un modello per un’applicazione non adempimentale.lo smart working e l’impatto sulle...
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La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche.
Un modello per un’applicazione non adempimentale.
Antonio Nisio
Assistant Professor at University of Bari Aldo Moro
Rossella De Carolis
PhD in Business Administration at University of Bari Aldo Moro
Stefania Losurdo
PhD in Business Administration at University of Bari Aldo Moro
(Corresponding author)
ABSTRACT
Il tema della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è ormai da lungi oggetto di attenzione da parte delle scienze
sociali, in ragione dei profondi e continui cambiamenti che si stanno realizzando nell’organizzazione e nella gestione
della vita. Per consentire di raggiungere, contemporaneamente, maggiore efficienza ed efficacia organizzativa e
migliore equilibrio vita-lavoro per i dipendenti, è necessario modificare la visione organizzativa focalizzandola sul
miglioramento del contributo che le persone possono dare ai risultati dell’organizzazione piuttosto che al mero rispetto
di regole. In altre parole occorre rendere flessibile l’organizzazione del lavoro. Il lavoro di ricerca illustra i risultati
di uno studio realizzato su tre Ripartizioni di un’amministrazione pubblico locale di grandi dimensioni. L’analisi del
caso ha il fine di elaborare un progetto di riorganizzazione delle tre Ripartizioni, secondo moduli variabili in funzione:
dei risultati della rilevazione e della classificazione dei fabbisogni effettivi di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
della praticabilità di soluzioni organizzative innovative che salvaguardino o meglio incrementino l’efficienza e
l’efficacia del lavoro; dei vincoli di sistema.
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Introduzione
I cambiamenti nella società e nell’economia si succedono in maniera sempre più rapida e meno prevedibile.
Conseguentemente sta cambiando il modo in cui i processi produttivi si realizzano nei vari tipi di aziende
(imprese, aziende pubbliche, no profit). L’esigenza di rendere le organizzazioni più pronte ad adeguarsi alle
variazioni che intervengono nell’ambiente nel quale operano richiede nuove strategie competitive e modelli
organizzativi, questi ultimi resi possibili anche dallo sviluppo di nuove tecnologie e dalla diffusione di nuove
conoscenze e competenze tra i lavoratori. Contestualmente il tema della conciliazione dei tempi di vita e di
lavoro è diventato oggetto di attenzione da parte delle scienze sociali, in ragione dei profondi e continui
cambiamenti che si stanno realizzando nell’organizzazione e nella gestione della vita delle persone. Le aziende
adottano innovativi principi organizzativi, finalizzati ad aumentare la flessibilità e l’autonomia nella scelta
spaziale e temporale delle prestazioni lavorative. In tali contesti organizzativi, le persone possono realizzare
appieno il potenziale proprio e dell'organizzazione in cui lavorano avendo a disposizione soluzioni
organizzative e gestionali adeguate. Con la definizione di smart working (SW) nella dottrina e nella prassi si
è individuato un approccio flessibile al lavoro, in termini di luoghi, tempi e strumenti, volto a consentire
contestualmente una maggiore efficacia ed efficienza lavorativa e un migliore equilibrio tra il lavoro e la vita
privata dei lavoratori (Work-Life Balance, WBL).
In Italia, secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano (2017),
molte grandi aziende hanno iniziato sperimentazioni di SW negli ultimi anni. Le sperimentazioni si sono
spesso, poi, confermate e consolidate all’interno delle stesse aziende a testimonianza che tali sperimentazioni
stanno portando benefici alle aziende e ai lavoratori.
Il settore pubblico italiano ha mostrato nel tempo difficoltà a perseguire le proprie finalità per diversi motivi,
tra i quali in questa sede ricordiamo la scarsa capacità di attrarre le migliori risorse professionali, la mancanza
di una cultura orientata alla performance, forme e logiche organizzative poco flessibili.
Il processo di riforma della Pubblica Amministrazione ha riguardato diversi aspetti quali i sistemi contabili,
logiche e strumenti di gestione, forme di organizzazione e gestione delle risorse umane. In riferimento
all’introduzione dello SW e a iniziative di WLB, però, vi è scarsa propensione ad avviare percorsi in tal senso.
Le ragioni maggiormente addotte sono la non adattabilità dello SW alle amministrazioni pubbliche, la
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mancanza di risorse finanziarie, strumentali, umane e di adeguati riferimenti normativi. Di recente sono
intervenuti una serie di interventi normativi in tema di SW tra i quali si ricorda l’art.14 della Legge 7 agosto
2015, n.124 che introduce un innovativo modello di gestione del personale focalizzo su:
▪ lo sviluppo di una cultura della conciliazione e della promozione degli aspetti di benessere e qualità
della vita dei lavoratori;
▪ l’innovazione organizzativa finalizzata a recuperare insieme efficienza, efficacia e qualità del lavoro,
anche attraverso l’adeguata progettazione di orari di lavoro flessibili in ottica spazio-temporale (per
esempio part time, banche ore, telelavoro, etc.).
In questo lavoro la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (WLB) è considerata contestualmente un
antecedente e un conseguente del lavoro agile (SW). Antecedente perché l’esigenza di migliorare il benessere
dei lavoratori, rendendo conciliabili i tempi di vita e di lavoro, è, come su scritto, uno dei fattori che inducono
le aziende a introdurre forme di SW. Susseguente giacché solo attraverso lo SW è possibile effettivamente
rendere conciliabili i tempi di vita e di lavoro dei dipendenti.
L’approccio proposto non considera la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro solo come un’affermazione
di diritti dei lavoratori, ma come l’occasione per migliorare contestualmente il benessere organizzativo e delle
persone e la performance complessiva dell’amministrazione.
Il contributo proposto illustra uno studio svolto su tre Ripartizioni di un’amministrazione pubblica locale
(APL) di grandi dimensioni, al fine di elaborare un progetto di riorganizzazione delle tre Ripartizioni, secondo
moduli variabili in funzione:
▪ dei risultati della rilevazione e della classificazione dei fabbisogni effettivi di conciliazione dei tempi
di vita e di lavoro,
▪ della praticabilità di soluzioni organizzative innovative che salvaguardino o meglio incrementino
l’efficienza e l’efficacia del lavoro,
▪ dei vincoli di sistema.
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1. Lo smart working e l’impatto sulle organizzazioni pubbliche
Il modo attraverso il quale le aziende organizzano il lavoro al proprio interno sono variate notevolmente nel
tempo in ragione dei mutamenti del contesto economico, competitivo, tecnologico e sociale (Hamel, 2012).
Le esigenze aziendali si sono variamente combinate con le esigenze dei lavoratori (Birkinshaw, 2010;
Leonardi, 2011) e hanno trovato, in modo differente nel tempo e negli stati, tutela da parte dell’ordinamento
giuridico e applicazione nelle singole concrete scelte di politica organizzativa (den Dulk et al., 2010; den Dulk
& van Doorne-Huiskes, 2007; Appelbaum et al., 2005).
Forme di flessibilizzazione del lavoro hanno sempre avuto cittadinanza nelle aziende. Di recente le modalità
di organizzazione del lavoro si stanno evolvendo in maniera importante e gli effetti potrebbero essere duraturi
nel tempo.
In tutte le aziende uno degli elementi fondamentali per perseguire adeguati livelli di performance è
rappresentato dalle persone che in esse operano. Tale importanza aumenta nelle aziende labour intensive, quali
le amministrazioni pubbliche. Il fattore umano rappresenta un elemento primario nei processi di produzione
ed erogazione di prestazioni e servizi pubblici ed è in grado di influenzarne la performance. La sua gestione e
valorizzazione, pertanto, assume inevitabilmente valenza strategica per le amministrazioni pubbliche. Tra i
fattori critici di successo di un’organizzazione rivestono oggi una valenza prioritaria la flessibilità, la
diffusione della cultura della performance e del merito e il benessere dei lavoratori. È necessario organizzare
e gestire le risorse umane in modo da favorire i processi di convergenza tra obiettivi dei singoli e obiettivi del
contesto lavorativo nel quale operano, con il fine ultimo di indirizzare l’agire individuale e organizzativo verso
un più elevato livello di soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento. La valorizzazione delle
persone transita attraverso una pluralità di caratteristiche che deve assumere l’organizzazione (cultura
organizzativa, stile di direzione, meccanismi operativi). Contestualmente cresce il numero di persone che
hanno necessità di conciliare i propri impegni lavorativi con le necessità della vita privata. Le esigenze dei
lavoratori sono diverse a seconda della loro fase di vita, del genere, del contesto sociale ed economico nel
quale vivono, della cultura e, pertanto, diversi e variamente combinati sono gli strumenti che possono
soddisfare tali esigenze (den Dulk, 2001). Governi, aziende, organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e
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dei datori di lavoro sono sempre più sono consapevoli di questa evoluzione sociale e culturale e offrono
soluzioni volte a soddisfare il bisogno di conciliazione (den Dulk et al., 2010).
Se vi sono problemi di bilanciamento tra lavoro e vita privata, le persone hanno disagio emotivo e lavorano in
modo meno efficace, impattando negativamente sulla qualità delle organizzazioni (Van Doorne-Huiskes,
1992; Dikkers, 2008; Monster et al., 2011; den Dulk & Groeneveld, 2012; Feeney & Stritch, 2017). Modelli
organizzativi inappropriati conducono a rendere il potenziale dei dipendenti non pienamente espresso
(Oksanen e Stähle, 2013).
Nel corso degli anni nei diversi Paesi, con gradi e tempi diversi, si sono sviluppate politiche pubbliche,
contratti collettivi e scelte organizzative volte a consentire la conciliazione tra lavoro e vita privata. Nella
maggior parte dei Paesi le scelte organizzative, anche a integrazione delle previsioni legislative, si sono
sviluppate prevalentemente in organizzazioni del settore pubblico e nelle grandi aziende (Appelbaum, Bailey,
Berg, & Kalleberg, 2005). L’introduzione di pratiche di WLB possono essere dovute a pressioni
istituzionali/normative e/o a ragioni economiche. Le pressioni istituzionali/normative impattano
maggiormente sulle amministrazioni pubbliche e in particolari su quelle statali. Contestualmente con
l’affermarsi del New Public Management (NPM) le amministrazioni pubbliche hanno introdotto modalità di
gestione delle risorse umane (HMR) derivate dal mondo delle imprese che si focalizzano sul superamento di
modelli strettamente burocratici e propendono per modelli e logiche organizzative volte a migliorare
l’efficienza e l’efficacia del fattore lavoro.
In alcuni paesi europei il WLB è diventato strumento per attirare forza lavoro di qualità verso le pubbliche
amministrazioni e per trattenere i dipendenti migliori, anche in competizione con il settore privato (den Dulk
& Groeneveld, 2012; Ackers, 2003). Uno studio olandese ha mostrato che il WLB è uno dei principali motivi
di scelta di lavorare nel settore pubblico, in particolare da parte delle donne (Groeneveld, et al., 2009).
Vi è diffusa letteratura internazionale che ha dimostrato come le politiche di WLB impattano positivamente
sulle buone pratiche di gestione manageriale e sono compatibili con alti livelli di produttività (Bloom et al.,
2006; Kossek & Friede, 2006). Anche le esperienze empiriche confermano che buone prassi nella gestione
dello spillover (Leung, 2011) tra vita familiare e impegni lavorativi hanno un’influenza favorevole sui
comportamenti organizzativi, migliorando il senso di cittadinanza organizzativa. Esistono inoltre ricerche che
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mostrano che, se le politiche di WLB sono finalizzate alla riduzione dei costi delle aziende e non basate sulla
possibilità di libera scelta da parte dei lavoratori, si hanno effetti negativi, nonché resistenze da parte degli
stessi lavoratori (Eikhof et al., 2007; Gregory & Milner, 2009; Smithson & Stokoe, 2005).
Va considerato, inoltre, che l’attuale organizzazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, il blocco del
turn over, l’innalzamento dell’età in cui i lavoratori vanno in pensione, i prolungati blocchi salariali hanno
influito sfavorevolmente sul benessere emotivo dei dipendenti pubblici. L’introduzione di forme di
flessibilizzazione del lavoro che permettono di bilanciare gli impegni lavorativi con la vita privata, possono
rappresentare uno strumento che attenui in parte gli effetti negativi.
Nonostante la diffusione WLB nelle aziende, nelle relazioni sindacali e nella normativa di molti stati, in
letteratura non esiste una sua definizione precisa. Essa varia nel tempo e nello spazio tra i diversi ricercatori
(Lewis et al., 2016a, Lewis et al., 2016b). Lewis, & Beauregard (2018) hanno cercato di individuare i vari
significati di WLB attraverso un’analisi delle differenza dovute ai differenti contesti nazionali, culturali, etnici
(Lewis et al., 2016a), organizzativi, temporali (Fleetwood, 2007; Lewis et al., 2016a; Tatli et al., 2012). In
prassi essa è definita come “an individual experience or aspiration, with particular focus on time-squeezed
white collar workers, or b) used as an adjective to describe workplace policies or practices(e.g., flexible work
arrangements) or public policies (e.g., parental leave) that purport to enhance these individual experiences
(i.e., WLB policies, practices, or supports)”(Lewis & Beauregard, 2018). L’implementazione di politiche di
WLB non possono realizzarsi e trasformarsi in esperienze reali da parte dei lavoratori se non accompagnate
da modifiche alle strutture, alla cultura e alle pratiche organizzative. Queste ultime spesso continuano a essere
basate su ipotesi obsolete sulle caratteristiche dei lavoratori e il modo in cui le prestazioni lavorative
dovrebbero essere svolte (Dumas & Sanchez-Burks; 2015; Lewis et al., 2007).
È necessario, quindi, ripensare profondamente l’organizzazione tradizionale del lavoro e introdurre innovativi
approcci organizzativi e gestionali più efficienti efficaci e condivisi, fortemente orientati ai risultati. Modelli
organizzativi caratterizzati da maggiore flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi di lavoro, del tempo e
degli strumenti e che forniscono ai dipendenti di un'organizzazione le migliori condizioni di lavoro per
svolgere i loro compiti prendono il nome di SW (Plantronics, 2014).
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Vi sono già esperienze, in particolare nelle aziende private, ma anche in alcune pubbliche amministrazioni, di
SW ed è già possibile evidenziare alcuni effettivi vantaggi ottenuti per le aziende, per i lavoratori e per la
società e per l’ambiente.
Per le aziende i principali vantaggi solo legati ad aumenti dell’efficienza e della produttività, a minori costi
per l’allestimento e la gestione delle strutture lavorative, a maggiore attrattività verso le risorse umane, al
miglioramento del clima organizzativo e della motivazione dei dipendenti.
I dipendenti godono di una maggiore possibilità di conciliare i tempi di vita e di lavoro, di poter liberamente
accettare flessibilità in termini di orari e/o luoghi e/o delle modalità di organizzazione delle prestazioni
lavorative, di ridurre dei “tempi morti” per raggiungere i luoghi di lavoro1, di maggiore autonomia e
responsabilizzazione, in generale di migliorare il proprio benessere lavorativo. La flessibilità permette di
eliminare elementi alienanti e demotivanti del lavoro quale la rigidità e frammentarietà delle prestazioni. I
meccanismi di coordinamento organizzativo si modificano da forme incentrate sulla supervisione diretta o
sulla standardizzazione di processo alla standardizzazione degli output (Costa et al., 2013), lasciando al
lavoratore la scelta delle modalità più efficiente per raggiungere gli obiettivi a lui assegnati. La possibilità di
scegliere il luogo e i tempi di lavoro consente ad esempio al lavoratore:
• di non essere costretto a svolgere la propria attività lavorativa in luoghi predeterminati, ma dove ritiene
di poter stare meglio ed essere più produttivo,
• di non essere costretto ad abitare in prossimità del luogo di lavoro, con eventuali riflessi negativi in
termini di costi e qualità della vita,
• di non essere obbligato agli spostamenti in situazioni “difficili” (situazioni meteorologicamente
avverse, esigenze familiari o private, difficoltà nei trasporti).
È possibile individuare quattro principali ambiti di intervento per introdurre forme di SW che consentano la
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro:
I. la flessibilità di luogo e di orario,
II. il ripensamento degli ambienti della sede di lavoro,
1 Secondo una ricerca ISFORT (2017) i lavoratori dipendenti sono pendolari per il 93,2% e impiegano mediamente 59,5 minuti
per recarsi da casa al lavoro e viceversa.
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III. la diffusione di modelli manageriali basati su autonomia e responsabilizzazione sui risultati,
IV. lo sviluppo di nuovi strumenti e competenze digitali nonché la dotazione tecnologica adeguata per
lavorare da remoto.
I sistemi di WLB, come dimostrato da alcune ricerche, presentano effetti indesiderati che vanno attentamente
considerati:
▪ aumento del lavoro sotto forma di maggiori ore e più intesi sforzi di lavoro,
▪ isolamento professionale e minori opportunità di lavoro in gruppo,
▪ reputazione tra i colleghi e i superiori di essere meno impegnati nell'organizzazione,
▪ aumento del conflitto famiglia-lavoro e ridotte prospettive di avanzamento di carriera (Allen et al.,
2015; Leslie et al., 2012; Beauregard, 2011; Kelliher & Anderson, 2010).
Le politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, dunque, per essere implementate efficacemente
devono contestualmente considerare le esigenze dei lavoratori in termini di flessibilità degli orari e dei luoghi
di lavoro e le esigenze delle amministrazioni pubbliche di realizzare i processi di produzione ed erogazione
dei servizi pubblici in maniera efficace, economica ed efficiente.
A tale fine è necessario in primo luogo individuare i processi e le connesse attività che si realizzano nell’ambito
della singola amministrazione pubblica e per ognuno di essi cogliere quali sono le caratteristiche intrinseche
in termini di input, risorse, vincoli e output. Tale ricognizione permette di analizzare il grado di realizzabilità
di tali attività secondo modalità smart. Naturalmente il contesto normativo e le relazioni sindacali fungono da
elementi facilitatori o di ostacolo all’introduzione del WLB che devono essere attentamente indagati e
considerati.
Rispetto a tale situazione esistente, è necessario individuare le risorse umane che realizzano i singoli
processi/attività e per ognuna di esse determinare l’effettivo bisogno di WLB. Determinato l’eventuale gap
tra bisogni di WLB e realizzabilità delle attività secondo modalità smart, è necessario provvedere a
reingegnerizzare i processi in modo da aumentare la possibilità di renderli compatibili con le politiche di
WLB.
A questo approccio di tipo reattivo, è possibile integrare approcci preattivi o proattivi. In questi casi la pubblica
amministrazione si fa promotrice di progetti volti all’implementazione dello SW, creando le precondizioni per
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realizzare politiche di WLB, che non soltanto vadano a soddisfare i bisogni futuri e latenti di conciliazione,
ma che rappresentino un vantaggio competitivo nell’acquisizione e nel mantenimento di forza lavoro di qualità
e motivata. Le analisi demografiche e sociologiche segnalano che le generazione di persone nate negli anni
'80 e nei primi anni '90 (Generazione Y) avranno un approccio al lavoro molto diverso da quello delle
generazioni precedenti. "La loro filosofia è vivere prima e poi lavorare. Uno dei criteri nella scelta di un datore
di lavoro è lo stile di vita". (Katharina Heuer, chairperson of the German Association for Personnel
Management, her presentation at 2013’s Conference of the Society for Human Resource Management in
Chicago). “Generation Y is better educated and more tech savvy than previous generations, but managing
them in the workplace poses unique challenges to employers” (Gurchiek, 2009).
2. L’introduzione dello smart working nel contesto pubblico italiano
Il tema della conciliazione vita-lavoro ha assunto particolare rilievo nell’ultimo decennio anche nelle
istituzioni europee. Secondo i dati Eurostat, l’Europa sta vivendo una sfida demografica senza precedenti2. Le
istituzioni europee, nella consapevolezza che la precarietà del lavoro e le difficili condizioni lavorative
possano avere conseguenze negative sulla pianificazione familiare, hanno evidenziato che le politiche a favore
della famiglia siano essenziali per innescare tendenze demografiche positive. Inoltre, le politiche di
conciliazione ben progettate e attuate devono essere considerate come un miglioramento essenziale
dell'ambiente di lavoro, in grado di creare buone condizioni lavorative e benessere a livello sociale e
professionale. Il Parlamento europeo3 ha, in questa direzione, definito dei principi generali, invitando gli stati
membri a promuovere attraverso specifiche politiche: ambienti di lavoro favorevoli alla famiglia; piani di
conciliazione; programmi di reinserimento nel lavoro; canali di comunicazione tra lavoratori e datori di lavoro
e incentivi per le imprese e i lavoratori autonomi, in particolare per garantire che le persone non siano
economicamente penalizzate per avere figli e che legittime aspirazioni di carriera non vadano in direzione
opposta ai progetti familiari. Tra le misure fortemente sostenute vi è quella di prevedere la possibilità per i
dipendenti di avvalersi di un'organizzazione flessibile dell'orario di lavoro in modo da adattarlo alle
2 Relazione demografica 2015 di Eurostat 3Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016 sulla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli
all'equilibrio tra vita privata e vita professionale (2016/2017(INI))
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circostanze specifiche delle varie fasi della vita. Si riconosce, quindi, a livello europeo il “diritto di richiedere
un'organizzazione flessibile del lavoro”. Il parlamento europeo introduce la definizione di "lavoro agile", quale
approccio all'organizzazione del lavoro basato su una combinazione di flessibilità, autonomia e
collaborazione, che non richiede necessariamente al lavoratore di essere presente sul posto di lavoro o in un
altro luogo predeterminato e gli consente di gestire il proprio orario di lavoro, garantendo comunque il rispetto
del limite massimo di ore lavorative giornaliere e settimanali stabilito dalla legge e dai contratti collettivi4.
A livello nazionale gli interventi normativi in tema di conciliazione vita lavoro hanno riguardato in passato
specifici strumenti, tra gli altri il telelavoro (dopo il decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n.
70, recante "Regolamento recante disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, a norma
dell'articolo 4, comma 3, della legge 16 giugno 1998, n.191"), i congedi parentali e, in generale, le misure a
sostegno della maternità5.
Con la legge 7 agosto 2015, n. 124, recante "Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle
amministrazioni pubbliche", all’articolo 14, cambia l’approccio del legislatore italiano sul tema. Dalla
tassatività degli strumenti, stabiliti dalla norma e dalla contrattazione a livello nazionale, si passa ad un
modello flessibile che chiama in causa direttamente le amministrazioni, le parti sociali e i lavoratori nel
progettare e individuare nuove misure di conciliazione “adatte” al contesto organizzativo specifico.
La Direttiva “Lavoro agile”6 (a seguire Direttiva) prevede, infatti, che le pubbliche amministrazioni, nei limiti
delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica, adottino misure organizzative volte a:
- fissare obiettivi annuali per l'attuazione del telelavoro;
- sperimentare, anche al fine di tutelare le cure parentali, nuove modalità spazio-temporali di svolgimento
della prestazione lavorativa, il cosiddetto lavoro agile o SW.
4 Definizione recepita dal Parlamento italiano con la L. 22 maggio 2017 n. 81 5Tra gli altri: Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 70 (Regolamento recante disciplina del telelavoro nelle
pubbliche amministrazioni, a norma dell'articolo 4, comma 3, della legge 16 giugno 1998, n.191); Legge 8 marzo 2000, n. 53
(Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei
tempi delle città); Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151(Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno
della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”;
6 Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3 del 1 giugno 2017 “recante indirizzi per l'attuazione dei commi 1 e 2
dell'articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124 e linee guida contenenti regole inerenti all'organizzazione del lavoro finalizzate a
promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti”
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La legge n. 124/2017 si pone due importanti obiettivi. Il primo, di tipo qualitativo, riguarda la sperimentazione
nelle pubbliche amministrazioni di nuove modalità di organizzazione del lavoro basate sull’utilizzo della
flessibilità lavorativa, sulla valutazione per obiettivi e la rilevazione dei bisogni del personale dipendente,
anche alla luce delle esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. L’intenzione è quella di
promuovere una nuova visione dell’organizzazione del lavoro volta a stimolare l’autonomia e la responsabilità
dei lavoratori e a realizzare una maggiore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Il secondo obiettivo, di
tipo quantitativo, è quello di permettere, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, ove lo
richiedano, di avvalersi di tali modalità. Relativamente all’individuazione dei dipendenti destinatari delle
predette misure, nessuna tipologia o categoria di lavoratore è aprioristicamente esclusa. Le amministrazioni
possono definire le attività compatibili con il lavoro agile e tenerne conto ai fini dell'accesso a tale modalità
di esecuzione del rapporto di lavoro da parte dei dipendenti che ne fanno richiesta.
Il contesto normativo si completa con la disciplina del lavoro agile Legge n. 81/2017 recante "Misure per la
tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e
nei luoghi del lavoro subordinato" che, tra l'altro, all'articolo 18, comma 3, prevede che le disposizioni del
predetto capo Il "si applicano, in quanto compatibili, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche di cui a/l'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni, secondo le direttive emanate anche ai sensi dell'artico/o 14 della legge 7 agosto
2015, n. 124, e fatta salva l'applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti".
Le amministrazioni pubbliche sono, quindi, chiamate ad avviare una sperimentazione organizzativa finalizzata
a raggiungere gli obiettivi prefissati. Le modalità attuative non possono che essere di tipo contingente.
La stessa Direttiva ribadisce che non è possibile “individuare un template unico di approccio”. Nell’ambito
della cornice normativa e di quanto stabilito in contrattazione, il modello da adottare deve rispondere alle
esigenze proprie dell’amministrazione e alle specifiche esigenze di conciliazione dei propri dipendenti.
Allo stesso modo, infatti, “le misure di conciliazione non postulano una soluzione unica valida per tutte le
organizzazioni, ma possono richiedere l'elaborazione di strumenti su misura, da utilizzare per contemperare e
soddisfare gli interessi e le esigenze di tutti gli attori coinvolti”.
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L’approccio è quindi contingente, ma anche “olistico”. In relazione a quest’ultimo aspetto la progettazione
dei Piani di conciliazione, la sperimentazione e l’implementazione successiva richiedono di approfondire
aspetti che investono ambiti di competenza diversi e che richiedono una forte integrazione.
I piani di conciliazione, infatti, integrano le politiche di ciascuna amministrazione in merito a: valorizzazione
delle risorse umane e razionalizzazione delle risorse strumentali disponibili nell'ottica di una maggiore
produttività ed efficienza; responsabilizzazione del personale dirigente e non; riprogettazione dello spazio di
lavoro; promozione e più ampia diffusione dell'utilizzo delle tecnologie digitali; rafforzamento dei sistemi di
misurazione e valutazione delle performance; agevolazione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
sicurezza negli ambienti di lavoro.
La direttiva contiene indirizzi e suggerisce un percorso di sperimentazione alle amministrazioni che sono
chiamate ad uno sforzo progettuale molto rilevante (“al fine di favorire una efficace applicazione delle predette
misure da parte delle pubbliche amministrazioni nell'ambito della propria autonomia organizzativa e
gestionale”). Queste ultime, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente e senza nuovi
o maggiori oneri per la finanza pubblica, sono chiamate ad adottare le seguenti misure:
- misure organizzative per l'attuazione del telelavoro già il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito
dalla legge 221/2012) prevedeva, all'articolo 9, comma 7, che, entro il 31 marzo di ogni anno, le
amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
pubblicassero nel proprio sito web, gli obiettivi di accessibilità per l'anno corrente e lo stato di attuazione del
"piano per l'utilizzo del telelavoro" nella propria organizzazione, contenenti altresì le modalità di realizzazione
e le eventuali attività per cui non è possibile l'utilizzo del telelavoro);
- misure organizzative per la sperimentazione di nuove modalità spazio temporali di svolgimento della
prestazione lavorativa (lavoro agile o smart-working);
- misure organizzative per l'adozione di servizi di supporto alla genitorialità ('art.14, comma 2, della legge
124/2015).
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3. Metodologia
Nel presente lavoro in linea con un approccio induttivo, si è utilizzato il metodo7 dell’analisi dei casi, il single
case study (Yin, 1994). Lo studio del caso è lo strumento ideale qualora:
▪ si intendono indagare i dettagli e le relazioni tra le diverse variabili;
▪ il ricercatore ha poco controllo sugli eventi;
▪ la focalizzazione è su eventi/fenomeni contemporanei, unici e irripetibili, all’interno del contesto di
vita reale (processi manageriali e organizzativi, cicli di vita) (Yin, 2005);
▪ si vuole agevolare la connessione tra teoria ed evidenza empirica, rispondendo alle domande “come”
e “perché”(Yin, 1994).
Limite principale del case study è l’impossibilità di generalizzare le osservazioni empiriche e/o statistiche a
causa della non rappresentatività del campione rispetto alla popolazione di riferimento (Padovani, 2005). La
generalizzazione statistica, tuttavia, non costituisce la finalità del presente lavoro di ricerca. L’intento è, infatti,
quello di osservare e descrivere in modo approfondito i dati del caso e riflettere su di essi, al fine di generare
idee e proposte concettualmente plausibili per contribuire, in generale, al processo di conoscenza dell’oggetto
di studio, rispettando.
Il lavoro è focalizzato su tre Ripartizione di un’Apl di grandi dimensione al fine di verificare quali attività
svolte nelle Ripartizioni possano essere oggetto, dal punto di vista tecnico-organizzativo, di misure di
conciliazione vita-lavoro.
Occorre precisare che il presente report è parte di un lavoro interdisciplinare di più ampio respiro. Il lavoro,
che ha coinvolto differenti professionalità, si è strutturato in 3 milestone principali:
I. analisi, tramite questionario somministrato a n. 172 dipendenti, degli effettivi fabbisogni di
conciliazione dei Dipendenti delle 3 Ripartizioni dell’Apl (a cura degli Psicologi e Sociologi del
Lavoro);
7 Per metodo si intende la tecnica di raccolta dei dati.
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II. mappatura e classificazione delle attività svolte nelle 3 Ripartizioni in relazione alla loro esigenza
di coordinamento nello “spazio” - il luogo necessario all’adempimento - e nel “tempo” - l’orario
di adempimento (a cura degli Economisti Aziendali);
III. inquadramento del contesto normativo della conciliazione vita-lavoro nelle Apl e individuazione,
sulla base dei succitati punti, degli istituti di conciliazione più idonei al contesto organizzativo
studiato (a cura dei Giuristi del Lavoro).
UNITÀ DI ANALISI
L’unità di analisi del lavoro è, dunque, rappresentata da tre Ripartizioni dell’Apl oggetto di studio:
▪ Ripartizione Personale (49 dipendenti),
▪ Ripartizione Ragioneria (44 dipendenti),
▪ Ripartizione Infrastrutture, Viabilità e Opere Pubbliche (79 dipendenti).
CRITERI DI QUALITÀ
Per assicurare la validità del costrutto sono stati adoperati diversi strumenti:
▪ triangolazione delle fonti (Patton, 1985; Eisenhard 1989): utilizzo di fonti multiple di prova
(Funzionigramma - Competenze delle Ripartizioni e Municipi, come articolate nei Settori e nelle
Posizioni Organizzative; Organigramma - aggiornato al 23/11/2016 - e Regolamento
sull’organizzazione degli uffici e dei servizi);
▪ mappatura dei processi interni. La mappatura è una metodologia rigorosa, un processo cognitivo e di
rappresentazione della realtà organizzativa analizzata che consente l’identificazione e la modellazione
di processi/attività aziendali in essere (As IS). La mappatura effettuata sulle suddette Ripartizioni ha
consentito di individuare i vincoli di sistema, attraverso la descrizione delle attività principali, delle
interdipendenze e delle risorse (analisi “organizzativa”) e l’identificazione degli elementi chiave per
la progettazione del cruscotto finale (analisi “informativa”), di cui si parlerà nel prossimo paragrafo;
▪ utilizzo di apposite schede di rilevazione compilate e validate da key informants (Del Zotto, 1988),
che nello specifico sono rappresentati dai 3 dirigenti di Ripartizione.
15
Inoltre per assicurare l’attendibilità dei risultati è stato predisposto uno specifico protocollo di ricerca (Yin,
2005), con il dettaglio di tutte le fasi che si intendevano seguire, ed è stato costruito un database del caso,
contenente i documenti analizzati, le schede di rilevazione, le bozze e le annotazioni di vario tipo.
Nella figura 1 si riepilogano le fasi principali seguite:
Figura 1 - Il protocollo di ricerca
4. Descrizione del Progetto di ricerca
L’obiettivo del lavoro era verificare, dato l’attuale assetto organizzativo, se e quali attività di tre Ripartizioni
dell’Apl oggetto di studio potessero essere compatibili sul piano tecnico e organizzativo con le misure di
conciliazione vita-lavoro. Nelle pagine seguenti si illustra nel dettaglio il caso oggetto di studio.
RILEVAZIONE
Il primo step del lavoro ha riguardato la mappatura delle attività (Brusa, 2004) svolte nelle tre Ripartizioni. Si
è deciso di focalizzare l’analisi sulle singole attività, anziché sui processi, per le seguenti motivazioni:
▪ non è presente nell’organizzazione un’aggregazione delle attività per processi (grouping);
▪ l’analisi su processi (teorici, per le ragioni rappresentate al precedente punto) non avrebbe garantito
l’analiticità necessaria alle finalità del lavoro di ricerca (la possibilità di attivare o meno forme di
conciliazione vita-lavoro dipende dalle caratteristiche delle specifiche attività svolte dal
dipendente);
Analisi documentale
Redazione schede di
rilevazione
Incontro con i dirigenti
Rilevaazione interna alle strutture e
compilazione dei fogli di lavoro
Analisi dei dati e valutazione
(classificazione delle attività)
Elaborazione cruscotto finale
Stesura del lavoro finale
16
▪ ciascun dipendente può essere responsabile e/o esecutore di una o più attività afferenti a processi
diversi.
La mappature delle attività aziendali svolte all’interno delle singole Ripartizioni ha condotto alla costruzione
di apposite schede di rilevazione, costituite da due specifiche sezioni:
▪ I sezione – Anagrafica della sezione;
▪ II sezione – Dettaglio sugli strumenti e le modalità di erogazione/espletamento dell’attività.
Le suddette schede, preventivamente condivise con Dirigenti e collaboratori delle tre Ripartizioni, sono state
adoperate per la raccolta analitica delle informazioni relative a tutte le attività effettivamente svolte8,
classificando le stesse in base all’input - il soggetto e/o i soggetti da cui prende avvio l’attività, per esempio
Unità organizzativa interna, Imprese, Cittadini, etc. – (Biroli, 1992), all’output (il soggetto e/o i soggetti al
quale il prodotto finale dell’attività è indirizzato, per esempio Unità organizzativa interna, Imprese, Cittadini,
etc., distinguendo allo stesso tempo l’output intermedio - atti propedeutici e necessari al conseguimento
dell’output finale - atto che perfeziona e conclude la singola attività e che generalmente ha efficacia giuridica
nei confronti del cliente;) e alla modalità di erogazione del servizio/espletamento dell’attività (supporto
informatico e sportello fisico).
Le schede di rilevazione presentavano, per ciascuna struttura, l’elenco delle attività così come elaborate sulla
base dell’analisi documentale. Tale elenco è stato modificato e/o integrato dai compilatori con le attività svolte
di fatto dalle unità organizzative, ma non formalizzate nel funzionigramma dell’Apl. Tale scelta è stata dettata
dall’esigenza di valutare in concreto la possibilità di adottare misure di conciliazione.
ANALISI DEI DATI
Sulla base delle informazioni fornite dai key informants9, le attività sono state clusterizzate secondo i seguenti
criteri:
▪ per tipologia di input (interni ed esterni) e output (interni ed esterni);
8 La mappatura ha riguardo tutte le attività, non soltanto quelle che risultavano dal funzionigramma dell’APL 9 La compilazione delle schede di rilevazione è stata realizzata da soggetti “compilatori”: due Ripartizioni hanno affidato la
compilazione a un unico soggetto, mentre la ripartizione Personale ha delegato un compilatore per posizione organizzativa. La scelta
di un unico referente favorisce uniformità alla compilazione, ma comporta il rischio di un’analisi meno approfondita rispetto a quella
effettuata dagli operatori.
17
▪ per tipologia di attività al fine di standardizzarle e riclassificarle secondo tipologie omogenee:
- attività svolta fuori dall’Ufficio (interventi tecnici);
- istruttoria documentale;
- attività di coordinamento;
- attività di controllo di terzi o svolto presso terzi;
- attività che prevede la partecipazione a commissioni, gruppi di lavori, ecc.
Tali elaborazioni preliminari sono state necessarie per ridurre la soggettività, individuare elementi comuni e
ottenere la classificazione finale che considera i due criteri della conciliazione vita-lavoro, in termini di:
▪ flessibilità spaziale, al fine di favorire una diversa organizzazione degli spazi lavorativi, permettendo
all’Apl di superare i confini fisici dell’ente (criterio spaziale);
▪ flessibilità temporale, al fine di favorire un’organizzazione diversa dei tempi di lavoro (criterio
temporale).
RISULTATI
La combinazione della matrice con le caratteristiche delle attività ha condotto, pertanto, all’elaborazione di un
cruscotto finale, ovvero uno strumento gestionale che, per ciascuna Ripartizione, consente l’interrogazione
delle attività e la loro definizione sulla base dei criteri spazio-temporali.
Complessivamente sono state mappate 391 attività, così suddivise:
• 124 attività della Ripartizione Personale,
• 118 attività della Ripartizione Ragioneria,
• 149 attività della Ripartizione Infrastrutture, Viabilità e Opere Pubbliche.
Per ciascuna attività, il cruscotto fornisce informazioni sia sulla flessibilità spaziale che su quella temporale,
utilizzando le seguenti nomenclature:
FLESSIBILITÀ SPAZIALE FLESSIBILITÀ TEMPORALE
GRUPPO A Attività che può essere svolta da remoto GRUPPO 1 Attività che presuppone il contatto diretto
con l’utenza
18
GRUPPO B Attività che solo in parte può essere svolta
da remoto
GRUPPO 2 Attività che presuppone il coordinamento
con altri soggetti e/o strutture
GRUPPO C Attività che richiede lavoro in presenza GRUPPO 3 Attività che non presuppone interazione
Tabella 1 - Criteri di flessibilità spazio-temporale
Di seguito si riportano sinteticamente i risultati ottenuti per le tre Ripartizioni in relazione ai due criteri spazio-
temporali (Figura 2 e Figura 3). I grafici evidenziano come complessivamente la maggior parte delle attività
possa essere oggetto di flessibilità spaziale e/o temporale e come le attività di fatto svolte nella Ripartizione
Personale e Ragioneria siano quelle che più facilmente possano essere svolte da remoto e che non
presuppongono un’interazione costante, a differenza delle attività della Ripartizione Infrastrutture, Viabilità e
Opere Pubbliche.
Figura 2 - Classificazione delle attività delle Ripartizioni secondo il criterio della “prossimità spaziale”
19
Figura 3 - Classificazione delle attività delle Ripartizioni secondo il criterio temporale
20
CRITERIO TEMPORALE
CR
ITE
RIO
SP
AZ
IAL
E
Attività che non
presuppone interazione
fisica
Attività che presuppone il
contatto diretto con l'utenza
Attività che presuppone il
coordinamento con altri soggetti e/o
strutture
Attività che può
essere svolta da
remoto
228 9 7
Attività che
richiede lavoro in
presenza
3 9 80
Attività che solo
in parte può
essere svolta da
remoto
2 9 49
Tabella 2 - Combinazione criterio spazio-temporale
Dalla combinazione dei dati, realizzata attraverso il cruscotto, sono emerse diverse fattispecie. Per esempio,
ci sono attività che possono essere svolte da remoto ma che richiedono un coordinamento temporale con altri
colleghi e/o con altre unità organizzative; attività che sono svolte in quasi totale autonomia dal Dipendente
ma richiedono un coordinamento spaziale in termini di presenza fisica saltuaria presso l’Apl o ancora attività
che possono essere oggetto di conciliazione ma che richiedono una grossa riorganizzazione interna.
Pertanto, per consentire una lettura univoca e semplificata delle attività, in chiave di flessibilità spazio-
temporale, sono state definite 9 fattispecie:
➢ Fattispecie 1: attività che può essere oggetto di flessibilità temporale (la classificazione nel GRUPPO
1 presuppone lo sportello fisico). Per le attività rientranti in questa fattispecie la digitalizzazione dello
sportello potrebbe consentire il passaggio alla fattispecie 3;
➢ Fattispecie 2: attività che può essere oggetto di flessibilità spaziale e in parte di flessibilità temporale
(richiede un coordinamento temporale con gli altri Dipendenti e/o unità organizzative);
➢ Fattispecie 3: attività che può essere oggetto di flessibilità spazio-temporale;
21
➢ Fattispecie 4: attività che può in parte essere oggetto di flessibilità spaziale ma presuppone un diretto
rapporto con l’utenza;
➢ Fattispecie 5: attività che può essere oggetto di flessibilità spazio-temporale purché ci sia un
coordinamento sia in termini di presenza fisica che di interazione con altra utenza (interna ed esterna)
➢ Fattispecie 6: attività che può essere oggetto di richieste di flessibilità temporale e in parte spaziale
(richiede un coordinamento fisico);
➢ Fattispecie 7: attività che non può essere oggetto di flessibilità spazio-temporale;
➢ Fattispecie 8: attività che può essere oggetto di flessibilità temporale purché sia garantito il necessario
coordinamento orario con altri soggetti/strutture;
➢ Fattispecie 9: attività che può essere oggetto di flessibilità temporale.
Nella Figura 4 si riportano i risultati complessivi.
Dalla lettura dei dati si rileva che la maggior parte delle attività possono essere oggetto di flessibilità spaziale
e/o temporale (Fattispecie 3 - costituiscono il 58% delle attività mappate). Seguono le attività rientranti nella
Fattispecie 8 - attività che possono essere oggetto di flessibilità temporale purché sia garantito il necessario
coordinamento orario con altri soggetti/strutture - (20% delle attività), e nella Fattispecie 5 - attività che
possono essere oggetto di flessibilità spazio-temporale purché ci sia un coordinamento sia in termini di
presenza fisica che di interazione con altra utenza (interna ed esterna) - (12,5%). Le attività afferenti alla
Fattispecie 7 - attività che non possono essere oggetto di flessibilità spazio-temporale - costituiscono una netta
minoranza (solo il 2% delle attività mappate).
La classificazione delle attività secondo criteri omogenei, infatti, consente di realizzare un’analisi per
fattispecie (utile ai nostri fini) ma costituisce una semplificazione della realtà. Le attività classificate nella
Fattispecie 7 potrebbero, con nuove soluzioni logistico-organizzative e/o con adeguato strumenti e
meccanismi di coordinamento, essere oggetto di misure di conciliazione.
22
Figura 4 - Classificazione per Fattispecie di afferenza
5. Conclusioni (e criticità)
La mappatura e i risultati del cruscotto devono essere analizzati considerando i limiti intrinseci dell’analisi
condotta. Il diretto coinvolgimento dei responsabili nell’analisi delle attività se da una parte ha il vantaggio di
conoscere le attività dal punto di vista di coloro che direttamente ci lavorano, dall’altro rischia di essere
evidentemente soggettiva. Come evidenziato in precedenza, l’elenco delle attività, dapprima limitato a quelle
già formalizzate nei documenti organizzativi dell’Apl, è stato poi integrato dagli stessi con nuove attività. Non
è stata operata la loro validazione sul piano scientifico. Il lavoro di ricerca ha messo in evidenza, in effetti, la
presenza di una disomogenea descrizione delle attività, evidenziando la necessità che l’analisi realizzata e i
risultati siano oggetto di validazione finale da parte dei responsabili. Per lo stesso motivo non sono stati
verificati possibili interventi di reingegnerizzazione. Ne consegue che l’analisi delle attività condotta per la
finalità di introduzione degli strumenti di conciliazione vita-lavoro può evidenziare importanti limiti nel
ATTIVITÀ CHE PUÒ ESSERE OGGETTO DI RICHIESTE DI…
ATTIVITÀ CHE PUÒ ESSERE OGGETTO DI RICHIESTE DI…
ATTIVITÀ CHE PUÒ ESSERE OGGETTO DI FLESSIBILITÀ…
ATTIVITÀ CHE PUÒ IN PARTE ESSERE OGGETTO DI…
ATTIVITÀ CHE PUÒ ESSERE OGGETTO DI FLESSIBILITÀ…
ATTIVITÀ CHE NON PUÒ ESSERE OGGETTO DI FLESSIBILITÀ…
ATTIVITÀ CHE PUÒ ESSERE OGGETTO DI FLESSIBILITÀ…
ATTIVITÀ CHE PUÒ ESSERE OGGETTO DI FLESSIBILITÀ…
ATTIVITÀ CHE PUÒ ESSERE OGGETTO DI FLESSIBILITÀ…
ATTIVITÀ CHE PUÒ ESSERE OGGETTO DI FLESSIBILITÀ…
Titolo del grafico
Infrastrutture Viabilità Opere Pubbliche Personale Ragioneria
23
modello organizzativo dell’Apl. Spesso il funzionigramma si presenta stratificato (più atti organizzativi) senza
un omogeneo modello di redazione. È opportuno, inoltre, che sia presente, altresì, una ponderazione delle
attività in relazione per esempio al carattere della strategicità e/o ad altri elementi ritenuti rilevanti dal
Dirigente e/o dal responsabile dell’attività. Tale aspetto non è da sottovalutare perché a parità di numero di
attività in cui un dipendente è coinvolto, tutte rientranti per esempio nella medesima fattispecie, potrebbe
essere la rilevanza strategica delle attività per l’Apl ad essere determinante ai fini degli strumenti di flessibilità.
Le 7 fattispecie individuate classificano le singole attività; pertanto, è possibile che all’interno della stessa
unità organizzativa (ad esempio posizione organizzativa/settore) vi sia la compresenza di diverse fattispecie.
La possibilità in concreto di introdurre misure di conciliazione vita-lavoro deve, quindi, tener conto non solo
delle fattispecie presenti ma anche delle attività effettivamente svolte dal lavoratore. É ipotizzabile che il
personale afferente alla struttura non sia impegnato trasversalmente su tutte le attività e che, per alcuni, ci sia
una prevalenza di un’attività rispetto alle altre. È, quindi, necessario che si tenga conto della distribuzione del
tempo effettivo di impiego del singolo lavoratore sulle attività della struttura.
Al netto dei limiti sopra descritti, l’analisi evidenzia che la flessibilizzazione della prestazione di lavoro in
ordine alla dimensione spazio-temporale, per soddisfare i bisogni di conciliazione, è una misura perfettamente
compatibile con la maggior parte delle attività che si svolgono nelle tre Ripartizioni. Tuttavia, l’effettivo
passaggio dell’Apl verso logiche di WLB, e la relativa adozione di strumenti di SW, richiede che massima
attenzione sia prestata anche ad una serie di condizioni abilitanti. Fondamentale è, innanzitutto,
l’implementazione e la condivisione di modelli organizzativi fortemente orientati sulla gestione per obiettivi.
I sistemi di misurazione e valutazione della performance devono essere adeguati affinché sia verificato
l’impatto delle politiche di conciliazione sull’efficacia e sull’efficienza dell’azione amministrativa, nonché
sulla qualità dei servizi erogati. Inoltre, occorre che sia prevista la valutazione della capacità innovativa del
dirigente proprio sul tema della sperimentazione di nuove soluzioni organizzative. Quest’aspetto chiama in
causa anche un’altra condizione abilitante imprescindibile: il commitment politico e amministrativo che è un
fattore esplicativo centrale nei processi cambiamento della pubblica amministrazione. L’alto livello di
commitment politico-amministrativo, consapevole degli impatti positivi e strategici dell’adozione di misure
24
di WLB, crea una pressione interna positiva sui Dipendenti anche in ottica di miglioramento continuo
sull’attività amministrativa e sulle modalità di erogazione dei sevizi. È indispensabile, inoltre, intervenire sulla
cultura organizzativa, attraverso per esempio percorsi formativi, per valorizzare le competenze legate alla
flessibilità del lavoro, alla prospettiva del cambiamento e alla valutazione individuale.
Il processo di implementazione di strumenti di SW deve, inoltre, tener conto dei seguenti fattori:
▪ i limiti e le potenzialità della normativa in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro;
▪ i margini e gli strumenti di flessibilità previsti dalle norme in tema di lavoro alle pubbliche dipendenze;
▪ il livello e le prospettive di digitalizzazione delle procedure amministrative;
▪ l’analisi delle effettive esigenze di conciliazione (attuali e potenziali) dei lavoratori dell’Apl;
▪ il raccordo con gli strumenti di conciliazione già adottati dall’Apl;
▪ le risorse finanziarie disponibili;
▪ gli istituti contrattuali di conciliazione vita-lavoro possibili;
▪ il coinvolgimento dei dipendenti.
L’introduzione di strumenti di SW richiede anche l’attivazione di un percorso strutturato di monitoraggio in
itinere ed ex post delle performance organizzativa ed individuale al fine di verificare la relazione tra misure
di conciliazione e la produttività in senso ampio. Bisognerà, come ricordato dalla stessa normativa, adottare
specifici ed adeguati indicatori per misurare l’impatto sull’efficacia e sull’efficienza dell’azione
amministrativa, nonché sulla qualità dei servizi erogati, delle misure organizzative adottate in tema di
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti.
25
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