scienza. Ma è importante ricordare, a questo proposito, che l'antitesi tra fede e scienza è relativa-mente recente, che risale a non più di quattro secoli fa. Prima la Chiesa era contrastata nella sua egemo-nia soltanto dalla filosofìa; e il filosofo non la po-teva contrastare più di tanto se voleva evitare una condanna di eresia. Questa egemonia finisce con Galileo. Dopo Galileo la Chiesa non ha più potu-to imporre una cosmologia (la cosmologia tolemai-ca) che faceva ruotare l'universo attorno alla Ter-ra, né sostenere che Dio sta nei cieli esplorati dagli astronomi. Dal 1600 in poi la Chiesa è sempre più delimitata e fermata dalla scienza. Questo arretra-mento fa sì che anche una parte dell'uomo, il suo corpo, viene lasciato alla medicina e alla biologia. Alla Chiesa resta però l'incorporeo, resta l'anima. La nozione di anima è antica, è platonica. Scrive Umberto Galimberti: "Anima in greco significa vento (anemos) soffio, respiro {psiche)". La parola anima è soltanto la traduzione latina di questi e al-tri concetti greci (tra i quali pneuma, per noi spiri-to). Ma perciò "anima" caratterizza e traversa tutta

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la dottrina cristiana che scriveva in latino. Cito an-cora dalle finissime pagine di Galimberti: la tradi-zione patristica e poi Agostino "insegnano che l'a-nima determina l'essere dell'uomo in quanto es-sa, e non il corpo, è parte della stessa vita divina". Dunque, per la Chiesa l'uomo è tale e la sua vita è sacra perché è all'uomo, e soltanto all'uomo, che Dio ha dato l'anima. Ma perciò la domanda deci-siva diventa quando è che arriva l'anima, quando è che l'anima entra nel corpo (per così dire). Prima siamo al cospetto di una vita qualsiasi, come la vi-ta della zanzara o, più in grande, di un coccodrillo! E solo dopo che l'anima si insedia nel corpo che la vita diventa umana, la vita dell'essere privilegiato da Dio. Il clero medievale e anche post-medievale si regolava più che altro sulle necessità di sopravvi-venza. Al cospetto delle carestie l'anima veniva fatta entrare tardi; talvolta non prima della comunione, o addirittura della cresima. Altrimenti poteva arri-vare presto, addirittura al battesimo. E fino alla fine del Seicento l'opinione prevalente era che il feto nel grembo materno non fosse dotato di "anima razio-nale". Dal che conseguiva che almeno fino al bat-tesimo abortire, o uccidere un bambino di troppo, non era peccato. In ogni caso il principio era che l'anima sopraggiunge "dopo un certo tempo" per-ché la materia non è subito pronta ad accoglierla. Possibile che queste cose la Chiesa di Papa Wojty-la non le sappia? Certo dà mostra di averle dimen-ticate. Perché la crociata contro la contraccezione

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non è proclamata in nome dell'anima. Paradossal-mente, e assurdamente, è proclamata in nome della scienza. Alla giornata per la vita del 3 febbraio 2002 Papa Wojtyla ha asserito che "la scienza ha oramai dimostrato che l'embrione è un individuo umano che possiede fin dalla fecondazione la propria iden-tità". Tesi infondata, perché la scienza può soltanto attestare che l'embrione è programmato per diven-tare, dopo sette-nove mesi, un individuo umano; ma non che lo è già sub specie di embrione. La scienza è sottoposta, nel suo argomentare, alle regole della logica. E per la logica io uccido esatta-mente quel che uccido. Non posso uccidere un fu-turo, qualcosa che ancora non esiste, qualcosa che verrà. Se uccido un girino, uccido un girino e non una rana. Se il girino mangia una larva di zanzara uccide una larva, non una zanzara. Se io bevo un uovo di gallina, io non uccido una gallina. E co-sì via. E dunque non ha alcun senso sostenere che una interruzione di gravidanza è assassinio di un es-sere umano. Sia che l'essere umano sia definito co-me un animale autoconsapevole o, in termini pu-ramente corporei, come un corpo uscito dall'utero di una madre che comincia a respirare, in entram-bi i casi l'essere umano, al momento di un aborto, ancora non c'è. Inoltre, una cosa è prevenire una gravidanza, e tutt'altra cosa è interrompere una gravidanza. A tal punto che le due cose stanno tra loro in relazio-ne inversa: tanto più si riesce a prevenire una gra-

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vidanza e tantomeno si deve ricorrere alla sua in-terruzione. Ammettiamo che, per ragioni di princi-pio, l'aborto ci ripugni. Resta che la contraccezione non è aborto, e anzi che lo previene e cancella ex ante. Bloccare la fertilità risolve il problema prima che si apra. Pertanto, la Chiesa non si può opporre ai contraccettivi (ivi includendo la cosiddetta pil-lola del giorno dopo, la pillola che impedisce l'at-tecchimento dell'ovulo fecondato nell'utero) con l'argomento che usa contro l'aborto, e cioè che si compie un assassinio. E allora in nome di che co-sa, di quale altro argomento? L'impressione è che la Chiesa faccia oggi di ogni erba un fascio. Certo è che il divieto di pratiche contraccettive non tro-va nessun sostegno (è la conclusione di una com-missione convocata da Papa Paolo VI all'inizio de-gli anni '60) nelle Sacre Scritture, nella tradizione, nella teologia, legge naturale e filosofìa: insomma, in niente. Pertanto quando Papa Wojtyla dichia-ra che la posizione della Chiesa in materia di con-traccezione è stata scritta "dalla mano creatrice di Dio", è sicuro che questa sua asserzione va "oltre ciò che è scritto". S'intende che la Chiesa può convincere lo scienzia-to cattolico credente e osservante a sottoscrivere le sue tesi. Ma chi le sottoscrive lo fa come uomo di fede, non come uomo di scienza. Se firma e si fir-ma come "professore", la sua è falsa testimonianza, è abuso di credenziali. La Chiesa può anche con-vincere il giurista cattolico a dichiarare che il feto è

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persona e che deve quindi essere protetto dal dirit-to così come viene protetta la persona. Il che equi-vale a sostenere che l'interruzione della gravidanza è un reato penale. Ma anche qui il giurista parla da credente, non da giurista. Anche se il diritto conosce la fictio iuris, il "fìnge-re" del diritto deve essere giustificato da una ragion d'essere giuridica, che in genere è quella di rendere applicabile una norma. Nel classico esempio della fictio legis Corneliae si presumeva che una persona catturata dal nemico fosse morta; e la ratio di quel-la finzione era di consentire successioni che sareb-bero altrimenti restate bloccate. Ma non ci sareb-be nessuna logica giuridica nel far finta che l'uo-mo sia un quadrupede. Alla stessa stregua, non c'è nessuna logica giuridica nel ritenere che la inten-zione di uccidere sia la stessa cosa che uccidere, o nel far fìnta che uccidere un feto sia come uccide-re una persona. Ma perché la Chiesa di oggi si rivolge alla scienza per sostenere la fede? Non è un controsenso, una contraddizione in termini? La scienza è materialità, è corporeità, è fisicità. E dunque perché la Chiesa non si ricorda dell'anima? E davvero una doman-da alla quale non so rispondere. Sia come sia, il punto è che in tutta questa questio-ne il Papa non si pronuncia ex cathedra. L'encicli-ca Humanae Vitae di Paolo VI (che nel 1968 cad-de praticamente nel nulla e che fu anche contesta-ta da una ampia fascia di teologi) non è mai stata

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dichiarata un pronunciamento infallibile. Pertan-to in materia genetica il Papa è "fallibile", e non c'è nessuna offesa, nemmeno religiosa, nel ritenere che il Papa sbaglia e si sbaglia. Quando, nella Genesi (1:28), Dio istruisce Adamo ed Eva a "essere fecon-di, moltiplicarsi e riempire la Terra", Dio si rivol-ge a due soli esseri umani. Oramai la Terrà è riem-pitissima. Ma un vescovo americano ha dichiarato — senza ombra di prova — che la Terra può nutri-re 40 miliardi di persone. Poveri noi! E al cospet-to di una Chiesa che non sa distinguere tra vita e vita umana, e nemmeno tra prevenzione e interru-zione di gravidanza, io non sono per niente tran-quillo. Solo io?

gennaio 2003

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LA VITA UMANA SECONDO RAGIONE

Fede e ragione. Vi sono questioni che sono materia di fede, e questioni che sono materia di ragione. Se Dio esiste è materia di fede. Se è vero che gli aero-plani volano perché sostenuti da angeli è materia di ragione. L'importante è che le due sfere si rispettino e che non si impasticcino l'una con l'altra. Mentre nei dibattiti in corso sul diritto alla vita e sull'em-brione l'impasticciamento è di tutta evidenza. Intanto, vita non è lo stesso che vita umana. An-che le mosche, i pidocchi, le zanzare sono anima-letti viventi, sono vita. Ma io li uccido, confesso, con soddisfazione. Anche gli animali e i pesci che 10 mangio erano, prima, esseri viventi. Eppure li mangio, confèsso, senza sentirmi in peccato. Inve-ce la vita umana è inviolabile, è sacra. Perché? Qual è la differenza? 11 problema è questo, ma la Chiesa di Papa Wojty-la lo evade. La sua crociata è per la difesa della "vita nascente". Anche quella delle piante? Anche quella

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dei tafani? Evidentemente no. E perché no? Torno a chiedere: qual è la differenza tra qualsiasi vita e la vita umana? In passato la risposta era l'anima, che è l'anima che determina l'essere dell'uomo. Ma og-gi l'anima viene dimenticata, la Chiesa non ne par-la quasi più. L'omissione è stupefacente. Ma tant'è. Su quando scocca la scintilla della vita nei prima-ti, e specificamente nell'uomo (saltiamo, per bre-vità, tutte le altre vite), la risposta è oramai sicu-ra: comincia nell'attimo della fecondazione, della congiunzione dello spermatozoo maschile con un gamete femminile. Ma, al solito (la domanda non è evadibile), questa fecondazione è già, a quel mo-mento, vita umana? La fede, se così le viene impo-sto dalle sue autorità, può rispondere di sì. Ma la ragione, vedremo, deve rispondere di no. Quanto alla scienza, la domanda su quando "un embrione diventa persona e gode dei diritti spettanti a una persona... è domanda che esula dalla biologia e dal-la scienza in generale" (cito da Edoardo Boncinelli sulle colonne del Corriere). Proprio così. Veniamo alla ragione, all'argomento razionale. In quel contesto l'argomento è che la vita umana è di-versa dalla vita animale perché l'uomo è un esse-re capace di riflettere su se stesso, e quindi caratte-rizzato da autoconsapevolezza. L'animale non sa di dover morire; l'uomo lo sa. L'animale soffre fisica-mente perché è dotato di sistema nervoso; ma l'uo-mo soffre anche psicologicamente, anche spiritual-mente. Diciamo, allora, che la vita umana comincia

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LA VITA UMANA SECONDO RAGIONE | 2 3 3

a diventare diversa, radicalmente diversa da quella di ogni altro animale superiore quando comincia a "rendersi conto". Non certo da quando sta ancora nell'utero della madre. Papa Wojtyla asserisce che "la scienza ha ormai di-mostrato che l'embrione è un individuo umano", e come tale non uccidibile. Ma non è così. La scienza è sottoposta, nel suo argomentare, alle regole della logica. E per la logica io uccido esattamente quel che uccido. Non posso uccidere un futuro, qualco-sa che ancora non esiste. Se uccido un girino non uccido una rana. Se bevo un uovo di gallina non uccido una gallina. Se mangio una tazza di caviale non mangio cento storioni. E dunque l'asserzione (la terza del quesito referendario sul quale andre-mo a votare) che i diritti dell'embrione sono equi-valenti a quelli delle persone già nate è, per la logi-ca, una assurdità. Il cattolico alla Tertulliano (credo quia absurdum, credo così proprio perché è assurdo) è liberissimo di sottoscrivere questa assurdità. Ma la Chiesa di Sant'Agostino e di San Tommaso, e anche tutte le persone ragionanti, dovrebbero volere che le cellu-le staminali da embrioni umani siano utilizzate dal-la ricerca scientifica per curare i viventi, i già na-ti. E dovrebbero anche volere la sopravvivenza del-la logica.

28 febbraio 2005

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C'È VITA E VITA

Non capisco perché Rocco Buttiglione {Corriere del 2 marzo) si meravigli che io parli "di diritto alla vita in nome della ragione e come interprete della scien-za". Perché non dovrei? Sono libero docente in Sto-ria della filosofia moderna, materia che ho insegna-to alla Università di Firenze tenendo corsi anche e proprio su Hegel (che sono agli atti e che il Nostro può reperire). Ho anche insegnato a lungo logica, fi-losofìa e metodologia della scienza. Pertanto non mi sento per niente inabilitato a interloquire; e proprio la mia "infarinatura" filosofica mi consente di sfug-gire alle trappole che mi tende il bravo Buttiglione. La prima è di travestirmi da hegeliano. No. Quan-do dichiaro che la vita umana è caratterizzata dalla autoconsapevolezza non mi riferisco a Hegel (tan-tovero che non dico "autocoscienza") ma al puro e semplice significato letterale del termine: l'esse-re consapevole di se stesso. Rispetto alla stratosfe-ra hegeliana io volo raso terra, il che mi salva dalla

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obiezione "che non tutti gli uomini sono autoco-scienti". Il Nostro illustra poi così: "E non solo non è autocosciente l'embrione, ma non è autocoscien-te neppure il feto". Bravissimo, grazie, sembra ov-vio anche a me. Dopodiché continua, secondo me con sempre minore bravura, osservando che "non sono autocoscienti molti disabili, e che non siamo autocoscienti tutti noi almeno quando dormiamo". Questa poi. Io mi riferisco a una capacità, e se que-sta capacità dorme quando dormo, si risveglia quan-do mi sveglio. Una capacità non deve essere attiva ventiquattr'ore su ventiquattro; basta che sia atti-vabile. Buttiglione mi chiede anche - trappola fi-losofica numero due — di definire "quell'io di cui (del quale) dobbiamo essere coscienti per avere di-ritto alla vita". Ma proprio no. Se ci tiene, l'Io (me-glio con la maiuscola) lo definisca lui. Per il mio discorso terra terra proprio non occorre. E me ne guardo bene, anche perché convengo con lui che "le categorie filosofiche hanno un potenziale esplo-sivo", che vanno maneggiate "con molta attenzio-ne", e che nessuno di noi (ma il rimprovero è im-plicitamente rivolto a me) si deve arrogare "la rap-presentanza esclusiva della ragione". Difatti io, sul punto, mi acquatto sotto la eminentissima tonaca di San Tommaso. Che passo a citare non a benefi-cio di Buttiglione, che certo lo ha letto, ma dell'al-tro mio contraddittore, Sandro Bondi, che invece dà mostra di masticare l'argomento con difficoltà. Nel mio editoriale del 28 febbraio, "La vita urna-

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na secondo ragione", notavo la stranezza di una Chiesa che nel definire la vita umana si dimentica dell'anima. Bondi mi salta addosso: è "stupefacen-te" affermare che l'anima "è un concetto dimenti-cato quando invece è essa uno dei fondamenti del-la fede". Certo che lo è. Proprio per questo sono io che trovo stupefacente che la Chiesa se ne dimen-tichi a proposito dell'embrione. E trovo anche stu-pefacente che Bondi non capisca il punto. Vedia-mo allora se ci arriva con l'aiuto di San Tommaso. Che passo, come annunziato, a citare. L'Aquinate distingue tre "forme" dell'anima. La pri-ma è 1'"anima vegetativa" nella quale "l'embrione vive la vita della pianta"; poi "le succede un'anima più perfetta che è insieme nutritiva e sensitiva, e al-lora l'embrione vive la vita dell'animale"; e la ter-za è "l'anima razionale che viene infusa dall'ester-no" (vedi la Summa contra Gentiles, 1258-64, trad. it. Utet, Torino, 1997, p. 511, Libro II, capitolo LXXXXIX). Dunque l'anima presente nell'embrio-ne sarebbe, per il nostro doctor angelicus, soltanto vegetale (vive la vita della pianta) mentre io, più ge-nerosamente, le riconosco già vita animale; con il che resta pur sempre fermo che l'anima che qualifi-ca la vita umana è l'anima razionale che è infusa da Dio e che arriva tardi, quando il nascituro è forma-to (vedi, passim, la Summa Theologiae). E siccome il Tomismo è la struttura portante non solo della Scolastica ma di tutta la teologia cattolica, sull'em-brione io mi sento teologicamente tranquillo.

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Così come mi sento tranquillo — passando all'ar-gomento razionale che la vita umana comincia con il "rendersi conto" — nel resistere alla tesi bondia-na che "se il feto reagisce agli stimoli, apprende, esprime emozioni (non so come Bondi lo sappia, ma tant'è) dichiarare che ciò non è vita è il vero ar-bitrio". Il Nostro continua a confondere, come si vede, vita con vita umana. Per l'ennesima volta gli preciso: vita ovviamente sì; vita umana ancora no. Anche se sono io che dico, bontà di Bondi, "una colossale sciocchezza", la sua è una notevolissima ottusità. Da ultimo l'intervento di ieri di Don Roberto Co-lombo, professore alla Università Cattolica di Mi-lano. In verità, il suo intervento non mi riguarda più di tanto. Per esempio, io non penso né ho mai detto che "i cattolici sono degli sprovveduti quanto alla ragione né orfani del pensiero scientifico e filo-sofico". Penso però che se messo alle strette il cat-tolico dà la prevalenza alla sua fede, come è giusto che faccia. Infatti il messaggio del mio editoriale è che la ragione deve rispettare la fede così come, vi-ceversa, la fede deve rispettare la ragione. Se poi al professor Colombo questa contrapposizione non piace, ne trovi pure un'altra. Ma una contrapposi-zione c'è, e la impone il principio della logica che il nostro non menziona tertium non datur. Alla fi-ne, o fede o ragione. E il principio del terzo esclu-so. Quel che mi sconcerta nell'argomentare del pro-fessor Colombo è l'apparizione della categoria "vita

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individuale". Stiamo forse discutendo se la vita sia individuale o collettiva? Sicuramente no. E allora quale è la rilevanza teoretica di questa categoria? A me sembra un ennesimo depistaggio che annebbia il problema che stiamo discutendo. Ciò detto, tor-niamo alla logica. Premesso che apprezzo molto che il Nostro scenda su questo terreno, non riesco poi a seguirlo nel co-me la stiracchia. Cominciamo dal principio dell'i-dentità: a = a. Qui il punto è che la logica non è diacronica, che non segue le metamorfosi di una entità nel tempo. E verissimo che il processo dello sviluppo da qualsiasi embrione a qualsiasi essere è continuo. Ma il principio di identità asserisce che a è a, non che a sarà a. La logica non consente di dichiarare che una pallina di caviale è uguale a uno storione. E dunque debbo insistere: l'argomento che un embrione è uguale a un essere umano, che è un individuo-persona perché sarà un individuo-persona, è logicamente assurdo. Attenzione: assur-do per la logica. Il che non "squalifica come assur-dità ciò che la ragione del credente arriva a ricono-scere attraverso la riflessione". Analogamente non posso accettare il modo nel qua-le il Nostro forza il principio di non-contraddizione. Ripetendo l'argomento di Buttiglione il professor Colombo mi vuol costringere ad asserire (altrimenti mi contraddirei) che "il paziente in anestesia... l'an-ziano demente, il cerebroleso" non sono da tute-lare "in quanto considerati vita animale". Ma prò-

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prio no, caro collega. Come ho già spiegato, l'at-tributo della consapevolezza denota una capacità. Se questa capacità viene addormentata o si atrofiz-za, una persona umana che è già tale, tale resta. La logica è uno schema che di volta in volta si applica a dei concetti. E temo che qui sia la fede a indurre Don Colombo a distorcere il concetto che adopero. Una postilla in punto di onore. Io cerco di non scri-vere a casaccio. Se nel mio editoriale ho scritto "alla Tertulliano" è perché sapevo benissimo che la for-mula credo quia absurdum è stata coniata da un au-tore ignoto. Però è un compendio che non tradi-sce lo spirito del tertullianismo. Ich habe auch The-ologie studiert, anch'io ho anche studiato teologia.

4 marzo 2005

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QUANDO ARRIVA L'ANIMA

Passate le elezioni regionali il prossimo tormento-ne (tra due mesi, il 12 e 13 giugno) sarà il referen-dum sulla legge 40. Ufficialmente questa legge è sulla procreazione assistita. In realtà la legge 40 e il referendum che ha provocato sono molto più im-portanti di qualsiasi elezione: investono un conflit-to tra ragione e fede, tra scienza e religione, e ci vie-ne chiesto di stabilire cosa sia la vita umana. Scu-sate se è poco. A mio sommesso parere era un conflitto da evita-re, o comunque da gestire senza squilli di guerra e toni da crociata. Quieta non movere, non stuzzica-re le cose tranquille. È un adagio di antica saggezza. Le società occidentali sono religiosamente pacifica-te. Credenti e non credenti si rispettano reciproca-mente, cattolici e protestanti convivono senza pro-blemi, e la formula della libera Chiesa in libero Stato ha sinora retto alla prova. Ma questa formula invo-ca un delicato equilibrio che deve essere gestito con

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prudenza e misura. Dunque, quieta non movere. E invece la Chiesa di Roma in Italia è scesa in guerra. Il cardinal Ruini dichiara che nelle questioni etiche la Chiesa è sempre intervenuta e che ha il diritto di intervenire. Si, ma est modus in rebus, c'è modo e modo di farlo. Una Chiesa che ingiunge ai farma-cisti cattolici di non vendere contraccettivi chiara-mente invade il "libero Stato" e la sfera di libertà dei cittadini. E poi c'è il tono, l'eccesso di motivazio-ne. Davvero il contraccettivo riflette una "cultura della morte"? Nel suo ultimo libro Papa Wojtyla si è scagliato contro "lo sterminio degli esseri umani concepiti e non mai nati". Sterminio? Come si fa a sterminare l'inesistente, e cioè esseri che ancora non esistono, visto che non sono mai nati? A me pare che il referendum sulla legge 40 abbia creato un conflitto tra ragione e fede. Proprio sulla base della definizione religiosa dell'uomo, inoltre, non condivido l'affermazione della Chiesa secondo cui l'embrione ha un'anima. Il motivo? San Tom-maso e una dottrina millenaria in cui si stabilisce il confine dell'eresia. Forse eccitato da tanta autorevo-le fonte, il professor Francesco D'Agostino, mem-bro dell'Accademia pontificia Pro Vita e Presiden-te dei giuristi cattolici, si è spericolato nell'asserire che la diagnosi preimpianto non si poteva fare per-ché violava la privacy dell'embrione. Cosi prenden-do in contropiede lo stesso Rodotà, il garante della materia, che ha dovuto precisare che "nessuno mai in Europa ha parlato di privacy dell'embrione". In

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consimile slancio il primate della Chiesa cattolica inglese, cardinale Cormac Murphy-O'Connor, ha accostato l'interruzione della gravidanza agli "espe-rimenti di genetica dei nazisti". E se queste non so-no esagerazioni, sono peggio. Riprendiamo il discorso dall'inizio: quale è la dif-ferenza tra vita in generale (anche di una rosa, an-che di un moscerino) e vita umana. Io ho già rispo-sto su queste colonne che l'uomo è caratterizzato da autocoscienza (o autoconsapevolezza), dal sapere di sé. Questa risposta laica (o filosofica) ha molte va-rianti, sulle quali non mi voglio dilungare. Debbo però ribattere alla obiezione che in tal caso un ritar-do mentale o anche un neonato non sarebbero mai, o ancora, un essere umano. Obiezione pretestuosa, perché le definizioni precisano categorie e sono con-tenitori concettuali. Non sono strumenti contabi-li e non occorre che acchiappino tutto e tutti; ba-sta che identifichino e, appunto, caratterizzino. In ogni caso, la definizione religiosa è e deve essere di-versa: è che l'uomo è tale perché caratterizzato dalla presenza dell'anima. Questa è una definizione che io rispetto. E mi fa specie che sia io a doverla ricor-dare e difendere mentre la Chiesa di Papa Wojtyla, scrivevo, dà mostra di essersene dimenticata. Questa asserzione ha suscitato l'ira di molti letto-ri che ribattono: lei è proprio un ignorantone o peggio, è ovvio che l'anima arriva con l'embrione. Ovvio? Ovvio proprio no. Questa non è mai sta-ta la dottrina della Chiesa (né, preciserò, di nessu-

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2 4 4 | 1 1 PAESE DEGLI STRUZZI

na Chiesa). Sul punto ho già citato San Tomma-so. Ma l'ha fatto ancor meglio e più estesamente di me Umberto Eco (su L'Espresso del 17 marzo), che è profondo conoscitore dell'Aquinate, che ne cita ben sei passi, e che riassume così: Dio introdu-ce l'anima razionale solo quando il feto è un corpo già formato; dal che consegue che dopo il Giudizio Universale, quando i corpi dei morti risorgeranno, "a quella resurrezione gli embrioni non partecipa-no: in loro non era stata ancora infusa l'anima ra-zionale e pertanto non sono esseri umani". Ignorantoni a parte, un filosofo cattolico che invece sa di queste cose mi risponde che San Tommaso "è vecchio" e che "non è necessario tornare indietro di sette secoli". Se così, povera Chiesa. Se San Tom-maso è vecchio, lo sono ancora più Sant'Agostino e la Patristica. E altrettanto vecchi sono gli straor-dinari dibattiti che hanno stabilito quale sia la ve-ra fede e quale l'eresia. La Chiesa cattolica dura da duemila anni poggiando su questo imponente ba-gaglio teologico. Se lo si dichiara vecchio e lo si ri-tiene sorpassato, allora cosa le resta? Passo a precisare, come promesso, che la tesi deH'"embrione eguale persona" non è sottoscritta, che io sappia, da nessuna altra religione. Non è con-divisa dalla Chiesa anglicana e dalla maggior par-te delle Chiese protestanti. Ancor più significativo, non è condivisa dalle altre religioni monoteistiche. In riferimento al Talmud, libro sacro dell'ebraismo, la dottrina è che l'embrione diventa gradualmen-

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te persona nel secondo mese di gravidanza, e cioè quando il feto dà inizio alla formazione degli orga-ni. Analogamente nella religione islamica l'anima entra nel corpo quaranta giorni dopo la procreazio-ne, dal che discende che oggi viene ammessa senza problemi la sperimentazione sull'embrione. La cro-ciata del cardinal Ruini è dunque una crociata soli-taria. Può benissimo darsi che in Italia la vinca. Ma sarebbe una vittoria di Pirro votata, altrove e alla lunga, a una pesante sconfìtta. Tanto più che se la vince dovrà poi ripartire in crociata contro l'abor-to. Altrimenti avremmo un embrione (che fino a 18 giorni dall'ovulazione ha ancora una dimensio-ne inferiore al millimetro e non contiene organi o tessuti differenziati) tutelato, e un feto non tutela-to, comunque meno tutelato. Un evidente assurdo. A prescindere da questo assurdo, il fatto è che ora-mai la società cristiana dell'Occidente tiene alla vi-ta, non accetta di morire soffrendo inutilmente, e quindi si affida alla medicina per le malattie che ci fanno soffrire e morire. La legge 40, scrive Vero-nesi, "è inumana e ingiusta". In Italia 30.000 bam-bini nascono ogni anno con gravi malformazio-ni. È giusto, è umano, farli nascere cosi? La gente teme di morire afflitta dal morbo di Parkinson o dall'Alzheimer, e la sperimentazione sull'embrione promette (forse a torto, ma questo non lo sa nean-che la Chiesa) di curare malattie che ci terrorizza-no. Il cardinal Ruini crede davvero che su queste questioni, su queste angosce, la gente voterà contro

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la medicina? Fermo restando — anch'io ho fermis-sime convinzioni bioetiche — che l'eugenetica deve essere soltanto curativa e che non deve mai imboc-care la pericolosissima china di una umanità gene-ticamente manipolata. Allora, quando è che la vita diventa propriamente umana? La risposta che non crea problemi è la rispo-sta ovvia, e cioè che la persona umana, l'individuo persona, è tale quando esce dall'utero della madre, quando comincia a esistere in indipendenza, da so-lo. Questa era l'ottica del diritto (fino alla legge 40) che stabiliva al momento della nascita l'acquisto del-la capacità giuridica. E questa potrebbe essere l'uni-ca discontinuità riconosciuta dalla biologia, che de-ve altrimenti essere "continuista". Ma, attenzione, non è che la biologia possa sostenere la tesi dell'em-brione persona. Anzi, la biologia ci mette di fron-te al fatto (evoluzionista?) che la specie umana con-divide con i primati, con gli animali superiori, più del 95 per cento del patrimonio genico; che il cuo-re (il primo organo che diventa funzionalmente atti-vo nella organogenesi) comincia a battere solo nella quarta settimana dopo la fecondazione; e che un al-tissimo numero di embrioni si perdono, e cioè che il più delle volte l'embrione non diventa bambino. Oggi la Chiesa chiede ai giuristi cattolici e ai bio-logi cattolici di sottoscrivere la tesi che l'embrione è già un essere umano. Ma chi la sottoscrive lo fa come credente, non certo come giurista o uomo di scienza. Questa tesi è razionalmente insostenibile.

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E comunque non ci siamo lo stesso. La religione non esiste per far nascere quante più persone pos-sibili (soffriamo già, globalmente, di sovrappopola-zione), e ancor meno per prolungare artificialmente la vita (per decenni) di una vita puramente vegeta-le. La religione esiste per sconfìggere la morte, per promettere all'uomo la immortalità. E a questo fi-ne occorre l'anima. Senza l'anima non c'è resurre-zione dei corpi né vita eterna. E dunque la Chiesa ci deve saper dire quando arriva. Sennò rischia di non arrivare mai. La Chiesa di Papa Wojtyla non ha osato smentire tutta la sua teologia (che ha sempre escluso che "l'a-nima razionale" arrivi all'istante del concepimento) e quindi tace, o comunque sorvola, su quando l'a-nima cominci ad "animare l'uomo". Ne sta risul-tando una religione che si appiattisce su una con-cezione biologica della vita, che accusa di omicidio chi lascia morire una "vita vegetativa" che mental-mente è già morta, e che fa prevalere la potenziali-tà di vita di un embrione sulla "vita spirituale" (au-tocosciente) di chi è attualmente in vita e chiede ai progressi della medicina di essere curato. Il lascito di San Tommaso è di una ratio confortata fide. Ma oggi mi imbatto sempre più in una fede fanatizza-ta che emargina la ragione e la ragionevolezza. Sba-glierò, ma in tutto questo c'è qualcosa di profon-damente sbagliato.

16 aprile 2005

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L'EMBRIONE E LA PERSONA

La legge 40 che sarà sottoposta tra poco (il 12-13 giugno) a referendum è una legge su che cosa? Uf-ficialmente è una legge sulla "fecondazione artificia-le", o assistita, anche detta, seppur impropriamente ed erroneamente, sulla fecondazione etcrologa. In verità è molto molto di più. E una legge che stabi-lisce che l'embrione è già vita umana, e che perciò correda l'embrione di "diritti". Ora, nessuno con-testa che l'embrione sia vita. Un sasso non ha vita; ma tutto ciò che nasce, si sviluppa e muore, è vita. Le piante sono vita, gli animali sono vita. E da un punto di vista biologico il genoma (i geni) di Uno scimpanzé è quasi eguale — al 99,5 per cento — a quello di un essere umano. Eppure la differenza tra uno scimpanzé e un Homo sapiens è immensa. Qual è? Perché l'embrione umano va protetto e quello dello scimpanzé no? Se dobbiamo proteggere la vi-ta, allora di questa "vita e basta" esistono miliardi di miliardi di specie e di varietà. Ma se ci interessa

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specificamente la protezione della vita umana, al-lora la dobbiamo definire, allora dobbiamo stabili-re quale vita è umana e perché. Fino a circa mezzo secolo fa, lo sapevamo. Grosso modo (ci sono eccezioni) per la Chiesa e per la fe-de l'uomo è caratterizzato dall'anima, e T'anima ra-zionale", per dirla con San Tommaso, arriva tardi, non certo con il concepimento. Invece per la filo-sofìa, o per la riflessione razionale, l'uomo è carat-terizzato dalla ragione, dalla autocoscienza o quan-to meno da stati mentali e psicologici coscienti. Per Locke, per esempio, la persona è "un essere consa-pevole di sé", e "senza coscienza non c'è persona" {Saggio sull'intelligenza umana, II, 27). Ma ecco che d'un tratto, la Chiesa cattolica dimentica l'anima (e con essa tutta la sua teologia) e si affida alla biolo-gia, alla quale fa dire che tra il mio embrione e me non c'è differenza: vita umana la sua, vita umana la mia. Ma purtroppo la differenza c'è; ed è anche ad-dirittura a mio danno. Se, come mi augura un sim-patico lettore, io fossi stato ucciso in embrione io non me ne sarei accorto e nemmeno avrei sofferto; invece io come persona umana so che dovrò mo-rire e forse anche soffrire. E il discorso serio, l'ar-gomento logico, è questo: che se un embrione sa-rà una persona, ancora non lo è come embrione. E sfido qualsiasi ruiniano a fornire una definizione di "persona umana" che si applichi all'embrione. Passo ai risvolti pratici e agli aspetti concreti del-la questione. Un primo argomento dei sostenito-

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ri della 40 è che proteggere l'embrione è protegge-re il più debole, la vita più debole. Ma da questo punto di vista gli embrioni non se la stanno cavan-do tanto male. I testi di demografìa di quando na-scevo prevedevano per il 2000 una popolazione di 2 miliardi; invece siamo addirittura più di 6 miliar-di e si prevede che saliremo fino a 9. Ne risulta un eccesso di successo degli embrioni: una sovrappo-polazione che porta alla distruzione della Terra, del pianeta Terra, e così anche al suicidio tendenzia-le del genere umano. In questo contesto, il diritto alla vita si capovolge in una straziante condanna a morte per i già nati, i viventi in eccesso. Un altro argomento è che la 40 tutela la donna. Questa poi. Se l'embrione è sacro e inviolabile, an-che la pillola (contraccettiva) del giorno dopo deve essere proibita. Così centinaia di milioni di mino-renni inesperte o anche violentate si devono tene-re un bambino indesiderato o altrimenti ricorre-re all'aborto. Che però dovrà essere anch'esso le-stamente proibito, perché se passa la 40, la legge 194/78 sull'aborto non potrà essere mantenuta: la contraddizione non lo consente. E così torneremo alle "mammane" clandestine che spesso massacra-no e ammazzano le loro clienti. Davvero una bel-la tutela.

29 maggio 2005

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LA PERSONA CHE NON C'È

L'incipit dell'assalto a valanga di Oriana Fallaci ("Noi cannibali e i figli di Medea", Corriere della Sera, 3 giugno 2005) dice così: "I mecenati del dot-tor Frankenstein voteranno senza ragionare...". Io non capisco bene, confesso, chi siano i ricconi (me-cenati) che pagano Frankenstein. Ma tra questi ul-timi sospetto di essere incluso, visto che il suo elen-co include gli accademici dei Lincei. Se così, giuro di non avere ancora ricevuto nemmeno un copeco da nessuno. In attesa (il mecenatismo è sempre gra-dito) non posso consentire a Oriana Fallaci di er-gersi a campione di coloro che ragionano, e quindi del "ragionare" e della ragione. Con il suo permes-so, io (anche io) di logica e di razionalità mi inten-do. Allora, ragioniamo. La questione di fondo, la madre di tutte le batta-glie, è se un embrione che sarà vita umana lo è già come embrione. Che sia vita nessuno lo conte-sta; ma "umana"? Il cardinale Scola la mette così:

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2 5 4 | IL PAESE DEGLI STRUZZI

"Io sono Angelo Scola, 63 anni, Patriarca di Ve-nezia perché sono stato quell'embrione". Ho già lamentato che la Chiesa non si ricordi più dell'a-nima (dell'anima infusa da Dio). Ma ora scopro che il nostro bravo Cardinale si dimentica del li-bero arbitrio. E senza libero arbitrio non c'è colpa né merito: tutto è già predeterminato ab ovo. Per vincere un referendum la Chiesa sta massacrando tutta la sua teologia? Comunque sia, io continuo a credere nel libero ar-bitrio, mi ritengo responsabile di quel che faccio, e quindi concedo pochissimi meritilo anche deme-riti, al mio embrione. Concedo che l'embrione ab-bia prestabilito la lunghezza del mio naso, il mar-roncino dei miei occhi, e altri attributi della mia semi-bellezza fisica. Ma non gli concedo nemme-no un nano-milligrammo in più. Non potrei ne-anche volendo. Il titolo di una mia biografìa acca-demica di anni fa era: "Fortuna, caso, ostinazione". Quel titolo era mio. E se forse l'ostinazione deriva dal mio embrione, tutto il resto proprio no. Come esseri umani siamo tutti diversi l'uno dall'altro, e non siamo come polli in batteria programmati dal loro uovo proprio perché risultiamo dall'interazio-ne tra centinaia e centinaia di eventi che in larga parte "avvengono" e ci cascano addosso. Così, per esempio, io mi intendo di logica perché l'ho stu-diata. Ma non l'ho studiata per "vocazione embrio-nale" ma, come racconto in quel racconto, per for-za di circostanze.

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Allora, la logica. In logica, che è la quintessenza del-la razionalità, non si può sostenere, proprio non si può, che l'embrione è un essere umano perché sa-rà un essere umano. In logica il principio di iden-tità (il primo principio della logica aristotelica) è atemporale e si declina al presente: A è uguale ad A. La logica non è un futuribile, non può accetta-re il salto tra è ora e sarà domani. Per la logica se io mangio un uovo di struzzo non uccido uno struzzo: mangio un uovo. Ma per la logica di Oriana Falla-ci non è così. Cito: "I Frankenstein... con buratti-nesco sussiego dichiarano che l'embrione non è un essere umano... Con pagliaccesca sicurezza procla-mano che non ha una anima, che l'anima esiste se esiste il pensiero... O che un feto comincia a pen-sare solo all'ottavo o nono mese di gravidanza, che secondo San Tommaso d'Aquino fino al quarto mese siamo animali e quindi tanto vale proteggere gli embrioni degli scimpanzé". Dopodiché, non ancora sazia di tanta scorpaccia-ta, la Nostra asserisce che "ripararsi dietro il sillo-gismo Cervello-Pensiero-Anima-eguale-Umano è una scemenza". Sì, è una scemenza perché questo non è un sillogismo. Per esempio: "Le donne so-no tutte romanziere (premessa maggiore), Anai-ro è donna (premessa minore), pertanto (conclu-sione) Anairo è romanziera". Siccome la premessa maggiore è falsa, anche la conclusione è falsa. Ma la costruzione del sillogismo è quella. Ed è anche una scemenza dichiarare, come si legge subito do-

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po, che "anche gli animali hanno un cervello... an-che gli animali hanno un pensiero". Come quello di Oriana? Il suo bellissimo, davvero bellissimo ul-timo romanzo, Insciallah lo ha forse scritto il pen-siero del suo cane? Debbo anche sfidare Oriana Fallaci a citare un mio solo passo (la "pagliaccesca sicurezza" sopra citata è senza dubbio la mia, visto che sono io che ho tirato in ballo l'anima e San Tommaso) nel quale asseri-sco che l'anima viene con il pensiero (io mi limito a chiedere alla Chiesa di dirmi quando arriva), che il feto comincia a pensare all'ottavo mese, o che ci sia un qualsiasi nesso (non c'è) tra San Tommaso e gli scimpanzé. Tornando al punto, secondo Oriana Fallaci "l'em-brione che sboccia dall'ovulo di un elefante è un elefante". Io ribatto che sarà un elefante. E la stessa cosa? Oriana mangi un ovulo del predetto, e mi fac-cia sapere se ha mangiato un elefante. E il discorso logico, il discorso razionale, è questo: a chi dichia-ra che l'embrione è già vita umana ho il diritto di chiedere: per favore, mi definisca "umana". Defini-re — spiego - è dichiarare il significato che io attri-buisco a una parola, a un concetto. E dunque quali sono le caratteristiche, attributi o proprietà (in lo-gica si dice così) di "essere umano"? Di saper pen-sare, di saper parlare su se stesso (il discorso sul di-scorso) e, contentandosi di sempre meno, di pos-sedere un sistema nervoso, e quindi la sventura di soffrire? Non so, dite voi. Ma nessuno, proprio nes-

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suno, lo dice. Non lo dice perché è chiaro che nes-suna caratteristica individuante dell'individuo-per-sona esiste nell'embrione. Dal che inesorabilmente discende - per la ragione guidata dalla logica — che l'embrione non è una entità (in logica si dice così, lasciamo stare i "grumi" o le "muffe") sacrosanta. Se è in qualche modo utile toccarlo, è toccabile; al-trimenti lasciamolo in pace. Così come lasciamo in pace miliardi e miliardi di miliardi di altre vite. Il fatto che l'embrione sia un progetto di vita individuale vuole soltanto dire che l'embrione nell'utero di Maria Fecondata (un no-me fittizio di mia invenzione) non produrrà uno scimpanzé. Se lo scienziato cattolico vuole passa-re da "individuale" a "vita dell'individuo umano", allora bara al gioco. Come ho appena spiegato, di-chiari prima qual è, per lui, la caratteristica di "uma-no" e di "individuo". A molti questa può sembrare una questione astru-sa o addirittura di lana caprina. Ma le sue implica-zioni sono concretissime. Le cellule staminali che si ottengono distruggendo l'embrione possono es-sere usate per la ricerca medica, e cioè per la possi-bile cura di malattie oggi incurabili, oppure no? Se l'embrione non è sacrosanto, ovviamente sì. Altri-menti no. Forse questa ricerca fallirà. Ma la scien-za che è tale la deve consentire. Altro caso: è lecito, è giusto, fermare, prima della nascita, la nascita di un bambino talassemico o af-fetto da consimili malattie ereditarie? Se l'embrio-

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ne è sacrosanto ovviamente no. In tal caso a dei ge-nitori disgraziati deve essere imposto di far nasce-re bambini disgraziati. Ma altrimenti questa è una terribile inutile crudeltà. Ancora, se l'embrione è già intoccabile vita umana come si fa a sostenere che la conferma della legge 40 non rimbalzerà sul-la legge 194 del 1978 che disciplina e consente l'a-borto? Secondo me questa è una vergognosa ipo-crisia. L'embrione (che è una entità infinitesimale) è sacro, e invece il feto di un bambino già forma-to non lo è? Storace se la cava dicendo che di que-sto non è il caso di parlare ora. Ma la Chiesa, che è maestra di moralità, non se la può cavare con una furbata alla Storace. Infine, c'è la questione dei contraccettivi, che tocca milioni di giovani donne. La Chiesa proibisce i pre-servativi (persino al cospetto del flagello dell'Aids) e poi condanna come omicidio anche l'uso della co-siddetta pillola del giorno dopo. Omicidio? E solo alla fine della seconda settimana che nell'embrio-ne si comincia a intravedere l'inizio di un sistema nervoso. Prima non c'è niente di distinto e di di-stinguibile. Omicidio di che cosa? Di quattro-ot-to cellule informi? Passo alla scienza, che in questo caso sono la ri-cerca medica da un lato, e la genetica e la biologia dall'altro. Sulla prima dirò soltanto che non può essere fermata. Se bloccata in Italia proseguirà lo stesso intorno a noi: resteremo indietro (a danno nostro) e basta. S'intende che la ricerca medica va

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tenuta sotto controllo come si fa da sempre e, vista la delicatezza dei problemi, più di sempre. Quan-to alla genetica e alla biologia il punto fermo è che i concetti di individuo-persona, persona umana, e simili sono estranei alla scienza. Il biologo di ob-bedienza cattolica è libero di usarli come qualsia-si altro privato cittadino; ma se lo fa in carta inte-stata, allora la sua è falsa testimonianza. Per la bio-logia e la genetica esiste soltanto la continuità di un nascere-vivere-morire. Se a un certo momen-to un certo specifico vivere viene elevato al rango di persona umana, in questa attribuzione la scien-za non c'entra. Non è la sua partita. Perché questa attribuzione e qualificazione compete da sempre alla filosofìa (ivi inclusa la filosofia cristiana) e al-la branca della filosofia che è l'etica. Concludo. Io certamente non contesto che quando si interviene sulla natura stessa dell'uomo si apre un problema gravissimo. Decenni fa, citando il noto biologo Je-an Rostand notavo che l'ingegneria genetica apri-va prospettive terrificanti. Lo sono. Ma che non sono da combattere agitando spauracchi da quat-tro soldi come il romanzo di Mary Shelley, Fran-kenstein, che tutti ricordano perché impersonato al cinema da uno straordinario Boris Karloff. Gri-dare alla strage degli innocenti, allo sterminio, al cannibalismo, non è serio. Ed è ancor meno serio tirare in ballo Hitler e l'eugenetica nazista. Que-sti sono colpi bassi. Perché non credo che nessu-na democrazia consentirà mai una eugenetica atta

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a produrre la razza pura o la razza superiore. Se lo consentisse, allora il problema non sarebbe l'euge-netica ma la democrazia. A proposito stavo per dimenticare: io andrò a vo-tare. Non voglio essere annoverato tra le "anime morte" (cito solo un bellissimo titolo di Gogol) di coloro che non votano mai nemmeno per sbaglio.

11 giugno 2005

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VITA ARTIFICIALE E LIBERTÀ DI SCELTA

Tutto è cominciato con l'Enciclica del 1968 Hu-manae Vitae di Paolo VI. A 40 anni esatti di di-stanza, l'altro giorno il Corriere ha accolto nella sua pubblicità la "Lettera aperta al Papa" del mo-vimento dei Catholics for Choice (il diritto di sce-gliere) sottoscritta da un centinaio di organizza-zioni cattoliche di tutto il mondo. L'esordio del-la Lettera è duro: "Le gerarchie cattoliche hanno fondato sulla Humanae Vitae la politica di oppo-sizione alla contraccezione". Politica, continua la Lettera, "che ha avuto effetti catastrofici sui po-veri, ha messo in pericolo la vita delle donne ed esposto milioni di persone al rischio di contrar-re l'Hiv". Ma il testo si ferma su questo problema ignorando il crescendo successivo. Con Wojty-la e Ratzinger la contraccezione e l'aborto vengo-no condannate allo stesso titolo. Ma perché? Con quale logica? La contraccezione — lo dice la parola — impedisce la concezione. E prevenire una gravi-

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danza non è "uccidere", non è interrompere una gravidanza (aborto). Vorrei che qualcuno mi di-mostrasse il contrario. Un altro passo in avanti consiste nell'asserire che l'embrione è già vita umana. Per dimostrarlo la Chiesa dovrebbe distinguere tra "vita" e "vita uma-na", e provare che le caratteristiche della seconda sono già presenti nell'embrione. In passato, e con San Tommaso, la vita dell'uomo era contraddistinta dalla presenza delT'anima razionale". Ma quest'ul-tima, per Tommaso, arrivava "tardi", in vicinanza della nascita e non certo dell'embrione. Teologica-mente parlando l'ostacolo è grosso, e Wojtyla lo su-pera dimenticandosi dell'anima e citando la scienza. Così: "La scienza ha ormai dimostrato che l'embrio-ne è un individuo umano che possiede fin dalla fe-condazione la propria identità". Ma la scienza può soltanto attestare che l'embrione è programmato per diventare, dopo 9 mesi, un individuo umano ma non che lo è già sub specie di embrione. Anche se un uovo diventerà una gallina non è gallina fin-ché resta uovo; né io, mangiando un uovo, diven-to assassino di una gallina. Dunque, in teoria qualsiasi vita è intoccabile (an-che quella dei pidocchi o delle zanzare), visto che la Chiesa spesso e volentieri confonde tra qualsiasi vita e vita specificamente umana. In pratica, però, la vita intoccabile è solo la vita dell'uomo. Ma ec-co ancora un ulteriore salto in avanti. Finora la vi-ta umana era intoccabile "in entrata" (aborto) e an-

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VITA ARTIFICIALE E LIBERTÀ DI SCELTA 2 6 3

che "in pre-entrata" (contraccettivi); ma "in uscita" le persone erano lasciate libere di morire. Benin-teso, non di suicidarsi ma di morire "naturalmen-te". Ma siccome la scienza ha inventato la soprav-vivenza artificiale, ecco che oggi la Chiesa nega il diritto di morire anche a chi, come essere umano, è già morto. L'ultimo caso è quello di Eluana Englaro, in coma profondo da addirittura 16 anni. A questo pun-to i genitori chiedono che venga staccata dal mac-chinario che la tiene in vita (in vita vegetale) e due tribunali (Cassazione e Corte d'appello) consento-no. Apriti cielo! A distanza di pochi giorni il pg di Milano blocca. Il che implica che dovrebbe inter-venire il Parlamento. Sì, il Parlamento si dovreb-be svegliare nel consentire il "testamento biologi-co" di ciascuno di noi quando siamo ancora sani di corpo e di mente. Anche il legislatore "papista" lo potrebbe benissimo fare in tutta coerenza, visto che Wojtyla si era rimesso alla scienza per stabilire quando comincia la vita. E la scienza stabilisce che una persona è morta quando il suo cervello è mor-to, quando l'elettroencefalogramma è piatto e non rileva più onde magnetiche cerebrali. Punto e finito lì. Per me. Ma non per la deputata azzurra Isabella Bertolini la cui mozione, sostenu-ta da 80 firme di neo-sanfedisti, chiede che il go-verno introduca "il divieto di qualunque atto che legittimi pratiche eutanasiche o di morte indotta". Non facciamo fìnta di non capire. Questo testo im-

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pedirebbe il "testamento biologico". Già consenti-to negli Usa, in Gran Bretagna, in Francia, in Spa-gna, agli italiani non lo si vuole consentire. Poveri noi, e intanto povera Eluana.

2 agosto 2008

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LA CHIESA E IL DIRITTO DI MORIRE

Paradossalmente, quando la De era al potere la Chiesa non comandava. De Gasperi e altri leader democristiani agirono, rispetto alle richieste del Va-ticano, secondo coscienza e seppero anche dire sec-camente No. Oggi la Chiesa comanda (parecchio) e Prodi, pur cattolico fervente, la indispettì per aver osato dire che era "un cattolico adulto", e cioè ca-pace di ragionare con la sua testa. E l'ulteriore pa-radosso è che oggi il più "aperto" ai voleri del Va-ticano sia Berlusconi. Bossi tiene, e sulla immigra-zione clandestina non si piega. Invece Berlusconi, che non è certo un cattolico esemplare, è pron-to a cedere quasi su tutto (salvo che sulla sua per-sona). Il testamento biologico approvato tempo fa dal Senato e fortemente voluto dalla Chiesa, è sta-to approvato dalla sua maggioranza. Ed è arriva-to ieri alla Commissione competente della Came-ra per l'approvazione definitiva. Si prevede che sa-rà ritoccato. Anche così resterà un testamento che

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viola la volontà del testatore. Perché questo è l'in-tento della Santa Sede. La Chiesa, e per essa il suo Pontefice, può sbagliare? Certo che può sbagliare. Tantovero che agli ultimi Pontefici è venuto addirittura il vezzo di chiedere scusa per errori e anche male azioni di loro prede-cessori. D'altronde la dottrina della infallibilità pa-pale è recente, è del 1870, e si applica soltanto ai pronunciamenti solenni, ex cathedra, in materia di fede e di morale. Quando Papa Ratzinger è andato in Africa a discettare di preservativi e di Aids, il suo discettare non era solenne ed era anche sicuramente sbagliato. Nemmeno è vero che in quella occasione il Papa non abbia detto niente di nuovo. Sì, il Va-ticano si oppone da sempre agli anticoncezionali. Ma un Pontefice non ha mai asserito, che io ricor-di, che "la distribuzione dei preservativi" non serva a combattere davvero l'Aids: una tesi (cito dalla im-portante rivista Lancet) che "manipola la scienza". Restiamo al testamento biologico, in merito al qua-le il Vaticano vuole a ogni costo impedire ulterio-ri "omicidi", se non assassinii, alla Eluana. Perché, nell'autorevole dire del cardinale Bagnasco (Presi-dente della Conferenza episcopale italiana, e cioè dei nostri vescovi), non è accettabile "un diritto di libertà tanto inedito quanto raccapricciante: il di-ritto di morire". Ma "raccapricciante" è invece per me la tesi del cardinale. Come è ovvio, i miei diritti di libertà sono limita-ti e delimitati dai diritti di libertà degli altri. Cioè,

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io sono libero finché non invado e danneggio la li-bertà altrui. E viceversa. L'unica eccezione, l'uni-co diritto di libertà assoluto, che spetta soltanto a me perché è soltanto "solitario", è il mio diritto di morire (di morte naturale) come scelgo. Pertanto la novità, l'inedito, è che si vuole persino negare la libertà di morire senza inutili sofferenze e prolun-gate agonie. Sia chiaro: questa imposizione, que-sta illibertà, esisterebbe solo da noi. Dal che rica-vo che il testamento biologico "alla Vaticana" do-vrebbe essere rispedito al mittente. Libera Chiesa nel suo libero Stato/Aggiungi che la partita non è — come ha ben precisato Massimo Salvadori — tra cattolici e laici. È, piuttosto, tra un rinato sanfedi-smo, un fideismo che acceca la ragione e, dall'altro lato, tutte le persone, laiche o cattoliche che siano, che vogliono decidere da sé sulla propria sorte, o, se si vuole, malasorte.

16 settembre 2009

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FONTI

"Santa Finimola. Il mio sogno di Ferragosto", Corriere della Sera, 15/08/1997. "Politica demografica e libertà di dissentire", Corriere della Sera, 19/08/1997. "La vergogna degli incendi", Sartori G., Mala tempora, Roma-Bari, Laterza 2004, pag. 487. "Siamo incoscienti e siamo troppi", Sartori G., Mazzoleni G., La Terra scoppia. Sovrappopolazione e sviluppo, Milano, Rizzoli 2003, pag. 15. "L'altra faccia, della crescita. La malattia è la sovrappopolazione", Sarto-ri G., Mazzoleni G., La Terra scoppia, Milano, Rizzoli 2003, pag. 21. "La tecnologia ci può salvare?", Sartori G., Mazzoleni G., La Terra scoppia, Milano, Rizzoli 2003, pag. 26. "Il texano tossico che affonda Kyoto", L'Espresso, 9/08/2001. "Riflessioni sulla fame e sui popoli di Seattle", Sartori G., Mazzole-ni G., La Terra scoppia, Milano, Rizzoli 2003, pag. 34. "La Fao ci inganna", Sartori G., Mazzoleni G., La Terra scoppia, Mi-lano, Rizzoli 2003, pag. 37. "Una corsa insensata e perdente", Sartori G., Mazzoleni G., La Ter-ra scoppia, Milano, Rizzoli 2003, pag. 41. "La crescita demografica non si ferma da sola", Sartori G., Mazzole-ni G., La Terra scoppia, Milano, Rizzoli 2003, pag. 52. "L'acqua manca come si sapeva", Sartori G., Mazzoleni G., La Ter-ra scoppia, Milano, Rizzoli 2003, pag. 58. "Il riscaldamento della Terra sconvolge il clima", Sartori G., Mazzo-leni G., La Terra scoppia, Milano, Rizzoli 2003, pag. 62. "Tutti a Johannesburg tranne il buonsenso", Sartori G., Mazzoleni G., La Terra scoppia, Milano, Rizzoli 2003, pag. 66.

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"Smettiamola di vendere panzane", Sartori G., Mazzoleni G., La Ter-ra scoppia, Milano, Rizzoli 2003, pag. 70. "Il problema è la bomba demografica", L'Espresso, 1/01/2003. "I cattivi alibi dello sviluppiselo", Sartori G., Mazzoleni G., La Ter-ra scoppia, Milano, Rizzoli 2003, p. 74 "La testa sotto la sabbia", Corriere della Sera, 17/03/2003. "Homo stupidus stupidus", Sartori G., Mala tempora, Roma-Bari, Laterza 2004, pag. 520. "Il nemico non è il contadino ricco", Sartori G., Mala tempora, Roma-Bari, Laterza 2004, pag. 522. "Inquinamento da ignoranza", Sartori G., Mala Costituzione e altri malanni, Roma-Bari, Laterza, 2006, pag. 146. "Crichton, Kyoto e i lietopensanti", Sartori G., Mala Costituzione e altri malanni, Roma-Bari, Laterza, 2006, pag. 183. "Il mercato non ci salverà", Sartori G., Mala Costituzione e altri ma-lanni, Roma-Bari, Laterza, 2006, pag. 185. "L'energia dimenticata", Corriere della Sera, 11/02/2006. "Più energia e più coerenza", Corriere della Sera, 15/02/2006. "L'intelligenza cresce o decresce?", Corriere della Sera, 15/08/2006. "Effetto serra e conteggi Fao", Corriere della Sera, 22/11/2006. "I globalisti sonnambuli", Corriere della Sera, 7/02/2007. "Uno sviluppo non sostenibile", Corriere della Sera, 15/08/2007. "Incendi: rimedi estremi per mali estremi", Corriere della Sera, 1/09/2007. "Crisi energetica. L'impreparazione al potere", Corriere della Sera, 17/11/2007. "Democrazia al verde", Sartori G., Il sultanato, Roma-Bari, Later-za, 2010, pag. 108. "Il mercato non salverà la Terra", Corriere della Sera, 26/03/2008. "La coperta è corta", Corriere della Sera, 6/05/2008. "Ambientalismo senza politica", discorso per il premio "Il monito del Giardino", Firenze 29/05/2008. "Malthus e il Club di Roma", Corriere della Sera, 16/06/2008. "Verdi fasulli, governo sordo", Corriere della Sera, 15/08/2008. "Evviva noi crepi il mondo", Corriere della Sera, 29/10/2008.

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"Cosi non possiamo durare", Sartori G., Il sultanato, Roma-Bari, Laterza, 2010, pag. 159.

"Il pozzo senza fondo", Sartori G., Il sultanato, Roma-Bari, Later-za, 2010, pag. 162.

"La salute dell'ambiente. I confronti sbagliati con il passato", Sarto-ri G., Il sultanato, Roma-Bari, Laterza, 2010, pag. 167.

"Salute dell'ambiente: dibattito", Sartori G., Il sultanato, Roma-Ba-ri, Laterza, 2010, pag. 167.

"La conferenza di Copenaghen sul clima", Sartori G., Il sultanato, Ro-ma-Bari, Laterza, 2010, pag. 181.

"Himalaya bene il resto male", Sartori G., Il sultanato, Roma-Bari, Laterza, 2010, pag. 189.

"Economia cartacea e limiti dello sviluppo", Corriere della Sera, 25/06/2010.

"La crescita demografica non fa bene all'economia", Corriere del-la Sera, 9/08/2010.

"La politica dello struzzo è la peggiore", Corriere della Sera, 15/08/2010.

"L'influenza della Chiesa", Sartori G„ Mazzoleni G., La Terra scop-pia, Milano, Rizzoli 2003, pag. 45.

"Vita, vita umana e anima", Sartori G., Mazzoleni G., La Terra scop-pia, Milano, Rizzoli 2003, pag. 79.

"La vita umana secondo ragione", Sartori G., Mala Costituzione e altri malanni, Roma-Bari, Laterza, 2006, pag. 152.

"C'è vita e vita", Sartori G., Mala Costituzione e altri malanni, Ro-ma-Bari, Laterza, 2006, pag. 155.

"Quando arriva l'anima", Sartori G., Mala Costituzione e altri ma-lanni, Roma-Bari, Laterza, 2006, pag 159.

"L'embrione e la persona", Sartori G., Mala Costituzione e altri ma-lanni, Roma-Bari, Laterza, 2006, pag. 163.

"La persona che non c'è", Sartori G., Mala Costituzione e altri ma-lanni, Roma-Bari, Laterza, 2006, pag. 166.

"Vita artificiale e libertà di scelta", Sartori G., / / Bari, Laterza, 2010, pag. 129.

"La Chiesa e il diritto di morire", Sartori G., / ri, Laterza, 2010, pag. 169.