un solo mondo 4/2015

36
Un solo mondo N. 4/ DICEMBRE 2015 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Settore privato Motore dello sviluppo Nomadi in pericolo Quotidianità difficile in Somalia Aiuto umanitario Zone calde e conflitti dimenticati

Upload: vokhuong

Post on 05-Jan-2017

225 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Un solo mondoN. 4/ DICEMBRE 2015LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONEwww.dsc.admin.ch

Settore privatoMotore dello sviluppo

Nomadi in pericoloQuotidianità difficile in Somalia

Aiuto umanitarioZone calde e conflitti dimenticati

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Sommario

3 Editoriale4 Periscopio26 Dietro le quinte della DSC34 Servizio 35 Nota d’autore con Nicolas Righetti35 Impressum

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenziadello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è unapubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta, infatti, ancheopinioni diverse. Gli articoli pertanto non esprimono sempre ilpunto di vista della DSC e delle autorità federali.

D S C

F O R U M

O R I Z Z O N T I

C U L T U R A

D O S S I E R SETTORE PRIVATO6 Il settore privato: forza trainante

Il settore privato è da una parte beneficiario e dall’altra alleato della cooperazione allo sviluppo

10 Mucche, galline e api in leasing Il microleasing permette ai contadini e agli imprenditori poveri dei Paesi del Sud di accedere ai crediti

12 I contadini dimenticati da Max HavelaarIntervista a Patrick Struebi, fondatore di Fairtrasa, un’impresa sociale che esporta nel mondo intero frutta e verdura biologica prodotta in America latina

14 Costruisci la tua casa!In Messico, l’imprenditore sociale Francesco Piazzesi rivoluziona la costruzione di case per i poveri

16 Sole invece di cherosene Con il sostegno della SECO, un fondo svizzero promuove la diffusione di lampade solari in Africa e Asia

17 Cifre e fatti

18 La difficile vita dei nomadi in SomaliaLe persone dello Stato dell’Africa orientale sperano che le carestie e la violenza abbiano presto fine

21 Sul campo con...Laila Sheikh e Lukas Rüttimann, responsabili della cooperazione regionale nel Corno d’Africa, da Nairobi

22 Sogni pieni di speranza in una patria stranieraZahra Jibril racconta del ritorno nella sua patria, nel Somaliland, e perché è rimasta nonostante le grandi difficoltà

27 Quando l’aiuto umanitario gioca con l’interruttoreDopo il terremoto, il Nepal è stato letteralmente travolto dall’attenzione mediatica e dagli aiuti internazionali. Altrove, la popolazione è lasciata a se stessa

30 La guerra che non c’èCarta bianca: Marius Ivaškevicius spiega perché per quattro anni non vuole più scrivere dell’amore, bensì solo della guerra

31 L’arte come veicolo di speranzaOgni forma d’arte nelle zone di crisi o in conflitto sa innescare effetti positivi e aprire nuovi spiragli all’ottimismo e alla fiducia

23 L’ammonimento come opportunità Il nuovo diritto penale minorile in vigore in Bosnia ed Erzegovina prevede misure di reintegrazione dei giovani che hanno commesso dei reati

24 Il latte di madre naturaIl progetto BioCultura sostiene i contadini della Bolivia affinché adattino i loro metodi di coltivazione alle mutate condizioni climatiche

2

3Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Editoriale

Durante i negoziati internazionali riguardanti il finan-ziamento dello sviluppo e l’agenda post-2015 sonoemerse visioni assai diverse in merito alla responsa-bilità che i Paesi più poveri devono assumersi per illoro sviluppo sostenibile e all’impegno che ci si puòattendere dai Paesi ricchi nel quadro della coopera-zione allo sviluppo.

Un ampio consenso è stato trovato, invece, sull’im-portante ruolo che spetta, sempre e ovunque, al set-tore privato per un’economia nazionale. Quest’ultimoassicura oltre il 90 per cento degli impieghi anche neiPaesi in via di sviluppo e tramite il gettito fiscale con-sente alle comunità di finanziare servizi pubblici estrutture sociali.

Su questo principio poggia una parte importante delleattività realizzate dalla DSC e dalla SECO. La coope-razione internazionale della Svizzera sostiene in primoluogo l’imprenditorialità nei Paesi partner, per esem-pio, promuovendo il settore finanziario locale, le pic-cole imprese a carattere commerciale o la formazioneprofessionale. In secondo luogo contribuiamo allosviluppo economico dei nostri Paesi prioritari attra-verso partenariati con imprese attive a livello interna-zionale. Non dimentichiamo che nei Paesi in via di svi-luppo gli investimenti diretti provenienti dall’esteroammontano a circa il 50 per cento dei flussi finanziariinternazionali; è una cifra tre volte superiore all’aiutopubblico allo sviluppo. Fanno ancora eccezione iPaesi più poveri: in questo caso l’aiuto pubblico allosviluppo è tre volte maggiore rispetto agli investimentidiretti.

Naturalmente, come agenzia pubblica per lo sviluppodobbiamo essere consapevoli della chiara suddivi-sione dei ruoli in questi partenariati con imprese pri-vate. Il nostro obiettivo è sempre quello di favorire unosviluppo che riduca la povertà, preservi l’ambiente eincluda anche i gruppi di popolazione svantaggiati neinostri Paesi partner. Per contro, le imprese private

perseguono – non soltanto, ma in primo luogo e com-prensibilmente – degli interessi economici.

La pratica ha ampiamente dimostrato che è possibileconciliare, per il bene dei nostri Paesi partner, gliobiettivi di sviluppo e gli interessi economici orientatisul lungo periodo. La DSC ha allacciato una trentinadi partenariati con imprese, soprattutto svizzere, conlo scopo, per esempio, di ridurre il consumo d’acquanella produzione agricola, promuovere l’accesso dellepiccole imprese ai servizi assicurativi e finanziari o mi-gliorare le previsioni sulle possibili catastrofi naturaliper preservare le colture.

Alla conferenza di Addis Abeba sul finanziamentodello sviluppo, tenutasi lo scorso mese di luglio, hoavuto la netta impressione che per i CEO più lungimi-ranti non è ormai più possibile scindere gli interessieconomici da quelli sociali ed ecologici. Gli squilibrisociali e lo sfruttamento eccessivo delle risorse natu-rali si ripercuotono negativamente non soltanto sul-l’uomo e sull’ambiente, ma anche sugli affari.

Sono certo che questo connubio fra sostenibilità eco-nomica, sociale ed ecologica racchiuda un notevolepotenziale per una cooperazione ancora migliore traattori statali, imprese private, ONG, fondazioni e uni-versità. Questo cambiamento di paradigma rende illavoro di tutti noi forse più impegnativo, ma in ultimaanalisi anche più efficace.

Manuel SagerDirettore della DSC

(Traduzione dal tedesco)

Il settore privato – il nostro partnerD

SC

4

Rei

Blin

ky

Roo

tIO

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Periscopio

Graffiti contro la violenza (gn) San Pedro Sula, nel Nord dell’Honduras. Con i suoi171 omicidi su 100000 abitanti è una fra le città più peri-colose al mondo. Due gang in guerra tra loro seminano ilterrore tra la popolazione, la cui vita è scandita da scenedi spaccio, corruzione e piccola criminalità. «Molta genteha paura di uscire di casa, perché per strada potrebbesuccedere qualcosa», afferma l’artista locale Rei Blinky.«San Pedro Sula non è però l’inferno. Qui si può vivere esi può fare qualcosa per cambiare la situazione». Lui lo fa,armato di bombolette spray. I suoi graffiti variopinti sonoun segnale efficace contro il clima di paura. Le opere diBlinky sono visibili in tutto il Paese e si riconoscono aprima vista. E a San Pedro Sula non è più l’unico graffitaro:altri artisti hanno seguito il suo esempio. Organizzano ate-lier per introdurre i ragazzi all’arte con le bombolette sprayaffinché anche loro contribuiscano a cambiare il volto dellacittà. Ora ai graffiti si aggiungono le parole. Merary Avila ècofondatore di una specie di succursale di Accion Poética,un movimento famoso nell’intera America latina per lepoesie spruzzate con lo spray sui muri: «Rispondiamo alle linee di demarcazione del territorio delle gang con ci-tazioni di opere di poeti honduregni».www.reiblinky.flavors.me

Una radio da un secchiello(gn) Nel Nord dell’Uganda, al-cuni giovani sviluppatori di soft-ware e specialisti di nuovi mediastanno lanciando una nuovaepoca radiofonica. Anche se nelPaese ci sono oltre 100 stazioniradio, spesso si avverte una certadistanza con la popolazione, in-dicano gli ideatori del progettomediatico RootIO. La maggiorparte delle trasmissioni è in lin-gua luganda o inglese. Molti de-gli oltre 40 idiomi dello Statodell’Africa orientale non si sen-tono mai alla radio. È nata cosìl’idea di creare una rete costi-tuita da numerose piccole emit-tenti che creano e diffondonotrasmissioni in stretta collabora-zione con la popolazione locale.L’obiettivo è di dare accesso atutti ai programmi radio nellapropria lingua. Per il momentosono in funzione quattro proto-tipi di microstazione radio. Ilcuore dell’impianto, che ognuno

La protezione della natura è pagante (gn) Il turismo può giovare allabiodiversità, ma solo a certecondizioni. A volte si creanodelle riserve naturali e aree pro-tette per attirare i turisti. Ciòpermette di salvaguardare varietàdi fauna e flora. Non è così in-vece laddove giungono masse di turisti; il loro numero mettein pericolo l’ambiente naturale,generando proprio l’effetto con-trario. Un manuale edito dallaConvenzione sulla diversità bio-

logica indica come il coinvolgi-mento della popolazione in pro-getti di protezione della naturasia un elemento centrale per svi-luppare un turismo sostenibile. Èproprio la popolazione locale adaccorgersi per prima di eventualicambiamenti. Ecco perché è im-portante – scrivono gli autoridel manuale – che la gente delposto sia coinvolta nella proget-tazione e nell’attuazione di si-mili progetti di protezione e svi-luppo del turismo, affinché possatrarne qualche beneficio. Matt

Walpole, direttore del WorldConservation Monitoring Centre,critica il fatto che, pur gene-rando ogni anno un utile di 600miliardi di dollari, il turismo le-gato alla protezione della naturane reinvesta solo 10 miliardi neirelativi progetti e nell’economialocale. «È accertato che vi è unrapporto diretto tra l’utilità diuna zona naturale protetta e ilvolume di investimenti operati».www.cbd.int (chiave di ricerca: tourism)

Le mine antiuomo mietonomeno vittime(gn) Da quando nel 1999 è stataapprovata la Convenzione diOttawa per il divieto delle mineantiuomo, il numero di vittime ènettamente diminuito. Nel 2000,la statistica ufficiale indicava cheogni giorno 25 persone rimane-vano uccise o ferite da una mina.Nel 2013, il loro numero è scesoa nove. Nel 1999, secondo lestime, le mine terrestri sotterrateerano circa 110 milioni. Da allora se ne sono aggiunte circa 2 milioni, mentre con un lavoroimpegnativo e dispendioso nesono state dissotterrate e disinne-scate a migliaia. Dal 2008 al 2013 si sono rese innocue più di 1,5 milioni di mine antiuomo,nonché 107000 mine anticarro.Inoltre è stata sminata una super-ficie pari a 973 km2. Nel 2013, il 75 per cento degli sminamentiha avuto luogo in Afghanistan,Cambogia e Croazia. Il Bhutan,l’Ungheria e il Venezuela hannopotuto terminare i loro lavori di sminamento nel 2013, nelBurundi si sono conclusi nell’aprile del 2014. Anche in Afgha-nistan, Cambogia e Colombia,Stati in cui negli ultimi 15 annisi è registrato il maggior numerodi vittime, c’è stata una riduzione.In Siria, invece, Paese che non ha firmato la Convenzione diOttawa, il numero di vittimedelle mine antiuomo è triplicato. www.the-monitor.org

può facilmente costruirsi da sé, èun semplice smartphone collegatoa un trasmettitore. Il tutto trovaposto in un secchiello di plasticache protegge le componentitecniche da acqua e sporco. I co-mandi sono impartiti attraversouna app che permette al mode-ratore di caricare le trasmissionio di utilizzare la funzione vocaleper interagire con gli ascoltatori.Questi ultimi possono a lorovolta comunicare con la stazioneradio oppure ascoltare le tra-smissioni sul loro cellulare.www.rootio.org

5

S4S

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Dis

egno

di J

ean

Aug

agne

ur

Meglio del sole (gn) In India fino a un terzo deiraccolti va a male. Sono perditeche potrebbero essere evitate, essiccando la verdura e la frutta,metodo che ne permette la suaconservazione anche sul lungoperiodo. Per far seccare gli ali-menti al sole ci vuole peròtempo; un procedimento chenon garantisce la qualità del pro-dotto. Gli impianti di essicca-zione impiegati nell’agroindu-stria sono costosi e comportanoun alto consumo di energia. Lastart-up Science for Society (S4S),costituita da un gruppo di neo-laureati indiani, ha sviluppato unnuovo apparecchio, ideale ancheper i piccoli agricoltori. Invecedell’aria calda circolante, il pro-cesso di essiccazione sfrutta di-rettamente conduttori termiciriscaldati dal sole. L’impianto, lacui superficie è di circa quattro

metri quadri, è adatto per l’es-siccazione di frutta, verdura, spe-zie e pesci. Secondo le indica-zioni degli ideatori, i prodottifatti essiccare in questo modocontengono il 45 per cento disostanze nutritive in più rispettoal metodo di essiccazione tradi-zionale al sole. In questo mo-

mento, un gruppo di contadinesta facendo le prime esperienzecon questa installazione nell’am-bito di un progetto pilota. L’ini-ziativa è sostenuta dal Program-ma per l’ambiente delle NazioniUnite che mette a disposizioneun laboratorio per i controlli di

qualità dei prodotti essiccati conla nuova tecnica.www.scienceforsociety.co.in

Vaccino anticancro(gn) Il Centro di immunologiamolecolare (CIM) dell’Havana èun precursore nella terapia anti-cancro. I ricercatori cubanihanno sviluppato un agentecontro il cancro ai polmoni, de-nominato Cimavax, che può es-sere utilizzato come vaccinonella prevenzione. A differenzadi altre terapie contro il cancro,Cimavax non attacca diretta-mente il tumore, ma genera de-gli anticorpi che distruggonouna proteina di cui esso ha biso-gno per crescere. Il tumore cosìnon può più alimentarsi.«Cimavax potrebbe avere unruolo chiave nell’assistenza sani-taria pubblica», afferma KelvinLee, direttore della ricerca im-

munologica presso il RoswellPark Cancer Institute di Buffalo,negli Stati Uniti. Dopo i successiregistrati negli studi clinici aCuba, ora il ricercatore sta pre-parando l’omologazione dellasostanza negli USA. L’agente attivo presenta il vantaggio di ridurre gli effetti collaterali e dicostare soltanto un dollaro perdose, mentre per le terapie anti-cancro tradizionali i costi am-montano fino a 10000 dollari almese. L’assistenza sanitaria pub-blica riveste una grande impor-tanza a Cuba, Paese che nonpuò certo permettersi cure costose. Questa situazione haobbligato il CIM a essere parti-colarmente innovativo. «In 30 anni di lavoro come immu-nologo non mi è quasi mai capitato di vedere vaccini cosìintelligenti», sostiene Lee.www.cim.cu

G.M

.B. A

kash

/Pan

os

6

Sve

n To

rfinn

/laif

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

DOSSIER

Il settore privato: forza trainanteNumerose piccole e micro imprese nei Paesi in via di sviluppohanno difficoltà a sbarcare il lunario. La cooperazione interna-zionale le aiuta a migliorare la loro produttività affinché contri-buiscano, in maniera più incisiva, alla crescita. Nello stessotempo, essa collabora con le multinazionali del Nord perché an-che queste ultime hanno un ruolo nella lotta contro la povertà.Di Jane-Lise Schneeberger.

Il settore privato è il motore della crescita: generala maggior parte degli impieghi e del reddito. Inol-tre fornisce beni e servizi essenziali alla società. Ep-pure nei Paesi in via di sviluppo il settore privatofatica a realizzare appieno il proprio potenziale. Iltessuto economico è costituito principalmente dapiccole e micro imprese e da aziende agricole a con-duzione familiare. Molte di queste strutture sonopoco produttive, impiegano poche persone e nonriescono a crescere. Operando nell’economia in-formale, queste non pagano imposte, privando così

lo Stato delle entrate necessarie a finanziare i ser-vizi pubblici, come la sanità e l’istruzione o a rea-lizzare infrastrutture.

Coinvolgere le imprese nella formazioneLa DSC e la Segreteria di Stato dell’economia(SECO), i due Uffici che implementano la coope-razione svizzera allo sviluppo, sostengono da mol-to tempo la crescita del settore privato. Attraversostrumenti diversi, rafforzano la produttività e lacompetitività delle imprese nei Paesi partner.

In una fabbrica ad Addis Abeba, le operaie selezionano i chicchi di caffè secondo la loro qualità. L’Etiopia è il principaleproduttore di caffè dell’Africa. Questo settore dà lavoro a circa venti milioni di persone.

Of f r

o ad

Re p

o rt s

7Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Settore privato

La formazione professionale è un ambito priorita-rio della DSC. «C’è spesso un profondo divario trale esigenze dei datori di lavoro e le competenze di-sponibili sul mercato», spiega Simon Junker, mem-bro del gruppo Occupazione e reddito (e+i) dellaDSC. I progetti puntano quindi a coinvolgere mag-giormente il settore privato. «Per le aziende, la for-mazione professionale è un compito che spetta soloallo Stato. Noi cerchiamo di convincerle che è nelloro interesse parteciparvi poiché solo così l’inse-gnamento riesce a soddisfare le loro necessità».

Integrazione nelle filiere commerciali Il settore privato ha anche bisogno di assistenza te-cnica per svilupparsi. Si tratta di un’attività tradizio-nale della cooperazione allo sviluppo che da solanon è però sufficiente. «È del tutto inutile aiutaregli agricoltori a installare un sistema di irrigazionese poi non possono vendere i loro ortaggi», fa no-tare il responsabile del team e+i Peter Beez. «Dob-biamo analizzare l’intera catena del valore e capireche cosa ostacola l’accesso al mercato». La soluzio-ne, per esempio, può consistere nella creazione diuna cooperativa e l’acquisto in comune di un ca-mion per trasportare i raccolti in città.Sovente, l’analisi della catena del valore sfocia in unastrategia denominata «Far funzionare i mercati peri poveri» (Making Markets Work for the Poor, M4P).Quest’ultima dovrebbe modificare i meccanismi dimercato che bloccano lo sviluppo delle piccole im-prese. In Bangladesh, il programma Katalyst si basaproprio su tale approccio. Nello Stato dell’Asia cisi è resi conto che i piccoli agricoltori non acqui-stavano sementi di qualità per la coltivazione di or-taggi perché gli imballaggi, in cui erano vendute,erano troppo grandi. Katalyst ha convinto due pro-duttori di sementi a creare confezioni più piccolee a venderle nei villaggi. Dal momento in cui i pic-coli produttori hanno avuto accesso a queste se-

menti di migliore qualità, la resa delle loro coltiva-zioni è notevolmente aumentata.

Migliorare il clima degli affari Procedure amministrative complesse e tasse proibi-tive sono altri ostacoli per lo sviluppo del settoreprivato. Per esempio, in molti Paesi è necessario pa-zientare diversi mesi prima di poter registrare unasocietà. Con il sostegno della SECO, alcune orga-nizzazioni multilaterali aiutano gli Stati a creare unquadro giuridico e normativo favorevole alle atti-

Molte persone nei Paesi in via di sviluppo lavorano in piccole aziende che operano nell’economia informale, come questo giovane in un’officina di fabbro in Bangladesh o questa parrucchiera in un salone in Honduras.

Investimenti sostenibili Gli investimenti sostenibilio ad alto impatto (impactinvesting) sono in pienaespansione. Un numerocrescente di investitoricerca possibilità per collo-care capitali in attività cheabbiano effetti positivi sul-l’ambiente o sullo sviluppo,pur offrendo un ritornoeconomico interessante. Inquesto momento ci sonoall’incirca 300 di questi vei-coli d’investimento in tuttoil mondo, 106 dei quali ri-volti alla microfinanza. Unterzo dei capitali investitinella microfinanza è gestitoin Svizzera. Fra i maggiorigestori di investimenti spe-cializzati in questo settorea livello mondiale vi sonoResponsAbility e Symbio-tics, con sede a Zurigo, eBlueOrchard a Ginevra.Queste tre società fannoparte di Swiss SustainableFinance, una piattaformasupportata dalla SECO, ilcui scopo è di trasformarela Svizzera in un centromondiale di finanza soste-nibile.

vità commerciali e a semplificare le procedure am-ministrative. Un altro aspetto importante è la rifor-ma fiscale. «Il sistema tributario di alcuni Paesi è tal-mente complesso che le piccole imprese, anche vo-lendo, non riescono ad adempiere i loro obblighifiscali. Questo non le incoraggia di certo a lasciarel’economia informale», osserva Liliana de SáKirchknopf, capo della Divisione Sviluppo del set-tore privato della SECO.

Effetto leva L’impossibilità di accedere ai servizi finanziari è ungrande ostacolo per molte aziende. Infatti, le ban-che concedono loro dei crediti solo con una certariluttanza. Negli ultimi decenni sono state create oltre 10000 istituzioni di microfinanza (IMF) persoddisfare i bisogni dei poveri. In quest’ambito,l’aiuto allo sviluppo svolge sovente un ruolo leva:l’iniezione di capitale pubblico permette a una IMFdi avviare la sua attività e quando gli affari diven-tano redditizi, subentrano gli investitori privati.La DSC si concentra anche sul miglioramento del-la gestione delle IMF e sull’ideazione di prodottifinanziari innovativi, come la microassicurazione.Sostiene altresì l’educazione finanziaria dei clienti,affinché non cadano nella trappola del sovrainde-bitamento.

Chr

is S

tow

ers/

Pan

os

8

G.M

.B. A

kash

/Pan

os

Kat

hrin

Har

ms/

laif

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Panoramica sul settore privato: venditore ambulante aJakarta, operaio tessile a Calcutta e trasferimento di denaromediante il cellulare.

Pagamenti e risparmi al telefonoPer un’impresa lanciareprodotti destinati ai poveriè spesso rischioso.Quest’ultima può peròunirsi a un donatore pub-blico che la sostiene finan-ziariamente e la informasul Paese in cui intendeoperare. Nel 2005, grazieall’aiuto dell’agenzia di sviluppo britannica DFID,l’operatore telefonicoVodafone ha lanciato inKenya il sistema di paga-mento tramite cellulare M-Pesa. L’obiettivo inizialeera di aiutare i clienti degliistituti di microfinanza a ot-tenere e a rimborsare piùfacilmente i prestiti. Oggil’80 per cento dei kenianiutilizza M-Pesa per ese-guire diverse operazioni finanziarie. Un altro esem-pio: in questo momento, la DSC cofinanzia un pro-getto della ditta bernese E-Savings.club e delle poste del Benin che mira apromuovere il microrispar-mio nel Benin, ispirandosialle tontine tradizionali.

donatori stringono alleanze con le grandi imprese allo scopo di accelerare la lotta alla povertà.La DSC è impegnata in una trentina di «partena-riati pubblico-privati per lo sviluppo» (public-private development partnership, PPDP), principal-mente con multinazionali svizzere. «La nostrapreoccupazione non è di aprire a queste imprese

Da parte sua, la SECO finanzia le piccole e medieimprese attraverso il Fondo d’investimento svizze-ro per i mercati emergenti (SIFEM), società inte-ramente di proprietà della Confederazione. «Il SIFEM non ha il mandato di massimizzare i suoiprofitti. Questo gli permette di assumere rischimaggiori rispetto ai fondi privati e di investire, per esempio, in start-up», spiega Liliana de Sá Kir-chknopf. Dalla sua costituzione, avvenuta nel 2005,il Fondo ha contribuito alla tutela o alla creazionedi 342000 impieghi.

Partenariati con le multinazionali Se il settore privato del Sud è un beneficiario del-la cooperazione allo sviluppo, quello del Nord è un suo partner. Dall’inizio degli anni 2000, i Paesi

9

Mar

k H

enle

y/P

anos

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Settore privato

Fabbrica della Nescafé a Dongguan City, in Cina. La DSC ha allacciato dei partenariati pubblico-privati con le multina-zionali, come la Nestlé, favorendo così dei miglioramenti sul piano sociale e ambientale.

Fare affari in maniera sostenibileSul piano multilaterale, la Svizzera partecipa ai pro-cessi volti a promuovere la responsabilità sociale. Inquest’ambito l’iniziativa principale è il Patto mon-diale lanciato dalle Nazioni Unite nel 2000, al qua-le hanno aderito 8300 imprese di 170 Paesi, assu-mendosi l’impegno di rispettare dieci principi uni-versali riguardanti i diritti umani, le norme dellavoro, l’ambiente e la lotta alla corruzione. «Anchese non è vincolante, il Patto mondiale ha prodottomolti cambiamenti», ricorda Luca Etter della Divi-sione Istituzioni globali della DSC. «Oggi le mul-tinazionali rimettono in discussione l’impatto del-le loro attività sul territorio e sulla popolazione. Inparticolare, devono garantire che le loro filiali nonimpieghino bambini e verificare la provenienzadelle materie prime».Hystra, una società di consulenza internazionale,aiuta queste imprese a migliorare le loro pratiche.Secondo la rappresentante in Svizzera Jessica Graf,queste ultime si rendono conto che è anche nel lorointeresse promuovere lo sviluppo: «Per realizzare deiguadagni, le multinazionali devono operare in unambiente sano. Hanno bisogno di lavoratori quali-ficati, motivati e in buona salute. E anche i loro for-nitori devono essere produttivi e competenti». ■

(Traduzione dal francese)

Piano ambizioso e costosoLa realizzazione dei futuriObiettivi di sviluppo soste-nibile (OSS) sarà molto co-stosa. Secondo le stimedella Conferenza delleNazioni Unite sul commer-cio e lo sviluppo, biso-gnerà investire dai 3300 ai 4500 miliardi di dollaril’anno nei Paesi in via disviluppo. Gli aiuti interna-zionali e la mobilitazionedelle risorse locali po-tranno finanziarne sola-mente una piccola parte; ilresto dovrà provenire dalsettore privato. Quest’ulti-mo dovrà pertanto aumen-tare considerevolmente ipropri investimenti, soprat-tutto nelle infrastrutture,nella sicurezza alimentare e nell’attenuazione dei mu-tamenti climatici.

nuovi mercati nei Paesi del Sud», evidenzia Jean-Christophe Favre, consulente per i partenariati isti-tuzionali presso la DSC. «Perseguiamo due obiet-tivi: in primo luogo, vogliamo mobilitare risorsesupplementari – finanziarie o di altro tipo – per rag-giungere gli obiettivi di sviluppo; in secondo luo-go, aiutare le imprese a rispondere ai bisogni dei piùpoveri e a elaborare modelli d’affari socialmente re-sponsabili e rispettosi dell’ambiente». Questo tipodi collaborazione può avere un impatto globale, sel’impresa partner riproduce i risultati ottenuti an-che negli altri Paesi in cui opera.In Vietnam, la DSC ha avviato una collaborazionecon la multinazionale Nestlé per realizzare un pro-getto pilota. Quest’ultimo ha consentito di ridurredel 60 per cento la quantità d’acqua utilizzata perirrigare le piantagioni di caffè. Un altro PPDP, av-viato con l’assicuratore Allianz Re, mira a creare unsistema di microassicurazione in sette Paesi asiatici.Grazie all’utilizzo di tecnologie innovative sarà pos-sibile indennizzare rapidamente i risicoltori in casodi perdita dei raccolti.Dal canto loro, le ONG che si occupano di politi-ca di sviluppo seguono attentamente la nascita diquesti partenariati con il grande capitale. «Fonda-mentalmente non siamo contrari ai PPDP», assicu-ra Peter Niggli, già direttore di Alliance Sud. «È unabuona cosa se si convince una multinazionale a mo-dificare il suo funzionamento, per esempio, a ri-sparmiare acqua. Ma i PPDP non devono essere unostrumento per delegare le funzioni pubbliche agliattori privati».

10

Sw

issc

onta

ct (2

)

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

( jls) Janet Kebati Monyenye, 63 anni, è agricoltri-ce nella contea di Kisii, in Kenya. Fino al 2008 col-tivava mais, miglio e sorgo su un lembo di terra diproprietà del marito. Quest’attività le rendevameno di due dollari al giorno, un guadagno di granlunga insufficiente per investire nell’espansionedell’azienda agricola. Un giorno Janet sente parla-re di un progetto di Swisscontact che fornisce aipiccoli contadini beni agricoli in leasing. Decidecosì di acquistare una mucca al prezzo di 520 dol-lari. Grazie alle vendite di latte, in sei mesi Janetrimborsa il suo debito. A questo primo contrattone seguono altri. Oggi Janet è orgogliosa proprie-taria di tre mucche, alcune capre, diverse galline euna pompa per irrigare le coltivazioni, che ha di-versificato ed esteso. Impiega due lavoratori a tem-po pieno e guadagna 271 dollari netti al mese, cin-que volte più di un contadino medio.

Lo strumento ideale per le donne Come Janet, la maggior parte dei piccoli contadi-ni keniani non riesce a ottenere un prestito per ac-quistare attrezzature o altri capi di bestiame. Perconcedere prestiti, le banche e gli istituti di mi-

crofinanza esigono garanzie. «I più poveri non han-no né terra, né una casa e nemmeno del bestiameda dare in pegno. Per le donne, che non hanno al-cun diritto fondiario, il microleasing è la soluzio-ne ideale», spiega Gabriella Crescini, responsabilepresso Swisscontact delle relazioni con i partner ei clienti.L’ONG svizzera ha avuto l’idea di utilizzare que-sto strumento innovativo per superare le difficoltàdi accesso al credito nel 2006. Il microleasing pre-senta molti vantaggi, primo fra tutti, il fatto che nonrichiede garanzie. Infatti è il bene preso in loca-zione a fungere da pegno, giacché fino a quando il

Autosufficiente in tre anniFondata nel 2009, la so-cietà di microleasingJuhudi Kilimo ha segnatouna crescita molto rapida,oltrepassando la soglia diredditività nel febbraio del2012. Da allora utilizza iprofitti per rimborsare gliinvestitori. Attualmente lasocietà opera in tutto ilKenya. Le venti filiali di mi-croleasing impiegano circa140 dipendenti. Dalla suacreazione, Juhudi Kilimoha già stipulato 50 000contratti di leasing, soprat-tutto con piccoli contadini.La metà della clientela èformata da donne. Nel 95per cento dei casi gli ac-quirenti pagano puntual-mente le rate mensili delloro leasing.

Mucche, galline e api in leasing Chi non offre garanzie, non ha accesso ai crediti. Una regolache penalizza soprattutto i contadini e gli imprenditori più po-veri. Il microleasing permette loro di acquistare i beni neces-sari allo sviluppo della loro attività. Questo strumento è moltopopolare in Kenya, dove è stato introdotto da Swisscontact.L’ONG sta ora esportando lo stesso modello in altri Paesi.

cliente non l’ha interamente pagato rimane di pro-prietà di chi l’ha acquistato per primo. D’altro can-to, il contadino o il piccolo imprenditore può per-mettersi i pagamenti mensili grazie al reddito ge-nerato dall’acquisizione. Se si tratta di una muccada latte o di galline ovaiole, la produttività è im-mediata. Per contro, l’agricoltore che acquista unapompa di irrigazione deve attendere il raccolto suc-cessivo per trarne beneficio. Il piano di rimborsotiene conto di queste particolarità.

Formazione e assicurazioneInizialmente Swisscontact ha collaborato con unprogetto locale di microfinanza. Di fronte alla cre-scente domanda, nel 2009 è stata fondata una so-cietà indipendente con il nome di Juhudi Kilimo.

Janet Kebati Monyenye è riuscita a dare una svolta allasua vita grazie al microleasing. Una mucca e le gallineovaiole generano subito un reddito che permette al con-tadino di saldare in fretta il suo debito.

VU

/laif

11Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Settore privato

Finanziamento diversificato Numerosi donatori hannosostenuto l’introduzione diun sistema di microleasingin Kenya e la sua esporta-zione in altre regioni del pianeta. Il Credit Suisse ha finanziato l’assistenzatecnica fornita da Swiss-contact, l’estensione delleattività di Juhudi Kilimo e lariproduzione del modello inAfrica orientale. Altre dona-zioni sono state fatte dallefondazioni Ford e Rocke-feller. Alcuni investitori,come la fondazione Gra-meen e Deutsche Bank,hanno fornito capitali aJuhudi Kilimo. Infine, ilFondo svizzero per il raffor-zamento delle capacità(Swiss Capacity BuildingFacility, SCBF), un’asso-ciazione con sede aFriburgo, ha finanziato glistudi di fattibilità e alcuniprogetti pilota in Americalatina. Avviato nel 2011 daalcuni operatori finanziarisvizzeri e dalla DSC, que-sto partenariato pubblico-privato per lo sviluppoaiuta gli istituti finanziari deiPaesi in via di sviluppo aservire al meglio le popola-zioni più povere.

Nasce così la prima società di microleasing in Ken-ya. La gamma dei prodotti offerti è cresciuta neltempo. Inizialmente comprendeva vacche da latte,galline, alveari e pompe di irrigazione. Oggi l’a-zienda vende anche maiali, conigli, capre e ogni ge-nere di attrezzatura, come serbatoi per l’acqua, ara-tri, motoseghe, mulini per cereali, serre o trattori.Le mucche da latte sono comunque le più richie-ste dai contadini.

Il contratto di microleasing include anche una for-mazione tecnica e un’assicurazione. I clienti devo-no seguire dei corsi sui metodi di allevamento, sul-la prevenzione delle malattie veterinarie o sull’u-tilizzo delle apparecchiature che comperano.«L’acquisizione di competenze da parte degli alle-vatori riduce notevolmente il rischio di malattie odi morte dei capi d’allevamento. Se ciò dovesse co-munque accadere, i contadini non perderebbero laloro fonte di reddito, poiché tutti i beni in leasingsono assicurati. Juhudi Kilimo fornirebbe loro, peresempio, un’altra mucca», spiega Gabriella Cresci-ni di Swisscontact.L’acquisizione di una proprietà agricola produtti-va modifica radicalmente la vita dei piccoli conta-dini. Alcuni di loro riescono a raddoppiare o tri-plicare il reddito annuo. Per esempio, una cin-quantina di galline ovaiole possono fruttare 600dollari all’anno e una buona mucca da latte oltre1600 dollari.

Esportare il modello Alla luce del successo riscosso in Kenya, Swiss-contact ha esportato questo modello dapprima inUganda, Tanzania e Ruanda, poi ha realizzato stu-di di fattibilità in America latina. Alcuni progettipilota sono in corso in tre Paesi, in cui c’è un forte interesse per il microleasing.Nel Salvador sono soprattutto gli apicoltori a ri-chiedere questo tipo di credito poiché sono co-

Grazie al microleasing, i piccoli imprenditori e contadini possono acquistare nuovi macchinari che prima non potevanopermettersi. Ciò dà loro la possibilità di aumentare la loro produzione.

stretti ad acquistare nuove attrezzature per confor-marsi alle norme dell’Unione europea, il loro prin-cipale mercato di esportazione. L’equipaggiamen-to costa tra i 3000 e i 5000 dollari. In Nicaragua,i panettieri e i mugnai vogliono modernizzare leloro attrezzature per migliorare e aumentare laproduzione. In Perù, Swisscontact si concentra suipiccoli produttori di quinoa e di latte nella regio-ne di Puno. I primi hanno bisogno di sistemi di ir-rigazione e mietitrici, i secondi di mungitrici mo-bili e di macchinari per la pastorizzazione. «Per raggiungere più rapidamente i nostri obiettivi abbiamo deciso di collaborare con le banche co-operative e gli istituti di microfinanza esistenti, piuttosto che creare un’impresa», spiega Gabriella Crescini. Per il resto, questi progetti pilota repli-cano la metodologia che ha avuto successo in Kenya. ■

(Traduzione dal francese)

Ste

ve F

orre

st/P

anos

12 Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

I contadini dimenticati da Max HavelaarAiutare migliaia di contadini poveri sfruttando i meccanismi delmercato. È questa l’attività di Fairtrasa, un’impresa sociale chepratica il commercio equo e solidale di frutta e verdura in Ame-rica latina. A colloquio con Jane-Lise Schneeberger, il fondato-re, lo svizzero Patrick Struebi, spiega come ci è riuscito.

Un solo mondo: Lei ha lasciato la società mi-neraria Glencore per lanciarsi nel commer-cio equo e solidale. Che cosa l’ha spinta aprendere questa decisione?Patrick Struebi: Per la Glencore mi recavo spes-so nelle Ande peruviane, dove la multinazionalepossiede alcune miniere di zinco e di piombo. Hovisto con i miei occhi la vita estremamente diffi-cile che conducono i minatori. Da un giorno al-l’altro, a seguito di una ristrutturazione, questi uo-mini hanno perso il lavoro. Quell’esperienza è sta-ta per me la chiave di svolta: mi sono reso contoche con il mio lavoro arricchivo i ricchi e sfrutta-vo i poveri. Ho rassegnato le mie dimissioni e sonopartito alla volta del Messico per riflettere seria-mente sul mio futuro professionale. Dopo alcunimesi avevo preso una decisione: avrei continuato aoccuparmi di commercio internazionale, ma que-sta volta equo e solidale.

E come si vive nella patria dell’avocado, ilfrutto da cui ha avuto inizio il suo nuovo per-corso professionale?È vero, il Messico è il più grande produttore di avo-cado al mondo. Mi sono recato da alcuni piccolicontadini che vivono in una zona molto remota.Erano costretti a vendere i loro raccolti ai coyotes,intermediari che pagano prezzi ridicoli. Li ho aiu-tati a fondare una cooperativa e ho avviato il lun-go processo di certificazione con l’obiettivo diesportare la loro produzione nei mercati del com-mercio equo. La vendita dei nostri avocado, i pri-mi a ottenere il marchio Max Havelaar, è andatamolto bene. Allora ho fondato la società Fairtrasa.Il nome è una contrazione di Fairtrade South Ame-rica. Fin dall’inizio era mia intenzione creare un si-stema che consentisse ai piccoli produttori di tut-ta l’America latina di affrancarsi dalla povertà. Sonotrascorsi dieci anni e oggi acquistiamo frutta e ver-

Il marchio «fairtrade» permette di fare ottimi affari a chi è riuscito ad accedere al mercato mondiale. L’azienda Oserianin Kenya vende rose in tutto il mondo e dà lavoro a circa 6000 persone.

Patrick Struebi è nato ecresciuto a Zurigo. Dopogli studi di gestione d’im-presa e contabilità lavorapresso l’azienda america-na Deloitte, società specia-lizzata nella verifica di bi-lanci. Nel 1999 passa allaGlencore, società minera-ria multinazionale con sedenel canton Zugo, doveviene nominato responsa-bile delle fusioni e delle ac-quisizioni. Nel 2005, Struebifonda Fairtrasa a Città delMessico. L’impresa crescerapidamente e diventa unodei maggiori esportatori diprodotti «bio» e «fairtrade»dell’America latina. Attual-mente conta quindici filialiin quattro continenti. Ilgruppo controlla tutta la filiera, dall’acquisto pressoi piccoli produttori all’im-portazione in Europa, StatiUniti e Cina. Accanto allagestione di Fairtrasa,Patrick Struebi insegna imprenditorialità socialeall’Università di Yale, negliStati Uniti.

13

Rob

ert H

aidi

nger

/laif

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Settore privato

Rete degli imprenditorisocialiLe imprese sociali faticanoa imporsi sul mercato poi-ché i loro clienti targethanno uno scarso potered’acquisto. Diverse asso-ciazioni sostengono questiimprenditori desiderosi di cambiare il mondo. Lapiù importante è la reteAshoka. Fondata nel 1980,essa ha già identificato esostenuto oltre 3000 im-prenditori sociali in ottantaPaesi. Questi cosiddettiAshoka fellow sottostannoa una selezione molto rigo-rosa: devono presentareun progetto innovativo inambito sociale o ambien-tale e possedere spiccatequalità imprenditoriali.Ashoka li aiuta finanziaria-mente per i primi tre anni,poi favorisce la crescitadella loro impresa socialemediante formazioni osupporto tecnico. Inoltre, inuovi fellow possono con-tare sull’esperienza di chi liha preceduti nella fonda-zione di una simile attività.www.ashoka.org

dura di vario tipo a 6500 produttori sparsi in set-te Paesi del subcontinente.

Fairtrasa si basa su un concetto che ha rivo-luzionato il commercio equo e solidale. Diche cosa si tratta?In tutto il mondo, molti piccoli agricoltori vorreb-bero esportare i loro raccolti, possibilmente con unmarchio «bio» o «fairtrade», poiché questa venditaè molto più redditizia rispetto a quella nei merca-ti locali. Ma non tutti hanno le premesse necessa-rie per farlo. I più poveri praticano un’agricolturadi sussistenza molto rudimentale e sono al livello 1.I contadini del livello 2 hanno un tipo di produ-zione più avanzata, ma non abbastanza per accede-re ai mercati internazionali. Il 10 per cento dei pro-duttori meglio organizzati e attrezzati fa parte delterzo livello. Solo questi ultimi soddisfano i requi-siti per ottenere il marchio desiderato. Gli organi-smi di certificazione, come Max Havelaar, collabo-rano soltanto con questo terzo gruppo, cioè i ric-chi fra i poveri. Così ho deciso di creare un «modellodi sviluppo a tre livelli» che ci permette di aiutareanche gli altri contadini, quelli di cui si disinteres-sa Max Havelaar.

Come funziona concretamente?Facciamo certificare i prodotti dei contadini di li-vello 3 e li esportiamo verso l’Europa o gli StatiUniti. La certificazione ha cambiato la vita di que-sti produttori; ora guadagnano otto o dieci volte piùdi prima. In Perù, per esempio, i coyotes pagano 90centesimi per una cassa di banane, mentre Fairtra-sa versa 6,50 dollari al produttore e 1 dollaro allacooperativa. È un modello che ci permette di rea-lizzare un piccolo profitto che reinvestiamo nellaformazione dei contadini situati ai livelli 1 e 2. Unteam di agronomi li consiglia, mostra loro come mi-gliorare la qualità della frutta e li aiuta a passare allivello 3.

Questo modello ha trovato un’ampia diffu-sione?Purtroppo no. Molte aziende vendono in Europaprodotti Max Havelaar, ma li acquistano solamen-te da produttori che hanno già raggiunto il livello3, l’unico che consente un margine di guadagno.Nessuna aiuta gli altri contadini. Commerciano ebasta. Se Fairtrasa facesse un mucchio di soldi, tut-ti ci imiterebbero, ma il nostro modello d’affari èpoco redditizio. Noi abbiamo dimostrato che èpossibile aiutare i più poveri anche in un quadrocommerciale. Per fare del bene, però, bisogna ri-nunciare ai grandi profitti; una scelta condivisa dapochi, ciò che spiega anche il numero esiguo di im-prese sociali.

Che cos’è, secondo lei, un’impresa sociale?È un’impresa che vuole risolvere autonomamenteun problema sociale o ambientale, utilizzando sol-tanto i meccanismi del mercato. Tale approccio èpiù sostenibile dell’aiuto fornito da istituzioni ca-ritatevoli o da organizzazioni non governative chedipendono da donazioni.

Benché ancora marginale, negli ultimi anniquesta idea suscita sempre più interesse.Come se lo spiega?Si tratta di una tendenza globale retta dalla nuovagenerazione. I giovani non vogliono semplicemen-te fare soldi. Vogliono anche fare qualcosa di utile.È per questo che insegno imprenditorialità socialea Yale. La maggior parte delle università desidera includere questa nuova disciplina nella loro offertaformativa. L’imprenditorialità sociale deve svilup-parsi, poiché è da essa che nascono le innovazioni.Il mondo non ha bisogno di una, ma di cento Fair-trasa. Detto questo, non tutti gli studenti fonderan-no necessariamente la loro società. Potranno anchediventare degli «intrapreneur»; in altre parole entrarein un’azienda esistente e cercare di trasformarla dal-l’interno. ■

(Traduzione dal francese)

Un coltivatore di caffè in Nicaragua: Fairtrasa sostiene anche gli agricoltori che non producono ancora secondogli standard del mercato «fairtrade» internazionale.

¡Éch

ale!

a tu

cas

a (3

)

14

¡Éch

ale!

a tu

cas

a

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

(lb) «Chi vive in una casa di lamiera non ha futu-ro: i bambini non vanno a scuola per paura di es-sere derisi dai compagni a causa delle condizioniin cui vivono, i genitori non trovano un posto dilavoro poiché nessuno dà loro fiducia. Per questefamiglie, una casa di mattoni significa lasciarsi allespalle tutto questo. É una sorta di rinascita», ci diceFrancesco Piazzesi, direttore dell’impresa sociale«Échale a tu casa!» (Costruisci la tua casa). Con ifratelli gestisce l’azienda familiare ITAL Mexica-na. Fondata dal padre nel 1957, emigrato dall’Ita-lia nel primo Dopoguerra, la ditta è specializzatanella produzione e nella vendita di macchinari perl’edilizia.In Messico, circa il 20 per cento della popolazio-ne non ha la possibilità finanziaria né le compe-tenze per costruirsi una casa sicura e decente. Unarealtà che Francesco Piazzesi conosce molto bene:«Ho incontrato tanti muratori che vivevano in unacasa di lamiera. È un paradosso, simile a quello delpescatore che pur gettando le sue reti in un marepescoso non riesce a sfamare la sua famiglia».

Gli esperti dell’impresa sociale «Échale a tu casa!» insegnano ai futuri padroni come costruire la propria casa e comerisparmiare affinché siano in grado di restituire il prestito.

Costruisci la tua casa!Servono soluzioni innovative, visionarie e pragmatiche per ri-solvere i problemi sociali più impellenti. In venti anni, «Échalea tu casa!», un’impresa sociale, ha permesso a centinaia di migliaia di famiglie in Messico di costruirsi una casa dignitosae di guardare con fiducia al futuro.

Da ONG a impresa socialeFrancesco Piazzesi non ha voluto essere solo spet-tatore di una situazione paradossale, ma ha cerca-to e trovato una soluzione per dare la possibilitàalle famiglie più povere del Paese di vivere in unacasa dignitosa, sicura ed ecosostenibile. Il percor-so per arrivarci è costellato di tante tappe, ripen-samenti e cambiamenti di rotta.Nel 1987 fonda la Adobe Home Aid, una ONGche prende il nome dalla macchina che egli ha svi-luppato in collaborazione con l’Università di Gre-noble. È una pressa che fabbrica mattoni, compo-sti per il 90 per cento di terra, il resto di acqua ecemento. Seccati al sole, i blocchi sono robusti, leg-geri, isolanti, ecologici, e soprattutto a buon mer-cato, perché realizzati per lo più con componen-ti naturali trovati sul posto. Anche se fabbricata per le famiglie povere del Pae-se, inizialmente la Adopress ha successo soprattut-to nell’edificazione di ville lussuose. La ONG nongenera quindi un vero e proprio cambiamento nel-le comunità rurali del Messico, almeno non nella

15 milioni di case non adeguateStando alla Commissionenazionale delle case(Comisión Nacional deVivienda), nel 2010 inMessico c’erano quasi 29 milioni di case, il 78 percento nelle zone urbane eil 22 per cento nelle regionirurali. In queste ultime,solo il 35 per cento delleabitazioni aveva l’acquacorrente in casa, circa il 93 per cento era collegataalla rete elettrica e pocopiù del 68 a una fognatura.Nel 2012, il numero dicase non adeguate – co-struite con materiali difortuna, non sufficiente-mente grandi o senza al-lacciamento ai servizi dibase – era stimato a oltre15 milioni. In quasivent’anni, l’impresa sociale«Échale a tu casa!» ha resopossibile la costruzione di oltre 30 000 nuove casee ne ha ristrutturate o ulti-mate almeno 150 000 innove Stati del Messico.

15Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Settore privato

L’Adopress è stata sviluppata per migliorare la qualità delle case dei poveri. La pressa permette di fabbricare dei mattoni solidi, ecologici e soprattutto a buon mercato.

Rete e consulenzaNel 2014 è stato lanciatoun partenariato pubblico-privato per lo sviluppo(public-private develop-ment partnerships, PPDP)con cui sostenere ottantaimprenditori sociali che aiutano le famiglie poverein una quindicina di Paesidell’America latina. Al par-tenariato partecipano laDSC, Ashoka e la societàdi consulenza Hystra,specializzata nella crea-zione di cooperazioni traimprese che intendonoraggiungere degli obiettivisociali, sfruttando i mec-canismi di mercato.Inoltre, Hystra analizza le innovazioni sviluppatedalle sue imprese sociali e diffonde queste idee trale grandi aziende affinchéqueste ultime ne tragganoispirazione. La DSC cofi-nanzia questo PPDP.

misura auspicata. La palla al piede è la dipenden-za dall’aiuto esterno: dopo l’iniziale interesse, lefabbriche non sono più disposte a regalare il ma-teriale per la realizzazione delle case. FrancescoPiazzesi si rende conto che non basta una mac-china e i materiali di costruzione per promuove-re lo sviluppo: serve il capitale sociale, le cono-scenze finanziarie e il sostegno economico. Perquesto motivo, nel 1997 decide di trasformare

l’organizzazione non governativa in un’impresasociale: nasce così «Échale a tu casa!». «Miglioria-mo le condizioni di vita delle persone povere at-traverso un’iniziativa economicamente sostenibi-le e indipendente», spiega Piazzesi, il cui progettoè sostenuto dalla DSC nell’ambito di un partena-riato pubblico-privato.

La forza della comunitàLe fondamenta di «Échale a tu casa!» poggiano suquattro pilastri: il coinvolgimento comunitario, laformazione tecnica, l’educazione finanziaria e l’ac-cesso ai crediti. «Non facciamo la carità. Chi vuo-le la casa, se la deve costruire da solo, con l’aiutodei nostri esperti e quello della comunità. Tutta-via nessuno lavora gratis: chi partecipa al pro-gramma riceve un salario pari a 18-20 dollari algiorno», spiega il direttore.Per prima cosa la comunità deve nominare un co-mitato locale, responsabile della trasformazione inrealtà del progetto e della sua gestione sul lungoperiodo. Poi il team di specialisti di «Échale a tucasa!» insegna alle famiglie come fabbricare i mat-toni con la Adopress. Grazie al coinvolgimento deivicini, le abitazioni sono concluse in due-tre mesi,quando di regola la popolazione povera impiega10-15 anni poiché non dispone di mezzi finan-ziari sufficienti per acquistare i costosi materialiedili di produzione industriale e per ultimare la

casa in una sola tappa. Le nuove costruzioni sonoinoltre dotate di biodigestore, pannelli solari ter-mici, stufa a pellet e contenitori per raccoglierel’acqua piovana.

Chiave per accedere a sussidi e creditiSe la volontà e la forza delle braccia non mancanonelle località rurali, a far difetto sono invece i sol-di. Per ovviare a questa difficoltà, in collaborazio-

ne con l’associazione degli imprenditori sociali Ashoka, Francesco Piazzesi ha ideato la «SociedadFinanciera Comunitaria», gestita dal comitato lo-cale. Le famiglie che prendono parte all’impresa so-ciale devono versare sul conto societario circa 1000dollari, l’equivalente del 10 per cento del costo to-tale della casa. «Oltre a promuovere una cultura delrisparmio, il fondo comunitario fa da garante e permette alla comunità di ottenere i sussidi stata-li, che coprono circa il 40 per cento del preventi-vo», ricorda Piazzesi. Il resto dell’importo è finan-ziato da un credito fornito da «Échale a tu casa!».Il prestito va restituito in dieci anni a un tasso d’in-teresse tra l’otto e il dieci per cento. Per ogni casarealizzata, l’impresa sociale realizza un guadagnonetto pari all’8,5 per cento del costo totale dellacostruzione, generando nello stesso tempo lavoroe sviluppo sostenibile e rispondendo a un impel-lente bisogno sociale nelle zone rurali del Paese. Se la ONG aveva prodotto un impatto insoddisfa-cente, l’impresa sociale registra invece un notevo-le successo, contribuendo così a risolvere con un approccio economicamente sostenibile un annosoproblema, quello della mancanza di abitazioni dignitose e sicure. ■

Rol

f Sch

ulte

n/K

eyst

one

16 Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

La tecnologia solare non è molto diffusa nelle regioni rurali dell’Africa e dell’Asia. Grazie a un fondo speciale si voglionopromuovere le vendite di attrezzature ecologiche per la produzione di energia.

Prestiti fino a 3 milioni di dollari Diversi investitori pubblici eprivati alimentano il nuovofondo di ResponsAbilityInvestments SA destinatoal finanziamento di aziendeche commercializzano pro-dotti energetici in Africa eAsia. I principali sono laFondazione Shell e l’Interna-tional Finance Corporation,membro del Gruppo dellaBanca mondiale. Questostrumento d’investimento è dotato di un capitale ini-ziale di circa 30 milioni didollari. Il fondo concedealle imprese prestiti chevanno dai 500 000 ai 3 mi-lioni di dollari. A sua volta,la cooperazione allo svi-luppo economico dellaSECO finanzia con 500 000franchi l’assistenza tecnicafornita ai clienti, che è par-te integrante del fondo.

Sole invece di cherosene Anche le persone povere possono permettersi delle lampade solari. Un fondo d’investimento lanciato in Svizzera aiuta i for-nitori a estendere la loro attività in Africa e Asia. Pure la SECOsostiene queste aziende con una consulenza tecnica.

( jls) Circa 1,2 miliardi di persone a non hanno an-cora accesso all’elettricità. Per l’illuminazione, lamaggior parte utilizza lampade a cherosene inqui-nanti e costose. Per il combustibile, una famigliaspende dai 50 ai 150 dollari all’anno. Sostituendo le lampade a cherosene con quelle so-lari, le famiglie delle zone rurali potrebbero rispar-miare, sul lungo termine, molti soldi e salvaguarda-re la loro salute. Due atout che non bastano tutta-via per mettere le ali all’attività dei rivenditori nelleregioni discoste. È la mancanza di finanziamenti afrenare la loro espansione; crediti che le banche lo-cali concedono con riluttanza alle piccole e medieaziende (PMI).Per colmare questa lacuna, lo scorso mese di mar-zo il gestore patrimoniale svizzero ResponsAbility,specializzato in investimenti volti a sostenere lo svi-luppo, ha lanciato un fondo speciale che presta de-naro a produttori e distributori di attrezzature eco-logiche per la produzione di energia verde, soprat-tutto in Africa e in Asia. «I prestiti concessi con-sentono a queste PMI di raggiungere una fetta piùampia di popolazione, in particolare nelle zone nonallacciate alla rete elettrica», spiega Ulli Janett, por-tavoce di ResponsAbility.

Impianto fotovoltaico a creditoPer garantire il successo e la sostenibilità della loroattività, chi concede i mutui può anche avvalersidell’assistenza tecnica finanziata dalla SECO, checonsiste in consulenze e formazioni mirate. Gliesperti della SECO li aiutano, per esempio, a ela-borare un concetto di commercializzazione nellezone rurali. «Il nostro obiettivo è di rafforzare le ca-pacità di queste imprese, affinché possano soddisfa-re meglio la domanda delle popolazioni a basso red-dito. La loro attività commerciale può avere un im-patto notevole sull’economia, la salute e l’ambiente»,spiega Liliana de Sá Kirchknopf, capo della Divi-sione SECO Sviluppo del settore privato.Con basi finanziarie migliori, queste PMI potreb-bero anche vendere a credito alcune attrezzature chei poveri non possono pagare in contanti. Alcune lofanno già. Dal 2010, la società keniana M-Kopa vende al prezzo di 200 dollari un impianto foto-voltaico. L’acquirente versa un acconto di 30 dol-lari e in seguito trasferisce 50 centesimi al giornotramite cellulare e così, in meno di un anno, ha restituito l’intero importo prestato.

(Traduzione dal francese)

17

Ton

Koe

ne/V

WP

ics/

Red

ux/la

if

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Settore privato

Cifre e fatti

LinkRete Occupazione e reddito (e+i) della DSC www.sdc-employment-income.ch

SECO: centro di prestazioni Cooperazione e Sviluppo economiciwww.seco-cooperation.admin.ch

Comitato dei donatori per lo sviluppo dell’impresa (DCED)www.enterprise-development.org

Gruppo consultivo per l’assistenza ai più poveri (CGAP): portale della microfinanzawww.microfinancegateway.org

Global Impact Investing Network (GIIN)www.thegiin.org

Patto mondiale delle Nazioni Unitewww.unglobalcompact.org

Contributi netti complessivi dei membri del CAS ai Paesi in via di sviluppo, 1970-2013

Nel corso degli ultimi quarant’anni, l’aiuto pubblico allo sviluppo dei 28 Paesi membri del Comitato di aiuto allo sviluppo (CAS)dell’OCSE è più che triplicato in termini reali: da 42 miliardi di dollari nel 1970 a 135 miliardi nel 2013. La crescita maggiore si è registrata però nei flussi provenienti dal settore privato. Costituiti essenzialmente da investimenti diretti esteri e di portafoglio, questiultimi hanno segnato una forte impennata. Nello stesso periodo si è passati da 48 a 273 miliardi di dollari, dopo aver raggiunto unpicco di 358 miliardi nel 2010.Fonte: OCSE

Aiuto pubblico allo sviluppo

Donazioni nette di enti privati

Altri contributi del settore pubblico

Flussi di capitali privati

500

400

300

200

100

0

1970

1972

1974

1976

1978

1980

1982

1984

1986

1988

1990

1992

1994

1996

1998

2000

2002

2004

2006

2008

2010

2012

in m

iliardi di U

SD

Cifre• Sarà necessario creare 600 milioni di nuovi impieghi entro

il 2030, soprattutto in Asia e in Africa subsahariana, sola-mente per assorbire i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro.

• 200 milioni di piccole e medie imprese non hanno ancora accesso ai servizi finanziari erogati dalle istituzioni finanziarie formali.

• Secondo le stime, alla fine del 2013 nella microfinanza erano stati investiti 7,1 miliardi di dollari – pari a una crescita del 68 percento dal 2010.

• Oggigiorno ci sono 50 000 multinazionali, contro le 6000 attive negli anni Sessanta. Nelle loro 450 000 succursali, esseimpiegano oltre 200 milioni di persone in tutto il mondo.

Citazioni «Un imprenditore sociale non si accontenta di distribuire pesce o insegnare a pescare, ma si riterrà soddisfatto soltanto quandoavrà rivoluzionato l’industria della pesca».Bill Drayton, fondatore e presidente di Ashoka

«All’inizio mi dicevano che i poveri non avrebbero mai rimbor-sato i prestiti. Con la Grameen Bank abbiamo dimostrato che restituiscono fino all’ultimo centesimo».Mohamed Yunus, ideatore del microcredito

Bar

khad

M. K

aariy

e

18 Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

ORIZZONTI

Ado-dero è situata a 70 chilometri a meridione diGaroe, capitale amministrativa dello Stato del Punt-land. L’economia della regione poggia sul com-mercio con i Paesi arabi, ma negli ultimi anni i pi-rati che operano dalle coste del Puntland l’hannoindebolita. Nonostante le difficoltà, ad Ado-derola vita è più calma che nel resto della Somalia, la-cerata – ad eccezione del Somaliland – dall’anar-chia e dall’ingovernabilità. Gli abitanti di Ado-dero sono contadini e nomadi. Possiedono peco-re, cammelli, capre, mucche e cavalli. I cammellivengono ancora utilizzati per trasportare le tradi-zionali capanne buul, che i pastori somali portanocon sé durante gli spostamenti tra un pascolo e l’al-tro, soprattutto durante la piovosa e ventosa sta-gione estiva.«Senza le nostre bestie non potremmo vivere. Nonsvolgiamo alcuna attività artigianale. Sono il no-stro unico sostegno economico», spiega Farah Esse.Padre di otto figli, 61 anni, senza dimostrarli, è di-

L’allevamento è il settore economico principale in Somalia. La casa tradizionale è il buul; quest’ultima viene caricata sui cammelli quando la famiglia si sposta da un pascolo all’altro.

ventato da poco nonno per la prima volta. Comecapo famiglia, sulle spalle di Farah Esse grava il be-nessere di tutto il clan. Il latte, soprattutto di cam-mella, è la sua principale fonte di reddito.

Latte e rimesse dei migrantiSebbene negli ultimi anni si sia registrato un im-portante sviluppo urbano, gran parte della popo-lazione somala vive ancora di pastorizia, soprattut-to nomade. Un paio di centinaia di persone si rac-colgono attorno ad Ado-dero durante la primaverae l’estate. Dipendono dalle piogge stagionali, pur-troppo sempre più sporadiche, qui come in moltealtre zone della Somalia, tanto che la prolungata sic-cità prosciuga i pozzi. Il distretto non dispone dicorrente elettrica; per cucinare le donne utilizza-no la legna e per l’illuminazione si ricorre alle tra-dizionali lampade a petrolio. Farah Esse si sposta più volte all’anno con tutta lafamiglia, la casa e gli animali. È alla costante ricer-

La difficile vita dei nomadi in SomaliaLa vita tradizionale e piena di stenti che conducono i nomadinella regione somala del Puntland è resa ancora più dura daiconflitti. La gente vuole più sicurezza e spera in un governo cen-trale forte. Di Barkhad M. Kaariye*.

19

Bar

khad

M. K

aariy

e (3

)

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Somalia

ca di foraggio fresco e acqua. «Quando ci fermia-mo in luoghi come Ado-dero, porto il mio latte in città. In tassì impiego soltanto un paio d’ore, apiedi ce ne vogliono sette. Con il ricavato della ven-dita del latte acquisto generi alimentari per la fa-miglia. A parte il foraggio per le bestie, qui in cam-pagna non c’è nulla. Tutto il nostro cibo provienedal mercato, dove acquisto riso, spaghetti o altro

cibo tradizionale», precisa Farah Esse. Purtroppo il latte di cammella non rende abbastanza per nu-trire tutta la famiglia. Come molti somali, anche Farah Esse e il suo clan dipendono dalle rimesseche ricevono dai parenti residenti all’estero. Non è solo la scarsità di denaro a preoccupare gliabitanti di Ado-dero. Il vecchio tassì collettivo chegiornalmente assicura il collegamento con la cittàè tutt’altro che affidabile: spesso capita che non sifaccia vedere in periferia. Quando succede, FarahEsse carica il latte su un asino e si incammina a pie-di verso Garowe. In caso di emergenza, possono ri-correre a soluzioni alternative. «Quando l’auto nonsi fa viva e abbiamo urgentemente bisogno di unmezzo di trasporto per la città, chiamiamo qual-cuno con il cellulare», spiega Rahma Abdulkadir,28 anni e madre di un bambino in tenera età. «Maè tutt’altro che semplice. Talvolta la batteria del te-lefonino è scarica. Dato che qui non abbiamo elet-tricità, generalmente ricarichiamo i nostri appa-

Somalia in sintesiCapitaleMogadiscio

Superficie 637 657 km2

Forma di governoRepubblica parlamentare,dal 2012 progetto di nuovacostituzione L’Islam è la religione di Stato(diritto islamico, sharia).

Popolazione 10,5 milioni di abitanti(stima; l’ultimo censimentoufficiale risale al 1975)

Speranza di vita55 anni

Struttura demografica51% meno di 20 anni 46% tra 15 e 60 anni3% più di 60 anni

Lingue Somalo e arabo (lingue ufficiali), inglese, italiano,varie lingue locali

Economia L’economia somala si basaessenzialmente sulla pro-duzione agricola e sulle ri-messe dei migranti. Data la mancanza di strutturestatali, la maggior partedelle attività economiche si svolge nel settore infor-male. Il 40% del PIL è ge-nerato dalla pastorizia; ilsettore più importante èl’esportazione di animali da macello.

Povertà Il 73% della popolazionesomala vive nella povertà, il 58% dei bambini in etàscolare non è scolarizzato,il 32% degli adulti è analfa-beta.

Farah Esse e Rahma Abdulkadir si augurano maggiore sostegno e sicurezza dallo Stato.

recchi elettronici in città». Per le nomadi come lei,l’estate è una stagione particolarmente impegnati-va: «Solitamente noi donne sorvegliamo le capre ele pecore, mentre gli uomini sono responsabili deicammelli. D’estate, invece, dobbiamo pure carica-re il materiale sui cammelli quando la famiglia sisposta da un pascolo all’altro. Inoltre, percorriamolunghi tragitti a piedi per andare a prendere l’ac-

qua e trasportarla in spalla fino all’accampamento.È dura per una donna, ma dobbiamo farlo, perchénella vita ognuno ha i propri compiti», così descriveRahma Abdulkadir la routine giornaliera.

I tre nemici dei nomadiIn passato le famiglie, come quella di Farah Esse oRahma Abdulkadir, si spostavano con i loro ani-mali fino in Etiopia o in Kenya. Oggi ciò non èpiù possibile. La milizia di Al-Shabaab, in lotta conil governo somalo dal 2006, si è resa responsabiledi uccisioni e attentati anche nei Paesi limitrofi.Questi ultimi hanno inasprito le misure di sicurezzae ora impediscono ai nomadi di attraversare lafrontiera. I tentativi di raggiungere i pascoli oltreconfine hanno già causato morti e feriti. I noma-di hanno paura anche dei 22000 uomini dellaMissione dell’Unione africana in Somalia (AMI-SOM), di stanza soprattutto nel Sud del Paese. Acausa dei ripetuti atti criminali e stupri perpetratidai soldati delle truppe di pace, oggi le truppe del-l’AMISOM e la polizia sono considerate da mol-ti somali una minaccia, più che una missione di di-fesa e soccorso. Sull’esistenza dei contadini e deinomadi somali incombono anche i conflitti tra idifferenti clan. Le strutture sociali e l’infrastruttu-ra del Paese sono state devastate dalla guerra civi-le. In molte zone, i parenti di un assassino vivononel timore di essere uccisi per vendetta e non pos-sono più muoversi liberamente, anche se non co-noscono di persona il colpevole. La gente di Ado-dero vive sotto la costante minaccia di tre nemicimolto diversi tra loro: la siccità, il terrorismo di Al-Shabaab e le faide tra clan.

Somaliland

Etiopia

Kenya

Puntland

Oceano Indiano

Somalia

Yemen

Mogadiscio

Chr

isto

ph G

oeda

n/la

if

20

Chr

isto

ph G

oeda

n/la

if

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Speranza nel governo centrale Le persone come Farah Esse e Rahma Abdulkadirnon si lasciano però scoraggiare. Sperano che ungiorno un governo centrale forte, legittimamenteeletto, si faccia carico dei loro problemi, provvedaa instaurare la pace e la sicurezza e riesca a gestireefficacemente le riserve d’acqua. Sono le premes-se necessarie per evitare le catastrofiche siccità cau-sate dalla sempre più frequente penuria di precipi-tazioni. Ad Ado-dero si covano però anche altri desideri per il futuro. Occorre, per esempio, mi-gliorare urgentemente il settore sanitario, spiegaRahma Abdulkadir. Secondo il Programma delleNazioni Unite per lo sviluppo, in Somalia il tassodi mortalità delle puerpere è molto elevato perchémanca personale adeguatamente formato. «Nondisponiamo di un numero sufficiente di centri sa-nitari. Il più delle volte le donne danno alla luce iloro figli assistite da levatrici tradizionali e duran-te il parto molte muoiono di emorragia», spiega lagiovane mamma. Anche lei ha messo al mondo ilsuo bambino con l’assistenza di una levatrice tra-dizionale.

Collegati con il mondoNon sa né leggere, né scrivere e per il suo Paesesogna un sistema d’istruzione migliore, affinché suofiglio non sia svantaggiato rispetto ai coetanei incittà. Infatti, ad Ado-dero non ci sono scuole, cosìi bambini in età scolare devono abitare da parentiin città, dove solitamente seguono solo l’istruzio-

ne primaria. In campagna sono poche le famigliea potersi permettere un’istruzione superiore per iloro figli. Spesso le ragazze non vengono nemme-no scolarizzate; devono rimanere a casa e lavorare.Ciò nonostante anche in questa comunità tradi-zionale molte cose stanno cambiando. «Grazie allenuove tecnologie siamo connessi con il resto delmondo», afferma Farah Esse. Alcune persone adAdo-dero possiedono un telefono cellulare e pos-sono comunicare con parenti e amici che si trova-no all’altro capo del Paese. ■

(Traduzione dall’inglese)

*Barkhad M. Kaariye è giornalista indipendente a Hargheisa e inviato in Somalia per numerosi media internazionali, fra i quali BBC Media Action e Voiceof America.

Dopo due anni di siccità, nella regione di Oodweyne diventa sempre più difficile trovare l’acqua per dissetareuomini e animali.

Situazione intricata La Somalia è stata costi-tuita nel 1960 dopo averraggiunto l’indipendenza a seguito dell’unione del-l’ex Somalia italiana e dellaSomalia britannica. Nel1969, un colpo di Statoporta al potere il generaleSiad Barre, che regge leredini del Paese fino al1991. Nel 1977-78, laSomalia combatte unaguerra contro l’Etiopia. Nel1991, il governo viene ro-vesciato da gruppi ribelli eil Paese sprofonda rapida-mente nella povertà e nelcaos. La provincia più set-tentrionale si stacca dalresto del Paese, costi-tuendo uno Stato indipen-dente, la Repubblica delSomaliland. Come il Punt-land, altra provincia dell’exSomalia britannica, è rela-tivamente sicura, mentrenel resto del Paese domi-nano la violenza e l’insicu-rezza.

21Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Sul campo con… Laila Sheikh e Lukas Rüttimann, responsabili della cooperazione regionale nel Corno d’Africa, da Nairobi

Somalia

sviluppo in Somalia. Questa è la promessa del«New Deal for Somalia», approvato nel settembre2013 dal governo somalo e dai donatori occiden-tali. Difficile dire in quale misura sarà mantenuta.Il processo di coordinamento fra i donatori e le au-

torità somale è ancora in corso. Anche la Svizzerasi impegna nell’ambito di questo consorzio. Oltrea ciò vogliamo offrire un aggiornamento profes-sionale veloce e non complicato, per esempio, concorsi di qualifica nel settore sanitario, affinché i re-sponsabili siano in grado di assolvere i loro com-piti, quali la pianificazione ospedaliera o il calcolodei costi sanitari. Il bisogno di sostegno è immen-so e non ci si devono aspettare grandi passi avantinel prossimo futuro. È un processo che durerà de-cenni. L’impegno della DSC è solo uno dei tantitasselli. La nostra motivazione ci viene dagli in-contri con i giovani somali che hanno la volontàe la capacità di ricostruire il Paese. Colpisce in par-ticolare la grinta delle giovani donne. La nuova ge-nerazione ce la metterà tutta e noi possiamo of-frirle un aiuto concreto. ■

(Testimonianza raccolta da Gabriela Neuhaus)

(Traduzione dal tedesco)

«Il lavoro nei Paesi fra-gili non funziona senzaun dettagliato sistemadi gestione dei rischi».

Ci occupiamo dei progetti in Somalia dalla nostrasede a Nairobi, quindi da molto lontano. Alcuneregioni del Paese dell’Africa orientale sono diffi-cilmente accessibili per motivi di sicurezza. Perquesto incontriamo spesso i nostri partner all’ae-roporto di Mogadiscio, un posto da cui è altrettantodifficile farsi un quadro della realtà somala. Per as-sicurare che anche in questa situazione i soldi ar-rivino al destinatario, abbiamo bisogno di mecca-nismi di controllo particolari e di una stretta co-operazione con gli altri donatori, con il governosomalo, ma anche con i partner locali. Il desideriodi viaggiare dei somali ci facilita un po’ il compi-to. Infatti, i nostri partner ci raggiungono spesso aNairobi. Tuttavia abbiamo la possibilità di recarcisul campo in Somaliland e Puntland. Queste visi-te ci permettono di conoscere di persona almenouno spaccato del contesto in cui operano i nostripartner. Naturalmente ci auguriamo che la sicu-rezza migliori in tutto il Paese, affinché ci sia pos-sibile visitare anche gli altri progetti.

Da un anno ci dividiamo la direzione dell’Ufficiodi cooperazione della DSC. Siamo un’équipe col-laudata: per quattro anni abbiamo condiviso il po-sto di direttore supplente dell’Ufficio di coopera-zione di Gerusalemme e per altri due anni la fun-zione di direttore supplente dell’ambasciata svizzeraa Nairobi. La nuova permeabilità fra diplomazia ecooperazione allo sviluppo nel DFAE e la possibi-lità del job sharing sono una vera fortuna per noi,sia per la vita privata che per quella professionale.Io, Laila, ho seguito una formazione diplomatica,Lukas, invece, lavora per la DSC dal 2004. Questoapre delle prospettive molto interessanti per le no-stre carriere. Ci completiamo a vicenda e possia-mo imparare l’uno dall’altra. Anche la vita familia-re con i nostri due figli non ne risente, nonostan-te sia difficile staccare completamente, soprattuttoda quando siamo i responsabili della cooperazioneregionale nel Corno d’Africa. Il fatto di prendereinsieme le decisioni e di dividerci le varie mansio-ni riduce un po’ il carico di lavoro.

Quando si parla della Somalia, spesso la discussio-ne si concentra sulla sicurezza. Dobbiamo valuta-re di volta in volta la situazione prima di deciderese un nostro collaboratore può partecipare a un in-contro sul campo. Il lavoro nei Paesi fragili non fun-ziona senza un dettagliato sistema di gestione deirischi. Nonostante la nuova costituzione e l’ele-zione di un governo, a intervalli regolari si ripeto-no azioni militari e attentati terroristici. Malgradotutto, in futuro, oltre all’aiuto umanitario si vuolepromuovere anche la costruzione dello Stato e lo

Nuovi strumenti Dal 2013, la Svizzera è im-pegnata in Somalia nonsolo nell’aiuto umanitario,ma anche nella coopera-zione allo sviluppo.L’impegno è incentrato suifattori buongoverno, sicu-rezza alimentare, salute emigrazione. Poiché anchein futuro, almeno periodi-camente, saranno neces-sarie misure di aiuto uma-nitario si stanno sviluppan-do nuovi strumenti di co-operazione allo sviluppoper rispondere in modoflessibile alle situazioni diemergenza. Nell’ambitodel programma regionale«Corno d’Africa», i 22 di-pendenti dell’Ufficio di co-operazione di Nairobi, oltreai progetti in Somalia, sioccupano anche di pro-getti nel Nord del Kenya. I progetti del programmaregionale in Etiopia delSud sono gestiti ad AddisAbeba da circa 10 colla-boratori. Il volume com-plessivo dell’impegno dellaDSC nel Corno d’Africaammonta a 140 milioni difranchi per il triennio 2013-2016, di cui il 60 per centodei mezzi è destinato aprogetti in Somalia. www.dsc.ch (chiave di ricerca: Corno d’Africa)

DS

C

22 Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Dal 2011 vivo in un Paese che ufficialmente nonesiste. Quando l’anarchia ha trascinato la Somalianel baratro, nel 1991 il Somaliland ha dichiaratoper la seconda volta la sua indipendenza. La co-munità internazionale non ha mai riconosciutoquesto Stato.

Qui la gente è saldamente patriottica, fiduciosa nelfuturo e orgogliosa del processo di pace locale, chein questa regione fragile, fatta a pezzidalla guerra, è come un faro che tra-smette serenità e speranza. L’edificazio-ne autonoma del nostro Stato sta crean-do un’evidente e netta differenza conla Somalia, dove missioni di pace e go-verni transitori, insediati dalla comuni-tà internazionale per ridare stabilità alPaese, hanno ripetutamente fallito.Oggi, il Somaliland si è dotato di unapropria costituzione, una valuta, un si-stema giudiziario, un esercito, una po-lizia civile e di tutte le istituzioni sim-bolo di un Paese moderno.

Come un’intera generazione di profu-ghi somali fuggiti da persecuzioni,guerra, povertà e violenza, perpetratedalla dittatura somala, anch’io sono ri-entrata in Somaliland da Londra. Nel-le terre di accoglienza abbiamo rico-struito le nostre esistenze e identità.Negli ultimi dieci anni, molti somalihanno fatto ritorno in patria per co-noscere la propria gente e il Paese nelquale non hanno potuto crescere. Sia-mo tornati per renderci utili, metten-do a disposizione le nostre doti, la no-stra istruzione ed esperienza acquisiteall’estero.

All’inizio le persone erano piuttostoconfuse e mi chiedevano in continua-zione quando sarei rientrata nel mioPaese. Per costruirmi un’esistenza inSomaliland ho dovuto convincere lagente che, pur essendo fra coloro cheerano partiti e avevano trascorso una vita piutto-sto agiata in Europa, ero tornata per aiutare, percostruire e farmi garante dell’autodeterminazione.

La mia lotta personale, la vana ricerca della ma-drepatria e la mancata accettazione mi hanno resola vita difficile. In Somaliland mi sentivo una stra-niera in una terra che per lungo tempo avevo con-siderato la mia patria. Ironia della sorte ho inizia-to a pensare a Londra come a casa mia. Più il tem-

Sogni pieni di speranza in una patria stranierapo passava, più le differenze attiravano la mia at-tenzione e meno sentivo mio questo mondo. Misono ritrovata in una società patriarcale. Cose mol-to banali, come prendere in affitto un’abitazione,erano quasi impossibili per una donna come me.Guidare l’automobile o lavorare in un settore pret-tamente maschile mi intimoriva e frustrava.

Ho accettato il fatto che forse non apparterrò maiveramente a nessun luogo. Mi sento le-gata al Somaliland per la sua storia e laresponsabilità che nutro verso i mieiconnazionali.

Grazie all’istruzione e alle opportuni-tà offertemi dalla vita, ho avuto la for-tuna di imparare a credere in me stes-sa. Sono convinta che in questa terraancora ostile io possa fare qualcosa dibuono per me e per gli altri. Voglio cheanche ai giovani del Somaliland sianoconcesse queste possibilità per co-struirsi un futuro migliore.

Desidero trasmettere questo impor-tante messaggio alle giovani donnesomale, affinché sappiano che devonolottare per conquistarsi un posto nel-la società patriarcale in questo perio-do di transizione, in cui dobbiamodare forma sia alla nostra identità, siaal nostro Stato. Ma soprattutto vorreivedere tutti i somali sognare, coglierele proprie opportunità e mettersi al ti-mone della società e del Paese.

Io resto nel Somaliland. È una sceltamotivata dalla mia identificazione conla storia della mia famiglia e dall’amo-re per il mio lavoro nella cooperazio-ne allo sviluppo. Sono fiduciosa che ilSomaliland farà molti passi avanti e sisvilupperà positivamente grazie allesoluzioni su misura e agli sforzi dellasua gente. Mi auguro soltanto che ilmio Paese non sia influenzato dalle

ostilità degli Stati vicini e dalla politica interna-zionale che vorrebbe coinvolgerlo in uno sciagu-rato intervento in Somalia. ■

(Traduzione dall’inglese)

Zahra Jibril, 30 anni, è

nata in una famiglia so-

mala nomade, costretta

dalla guerra civile all’esilio

nel 1990. Per due anni ha

vissuto in un campo profu-

ghi, prima di tentare la for-

tuna in Etiopia. Nel 1994,

all’età di nove anni, Zahra

raggiunge da sola una zia

che vive a Londra. Nella

città sul Tamigi va a scuola

e termina gli studi con un

master in gestione interna-

zionale dello sviluppo.Oltre

a lavorare in un ospedale

di Londra, Zahra Jibril

fonda una società di con-

sulenza e una marca di

vestiti. Nel 2011, a 26

anni, decide che è giunto

il momento di compiere

il grande passo e rientra in

Somaliland, dove attual-

mente si occupa di

consulenze ed è a capo

di numerosi progetti.

Una voce dal Somaliland

Alm

in Z

rno/

Uni

cef

23Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

DSC

Uno Stato diviso Fino al 1992, Bosnia edErzegovina appartenevanoalla Iugoslavia. Dopo la dichiarazione di indipen-denza, il Paese è stato peranni teatro di intensi con-flitti armati. L’Accordo diDayton, firmato nel 1995,ha posto fine alla guerra inBosnia e ha gettato le fon-damenta del nuovo Statoodierno, della Repubblicadi Bosnia ed Erzegovina.Quest’ultima è costituitada due unità amministra-tive: Federazione di Bosniaed Erzegovina e Repubbli-ca serba, entrambe ingrande misura autonome,nonché dal distretto diBrcko, che appartiene atutte e due le entità. Diconseguenza anche l’ordi-namento legale del Paeseè assai complesso. Finoraesistono solo poche nor-mative valide per l’interaRepubblica, in cui dominala legislazione a livello dientità amministrativa. La ri-forma del sistema giuridicoprosegue, anche se è ca-ratterizzata da tempi lunghie da numerosi contrasti.

(mw) Dal 2011, il commissariato di polizia della cit-tà bosniaca di Tuzla dispone di una stanza arredataappositamente per interrogare i bambini. La came-ra è dipinta di giallo e arancione, arredata con co-mode poltrone, sui tavoli e sui ripiani ci sono pen-narelli, bambole e altri giocattoli. «Un interrogato-rio può avere conseguenze traumatiche per ibambini», spiega Paolo Marchi, specialista per la tu-tela dei minori, attivo in Bosnia ed Erzegovina perconto dell’UNICEF. Con ambienti e tecniche di in-terrogatorio a misura di bambino, il rischio che que-sta esperienza lasci il segno può essere ridotto. «Lealtre parti coinvolte, come i giudici o gli stessi au-tori del crimine, si sistemano in una saletta adia-cente, dove seguono l’interrogatorio tramite unmonitor. Si evita così il confronto diretto con ilbambino».Sostenuto dalla DSC dal 2009, il programma Justi-ce for Children (J4C) dell’UNICEF ha finanziato l’allestimento di queste stanze in oltre 18 posti dipolizia. L’iniziativa rientra nella vasta riforma giu-diziaria attualmente in corso in Bosnia ed Erzego-vina. Nelle tre unità amministrative del Paese è en-trato in vigore un nuovo diritto penale minorile:nel 2010 nella Republika Srpska, nel 2011 a Brckoe nel 2014 nella Federazione di Bosnia ed Erzego-

vina. I testi di legge si differenziano leggermente fraloro a livello formale, ma perseguono gli stessiobiettivi: vogliono migliorare le opportunità direintegrazione dei giovani delinquenti e garantireuna migliore protezione ai minori.

Reinserimento piuttosto che detenzione «Un nuovo importante elemento del diritto pena-le è l’ammonimento di polizia», spiega ElmedinMuratbegovic, criminologo presso l’Università diSarajevo. È uno strumento adatto soprattutto per igiovani che entrano in conflitto con la legge per laprima volta: «Con un ammonimento di questotipo, le autorità penali hanno la possibilità di in-fliggere misure educative d’accompagnamento, peresempio, una consulenza psicologica, la prestazio-ne di un servizio sociale o controlli più rigidi perappurare se un allievo marina la scuola».Il nuovo diritto penale minorile crea la base giuri-dica per una collaborazione più stretta tra polizia,giustizia, scuola e servizi sociali. Il J4C sostiene que-sta nuova prassi, per esempio, con offerte di perfe-zionamento professionale per oltre 1000 giuristi,operatori sociali e agenti di polizia. ■

(Traduzione dal tedesco)

L’ammonimento come opportunità

Il nuovo diritto penale minorile in Bosnia ed Erzegovina offremaggior protezione ai giovani che sono vittime o testimoni direati e prevede misure di reintegrazione per chi ha commessodei delitti.

In Bosnia ed Erzegovina, i bambini e gli adolescenti saranno maggiormente tutelati dal nuovo diritto minorile che prevede anche l’ammonimento e la reintegrazione dei giovani delinquenti.

Bio

Cul

tura

Inde

pend

enci

a (4

)

24 Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Il latte di madre natura Oltre ad essere particolarmente povera, la popolazione delleAnde è chiamata a contrastare i mutamenti climatici. Il pro-gramma BioCultura sostiene i contadini affinché imparino adadattare i loro metodi di coltivazione tradizionali alle condizio-ni in continuo cambiamento.

Vivere beneNella Costituzione bolivianavari elementi tratti dalla cul-tura della popolazione indi-gena hanno ottenuto unaposizione di primo piano.Tra questi ricordiamoPachamama (Madre terra)e sumak kawsay, che nel-l’idioma quetchua significa«vivere bene». Con questitermini si intende una cul-tura del vivere che punta alraggiungimento di un equi-librio tra uomo e natura eche contiene una fortecomponente spirituale.Questa visione si scontracon la dura realtà. Benchédal 2005 l’economia regi-stri una crescita di quasi il 5 per cento all’anno, laBolivia è il Paese più po-vero del continente suda-mericano. Circa il 40 percento della popolazionevive al di sotto della sogliadi povertà, nelle zone ruraliquesta quota è quasi del60 per cento.

(mw) «Ci nutriamo tutti del latte di madre natu-ra: l’acqua», ha ricordato il ministro degli esteri bo-liviano. È un’affermazione che suona piuttostostrana agli europei, non così a David Choque-huanca che, come il presidente boliviano Evo Mo-rales, appartiene alla popolazione indigena degli ay-mara: anche a lui piace usare questa immagine. Nel 2009, la divinità Pachamama (Madre terra) è sta-ta inserita nella Costituzione boliviana. Forse pro-prio perché è un bene sempre più raro in molteregioni dell’Altopiano boliviano. Infatti, gli esper-ti del clima prevedono che la situazione peggiore-rà nei prossimi decenni. I ghiacciai, che fungonoda riserve idriche naturali, si stanno lentamentesciogliendo e si calcola che le precipitazioni dimi-nuiranno del 10-30 per cento nell’Altopiano del-le Ande occidentali. Nel 2009, il governo boliviano, in cooperazionecon la DSC, ha lanciato il programma BioCultu-ra. L’iniziativa si è posta i seguenti obiettivi: pro-teggere meglio le 15000 famiglie che vivono nei400 comuni dalle conseguenze dei cambiamenticlimatici, rafforzare la loro sicurezza alimentare etutelare le risorse naturali. Sulla scorta delle espe-rienze maturate a livello locale, BioCultura Boli-

via fornisce sostegno anche sul piano nazionale, peresempio, nell’elaborazione della politica climaticanazionale e nella costituzione della nuova Autori-dad Plurinacional de la Madre Tierra (APMT). L’en-te è responsabile, fra l’altro, della gestione del Fon-do nazionale per l’ambiente, destinato al finanzia-mento di progetti volti a salvaguardare il clima.

Superare i periodi di siccità Palermo è una zona del municipio (distretto) Inde-pendencia. Grazie a BioCultura, la regione è ri-uscita parzialmente ad adottare alcune misure concui rispondere meglio ai cambiamenti climatici. Suun’altura, gli abitanti hanno costruito tre grosse ci-sterne per l’acqua, alimentate da vari ruscelli dimontagna. Questo accorgimento permette loro disuperare meglio le siccità.«Negli ultimi quattro anni a Independencia abbia-mo sostenuto e accompagnato la costruzione di piùdi venti nuovi sistemi di irrigazione», spiega Ro-berto Daza, biologo e operatore di progetto di Bio-Cultura. «Essi assicurano l’approvvigionamentoidrico di più di 300 ettari di terreno, cui fanno capoquasi 700 famiglie».Complessivamente BioCultura è attiva in 25 mu-

La realizzazione di oltre venti cisterne per l’acqua permette ai contadini di Independencia, distretto nelle Ande boliviane,di rispondere meglio ai cambiamenti climatici.

25Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

nicipios. La maggior parte della popolazione appar-tiene ai quetchua o agli aymara, vi sono però an-che dei guaraní. Alcuni villaggi si trovano nell’Al-topiano di Puna. È una regione senza alberi, carat-terizzata da alte montagne e ciuffi d’erba dalleforme tondeggianti. Vi sono poi anche comuni si-tuati a quote più basse, nelle valli laterali più umi-de e in parte boscose. «Ogni zona deve sviluppare

Giacimenti di petrolio e metano L’economia boliviana di-pende fortemente daiprezzi delle materie prime.L’esportazione di metano e di altri prodotti del sotto-suolo genera due terzidelle entrate, mentre il set-tore agricolo circa il 15 percento. L’industria manifat-turiera non è molto svilup-pata. Nel maggio 2015, il governo ha emanato unnuovo decreto che per-mette lo sfruttamento deigiacimenti di greggio e me-tano nelle zone protette,eccezion fatta per i luoghiche ospitano monumentisacri o le zone umide diimportanza internazionale.Il nuovo regolamento è du-ramente criticato dalle as-sociazioni ambientaliste,anche le organizzazioni in-digene vi si oppongono. Il decreto interessa soprat-tutto il Bassopiano boli-viano.

Con il programma BioCultura si vuole salvare dalla falce dell’oblio le conoscenze locali e l’agricoltura tradizionale, qualile feste del raccolto e le offerte alla divinità «Pachamama», la Madre terra.

una strategia individuale per il futuro», afferma ilbiologo di BioCultura. Per Independencia, la protezione dei boschi in altaquota è indispensabile per sopravvivere, perché ilterreno boschivo serve da serbatoio idrico. «Perquesto motivo, nella prima fase del progetto la po-polazione ha rimboscato quasi 80 ettari di super-ficie». Inoltre, tanti villaggi si sono dotati di nuoviregolamenti per l’utilizzazione dei boschi. «Il miglioramento della produzione agricola è unobiettivo prioritario in tutti i municipios», spiegaDaza. «Fra le principali novità introdotte a Inde-pendencia, ricordo la produzione locale di conci-me organico, la sperimentazione di nuove varietàdi frutta, la costituzione di un consorzio per la col-tivazione di avena, nonché la costruzione di zan-jas, ossia di canali di drenaggio che frenano l’ero-sione».Secondo Daza, per tutti questi progetti si è dovu-to ricorrere solo raramente alle competenze diesperti stranieri, perché nella fase iniziale di Bio-Cultura, le conoscenze locali sono state raccolte inmodo mirato. «Ora, queste informazioni sono dif-fuse in tutta la regione e confluiranno anche neiprogrammi didattici delle scuole».

Questo nuovo archivio del sapere raccoglie anchemolte usanze e tradizioni, nonché altri elementidella cultura locale. «L’agricoltura e la cultura nel-l’Altopiano andino sono due realtà legate indisso-lubilmente», spiega con convinzione il biologo eoperatore di progetto. «La cura di questi valori rientra nelle strategie su cui si fonda il lavoro diBioCultura».

Attività faro a livello nazionaleEntro la fine del 2019, BioCultura intende dotaretutti i municipios di programmi strategici a livellopolitico, volti a garantire loro la capacità di ade-guamento ai cambiamenti climatici. In cinque di-stretti, il piano aspetta soltanto di essere trasforma-to in realtà, anche a Independencia. Il documentomostra, per esempio, quali sono le lacune giuridi-che da colmare e indica anche quali misure vannoprese per salvaguardare l’ambiente e proteggersi daeventuali catastrofi naturali. Illustra pure il ruolodelle donne e pone l’accento sul rafforzamento del-le organizzazioni della società civile, affinché pro-teggano meglio la popolazione dalle ripercussioninegative del cambiamento climatico. «La strategiadi Independencia è di enorme interesse anche peril governo nazionale, perché in futuro i program-mi regionali e nazionali per il clima dovranno es-sere complementari», ricorda Daza. Attualmente ilsistema è in fase di costruzione in tutto il Paese. «AIndependencia, BioCultura ha svolto un’attivitàpionieristica, perché i documenti elaborati qui pos-sono ora servire da linea guida per gli altri». ■

(Traduzione dal tedesco)

26

UN

OD

C

Pet

er B

iro/IR

C

Dietro le quinte della DSC

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

gruppi marginalizzati, sono incoraggiate affinché si impe-gnino attivamente a favoredella governance locale e par-tecipino all’elaborazione di po-litiche e programmi che raffor-zino la sicurezza nelle città. Durata del progetto: 2015-2024Volume: 20 milioni di CHF

Rafforzare il parlamento in Serbia (mpe) Dal 2012, la DSC sostie-ne il parlamento serbo cofinan-ziando un ambizioso progettorealizzato dal Programma delleNazioni Unite per lo sviluppo.L’iniziativa vuole rafforzare lafunzione di sorveglianza di questa istituzione e mettere apunto un sistema di finanzepubbliche trasparenti, assicu-rando così la qualità dei pro-cessi legislativi e il rispetto dellavolontà dei cittadini. Fino aoggi il progetto ha registratovari successi. In particolare haintrodotto l’autonomia budge-taria del parlamento, ha elabo-rato un meccanismo di consul-tazione di organi non statali eha sottoposto varie leggi allachiamata alle urne pubblica.Sono stati organizzati ancheistruttivi scambi di esperienzecon le Camere federali a Berna.Tuttavia, la strada da fare perraggiungere gli standard euro-pei è ancora lunga. Ecco per-ché è stato deciso di conti-nuare a sostenere il progettooltre la scadenza prevista. Nellanuova fase si tratterà di conso-lidare i risultati ottenuti e di mi-gliorare i processi democratici

nell’elaborazione della legisla-zione serba.Durata del progetto: 2015-2019 Volume: 2 milioni di CHF

Agenzie di collocamento oneste e fidate(hsf) I lavoratori migranti forni-scono spesso un contributoessenziale allo sviluppo deiloro Paesi di origine e di quelliospitanti. Tuttavia sono milioniquelli che cadono nelle grinfiedi agenzie di collocamentosenza scrupoli che li ingan-nano su posto di lavoro, che sifanno consegnare i passaportio che fanno delle detrazioni il-legali dai salari. La DSC lanciaun progetto con cui vuole fareluce su questi abusi. Insiemeall’Organizzazione internazio-nale per le migrazioni (IOM) hasviluppato un sistema di certi-ficazione su base volontariaper agenzie di lavoro interinale.La certificazione permette ailavoratori di capire se l’agen-zia, con cui hanno a che fare,rispetta gli standard interna-zionali. Inoltre, in collabora-zione con l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO)sono valutate diverse proce-dure di collocamento eque edetiche.Durata del progetto: 2015-2018Volume: 5,05 milioni di CHF

In fuga da Boko Haram(ung) La regione di Diffa, nelNiger sud-orientale, è confron-tata con un crescente afflussodi profughi in fuga dagli attac-chi del movimento integralistaislamico Boko Haram che se-mina il terrore nella vicinaNigeria. La DSC sostiene ilComitato internazionale disoccorso (IRC). Quest’ultimoregistra i profughi e si occupadi queste persone vulnerabili,in particolare anziani, bambini,

HIV/AIDS nelle carceridell’Africa del Sud(vsj) Malgrado i notevoli pro-gressi fatti, l’Africa del Sud èla regione del mondo più col-pita dall’HIV/AIDS. I detenutisono fra i gruppi di popola-zione più a rischio a causadella mancanza di preven-zione, dell’insufficiente assi-stenza sanitaria e della vio-lenza sessuale nelle carceri.Per ridurre il contagio dietro le mura delle prigioni è indi-spensabile migliorare le condi-zioni di detenzione, poichémolte persone condannatedevono scontare pene dibreve durata. Il programmasostenuto dalla DSC inter-viene sia sul piano politico siasu quello legale. Inoltre pro-muove lo sviluppo di servizisanitari adeguati. Durata del progetto: 2015-2018Volume: 3,7 milioni di CHF

Criminalità urbana in Afghanistan(brume) L’Afghanistan sta vivendo uno dei processi di urbanizzazione più rapidi almondo. Il fenomeno è accom-pagnato però da una crescen-te criminalità, dall’emargina-zione sociale e dall’insicu-rezza. Un nuovo progetto dellaDSC aiuta le otto principaliunità amministrative afghanead affrontare questa situa-zione. Le autorità devono at-tuare delle misure che miglio-rino il dialogo con i cittadini, lasicurezza e i servizi volti a sod-disfare i bisogni della popola-zione. Le comunità, compresi i

donne sole e giovani madri.Insieme ai comitati comunitari,l’IRC valuta i bisogni dei rifu-giati, indirizzandoli poi ai ser-vizi competenti, che fornisco-no loro un’assistenza ade-guata. Le misure attuate dal-l’organizzazione permettono,in particolare, di offrire mag-gior protezione contro gli abusisessuali e di assicurare un accesso all’acqua e ai servizisanitari.Durata del progetto: 2015-2016Volume: 660000 di CHF

Sementi e macchine per il Sud Sudan(ung) In Sud Sudan, quasi lametà della popolazione soffredi un’insicurezza alimentareendemica a causa dei conflittie della crisi economica cheperdurano dal dicembre del2013. I mercati sono deserti e i prezzi dei generi alimentarisono lievitati fino a diventareproibitivi per la maggior partedelle famiglie. La DSC so-stiene un progetto coordinatoda Caritas Belgio, realizzatonelle regioni più a Sud delPaese, in cui c’è un forte po-tenziale agricolo. L’obiettivodel progetto è il miglioramentodella produttività dell’agricol-tura locale, assicurando prezzidi vendita ragionevoli.L’iniziativa è incentrata sulladistribuzione di sementi e sullameccanizzazione dei mezzi diproduzione, facilitando in talmodo anche l’accesso ai mer-cati.Durata del progetto: 2015-2016Volume: 640000 di CHFP

NU

D

27

Pau

lo N

unes

dos

San

tos/

4SE

E/la

if

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

FORUM

Quando l’aiuto umanitario gioca con l’interruttoreNon c’è una distribuzione equa dell’aiuto umanitario interna-zionale nel mondo. Alcune crisi sono finite sotto i riflettori, al-tre sono state dimenticate dall’opinione pubblica mondiale.Purtroppo gli Stati e le organizzazioni umanitarie non orienta-no sempre i loro interventi secondo i bisogni delle popolazio-ni, bensì seguono altri interessi. Di Luca Beti.

Chi si ricorda ancora del campo profughi dei sah-rawi, nell’Algeria occidentale, degli sfollati inter-ni in Colombia o degli esuli rohingya in Myan-mar? In pochi, probabilmente. Sono delle popo-lazioni dimenticate dai media, dall’opinione pub-blica e dall’aiuto umanitario. Il terremoto in Ne-pal della fine di aprile 2015 è invece finito sotto iriflettori dei maggiori canali televisivi e delle piùimportanti testate giornalistiche del mondo. Conloro, sul luogo della catastrofe è giunta anche unacarovana infinita di organizzazioni umanitarie, sta-tali e non governative. Per alcune settimane, il Pae-se è stato un hotspot, una «zona calda». Ora non loè più, almeno non nel momento in cui scriviamol’articolo. L’interesse mediatico e delle ONG si èspostato altrove. Quello che vivono le persone vit-time di una catastrofe naturale o di un conflitto èuna specie di gioco con l’interruttore della luce,con cui i media, ma anche gli attori umanitari il-luminano a intermittenza una zona di crisi, la-sciandola poco dopo nel buio più nero; è il colo-re, della fame, delle malattie e dell’abbandono.

L’aiuto umanitario, un grande business«Le cosiddette crisi dimenticate lo sono solo perl’opinione pubblica, certo non per le vittime. Lepersone che vivono nel Sud Sudan, nella Strisciadi Gaza, nel Darfur devono affrontare quotidiana-mente le difficoltà legate a situazioni drammati-che che si protraggono da anni, se non decenni. Etutto ciò lontano dalle videocamere di CNN,BBC e Al Jazeera», ricorda Manuel Bessler, dele-gato per l’aiuto umanitario e capo del Corpo sviz-zero d’aiuto umanitario (CSA). A dimenticarequeste popolazioni non sono solo i media, bensìanche le ONG e i Paesi donatori. L’aiuto umani-tario è diventato un grande business: più la crisiumanitaria è radicata nella memoria collettiva del-le nazioni ricche, più è facile mobilitare il merca-to dei donatori o convincere i parlamenti a sbloc-care dei fondi.«L’aiuto umanitario non dipende solo dai soldi deiPaesi, bensì anche dal mercato dei donatori pri-vati. La generosità della gente aumenta in corri-spondenza allo spazio che una crisi si è ritagliata

Il conflitto nel Sahara occidentale si trascina da decenni. Circa 150000 sahrawi vivono nei campi profughi presso Tindouf,in Algeria, dove dipendono dall’aiuto internazionale.

Crisi dimenticateLa Direzione generale per gli Aiuti umanitari e la protezione civile dellaCommissione europea(ECHO) è un’istituzionedell’Unione europea che si occupa degli aiuti uma-nitari all’estero. Nell’ambitodi un’analisi annuale, il co-siddetto Forgotten CrisisAssessment, identifica lecrisi umanitarie dimenti-cate, in cui le popolazioniinteressate non ricevonoalcun aiuto internazionaleoppure un sostegno insuf-ficiente. Nel contempo,essa cerca di richiamarel’attenzione dell’opinionepubblica su queste situa-zioni che riguardano spessominoranze e comunità al-l’interno di un Paese. Ilrapporto del 2014 eviden-zia 12 crisi «dimenticate»,tra cui i rifugiati nel Sahrawiin Algeria, la minoranzaKachin in Myanmar, i rifu-giati provenienti dallaRepubblica Centroafricanain Camerun o gli immigratiillegali colombiani inEcuador e Venezuela.www.ec.europa.eu/echo(forgotten crisis assessment)

Ada

m D

ean/

NY

T/R

edux

/laif

28 Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

nei mezzi di informazione. Ciò obbliga molteONG a intervenire dove si concentra l’attenzio-ne mediatica», illustra Dieter Reinhardt, politolo-go e pubblicista tedesco.Nel peggiore dei casi, ciò può creare situazioniparadossali in cui, sui luoghi delle crisi, le ONGfanno a gara per issare il loro vessillo più in altodelle altre. Ed è soprattutto all’aeroporto che va inscena questo spettacolo perché di solito è l’unicopunto di accesso alle zone di crisi ed è lì che siconcentrano inizialmente tutti gli aiuti interna-zionali. È successo alcuni mesi fa in Nepal, è suc-cesso cinque anni fa ad Haiti, dove per alcune set-timane l’esercito americano aveva preso il con-trollo dello scalo, dando la precedenza ai suoivelivoli e mettendo in difficoltà le ONG presen-ti sul luogo della catastrofe naturale. «A Katman-du ci si è letteralmente pestati i piedi», raccontaLaurent Ligozat, direttore aggiunto delle opera-zioni di Medici senza frontiere (MSF). «La situa-zione era talmente caotica da bloccare addiritturale operazioni umanitarie dei vari attori. Se nellacapitale regnava la confusione, nelle zone rurali emontuose, difficilmente accessibili, non c’era qua-si nessuno».

Assieme invece che gli uni contro gli altriIl binomio mass media e attori umanitari non vie-ne però sempre rispettato. Anche se spesso in pri-ma pagina, alcune crisi sono comunque neglettedai donatori. «La suddivisione dell’aiuto umanita-

rio non segue il principio della reale necessità odella presenza mediatica, bensì altri motivi», so-stiene Dieter Reinhardt. Tra queste ragioni, il po-litologo elenca la sicurezza, l’accesso al luogo del-la crisi, gli interessi geopolitici o geostrategici diun Paese donatore. «È l’agenda di politica esteradi uno Stato a definire le priorità e il sostegno fi-nanziario per un intervento», conferma Ligozat.«I governi mischiano l’aiuto umanitario con gliobiettivi geostrategici, mettendo in pericolo iprincipi d’imparzialità e d’indipendenza degli at-tori umanitari. Questa politicizzazione crea deiproblemi d’accettazione da parte dei belligerantie complica enormemente il nostro compito per accedere a certe zone o per prestare soccorso allepopolazioni in difficoltà». Così, gli emblemi delle organizzazioni umanita-rie, come MSF e il Comitato internazionale del-la Croce rossa (CICR), non fanno più da scudo alloro personale. Anzi, in zone di conflitto gli ope-ratori sono degli obiettivi indifesi, vittime di se-questri o di uccisioni perché i gruppi armati liconsiderano parte in causa. Soccorrere la popola-zione civile diventa quindi sempre più difficile, avolte impossibile. «Anche dopo lunghe trattative,per le parti in conflitto rimaniamo un’organizza-zione occidentale», dice Laurent Ligozat di MSF.A peggiorare la situazione, ci pensano, a volte, lestesse ONG che invece di collaborare si fannoconcorrenza. «La mancanza di cooperazione puòmettere in pericolo il lavoro degli attori umanita-

Scene di strada a Myitkyina, nella capitale del Kachin. In questo Stato a Nord del Myanmar, la discriminazione, le perse-cuzioni e la lotta per l’indipendenza creano da decenni un clima di insicurezza.

Dove sono tutti? Nel luglio 2014, Medicisenza frontiere (MSF) ha pubblicato il rapporto«Where is everyone?»(Dove sono tutti?) in cuievidenzia le difficoltà e i limiti principali dell’aiutoumanitario internazionale.MSF concentra la sua ana-lisi sull’aiuto internazionalein tre regioni: la crisi nellaRepubblica democraticadel Congo, il campo profu-ghi in Sud Sudan e la si-tuazione di emergenza inGiordania. In estrema sin-tesi, MSF giunge alla con-clusione che nonostantesia cresciuto enormementenegli ultimi anni, il sistemaumanitario non rispondeadeguatamente alle crisi,soprattutto a quelle com-plesse, difficili da raggiun-gere o legate a conflitti ar-mati. Molti attori, indicaMSF, hanno perso la capa-cità di intervenire in ma-niera tempestiva e nonhanno né i mezzi finanziariné le competenze neces-sarie per soccorrere le po-polazioni più vulnerabili.www.msf.org (Where is everyone?)

Mad

s N

isse

n/la

if

29Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

ri sul territorio», sostiene, dal canto suo, Bessler delCSA. «Si è dipendenti gli uni degli altri, anche perquanto riguarda la gestione della sicurezza».

Divario tra bisogni e risorse economicheNon è solo la cooperazione a fare difetto; a voltemanca anche la coordinazione tra attori umanita-ri. Questo compito è affidato all’Ufficio delle Na-zioni Unite per gli affari umanitari (OCHA), crea-to nel 1991 per fornire una risposta omogenea alleemergenze. «Molte ONG non si lasciano dirige-re dall’ONU perché vogliono rimanere indipen-denti», ricorda Bessler, che per undici anni ha la-vorato per OCHA. Così anche MSF che nonvuole finire negli ingranaggi della standardizza-zione delle procedure di intervento; preferiscemantenere la sua autonomia che va a braccetto, secondo Ligozat, con la tempestività. Una dialettica che probabilmente si smorzerebbesubito se le Nazioni Unite, le agenzie governati-ve e le ONG disponessero di mezzi finanziari suf-ficienti. Negli ultimi anni, il divario tra bisogniumanitari e risorse economiche si è ampliato agrande e sempre maggiore velocità. Stando adOCHA, nel giugno 2014 per soccorrere le popo-lazioni in difficoltà erano necessari 16,8 miliardidi dollari americani, quasi il doppio rispetto al2012. Nel rapporto del giugno 2015, l’Ufficio indicava che era disponibile solo il 26 per centodell’importo totale annuale, stimato a 18.8 miliardidi dollari statunitensi.

In un quartiere povero di Bogotá, un gruppo di mamme fa la coda per iscrivere i figli a scuola. Hanno lasciato i loro villaggi per fuggire dalla guerra tra l’esercito governativo e le truppe ribelli.

Riforma del sistema di sostegnoOra, più che mai, la comunità internazionale èchiamata a sviluppare dei meccanismi che garan-tiscano mezzi finanziari sufficienti agli attori uma-nitari. António Guterres, capo dell’Alto commis-sariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha for-mulato l’idea di passare da un sistema di sostegnoeconomico facoltativo a uno vincolante per gliStati membri: un modello analogo a quello che re-gola gli interventi dei caschi blu dell’ONU. «Unariforma simile faciliterebbe lo stanziamento deimezzi necessari almeno per le crisi maggiori, quel-le definite di terzo livello dall’ONU, come lo sonoquelle in Iraq, Siria o nel Sud Sudan», sostiene Die-ter Reinhardt. Per Laurent Ligozat, la soluzione sitrova altrove: «Invece di cercare altre strategie perraccogliere più fondi, l’aiuto umanitario deve do-tarsi di un sistema che gli permetta di essere piùefficace e reattivo. Nello stesso tempo, la comuni-tà internazionale deve sostenere gli Stati e i go-verni affinché acquisiscano le capacità necessarieper affrontare da soli le crisi. La chiave sta lì».Chiave che da tempo si sta cercando per risolve-re l’emergenza umanitaria – sia quella dimentica-ta sia quella finita sotto i riflettori – e che ci si au-gura di trovare durante la Conferenza mondialesull’aiuto umanitario (World Humanitarian Sum-mit), che si terrà a Istanbul nel 2016. ■

Per una migliore coordinazioneL’Ufficio delle Nazioni Uniteper gli affari umanitari(OCHA) è stato creato nel1991 per coordinare me-glio la risposta umanitariaalle crisi e alle catastrofinaturali da parte degli at-tori nazionali e internazio-nali. Inoltre, OCHA ha ilcompito di difendere i dirittidelle persone in difficoltà,promuovere la tempestivitàe la prevenzione e favorirele soluzioni sostenibili. Ilsuo mandato è sostenutofinanziariamente da 26Stati donatori, tra cui an-che la Svizzera. Nel 2014 il suo budget ammontavaa 327 milioni di dollari sta-tunitensi. L’Ufficio impiega oltre 2300 persone, suddi-vise nelle due sedi centralidi Ginevra e New York enegli oltre 30 uffici sparsinel mondo. Dal giugno2015, OCHA è presiedutodall’inglese StephenO’Brien.www.unocha.org

30

Pie

ter-

Jan

De

Pue

/laif

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Ultimo giorno d’estate del2014. Stavo lavorando da quasiun anno al mio nuovo film «Unromanzo baltico». Le riprese sa-rebbero iniziate di lì a poco. Un amore di un giorno sullespiagge romantiche e selvaggedel Mare Baltico. Una famosaattrice lettone di 48 anni incon-tra un diciottenne lituano.Camminando lungo la costa, vivono sull’arco di una giornatal’intera gamma delle relazioni dicoppia e capiscono nello stessotempo che il loro amore non hafuturo, che il rientro nel mondoreale, dietro le dune, porrà ter-mine al loro incontro.

L’ultima settimana d’estate del-l’anno scorso mi sono recatocon gli attori su quelle costereali. Scene di prova. I due sicompletavano a meraviglia eprovavano simpatia l’uno perl’altra.

La sera del 31 agosto ho accom-pagnato lei a Liepaja, doveavrebbe preso la corriera perRiga. Poi ho condotto lui alpullman per Vilnius e ho fattoritorno a Šventoji, stazione bal-neare lituana nei pressi dellafrontiera lettone, dove avrei tra-scorso qualche giorno. Me ne

La guerra che non c’è

Marius Ivaškevicius appar-tiene all’ultima generazione discrittori lituani ed è uno degliautori contemporanei più im-portanti del suo Paese. Delleotto opere narrative finora pub-blicate, alcune sono state tra-dotte in altre lingue, tra cui initaliano «Madagascar. Pièce intre atti», edito nel 2012 daTitivillus. 42 anni, MariusIvaškevicius è giornalista, dram-maturgo, autore di prosa e disceneggiature, regista e docu-mentarista. Nel 2014, il suo ul-timo film «Santa», per il qualeha scritto la sceneggiatura ecurato la regia, è stato proiet-tato nei cinema. Quando non èin viaggio, Marius Ivaškeviciusvive e lavora a Vilnius.

stavo seduto nell’appartamentopreso in affitto sorseggiandowhisky e riflettendo sul film.

Nulla lasciava presagire che quelgiorno la mia vita sarebbe cam-biata. Ho acceso la televisione.Notizie. Come quasi ogni seradegli ultimi sei mesi, comunicatisulla situazione sempre più tesain Ucraina orientale: ancoracombattimenti, ancora morti. E improvvisamente è successo.Ho sentito la guerra dentro dime. Nessuna paura, nessuna rab-bia. Ma assurdità. Mancanza dimotivazione. Sentivo che ciòche stavo facendo non aveva alcun senso. Se questa guerrafosse giunta fin sulla soglia dicasa mia – ovunque si gridava ai quattro venti che dopol’Ucraina sarebbe stata la voltadegli Stati baltici – avrebbespazzato via tutto. In qualchemodo dovevo prepararmi.

Laggiù in Ucraina, i figli dell’exUnione Sovietica, come me, siammazzavano fra loro. Un fu-turo del genere non l’avevanosognato nemmeno nei loro peg-giori incubi, eppure oggi è larealtà che stanno vivendo. Mache cosa significava prepararsi?Assurdo. Che soldato sarei mai

stato – non avrei mai potutoammazzare un uomo.

Sono rimasto seduto a lungo arimuginare in balcone (la primanotte di settembre era già av-volta da una coltre di pece), fu-mando una sigaretta dopo l’altrae sorbendo gli ultimi sorsi diwhisky… E poi ho preso unadecisione: sarei andato in guerra.La mia, personale. Mi sarei mo-bilitato. Avrei fatto l’unica cosache sapevo fare: scrivere, masolo di quello. Del male. Avreifatto tutto il possibile per impe-dire alla guerra di arrivare. Equando sarebbe stata finita, an-cora prima di scoppiare, quandola minaccia sarebbe passata, al-lora sarei tornato all’amore.

Dentro di me credevo che, ilmattino seguente, nuovamentesobrio, avrei cambiato idea. Mano. Né il mattino successivo, néun anno dopo. Ora «Un roman-zo baltico» giace in un cassetto.L’attrice lettone ha cercato difarmi cambiare idea, dicendoche in guerra le persone scri-vono di amore, l’unica speranzaalla quale possono ancora ag-grapparsi. Me lo ha garantitoanche il produttore teatrale diVarsavia che avrebbe tanto vo-

luto mettere in scena una miapièce sul tema della stagione:l’amore.

Non posso. Sono demotivato.Scrivo del male per smasche-rarlo. La gente deve essernenauseata e dopo aver visto ilmio film o il mio spettacoloteatrale deve volere soltantoamore. Lo so, da un punto di vista globale, ciò non cambianulla; sono solo una goccia nel-l’oceano. Devo però tenere fedeal giuramento che ho fatto suquel balcone: soldato per quat-tro anni. Uno è già trascorso; nerimangono ancora tre. Il 1° set-tembre 2018 verrò congedato.Non so chi sarò quel giorno, nécome sarà il mondo, ma saròtornato. Smetterò i panni delsoldato e scriverò dell’amore.Perché una guerra dura quattroanni. Così ho deciso su quelbalcone. ■

(Traduzione dal lituano)

Carta bianca

31

Qat

tan

Cen

tre

for

the

Chi

ld

Qat

tan

Cen

tre

for

the

Chi

ld

Ash

tar

Thea

tre

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

CULTURA

L’arte come veicolo di speranzaIn situazioni di crisi, le attività artistiche e culturali passano solitamente in se-condo piano. Eppure sono innumerevoli gli esempi che indicano come la co-siddetta «Art in Conflict» sappia innescare effetti positivi e nuove prospettive.Di Gabriela Neuhaus.

La socio-pedagogista HeyamHayek, di Gaza, e l’attrice ImanAoun, cofondatrice in Palestinadell’Ashtar Theatre, lavorano en-trambe con giovani traumatiz-zati e si conoscono da tempo.Personalmente si sono però in-contrate per la prima volta nelmaggio del 2015 nella città sullaLimmat, in occasione del work-shop «Art in Conflict», organiz-zato presso l’Alta scuola dellearti di Zurigo (ZHdK). ImanAoun vive a Gerusalemme. Dal1999 Israele non le concede piùil visto di entrata per Gaza. Igiovani con i quali lavora nonpossono invece lasciare i Terri-tori occupati della striscia diGaza. I suoi mezzi di comunica-zione sono Skype e Youtube; ilsuo motto: «L’arte può operareprofondi cambiamenti». Il mes-saggio palesa tutta la sua urgenzae tocca profondamente l’ascolta-tore quando racconta dei«Monologhi di Gaza». Nell’am-bito di questo progetto, alcuni

giovani tra i 14 e i 18 annihanno parlato e scritto dell’espe-rienza vissuta durante la guerradi Gaza del 2008-2009, dellaloro situazione e della dispera-zione. Quest’attività li ha aiutatia elaborare le terribili espe-rienze. Tradotti in 18 lingue etrasposti in radiodrammi, pièceteatrali e film, i monologhihanno raggiunto un pubblicomondiale. Questo ha ridato spe-ranza ai ragazzi, una speranza

Nella striscia di Gaza, progetti teatrali e artistici aiutano i bambini e i giovani a superare le esperienze traumatiche della guerra e a ritrovare fiducia nella vita.

cancellata nel 2014 dallo scop-pio della nuova guerra. Ma ImanAoun e la sua troupe non sidanno per vinte. In questo mo-mento incontrano i giovani diGaza in workshop online orga-nizzati nelle scuole locali percontrastare, con coraggio e hu-mour, una disperazione paraliz-zante.

«L’arte è una terapia a buon mercato»Anche Heyam Hayek punta sul-l’arte per aiutare i bambini delQattan Centre for the Child diGaza affinché riescano a ritro-

vare una vita «normale». Moltiminorenni, che trovano rifugionel centro, sono talmente trau-matizzati da non riuscire più aparlare. «Dipingendo, ballando orecitando i bambini possono la-sciarsi andare e ritrovare un po’di serenità. L’arte ha gli stessi ef-fetti di una terapia, ma è più di-retta e costa sicuramente meno»,riassume la trentacinquenne.Come numerosi altri progetti si-mili, l’Ashtar Theatre e il QattanCentre for the Child sono soste-

32

Dag

mar

Rei

cher

t (2)

Ram

in M

azur

(3)

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

2

Messaggi sociali Il professionista moldavo dellospettacolo Mihai Fusu vede nel-l’arte un’unica opportunità peraffrontare i tabù di una società.Con la sua troupe, l’artista cerca,scrive e mette in scena spettacoliteatrali che trattano argomenticome la tratta di esseri umani, la violenza o l’amore in carcere,raccogliendo successi anche a li-vello internazionale. Il suo im-pegno è possibile solo grazie agliaiuti finanziari provenienti dal-l’estero. Senza questi sponsor,evidenzia il fondatore del centroculturale Coliseum di Chisinau,la scena culturale moldava sa-rebbe tremendamente mono-corde. Sui palcoscenici finanziatidallo Stato vengono presentatesoltanto pièce senza mordente,generalmente innocue comme-die. «Nei suoi teatri, il governo

Nuovi stimoli per la scena culturale in Georgia: alcuni giovani improvvi-sano un concerto con degli strumenti realizzati con materiale di scarto.

nuti da svariate organizzazioniinternazionali. Da qualche anno,le agenzie per lo sviluppo e leONG investono sempre piùspesso in progetti d’arte e cul-tura per attenuare e superare lecrisi e favorire i cambiamentisociali.

«L’arte è una necessità»Questo approccio è ancora assaicontroverso, sia fra gli espertidello sviluppo, sia fra gli stessiartisti. Al workshop di Zurigo cisi è chiesti, fra le altre cose, se insituazioni di crisi acuta sia legit-timo e sensato destinare fondiall’arte. Da una parte perché sa-rebbe opportuno dare la prece-denza ai servizi medici o all’ap-provvigionamento di derratealimentari; d’altra parte perchéqualcuno teme una strumenta-lizzazione delle attività artisti-che, che potrebbero diventareun mezzo di indottrinamento.La fondazione «Art as Founda-tion», promotrice del workshoporganizzato congiuntamente da

ZHdK e DSC, segue un orien-tamento molto chiaro e difendecon convinzione l’inserimentodi progetti artistici negli inter-venti umanitari e nelle situazionidi crisi, poiché contribuisce acreare nuovi spazi d’azione perla risoluzione dei conflitti e asviluppare approcci alternativicapaci di ridurre le distanze. Il workshop di Zurigo ha fornitoalla storica dell’arte e curatricetedesca Ruth Noack l’occasioneper illustrare il contrasto tral’arte che nasce per migliorareuna situazione o nell’ambito diun’attività di pace e l’«arte com-pletamente diversa», espressionefine a se stessa. Una distinzioneche per gli artisti delle zone di crisi riveste ben poca impor-tanza: «È un approccio bor-ghese», commenta Iman Aoun.«Tutti gli esseri umani hanno bisogno di forme creative peresprimersi. Laddove queste capa-cità vanno perse, si crea un ter-reno fertile per la violenza e laguerra. L’arte è una necessità».

33

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

non ingaggia certo gente chemostra al pubblico i problemiche non è in grado di risolvere»,commenta Mihai Fusu, aggiun-gendo che l’arte deve essere na-turalmente estetica e dilettevole,ma che nel contempo deve con-centrarsi sull’impegno sociale.«Io metto in scena pièce teatralicon un messaggio sociale utile emi impegno affinché diano ori-gine a opere d’arte».

Nuove prospettive Quanto siano diversi i contestinei quali l’arte trova una collo-cazione come «Art in Conflict»lo dimostra un altro esempioproveniente da Tskaltubo, cittàdella Georgia occidentale. Neisanatori dell’ex centro di curasono stati alloggiati migliaia diprofughi abcasi. Taluni vivono lìda oltre vent’anni, senza alcunaprospettiva di rimpatrio. «Solo di

Mettere in scena senza veli tabù sociali: per il loro ultimo spettacolo, dedicato all’amore, i creatori teatrali di Chisinau hanno svolto delle ricerche nelleprigioni della Moldavia.

recente il governo georgiano stafacendo qualcosa per integrarequeste persone», afferma TamaraJanashia, responsabile delCulture and Management Lab,una piattaforma per la promo-zione della cultura contempora-nea in Georgia. «Fra le varie at-tività bisogna anche offrire allagente degli stimoli, affinché svi-luppi il proprio lato creativo emagari, col tempo, riesca pure

a viverci». Una prima iniziativa in tal senso è il festival culturaleTskaltubo, nato nel 2013 e orga-nizzato annualmente in au-tunno. Il festival può contare anche sul sostegno di «Art asFoundation». Accompagnato danumerosi workshop, realizzati inparte già nei giorni precedenti,questo giovane evento offre allapopolazione la possibilità di sco-prire novità e di diventare leistessa creativa. A Tskaltubo, a esibirsi e organizzare corsi nonsono solo gli artisti locali, bensìanche quelli provenienti dall’e-stero. «Per la gente di qui è im-portante avere una visione su altre culture e non limitarsi a girare in tondo», evidenziaTamara Janashia. «Non vogliamorestare isolati, ma appartenere al mondo». Con entusiasmo ricorda il workshop dell’artista

svizzera Franziska Koch che conalcuni giovani ha costruito deglistrumenti usando del materialedi scarto. «È stato magico; maivista una cosa simile prima d’orain Georgia». ■

(Traduzione dal tedesco)

34

Sve

nnTo

rfin/

Pan

os

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Servizio

sintetizzatore, pianoforte digi-tale, cajón e body percussiongarantisce un’esperienza mu-sicale di un’intensità mozza-fiato.Ibeyi: «Ibeyi» (XL Recordings/ Musikvertrieb)

Profondità affascinante (er) Una voce limpida comel’acqua di sorgente interpreta i poemi epici dei lirici e misticipersiani Hafez (1320-1389),Rumi (1207-1273) e OmarKhayyam (1048-1131). Unapianista norvegese impreziosi-sce il seducente canto con accordi di pianoforte, delicaticome gocce e intrisi di remini-scenze jazz e tracce di ta-stiera. Due musicisti di Teheranaggiungono punteggiature ritmiche con percussioni e kamancheh, uno strumentopersiano a corde. È questa lamusica senza tempo dellacantante iraniana MashaVahdat. Con affascinante estraordinaria profondità uniscel’armonia della musica con-temporanea alla sensualitàdella poesia tradizionale. I testiin inglese e persiano sono in-seriti nel booklet, un librettocurato con amore che accom-pagna il suo album d’esordioda solista. La raccolta è stataregistrata in una chiesa diOslo. Da anni, la cantante qua-rantaduenne si batte per la li-bertà artistica, in particolareper le musiciste iraniane, a cuiin patria viene negato il dirittodi esibirsi in pubblico. Mahsa Vahdat: «Traces Of AnOld Vineyard» (KirkeligKulturverksted/Indigo)

Inesauribile generosità musicale (er) Gli organizzatori del PaléoFestival di Nyon, giunto alla40a edizione, continuano im-perterriti a regalare «Suoni dialtrove». Dal 2003, il «Villagedu Monde» è uno spazio irrinunciabile dell’evento.Quest’anno saranno presen-tate alcune chicche musicaliinedite provenienti dall’Estre-mo Oriente, raccolte in unacompilation realizzata concura e delicatezza e che riuni-sce 18 brani dai Paesi più dis-parati: Mongolia, Cina,

Giappone, Russia (Tuva),Taiwan, Corea del Sud eTailandia. Sono delle avventuremusicali accattivanti, ripescateda un universo generoso e te-stimone di una storia millena-ria. I contrasti sono unici nel

loro genere. Il gruppo di tradi-zione tuvana Huun Huur Tucura il canto difonico in un in-treccio di falsetto, suoni guttu-rali e nasali, accompagnato daviolini a testa di cavallo; il se-stetto mongolo Hanggai co-niuga galoppanti accordi diviolino con un punk-rock ta-gliente, mentre Wang Li, vir-tuoso dello scacciapensieri,sprigiona dal suo strumentosuoni di meditazione eterici,quasi futuristici. Per non par-lare della tecnica giapponesedi canto dell’artista MaïaBarouh, che usa la voce pernavigare nell’elettronica pop.Una compilation da gustaredalla prima all’ultima nota.Various: «Extrême-Orient –Paléo Festival Nyon – Villagedu Monde 2015» (Paléo Festival Nyon/DisquesOffice/RTS)

Intensità mozzafiato (er) La tratta degli schiavi haportato a Cuba un mélange di suoni jazz-elettro, pop e yo-ruba dall’Africa occidentale. Legemelle franco-cubane Lisa-Kaindé e Naomi Díaz hannobattezzato il loro stile «con-temporary negro-spirituals».Le ventenni, figlie del suona-tore di conga cubano MiguelAngá Díaz (del gruppo BuenaVista Social Club), scomparsonel 2006, con lo pseudonimoDuo Ibeyi (Dio dei gemelli)hanno prodotto un album sen-sazionale. La voce chiara diLisa-Kaindé plana calda e ca-rezzevole, accompagnandoquella altrettanto vibrante e affascinante di Naomi Diaz finoa che le due si uniscono inun’armonia perfetta. Le parolecantate nelle varie lingue sonoricordi intimi dei loro morti,sono racconti delle divinitàOrisha, ma anche della solitu-dine che caratterizza la vitanelle metropoli. Un sobrio in-treccio di sofisticati ritmi di

Viaggi

Viaggi equi (gn) Il turismo è uno dei settori economici più importanti al mondo. Stando all’Organizzazione mondiale del turismodelle Nazioni Unite (UNWTO), nel 2014 si sono registratioltre un miliardo di viaggi internazionali. Negli ultimi annisono sempre più in voga le vacanze nei Paesi emergenti ein via di sviluppo. Per permettere alle popolazioni locali ditrarre dei vantaggi da questa tendenza è necessariocreare condizioni quadro adeguate, come quelle che co-nosciamo nel settore del commercio equo e solidale. Ilportale di viaggio Fairunterwegs propone informazioni utilisu come trasformare una vacanza «normale» in un viaggioequo e solidale che, oltre ad arricchire il turista di belle esperienze, genera ricadute positive sulla popolazione incontrata. Le informazioni elaborate e aggiornate quoti-dianamente dal gruppo di lavoro Arbeitskreis Tourismus &Entwicklung provengono dal mondo intero e sono unaraccolta di sapere unica nel suo genere, a cui attingereper documentarsi su tematiche legate a un turismo con-sapevole e sostenibile. Il sito Fairunterwegs, i cui conte-nuti sono unicamente in tedesco, non è soltanto una tecadi informazioni utili per chi sta pianificando una vacanza o per gli addetti ai lavori, ma è anche una fonte di ispira-zione per chi rimane a casa. www.fairunterwegs.org

Musica

35Un solo mondo n.4 / Dicembre 2015

Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE)

Comitato di redazione:Manuel Sager (responsabile) Catherine Vuffray(coordinazione globale) Marie-Noëlle Bossel,Sarah Jaquiéry, Pierre Maurer, GabrielaNeuhaus, Christina Stucky, Özgür Ünal

Redazione:Gabriela Neuhaus (gn – produzione), Luca Beti(lb), Jane-Lise Schneeberger (jls), Mirella Wepf

(mw), Ernst Rieben (er)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia e Stampa:Vogt-Schild Druck AG, Derendingen

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentita previaconsultazione della redazione e citazione dellafonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DFAE, Servizio informazioni, Palazzo federale Ovest, 3003 Berna

E-mail: [email protected]. 058 462 44 12Fax 058 464 90 47www.dsc.admin.ch

860215346

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 51 200

Copertina: Borsa delle materie prime, Addis Abeba; Jan Grarup/laif

ISSN 1661-1683

Nota d’autore

Museo a cielo aperto

Il fotografo ginevrino NicolasRighetti, cofondatore dell’agen-zia Lundi 13, ha pubblicato varilibri di reportage, fra cui unosulla Transnistria.

Dal 2010 mi sono recato cinquevolte in Transnistria. Volevo capirecome si vive in un Paese che nonc’è. Questo territorio secessioni-sta della Moldavia ha una costitu-zione, una valuta, un esercito, unpresidente… insomma ha tuttociò che serve a uno Stato. Però la comunità internazionale non lo riconosce come tale. Sul postoho scoperto un museo sovietico a cielo aperto. La gente prova unaprofonda nostalgia per l’URSS ene perpetua il ricordo e le tradi-zioni. Via Karl Marx o Via XXV ot-tobre non sono state ribattezzate.Le statue di Lenin sono ridipinte e curate. Per la festa nazionale,donne e uomini si appuntano conorgoglio le loro medaglie al petto,simboli di un’epoca passata.Un’altra reminiscenza del passato:il passaporto sovietico ha mante-nuto la sua validità. Così comequello della Transnistria, anche se quest’ultimo non permette diandare in alcun luogo. Ciò non im-pedisce agli abitanti di emigrare inmassa, soprattutto a Mosca, doveottengono facilmente un passa-porto russo e tentano di sfuggirealla disoccupazione endemica.

(Testimonianza raccoltada Jane-Lise Schneeberger)

Internet

Libri

Pianeta donna intriso di sogni, arte e lavoro(gn) Monica Lucas vive aKorrongo, un piccolo villaggiomasai in Tanzania. Rimasta ve-dova molto presto ha dovutofare enormi sacrifici per per-mettere ai sei figli di frequen-tare almeno la scuola elemen-tare. Holo Makwaia è pubblicoministero e lavora per il tribu-nale del Ruanda. Asia Kimaryoha aperto un caffè a Moshi,città della Tanzania settentrio-nale, e dà lavoro a madri sole.La giornalista Vicky Ntetemalotta contro la discriminazionedegli albini. Sono solo alcunedelle donne che i lettori incon-trano nella recentissima guidaturistica sulla Tanzania. Con

gramma vi sono altri incontricon donne di altri Paesi. Nellacollana «Le Monde desFemmes», all’inizio del 2016uscirà un libro dedicato alMyanmar, un terzo volumesarà dedicato alla Svizzera.«Le Monde des Femmes» di Elisabeth Thorens e CarinSalerno, francese e inglese Édition d’en bas, Losanna 2015

Odissea somala di grande attualità(gn) Il ragazzo di strada Jamavive con la madre ad Aden.Quest’ultima riesce a mala-pena a sbarcare il lunario conil suo lavoro in fabbrica. Dopola morte della madre, Jama siavventura fino in Somaliland,Stato a nord-est della Somalia,dove vivono alcuni parenti. Laricerca del padre, che tantotempo prima ha lasciato la fa-miglia per lavorare come ca-mionista e guadagnare a suffi-cienza per permettersi una vitaagiata, spinge il ragazzo a pro-seguire il viaggio. Dal 1935 al1947 attraversa l’Africa orien-tale, martoriata da coloniali-smo e fascismo: prima Gibuti,poi Eritrea, Egitto, Sudan e in-fine Londra. Nel suo romanzodi esordio «Mamba Boy», l’au-trice somalo-britannica NadifaMohamed descrive la povertàe la società arcaica da cui pro-viene Jama e la sua odisseaattraverso i tumulti dellaSeconda guerra mondiale. Per

il racconto, l’autrice si è ispi-rata alla storia di suo padre.Anche se ambientate più dimezzo secolo fa, la storia e le esperienze di Jama sono diun’attualità impressionante;ancora oggi migliaia e migliaiadi profughi provenientidall’Africa orientale ormai di-strutta dalla guerra si avventu-rano in viaggi verso l’ignotonel tentativo di rifarsi una vita.Ma, contrariamente a Jama, la loro storia non ha sempre unlieto fine…«Mamba Boy» di NadifaMohamed, edizioni Neri PozzaMilano 2015

Abbonatevi alla newsletterdella DSC La newsletter della DSC con-tiene informazioni scelte sullacooperazione svizzera allo svi-luppo e sull’aiuto umanitario.Ogni edizione è dedicata a unargomento di attualità. Inoltre,la newsletter ragguaglia suprogetti, pubblicazioni, film emanifestazioni. Esce ogni duemesi in italiano, tedesco, fran-cese e inglese. www.dsc.admin.ch/newsletter

«Le Monde des Femmes», lascrittrice di viaggio ElisabethThorens e la specialista del-l’aiuto allo sviluppo CarinSalerno hanno scritto un librodi viaggio molto particolare. Ciaccompagnano in un periplo attraverso l’intero Paese. Lepagine riccamente illustratesono intrise di vita, lavoro, artee sogni. I dialoghi fra donnetestimoniano di una vicinanzasorprendente fra le intervistatee le autrici del libro. In pro-

ldd

DS

C

Giu

sepp

e S

aler

no

«Per fare del bene, bisogna rinunciare aigrandi profitti; una scelta condivisa dapochi, ciò che spiega anche il numeroesiguo di imprese sociali».Patrick Struebi, pagina 13

«Invece di cercare altre strategie perraccogliere più fondi, l’aiuto umanitariodeve dotarsi di un sistema che gli per-metta di essere più efficace e reattivo». Laurent Ligozat, pagina 29

«Tutti gli esseri umani hanno bisognodi forme creative per esprimersi. Laddove queste capacità vanno perse, si crea un terreno fertile per la violenzae la guerra».Iman Aoun, pagina 32