the brain that changes itself
TRANSCRIPT
Cap. 8 Imagination
How Thinking Makes It So
“The brain that changes itself”, è un libro di
Norman Doidge contenente alcune storie di
pazienti e illustri medici, incontrati durante i
molti viaggi intrapresi, al fine di approfondire
il suo interesse per la “neuroplasticità”.
La neuroplasticità è la capacità naturale di modificare il
modo in cui i neuroni cerebrali sono collegati ed
organizzati in circuiti definiti connessioni sinaptiche del
cervello.
Ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo, il
cervello crea connessioni sinaptiche per formare
nuovi schemi o reti neurali.
Pascual-Leone è un leader mondiale nel campo delle
neuroscienze cognitive e le sue ricerche mirano alla
comprensione dei meccanismi che controllano e
modificano la plasticità del cervello nel corso della vita
di un soggetto.
Usando la TMS (stimolazione magnetica transcranica) per mappare il cervello delle
persone cieche che imparano a leggere il Braille,
l’autore ha concluso che quando gli esseri umani
imparano una nuova abilità si verificano dei
cambiamenti plastici.
Pascual-Leone, usando la TMS per mappare la corteccia motoria, trovò che le
mappe delle persone che leggono il Braille erano più grandi rispetto a quelle
di coloro i quali non erano in grado di farlo.
La mappatura è avvenuta il venerdì (al termine della settimana di
formazione), e il lunedì (dopo la sosta del fine settimana).
Fin dall'inizio dello studio, le mappe del venerdì mostravano un rapido
ampliamento, mentre quelle del lunedì non subivano alcuna variazione, se
non dopo il sesto mese di allenamento.
L’autore arrivò alla conclusione che le
differenze riscontrate (tra il lunedì e il
venerdì) erano da accreditare a diversi
meccanismi plastici: i cambiamenti
rapidi del venerdì rinforzavano le
connessioni neurali già esistenti mentre
il lento e più permanente cambiamento
del lunedì suggeriva la costituzione di
nuovissime strutture e la probabile
germinazione di nuove connessioni
neurali e sinapsi.
Ulteriori evidenze empiriche hanno
mostrato che è possibile cambiare la nostra
anatomia cerebrale semplicemente
utilizzando l’immaginazione.
Da uno studio emerge che gli individui che
IMMAGINAVANO di eseguire un pezzo al
pianoforte ottenevano una prestazione
quasi simile a coloro i quali
ESEGUIVANO realmente il brano.
Soggetti che suonano il pianoforte
Soggetti che immaginano di suonare il pianoforte
Eseguivano il pezzo due ore al
giorno per cinque giorni.
Erano seduti di fronte alla
tastiera del pianoforte due ore
al giorno per cinque giorni, e
immaginavano sia la
riproduzione della sequenza sia
il suono emesso.
Sorprendentemente, la pratica mentale da sola produceva, nel sistema motorio, gli stessi cambiamenti fisici riscontrati in chi REALMENTE eseguiva il brano.
Doidge spiega: "possiamo cambiare il nostro cervello
semplicemente immaginando”, poiché da un punto di
vista neuroscientifico, immaginare di fare e agire non sono
poi così diversi.
Quando le persone chiudono gli occhi e visualizzano un
semplice oggetto, come ad esempio la lettera A, la
corteccia visiva primaria si attiva, proprio come farebbe se
i soggetti stessero effettivamente guardando la lettera A.
Le scansioni del cervello mostrano che nell’azione e
nell’immaginazione molte delle stesse parti sono
attivate ed è per questo motivo che la visualizzazione può
migliorare le prestazioni.
Una delle forme più avanzate di pratica mentale è
“mental chess“ utilizzata da Anatoly Sharansky
(sovietico attivista dei diritti umani) per sopravvivere in
carcere: immaginando di giocare a scacchi, egli riuscì a
prevenire la possibile deprivazione sensoriale data dalla
condizione di prigionia e a preservare così la sua mente
dal degrado cognitivo.
In seguito divenne ministro in Israele.
Un altro caso è quello di Rudiger Gamm, un giovane tedesco di intelligenza normale, che si trasformò in un
fenomeno matematico in seguito ad una pratica computazionale di quattro ore al giorno.
I ricercatori lo sottoposero alla PET, durante un’esecuzione di un compito matematico, e trovarono
che egli era in grado di attivare più di cinque aree cerebrali per il calcolo rispetto alle persone "normali". Soggetti come Gamm confidano sulla memoria a lungo
termine per la risoluzione di problemi matematici e utilizzano concetti-chiave e strategie finalizzati ad
ottenere una risposta immediata; al contrario, soggetti normodotati si affidano esclusivamente alla memoria a
breve termine.
In un esperimento simile è stato osservato che l'esercizio fisico “praticato” aumenta la forza muscolare
del 30%, mentre quello “immaginato” del 22%. La spiegazione di ciò risiede nel fatto che sono i motoneuroni del cervello che programmano i
movimenti.
Da simile studi si è giunti allo sviluppo delle prime macchine che effettivamente "leggono" i pensieri
della gente. Esse funzionano grazie alla plasticità del cervello
che cambia fisicamente il suo stato e la struttura in relazione al nostro modo di pensare.
Tali dispositivi vengono attualmente sviluppati per consentire alle persone completamente paralizzate di spostare gli oggetti con i loro
pensieri. Ciò fu messo in pratica nel 2006 dal neuroscienziato John Donoghue, che si occupò
del caso di un giovane paralizzato in tutti e quattro gli arti a causa di una lesione del midollo
spinale.
Una piccola placca di silicone con un centinaio di elettrodi fu impiantata nel suo cervello e collegata ad
un computer. Dopo quattro giorni di pratica il soggetto fu in grado, con il pensiero, di muovere un cursore del computer su uno schermo, aprire e-mail, giocare con
videogames e controllare un braccio robotico.
Se i nostri cervelli sono così plastici e mutevoli, perché
spesso si bloccano nella ripetizione rigida?
Pascual-Leone risponde usando la metafora del Play-Doh:
“l'attività del cervello è come modellare il Play-Doh”. Se si forma un quadrato e poi si fa una palla con esso è
possibile successivamente tornare al quadrato il quale però non presenterà le stesse caratteristiche di
quello inizialmente creato.
In altre parole, un paziente con un problema neurologico o psicologico può "guarito” ma non otterrà
mai lo stato di salute precedente la malattia.
I nostri cervelli sono così plastici che, anche quando noi
eseguiamo il medesimo comportamento giorno dopo
giorno, le connessioni neuronali responsabili sono ogni
volta leggermente diverse ……….
Se il cervello è come Play-Doh, come è possibile rimanere sempre
noi stessi?
Pascal- Leone risponde affermando che il cervello
plastico è come una collina ricoperta di neve.
Quando scendiamo con una slitta da una sommità
innevata non possiamo prevedere il punto in cui ci
fermeremo.
Sappiamo però che se scendiamo una seconda volta
percorreremo un tragitto diverso dal primo.
Allo stesso modo nel nostro cervello si formano tracce
che non sono geneticamente determinate ma sono
dovute alle nostre abitudini. Per tale ragione, dopo
averle create e acquisite è complicato individuarne altre.
Anche Norman Doidge sostiene l’ipotesi della
plasticità neurale, intendendola come
malleabilità e propensione al cambiamento.
Quest’idea rivoluziona la medicina e le scienze
tradizionali, secondo cui l’anatomia del cervello
sarebbe immutabile e destinata ad un progressivo
deterioramento.
Gli studi di Broca, Wernicke e Penfield sulla mappatura
delle aree del cervello, in base alla quale a ogni
funzione corrisponde una sede precisa, sono troppo
rigidi. Questo non vuol dire che la genetica non abbia
un ruolo, ma non bisogna lasciarsi inghiottire dalla
visione meccanicistica della localizzazione delle
funzioni. Mentre un tempo si pensava al cervello come
ad una macchina le cui parti, una volta danneggiate, non
erano più recuperabili (localizzazionismo), oggi si è
dimostrata l’attivazione di aree non specializzate che
compensano il deficit delle aree soggette a lesioni.
L’idea del cervello come
macchina è stata un prodotto della
visione meccanicistica della natura,
portata avanti dalla fisica
galileiana.
Alcuni scienziati (i cosiddetti “neurologi dinamici”) si
sono orientati verso la neuroplasticità, in quanto si sono
accorti che quando una parte del cervello smette di
funzionare, un’altra può sostituirla. E la cosa molto
interessante è che questa sostituzione può essere
accelerata e incrementata da una riabilitazione
neuroplastica.
Il che significa che l’ambiente, cioè fattori esterni al
cervello stesso, possono contribuire, ad una sostituzione
più o meno parziale, di una parte del cervello rispetto ad
un’altra.
Questi scienziati hanno dimostrato come alcuni pazienti
dichiarati incurabili riuscissero invece a guarire, e non
per merito di cure farmacologiche, bensì grazie
alla capacità del cervello di ri–calibrarsi, ovvero grazie
alla sua plasticità. In pratica se alcune componenti
cerebrali subiscono un danno, altre possono venir loro
in soccorso e sostituirle, sopperendo a quelle carenze e
rimettendo in moto un congegno che altrimenti
resterebbe inceppato.
Il “cablaggio” è una metafora che avvicinava il
cervello alle macchine, in particolare
all’hardware di un computer, con circuiti
connessi in modo permanente,
ciascuno progettato per svolgere una funzione
specifica e immodificabile.
Il darwinismo neurale (Gerald Edelman )
Questa teoria fornisce un ponte tra la prospettiva localizzazionista (ogni area è strettamente deputata a una funzione) e quella neuroplastica (abilità del cervello di ristrutturarsi). L’obiettivo è formulare una teoria del cervello che tenga conto della complessità dei fenomeni neurobiologici non solo nella loro specificità e unicità, ma anche al di là dell’analisi del funzionamento dell’una o dell’altra regione cerebrale.
Cartesio e il suo modello del "cervello meccanicistico" sembravano aprire un divario
incolmabile tra mente e cervello. Invece, secondo Doidge “ogni pensiero altera lo stato
fisico delle sinapsi cerebrali a livello microscopico.”
Ne consegue che immaginare un atto e compierlo realmente coinvolge le stesse aree
sensoriali.
CONCLUSIONI
La conclusione a cui è giunto Norman Doidge
è che sia possibile, senza uso di farmaci o di
interventi, aiutare le persone affette da deficit
cerebrali a operare le giuste trasformazioni: il
motto è use it or loose it, usalo o lo perderai.
«Come diceva Socrate: è possibile esercitare
l’organo del pensiero così come gli atleti
esercitano il loro corpo».
Insomma, l’idea che la natura non abbia posto
limiti alla perfettibilità delle facoltà umane è
davvero confortante. E per quanto questa teoria
aprirà inevitabilmente la strada a dibattiti e
ipotesi contrastanti, mi piace, perché mi stimola
a guardare avanti con ottimismo, sempre più
convinta che non si finisce mai di imparare e di
godere della vita.