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Trigilia - Sociologia Economica Vol 2 PDFTRANSCRIPT
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SOCIOLOGIA ECONOMICA
II. Temi e percorsi contemporanei (Carlo Trigilia)
CAPITOLO 1
LEREDITA DEI CLASSICI E I NUOVI CONFINI TRA ECONOMIA E SOCIOLOGIA
Nel volume primo di Sociologia economica abbiamo ricostruito gli sviluppi della sociologia
economica nel periodo che va dal 1890 al 1940. Questa prospettiva di analisi guarda
allinterdipendenza tra fenomeni economici e sociali e cerca di collocare leconomia nellambito
della societ e delle sue trasformazioni. In questo capitolo ricostruiremo anzitutto, sinteticamente,
gli aspetti essenziali delleredit dei classici (Sombart, Weber, Schumpeter, Durkheim, Veblen,
Polanyi) per la definizione dello spazio analitico della sociologia economica. Che cosa distingue la
sociologia economica dalleconomia? E quali sono i contributi specifici di questo approccio allo
studio dei fenomeni economici?
Nella seconda parte del capitolo, affronteremo la questione dei confini tra economia e sociologia
che si definiscono nel secondo dopoguerra, e prenderemo in considerazione i fattori di natura
teorica e storica che hanno influito sui rapporti tra le due discipline e sullevoluzione della
sociologia economica.
1. LA PROSPETTIVA METODOLOGICA
Quando leconomia si era affermata come disciplina, in particolare con la grande sintesi di Adam
Smith, lo studio dei fenomeni economici non era isolato dal contesto sociale. Sappiamo che negli
sviluppi successivi leconomia si liber progressivamente dai riferimenti a aspetti culturali e
istituzionali, nel tentativo di avvicinarsi agli standard di rigore e generalizzazione propri delle
scienze naturali. Questo percorso raggiunse il suo culmine con la rivoluzione marginalista degli
anni 1870. a quel punto che lo studio dei fenomeni economici si separa programmaticamente dal
contesto culturale e istituzionale e si concentra sullo studio delle leggi del mercato, isolato
analiticamente dal contesto sociale. Prende cos forma un nuovo paradigma delleconomia
caratterizzato da una serie di elementi chiaramente delineati:
1) la concezione delleconomia: lattivit economica considerata come un processo di
allocazione razionale di risorse scarse, impiegabili per finalit alternative, da parte di soggetti
che cercano di ottenere il massimo dai mezzi di cui dispongono (lavoro, reddito) per soddisfare i
loro obiettivi, sia di lavoro che di consumo, cio le loro utilit (attivit economica =
economizzare);
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2) lazione economica: lazione motivata dal perseguimento razionale dellinteresse individuale.
Nella sfera della produzione, i soggetti cercano di massimizzare il guadagno; nella sfera del
consumo cercano di massimizzare il soddisfacimento delle loro preferenze di consumo,
concepite secondo un ordine di priorit stabile e coerente, impiegando le risorse di reddito di cui
dispongono. Ne discende dunque che lazione economica condizionata da motivazioni
utilitaristiche. Vi anche una visione atomistica dellazione economica (cio le preferenze di
lavoro e di consumo dei soggetti si formano indipendentemente dallinfluenza di altri soggetti).
La formazione dei fini considerata come un aspetto esogeno rispetto allindagine economica,
che non deve occuparsene;
3) le regole: lazione influenzata da un nucleo limitato di regole (esistenza di mercati di tipo
concorrenziale; elevato numero di acquirenti e di venditori; libero scambio dei fattori produttivi;
piena informazione ai soggetti sulle offerte dei mercati per poter calcolare razionalmente). Si
studiano anche i casi in cui ci si allontana da queste regole (es. mercati monopolistici,
oligopolistici). Si tiene conto anche di istituzioni non economiche, come lo stato, ma si
considera che la sua esistenza non deve intralciare il mercato con le sue regolamentazioni ma
deve soltanto tutelare i contratti tra privati e combattere le frodi (anche lo stato un dato
esogeno);
4) il metodo di indagine: analitico-deduttivo e normativo. Si parte dagli assunti prima chiariti
(motivazioni atomistiche e utilitaristiche) e se ne valutano le conseguenze, date certe condizioni
prevalenti nelle regole. Pu dar luogo allapplicazione di sofisticate tecniche matematiche per la
dimostrazione degli esiti. Il carattere normativo del metodo si riferisce al fatto che esso fornisce
anche dei criteri guida per lallocazione razionale delle risorse, date certe condizioni. Menger e
Pareto sottolineano che la validit scientifica dei risultati garantita dalla dimostrazione logica
degli esiti che discendono da determinate condizioni, a prescindere quindi dalla piena
riscontrabilit sul piano empirico di tali condizioni.
Vediamo come la sociologia economica dei classici abbia sviluppato una prospettiva relativamente
coerente e organica che si distingue da quella prevalente nelleconomia dellepoca:
1) la concezione delleconomia: i sociologi economici sono tutti interessati a guardare
alleconomia di mercato come un fenomeno storico caratterizzato da un particolare contesto
istituzionale, e per questo preferiscono in genere parlare di capitalismo. Cercano di distinguere
tra i vari tipi di economia per comprendere come prende forma il capitalismo liberale, perch si
sviluppa in alcuni luoghi e non in altri; insomma la diversit nello spazio e nel tempo al centro
del loro interesse e non si identifica esclusivamente con le attivit regolate dal mercato. Essi
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vogliono studiare come leconomia si organizzi in forme differenti nello spazio e nel tempo,
influenzate dalle istituzioni economiche e non economiche;
2) lazione economica: lazione orientata alla ricerca dei mezzi di sussistenza non
necessariamente costituita dallallocazione razionale di risorse scarse. I sociologi economici
attaccano latomismo delleconomia neoclassica (dove fini dei singoli soggetti si formano
indipendentemente gli uni dagli altri). Lazione economica deve invece essere vista come
azione sociale, influenzata da aspettative relative al comportamento degli altri membri della
societ (tali aspettative in Weber prendono la forma di usi, costumi, norme giuridiche). Questo
modo di concepire lazione economica sostanzialmente condiviso da tutti i nostri autori, sia
che essi diano maggiore enfasi allautonomia e alla libert degli attori rispetto alle regole
istituzionali (come Sombart, Weber, Schumpeter), sia che partano invece dalle istituzioni e ne
sottolineino maggiormente i condizionamenti sui soggetti (come Durkheim, Veblen, e Polanyi).
Lazione degli individui pu avere natura non utilitaristica e dipendere, per esempio, da valori
religiosi (Weber), dal grado di marginalit sociale (Sombart), dalle forme della divisione del
lavoro e della disuguaglianza sociale (Durkheim, Weber, Polanyi), dai caratteri della famiglia o
dalle forme di organizzazione dellimpresa (Schumpeter). Nella realt concreta lazione
economica ha dunque di solito una pluralit di motivazioni che possono essere ricostruite solo
per via induttiva, con lindagine storico-empirica e sempre con difficolt;
3) le regole: i sociologi economici considerano i fenomeni istituzionali diversi dal mercato in due
direzioni (da un lato vi il riferimento a istituzioni economiche che si fondano su obbligazioni
sociali condivise, come la reciprocit di Polanyi, lo scambio su base tradizionale di Weber;
dallaltro le istituzioni di regolazione politica delleconomica come la redistribuzione di
Polanyi, leconomia di piano o cooperativa di Sombart, il gruppo regolativo e quello
amministrativo di Weber, oppure i sindacati, la criminalit organizzata, ecc.). Le forme concrete
che assume lattivit economica nello spazio e nel tempo sono dunque influenzata dal modo in
cui queste diverse istituzioni regolano le attivit di produzione, distribuzione e consumo, e
condizionano lazione dei soggetti;
4) il metodo di indagine: mentre in economia si parte da assunti a priori circa le motivazioni
utilitaristiche degli attori e la presenza di determinate condizioni di funzionamento dei mercati, i
sociologi cercano di ricostruire attraverso lindagine empirica i caratteri specifici dellazione
economica, vista come possibile espressione di motivazioni non utilitaristiche, o anche come
combinazione tra elementi utilitaristici e altre spinte di natura diversa (tradizionali, affettive o
ideologiche). Gli autori che abbiamo esaminato cercano anche di mettere a fuoco, sempre con
lindagine storico-empirica, le regole effettivamente presenti in un determinato contesto. Ne
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2. UN SERBATOIO DI IPOTESI
Il carattere storicamente orientato dei modelli di analisi classici fa s che non si possano ricavare dai
nostri autori generalizzazioni teoriche che vadano al di di coordinate spaziali e temporali
delimitate; tuttavia, sarebbe sbagliato non cogliere una serie di ipotesi, convergenti e coerenti tra
loro, che emergono dai lavori esaminati in precedenza. Prendiamo in considerazione tre temi: il
mercato, lo sviluppo e il consumo.
2.1 Il mercato
Distinguiamo analiticamente due aspetti che abbiamo visto trattati con enfasi e impegno.
Il processo di costruzione del mercato capitalistico
Nel pensiero economico si ritiene in genere che le relazioni di mercato si diffondano per la loro
efficienza rispetto ad altre modalit di organizzazione economica, cio per la capacit di soddisfare
le preferenze dei singoli a costi pi bassi. Si tratta di una spiegazione che parte dai singoli soggetti
piuttosto che dalle istituzioni che ne condizionano lazione. Col tempo, i vantaggi del mercato per i
singoli finiscono per far maturare anche quelle motivazioni e quelle istituzioni che sono congruenti
con il buon funzionamento del mercato stesso, e ne accrescono la legittimit.
La legittimit proprio al centro della spiegazione dei sociologi economici: il mercato, per potersi
affermare come strumento di regolazione delleconomia, deve essere anzitutto socialmente
accettato, ma questo non un esito scontato. Sombart e Weber, riguardo allo studio sulle origini del
capitalismo in Occidente, si sforzano di mostrare la complessa serie di fattori culturali e istituzionali
che rendono legittimi, incoraggiano e sostengono i rapporti di mercato (religione, stato, diritto,
citt, scienza moderna). In altre parti del mondo invece la cultura e le istituzioni si oppongono e
resistono al mercato. Per Durkheim i rapporti di mercato come strumento di organizzazione
delleconomia richiede certe variazioni dellambiente sociale. Per Polanyi e Marx invece il
processo non pacifico e pu comportare luso della forza (enclosures) e del potere politico.
La sociologia economica pi interessata ai problemi dellequit del mercato reale, mentre
leconomia si concentra su quelli dellefficienza, dando per scontato che un mercato pienamente
concorrenziale risolverebbe anche problemi di equit (ciascuno avrebbe delle ricompense
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proporzionali al suo contributo). Quindi per i sociologi i benefici no vanno interpretati solo in
termini di maggiori possibilit di accesso materiale ai beni, ma anche come accresciuta libert di
scelta sia nellimpiego del proprio lavoro che nel consumo (soprattutto Simmel e Weber).
Non c dubbio per, per gli economisti come per i sociologi, che il mercato, una volta affermatosi
come meccanismo di regolazione, tenda progressivamente a ridurre lo spazio di altre istituzioni
nella sfera delle attivit economiche: dalla famiglia alla parentela e alla comunit locale, dalle
corporazioni allo stato. Ma fino a che punto i mercato pu essere libero da regolamentazioni sociali
e politiche senza che ne venga compromesso il suo stesso funzionamento?
Le condizioni del funzionamento del mercato capitalistico
Sappiamo che nella visione delleconomia neoclassica si suppone lesistenza di individui ben
informati, moralmente affidabili, e capaci di calcolare razionalmente il modo ottimale di soddisfare
le loro preferenze. Essi si muovono in un contesto di regole fatte dalla piena commerciabilit di tutti
i beni e di tutti i fattori produttivi e dalla presenza di molti venditori e molti acquirenti. In questo
quadro, il ruolo di regole sociali (es. reciprocit) o politiche (come forme di redistribuzione legate
allo stato o alle corporazioni) visto come un potenziale fattore di distorsione dellallocazione
razionale delle risorse, e quindi dellefficienza.
La tradizione della sociologia economica ha sviluppato un metodo pi legato allindagine storico-
empirica e dunque problematizza gli assunti a priori della teoria economica. Gli individui non sono
normalmente ben informati e capaci di calcolo razionale, e non sono tutti moralmente affidabili; i
mercati non sono sempre pienamente concorrenziali (es. chi offre lavoro pu influire sulle
condizioni a proprio vantaggio). Weber, seguendo Marx, parla infatti di lavoro formalmente
libero e di sfruttamento monopolistico della libert formale di mercato.
Quindi la realt storico-empirica ci porta a sostenere che il mercato pu funzionare meglio se ci
sono delle istituzioni che vincolano il perseguimento dellinteresse individuale accrescendo la
legittimit (il grado di accettazione sociale dei rapporti di mercato). Ce ne sono di due tipi:
istituzioni che generano fiducia per via di interazioni personali (famiglia, parentela, comunit) o di
interazioni impersonali (sanzioni giuridiche per chi viola i contratti); istituzioni che riequilibrano i
rapporti di potere sul mercato (es. rapporti squilibrati nel mercato del lavoro possono mettere a
rischio le stesse attivit produttive abbassando la produttivit dei lavoratori; sono dunque importanti
istituzioni di rappresentanza collettiva dei lavoratori, oppure lintervento regolativo dello stato sulle
condizioni di lavoro, orari, lavoro minorile, salute, sicurezza; interventi regolativi di redistribuzione
del reddito).
Possiamo concludere dicendo che la tradizione sociologica arriva a una posizione contrastante con
quella delleconomia neoclassica. Poich nella realt la presenza delle condizioni assunte dagli
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economisti inevitabilmente poco probabile, per funzionare meglio, in termini di efficienza, i
mercati non devono essere il pi possibile isolati da condizionamento sociali e politici, ma devono
viceversa essere ben costruiti socialmente. anche vero che, come sottolineano Weber e
Schumpeter, se tali vincoli eccedono una certa soglia (non definibile in astratto) lo stesso mercato
pu deperire come forma di organizzazione economica. Se il peso delle regolamentazioni genera
aspettative negative in chi detiene il controllo dei mezzi di produzione, possono essere
compromessi gli investimenti necessari alla riproduzione delle attivit regolate dal mercato. La
preoccupazione degli economisti non va dunque sottovalutata.
Ma per la sociologia economica il problema non va risolto sul piano teorico bens su quello
empirico. Le forme di legittimazione del mercato possono variare nello spazio e nel tempo; ci sono
societ nelle quali la cultura e le istituzioni prevalenti legittimano, o addirittura esigono,
unautonomia del mercato maggiore ed accettano quindi le conseguenze sociali che possono
derivarne (disuguaglianza sociale, mobilit territoriale). Weber infatti ha indagato sulle specificit
della societ occidentale rispetto a quella orientale; ma anche allinterno del contesto occidentale
possiamo distinguere tra societ anglosassoni, dove lautonomia del mercato pi forte (specie
Stati Uniti) e quelle europee, dove si sente lesigenza di limitare lautonomia del mercato per
controllarne meglio le conseguenze e per legittimarlo.
Insomma, non c una best way, ma ci sono varie strade, tutte condizionate dal contesto sociale.
Soltanto lindagine empirica comparata pu aiutarci a indentificarle e a valutarne i rispettivi punti
di forza e di debolezza.
2.2 Lo sviluppo economico
Nella tradizione della sociologia economica una pi solida accettazione sociale del mercato una
condizione non solo della stabilit, ma anche della crescita di uneconomia che si basi sul mercato.
Per spiegare lo sviluppo economico non sufficiente che il mercato sia legittimato, ma bisogna
valutare in che misura gli attori economici, che si comportano in modo variabile, usino gli scambi
di mercato per creare nuova ricchezza, uscendo dalla routine dei rapporti tradizionali e consolidati;
insomma, necessario che alla legittimit si affianchi linnovazione.
Per i classici la capacit innovativa dipende fondamentalmente dallimprenditorialit (per dirla con
Schumpeter, dalla capacit di realizzare nuovi prodotti, processi, metodi di organizzazione della
produzione, mercati). Schumpeter sottolinea come limprenditore sia caratterizzato da qualit
particolari che permettono meglio di misurarsi con i problemi connessi allinnovazione
(determinazione, capacit di visione, impegno, voglia di affermarsi e di riconoscimento sociale).
Non si tratta di perseguimento razionale dellinteresse individuale.
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In generale, la sociologia economica suggerisce che lo sviluppo dipende, oltre che dal istituzioni
che danno legittimit al mercato, regolando il perseguimento utilitaristico dei mezzi rispetto ai fini,
anche da istituzioni che definiscono i fini stessi dei soggetti.
La religione in Weber e Sombart, lesclusione dai diritti di cittadinanza in Simmel e Sombart,
laccesso alle conoscenze tecnologiche in Veblen, sono tutti esempi di questo ruolo costitutivo delle
regole istituzionali, rispetto a quello regolativo delle istituzioni di cui abbiamo prima parlato a
proposito dei problemi di legittimit del mercato, e che riguarda luso dei mezzi per il
perseguimento dei fini.
Tuttavia, occorre ricordare che in genere per i classici limpatto dellimprenditorialit sulla capacit
di innovazione e quindi sullo sviluppo economico deve essere storicizzato. Essi vedevano, proprio
come conseguenza dello sviluppo del capitalismo, una crescente spersonalizzazione e
burocratizzazione dellimpresa, che spostava dallimprenditorialit personale alla capacit
organizzativa, la capacit di innovazione.
La tradizione della sociologia economica contribuisce anche a mettere in evidenza un problema
strutturale delleconomia capitalistica: una volta affermatosi, il mercato determina la progressiva
erosione di quelle regole costitutive che inizialmente lavevano sostenuto (religione, istituzioni o
legami tradizionali, ecc.). Ci accentua nel tempo i problemi di accettazione sociale delle
conseguenze del mercato e spinge alla crescita di nuove regole regolative (intervento dello stato in
campo economico e sociale, relazione industriali, ecc.). A questo punto si ripresenta quella
possibile contraddizione di cui abbiamo prima parlato: quella tra regolazione istituzionale del
mercato e efficienza; dal punto di vista dinamico, e quindi in termini di sviluppo economico, un
eccesso di regolamentazione pu andare a scapito della capacit innovativa. Questa ipotesi, ricavata
dal lavoro dei classici, permette di orientare comparazioni storico-empiriche che affrontano il tema
delle differenze nello spazio e nel tempo dello sviluppo economico.
2.3 Il consumo
Sappiamo che questo fenomeno non era al centro dellinteresse degli economisti classici, la cui
prospettiva era pi centrata sulla produzione. Con i neoclassici invece la domanda dei
consumatori a fondare il valore dei beni attraverso la teoria dellutilit marginale. Dati i vincoli
costituiti dai prezzi dei beni e dal reddito di cui dispone, il consumatore tender a distribuire il suo
potere dacquisto in modo esattamente proporzionale alle sue preferenze. Assumendo che la
soddisfazione legata a un certo bene diminuisca con il consumo di unit aggiuntive (utilit
marginale), si ipotizza che verr consumato di pi di tale bene fino a quando la soddisfazione
aggiuntiva non uguaglier quella degli altri beni che si vogliono consumare.
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La sociologia economica mette in discussione latomismo e lutilitarismo della teoria dellazione
dei neoclassici e si concentra sui caratteri concreti che viene ad assumere il comportamento dei
consumatori in una societ che vede crescere il fenomeno dei consumi di massa, in parallelo con lo
sviluppo economico e il miglioramento dei redditi. Lattenzione va subito verso i fattori
socioculturali che condizionano le preferenze degli individui. I beni sono desiderati e consumati in
misura crescente per il loro valore simbolico, cio per il significato che essi assumono nei rapporti
con gli altri, come segnali per essere riconosciuti da alcuni soggetti e gruppi sociali con cui ci si
vuole identificare, e per distinguersi al tempo stesso da altri rispetto ai quali si vuole marcare la
propria differenza.
Simmel tra i primi a rilevare la funzione simbolica dei consumi in una competizione per acquisire
maggiore prestigio specie nelle grandi citt in crescita. Egli parla della moda che ha una duplice
finalit: identificarsi con altri gruppi sociali e distinguersi da altri gruppi sociali.
Weber lega i comportamenti di consumo alla ricerca di status tipica dei ceti 8es. liberi
professionisti, intellettuali, militari, ecc.). Anche Veblen, con la sua analisi del consumo vistoso,
lega il fenomeno a una competizione per lo status sociale. Studiando gli Stati Uniti egli sottolinea
come laccesso crescente ai consumi di massa sia uno strumento essenziale di integrazione dei
gruppi sociali pi svantaggiati. Ma questo si accompagna, a suo avviso, ad uno spreco di risorse
produttive che, lungi dallincrementare leffettiva utilit dei singoli consumatori, li porta a spendere
il loro reddito in beni futili, scelti per il loro valore simbolico di segni di status. Il modello
neoclassico verrebbe cos smentito dalla rigidit sociale del comportamento di consumo (es. un
aumento di prezzo di un bene pu non dar luogo a minor consumo se il bene ha un valore simbolico
elevato o viceversa).
Bisogna comunque dire che le imprese, per mezzo della pubblicit, riescono ad influenzare la
moda, e quindi creare un mercato di massa che consente limpiego di nuove tecnologie e la
realizzazione di economie di scala. Questo porta alluniformazione dei bisogni, di cui parla
Sombart, rafforzandosi la produzione di beni di qualit inferiore che imitano le mode dei gruppi pi
benestanti e vengono offerti ai consumatori a pi basso reddito. Per i sociologi economici quindi
anche lefficienza costruita socialmente: solo se ci sono istituzioni che migliorano le conoscenze
condizionando il comportamento delle imprese ed educando il consumatore ad organizzarsi e a
diffondere modelli di consumo accettati in modo pi consapevole, solo in questo modo i
consumatori possono scegliere meglio e quindi possono esercitare la loro influenza positiva
sullefficienza delle imprese. quindi un fenomeno variabile che va studiato con unottica storico-
empirica e con un metodo comparato.
3. LA RIDEFINIZIONE DEI CONFINI TRA ECONOMIA E SOCIOLOGIA
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I lavori di Schumpeter e Polanyi segnano uno spartiacque negli sviluppi della sociologia
economica: prima i classici studiavano le origini del capitalismo, nel secondo dopoguerra invece si
va verso una specializzazione tematica e disciplinare. Si possono intravedere due principali
evoluzioni:
- il tema dello sviluppo economico perde rilevanza nello studio dei paesi pi avanzati
dellOccidente a favore delle tematiche macroeconomiche che vengono recuperate e
solidamente rielaborate dalla nuova economia keynesiana (rimane invece per lo studio dei paesi
pi arretrati);
- le tematiche pi macroeconomiche (che i classici studiavano insieme a quelle
macroeconomiche) si autonomizzano maggiormente dal nucleo originario della sociologia
economica (sociologia industriale, sociologia del lavoro, sociologia dellorganizzazione,
relazioni industriali, ecc.).
Si assiste anche alla ridefinizione dei confini tra economia e sociologia: da un lato, leconomia
recupera capacit di aderenza alla realt storico-empirica (specie con la rivoluzione keynesiana);
dallaltro, il processo di istituzionalizzazione della sociologia spinge in generale gli studiosi verso
aree meno presidiate dagli economisti e incoraggia, pi in particolare, la frammentazione e la
specializzazione disciplinare della sociologia economica secondo le linee prima ricordate.
3.1 La stabilizzazione economica e sociale nel dopoguerra
Dal secondo dopoguerra fino agli anni 70 si assiste ad una straordinaria crescita economica (molto
pi che tra la prima e la seconda guerra mondiale). Un fattore che ebbe un peso rilevante su questo
esito riguarda anzitutto la politica di aiuti americani allEuropa. I paesi europei, vinti e vincitori,
erano in ginocchio e gli Stati Uniti cancellarono una parte consistente del debito degli alleati e, con
il Piano Marshall, inviarono un rilevante flusso di aiuti finanziari (anche per la Germania non
richiesero risarcimenti non sopportabili, come avvenne dopo la prima guerra). La crescita della
produzione pot valersi di una progressiva liberalizzazione degli scambi e quindi di un consistente
incremento del commercio internazionale, oltre che degli accordi per la stabilizzazione dei cambi.
Questo processo fu accompagnato da unintensa cooperazione internazionale che port alla
creazione di nuovi organismi (es. FMI, OCSE, CEE). Con lutilizzo delle tecnologie moderne per la
produzione di massa di beni di consumo (automobili, elettrodomestici) la domanda di beni si alz
notevolmente grazie anche ad unampia offerta di lavoro proveniente dai settori a bassa
produttivit, in particolare dall'agricoltura. Tale manodopera poteva essere utilizzata anche nelle
industrie pi moderne grazie allorganizzazione di tipo taylorista che permetteva di dividere e
semplificare le mansioni lavorative. Oltre a queste variabili vanno considerati i mutamenti che
intervengono nella regolazione istituzionale delle economie dei paesi pi sviluppati che consiste
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nella grande trasformazione che Polanyi aveva intravisto come reazione alla crisi degli anni 30.
Lo sviluppo postbellico avvenne allinsegna di un crescente interventismo pubblico nelleconomia e
nella societ e di una crescente burocratizzazione e organizzazione delle grandi imprese pi
moderne.
Possiamo servirci di una sintesi che Shonfield (1965) fece per mettere in luce i principali mutamenti
che caratterizzano il capitalismo regolato del secondo dopoguerra:
- accresciuta influenza dello stato nella regolazione delleconomia e nel mantenimento del pieno
impiego, che va oltre al quadro di Keynes (esso si preoccupava soprattutto di realizzare il pieno
impiego di risorse date per dare una risposta alla Grande Depressione mentre i governi dei paesi
occidentali, nel dopoguerra, promuovono la crescita mediante la pianificazione delleconomia e
la redistribuzione attraverso i sistemi di welfare);
- burocratizzazione delle corporations: si formano le grandi imprese orientate a stabilizzare i
loro profitti a lungo termine per ammortizzare gli ingenti investimenti di capitale necessari per
la produzione (si diffonde quindi la pianificazione anche nel settore privato); i governi spingono
le grandi imprese a collaborare tra loro e con le autorit pubbliche per il raggiungimento di
obiettivi a pi lungo termine.
lintegrazione tra uno stato interventista, pi tardi chiamato stato sociale keynesiano, e le
grandi imprese poi definite fordiste ad assicurare il grande sviluppo postbellico. Il primo con le
sue politiche fiscali, monetarie e sociali regola la domanda, sostiene loccupazione e stabilizza il
mercato per le grandi imprese che a loro volta possono sfruttare il potenziale tecnologico per
realizzare economie di scala nella produzione di massa di beni di consumo. Uno studioso lha
definito un compromesso storico.
3.2 I cambiamenti delleconomia e la rivoluzione keynesiana
Il secondo aspetto che dobbiamo considerare, per interpretare levoluzione della sociologia
economica nel secondo dopoguerra, riguarda gli sviluppi interni alleconomia e alla sociologia che
influiscono sulla ridefinizione dei loro confini.
Un primo mutamento importante riguarda lindagine economica, che a partire dagli anni 30 cerca
di ridurre lo scarto tra i modelli analitici e la realt storico-empirica. A livello microeconomico la
teoria neoclassica tradizionale prendeva in considerazione lesistenza di due strutture ideali di
mercato, la concorrenza perfetta ed il monopolio. Queste configurazioni apparivano tuttavia poco
adatte a descrivere la realt concreta dei mercati. Da qui il nuovo interesse per forme di mercato
definite come concorrenza imperfetta (dovuta alla Robinson 1933) e concorrenza monopolistica
(dovuta a Chamberlin 1933). La Robinson sottolinea che i consumatori non necessariamente
rispondono in modo analogo a differenze di prezzo nei prodotti perch essi tengono conto di vari
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fattori tra cui la localizzazione del venditore e i costi di trasporto, le garanzie sul piano della qualit
o le condizioni di vendita. Chamberlin, a sua volta, punta decisamente sulla differenziazione del
prodotto come risorsa attraverso la quale le imprese possono in parte sottrarsi alla concorrenza
determinando una segmentazione del mercato. Questultimo, spostando lattenzione dal mercato
allimpresa, apre la strada per un approccio allo studio empirico delle aziende e delle forme di
organizzazione industriale che avr notevoli sviluppi successivi (Chamberlin prepar una
rivoluzione nella microeconomia, proprio negli stessi termini in cui si parla di una rivoluzione
keynesiana per la macroeconomia.
Non c dubbio che la sociologia economica dovr misurarsi, la partire dagli anni 30 e poi nel
dopoguerra, con lo sviluppo di studi economici pi empiricamente orientati anche a livello micro;
con un approccio che mette maggiormente a fuoco non solo il funzionamento concreto dei mercati,
ma anche delle aziende.
Ma ci che ha avuto pi influenza sul piano teorico e pratico, nel quarantennio che va dalla fine
degli anni 30 agli inizi dei 70, costituito dallopera delleconomista inglese John Maynard
Keynes (1883 1946). La necessit di misurarsi con gli effetti drammatici della Grande
Depressione degli anni 30 aveva spinto a rompere con lortodossia economica, che confidava nei
meccanismi di riaggiustamento automatico dei mercati. Cos in contesti diversi (lAmerica nel New
Deal di Roosevelt, la Germania nazista di Hitler e la Svezia socialdemocratica) furono sperimentati
rimedi contro la disoccupazione che ruotavano intorno alla spesa statale per opere pubbliche,
sussidi di disoccupazione, nuove forme di protezione sociale. Lo stato aveva assunto un ruolo
interventista e pi attivo in campo economico, contravvenendo alle prescrizioni della teoria
economia tradizionale. Keynes diede una solida fondazione teorica a tutto questo con la sua opera
Teoria generale delloccupazione, dellinteresse e della moneta 1936. In una celebre conferenza del
1926 (La fine del laissez faire) sono gi presenti chiaramente alcuni presupposti che animeranno la
successiva impresa teorica di Keynes. Egli disse: molti dei maggiori mali economici del nostro
tempo sono frutto del rischio, dellincertezza e dellignoranza. Sono queste le cause principali
delle difficolt che possono limitare il pieno impiego delle risorse produttive e possono causare la
disoccupazione. proprio per far fronte al problema cruciale degli effetti negativi dellincertezza
che si deve prevedere un ruolo pi rilevante dello stato nella regolazione delle attivit economiche
(es. se le aspettative di guadagno sul mercato non sono favorevoli, gli imprenditori investiranno una
quota non sufficiente a garantire il pieno impiego delle risorse e del lavoro). Mentre leconomia
neoclassica si interrogava intorno alla formazione dei prezzi dei beni e alla distribuzione dei redditi
(micro), lattenzione di Keynes si concentra ora sui fattori che influiscono sul livello della
produzione e delloccupazione, dato un certo stock di risorse di capitale, di lavoro e di tecnologia
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(macro). Si nota come Keynes si muova in un quadro statico e di breve periodo. Egli mette in
discussione lassunto centrale della teoria tradizionale (legge di Say: lofferta crea sempre la sua
domanda; quale che sia il volume della produzione, il valore della domanda sar uguale a quello dei
beni prodotti).
Per Keynes la domanda risulta da due componenti:
reddito speso in consumi
+
reddito investito (che deriva dal reddito risparmiato)
La teoria tradizionale invece supponeva luguaglianza tra risparmi ed investimenti (cio che tutti i
risparmi venissero investiti) ma ci non sempre vero perch dipende dai tassi di interesse (alti
tassi inibiscono gli investimenti). Ma dobbiamo anche considerare il fatto che la propensione a
consumare diminuisce con il crescere del reddito e che non necessariamente bassi tassi di interesse
favoriscano necessariamente gli investimenti perch gli imprenditori valutano anche altre variabili
come la previsione di aumento della domanda di beni (quindi non si avrebbe nemmeno in questo
caso il pieno utilizzo delle risorse disponibili e quindi la garanzia di piena occupazione). Infine da
considerare che, anche ammesso che i lavoratori siano disponibili ad accettare una riduzione dei
salari, ci non sarebbe necessariamente vantaggioso per la ripresa delleconomia, come riteneva la
teoria tradizionale, perch avrebbe influito negativamente sulla domanda di consumo e avrebbe
quindi rafforzato le aspettative sfavorevoli degli imprenditori. Ma Keynes, pur riconoscendo che i
salari tendono a essere rigidi perch i lavoratori e le organizzazioni sindacali si oppongono a
riduzioni delle retribuzioni anche in situazioni di crisi economica, non fonda la sua analisi su questo
aspetto. Egli vuole dimostrare che, seguendo i rimedi della teoria tradizionale che suggeriva in caso
di depressione il calo dei salari e dei tassi di interesse, si poteva in realt determinare un equilibrio
di sotto-occupazione (una sorta di trappola nella quale il sistema economico rischiava di avvitarsi
senza un intervento dello stato). Ma lo stato deve intervenire, in quelle situazioni in cui le
aspettative imprenditoriali sono incerte, con la spesa pubblica colmando la differenza e
promuovendo quindi il pieno impiego.
Mentre la teoria economica tradizionale dava una giustificazione teorica al liberismo, lanalisi
keynesiana d fondamento allinterventismo dello stato come regolatore della domanda .
Sono da ricordare alcuni aspetti delle nuove politiche economiche.
La spesa pubblica in disavanzo (deficit spending): la spesa pubblica tanto pi efficace quanto pi
tende a stimolare una domanda aggiuntiva (Keynes fa lesempio che sarebbe efficace per la ripresa
economica anche fare scavare delle buche per poi farle riempire). Vi inoltre il problema che al
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crescere del reddito si consuma meno e ci significa che possono essere giustificati anche interventi
redistributivi dello stato (es. politica fiscale) a favore dei gruppi pi poveri della popolazione
proprio al fine di stimolare la domanda. In altre parole, la redistribuzione pu essere giustificata non
solo in relazione a problemi di equit ma anche di efficienza del sistema economico.
Come abbiamo gi rilevato, leconomia keynesiana si basa sul breve periodo e considera data la
capacit produttiva. Ben presto per economisti influenzati dalle nuove idee cominciarono a
esplorare le implicazioni in termini dinamici e a porsi il problema della crescita economica (es. il
modello Harrod-Domar). Tali modelli hanno lobiettivo di guidare le scelte dei governi non solo per
raggiungere il pieno impiego di risorse esistenti, ma anche per determinare gli obiettivi di crescita
economica nel tempo.
La modellistica macroeconomica si lega strettamente allutilizzo dellanalisi matematica e delle
tecniche statistiche che sono affinate dalleconometria. Questo approccio permette infatti di
stabilire i rapporti di interdipendenza funzionale tra le diverse grandezze economiche (reddito,
consumi, risparmi, investimenti, ecc.) e di formulare anche previsioni sul loro andamento nel
tempo, date certe condizioni conosciute.
La macroeconomia keynesiana si pone dunque come interpretazione e guida del processo di
sviluppo, specie nei paesi avanzati.
3.3 Talcott Parsons e i nuovi confini
Negli stessi anni 30 nei quali Keynes lavorava alla Teoria generale, Talcott Parsons (1902
1979) maturava la sua concezione del ruolo della sociologia (La struttura dellazione sociale 1937).
Egli aveva iniziato la sua carriera studiando economia oltre che biologia ed avr una grande
influenza sia sugli sviluppi dellanalisi sociologica, sia sulla questione della definizione dei confini
tra economia e sociologia.
Parsons critica leconomia neoclassica per il suo individualismo atomistico, cio il fatto che
presuppone che gli individui definiscano i propri fini indipendentemente dallinterazione tra loro.
Egli sostiene che se non allopera qualche fattore che introduca elementi di coerenza, di
coordinamento e di integrazione tra i fini dei diversi individui, la societ rischia di essere un mero
caos di individui in conflitto tra loro. Lo scopo della sociologia proprio lo studio dei fini
condivisi, cio dei valori comuni che orientano lazione allinterno di una societ.
Le leggi economiche hanno un carattere normativo, indicano dei criteri di azione razionale date
certe condizioni; ma la loro validit empirica legata al fatto che gli attori si comportino
effettivamente secondo tali criteri per soddisfare i loro fini (secondo Parsons e Weber ci poco
probabile).
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Quindi Parsons difende leconomia per la sua validit scientifica come disciplina analitica (cos
come Menger, Pareto e Weber).
Parsons passa in rassegna tutti i tentativi di spiegazione teorica completa delle attivit economiche
concrete e li raggruppa in due filoni:
- empiricismo positivista: sviluppatosi maggiormente nel contesto anglosassone; tratta dei
condizionamenti dellazione economica esercitati da fattori biologici o psicologici (es.
ledonismo psicologico di Bentham, la teoria degli istinti di Veblen). Questo filone sfocer poi
nel comportamentismo (behaviorism), cio il approcci che tendono a svalutare il ruolo di fattori
ideali (valori, norme) nel comportamento dellattore;
- empiricismo storicista: qui vi invece attenzione ai fattori ideali e normativi, per esempio con
il concetto di spirito del popolo.
Parsons respinge sia la soluzione istituzionalista la Veblen, sia quella storicista in quanto
entrambe riducono leconomia a una branca della sociologia applicata, nel tentativo di aggiungere
altri fattori per arricchire la spiegazione empirica del comportamento economico. La sociologia
diventerebbe una sorta di sociologia enciclopedica, come sintesi generale delle conoscenze sulla
societ. In questa prospettiva, un economista si distinguerebbe da altri scienziati sociali solo per la
maggiore conoscenza di un settore specifico delle attivit sociali, quello legato alleconomia.
Questa impostazione per Parsons sbagliata, bisogna quindi lavorare a una fondazione diversa delle
due discipline. La soluzione pi convincente emerge, a suo avviso, da autori essenziali per la
fondazione della sociologia (Durkheim, Pareto e Weber); essi condividono una fondazione su basi
analitiche e astratte delleconomia e della sociologia. La prima deve essere concepita come teoria
analitica di un fattore dellazione che si basa sul perseguimento razionale dellinteresse individuale
(si occupa della catena mezzi-fini, cio delladattamento razionale di mezzi scarsi rispetto a usi
alternativi); la seconda invece come teoria analitica astratta di un altro fattore dellazione, quello
legato ai valori ultimi condivisi (la coscienza collettiva di Durkheim, le azioni non-logiche di
Pareto, letica influenzata da fattori religiosi di Weber).
Parsons avrebbe poco dopo presentato in modo sistematico e approfondito questa tesi in La
struttura dellazione sociale, con la formulazione della sua teoria volontaristica dellazione.
Lo studioso americano consapevole ben consapevole che la realt storico-empirica unitaria e
non pu essere divisa in compartimenti; ci non vuol dire che lastrazione analitica importante per
coltivare il fuoco centrale di interesse di una disciplina a livello teorico, ma le esigenze della ricerca
concreta sono tali che lo scienziato deve inevitabilmente avventurarsi in pi direzioni. chiara
dunque in Parsons la distinzione tra il momento teorico, in cui ciascuna disciplina approfondisce in
termini di modelli analitici astratti il suo fattore fondamentale, in isolamento da altri, e il momento
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della ricerca sulla realt empirica concreta, in cui bisogna invece uscire dai confini disciplinari e
cercare di esaminare come diversi fattori si combinino insieme.
Parsons lavorer per la fondazione a livello teorico della sociologia; egli riteneva pericolosa la
strada dellistituzionalismo la Veblen e riteneva molto debole in generale la sociologia americana
dellepoca basata sullempiricismo positivista.
Lobiettivo di spostare la sociologia verso la teoria generale sarebbe da lui stato perseguito con
impegno e con notevoli risultati. La sua influenza sulla sociologia americana e su quella
internazionale cresciuta nel secondo dopoguerra dopo la pubblicazione de Il sistema sociale
(1951) e di altri lavori importanti. Si ebbe un effetto non intenzionale di spostare gli interessi della
comunit sociologica verso temi pi lontani dalla sociologia economica (studio delle istituzioni in
isolamento da altri fattori: socializzazione, controllo sociale, devianza, ecc.).
A livello macro il tema dello sviluppo veniva prevalentemente trattato dalla nuova macroeconomia
keynesiana mentre a livello micro si afferma la tendenza alla specializzazione disciplinare di
prospettive di indagine prima incluse nella sociologia economica classica (studi organizzativi,
sociologia industriale e del lavoro, e delle relazioni industriali).
Con lopera Economia e societ (1956) che Parsons scrisse insieme a Neil Smelser, essi illustrano
la teoria dei sistemi sociali applicandola al caso delleconomia.
Secondo questa teoria la societ vista come un sistema di parti interdipendenti (strutture) che per
riprodursi deve assolvere a quattro funzioni:
1) adattamento: mediante lattivit economica si risolve il problema di procurarsi dallambiente
risorse sufficienti in termini di beni e servizi per la riproduzione della societ;
2) conseguimento dei fini: mediante il sistema politico si motivano gli individui trasmettendo loro
valori e norme;
3) latenza: famiglia, religione, scuola permettono lassimilazione dei valori e delle norme;
4) integrazione: presiede alla stratificazione sociale, alla distribuzione delle ricompense e alla
prevenzione dei conflitti.
Parsons e Smelser cercano quindi di illustrare gli scambi complessi che avvengono tra leconomia e
le altre strutture ma nonostante lanalisi sia interessante nel sottolineare gli aspetti di
interdipendenza tra economia e societ, essa resta a un livello di elevata astrazione analitica e soffre
di una complessa articolazione concettuale e di un pesante apparato classificatorio, con notevoli
complicazioni legate anche al tentativo di replicare lo schema dei diversi imperativi funzionali
allinterno di ciascun sottosistema (quindi anche dentro leconomia). Invece di rilanciare la
sociologia economica e contribuire a una maggiore integrazione fra teoria economica e sociologia,
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Economia e societ rest dunque un lavoro isolato, che non suscit interesse tra gli economisti e
non alter sostanzialmente lallontanamento dei sociologi dai temi delleconomia.
Paradossalmente, mentre leconomia con Keynes cercava di recuperare adesione alla realt
empirica e alle sue trasformazioni, la sociologia non metteva in discussione leconomia neoclassica
e si allontanava dallindagine sulla realt economica (con leccezione dello sviluppo dei paesi
arretrati che vedremo avanti). La nuova definizione dei confini tra economia e sociologia che prese
corpo tra gli anni 30 e il dopoguerra fin dunque per agire nella stessa direzione dei cambiamenti
economico-sociali prima ricordati. Il risultato fu un declino della tradizione della sociologia
economica nello studio dei paesi sviluppati che durer fino agli anni 70.
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CAPITOLO 2
LA MODERNIZZAZIONE E LO SVILUPPO DELLE AREE ARRETRATE
In questo capitolo ripercorreremo i diversi approcci che affrontano il problema dello sviluppo dei
paesi arretrati. Un primo nucleo importante si forma con la teoria della modernizzazione, che insiste
sui fattori socio culturali, ma propone anche unidea di modernit fortemente legata ai percorsi della
civilt occidentale. Le critiche a questa teoria porranno in rilievo aspetti diversi: i condizionamenti
economici, con la teoria della dipendenza, e pi di recente quelli politici, con la nuova political
economy comparata.
Nel secondo dopoguerra, linteresse della sociologia economica per il ruolo della cultura e dei
fattori istituzionali nel processo di sviluppo economico trova un terreno pi favorevole soprattutto
nello studio dei paesi e delle aree arretrate. Si alimenta cos una nuova sociologia dello sviluppo. In
seguito al processo di decolonizzazione si formano molti stati indipendenti che sono fuori dai
confini dellOccidente e che si trovano ad affrontare i problemi della crescita economica e della
costruzione di strutture istituzionali adeguate. La contrapposizione tra i due blocchi (guerra fredda)
portano gli Stati Uniti e i paesi del blocco occidentale a sostenere lo sviluppo economico dei nuovi
stati per evitare che questi cadano sotto linfluenza dellUnione Sovietica. Anche i nuovi organismi
internazionali che si formano dopo la guerra concorrono al sostegno dei paesi arretrati.
In questo periodo leconomia era fortemente influenzata dalla rivoluzione keynesiana che
sottolineava limportanza dellintervento statale e degli aiuti internazionali per avviare il processo
di industrializzazioni. I primi passi della sociologia dello sviluppo, cercano di integrare il punto di
vista degli economisti, sottolineando limportanza di fattori culturali e istituzionali come elementi
che condizionano la possibilit di successo di politiche economiche a sostegno dello sviluppo.
In questo quadro prende forma un indirizzo che va sotto il nome di teoria della modernizzazione
che contiene al suo interno diversi approcci:
1) teoria della modernizzazione in senso stretto (anni 50 60): sottolinea limportanza dei
fattori socioculturali e politici endogeni dei paesi meno sviluppati nel condizionare il
cambiamento sociale;
2) teoria della dipendenza: fa particolare riferimento ai paesi dellAmerica Latina ed ai
condizionamenti economici esercitati dai paesi pi sviluppati sul cambiamento di quelli
arretrati;
3) political economy comparata: al centro della sua attenzione il ruolo delle istituzioni politiche
nel processo di modernizzazione, anche attraverso un confronto tra i paesi asiatici e quelli
dellAmerica Latina.
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Le critiche portate alla teoria della modernizzazione degli anni 60 (dallapproccio della
dipendenza; dalla sociologia storica della modernizzazione delle societ occidentali) hanno
stimolato un processo di revisione degli assunti originari. Il nuovo approccio sottolinea la pluralit
dei percorsi di modernizzazione, il loro carattere pi aperto, che non ha come sbocco inevitabile la
strada seguita dallOccidente (lo vedremo nellultima parte del capitolo).
1. LA TEORIA DELLA MODERNIZZAZIONE
Lapproccio sistemico allo studio della societ elaborato da Parsons, sebbene abbia trattato solo
marginalmente il problema dello sviluppo dei paesi arretrati, ha costituito il principale serbatoio di
strumenti concettuali che sono stati utilizzati in forme diverse nellambito degli studi riconducibili
alla prima teoria della modernizzazione.
Il nucleo comune di questi studi lidea che i paesi economicamente arretrati siano caratterizzati da
un modello di societ tradizionale, costituito da un sistema di elementi culturali e strutturali tra loro
strettamente interdipendenti. La forza di resistenza della tradizione, a livello culturale, strutturale e
della personalit, costituisce lostacolo primario che necessario sperare per procedere sulla strada
dello sviluppo economico e avvicinarsi al modello della societ moderna riscontrabile nei paesi
sviluppati dellOccidente. Gli studi sulla modernizzazione si distinguono poi per il modo di
concepire tale passaggio, che sempre considerato auspicabile, e alla lunga inevitabile.
1.1 Approcci influenzati dallo struttural-funzionalismo
Hoselitz (1960) e Levy (1966) sono stati tra i primi a muoversi in questa direzione e sottolineano
come lo sviluppo economico dei paesi arretrati sia condizionato da aspetti relativi alla cultura e alla
struttura sociale (usano le variabili di Parsons). Alcuni orientamenti culturali delle societ
tradizionali ostacolano lo sviluppo. Prevalgono le norme che fanno dipendere le relazioni
economiche dallascrizione piuttosto che dal principio di prestazione (es. certe posizioni lavorative
sono assegnate in base a criteri di appartenenza a un determinato gruppo piuttosto che sulla base
della capacit di svolgere un certo compito). Le societ tradizionali sono orientata pi al
particolarismo rispetto alluniversalismo (non si applicano criteri che abbiano validit generale). E
ancora, gli orientamenti culturali prevalenti non incoraggiano la specializzazione e di conseguenza
non cresce la produttivit. I modelli culturali prevalenti di tali paesi hanno un orientamento
tradizionalistico e non razionalistico come le societ moderne.
Da cosa dipende allora lavvio della modernizzazione?
In generale lattenzione posta sul formarsi di nuove lite intellettuali, politiche e economiche che
introducono innovazioni rispetto ai modelli tradizionali. Hoselitz insiste maggiormente sulla
crescita dellimprenditorialit dal basso richiamando la teoria della marginalit sociale di Simmel e
Sombart (stranieri, immigrati o appartenenti a una religione diversa da quella dominante, saranno
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pi propensi a innovare sul piano economico). Gli altri autori invece si basano sulla formazione di
nuove lite che assumono un ruolo guida sul piano politico (i maggiori contatti tra le societ
moderne e quelle tradizionali diffondono aspirazioni a modernizzare per accrescere il benessere
economico).
Un modello pi sistematico richiama il concetto di differenziazione strutturale che sposta
lattenzione dagli attori (lite politiche o economiche) ai problemi strutturali che ne condizionano
lazione. Per esempio, nelle societ tradizionali le attivit economiche sono scarsamente
differenziate da quelle familiari o parentali, mentre quando si avvia la modernizzazione la famiglia
perde le funzioni economiche e si diffondono imprese che utilizzano forza lavoro salariata e
lavorano per il mercato piuttosto che per lautoconsumo familiare (divisione del lavoro = pi
efficienza = pi differenziazione di classe = allentamento dei criteri ascrittivi a favore del principio
di prestazione). Si riducono le famiglie estese a favore di quelle nucleari che hanno minor controllo
sociale tradizionale sulle scelte individuali. Tuttavia lindebolimento dei modelli culturali e delle
strutture sociali tradizionali genera situazioni conflittuali da parte di quelle persone che non sono
state efficacemente integrate nella nuova situazione. In questa situazione i teorici della
modernizzazione considerano inevitabile un ruolo maggiore dello stato nel processo di sviluppo per
controllare i conflitti indotti dalla modernizzazione (e non per promuovere le attivit economiche e
lindustrializzazione, come in Occidente). Tale ruolo dello stato potr essere pi efficace nella
misura in cui riusciranno ad affermarsi nuove lite politiche capaci di ottenere una forte
legittimazione, attraverso ideologie nazionaliste che si sostituiscano alle vecchie credenze religiose
come base di un sistema di valori condiviso dalla popolazione (se questo non funziona si pu
considerare probabile unalternativa di tipo socialista).
Anche gli studiosi provenienti dal campo della scienza politica sono stati influenzati dallo
struttural-funzionalismo. Per loro lo sviluppo politico pu avvenire attraverso lindividuazione di
una serie di sfide che il sistema deve affrontare nel corso della modernizzazione:
- la costruzione dello stato da parte delle lite politiche;
- la costruzione della nazione (formazione di unidentit nazionale attraverso il superamento degli
orientamenti particolaristici e localistici) da parte di lite legittimate;
- ottenere una risposta alle nuova domande di partecipazione politica attraverso processi di
democratizzazione;
- sviluppare interventi atti a rispondere alle domande di maggiore uguaglianza sociale.
Le difficolt specifiche per i paesi del Terzo Mondo vengono dalla tendenza a sovrapporsi nel
tempo delle diverse sfide, che invece nelle societ occidentali si sono manifestate in sequenze pi
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lunghe e scalari. Questo porta ad una forte spinta verso la conflittualit politica e unaccentuata
instabilit di tali paesi.
1.2 La formazione della personalit moderna
Alcuni studi sono stati pi influenzati dalla psicologia e dalla psicologia sociale e di distinguono tra
la societ tradizionale, quella moderna e quella in transizione.
Daniel Lerner (1958) effettua una ricerca empirica su alcuni paesi del Medio Oriente dalla quale ne
deduce che:
- il contatto con le societ occidentali stimola il cambiamento e spinge nuove lite a
modernizzare;
- si innesca un processo che stato gi seguito dalle societ occidentali con sequenze uguali per
tutto il continente;
- crescita dellurbanizzazione;
- stimolo dellalfabetizzazione;
- diffusione dei mezzi di comunicazione di massa;
- propensione alla mobilit che chiama personalit mobile, caratterizzata da razionalit e
empatia, cio capacit di identificarsi con gi altri e desiderio di essere simili a loro migliorando
la propria posizione;
- spinta ad una maggiore partecipazione economica e politica.
Nellottica di Lerner la formazione di una personalit moderna vista essenzialmente come un
processo di socializzazione secondario, in cui molto importante il ruolo dellistruzione e dei
mezzi di comunicazione di massa come moltiplicatori di empatia.
David McClelland (1961) pone maggiore attenzione al processo di socializzazione primaria che
avviene nei primi anni di vita e coinvolge maggiormente la famiglia. Influenzato dalla ricerca di
Weber sui rapporti tra protestantesimo e spirito del capitalismo egli la reinterpreta sottolineando
come il protestantesimo avesse contribuito a generare una forte motivazione allimpegno
individuale, una spinta a far bene i propri compiti. Per lui lo sviluppo economico sarebbe
condizionato dalla presenza in una determinata societ di personalit individuali caratterizzate da
un forte bisogno di realizzazione. Limpegno nel lavoro non rappresenta soltanto la ricerca di
remunerazioni meramente monetarie e questo alimenta limprenditorialit e quindi lo sviluppo
economico. McClelland sottopone a verifica lipotesi che il bisogno di realizzazione sia collegato a
delle caratteristiche particolari del processo di socializzazione primaria (laddove i genitori
stimolano i loro figli, nella prima infanzia, ad essere autonomi e ad avere fiducia nelle proprie
forze, tende a formarsi un pi alto bisogno di realizzazione nei ragazzi.
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Everett Hagen (1962): i meccanismi di socializzazione primaria nel contesto tradizionale tendono a
scoraggiare la formazione di una personalit innovativa e favoriscono piuttosto una personalit
autoritaria (il bambino percepisce il mondo esterno come arbitrario e privo di un ordine
controllabile quindi si abitua a impostare le relazioni sociali in termini di accettazione acritica della
gerarchia sociale e dellautorit); lopposto accade nei contesti moderni dove un atteggiamento dei
genitori (come descritto da McClelland) stimola nel bambino unansiet creativa cio una spinta a
cercare di controllare razionalmente la realt per cui da qui uscir una personalit pi aperta
allinnovazione e allimprenditorialit.
Aleax Inkeles e Davis Smith (1974) sviluppano una ricerca sui paesi del Terzo Mondo vicina a
quella condotta da Lerner: la personalit moderna (apertura allinnovazione, razionalizzazione del
comportamento, apprezzamento dellistruzione e della tecnica) tende ad essere maggiormente
associata allinfluenza che esercitano sui soggetti alcune esperienze essenziali come la
partecipazione scolastica, loccupazione nel settore industriale, lesposizione ai mezzi di
comunicazione di massa, la vita urbana. Gli autori ne traggono la conclusione ottimistica che la
capacit dei paesi in via di sviluppo di potenziare il ruolo di queste istituzioni abbia rilevanti
conseguenze sulla personalit e quindi sul passaggio verso la societ moderna.
1.3 Gli stadi di sviluppo e la convergenza
Walt Rostow (1960) elabora una sequenza degli stadi di sviluppo, pi dettagliata e complessa di
quelle diffuse in letteratura (che in genere distinguono solo tra societ tradizionale, di transizione e
moderna), che comprende 5 stadi:
- la societ tradizionale;
- le precondizioni per il decollo;
- il decollo economico;
- la spinta verso la maturit;
- la fase degli elevati consumi di massa.
Di particolare interesse per Rostow lo stadio di preparazione al decollo industriale. Per lavvio di
tale fase necessaria lintrusione delle societ pi sviluppate in quelle arretrate (sia per
occupazione militare che indirettamente attraverso una maggiore apertura a contatti economici e
culturali). Il nazionalismo reattivo, stimolato da appunto dallintrusione della societ moderna,
lelemento pi potente che avvia il processo di superamento della societ tradizionale. Le nuove
lite politiche e lo stato svolgono un ruolo essenziale per il decollo (trasformazione dellagricoltura,
formazione di un mercato nazionale, creazione di un sistema fiscale, istruzione). Tutto ci comporta
la capacit di affrontare quei complessi problemi di costruzione dello stato e della nazione, e di
legittimazione della classe politica che abbiamo gi visto.
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Rispetto allesperienza europea originaria per il Terzo Mondo vi sono per dei vantaggi
(disponibilit di nuove tecnologie, disponibilit di prestiti internazionali a condizioni favorevoli)
ma anche degli svantaggi (i progressi nel campo della medicina riducono il tasso di mortalit per
cui aumenta la popolazione, aumenta la disoccupazione e la frustrazione per coloro che hanno
ormai un tenore di vita rivolto a maggiori consumi ma che non possono permetterselo. A volte tale
situazione pu portare gli intellettuali verso soluzioni di tipo comunista. Quindi la strada verso
lindustrializzazione ha dei passaggi obbligati dal punto di vista economico ma le strutture
istituzionali possono essere differenti (comunismo o nazionalismo) finch, una volta
industrializzati, vi una tendenza delle societ industriali ad avvicinare il modello comunista a
quello del capitalismo democratico.
Clark Kerr (1960) parla dei vincoli posti dalla tecnologia. Esiste ununica tecnologia in grado di
assicurare i risultati pi efficienti dal punto di vista economico-produttivo, e ci spinge le diverse
societ ad acquisirla, organizzandosi dal punto di vista istituzionale in modo da poterla sfruttare
meglio. Questo favorisce la convergenza istituzionale: laddove il mercato ha uninfluenza maggiore
si cerca di ridurlo; allopposto, laddove maggiore il controllo statale sulleconomia (comunismo e
nazionalismo) i cerca di ridurlo. Lindustrializzazione spingerebbe verso un pluralismo economico
e sociale nel quale crescono le classi medie, diminuisce il conflitto, si formano una pluralit di
interessi economici e sociali che influenzano il processo politico, si attenuano le grandi ideologie,
rigide e totalizzanti.
2. CRITICHE: LA TEORIA DELLA DIPENDENZA E LA SOCIOLOGIA STORICA
Verso la fine degli anni 60 la teoria della modernizzazione stata sottoposta a varie critiche.
Abbiamo visto come non esista una vera e propria teoria della modernizzazione ma piuttosto diversi
approcci che hanno in comune i seguenti elementi:
1) la concezione ottimistica dello sviluppo, come processo inevitabile e unilineare che tende a
seguire gli stadi gi percorsi dalle societ occidentali, arrivando in futuro ad una convergenza
istituzionale;
2) la considerazione dei modelli idealtipici di societ tradizionale e moderna come contrapposti,
costituiti da un insieme di elementi tra loro strettamente interdipendenti;
3) lidea che i rapporti che le aree e i paesi arretrati stabiliscono con lesterno abbiano una
connotazione positiva, in termini di stimolo allo sviluppo;
4) lassunto che il motore del cambiamento sia essenzialmente endogeno.
2.1 Inevitabilit dello sviluppo ed etnocentrismo
Sociologi, psicologi sociali e storici economici che sono protagonisti della teoria della
modernizzazione hanno una visione ottimistica dello sviluppo dei paesi arretrati. Tale strada venne
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tuttavia perseguita pi in termini teorici che di ricerca empirica; non vi era una ricerca comparata
sui concreti processi di sviluppo dei paesi arretrati e mancando unadeguata base di ricerca, essi
finivano per ricorrere inevitabilmente allesperienza storica delle societ occidentali, sia per
definire per contrasto la societ tradizionale, sia per tracciare i meccanismi del cambiamento. Vi
dunque una debolezza empirica, accompagnata da una tendenza a generalizzare partendo
dallesperienza occidentale. Lo sviluppo non affatto garantito e ci possono essere fallimenti e
blocchi della modernizzazione. Le critiche investono anche i presupposti di valore della teoria che
ha una visione etnocentrica che porta a considerare lesperienza occidentale non solo come
inevitabile, ma anche come modello positivo al quale i paesi arretrati dovrebbero adeguarsi per
migliorare le condizioni delle loro societ.
2.2 Tradizione e modernit come modelli contrapposti
Un secondo elemento largamente condiviso nei primi studi sulla modernizzazione riguarda la
concezione della societ tradizionale e moderna come modelli contrapposti luno allaltro, costituiti
di elementi tra loro interdipendenti.
Si sottolinea la notevole variet sul piano storico-empirico delle societ tradizionali e viene messo
in evidenza come elementi culturali e strutturali, sia tradizionali che moderni, sono presenti in varia
misura e in diverse combinazioni non solo nelle societ dei paesi non industrializzati, ma anche in
quelle dei paesi sviluppati (es. legami familiari e parentali o credenze religiose persistono e sono
variamente importanti nelle societ moderne; valori orientati alla realizzazione e
allimprenditorialit, o strutture burocratiche che funzionano secondo criteri universalistici, possono
riscontrarsi anche in societ tradizionali). Viene messa in discussione anche lidea della stretta
interdipendenza degli elementi costitutivi dei due modelli; ci pu essere insomma una modernit
selettiva, che riguarda i mezzi di comunicazione, o la domanda di consumi, o le strutture militari,
ma pu non estendersi alla sfera produttiva o al funzionamento delle istituzioni politiche, ecc.
Processi di modernizzazione di questo tipo sono frequenti sul piano storico-empirico, e non detto
che portino alla modernit come definita dal modello.
2.3 I condizionamenti economici e lapproccio dipendentista
Veniamo al terzo aspetto: la concezione che i rapporti con lesterno abbiamo una valenza
prevalentemente positiva e di stimolo alle forze del cambiamento viste come essenzialmente
endogene.
La critica che si fa a questa impostazione il fatto che il progressivo inserimento nel mercato
internazionale comporta anche dei vincoli per lo sviluppo economico: competere con lindustria dei
paesi pi sviluppati comporta maggiori investimenti; i paesi arretrati sono in genere specializzati
nella produzione di materie prime e beni agricoli con manodopera a bassa qualificazione e basso
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prezzo e finiscono per esportare prodotti a basso costo che vengono scambiati con prodotti ad
elevato costo. Non si formano dunque le risorse di capitale necessarie per lo sviluppo, mentre la
concorrenza delle industrie gi consolidate degli altri paesi mette in crisi le attivit di tipo
artigianale meno competitive.
Linserimento nelleconomia internazionale fonte dunque di rilevanti problemi e non solo di
opportunit. Tali problemi sono sottolineati dallapproccio dipendentista che si forma inizialmente
a partire da una riflessione sul fallimento dei tentativi di sviluppo di diversi paesi latino-americani
ma si estende poi a una visione pi generale delle periferie nellambito della teoria delleconomia-
mondo di Wallerstein (1974, 1979). Comune a questo approccio lidea che lincremento dei
contatti con i paesi industrializzati invece di favorire lo sviluppo provocasse una situazione di
sottosviluppo (per sottolineare lo sfruttamento da esse subto da parte delle societ centrali).
Vi sono tre meccanismi che determinano una sottrazione di risorse per le aree periferiche:
- lo scambio ineguale (i paesi sottosviluppati esportano prodotti a prezzi bassi ed importano
prodotti a prezzo elevato);
- la penetrazione diretta del capitale straniero: si insedia nei paesi sottosviluppati dove la
manodopera costa meno quindi ne trae vantaggi che vengono sottratti ai paesi stessi;
- ricorso crescente ai prestiti internazionali: che comprime le risorse disponibili per lo sviluppo.
Per quanto riguarda lAmerica Latina si tende anche a sottolineare il ruolo scarsamente propulsivo
della borghesia nazionale che non essendo in grado di sostenere un progetto di sviluppo autonomo,
di fronte alla situazione di instabilit sociale e politica determinata dallo sviluppo dipendente sono
pronti a sostenere soluzioni autoritarie, con laiuto dei militari e dei paesi centrali, anchessi
interessati al mantenimento dello status quo.
sentita lesigenza, anche di alcuni teorici della dipendenza, di unanalisi integrata dello sviluppo
che colleghi vincoli esterni e fattori istituzionali interni, dando pi spazio e pi autonomia agli
attori politici e alla loro azione.
2.4 La sociologia storica della modernizzazione
Unaltra serie di interventi hanno messo in discussione il modello di cambiamento evoluzionistico
basato sulla differenziazione strutturale che presente negli approcci influenzati dallo struttural-
funzionalismo. Il processo di differenziazione strutturale consiste nel costituire ruoli e strutture
sociali pi differenziate a causa di insoddisfazione crescente per il funzionamento di una
determinata struttura, e quindi una ricerca di maggiore efficienza che si concretizza in una pi
elevata specializzazione funzionale delle nuove strutture che sostituiscono la precedente. Il
cambiamento dunque visto come un processo di adattamento della societ, considerata come un
sistema di elementi interdipendenti, rispetto ai problemi posti dallambiente fisico e sociale.
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possibile individuare dei tipi strutturali pi o meno evoluti, al vertice dei quali vi sono le societ
moderne occidentali.
Possiamo distinguere tre tipi di critiche rispetto a questi assunti:
1) problemi di integrazione: la differenziazione non necessariamente comporta lincremento atteso
di efficienza perch pu accompagnarsi a problemi di integrazione che determinano fenomeni di
instabilit e di blocco della modernizzazione;
2) capacit di adattamento: non si possono individuare stadi di sviluppo basati su un grado
maggiore o minore di adattamento perch non si possono conoscere a priori i problemi futuri
con cui le societ devono confrontarsi. quindi da escludere la possibilit che si possano
stabilire gerarchie di avanzamento, o stadi di sviluppo, sulla base delle caratteristiche strutturali
di ogni societ;
3) rapporti tra la societ e lambiente esterno: il cambiamento non un processo soltanto
endogeno di adattamento ma condizionato dai rapporti tra la societ e lambiente esterno; un
ambiente che muta continuamente con lo sviluppo storico e che pone vincoli e opportunit
diversi da quelli del passato alle singole societ. Gli stimoli che vengono dallambiente esterno
non sono solo positivi, come sostengono i teorici della modernizzazione (non colgono come
lambiente esterno possa portare a reazioni interne nelle societ in via di modernizzazione, che
non necessariamente seguono lesperienza passata delle societ occidentali), e non sono solo
negativi, come ritiene lapproccio dipendentista (sono particolarmente attenti ai vincoli
economici che vengono dalla divisione internazionale del lavoro, ma perdono di vista i fattori
endogeni). Il mutamento invece un processo complesso in cui si intrecciano condizionamenti
provenienti dallesterno (economici, politici e culturali), eventi contingenti (guerre), e
caratteristiche interne di una determinata societ. In questo quadro necessario prestare
maggiore attenzione ai soggetti che introducono il cambiamento (lite intellettuali, processi di
mobilitazione politica, intervento dello stato) e non a processi astratti e impersonali di cui parla
linterpretazione struttural-funzionalista. Questa prospettiva tende dunque a guardare allanalisi
storica comparata per mettere a fuoco i processi specifici di cambiamento per i quali non
possibile tracciare delle leggi generali.
Possiamo sintetizzare il contenuto delle diverse critiche fatte al modo in cui il processo di
modernizzazione stato concettualizzato per le societ del Terzo Mondo:
1) non c un percorso unico, lineare e necessario di modernizzazione. La situazione di partenza, il
percorso, gli esiti del processo sono differenziati. Ci non porta per a negare la possibilit di
un approccio sociologico a favore di un orientamento storicistico. possibile, invece, attraverso
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lanalisi comparata, delineare dei tipi ideali in senso weberiano che consentono di collegare
teoria e ricerca e di formulare delle ipotesi causali;
2) il processo di modernizzazione influenzato da fattori esogeni, e da eventi contingenti come le
guerre. Questi fattori non sono solo di natura economica, ma anche politica e culturale. I
particolare, i paesi primi arrivati tendono a condizionare lesperienza di quelli che si
muovono in ritardo creando stimoli (es. mobilitazione intellettuale di cui parla Bendix, ma
anche vincoli e condizionamenti legati a rapporti di potere economico, politico e militare).;
3) il processo di modernizzazione influenzato in modo decisivo dal tipo di risposta alle sfide
esterne che i fattori endogeni consentono.
3. LA NUOVA POLITICAL ECONOMY COMPARATA
Esauritosi il primo filone di studi sui paesi del Terzo Mondo, e dopo i grandi lavori di sociologia
comparata sulle societ pi sviluppate, il concetto di modernizzazione stato meno direttamente
utilizzato nella teoria e nella ricerca sociale.
Negli anni 70 il quadro delle esperienze di sviluppo dei paesi del Terzo Mondo si fatto pi
variegato: in alcuni nuovi paesi (specie nel continente africano) le difficolt sono continuate o
addirittura aggravate ed in altri (America Latina ed Est Asiatico) invece si sono verificati processi
rilevanti di sviluppo economico.
Questa situazione ha orientato la ricerca in due direzioni:
- si prende consapevolezza dei limiti sia della teoria della modernizzazione sia di quella della
dipendenza perch non erano in grado di rendere conto della crescente differenziazione dei
processi di cambiamento;
- prende campo un nuovo approccio che stato definito come nuova political economy
comparata che cerca di capire i fenomeni di dinamismo, stagnazione e regressione, servendosi
maggiormente di comparazioni tra un numero limitato di casi (alcuni studi hanno messo a
confronto i paesi dellEst asiatico, altri quelli dellAmerica Latina, ecc.).
3.1 Stato e sviluppo economico
Se gli studi sulla modernizzazione ponevano lattenzione prevalentemente sulla dimensione
culturale (lo stato doveva solo creare le precondizioni per lo sviluppo del mercato) mentre
lapproccio della dipendenza sulla dimensione economica (lo stato era debole rispetto agli interessi
economici interni e internazionali), nella political economy il fuoco posto sul ruolo dello stato,
che deve negoziare e controllare i rapporti internazionali.
Quali sono i fattori che influenzano lefficacia dellintervento statale? Sono due condizioni:
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- una buona macchina statale che possa contrattare con gli interessi esterni per indirizzare e
guidare lo sviluppo industriale allinterno; che possa tenere sotto controllo gli interessi di settori
particolari e potenziare le esportazioni;
- la presenza di una leadership politica orientata allo sviluppo, largamente autonoma dagli
interessi economici e sociali presenti nella societ;
- lisolamento istituzionale delle lite statali dagli interessi privati che importante affinch esse
possano giocare un ruolo di indirizzo strategico dello sviluppo, senza subire i condizionamenti
dei diversi settori.
Nel complesso la political economy comparata si presenta come una nuova sintesi caratterizzata da
una serie di elementi che ne distinguono lapproccio da quelli precedenti. I condizionamenti esterni
variano nei diversi contesti (es. linfluenza americana, legata a problemi geopolitici nellambito del
confronto con lURSS, ha facilitato lo sviluppo di alcuni paesi asiatici, mentre ha avuto un ruolo
meno favorevole in America Latina) e sono mediati dalla capacit strategica dello stato che dipende
dal formarsi di coalizioni di interessi economici e sociali che favoriscono o meno lautonomia delle
lite politiche; da tradizioni culturali che garantiscono la legittimazione della leadership; e da
tradizioni istituzionali che influiscono sullefficienza della macchina statale. Fattori culturali e
istituzionali condizionano dunque il processo politico ma non possibile predeterminare gli esiti e
le conseguenze. Su di essi incide linterazione tra gli attori sociali e politici sulla base dei
condizionamenti interni e internazionali. Dalla political economy comparata viene dunque
unimportante conferma allidea, gi maturata nellambito della sociologia storica, della
fondamentale variet dei processi di modernizzazione sul piano storico-empirico.
3.2 Civilt e sentieri di sviluppo
Allontanandosi dallapproccio della political economy ci sono stati dei tentativi recenti di studio
delle civilt in termini teorici, rifacendosi allimpostazione di Weber.
Da questi tentativi nasce una ricerca sul capitalismo asiatico che ha studiato le forme di
organizzazione dellattivit produttiva e le relazioni di lavoro in quei paesi. Nel capitalismo
occidentale limpresa ha unidentit forte, una struttura organizzativa dai confini ben delimitati e
rinforzati anche dalle norme giuridiche. Quello asiatico invece caratterizzato da imprese deboli
inserite in networks forti che comprendono oltre che le relazioni finanziarie e giuridiche, anche i
legami di tipo personale, familiare, e comunitario. Sul piano del lavoro i rapporti di tipo
contrattuale occidentali sono impersonali mentre quelli asiatici lasciano il passo a forme di
identificazione comunitaria nellimpresa.
Gary Hamilton giunge alla conclusione che:
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- ci si trova di fronte a specificit della sfera istituzionale economica e politica che non possono
essere spigate soltanto in una prospettiva di political economy ma che chiamano in causa il
concetto di civilt;
- un collegamento pi stretto tra processo di modernizzazione e tipo di civilt in cui esso prende
forma porta a negare lipotesi di una convergenza istituzionale dominata dal modello
occidentale.
I rapporti tra le istituzioni politiche ed economiche non possono essere compresi esclusivamente
con variabili che mirano a definire lautonomia e la capacit strategica dello stato bens con modelli
di legittimazione del potere che rinviano a delle visioni del mondo che hanno una matrice originaria
nellinfluenza delle grandi religioni, cio al concetto di civilt. In particolare, per il capitalismo
asiatico, importante il ruolo del confucianesimo (es. la civilt cinese distinta da quella indiana,
islamica e occidentale). In questa prospettiva dunque necessario richiamarsi allanalisi comparata
delle civilt che era stata avviata da Max Weber, utilizzando le visioni del mondo che sono alla
base delle grandi civilt nel senso proposto dal sociologo tedesco. Weber aveva gi intuito che il
confucianesimo costituiva un quadro di riferimento culturale tale da ostacolare lo sviluppo
capitalistico, ma che poteva anche fornire delle risorse rilevanti per adattarvisi.
Hamilton sottolinea che gli ostacoli che impediscono la piena affermazione dellautonomia
individuale, in campo politico ed economico; la forte insistenza culturale sugli obblighi di
appartenenza alla rete familiare, parentale e comunitaria; e la visione armonica del mondo in cui
lindividuo deve mantenere tale integrazione; ci fa comprendere meglio le forme di legittimazione
del potere politico che assumono le caratteristiche dellorganizzazione basata sui networks e su
relazioni di lavoro a forte impronta comunitaria. Paradossalmente, questi elementi tradizionali e il
minor grado di differenziazione sociali che avrebbero dovuto, per i teorici della modernizzazione,
costituire un ostacolo allo sviluppo, sono invece diventati una risorsa cruciale per il dinamismo
economico che addirittura suscita lattenzione crescente e stimola tentativi di imitazione nel mondo
occidentale.
Lesperienza asiatica porta a respingere lidea che la diffusione del capitalismo fuori dallOccidente
e i crescenti processi di globalizzazione delleconomia, prefigurino lavvento di ununica civilt
mondiale. Quindi lo sviluppo di uneconomia globale non si accompagna a una maggiore
uniformit istituzionale, ma piuttosto alla differenziazione dei processi di modernizzazione nelle
diverse civilt che offre risorse istituzionali diverse per adattarsi alle sfide delleconomia mondiale
(vedi cap. VI).
Anche Samuel Eisenstadt (1990) matura la convinzione che fosse necessario non rinunciare al
concetto di modernizzazione, ma ridefinirlo richiamandosi alle intuizioni e alle analisi di Weber
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sulle dinamiche interne delle diverse civilt. Anche per Eisenstadt le prospettive di studio della
modernizzazione si legano allindagine comparata sulle civilt. Al centro del suo approccio vi
lidea delle lite intellettuali e politiche come imprenditori istituzionali che si confrontano e si
scontrano per ridefinire lorganizzazione di una determinata societ sulla base dei quadri di
riferimento culturale offerti dalle diverse civilt. Il suo impegno di ricerca, sulla scia di Weber, si
concentrato prevalentemente allindietro, alla ricerca dei quadri di riferimento originari delle
diverse civilt. Resta pertanto aperto il problema di collegare pi direttamente i processi di
modernizzazione contemporanei ai caratteri specifici delle diverse civilt.
presto per dire se questa prospettiva verr percorsa in misura significativa in futuro, come i
contributi di Hamilton e di Eisenstadt suggeriscono, ma certo che nonostante i successi conseguiti
dalla political economy comparata, si manifesta lesigenza di collegare lormai riconosciuta variet
dei processi di modernizzazione a variabili che non siano soltanto politico-istituzionali ma anche
culturali.
Si pu dunque concludere notando come vi sia una ripresa di interesse per quella dimensione
culturale che era al centro dei primi studi e che viene oggi riconsiderata come elemento necessario,
anche se non sufficiente, per una visione pi matura, pi aperta e plurifattoriale della
modernizzazione e dei suoi esiti.
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CAPITOLO 3
LO STATO SOCIALE KEYNESIANO E LA POLITICAL ECONOMY COMPARATA
In questo capitolo ricostruiremo anzitutto i caratteri di quel modello di regolazione economica e
sociale che va sotto il nome di stato sociale keynesiano. Ne esamineremo il ruolo nel grande
sviluppo postbellico e quindi cercheremo di comprendere le cause del suo declino negli anni 70, in
parallelo con la crescita della inflazione e della disoccupazione. In tale contesto si guarda con
maggior interesse ai fattori politici e istituzionali, e al ruolo che essi svolgono nellinfluenzare le
attivit economiche. La sociologia economia si qualifica sempre pi come political economy
comparata
Nel corso degli anni 70 si manifesta una significativa ripresa della prospettiva di analisi della
sociologia economica nello studio dei paesi pi sviluppati per il fatto che leconomia keynesiana,
che avevano acquisito una notevole influenza sul piano teorico e pratico, sembrano infatti meno
capaci di fornire uninterpretazione adeguata della nuova fase di difficolt che investono le
economie dei paesi pi industrializzati con la contemporanea crescita di inflazione e
disoccupazione. Questi fenomeni che sembravano scomparsi o sotto controllo, negli anni della
grande crescita, si manifestano ora con una virulenza inattesa.
Si parla di crisi o di declino dello stato sociale keynesiano e ci si interroga sulle evidenti differenze
che emergono tra i paesi pi industrializzati nel far fronte alle nuove sfide. La comparazione tra i
diversi casi nazionali si afferma come metodo di particolare utilit per mettere a fuoco in che modo
i fattori istituzionali (soprattutto la dimensione politica ed il ruolo giocato dallo stato) influiscano
sulle tensioni economiche e sociali emergenti. Si manifesta cos una ripresa della sociologia
economica come political economy comparata (che vuole mettere in evidenza come i fattori politici
influenzino le attivit economiche ed interagiscono con esse), un approccio simile a quello che
abbiamo prima analizzato nello studio dei paesi arretrati. Inizialmente, il problema di ricerca
cruciale costituito dallorigine dellinflazione e dal suo grado di controllo nellOccidente pi
industrializzato (livello macro) ma successivamente, negli anni 80, questo approccio affronter la
questione pi generale della competitivit e del grado di dinamismo nei diversi tipi di capitalismo
(livello macro combinato a quello micro).
Si tratta di un interscambio tra la political economy comparata e un secondo approccio nel quale
prende forma la ripresa della sociologia economica a partire dagli anni 70, la nuova sociologia
economica, che studia le trasformazioni del modello di organizzazione produttiva fordista e
lemergenza di nuovi modelli flessibili.
1.ASCESA E DECLINO DELLO STATO SOCIALE KEYNESIANO
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Nella sua brillante ricostruzione, Shonfield (1965) faceva notare come lintervento dello stato in
campo economico e sociale del secondo dopoguerra veniva concepito come strumento per uscire da
una situazione di forte depressione in unottica di breve periodo che considerava date le risorse, ma
che successivamente ci si discosta da tale quadro in due direzioni:
- si diffonde il keynesismo della crescita, cio il tentativo di usare lintervento statale, e
soprattutto la spesa pubblica, come strumento per sostenere lo sviluppo economico e non solo
per curare le depressioni;
- si diffondono i programmi di welfare indipendentemente dal ciclo economico e dalla situazione
occupazionale.
con riferimento a questi due fenomeni che si pu parlare di stato sociale keynesiano intendendo
un intervento pubblico che si allontana dalle concezioni originarie di Keynes e si realizza in forme
pi o meno estese nei paesi sviluppati dellOccidente: lidea di fondo che la politica della
domanda debba essere usata per favorire