the books we want to read medea knight, fra, noir, ale c...

192
Traduzione a cura di The Books We Want To Read Revisione di Medea Knight, Fra, Noir, Ale C., Claude, Juls, DustAngel Link pagina: https://www.facebook.com/The-books-we-want-to-read- 258712084286861/ Link sito: http://thebookswewantoread.altervista.org/

Upload: vantruc

Post on 18-Feb-2019

213 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Traduzione a cura di The Books We Want To Read

Revisione di Medea Knight, Fra, Noir, Ale C., Claude, Juls, DustAngel

Link pagina: https://www.facebook.com/The-books-we-want-to-read-

258712084286861/

Link sito: http://thebookswewantoread.altervista.org/

Per Jonah ed Ellie: le luci più piccole ma luminose del mondo

E ai Cheese Sandwhiches della classe della Wheeler School del 2019: la mia prima

classe di dodicenni. Vi avevo promesso che vi avrei dedicato un libro. Portate in alto

il nome della vostra classe e scrivete storie in grado di volare!

INDICE

CAPITOLO 1 ............................................................................................... 6

CAPITOLO 2 ............................................................................................. 13

CAPITOLO 3 ............................................................................................. 19

CAPITOLO 4 ............................................................................................. 23

CAPITOLO 5 ............................................................................................. 28

CAPITOLO 6 ............................................................................................. 38

CAPITOLO 7 ............................................................................................. 47

CAPITOLO 8 ............................................................................................. 59

CAPITOLO 9 ............................................................................................. 69

CAPITOLO 10 ........................................................................................... 78

CAPITOLO 11 ........................................................................................... 87

CAPITOLO 12 ........................................................................................... 93

CAPITOLO 13 ......................................................................................... 103

CAPITOLO 14 ......................................................................................... 108

CAPITOLO 15 ......................................................................................... 115

CAPITOLO 16 ......................................................................................... 123

CAPITOLO 17 ......................................................................................... 127

CAPITOLO 18 ......................................................................................... 134

CAPITOLO 19 ......................................................................................... 139

CAPITOLO 20 ......................................................................................... 151

CAPITOLO 21 ......................................................................................... 161

CAPITOLO 22 ......................................................................................... 166

CAPITOLO 23 ......................................................................................... 174

CAPITOLO 24 ......................................................................................... 181

RINGRAZIAMENTI ............................................................................... 192

Cara Ragazza in Rosso,

Ti ho sognata di nuovo, stanotte. Eri in un campo di lavanda che si estendeva fino

all’orizzonte. Il sole stava tramontando. Dove sono questi mondi che non posso

raggiungere? Perché sei sempre lì? Eri ferma in mezzo a questo campo, con indosso un

vestito rosso. Quando ti ho raggiunta, sei sparita, senza lasciar nulla dietro di te se non

una piuma color cremisi. È un simbolo? Cosa stai cercando di dirmi?

Oggi è l’anniversario del terzo anno. Sono passati tre anni da quando Justin Enos è

scomparso da scuola. Hanno detto che è sparito, che è stato rapito dalla sua stanza nel

cuore della notte. Nessun segno di reato. Nessuna impronta. Solo una camera vuota.

Hanno trovato i bastoni da lacrosse appoggiati contro il muro, le tazze di caffè

rovesciate e i compiti di Inglese incompleti.

Hai qualcosa a che fare con questo non è vero? Ragazza in rosso, vieni da me. Vieni

da me e dimmi il tuo nome. Sei reale?

Dovrei esserti accanto. Lo sento. E lo sai anche tu. La verità è nei tuoi occhi.

Rhode

CAPITOLO 1

Traduzione: *Haruka*

Revisione: Fra

1418, Hampstead, Inghilterra – la Landa

«Genevieve Beaudonte! Devi esercitarti con l’alfabeto… stasera» dissi accanto ad

una fila d’alberi del frutteto. Dov’era finita?

Raccolsi l’ultimo cesto di mele proprio mentre il rombo di un tuono mi faceva rizzare

i peli sulla nuca. Nuvole grigie fluttuavano nel cielo in una danza perpetua, aprendosi

e chiudendosi tra loro. Ispirai l’odore del terreno e delle mele appese agli alberi sulla

mia testa. Mia sorella di tre anni, con in dosso un vestito lercio, saltò davanti a me. I

suoi corti capelli mossi erano tutti scompigliati.

«Un tuono! Lo hai sentito Lenah? Il mio preferito!» strillò Genevieve.

La presi per mano mentre ci allontanavamo dal frutteto di mio padre e ci dirigevamo

verso casa.

«È il tempo perfetto per esercitarti con l’alfabeto» dissi.

«Ma perché? È difficile» si lamentò Genevieve, scuotendo la testa.

«Un giorno ne avrai bisogno» risposi, e gentilmente la spinsi in avanti, per far sì che

accelerasse il passo.

Un’immagine mi sopraffece: spingevo tranquillamente il mio migliore amico Tony

e lui inciampava. Si voltava verso di me, ridendo a bocca aperta. L’immagine arrivò

dritta come un proiettile: marciapiedi di cemento; vapore che saliva dalle tazze di

caffè; una scuola con una torre di pietra. Degli amici.

Perfino il più piccolo movimento poteva riportare alla mente i ricordi del mio luogo

preferito nel mondo moderno: il liceo Wickham.

«Perché?» chiese Genevieve. La sua voce mi riportò alla conversazione attuale.

«Perché devo imparare a leggere?»

«Te l’ho detto, quando sarai più grande capirai. Ma per il momento…» la tirai con

delicatezza per il vestito, così che si fermasse. Mi chinai per guardarla negli occhi:

erano identici ai miei, di un blu intenso. Aveva le ciglia più lunghe di chiunque in

famiglia.

«Per adesso dobbiamo tenerlo segreto. Nemmeno mamma e papà devono saperlo»

dissi.

«Raccontami di nuovo la storia stasera. Quella della signorina e del suo vero amore»

sussurrò. Si riferiva alla mia storia sulla regina dei vampiri. Quella che le avevo

raccontato nell’oscurità. Quella che parlava di Rhode… e me.

«Il nostro segreto?» chiesi.

Strofinò il nasino contro il mio e lo presi per un sì.

Mi rialzai e ci avviammo verso la casa poco distante. Il fumo del camino vorticava

nel cielo. Genevieve lanciò una mela in aria e, non appena questa rimbalzò sul suo

palmo, il peso della consapevolezza mi colpì allo stomaco.

Mi rialzai e feci un passo indietro, lasciando che Genevieve rincorresse la mela che

rotolava via.

Stava arrivando qualcosa.

Dovevamo scappare.

Ma ce l’avremmo fatta? Le braccia si coprirono di pelle d’oca. Quando una creatura

ultraterrena entra nel mondo umano l’energia cambia e l’aria crepita.

Le mie mani tremavano, così strinsi i pugni e continuammo a dirigerci verso casa.

Filare dopo filare, mi aspettavo che qualcosa o qualcuno si materializzasse tra gli

alberi. Una mano si sarebbe potuta stringere attorno alla corteccia, seguita da un corpo,

e quella persona, chiunque fosse, avrebbe potuto volerci fare del male. Perfino

ucciderci.

Genevieve continuò a saltellare lungo il tragitto.

«Tesoro» dissi. «Vai a casa. Di’ alla mamma che sarò lì tra poco.» La mia voce

tremava, ma speravo non se ne accorgesse.

«No. Voglio che vieni con me» disse, continuando a lanciare la mela su e giù, su e

giù. La fece cadere, la rincorse, l’afferrò e la lanciò di nuovo in aria.

Mi formicolavano le dita. Posai delicatamente il cesto di mele a terra. Se questo

essere soprannaturale aveva intenzione di fare del male a me o a Genevieve, avrei avuto

bisogno di avere le mani libere.

«Avviati» dissi a Genevieve. «Ho dimenticato qualcuno… volevo dire qualcosa» mi

corressi.

«Va bene» rispose con un lamento. Il deitro del vestitino rimbalzava, mentre

saltellava dentro casa. Con un pizzico di fortuna non si sarebbe voltata. Il chiavistello

si chiuse mentre fissavo la porta di legno della casa, aspettando di vedere se sarebbe

uscita di nuovo.

Chiusi nuovamente gli occhi e ispirai l’odore del terreno, dell’umidità opprimente e

della pioggia incombente. Cercai di calmarmi facendo dei respiri profondi. La pelle

d’oca comparve sulle mie braccia e il ronzio si fece sempre più forte, creando degli

schiocchi nell’aria.

Era dietro di me.

«Tre anni» dissi all’entità sconosciuta. «Tre anni e avevo finalmente smesso…» feci

una pausa, voltandomi «di guardarmi le spalle.» Ma la parola “spalle” venne interrotta.

Sussultai. Ci fu un’esplosione di luce rossa, uno scoppio acuto e il cielo si aprì. Mi

afferrai il petto mentre un corpo cadeva dagli alberi.

Suleen colpì il suolo con un colpo sordo. Corsi verso di lui e caddi in ginocchio al

suo fianco. Il suo abito bianco era strappato, ridotto a brandelli. Ferite di morsi erano

disseminate sul collo e sulle braccia. Erano il risultato di un attacco. Era inconfondibile:

dozzine di ferite circolari si espandevano sul suo corpo.

Ferite di vampiro.

Che razza di vampiro ne prosciuga un altro? E perché? Per il sangue? Non avevo

mai sentito niente del genere prima d’ora. Il sangue di un vampiro è inutile per un altro

vampiro. Deve essere bevuto da un essere vivente. È la morte dell’umano ad essere il

sacrificio magico; il sangue mantiene viva la mente in un corpo morto.

Aiutai Suleen a rimettersi in piedi. Il vampiro più antico e potente del mondo rilassò

la sua testa sul mio grembo.

«Justin è…» disse Suleen con voce spezzata.

Justin?

Posai le mani sulle spalle di Suleen e si impregnarono immediatamente del suo

sangue.

«Justin è cosa? É…» dovetti fare un respiro profondo per poterlo dire. «É morto?»

Suleen strinse gli occhi. «La luce del sole. È troppo.»

Mi alzai in piedi per ripararlo dal cielo. Sperai di fare abbastanza ombra.

«C’è una rivoluzione. Cammina nell’alba e torna indietro. Fermalo.»

«Una rivoluzione? Suleen, fermare chi? Chi devo fermare?»

Gli occhi di Suleen si riempirono di terrore; sembrava volesse farmi capire ad ogni

costo. Una linea rossa colò dall’angolo della bocca.

«É ancora un vampiro» ringhiò.

«Justin?» la voce mi tremava mentre parlavo. «Suleen, è impossibile. É stata proprio

Fuoco a dire che… se fossi tornata qui, nel mondo medievale, la storia sarebbe

cambiata. Il mio passato sarebbe stato cancellato.»

«Li ha creati con il tuo sangue» disse.

«Creato chi? Suleen, guardami.» Non aveva senso. Mi serviva più tempo.

Stava perdendo sangue troppo velocemente. Gli porsi il braccio, offrendogli il polso.

Se Suleen si fosse nutrito da me, le sue ferite sarebbero guarite subito. Ormai era ridotto

troppo male perché la rapida guarigione vampiresca potesse salvargli la vita.

Suleen aveva bisogno del mio aiuto e gli serviva il mio sangue.

«Bevi da me. Fallo» gli ordinai. Le sue deboli dita allontanarono la mia mano.

«Devi tornare indietro.» Strinse il mio abito nel pugno. «Justin ha creato…» doveva

fermarsi per trovare la forza per parlare. «Li ha creati dal… tuo…»

Farfugliò qualcosa ma non riuscii a capire. I suoi occhi si spalancarono ancora di più

mentre il sangue sgorgava dai morsi che aveva sul corpo.

«Uccidi Justin» supplicò.

«Suleen, ti prego.» Gli misi il polso sotto il naso.

Non si nutrì.

Un raggio di luce investì la cima dei meli, fino ad arrivare sul terreno del frutteto e

a noi due. Suleen alzò il mento al sole che faceva capolino dalle nuvole. Non riuscivo

a coprirgli tutto il corpo: i raggi di sole erano troppo estesi. Sorrise appena. I lati della

bocca si curvarono all’insù, abbastanza per farmi essere sicura che si stesse

crogiolando al sole.

E poi…

Il vampiro più antico mai esistito si trasformò in cenere.

Suleen era ancora tutto intero, ma sembrava una statua di cenere color avorio.

«No» sussurrai. Avrebbe sbattuto quelle ciglia polverose e mi avrebbe guardata con

i suoi occhi nocciola. Stava bene. Bastava solo avere pazienza.

La statua di cenere non accennava a muoversi.

Le mie dita tremavano mentre si avvicinavano alla sua sagoma. Non appena lo

toccai, si sgretolò in un mucchio di polvere. Sussultai e caddi in ginocchio.

Com’era possibile che qualcuno così indistruttibile fosse diventato cenere tra le mie

mani?

Mi alzai e mi guardai attorno. Come aveva fatto Suleen a tornare nel 1418? L’ultima

volta che lo avevo visto vivevo nel mondo moderno. Suleen, nonostante i suoi

incredibili poteri vampireschi, non poteva manipolare il tempo.

Cercai lungo le ombre grigie calate sul frutteto.

Fuoco poteva. Fuoco poteva viaggiare nel tempo.

Era un membro delle Eridi, uno dei quattro elementi del mondo: Terra, Aria e Acqua

erano gli altri. Era stata capace di cambiare il mio passato da vampira e di farmi tornare

dalla mia famiglia nel Medioevo. Cos’era successo in mia assenza?

Mi vennero in mente le larghe spalle di Justin e il suo sorriso luminoso. Non doveva

rimanere un vampiro. Non volevo pensare ai suoi capelli biondi e al suo tono

disinvolto, perché se era un vampiro voleva dire che ormai era diventato insensibile e

privo di personalità.

«Come?» chiesi ad alta voce al frutteto vuoto. Quando avevo visto Justin per l’ultima

volta Odette lo aveva trasformato in vampiro, ma le cose sarebbero dovute andare

diversamente una volta tornata nel Medioevo. Non lo avevo già detto a Suleen… che

la realtà sarebbe dovuta essere cancellata una volta che fossi tornata indietro?

Strofinai le dita e mi accigliai guardando i resti di Suleen.

Da umano Justin era un pazzo drogato di adrenalina, ma non era mai stato violento.

Non era possibile. Non Justin. Se aveva attaccato Suleen allora qualcuno lo aveva

influenzato, anzi incoraggiato, ad essere così pericoloso. Cosa aveva detto Suleen?

“Il tuo sangue… li ha creati.” La voce di Suleen risuonò nella mia mente.

Cosa aveva creato Justin con il mio sangue? No… più precisamente, come aveva

fatto ad avere il mio sangue se le Eridi avevano cambiato la storia?

Il rombo di un tuono, che risuonò molto vicino a me, mi fece sobbalzare proprio

mentre la prima goccia di pioggia cadeva sul mio naso. Un altro tuono!

E il cielo si aprì.

«No!» urlai, artigliando la terra prima che diventasse fango. Non potevo lasciare che

le ceneri di Suleen venissero spazzate via così; dovevano essere sepolte, con rispetto.

La pioggia si fece più violenta, abbattendosi sul frutteto.

«Lenah!» chiamò Genevieve dalla finestra aperta della casa.

Oh, no… non adesso!

Raschiai la terra, creando una buca in cui le ceneri potessero essere sepolte in

profondità. Le nocche sbattevano contro radici e rocce.

Scavai nel terreno con una sola mano, spostando le ceneri con l’altra. Continuai a

graffiare il suolo, spingendo all’interno i resti argentei. Allontanai le mani doloranti dal

terreno. Le nocche sanguinavano, creando linee rosate sulle dita. Sotto le unghie si era

accumulata la terra, ma non mi interessava. Le ceneri di Suleen erano sepolte al sicuro,

sotto la terra bagnata, e questa era l’unica cosa che contava per me. Lunghe ciocche di

capelli mi si incollavano addosso, facendomi scivolare sulla schiena delle goccioline

d’acqua gelida.

Non meritava di morire. Il suo sangue antico era colato sui miei vestiti dalla sua

bocca e dal suo corpo. Aveva macchiato e bagnato il mio abito da lavoro. «Vai nel…»

cercai di dire ad alta voce la familiare frase vampirica. Volevo augurare pace alla sua

anima. Perché era così difficile dire addio? Dopotutto, era stato lo stesso Suleen ad

insegnarmi a dirlo tanto tempo fa.

Sentivo la schiena pesante così mi piegai, posando i palmi delle mani sul terreno

fradicio. Non può essere vero. Non è morto, è uno scherzo.

Ma la pioggia continuava a cadere.

Afferrai l’orlo del vestito e strappai una strisciolina di tessuto bagnato. Il pezzo di

stoffa pendeva nella mia mano e cercai di legarlo al polso, come fosse un bracciale. Il

sangue di Suleen era sulla mia pelle e, anche se si fosse seccato, avrei indossato questa

stoffa al polso finché non si fosse strappata. Fino a quel momento avrei pianto Suleen

e la vita che aveva sacrificato.

«Vai» alla fine pronunciai la frase. «Nell’oscurità e nella luce.»

Tirai fuori dalla tasca del vestito un coltello e arrivai all’ultima fila del frutteto.

Afferrai una mela da un cesto lì vicino e tornai dove avevo sepolto le ceneri di Suleen.

Avevo la mela in mano, mentre rivoli di pioggia gocciolavano sulla buccia. La tagliai

nel mezzo, in modo da ottenere un pentacolo. Il torsolo e i semi creavano una perfetta

stella a cinque punte, un simbolo di vita, il simbolo dei quattro elementi: le Eridi.

Rimanemmo in piedi insieme, la stella ed io, sotto la pioggia, sopra le ceneri del mio

defunto mentore.

Fuoco doveva aver mandato Suleen da me; era l’unico modo in cui sarebbe riuscito

a tornare indietro nel tempo. Le avrei lasciato questo simbolo, così che sapesse che

avevo ricevuto il suo messaggio. Il pentacolo era rivolto verso il cielo, il paradiso, dove

speravo andasse lo spirito di Suleen… se esisteva davvero un posto del genere.

Meritava silenzio, pace e un luogo privo di sete di sangue.

Mi tolsi la pioggia dagli occhi con il dorso della mano, guardai il piccolo cumulo di

terra bagnata e scossi la testa. Non poteva essere, pensai di nuovo, ma era tutto vero.

Conoscevo fin troppo bene questo tipo di morte violenta.

«La Regina dei Vampiri», sussurrò una voce nella mia mente e giurai che fosse una

voce malvagia, come di scherno. Non sono una vampira. Non più.

Quando aprii la porta di casa, Genevieve allacciò le braccia contro il mio collo.

«Eccoti!» gridò. L’attirai a me e mi crogiolai nel tocco delle sue dita delicate.

Mentre chiudevo la porta alle mie spalle, lanciai un’ultima occhiata al frutteto, al

sepolcro… la mela era già scomparsa.

La figura di Genevieve era rannicchiata sotto le coperte. Tutto, ogni singolo filo di

lana, era suo stanotte. Invece di lottare con me per un pezzetto di coperta, tutto ciò che

era infilato sotto la lana erano due sporchi piedi nudi. Il mondo medievale non

permetteva il lusso di molte camere da letto, almeno non per la mia famiglia. Una

famiglia di contadini che viveva nel frutteto di un monastero.

Baciai la testa di Genevieve e lei si ficcò sotto le coperte.

«Je t’aime» dissi in francese e chiusi la porta.

La mela era il mio faro; Fuoco sarebbe venuta presto. Sarebbe arrivata all’alba,

proprio come mi aveva detto Suleen.

Scesi le scale e mi fermai alla piccola finestra che permetteva di osservare il frutteto.

Non avevo paura di decifrare il mistero. Ero stata la regina dei vampiri e, con la morte

di Suleen, qualunque cosa fosse successa, era chiaro che ora toccava a me sistemare le

cose.

Le dita corsero lungo il freddo davanzale. Indugiai con lo sguardo sulla sedia

preferita di mio padre e sul bastone con la testa di cavallo di mia sorella. Amava far

finta di cavalcare su e giù per il frutteto; i suoi boccoli rimbalzavano e la sua risata si

sentiva lungo tutti i filari. Chiusi ancora di più il mantello, così da conservare

all’interno il calore, e lanciai uno sguardo alle scale. Potevo andare di sopra a dormire,

facendo finta che non fosse successo nulla. Potevo alzarmi la mattina e lavorare. Scossi

la testa, perché non avrei mai potuto fare una cosa del genere. Non potevo e non volevo

lasciare Rhode, Tracy e il resto dei miei amici a torturarsi al liceo Wickham. La casa

cigolò nella quieta mattinata estiva. Presto le assi del pavimento avrebbero

scricchiolato sotto i passi familiari di mio padre.

La mensola del camino era fredda, il fuoco notturno si era spento. Il focolare aveva

lo stesso odore di mia madre... lavanda e rosmarino. Staccai un ramoscello del fiore

viola essiccato in un contenitore sul caminetto e lo infilai nella tasca del mantello.

Chiusi gli occhi, ispirai l’odore della mia casa: aria fresca, legna e svariate erbe. Nessun

posto, nei miei tanti viaggi, profumava di buono come questo luogo speciale.

«Ritornerò» sussurrai alla casa. «Lo prometto.»

Raggiunsi la porta e mi avviai verso il confine della nostra proprietà, verso il luogo

in cui, una volta, tanto tempo fa, Rhode mi aveva resa una vampira. In lontananza,

all’orizzonte, l’alba colpiva la terra.

Andai verso la luce.

I miei piedi calpestarono la morbida erba del mattino. La rugiada ricopriva le

cortecce degli alberi e i rami. Superai le ceneri sepolte di Suleen e allontanai lo sguardo

da quel luogo. Non sarebbe ritornato mai più.

Continuai a camminare e, quando voltai l’angolo, lì, alla fine del filare, vidi stagliarsi

Fuoco. Indossava un mantello rosso, dello stesso colore intenso dei suoi capelli. Mi

tese una mano e io accelerai il passo. Una volta raggiunta, lei indicò la terra che correva

lungo un’estremità di filari.

«Devo seguire quel sentiero per Wickham?» chiesi. Lei annuì e indicò la strada. Non

c’era bisogno di convenevoli. Non avevamo bisogno di salutarci. Il mantello di Fuoco

strisciava sul terreno mentre camminava. Ondeggiava avanti e indietro, sembrava quasi

perdere il suo colore, trasformando il mio sentiero in una luce brillante, color

mandarino. Gli alberi risplendevano di giallo e rosso. Ogni cosa, perfino le cortecce e

le foglie, ne erano sature. Mentre camminavo i colori tornarono ad essere marroni e del

colore naturale della terra.

Il frutteto era alle mie spalle e davanti a me c’erano alti platani.

Un edificio di mattoni moderno, con finestre di vetro, prese forma all’orizzonte. Un

familiare edificio di mattoni.

«Continua a camminare» disse Fuoco.

Il terreno sotto i miei piedi non era più soffice e friabile, ma duro e nero. Continuai

a seguire Fuoco mentre questa fluttuava davanti a me. Ispirai l’erba tagliata di recente

e l’inconfondibile odore di benzina. Inciampai in una radice o qualcosa di duro. Il mio

corpo barcollò e gettai le mani in avanti per frenare la caduta. E caddi, atterrando nel

campus del liceo Wickham.

CAPITOLO 2

Traduzione: Medea Knight, Fra

Giorni nostri

Mi rigirai i polsi; facevano male per l’impatto col suolo. Mi ritrovai carponi con le dita

sprofondate nella terra. Ero atterrata proprio al limitare della foresta di Wickham.

Davanti a me c’era il campus e dietro di me Main Street.

Lovers Bay, in Massachusetts, era una città di Cape Cod. L’odore di salsedine

dell’oceano era più pungente se paragonato agli odori di casa, di terra. I rumori

provenienti dal campus facevano eco intorno a me. Risate fragorose miste al suono di

veicoli commerciali da qualche parte lì vicino.

Veicoli commerciali. Non ne esistevano nel quindicesimo secolo.

Nonostante la morte di Suleen e il vuoto che sentivo nello stomaco, mi venne da

sorridere. Mi trovavo davvero lì, a Wickham… quasi non ci credevo. Mi sfrecciò

davanti una macchina e mi coprii le orecchie con le mani. Feci ancora più pressione

sulle orecchie, mentre arrivò anche un’auto della polizia con le sirene accese. L’era

moderna era inesorabilmente rumorosa.

Durante i tre anni di permanenza a casa, nell’epoca medievale, la colonna sonora

della mia vita erano stati i canti dei monaci e i sussurri con mia sorella sotto le coperte.

La sua risata.

Deglutii con forza. Quel mondo mi sembrava vuoto e metallico. Avrei sentito ancora

la sua risata solo nei miei ricordi, forse, per il resto dei miei giorni.

Lisciai la mia tenuta da lavoro, giusto per fare qualcosa con le mani, ma realizzai

che non stavo più indossando il mio abbigliamento medievale. Indossavo quel che avrei

indossato comunemente in epoca moderna: pantaloni neri, t-shirt e anfibi.

I vestiti di un soldato.

Sollevai il polso. Il fazzoletto intriso del sangue di Suleen era ancora legato lì.

Fuoco aleggiava accanto a me.

«Per le persone intorno a noi siamo invisibili» disse, mentre mi porgeva un gambo

di lavanda che avevo colto vicino la casa dei miei genitori; lo afferrai, senza nemmeno

incontrare i suoi occhi rosso mirtillo.

«Beh…» dissi, dopo essermelo messo in tasca. «Ora veniamo a noi.» Incrociai le

braccia e alzai il mento.

«Hai tutti i motivi per essere arrabbiata» disse lei.

«Suleen è morto» dissi andando dritta al punto e poi «Tu hai punito Rhode e me. Hai

detto che non potevamo stare insieme e per questo sono tornata, Fuoco. Hai detto che

così era più sicuro per quelli che mi lasciavo alle spalle» sbottai.

All’inizio non disse nulla. Bene. Rhode ed io non saremmo stati insieme. Io avrei

fatto ciò che Suleen e Fuoco mi dicevano di fare e poi avrei tentato di tornare nel mio

mondo medievale. Mi trovavo di nuovo lì, nonostante tutto quello che avevo provato a

fare.

«Le cose non stanno come si aspettavano le Eridi» disse Fuoco.

Era esitazione quella che percepivo nella sua voce?

«Dopo ciò che è trapelato qui nell’epoca moderna, tu e Rhode siete liberi di fare ciò

che volete» disse Fuoco, «ma non è semplice. Come da te richiesto, le Eridi lo hanno

riportato in vita; non porta con sè i segni della sua vita da vampiro. Non ricorda nulla

del suo passato.»

«Aveva diciannove anni quando è stato trasformato in vampiro. Non sembrerà più

grande rispetto a tutti gli altri studenti?» le chiesi.

«Non invecchierà come un umano finché non avrà compiuto diciannove anni. Ha un

mare di ricordi di Lovers Bay, ricordi da umano.»

«Deve sapere ciò che è accaduto a Suleen, Fuoco. Restituiscigli la memoria.»

«Non posso. Ciò che ho fatto a te e Rhode è…» si interruppe e i suoi occhi scarlatti

si fissarono su di me con un’intensità tale da farmi scorrere in corpo un fremito di

paura. Avrei voluto fare un passo indietro, ma mi trattenni dal farlo. «Non vedi

cos’abbiamo combinato?» continuò «Justin rappresenta un problema insormontabile.»

«Abbiamo? Ciò che veramente vorrei è che qualcuno mi dicesse cosa diavolo è

successo da quando me ne sono andata.»

Fuoco abbassò il capo. Non era umana, ma quel suo gesto indicava un fallimento

così palese, che mi colse di sorpresa. Fuoco non poteva intromettersi negli affari dei

vampiri. Le Eridi erano responsabili solo dei quattro elementi e del mantenimento

dell’equilibro tra gli esseri viventi. Non sarebbe mai stata un essere umano, in qualsiasi

modo si fosse comportata.

«Se non vuoi uccidere Justin» disse piano «al tuo fianco ci sarà qualcun altro,

qualcuno che non si preoccupa per te come faccio io. Qualcuno che ribalterà questa

decisione e continuerà a tenere separati te e Rhode» spiegò.

Feci un respiro molto profondo nel pensare alla spaventosa gerarchia dell’universo.

Fuoco era nei guai, perché il nostro piano era fallito.

«Possono sostituirti?» le chiesi piano.

Non mi rispose, ma poggiò una mano leggera e calda su una spalla.

«Aspetta, aspetta» dissi mentre nella mia mente macchinavo le giuste conclusioni.

Aveva detto che sarebbe stata sostituita da qualcuno che avrebbe separato di nuovo me

e Rhode. Quindi Rhode e io potevamo stare insieme.

«Io e Rhode… non dobbiamo più stare lontani?!»

Annuì.

Avrei voluto saltare in lungo e in largo. Correre per tutto il campus in quel momento

stesso e andare a trovarlo. Avrei voluto anche poggiarmi all’albero più vicino, perché

avevo il fiato corto. Respirai profondamente per ricompormi.

Fuoco esitò prima di parlare e colsi una nota di compassione nei suoi occhi mentre

continuava a parlare.

«Non sarei così eccitata al posto tuo. Non credo ricorderà mai il suo passato» disse

Fuoco. Le sue parole mi fecero subito tornare lucida. Pensa come un soldato, Lenah.

Toccai il tessuto insanguinato al mio polso.

«Rhode dovrà essere protetto» dissi «da Justin.»

Mi sembrava ancora più strano dirlo ad alta voce.

«Che facciamo ora?» aggiunsi, pratica.

«Justin è il re dei vampiri. Si è alleato con gli Svuotati.»

Mi stiracchiai. Se mi fossi sentita pronta e forte, avrei potuto venirne a capo. Avrei

pensato a un piano. Non avrei potuto immaginare un mondo in cui Justin fosse più

potente di Suleen. O persino in combutta con gli Svuotati… vampiri che avevano

rinunciato alla propria capacità di amare in cambio di potere e conoscenza: dei mutanti

del mondo sovrannaturale. Demoni.

«Perché è ancora un vampiro? So che non puoi immischiarti nelle faccende dei

vampiri, Fuoco, ma avevi promesso che il mondo sarebbe cambiato.»

«Purtroppo esistono anche cose al di là del controllo delle Eridi.»

Sentii crescere un altro moto di rabbia.

«Siete degli esseri onnipotenti. In grado di manipolare il tempo.» Mi fermai e scossi

la testa.

«Lasciamo stare. Lasciamo stare. Urlare questa cosa non cambierà nulla. Dimmi

solo cosa devo fare.»

Fuoco si slacciò la collana. Aveva un aspetto semplice: una catena d’oro con un

ciondolo rosso a forma di goccia. Fluttuò nell’aria verso di me e mi si appoggiò in

mano. Strinsi le dita attorno a quel gioiello liscio. Aveva un calore innaturale, come se

all’interno della gemma stessa vi fosse racchiuso un fuoco acceso.

«Cos’è?» chiesi.

«L’unica cosa che posso lasciarti: il potere della fiamma. Potrai utilizzarlo una sola

volta. Lancia la collana contro il tuo avversario e si scatenerà una conflagrazione così

mostruosa da incenerire chiunque voglia farti del male. Il fuoco. Niente di più, niente

di meno.» Scandì bene ogni singola parola, avvisandomi, «usala solo quando ne avrai

più bisogno.»

La piccola sfera brillava. Sembrava un’eco delle parole di Fuoco.

«Troverai pronta la tua storia una volta arrivata a Wickham. Per quelli che sono qui,

sei una nuova studentessa all’ultimo anno.»

Chiusi la mano intorno al gioiello caldo.

«Cosa sarebbe successo se avessi rifiutato questo compito?»

Fuoco tacque e alla fine disse «Temo si sarebbe stravolto l’ordine naturale del

mondo.»

Rabbrividii. Qualunque cosa avesse fatto rimanere Justin un vampiro aveva

sconvolto il naturale equilibrio delle cose. Doveva essere stato qualcosa di catastrofico

per convincere Fuoco e Suleen a riportarmi indietro.

«Dimmi una cosa» dissi, «i miei amici… non si ricorderanno di me?»

«Non ci vorrà molto perché lo facciano. L’anima riesce sempre a ricordare chi si è

amato.» La sua luce iniziava a sbiadire dal rosso acceso all’arancione.

La collana nel mio palmo roteava e risplendeva. Volevo chiederle come mai

avessimo fallito la prima volta, ma tutto quello che mi venne in mente fu: «E se avessi

bisogno di te?»

Ma la luce di Fuoco passò al giallo prima che riuscissi a finire di parlare e, in un

batter d’occhio, scomparve.

Fissai la collana, ma quando feci per tirarla su per controllare fosse messa bene… la

chiusura era scomparsa.

Mi girai verso il campus. Pochi passi e sarei arrivata sul sentiero di Wickham. Non

sapevo cosa mi aspettasse, ma sapevo di dover lasciare il bosco per iniziare quel nuovo

viaggio.

Prima di morire, nel frutteto, Suleen aveva spiegato tutto. Mi aveva riportato a

Wickham per portare a termine un compito al posto suo.

Uccidere Justin.

Mi azzardai a fare un passo verso il limitare del bosco. C’era gente che parlava al

cellulare e portava scatoloni nei propri dormitori. Genitori che restavano davanti le loro

grandi auto di lusso in attesa di portare piumoni e mini-frigo. Fuoco mi aveva

rimandata al collegio Wickham proprio il giorno del trasferimento degli studenti, in

modo che potessi cominciare l’anno con il resto del corpo studentesco. La sicurezza

camminava avanti e indietro per il sentiero e un grosso camion di cibo si fermò poco

prima dello studentato.

Cibo! Oh mio dio. Cibo. Migliaia di tipi di cibi deliziosi e che avrei potuto comprare

a tonnellate. Non avrei più dovuto cucinare. Avrei smesso di desiderare il caffè. Lì

avrei potuto averne uno in pochi secondi. Oh, mondo moderno, quanto mi eri mancato.

Sembrava non fosse cambiato nulla in tre anni. Perlomeno all’esterno. L’aspetto e

le nuove suonerie dei cellulari mi divertivano.

Una ragazza varcò il cancello, indossava un paio di jeans e degli stivali alti fino al

ginocchio. Se solo mia madre potesse vederla, pensai. Avrebbe pensato che quella

ragazza fosse un diavolo, non sapendo come avesse fatto a far cambiare colore alla

pelle di vacca. E che dire dell’innaturale colore della sua di pelle?

Feci un altro passo verso l’erba che si estendeva dalla biblioteca al cortile principale.

Il collegio Wickham.

Quelle due parole mi erano rimaste in testa negli ultimi tre anni. Come un sonetto.

O come il nome di una persona amata intensamente.

Toccai il gioiello appeso al mio collo.

Solo quando ne avrai più bisogno.

Dovevo trovare Rhode.

Il bisogno di rivederlo mi attraversava il corpo e mi faceva provare paura. Era un

mondo privo delle leggi delle Eridi, ma un mondo in cui Rhode non si ricordava di me.

Concentrati, Lenah. Bene. Cosa fare per prima cosa? In fondo, vicino lo studentato,

c’era un tavolo di benvenuto con dei palloncini dorati e viola… i colori della scuola

Wickham. Perfetto. Lì trovai quale camera mi era stata assegnata nel dormitorio e gli

orari delle lezioni.

Orari delle lezioni. Assurdo. Avrei dovuto andarci, no? Soprattutto se dovevo

fingermi una studentessa. Sbuffando cominciai a camminare di nuovo, ma un ragazzo

per poco non mi rovinò addosso. Con un berretto da baseball messo l contrario, alzò lo

sguardo verso di me, distogliendolo dai disegni che portava in mano.

«Wow, scusami» disse, «non ti avevo vista.»

Occhi a mandorla, zigomi alti.

Un bel viso.

Mi allontanai, portando una mano al petto.

Gli occhi di Tony Sasaki si spalancarono.

«Stai bene?» chiese.

Euforia, shock, felicità, euforia, felicità… shock.

Tony era vivo! Era davvero vivo e vegeto! Feci un passo verso di lui e gli misi la

mano sul petto. Il suo corpo si irrigidì al mio tocco.

Era caldo.

«Che stai…?» disse.

Mi sfuggì una risata e mi allontanai, lasciando ricadere la mano. Mi portai la mano

alla bocca e ricacciai indietro le lacrime.

«Sembra che tu stia per vomitare,» disse Tony.

«Tu,» sussurrai.

«Io…?» replicò.

Mi gettai su di lui, abbracciandolo. Mi sembrava di non riuscire a stringerlo

abbastanza. Mi diede un paio di pacche sulla schiena.

«Ciao, pazza…» disse.

Lo strinsi a me ancora una volta. Era lì. Era vivo.

Mi allontanai da lui. «Mi dispiace,» dissi.

«È di sicuro il più strano saluto che abbia mai ricevuto,» disse.

Fece una pausa, il suo volto divenne serio per un momento. «Quindi ho un attacco

di amnesia e mi sono dimenticato che ci conosciamo già, giusto?» disse. «Ci siamo già

visti?»

«No. Non ci conosciamo. O meglio, non ancora. Sono Lenah,» risposi goffamente.

«Oh!» esclamò lui. Un barlume di riconoscimento gli attraversò il viso, il che mi

fece trasalire. Mi indicò con la mano che reggeva i fogli. «Sei la ragazza nuova.»

«La ragazza nuova?»

«Una mia amica mi ha detto che la ragazza nuova sarebbe capitata in stanza con lei.

Ti darò una mano con la roba» disse, sembrando davvero lieto di aver trovato qualcosa

da fare. «Wow, è pesante.»

Mi voltai. Cosa era pesante?

C’era un baule rosso vicino ai miei piedi. Prima non c’era. Mi chiedevo quante altre

cose “rosse” sarebbero apparse.

«Quindi tu sei Tony,» dissi.

«Perché non mi sorprende che tu conosca il mio nome, ragazza misteriosa?»

Tony mi passò i suoi disegni e sollevò il mio baule.

«Sono davvero belli,» dissi. Mi aspettavo di vedere dei ritratti, visto che di solito

dipingeva quelli. Invece vidi delle raffigurazioni del cielo notturno, in tutte le tecniche

possibili: colori acrilici, pastelli, acquerelli. Mostravano costellazioni incredibili:

l’Orsa Maggiore, Cassiopea e Pegaso. La mia preferita. Aveva dipinto il cielo di blu

scuro e piccole pennellate bianche ricreavano la costellazione del cavallo. «Li adoro»

dissi, aggiungendo poi, «hai talento.»

«Oh, continua» rispose, fingendo modestia.

Tony mi indicò tutti i posti in cui sarei dovuta andare per completare tutte le

scartoffie burocratiche per la scuola. Ovviamente ciò significava che avremmo dovuto

fermarci all’edificio della Hopper a prendere la chiave della mia stanza. Mentre ci

avvicinavamo a quel posto così familiare, mi imposi di non guardare la grigia torre in

pietra dove, in un’altra vita, Tony era morto. Continuai a tenere lo sguardo fisso su di

lui e sul sole che risplendeva sul suo viso.

«Quindi… abbracci e salti sempre addosso alle persone quando le incontri per la

prima volta?» mi chiese.

Mi misi a ridere. «Solo con te, penso,» risposi, mentre apriva la porta.

Stupita dall’immagine del nostro riflesso, tenni lo sguardo incollato sulla porta a

vetri. Tony ed io entrammo.

CAPITOLO 3

Traduzione: Veru

Revisione: Fra

Tony aveva lasciato il mio baule vicino all’entrata della caffetteria per farmi prendere

un caffelatte con cacao estremamente delizioso. Una volta prese le chiavi e il mio plico

di benvenuto, uscimmo. Mentre sorseggiavo la mia bibita, finsi di leggere un foglietto

orientativo sui dormitori di Wickham. In realtà mi stavo inventando domande di cui

sapevo già la risposta per poter continuare a guardare Tony.

Raggiungemmo una bacheca accanto al sentiero vicino alla caffetteria. C’erano due

manifesti appesi. Ciascuno dei quali conteneva la foto di uno studente scomparso. Uno

era Justin. Era la sua foto per la scuola, quindi indossava una camicia elegante, blu con

i bottoni al colletto, ma nel manifesto era di un grigio chiaro. Il bel volto di Justin era

lo stesso – lo stesso naso sottile e la bocca imbronciata – ma in quella foto vedevo il

suo amore per la vita, il suo atteggiamento positivo e il suo bisogno di vivere al

massimo.

«Quella è Jackie Simms» disse Tony, indicando con un cenno del capo la foto del

secondo studente scomparso. Appoggiò il mio baule a terra e si asciugò il sudore dalla

fronte. «È scomparsa a marzo.» Senza dubbio la sua scomparsa era legata a Justin. Gli

occhi di Tony indugiarono un attimo di troppo sul manifesto di Justin.

«E?» Indicai la foto di Justin per vedere cosa sarebbe successo.

«Era un mio amico» disse mangiandosi un po’ le parole. «È scomparso da due anni.

Questo è il terzo.»

La voce di Tony si zittì e mi pentii di avergli chiesto di Justin.

«Mi dispiace» dissi e riprendemmo a camminare.

Tony mi accompagnò al mio dormitorio dall’altro lato del cortile, superando studenti

e insegnanti che stavano organizzando il primo giorno di scuola per l’indomani. Volevo

chiedergli di tornare in caffetteria, di fare una passeggiata sulla spiaggia, di andare a

prendere i miei libri come facevamo un tempo, ma dovevo tenere a freno il mio

entusiasmo. Non avrebbe ricordato quella vita. Per Tony, non era esistita.

«E io starò al…» controllai di nuovo il foglietto orientativo. «Starò al Turner?»

chiesi. Ah, giusto, non si ricordava che non ero mai stata a Turner come quasi tutte le

ragazze dell’ultimo anno. «Non sono nel dormitorio Seeker?»

«Vuoi vivere al Seeker? Lì ci vivono gli insegnanti. E la squadra di dibattito. Non ti

conviene vivere con loro.»

«No?»

«Il Turner è collegato al Quartz, il dormitorio dei ragazzi, da un corridoio. Perciò

possiamo fare avanti e indietro.»

«Ma mi hai appena conosciuta» dissi, piegando la testa. Dovetti strizzare gli occhi a

causa del sole. «Vuoi già vedere la mia camera?»

«Beh, in pratica hai pianto quando mi hai visto. Il che significa che sono un figo,

perciò ovviamente faremo avanti e indietro.»

Un figo. Si mangiava le sillabe. Sì, ero tornata nel mondo moderno.

«Vero…» dissi. «Sembra fantastico.»

Tony mi portò dentro Turner e lungo il corridoio. Avevo l’olfatto sovraccarico:

profumi, detersivo e prodotti per la pulizia. La lista era infinita. I tanti odori e il suono

della musica mi facevano ronzare la testa. Non ne ero affascinata come lo ero stata anni

prima, appena arrivata a Wickham. Era come tornare a casa, solo con un po’ più

rumore.

Il dormitorio Turner era fatto quasi solo di finestre sul lato destro. Vedevo benissimo

il bosco e la spiaggia di Wickham. I raggi del sole cadevano tra gli alberi formando

lunghi angoli dorati. L’inclinazione della luce indicava che erano le dieci del mattino.

Mia madre e mio padre erano già a metà giornata lavorativa. Mi chiesi se Fuoco avesse

organizzato il tutto in modo che non sentissero la mia mancanza e non si

preoccupassero della mia scomparsa. Mi toccai la tasca in cui era nascosta la lavanda

di mia madre.

«Questa è la stanza 102. Le lezioni iniziano domani. Ma la tua compagna di stanza

ti spiegherà tutto. È stata una fortuna che stessi tornando dalla città. Magari non ci

saremmo nemmeno visti.»

«Devo farlo un’ultima volta» dissi e riabbracciai Tony. Questa volta non si limitò a

darmi una pacca, ma mi strinse a sua volta.

Portò il baule nella mia stanza e lo poggiò accanto al letto ancora vuoto.

«Ok, ora torno in camera mia» disse.

Gli consegnai i suoi disegni, ma non resistetti e lo guardai allontanarsi. Avevo decine

di motivi per richiamarlo. Avremmo potuto prendere un caffè, chiacchierare sulla

scuola, oppure avrebbe potuto mostrarmi il suo spazio artistico nella torre.

No. Dovevo rientrare da sola in questo mondo e guadagnarmi la sua amicizia.

Dovevo anche trovare Rhode il prima possibile.

La mia stanza del dormitorio era abbastanza grande, con un letto singolo su ciascun

lato. C’era anche un’enorme libreria, una finestra a golfo e, al di là di un’altra porta,

un bagno. Una ragazza bionda uscì da lì con in mano uno spazzolino.

Beh, che io sia dannata.

Tracy Sutton.

«Ciao» disse sorridendomi. Si asciugò una mano bagnata sui pantaloni rosa del

pigiama. «Sei Lenah? L’ho pronunciato bene? Io sono Tracy.»

Ci stringemmo la mano e questa volta lottai contro l’impulso di gettarle le braccia al

collo. Trecy aveva provato a sconfiggere Odette, una feroce vampira. Era stata disposta

a battersi con una stanza piena di vampiri per Rhode, Vicken e me.

«Ho preso il lato sinistro. Spero vada bene?» chiese Trecy.

Annuii. Per Tracy qualsiasi cosa.

«Sì, va benissimo» dissi. Non potevo fare la compagna di stanza strana e muta.

Sul suo letto c’era un piumone blu scuro con delle conchiglie. Aveva appeso delle

foto in bianco e nero di coppie che si baciavano e dei suoi amici… il respiro mi si

mozzò nel petto. In alcune foto c’era Justin.

Andai allo specchio sopra il suo cassettone. Tracy e Justin avevano posato per la

foto di un ballo invernale. Dei fiocchi di neve finta cadevano su uno sfondo fatto di

stoffa blu scadente. Le guance di Tracy erano più piene in queste foto. Secondo una

stima, erano state scattate durante il suo primo anno.

«Questo è…» chiesi, indicando la foto. Nascondilo, Lenah. Sii più furba. «… il tuo

ragazzo?»

Il suo sorriso svanì immediatamente. Non va bene, Lenah. Non va bene.

«Beh, sì. Cioè, ci siamo lasciati prima che… non più.»

«Prima che…?»

«È scomparso. Da quasi tre anni. Ti capiterà di vedere la sua foto in giro per il

campus.»

Mi diede un attimo le spalle e posò lo spazzolino sul cassettone.

«Allora, sei inglese?» Si girò di nuovo verso di me, con un enorme sorriso finto.

«Ah, ehm, sì» dissi. Riprenditi. Avevo degli affari da sbrigare. C’era un motivo se

Fuoco mi aveva lasciato il baule. Lo aprii.

«Come Rhode Lewin» disse. «È l’altro inglese del campus.»

A sentire il suo nome sentii contorcersi le budella.

«Studente in scambio?» chiesi facendo la finta tonta. Spostai un paio di maglioni e

la luce illuminò il manico di un pugnale riccamente ornato. C’erano almeno altri

quattro pugnali dentro, perciò chiusi il baule e mi ci sedetti sopra.

«Sì. Tutte le ragazze del campus sono innamorate di lui. Ma forse tu avrai più

fortuna, visto che avete qualcosa in comune. La vostra provenienza.» Tracy si era

cambiata e aveva preso un cardigan rosa. «Vorrei restare, ma…» Si fermò e abbassò

un po’ la testa. Le sue guance diventarono rosse. «Ho il provino per il coro.»

«Coro?» Non riuscii a nascondere la traccia di entusiasmo nella mia voce.

«Sì, canto…» Cantò la parola canto, ed anche piuttosto bene.

«Davvero?»

Scosse la testa e i capelli color miele le ricaddero sul viso spigoloso. Quando sorrise

restai colpita dal bianco dei suoi denti. I denti scintillanti come la porcellana erano un

segno del mondo moderno. Mia madre se n’era accorta quando ero tornata e avevo

impiegato settimane a creare uno spazzolino come si deve. Nel mondo medievale non

c’erano spazzolini. E di certo non c’era il fluoruro.

Tracy si tolse i capelli dagli occhi.

«Se non faccio adesso l’audizione, non la faccio più.» Fece spallucce.

Cercava di fingere che non le importasse, ma era ovvio il contrario.

«Beh, io non ho alcun talento musicale, perciò sono colpita» risposi.

«Bene, almeno so che ci sarà una faccia amica tra il pubblico.»

Si mise lo zaino in spalla.

«Vuoi che venga?» le chiesi.

«No, no. Credimi. Due ore di assoli imbarazzanti? Se cerchi qualcosa da fare, c’è la

caffetteria – ci sono delle TV lì dentro – o la spiaggia, ma la squadra di vela farà delle

dimostrazioni. Hanno costruito una fattoria enorme quest’estate, se ti piace questo

genere di cose. La vita sostenibile, o quel che è.»

La sostenibile che?

«È vicino al fienile, dietro il campo di lacrosse. Al limitare del campus. Quando

torno possiamo pranzare insieme? Dovrei tornare per mezzogiorno, circa.»

«La fattoria» risposi. «Perfetto.»

A dire il vero, avevo capito solo la metà di quello che aveva detto.

Anche se la fattoria era proprio quello che mi serviva. Mi avrebbe confortata la

vicinanza degli odori di casa.

Quando Tracy se ne fu andata, mi misi subito in ginocchio e ispezionai il baule di

Fuoco.

Vestiti.

Una lattina piena di soldi.

Spostai i maglioni da un lato. Sotto c’era un pugnale. Lo strinsi piano nel palmo

della mano. Serrai le dita intorno all’impugnatura rosso sangue e questa si riscaldò al

mio tocco. Girai la lama e il rosso scuro, il rosa e il rosso granato si riflessero sul

pavimento, creando dei giochi di luce color sangue. L’impugnatura era fatta di rubini.

C’era anche una spada lunga. Non era l’arma che era appartenuta a Rhode quando

faceva ancora parte dell’Ordine della Giarrettiera. Quella vita non esisteva più. Quando

estrassi la spada dal fodero, nell’argento brillò un rosso cremisi, come se i capelli di

Fuoco avessero attraversato velocemente la lama. La cercai lì dentro.

«Fuoco?»

Aspettai, sperando che comparisse il suo viso e mi parlasse, ma il metallo restò

d’argento.

Misi a poso le armi, feci scattare il lucchetto e infilai la chiave del baule nello stivale.

Controllai l’orologio.

Rhode.

Il suo nome mi attraversò la mente come una preghiera. E sentii anche le parole di

Fuoco.

Credo che non ricorderà mai il suo passato.

Era ora di cercarlo.

CAPITOLO 4

Traduzione: *Haruka*

Revisione: Medea Knight

Tracy aveva ragione. Ora, sul retro del campo principale di lacrosse, si stagliava un

fienile. Parallelamente a questo c’erano degli appezzamenti di terra separati da una

staccionata di legno. L’assoluta familiarità del verde che cresceva e l’inconfondibile

soffice pianta di menta mi fecero sorridere, solo per un istante. Sembrava quasi casa

mia… beh, se non fosse stato per il piccolo trattore a motore fermo alla fine della

fattoria. Oh, e per l’elettricità. Mi fermai accanto al fienile, incrociai le braccia e godetti

della vista delle verdi piante di pomodori e delle tante piccole zucche che crescevano

lì attorno. I miei genitori sarebbero corsi da una pianta all’altra, felicissimi

dell’assortimento. Toccai il pendente che avevo al collo; si era riscaldato al sole

mattutino.

Qualcuno sta venendo verso di me. No, stanno saltando verso di me. Mi stanno

attaccando! Alza le mani! Proteggiti la faccia! Il mio corpo cercava di dare seguito ai

miei pensieri.

Uomo. Maglietta nera, capelli neri.

Avvertii una spinta al petto e caddi all’indietro. La mia testa batté contro il terreno

e una miriade di luci bianche esplose davanti ai miei occhi. Ebbi a malapena il tempo

di alzare le mani verso il mio aggressore.

Inalai un profumo come di resina e di notti colme dello sgocciolio della cera delle

candele.

Rhode.

Dovunque andrai, io verrò con te.

Le parole che Rhode mi aveva rivolto risuonarono nella mia mente. Era davanti a

me ed irradiava la stessa aura protettiva che avevo amato per così tanto tempo. Mi

parlava, ma in realtà stava controllando la parete del fienile.

«Ti saresti potuta fare male. Stanno diventando sempre più imprudenti.» Rimase in

silenzio. «Arcieri» aggiunse con un ringhio.

Drizzai le orecchie. Avevo sognato la voce di Rhode e come sarebbe stata se l’avessi

sentita di nuovo. Era così familiare e profonda, eppure l’inflessione e l’enfasi su certe

sillabe erano diverse rispetto a prima. Dovetti ricordare a me stessa che quello era il

Rhode del mondo moderno, senza ricordi della sua vita da vampiro.

Dal punto in cui mi trovavo sul terreno, seguii la lunghezza del suo braccio teso.

Una freccia con una piuma rossa alla fine, o sulla coda, se così si poteva definire,

era conficcata nel legno del fienile. Ma non riuscivo a concentrarmi sulla freccia. La

bellezza di Rhode mi aveva lasciata senza parole. I suoi capelli erano corti, aveva un

taglio moderno. Si muoveva in modo così agile. Di sicuro ero seduta lì a fissarlo da

parecchio, ma non mi importava.

Rhode si avvicinò, controllando l’asta di legno della freccia. Il sangue gli pulsava

nelle vene e dei peli crescevano sulle sue braccia. Per centinaia di anni Rhode era stato

costretto a non esporsi al sole. E adesso… era abbronzato. Seguii la pelle dorata del

suo braccio fino alla punta delle dita, che ora stavano tirando l’estremità della freccia.

Con il cuore sul punto di esplodere, rimasi a terra aspettando che mi guardasse. Ero

quasi svenuta aspettando che succedesse. I suoi occhi blu erano completamente

concentrati sulla freccia e io deglutii. Si era conficcata proprio nella parete dov’era

stata la mia testa poco prima.

«Un momento…» disse prendendo la freccia. «Questa non è una freccia di

Wickham» biascicò. «Chi userebbe la testina di un rasoio? Pazzi.»

Abbassò lo sguardo verso di me. Rimase a bocca aperta e indietreggiò.

«Tu» disse. Abbassò la voce. «La ragazza in rosso.»

Una sensazione di eccitazione mi attraversò.

«Io?»

Le sue labbra si schiusero mentre mi osservava. Scosse la testa e riprese a parlare

come se non si fosse fermato nel bel mezzo della frase “la ragazza in rosso”, qualunque

cosa volesse dire.

«Volevo dire, stai… stai bene?» balbettò. Si chinò verso di me e la sua mano afferrò

la mia. Dopo avermi aiutata ad alzarmi, le nostre mani non si staccarono.

«Credo di sì» risposi. La sua presa era forte, confortante.

Rhode abbassò lo sguardo. «Mi fa piacere.»

«Come hai fatto a vederla volare così velocemente?» Continuavamo a tenerci per

mano. «Mi hai spinta via in tempo, non è vero?»

«Sono un arciere» disse e mi lasciò la mano.

Volevo osservare la freccia per vedere se potevo capirne l’origine. La mia vecchia

vita mi aveva preparata. Riuscivo a fare un centro perfetto da sessanta metri quando

avevo la mia vista da vampiro.

Rhode teneva la freccia in modo strano, quasi come se stesse cercando di

nasconderla dietro di se. Continuò a tenerla così quando incrociò di nuovo il mio

sguardo. Quel blu familiare mi colpì al cuore. Avevo cercato quel blu in ogni cielo

medievale, nei fiori che crescevano sulla terra ma mai, nemmeno una volta, lo avevo

trovato. Fino ad allora.

Tre anni. Erano passati tre lunghi anni da quando avevo visto per l’ultima volta

quello sguardo.

«Il tuo accento. Non sei del sud dell’Inghilterra» disse.

«Ho vissuto nel Derbyshire per la maggior parte della mia…»

Oh, cavolo. Come avrei dovuto definire 592 anni? Vita? In mancanza di

un’espressione migliore, usai quella.

«Ho vissuto nel Derbyshire per la maggior parte della mia vita. In un piccolo

villaggio chiamato Hathersage.» Aspettai per vedere se il nome avrebbe innescato una

qualche reazione.

Rhode aprì la bocca per dire qualcosa, ma non emise un suono. Non riuscivo a

capirlo. Senza dire altro si diresse verso l’edificio principale del campus.

«Aspetta» lo chiamai. Rhode si voltò a guardarmi, ma scosse la testa incredulo.

Qualcosa di me lo preoccupava. «Grazie» dissi. «Sarei potuta morire. Sarebbe stata una

causa bella grossa per la squadra di tiro con l’arco della scuola.» Risi. Ma quando non

ricambiò la risata mi schiarii la gola. «Sono Lenah.»

«Rhode» rispose lui. Non potei non ignorare, ancora una volta, l’esitazione nella sua

voce. Prima che potessi aggiungere altro, mi voltò le spalle, di nuovo, e se ne andò.

Volevo seguirlo. Feci anche un passo, ma una folata d’aria fredda sferzò le foglie e

le piante. I rami si agitavano contro vento. La natura aveva sempre il suo modo di

avvertire in caso di presenze magiche. Di qualcosa di non umano. Cerca gli indizi, mi

aveva insegnato Rhode. E saprai quando un vampiro è vicino.

Ma dove?

Osservai con attenzione tutta la fattoria di Wickham. Il bosco si dispiegava

parallelamente a quest’ultima, seguito dalla spiaggia. Le piante di pomodori erano in

piena fioritura e i pomodori rossi e rotondi mi ricordavano le mele appese nel frutteto

di casa. Ispirai profondamente, inalando il profumo della menta e della terra.

Avrei potuto quasi rilassarmi. Quasi…

Passai la mano sul delicato tessuto avvolto attorno al polso e lo tenni tra il pollice e

l’indice.

Al di là della fattoria, nel bosco, un paio di occhi scuri mi fissavano da dietro delle

sopracciglia cespugliose.

Occhi di vampiro. Erano come vetro. Anche se era abbastanza lontano da me, sapevo

che il vampiro non era Justin, ma un ragazzo che non riuscivo a riconoscere.

Spuntò fuori dal bosco e la luce del sole lo illuminò. Balbettai qualcosa. Allungai

perfino le mani per afferrarlo. Volevo allontanarlo dai raggi solari, ma lui continuava

a camminare, fermandosi poi a mezzo metro da me.

«Come a fai a stare al sole?» chiesi quando mi raggiunse. «Quanti anni hai?»

«Lenah Beaudonte» disse in risposta. La sua voce era profonda e aveva un accento

italiano. Al collo aveva un pendente: una R d’argento all’interno di un cerchio.

«Aspettavo questo momento.»

Forse si ricordava di me?

«Devi prepararti» disse. Doveva essere un effetto della luce perché, anche dopo aver

sbattuto le palpebre più volte, il colore dei suoi occhi era davvero strano. Erano

argentati?

«Lenah!» chiamò Tony dietro di me. Veniva dallo studentato. La testa del vampiro

scattò verso Tony. Poi si voltò e scavalcò la recinzione della fattoria. Si muoveva con

grazia e agilità. La gravità contava poco per lui… saltò dall’altro lato con un balzo e in

pochi passi fu nel bosco, nascosto nell’ombra.

«Aspetta!» urlai, seguendolo, ma la staccionata mi impediva di raggiungerlo.

«Prepararmi per cosa?» gridai, ma non ricevetti risposta.

Maledizione.

L’odore del mare arrivò fino al campus con una calda brezza.

Chiunque fosse, il vampiro se n’era andato.

«Deve essere uno che va in giro per il Paese» disse Tony. Mi si avvicinò.

«Hai riconosciuto quel…» scelsi le parole attentamente, «tipo?» chiesi a Tony.

«No. Era veloce però. Di che stavate parlando?» Raccolse un pomodoro e lo strofinò

contro la maglietta, come fosse una mela. Lo morse e si pulì la guancia dal succo con

il dorso della mano.

«Non mi ha detto niente. Era davvero strano.»

«Dimenticalo… c’è il chili per pranzo e il primo dell’anno è sempre il migliore.»

Mentre Tony ed io camminavamo, mi tornarono in mente le ultime parole di Suleen:

C’è una rivoluzione. Vai verso l’alba e torna indietro. Guardai nuovamente il punto in

cui si trovava il vampiro prima. Possibile che la rivoluzione di cui parlava Suleen fosse

una rivoluzione di vampiri?

«Sei stranamente silenziosa» disse Tony aprendo la porta dello studentato.

«Nervosismo da primo giorno» mentii. Avrei voluto che Vicken fosse qui.

Vicken. Il pensiero di lui mi fece quasi fermare, ma non volevo destare altre

attenzioni non necessarie verso di me mentre ero con Tony. Vicken era il mio amico

scozzese. Una volta era stato membro della mia congrega. Le Eridi avevano cambiato

il suo destino e così era riuscito a vivere liberamente la sua vita, come avrebbe dovuto,

negli anni quaranta dell’Ottocento, senza perdere la sua anima nel mondo dei vampiri.

Speravo fosse morto di vecchiaia. Non avrebbe voluto morire in altro modo.

Avrei onorato la memoria di Vicken non appena ne avessi avuto l’occasione. Avrei

svolto un vecchio rituale vampirico, uno legato al rispetto. «Oh, è solo una freccia»

avrebbe detto. Ma quella non era solo una freccia. Ero stata quasi colpita! Rhode mi

aveva spinto via! Questo voleva dire che mi teneva d’occhio. Poteva anche non avermi

riconosciuta finché non si era avvicinato, ma forse Rhode era affascinato da me. Forse

gli sembravo familiare. Non potevo permettermi di farmi fare fuori per via dei miei

sentimenti per Rhode.

Ero di nuovo nel campus da nemmeno dodici ore e già qualcuno mi aveva lanciato

contro una freccia e un vampiro che non conoscevo mi aveva detto di prepararmi.

Fantastico.

Entrammo nello studentato e fui nuovamente sopraffatta da quanto quel posto mi

fosse familiare. Ma, più di tutto, ero felicissima per il cibo. Oddio. Pizza. Cibo cinese.

Zuppa. Insalate. Soda.

«Lenah! Tony!» Tracy ci chiamò dall’altra parte della sala. Ci fece segno e, una

volta preso da mangiare, Tony ed io la raggiungemmo al suo tavolo. Mentre ci

avvicinavamo, strinsi con forza il vassoio.

Erano lì, Claudia e Kate… vive. Il sole le aveva fatte abbronzare e l’estate aveva

schiarito i capelli di Claudia, rendendo delle ciocche quasi bianche.

Nessuno era stato ucciso. Nessuna morte orribile. Claudia e Kate si spostarono per

farmi spazio.

Guardai i posti a sedere cercando Rhode, sperando che stesse mangiando nello

studentato come un qualsiasi studente di Wickham. Non lo vedevo da nessuna parte,

anche se c’erano dozzine di tavoli affollati.

Tony si sedette di fronte a me e iniziò a divorare il suo chili al tacchino così

velocemente che gli colava sul mento. Passò la tortilla sulla pelle per raccogliere i

rimasugli di cibo.

«È disgustoso» disse Claudia ridendo.

«Cosa?» chiese lui con un’alzata di spalle.

Il mio affetto per Tony crebbe parecchio.

«Allora, queste sono Claudia e Kate. E vedo che hai conosciuto il nostro amico di

gran classe, Tony» disse Tracy.

«Deve essere buonissimo questo chili» dissi scherzando.

«Lo è» replicò Tony e altro sugo gli schizzò fuori dalla bocca.

«Oh, adoro il tuo accento. C’è un ragazzo inglese qui» disse Kate.

«Il famigerato Rhode» disse Tracy roteando gli occhi.

«Allora» chiesi a Tracy, «sei riuscita a entrare?»

«Certo che c’è riuscita» rispose Claudia. «Come progetto dell’ultimo anno, canterà

per tutto il liceo.»

Stavo per chiedere a quale progetto dell’ultimo anno si riferisse, quando una ragazza

passò fuori dalla finestra. Mentre camminava, mi guardò di sottecchi. Mi si mozzò il

respiro. Aveva dei morbidi boccoli biondi, proprio come Odette. No. Odette è morta.

Quella vita non c’è mai stata. È stata cambiata. La luce rifletteva qualcosa di argenteo

al suo collo. Un ciondolo! Forse era lo stesso che indossava il vampiro della fattoria!

La ragazza continuò a camminare. Mi costrinsi a prendere un respiro profondo.

Comportati normalmente. Non saltare a conclusioni affrettate. Sia Claudia che Tracy

avevano dei ciondoli argentati. Non avevo osservato attentamente quello della ragazza

bionda. Stavo esagerando.

Claudia rideva così forte per qualcosa che uno di loro aveva detto, che era in lacrime.

Sì asciugò le guance e indicò Tracy.

«Sei stata tu a farci cantare al karaoke!» urlò. Si teneva lo stomaco per quanto rideva.

Cercai di concentrarmi sulla conversazione, ma mi chiedevo se Claudia fosse ancora

interessata ai dipinti come prima. In questo mondo Tony e le Tre Grazie erano amici,

cosa che non era successa in passato.

Fuoco non credeva che avrei dovuto dire a nessuno del mio passato, ma io avrei fatto

ciò che era necessario fare. E poi, non volevo coinvolgere accidentalmente altre

persone. Avrebbero potuto farsi del male. L’ultima volta che avevo tagliato fuori di

proposito Tony dalla mia vita, era stato ucciso.

Tony ruttò sonoramente e portò un altro boccone di chili al tacchino alla bocca.

«Che schifo!» dissero Kate e Claudia all’unisono.

Il mio alleato sarebbe stato un incasinato artista giapponese che era morto per me

una volta, tanto tempo fa. Ma non avrei permesso che morisse ancora. Gli avrei detto

la verità in modo diretto, senza che la venisse a sapere da altri.

Avevo bisogno di avere Tony dalla mia parte.

CAPITOLO 5

Traduzione: Fu

Revisione: Medea Knight

Quella notte, un'ora dopo il coprifuoco, infilai il pugnale con l'elsa di rubino nella mia

cintura e sgattaiolai fuori dalla finestra della lavanderia alla fine del corridoio.

Camminai dall’edificio Turner fino al Quartz, il dormitorio dei ragazzi. Prima di tutto

volevo onorare Vicken fuori, sulla spiaggia, con un semplice rituale e poi bussare alla

finestra di Tony. Ma quando girai l'angolo per scendere in spiaggia, Tony era lì con un

telescopio puntato verso il cielo.

Appena mi mossi, un adetto alla sicurezza si avvicinò a lui. Restai appiccicata al

muro di mattoni dell'edificio per restare nell'ombra. La guardia guardò attraverso il

telescopio di Tony e gli dette una pacca sulla spalla prima di andarsene.

Controllai nuovamente il perimetro. Quando non ci fu più alcun segno della guardia,

avanzai sull’erba. Mi assicurai di farlo rumorosamente, così da non spaventare Tony.

«Oh, ehilà, trasgressiva!» disse, «Ti sei appena persa Lenny, la guardia serale.

Scommetto che gli avrebbe fatto tanto piacere vederti. Finalmente gli avresti dato

qualcosa da fare.»

«Il coprifuoco è passato anche per te» risposi io. Indicai il cielo; non avevo bisogno

del telescopio «Quella è l'orsa maggiore» dissi.

Affondò le mani nelle tasche «Lo sapevo già. Sto studiando le stelle: ho un permesso

speciale.»

Mi fece vedere un permesso di estensione del coprifuoco, sul quale vi era scritto che

Tony Sasaki avrebbe potuto rimanere fuori fino a mezzanotte.

Aggiustò nuovamente il telescopio «Hai visto i miei temi celestiali. Non riesco a

ottenere i bianchi giusti.»

«A me sembrano molto buoni.»

Lui sbirciò nel mirino del telescopio. «Solitamente più sono vicino alla baia, più le

stelle sono brillanti» disse. «L'oceano le riflette, dà al bianco un bagliore pungente.

Maledetti lampioni e cabine telefoniche di emergenza che sovrastano la luce. Ehi! Hai

voglia di andare alla spiaggia della città?» suggerì. «Ho bisogno di un compagno di

viaggio. Stasera la baia non rende giustizia al cielo notturno.»

Sollevai le sopracciglia notando il suo nervosismo. «Non credo che il tuo permesso

sarà valido là.» Lui rise rumorosamente, gettando all'indietro la testa. Dio, quanto mi

era mancata quella scena.

«Sei simpatica» disse.

«Ci provo» risposi, ma io ero tutt’altro che simpatica.

Le telecamere di sicurezza erano state installate nel campus dopo la sparizione di

Justin da Wickham. Tony me le aveva fatte notare.

La spiaggia della città era un no assoluto per me in ogni caso. Era decisamente troppo

all’aperto: chiunque avrebbe potuto attaccarmi là. Se avessi voluto una conversazione

privata con Tony, avrei dovuto restare proprio lì al campus, dove c'erano persone.

«Sii una ribelle» disse Tony, percependo la mia esitazione. «Se ce la faccio, Claudia

morirà di invidia nello studio. Darei qualsiasi cosa per vedere la sua espressione stupida

al sentire dire dalla professoressa Joseph che io sono un visionario. Lei pensa che gli

autoritratti di Claudia siano visionari. Sono io quello che ha talento, Lenah. Io.»

Il suo entusiasmo era contagioso ed io volevo disperatamente piacergli come una

volta.

«Vuoi distruggere la povera Claudia Hawthorne?» chiesi.

Abbassò la testa. «È solo che è così dannatamente brava.»

Avrei potuto parlare con Tony su Main Street e se fossimo andati verso la città,

probabilmente avremmo trovato ristoranti e pub ancora aperti. Passava spesso gente da

lì. Tony avrebbe potuto correre di nuovo all'università, o andare lontano da me…

qualunque cosa avrebbe scelto di fare, a seconda di quale sarebbe stata la sua reazione

alla verità.

Come quando gli dissi che un tempo ero stata Regina dei vampiri e avevo ucciso

migliaia di persone.

«Bene» dissi. «Portami via dal campus e fammi espellere.»

«Perfetto, Len!»

Sussultai, ma cercai di non sembrare troppo entusiasta. Tony mi aveva chiamata

usando il mio soprannome. Lo adoravo e speravo lo usasse sempre come aveva fatto

un tempo.

La via più veloce per uscire dal campus era camminare parallelamente alla serra e

passare attraverso un breve tratto di bosco che dava su Main Street. Seguii Tony, ma

dopo il Turner mi fermai a controllare non ci fosse qualcuno appostato nell’ombra.

«Che c’è?» disse Tony «Oh...» annuì. «So cosa sta succedendo.» Continuò ad

annuire come se conoscesse tutti i segreti del mondo e io fossi l’essere umano più

stupido che esisteva. «È la prima volta che sgattaioli fuori dal campus?»

«Ehm...»

Non era la risposta più brillante, lo ammetto. Mi bloccai e continuai a perlustrare il

bosco, non alla ricerca di Justin, ma di chiunque avesse voluto impalarmi con una

freccia. Forse l’arciere misterioso pensava che non sarei mai stata così folle da lasciare

il campus. Ma con Tony che mi sorrideva al chiaro di luna, non avrei mai avrei potuto

dire di no.

«Allora è così?» chiese di nuovo. «È la tua prima assenza ingiustificata? Prima di

venire qui stavi in un collegio? Claudia ha detto che gira voce che tu andassi in

Inghilterra, in un...»

«Questo è il mio primo collegio» dissi, fermandolo prima che usasse altri acronimi

e espressioni che non capivo. «Non posso farmi cacciare fuori durante la mia prima

settimana.»

«Oh, non succederà. Ci beccano sempre, fa parte dell’iniziazione ufficiosa di

Wickham.»

Avanzammo di nascosto sul sentiero, rivolgendo le spalle alla sera e ci fermammo

alla fine dell’edificio.

I lampioni su Main Street emanavano un bagliore perlaceo, che passava attraverso i

folti rami del bosco di Wickham. Eravamo vicini al muro di pietra che circondava il

campus. Toccai il pugnale infilato nella mia cintura.

Sulla bocca di Tony notai un sorriso, mentre camminava in punta di piedi verso il

muro di pietra. Io restai indietro per coprirlo, voltandomi per controllare se qualcuno

ci stesse seguendo, sebbene il bosco sembrasse veramente vuoto e ci fosse poco vento.

Desiderai riavere la mia vista da vampiro, che mi permetteva di vedere i più piccoli

dettagli. L’estremità della costellazione di Pegaso s’intravedeva tra le foglie su di noi.

Pegaso mi aveva sempre mostrato la via più sicura, sia da vampira che da umana.

Scavalcai il muro alto quasi due metri e mi lanciai su Main Street, accanto a Tony.

Eravamo abbastanza vicini al cimitero di Lovers Bay, che era a metà strada su Main

Street. Respirai l’aria di salsedine dell’oceano.

«Congratulazioni! Sei ufficialmente uno studente di Wickham. Berrei una birra con

te sulla spiaggia della città, ma tutto ciò che ho portato con me è la mia matita.»

«Odio la birra. E in realtà» dissi, spostandomi i capelli dietro le orecchie, «stasera

sono uscita per parlare con te.»

Eravamo a circa cinquanta metri dal cancello di Wickham. Se ne avessimo avuto la

necessità, probabilmente avremmo potuto tornare al campus senza arrampicarci di

nuovo sul muro.

«Ti calmi? Se avessi saputo che ti saresti innervosita così tanto, non ti avrei portata

fuori dal campus. Prendo nota: Lenah Beaudonte è una compagna di viaggio schifosa.»

Controllai il muro di pietra fino in fondo, per vedere se c’era qualcuno in agguato.

«Tutto bene?»

«Devo dirti una cosa.»

«Devi parlarmi?» disse Tony, «Nel bel mezzo della notte? Oh...» strisciò i piedi sul

marciapiede. «Perché io sto con … in un certo senso, intendo che non è ufficiale o cose

del genere, ma io sto con Tracy.»

«No, scemo. Non voglio uscire con te.»

«Diavolo, perché no?»

«Dai, compagno di viaggio» dissi, e lo condussi via dalla spiaggia e indietro verso

il cancello di Wickham. Mi fermò toccandomi una spalla.

«La spiaggia è dall’altra parte» disse.

Dannazione. Restare vicini al Wickham era più importante che andare vicino a

quella spiaggia. Avrei dovuto arrivare subito al punto. Tony credeva nel

sovrannaturale. Me l’aveva detto la prima volta che ci eravamo incontrati. Ma era una

vita fa.

«Allora… mi parlerai mai o pensi di star qui a guardarmi come se stessi risolvendo

un problema di matematica?»

Gli gettai il mio sguardo da “Tony, sei un’idiota”, ma lui non lo riconobbe. Non ero

stata capace di lanciargli quello sguardo da davvero tanto tempo.

«Va bene. Te lo dirò. Potrebbe sembrarti strano» dissi, «ma hai mai pensato che

forse nel mondo esistono anche altre cose? Tipo i vampiri o i lupi mannari?» iniziai

con la domanda più facile che riuscii a trovare.

Tony appoggiò una mano al muro di pietra. «Me lo chiedi perché sto studiando le

stelle? Perché io non credo davvero nell’astrologia.»

Un vento innaturalmente freddo fece frusciare i rami sopra di noi, facendo cadere

alcune foglie a terra.

Come al solito, il cappello di Tony era all’indietro. Dovette aver visto quanto fossi

seria, perché si accigliò e disse, «Cosa intendi? Fantasmi o lupi mannari? Sii più

specifica.»

«Beh, entrambi veramente. Forse ci sono, ehm...» cercai qualcosa di plausibile da

dire, che potesse dare il via alla conversazione che intendevo fare davvero.

«Fantasmi, muta-forma, vampiri, sai, cose così. Creature soprannaturali.»

«Sì, credo. Non ci ho davvero mai pensato.»

«Però credi sia possibile.»

«Certo» disse, accigliandosi nuovamente. «È davvero questo ciò di cui volevi

parlarmi?»

Il vento sferzava di nuovo, più ghiacciato stavolta. Oh no. Un improvviso gelo o calo

di temperatura di solito indicavano che nei paraggi c’era una magia molto potente in

atto. Eravamo nel mezzo di Main Street, a Lovers Bay. In fondo all’estremità opposta,

lontano dai negozi e dai bar, la spiaggia incrociava un piccolo parcheggio.

Il vento soffiò nuovamente e si spezzò un ramo. Spostai Tony verso di me appena in

tempo; il ramo cadde proprio dove si trovava lui poco prima. Dei grandi alberi

fiancheggiavano i lati di Main Street e i loro immensi rami creavano un tunnel di foglie.

Avremmo dovuto stare nel centro della strada. Tornai a guardare il pub di Lovers Bay

e le piccole figure che stavano in piedi là fuori. Riuscivo a malapena a distinguerne i

profili.

Eravamo soli.

«Ma che diavolo!» disse Tony, guardando incredulo l’albero. «Bei riflessi, Lenah.»

Qualcosa si mosse giù vicino alla spiaggia. Strizzai gli occhi. Era ...nebbia?

Sussultai. Odiavo aver ragione.

«Che c’è?» chiese Tony.

Delle nubi color liquirizia si aprivano sul terreno. Le nubi strisciavano come se

avessero una coscienza. Nel muoversi, la luce di un lampione si spense.

E poi un’altra.

Tutte le luci si spegnavano mentre le nubi avanzavano verso me e Tony.

Afferrai Tony dalla maglietta. «Arrampicati sul muro di pietra» dissi, «Vai. Ora.»

«Cosa?»

«Ho detto vai!» Tony non si mosse.

«Cos’è quello?» chiese, guardando di sbieco in fondo alla strada buia. La mia mano

stava ancora stringendo la sua maglia.

«Corri» spinsi Tony con forza. «Corri!» urlai.

Le nubi vorticavano ripetutamente, come un’onda che tornava indietro. Stavano

proteggendo qualcosa, facendo scudo ad un oggetto al loro centro.

La strana nuvola nera crebbe ancora di più fino a raggiungere, in pochi secondi, la

grandezza di una macchina moderna. Stava spingendo fuori qualcuno, qualcuno che

era rimasto all’interno di quelle fibre di nubi notturne.

«Sì...» disse Tony. Finalmente si accorse di quanto fosse seria la situazione. «Sì,

corriamo.»

Afferrò la mia mano e fuggimmo. Dovevamo raggiungere la gente. La folla.

Riuscimmo a fare solamente pochi metri prima di doverci fermare di colpo.

Due vampiri maschi saltarono dal muro di pietra su Main Street. Ci circondarono

immediatamente, bloccandoci la strada. Ancora mano nella mano, Tony ed io

cercammo di aggirarli, ma quei vampiri erano veloci, allenati.

Ci voltammo e proprio dietro di noi ci trovammo davanti alla nube nera. Ruotava su

se stessa, ripetutamente. Un soffio di vento ghiacciato mi fece volare i capelli e il

cappello di Tony volò via. Lui non cercò di correre o andare a prenderlo. Le nuvole

nebbiose si dissiparono come una nebbia a bassa quota.

I vortici color carbone delle nubi si spiegarono ed evaporarono. Justin uscì dal centro

dell’oscurità. Allargò le dita e le tenne tese: i suoi occhi si fissarono sui miei. L’ultima

nube nera lo portò a terra e poi sparì.

«Justin?» disse Tony, incredulo.

Io rimasi semplicemente dov’ero, sbattendo le palpebre stupidamente. La pelle color

porcellana di Justin era innaturalmente liscia e pallida. Inclinò la testa e persino quel

movimento aveva un che di felino, di manipolativo. «Sei ancora bellissima» mormorò,

cercando di attirarmi con la sua voce. «Proprio come speravo. Il mondo medievale non

ha rovinato del tutto il tuo aspetto.»

I suoi lineamenti erano così simmetrici da renderlo inquietante. Il suo bell’aspetto,

che mi aveva inebriata da umana, ora sembrava surreale.

«Justin, cos’è successo? Dove sei stato?» Tony fece un passo in avanti. La testa di

Justin si voltò verso di lui con uno scatto da automa, le sue labbra si schiusero e

uscirono le zanne.

«Cosa sei?» chiese Tony. Due vampiri, suoi seguaci, lo afferrarono dalle braccia.

«Ehi, smettetela!» Tony si dimenava, ma i vampiri erano troppo forti. Lo bloccarono

con forza a terra con una presa di sottomissione.

Dovevo fare qualcosa. Qualunque cosa. Afferrai il pugnale, nonostante non avessi

alcun vantaggio.

«Dacci un taglio» disse Justin.

Con un movimento casuale della sua mano, il mio pugnale volò in aria e atterrò sulla

strada. Sollevai il mento; ancora non ero abbastanza spaventata.

«Tony Sasaki» disse Justin, ma stava guardando verso di me. «È patetico che tu lo

abbia cercato di nuovo. Sappiamo tutti cos’è successo l’ultima volta, Lenah.»

Non avrei lasciato che accadesse ancora. Non un’altra volta. Avrei dato la vita per

impedire che qualcuno lo ferisse, o peggio, lo trasformasse in vampiro.

Justin fece un passo verso di me ed io indietreggiai. La collana di Fuoco sembrava

scaldarsi sulla mia gola, ricordandomi il mio potere segreto. Lo avrei lanciato appena

mi fossi accorta che Tony era in pericolo di vita.

«Lasciami andare!» urlò Tony. Uno dei vampiri di Justin aveva uno stivale premuto

sulla schiena di Tony.

Justin si voltò verso di me e anziché abbracciarmi, come aveva fatto centinaia di

volte, mi afferrò con forza il polso con le sue dita fredde.

«Non fargli del male; lui non ha fatto nulla» dissi. Cercai di nuovo di sfuggire alla

sua presa, ma le dita di Justin erano come una morsa.

Tony urlò dal dolore.

«Di’ a questi teppisti di non ferirlo!» urlai.

Justin mi strattonò verso di lui. Valutai il suo viso e scrollai la testa un po’ incredula.

Le sue zanne si erano ritratte, ma non aveva un aspetto umano. Gli occhi di Justin erano

stati verdi, ma da vampiro quel colore sembrava artefatto. La sua pelle, un tempo

morbida, era ghiacciata e lucida. Anche la piccola cicatrice sul mento era sparita. Se

l’era procurata quando suo fratello gli aveva lanciato contro una forchetta a otto anni.

La sua umanità era stata spazzata via dopo che il suo lato da vampiro aveva assunto il

controllo. Le lentiggini erano sparite. Persino i tre buchi all’orecchio si erano richiusi.

«Perché mi guardi così? Non sei felice di vedermi?» chiese ed io indietreggiai al

vedere i suoi nuovi lineamenti.

«Hai ucciso Suleen» dissi. Il suo sangue macchiava il mio braccialetto e io non avrei

mai dimenticato il motivo per il quale indossavo quel talismano.

«Dai, Lenah. Suleen? Quella vecchia pazza?» rise con gli occhi al cielo.

Quella vecchia pazza? Spinsi la mano sul petto di Justin, dimenandomi per

liberarmi. Volevo prenderlo a calci e buttarlo a terra. Le braccia mi bruciavano per lo

sforzo di divincolarmi.

«Sono troppo forte...» disse con una risata vuota. Smisi di lottare. Justin mi guardava

con quel misterioso piacere che i vampiri provavano quando sapevano di avere la

meglio.

«Hai annientato Suleen. È morta tra le mie braccia» dissi. Il dolore era ancora troppo

vivo.

Non riuscii a voltarmi in tempo. Justin mi baciò, premendo le labbra sulle mie. La

sua bocca aveva un sapore metallico e putrido. Aveva bevuto sangue, peraltro

recentemente.

Mi gettò a terra e la fitta di dolore della caduta si diffuse dalla schiena su fino al

collo. Ma che diavolo? Voleva baciarmi o attaccarmi? Mi rifiutai di gridare: non avrei

dato a Justin quella soddisfazione.

Le sue sopracciglia si unirono e sogghignò. «Come osi essere disgustata da me?

Riesco a leggere i tuoi sentimenti. Che diavolo c’è di sbagliato in te? Un solo morso e

potremo stare insieme proprio come avrebbe dovuto essere prima che Rhode tornasse.

Questo è quello che tu volevi.»

«Non ho mai voluto questo per te. Sei pazzo.»

Tony si alzò un po’ da terra, ma uno dei vampiri lo riportò giù con il piede.

«Come hai fatto a restare così?» chiesi.

«Pensavo potessi rispondermi tu» disse e incrociò le braccia al petto.

Sembrava in qualche modo più alto di quanto non fosse da umano.

«Ne so quanto te. Ok. Sono qui. Convocata dal mondo medievale proprio come da

copione. Ora che vuoi da me?» chiesi.

Il sorriso di Justin sparì e mi tirò in piedi con uno strattone.

«Cosa voglio da te? Sono diventato così, ho imparato a manipolare gli elementi e

costruito una congrega, per te.»

«Ma sono stata mandata indietro, Justin. Sono stata mandata indietro da qui. Non

avrei mai pensato di tornare ai giorni moderni. Di certo non sarei mai più tornata

vampira.»

Mi afferrò il braccio e mi portò sotto la luce artificiale del lampione stradale.

Una volta avevo amato la smorfia delle sue labbra e quella sua spolverata di

lentiggini sul naso. Di sicuro doveva ancora esserci qualche brandello della sua

personalità dentro di lui. Da qualche parte. Non poteva essere diventato privo di

emozioni così rapidamente. Solitamente ci volevano anni affinché un vampiro

impazzisse in quel modo. Il senno calava col passare del tempo, non subito.

Cercai di farlo ragionare. «Perché pensi che io voglia diventare di nuovo un vampiro

dopo tutto quello che mi hai vista sopportare?» chiesi. «La vita da vampiro mi ha quasi

distrutta.»

Si prese un po’ di tempo prima di rispondere.

«Perché io lo sono» disse gentilmente.

Non sapevo cosa dire. Non sapevo che parole scegliere.

Cercò qualcosa sul mio viso. Disse molto lentamente «Tu...» le sue parole erano

calme, «non mi ami, vero?»

Considerai le mie possibilità. Se avessi mentito, ko avrebbe capito grazie alla sua

percezione extrasensoriale, proprio come aveva fatto quando mi aveva baciata. Chiusi

gli occhi.

«Ti amerò sempre» dissi, «In un certo senso.»

Mi fece cadere e le mie nocche già ferite graffiarono nuovamente sull’asfalto.

Incontrai gli occhi di Tony; uno dei vampiri gli premeva una mano sul volto,

schiacciandolo a terra. Tony non osava proferire parola, ma i suoi occhi erano

spalancati.

Justin sogghignò. «Tutte le donne mentono? Cos’è, un gioco? Tu mi amavi! Me l’ha

detto Odette. Ha detto che se fossi diventato un vampire mentre eri innamorata di me,

allora saresti stata forzata ad amarmi per sempre.»

Improvvisamente capii. Era sotto il controllo di una runa della conoscenza, quando

Odette gli aveva detto quella cosa. Non sapeva che l’avrei amato per sempre solo se

fossimo stati entrambi vampiri e innamorati nello stesso momento. Ma amavo Rhode

quando Justin si era stato trasformato e per di più ero umana. Sarebbe stato impossibile.

Lui non capiva questa differenza, perché non capiva le leggi dei vampiri.

«Credevi che sarei tornata indietro e mi sarei innamorata di te? Nessuno in questi tre

anni si è preoccupato di dirti la verità nascosta in questa legge dei vampiri?»

Justin si chinò scoprendo le zanne. Indietreggiai per istinto. Le sue zanne erano

lunghe e sottili, molto affilate. Un dolore caldo si estese giù, sul fianco sul quale mi

aveva fatta cadere, ma digrignai i denti e mantenni il contatto visivo.

«Quale legge dei vampiri?» disse.

Mi sollevò nuovamente, tenendomi vicina. La sua presa era così forte da

comprimermi i polmoni.

«Non riesco a respirare» dissi tossendo.

«Lasciala andare» grugnì Tony, con voce smorzata.

«Non mi distrarrai con la logistica, Lenah. Ne ho abbastanza dei giochi. Fuori il

rospo» chiese Justin scuotendo la testa.

Voleva disperatamente credere che lo amassi. Non poteva accettare di aver costruito

quei piani, persino di aver ucciso Suleen per farmi tornare e di averlo fatto per nulla:

io non lo amavo. Justin mi schiacciò di nuovo contro di lui. Riuscivo a inalare solo

piccoli sbuffi d’aria.

«Dimmelo!» urlò, scuotendomi. «Dimmi che mi ami!»

«Non posso» quasi mi strozzai.

Smise di scuotermi e nei suoi occhi riusci a leggere vari pensieri: mi dispiace. Non

ho smesso di amarti. Sono spaventato da questo potere. Oh si, capisco questa tortura.

Scosse la testa e indietreggiò dopo avermi liberata. Mi allontanai, prendendo fiato.

L’amore dei vampiri era come una tregua, come un giorno assolato di cui non si poteva

godere. Metteva a tacere i tic dell’orologio.

Amore.

Amore.

Amore.

Era libertà. E lui non poteva averla da me. Un vampiro chi raggiunge il suo cuore

incondizionatamente. Non può smettere. È per sempre. L’amore era l’unica tregua di

un vampiro. Il dolore e il cordoglio potevano essere opprimenti. Se un vampiro

s’innamorava, quell’amore sarebbe durato fino alla fine dei suoi giorni. Era l’unica

libertà dalla loro brama di sangue, l’unico modo per zittire l’infinito ticchettio

dell’orologio.

Ed era successo a Justin Enos.

Mi squadrò dalla testa ai piedi. Suleen aveva ragione; Justin doveva essere

controllato. Aveva un potere straordinario e ora la sua amarezza non avrebbe

conosciuto limiti. Non sapevo come fermarlo, figuriamoci ucciderlo, come Suleen e

Fuoco mi avevano espressamente detto di fare. Si avvicinò di nuovo a me ed io mi

allontanai, arrivando quasi fino al muro di pietra.

«Ne ho abbastanza» disse.

Justin mi afferrò nuovamente. Le sue zanne scoperte erano taglienti come un rasoio,

pericolose come erano state le mie.

«Non farlo» sussurrai con un brivido. Le sue narici si dilatarono, tirò indietro le

spalle… sapevo cosa stava per succedere. I vampiri nascevano con un morso, seguito

da un sacrificio umano. Il rituale fatto alla luce della luna era il pezzo finale e più

importante. Justin mi avrebbe morso. Avrebbe cercato di dissanguarmi completamente.

Solo con la mia morte sarebbe iniziata la mia trasformazione.

Afferrò così brutalmente il mio bicipite da farmi sussultare. Sentivo il suo alito

rancido sulla nuca e le sue zanne che mi graffiavano il collo. Era giunto il momento.

Si prepare. Cercò di mordermi con uno scatto della testa, ma Justin incespicò, come se

qualcuno l’avesse via da me colpendolo sulla fronte.

«Ma che...» disse Justin.

Trattenni il respiro, pronta per il pizzico delle sue zanne e la ferita sulla pelle. Provò

di nuovo, ogni volta veniva rispedito indietro. Per qualche ragione, le sue zanne non

potevano ferirmi.

«Che stai facendo?» urlò, e mi portò di fronte a lui. Io inciampai e portai subito la

mano al collo. Non c’erano né buchi né ferite. «Come fai a bloccarmi?»

Justin mi portò una mano attorno al collo e lo schiacciò. Mentre l’afflusso di sangue

mi saliva alle orecchie, mi lasciò con un sibilo.

Justin si guardò il palmo.

«Fredda» sussurrò, guardando dal mio collo alla sua mano. «Sei fredda come il

ghiaccio.»

Il vampiro che teneva Tony raggiunse Justin. «Tutto bene?» gli chiese.

«Sto bene. Sta’ lontano da me» sbottò.

Nonostante fosse libero, Tony rimase immobile.

Mi toccai nuovamente il collo. Aveva tentato di mordermi il collo, non per nutrirsi,

ma per trasformarmi.

«Perché è fredda?» chiese Justin al vampiro. «Perché?»

Il vampiro borbottò una risposta, tentando disperatamente di aiutare il suo nuovo

leader.

Ma io lo sapevo.

«Lui non può dirtelo.» dissi. Le ghiandole mi facevano male quando parlavo; presto

mi sarebbero usciti dei lividi. «Non può avere più di diciassette anni o cosa?»

«Zitta!» urlò Justin.

«Non puoi ferirmi, Justin» dissi. Sapevo che lo stavo schernendo, ma avevo bisogno

di portarmi in vantaggio e volevo che lo sapesse. I suoi occhi si alzarono per incontrare

i miei. «Forse quando indossavi la collana con la runa di Odette potevi ferirmi perché

la quella potente runa ti dava forza. Ma anche quella si sarebbe affievolita col tempo.

Quando sei un vampiro non puoi ferire in modo fatale o uccidere chi ami. È la legge.

È questo il motivo per il quale non puoi trasformarmi in un vampiro. Le leggi valgono

anche per te, Justin.»

Justin sobbalzò e urlò. All’inizio pensavo stesse reagendo a ciò che avevo detto, ma

poi vidi una freccia sporgere dal suo braccio.

«Dannazione!» la strappò e la gettò a terra.

Cercai l’arciere nell’oscurità. Un’altra freccia volò in cielo dalla direzione del

campus Wickham. Andò a finire nel petto del vampiro che faceva la guardia a Tony.

Urlò, liberando Tony.

Chiunque l’avesse colpito aveva mancato il cuore, forse di proposito.

«Vai. Ora.» disse Justin al vampiro più vicino a lui.

Aiutai Tony ad alzarsi. Stava tremando.

I vampiri non esitarono ad obbedire al comando di Justin e il suono dei loro passi

sull’asfalto fece eco nella strada silenziosa.

Più velocemente di qualunque altro vampiro avessi mai visto, Justin si voltò e

rincorse il suo uomo. Odette aveva usato le rune e la magia per rendersi più veloce

rispetto agli altri vampiri. Justin era anche più veloce.

«Dovremmo rientrare» dissi, prendendo la freccia buttata ai miei piedi. La sua

estremità era di un rosso brillante e la punta gocciolava del sangue di Justin. Era

difficile per me vedere nel buio, ma sembrava fosse fatta di una specie di pietra nera.

Avrei avuto bisogno di vederla alla luce del giorno, ma sembrava… onice? Sarebbe

stata una pietra veramente assurda da usare. Strano.

Era la seconda freccia con piume rosse all’estremità che vedevo in dodici ore. Feci

scorrere le dita delle piume. Le frecce, perlomeno quando le scoccavo io, erano fatte

con piume vere. Quella era modera e sintetica. Tony zoppicava mentre camminavamo,

ma non disse nulla. Trovai il suo cappello da baseball vicino al mio pugnale sul

marciapiede. Indossò il cappello all’indietro e ci dirigemmo verso il campus. Ci volle

un po’ più tempo per via della caviglia di Tony, ma ci arrampicammo sul muro di pietra

e ci ritrovammo nel campus senza essere visti. Restò muto mentre sgattaiolavamo nei

nostri dormitori.

Non appena afferrai la freccia, sentii pulsare una ferita sul dito medio. Sollevai la

mia mano… c’era un taglio dall’unghia fin quasi al polso. Mi riscossi e dissi a me

stessa di ignorare anche il fianco che pulsava. Avevo le nocche dolenti per la caduta su

Main Street e perché il giorno prima avevo seppellito Suleen.

Non potevo farmi abbattere dalle ferite fisiche. Troppe domande importanti

m’inondavano la mente. Chi aveva scoccato quella freccia? Cosa cercava di ottenere

Justin riportandomi indietro?

Tony continuò a tenere lo sguardo fisso a terra e la bocca ferma in una linea dritta.

La prima volta che ci eravamo incontrati, Tony aveva cercato in modo implacabile di

scoprire la verità sul mio passato. Non era il tipo che lasciava perdere una cosa quando

gli interessava. Nessuno era più testardo di lui. In passato, la mia congrega l’aveva

ucciso mordendolo centinaia di volte.

Ora gli dovevo la verità sin dall’inizio. Questo inizio.

Gli dovevo rispetto.

E gli dovevo la mia vita.

Camminammo fino al retro del Turner, dove Tony rimise il suo telescopio nella

confezione. Zoppicò fino alla sua finestra e sgattaiolammo dentro più silenziosamente

che potemmo. Tony non aveva ancora detto nulla, quando chiuse la finestra dietro di

noi. Le risposte di quella notte per lui sarebbero state difficili da ascoltare. Ad alcune

delle domande che mi avrebbe posto, non sarei stata in grado di dare una risposta.

Sapevo per certo solo una cosa… Justin Enos non poteva ferirmi.

Perché mi amava ancora.

CAPITOLO 6

Traduzione: *Haruka*

Pre-Revisione: Medea-Knight

Vicken Clough riusciva a ripulire le ferite solo con un coltellino. Riusciva a ridisegnare

le mappe di interi edifici a memoria. Se fosse stato lì, in quel momento, mi avrebbe

aiutata a combattere contro Justin; mi avrebbe aiutata a ideare un piano. Invece ero

seduta sul letto di Tony e ripulivo il taglio con dell’alcool e dell’antisettico.

Avrei dovuto trovare un altro momento per il mio rituale di addio a Vicken.

Tony camminava avanti e indietro e continuava ad agitare le mani come se si stesse

preparando per una lotta. L’aria pungente che arrivava dalla finestra rotta portava via

l’odore dell’antisettico. «Per prima cosa, sapevi che sarebbe successo quando siamo

andati a Main Street stasera?» chiese lui.

«No, compagno di strada» dissi, assicurandomi di sottolineare l’espressione.

«Giusto, sì, la passeggiata è stata una mia idea. Andiamo avanti.»

«Sospettavo che potesse succedere qualcosa, ma pensavo che valesse la pena

rischiare» confessai.

«Pensavi ne valesse la pena?»

«Avrei passato del tempo con te. Ti avrei detto la verità.»

«Su Justin?» chiese Tony.

«Una cosa alla volta» risposi gentilmente.

«Sai…» Tony scelse con attenzione le parole, «cos’è?»

Dopo qualche minuto Tony smise di zoppicare, ma il graffio sul suo volto era ancora

coperto di sangue fresco. Afferrò un pennello dalla scrivania e lo tenne a mo’ di

coltello. «Devi dirmi che diavolo è successo a Justin. E perché è così veloce. E perché

ha delle zanne. La gente non ha le zanne.»

«Dovresti posarlo» dissi, indicando il pennello. «Fammi ripulire il taglio che hai sul

viso.»

«Mi fa stare meglio lasciarlo così» rispose. Con le dita toccò il taglio. Posai la freccia

sulla sua scrivania, con l’intento di ripulirla ed esaminarne le fattezze quando ne avessi

avuto l’occasione.

«Inizia a parlare, Lenah» disse Tony. «Per favore.»

«Non so da dove iniziare» dissi lentamente.

«Che ne dici di iniziare da quello che sai?» Tony si accasciò sul letto. «No… di come

lo sai.»

Abbassai lo sguardo, sperando di trovare il modo giusto per raccontare quella storia

tremenda. Dovevo iniziare dai primi anni del 1400, quando Rhode mi aveva

trasformata in una vampira? Tony doveva sapere di Rhode? Dovevo dirgli della prima

volta che ero stata a Whickham?

«Aveva le zanne» sospirò Tony. «Come nei film. Come un…» cercò la parola.

«Come un… vampiro.»

«Sì…» fu tutto quello che riuscii a dire. Ero contenta che Tony avesse fatto parte del

lavoro al posto mio. «Sì, è un vampiro.»

Si prese la testa tra le mani, tenendo il pennello tra le dita.

«Non esistono cose come i vampiri. Ma l’ho visto. L’ho visto, vero?» disse Tony

rivolto al pavimento.

Annuii e iniziai lentamente: «Cosa diresti se ti dicessi che sono già stata qui una

volta? In un altro tempo, ma uguale a questo. Una versione alternativa di questo

mondo.»

Tony alzò la testa di colpo.

«Cosa diresti?» chiesi con più insistenza.

«Come un universo parallelo? Ti direi che devi andare in infermeria. Ma continua a

parlare.»

Gli raccontai la mia storia. Gli dissi che una volta ero una potente e violenta regina

dei vampiri, che aveva vissuto per più di cinquecento anni e regnava su tutti i vampiri,

uccidendo migliaia di esseri umani. Dopo il tempo trascorso come regina, Rhode mi

aveva fatto il regalo più bello in assoluto… mi aveva ridato la mia vita, la mia anima.

Mi era stato concesso di venire a Whickham e di vivere ancora una volta come

un’umana.

«Rhode!» urlò Tony. «Anche Rhode?»

«Rhode non può ricordare» dissi piano. «È complicato.»

Camminavo avanti e indietro mentre gli spiegavo il rituale che Rhode aveva fatto

per me. Fui vaga nel raccontare a Tony il suo ruolo originario nella storia, perché non

volevo che sapesse come era morto. Non c’era bisogno che lo sapesse e quel passato

violento era stato cancellato.

Gli spiegai il resto: ero tornata nel mondo medievale, perché Fuoco mi aveva

permesso di cambiare ogni cosa. Anche Justin, che era stato trasformato in vampiro da

Odette, sarebbe dovuto tornare umano, ma per qualche ragione sconosciuta… non era

successo.

«Si è legato in qualche modo a questa nuova realtà da quella vecchia.»

Finii la mia spiegazione dicendo che ero tornata perché Suleen, il mio più grande

protettore a parte Rhode, era morto.

Alzai il polso e gli indicai il tessuto legato ad esso.

«È il sangue di Suleen. Nel mondo dei vampiri indossiamo il tessuto impregnato del

sangue dei nostri caduti.»

Tony si spostò un po’ per farmi spazio. Toccò il tessuto del braccialetto con le dita.

«Perché?»

«Finché non è fatta giustizia. Per alcuni vampiri può volerci parecchio.»

Tony allontanò la mano dal mio braccialetto insanguinato ed espirò pesantemente

dal naso.

«Questa Fuoco… non ti ha detto perché Justin è diventato il re degli psicopatici?»

disse dopo un lungo silenzio.

Scossi la testa. «Ci sono solo poche cose di cui sono certa. C’è una rivoluzione di

qualche tipo nel mondo dei vampiri, qualunque cosa volesse dire Suleen con questa

affermazione. Justin è coinvolto, anche se non sono sicura del come. In ogni caso, devo

fermarlo. Una volta che lo avrò fatto, potrò tornare a casa.»

«A casa?» Tony si scostò da me.

«Sì.»

«Nel Medioevo.»

Annuii.

Tony aveva di nuovo quell’espressione pensosa sul volto. All’improvviso sollevò il

pennello in aria.

«Lenah, qui stai parlando di cose strane e intergalattiche alla Star Trek: The Next

Generation. Stai parlando di mondi paralleli!»

«Lo so» risposi, anche se non avevo idea di cosa stesse parlando. Mi alzai. «Oggi

pomeriggio, circa due ore dopo essere arrivata al campus, qualcuno mi ha lanciato

contro una freccia. Hai presente quell’uomo che hai visto oggi, che scappava da me

alla fattoria? È un vampiro anche lui.»

«Ok. Quindi Justin non può venire a prenderti stasera perché…»

«Quando un vampiro si innamora di qualcuno, è legato a quel qualcuno per sempre.»

dissi. «Ora che sono tornata, Rhode è il bersaglio principale di Justin. Il secondo saresti

tu. Anzi, se Justin non fosse stato colpito da quella freccia, probabilmente sarebbe

venuto a prendere te stanotte.»

«Me?» la voce di Tony si spezzò.

«Un tempo eri il mio migliore amico. Justin se lo ricorda.»

Tony si mise di nuovo a camminare, con il pennello stretto nel pugno. «Questo

spiega l’abbraccio che mi hai dato quando ci siamo visti.»

«Lo so, sono parecchie le cose da digerire» replicai.

Ci fu un leggero rumore quando finalmente posò il pennello sulla cassettiera. Forse

non mi aveva creduto. Forse mi avrebbe cacciata via e spedita nella mia stanza. No.

Aveva visto Justin e non c’era modo di negare quello che avevamo vissuto su Main

Street.

«Questo spiega anche perché io…»

«Cosa?»

«Perché io mi senta…» le guance gli si arrossarono… «così vicino a te. Come se

fossimo grandi amici.»

«Perché lo siamo» dissi. Tony sollevò le labbra in un piccolo sorriso.

Si schiarì la gola. «Tre anni fa Rhode si è presentato qui come uno studente, lo

ricordo perché impazzirono tutte le ragazze. Quella stessa settimana, Justin scomparve.

Se c’è davvero uno strappo nel tempo, se quello che stai dicendo tu è vero, allora il

tempismo qui avrebbe senso.» Annuì a se stesso. «Combacia tutto.» Il suo tono era

severo, di accettazione. Si sedette sul letto accanto a me. «Quindi ora che succede?»

«Non lo so. Justin ha ucciso Suleen per attirarmi nel mondo moderno. Suleen mi ha

chiamata perché uccidessi Justin. Non ho idea di come fare.» Appoggiai la schiena al

muro e incrociai le gambe. «Ora che sa che non lo amo, il suo piano cambierà. In che

modo non lo so.»

«Chi pensi abbia scoccato la freccia stasera?» chiese Tony.

«Sono abbastanza sicura che sia lo stesso tipo di freccia che mi hanno scoccato

contro stamattina. Ovviamente non appartengono a Justin e alla sua congrega. Ma non

credo nemmeno che siano miei amici. Ti ho già detto quanto è sfrecciata vicina alla

mia testa?»

«Oddio. Qualcun altro ti vuole morta» scosse la testa incredulo.

«Mi prometti una cosa?» chiesi.

«Intendi oltre a non rivelare a nessuno la tua identità segreta o che Justin Enos non

è scomparso ma che è un vampiro pazzo? Oh, e che anche Rhode è un vampiro? Certo.

Che altro dobbiamo aggiungere alla lista?»

Gli diedi un colpetto con la spalla.

«Davvero» disse. «Che cosa?»

«Promettimi che non andrai a cercare Justin.»

Tony si ritrasse sorpreso.

«Ma se potessimo…» iniziò.

«No» risposi decisa, alzandomi. «Stai lontano da lui finché non sappiamo come

stanno le cose. Fidati di me. Fidati del fatto che farò di tutto per scoprirlo e che non ti

terrò all’oscuro di niente. Per favore? Promettimi che non andrai a cercarlo.»

«Lo prometto. Ma… credi che possa essere… come te? Che possa tornare umano?»

Volevo più di ogni altra cosa riportare indietro Justin e non ucciderlo come aveva

chiesto Suleen. Ma sarebbe stato impossibile trasformarlo in un umano. Il rituale che

Rhode ed io avevamo fatto era più antico di qualsiasi vampiro avessi mai conosciuto

ed era davvero complicato. Eppure…

Mi balenò in mente un pensiero.

«Che c’è? A che stai pensando?» chiese Tony. «Hai uno sguardo strano. Come se

stessi per colpire qualcosa.»

«Justin non sarebbe dovuto rimanere un vampiro. Tutto, incluso lui, sarebbe dovuto

cambiare una volta tornata alla mia vita originaria. Forse c’è un modo per renderlo di

nuovo umano, oltre al rituale o al potere delle Eridi. Forse c’è un modo per spezzare,

in un certo senso, le catene del vampirismo.» Mi stiracchiai e allungai le mani in alto.

«Non so come, non so nemmeno se è possibile. Sto solo pensando ad alta voce.»

«Mi piace. Positiva, ottimista. Niente destino tragico o depressione.»

Speravo di avere ragione. Speravo anche che sarebbe bastato a impedire a Tony di

cercare Justin, così sarebbe rimasto nel campus dove potevo tenerlo sotto controllo.

«Posso controllare Rhode» disse. «Sai, se Justin lo sta pedinando.»

«Devo ammettere che è esattamente quello che speravo.»

«Allora chiariamo le cose. Sei sicura che Justin non possa farti del male?» si accertò

Tony. Mi sedetti sul pavimento davanti al suo letto.

«No, non può. O comunque non può uccidermi.»

Era la legge dei vampiri: Justin non poteva farmi del male, perché mi amava. Ma io

non lo amavo e i vampiri rancorosi erano imprevedibili e furiosi. Gli piaceva

distruggere per divertimento; alleviava il loro dolore. La mia vita come sovrana dei

vampiri mi aveva fatto conoscere quell’aspetto.

Alla fine, Tony si ripulì il taglio con una salvietta imbevuta di antisettico.

«Ecco, lascia che ti aiuti» dissi. Mentre picchiettavo la pelle di Tony, ebbi una

certezza. Anche se l’amore di Justin verso di me mi proteggeva, lui avrebbe fatto di

tutto pur di uccidere le persone che amavo di più.

Mi svegliai con il bagliore dell’alba, molto prima che il resto del campus si alzasse.

Mentre mi crogiolavo nel tepore delle coperte nella mia stanza, sollevai le mani e

tracciai con le dita i segni dei calli che correvano lungo il palmo. Lavorare nel frutteto

aveva rinforzato il mio corpo. Anche se stavo viaggiando nel tempo, il mio corpo

portava su di sé il peso delle mie scelte. I calli sono una cosa buona. In caso dovessi

riprendere le spade prima del previsto.

Il ricordo degli occhi morenti di Suleen, spalancati dal terrore, mi tornò alla mente.

Sospirai e mi alzai, andando verso la finestra che dava sulla baia. Gli alberi del campus

oscillavano nella brezza del vento ma, a differenza degli alberi di casa, quelli non erano

carichi di mele. Mi mancava mia sorella e speravo che Fuoco avesse ragione, che

quando tutto questo fosse finito mi avrebbe riportata indietro nell’esatto momento in

cui me n’ero andata. Mi venne la pelle d’oca ad immaginare Genevieve che mi

chiamava più e più volte nel frutteto vuoto. Ricordati perché sei qui. Sei qui per

proteggere i tuoi amici. Per proteggere Rhode. Toccai il punto morbido del collo dove

Justin mi aveva quasi morsa.

Inaspettatamente, mi tornarono alla mente vari ricordi di Justin da umano.

Eravamo fuori dal dormitorio Quartz; la pioggia colpiva l’erba.

«Sembri davvero triste» disse lui.

«Davvero?»

Justin sollevò il mento così che la pioggia gli colpisse il viso in modo ancora più

diretto. «Lo sei?» chiese, guardando ancora in alto.

Annuii una volta. «Un po’.»

Justin si era preso cura di me. Era stato così gentile. Le complessità della mia vita

da vampira non erano un problema per lui; voleva solo conoscermi.

«Ti sei svegliata presto» disse Tracy, interrompendo il ricordo. Si alzò dal letto,

scompigliò i capelli e poi li raccolse in una lunga coda di cavallo.

«Non riuscivo a dormire» spiegai.

Si diresse verso il bagno con la roba per la doccia.

«Non c’è motivo di essere nervosa. È solo scuola.»

«No» dissi con un sorrisino. «Non c’è nessuna ragione.» Prima della riunione

mattutina percorsi la lunga distanza tra la fattoria di Wickham e il fienile. Avevo

nascosto la freccia della sera precedente nello zaino. Seguii la strada, superai le zucche

enormi, i pomodori e mi fermai nel punto in cui Rhode mi aveva spinta a terra. Speravo

solo che nessuno mi scoccasse contro una freccia quel giorno.

Una Jeep della manutenzione si trovava nell’ultimo lotto di terreno della fattoria;

non c’era nessun altro. Raggiunsi il punto del fienile in cui la freccia del giorno prima

aveva lasciato un buco. Presi la freccia e ne ficcai la punta nel foro. Combaciava

perfettamente. Togliendola, esaminai con attenzione la pietra nera della punta. Era

inconfondibile… onice.

Sapevo per esperienza che avrei potuto seppellire l’onice nel terreno, ma che avrebbe

maledetto il posto a contatto con essa. L’onice era pericolosa fino a quel punto.

Risucchiava la linfa vitale, tratteneva il potere magico di qualsiasi sangue che toccava.

Tutti gli incantesimi che aveva lanciato Justin erano racchiusi in quella pietra, perché

il suo sangue era filtrato in essa. Chiunque avesse scoccato quella freccia lo sapeva.

Quella pietra avrebbe dato a chiunque l’avesse presa un’idea delle magie che lanciava

Justin.

Avrei dovuto bruciare la pietra; era l’unico modo per spezzare gli incantesimi e

l’energia negativa racchiusi al suo interno. Più tardi, pensai. Non fuori in un posto così

esposto. La infilai nello zaino e mi diressi alla caffetteria per un caffè. Per prima cosa,

durante l’assemblea avrei chiesto a Rhode informazioni sulla freccia.

«Hai di nuovo quello sguardo» disse Tony, seduto accanto a me durante l’assemblea.

«Che?»

«Come se stessi per mordere qualcuno da un momento all’altro.»

«Interessante scelta di parole.»

Feci attenzione ad addolcire la mia espressione e cercai di sorridere mentre la

direttrice radunava tutti i professori di fronte all’auditorium. Il giorno prima, Rhode

aveva detto chiaramente che la freccia non era di Whickham, il che aveva fatto nascere

la domanda che mi aveva tormentata tutta la notte… chi era quel dannato arciere?

Anche da vampiro Justin era furbo. Aveva imparato o aveva trovato qualcuno che

gli spiegasse come manipolare gli elementi. Era chiaro dalla facilità con cui

maneggiava quelle nuvole nere. La sicurezza di Justin, che una volta mi aveva attratta,

si era accentuata dopo la sua trasformazione. Il carisma arrivava se avevi un lato oscuro

e, nel mondo dei vampiri, quel lato oscuro diventava l’unico lato.

Tu… non mi ami, vero?

Cercai di non pensare alle parole di Justin. Non volevo quella versione di Justin nei

miei pensieri; avrei dovuto confrontarlo molto presto. Dove diavolo era Rhode?

Mi fece un favore… ed entrò.

Si sedette in prima fila, accanto a dei ragazzi del liceo che non conoscevo.

Gesticolava con le mani e sorrideva allegramente. Mi sedetti al mio posto. Cadde quasi

dalla sedia per le troppe risate. Wow. Nessuna smorfia di tristezza o sopracciglia

accigliate come un tempo. Un giovane ragazzo spensierato, con tutto il futuro davanti

a sé.

Un futuro che in quel momento era in pericolo.

«Ecco Rhode» sussurrò Tracy. Si era seduta accanto a me. «Ridicolo, vero?»

«Sono più fico di lui» disse Tony, sedendosi accanto a me dall’altro lato. Tracy gli

diede un colpetto sulla mano.

«Certo che sì, Artista.» Intravedendo il suo viso, ebbe una reazione a scoppio

ritardato. «Ehi…» disse, appoggiandosi su di me e prendendo il viso di Tony tra le dita.

Gli voltò la testa da entrambi i lati.

«Come ti sei fatto quel graffio?»

«Sono caduto» rispose scrollando le spalle. «Avevo la cartella in mano. Ho

inciampato.»

Bella bugia.

Tracy scosse la testa con un sorriso confuso. La goffaggine di Tony le faceva

chiaramente tenerezza.

«Tipico» replicò.

La direttrice Williams si sistemò dietro il podio e iniziò il suo discorso da “primo

giorno di scuola”. Rhode teneva le spalle dritte, ascoltando le sue parole, senza volgere

nemmeno una volta lo sguardo verso di me. Che strano vivere in un universo nel quale

la mia anima gemella non si ricordava di me.

Una volta conclusa l’assemblea, l’esodo di studenti che lasciava l’aula magna

permise a me e Tony di parlare in privato. Più avanti, accanto alla porta, un paio di

ragazze parlavano con Rhode, toccandosi in modo provocante i capelli. Non mi sarebbe

dispiaciuto strapparglieli dalla testa.

«Stai facendo di nuovo lo sguardo alla “voglio morderti”» disse Tony. Lanciò

un’occhiata a Tracy che si era avvicinata a Kate e Claudia. Uscirono dall’assemblea e

andarono nel cortile.

«Sono qui per proteggerlo» dissi. Non mi piacevano davvero le ragazze che stavano

parlando con Rhode. Specialmente la mora dalle gambe lunghe. Toccò la spalla di

Rhode, lasciandoci la mano un po’ troppo a lungo.

«OK, Pazza» disse Tony. «Come ti pare. Ma promettimi che non ci saranno più

sguardi assassini, Ok? Vado in biblioteca.»

«Per fare cosa?»

«Voglio saperne di più sulle persone che sono in grado di usare gli elementi.

Manipolare l’acqua, il fuoco, sai.»

«Dubito davvero che troverai qualcosa nella biblioteca» replicai, ancora concentrata

sulla mora che ora stava facendo scorrere le dita dalla spalla di Rhode al suo polso.

«Justin ha detto che quel Sully usava gli elementi.»

«C’è una differenza. Suleen era il vampiro più antico al mondo.»

«Hai detto che anche quegli Svuotati sono antichi.»

Sentire Tony nominare gli Svuotati mi distrasse dalla mia futile gelosia. Non

sembrava naturale sentirlo pronunciare quel nome. Lo avevo coinvolto, proprio come

volevo, ma avevo anche paura che questo lo avrebbe messo in pericolo.

Uscimmo dall’auditorium e infilai gli occhiali per difendermi dal sole che batteva

forte. Tony continuò a tenere d’occhio Tracy, che era fuori nel cortile con Kate e

Claudia.

«Da qualche parte deve pur esserci qualcosa sui vampiri che scelgono di manipolare

gli elementi» proseguì Tony.

«Lo fanno per sentirsi più vicini alla natura. Molti imparano a farlo dopo aver vissuto

per tanto tempo lontani dal ciclo di rotazione della terra. Immagina la sensazione di

controllo che provano quando riescono a piegare il vento al loro volere. Li fa sentire

padroni delle loro vite.»

Tony sbatté le ciglia. «OK… beh, immagino che sia così.» Scosse la testa, cercando

di ritrovare l’entusiasmo. «Comunque, un po’ di ricerca… non può fare male, no?»

All’improvviso, Tony alzò la voce di circa trenta decibel. «E in quel momento ho detto:

“Cavolo, no. Non uscirò con te. Mi piace un’altra, ok?”»

Tracy spuntò accanto a me.

«Sì, beh, l’hai rifiutata in modo amichevole» dissi, continuando la farsa.

«Qualcuno ti ha chiesto di uscire?» chiese Tracy mentre camminavamo.

«Non essere così sorpresa. Mi succede sempre» protestò Tony.

Percorremmo il cortile dieci minuti prima della nostra prima lezione. Cercai Rhode.

Restai quasi a bocca aperta nel vederlo da solo, all’ombra di un albero. Alzò lo sguardo

dalle sue mani e mi fissò intensamente. Come sempre, la bellezza dei suoi occhi blu mi

lasciò di stucco. Fece un passo verso di me.

«Ehm» fu tutto quello che riuscì a dire.

«Rhode sta venendo a parlare con te?» chiese Tracy, afferrandomi per un braccio.

Trasalii per il dolore che provavo ancora nel punto in cui Justin aveva stretto la presa

la sera prima. «Vi lasciamo un po’ soli» continuò Tracy, trascinando via Tony per un

braccio.

«Ehi!» replicò lui, che chiaramente voleva rimanere.

«Buongiorno» mi disse Rhode.

Quella era una sintesi di Rhode, il Rhode oscuro, misterioso, che ne sapeva sempre

più di me. Lì era un ragazzo moderno in jeans e polo. Volevo urlargli contro: «Non sai

che un tempo eri un cavaliere?! Rimettiti la tua camicia!»

«Tutto OK? Dopo la tua esperienza ravvicinata con la morte» chiese.

Se solo avesse saputo…

E OK? Quando mai Rhode aveva detto “OK”?

Rise, cercando di alleggerire l’atmosfera. Mi crogiolai nella sorpresa di vederlo

sorridere davanti a me.

«Non succede tutti i giorni che la freccia di un cacciatore mi arrivi in testa» me ne

uscii con questa risposta.

Rhode sollevò le sopracciglia. «La freccia di un cacciatore? Impressionante.»

Rhode stava flirtando con me.

«Beh, non le afferro al volo… non come altre persone che conosco.»

«L’ho presa a malapena mentre era a mezz’aria. Ha colpito prima l’edificio» disse.

Dovevo rimanere concentrata. Mi servivano i dettagli della freccia. «Ieri hai detto

che la freccia non era della squadra di tiro dell’arco di Whickham.»

Rhode si irrigidì. «Ho detto così?» chiese, incrociando le braccia.

«Sì. Hai detto che…»

«Lascia perdere. Era un commento davvero stupido. È ovvio che è una freccia di

Whickham. Qualcuno probabilmente ha sbagliato tiro, tutto qui. Qual è la tua prima

lezione?» chiese.

«Francese» risposi, concedendogli di cambiare argomento.

«Non è strano? Ho la stessa lezione. Che ti è successo al dito?» domandò, indicando

il mio scadente rattoppo di cerotti.

«Non ne sono sicura. Ho colpito qualcosa.» Oppure mi sono fatta male in una lotta

con un pazzo assassino.

«Immagino di dover badare a te.»

Le guance mi si arrossarono e pregai che non se ne accorgesse. Non dovevo farmi

scoprire così facilmente.

«Allora, se sai così tanto sul tiro con l’arco significa che sei un arciere?» Camminò

accanto a me, tenendo il mio passo.

«No. Assolutamente no.» risposi. «Non ho mai scoccato una freccia in vita mia.»

«Vuoi che ti insegni? Domani. Al campo di tiro con l’arco.»

Hathersage, in Inghilterra: esercitazioni di tiro al bersaglio.

Le mani di Rhode sulle mie, la mia schiena premuta contro il suo stomaco mentre

un tramonto scarlatto si stendeva sulle colline ondeggianti. Teneva le mie mani ferme,

l’arco che vibrava ed eravamo pronti a scoccare la freccia…

«Assolutamente sì» risposi.

Arrivammo alla lezione di francese, ma Rhode esitò sulla porta.

«Prego, madame» disse.

CAPITOLO 7

Traduzione: Medea Knight

Pre-Revisione: Fra

Quando viene creato un nuovo vampiro, parte il conto alla rovescia verso la follia.

L’unica cosa che resta attiva nel corpo di un vampiro è la sua mente. I sensi

scompaiono, così come la capacità di provare gioia e felicità. Nessuno sa se l’anima

resta, nascosta nel profondo.

La mente svanisce lentamente.

Come il lucido argento che si ossida.

Anche la cosa più brillante con tempo si oscura.

12 gennaio 1725, Hathersage, Inghilterra – durante il regno della Regina dei Vampiri

Era presto… il sole era appena tramontato. Da regina dei vampiri qual ero passavo le

mie nottate a letto, a riflettere sugli episodi più felici della mia vita. L’incontro con

Rhode, l’innamoramento, i momenti con la mia famiglia e i tanti balli fatti alle feste

con Rhode. Ero seduta a letto. Fuori dalla finestra svolazzavano dei piccoli fiocchi di

neve. La casa era completamente silenziosa. Una casa di morti. Ascoltavo quel

malinconico silenzio mentre camminavo scalza e in punta di piedi lungo il buio

corridoio.

Una volta uscita dal resto, indifferente alle fredde pietre del terrazzo, oltrepassai il

piccolo cimitero, dove le sommità delle pietre tombali erano già coperte da uno strato

di neve. Percorsi la ripida discesa della collina vicino casa mia. Avevo una meta ben

precisa. Il sentiero portava verso destra e lo seguii. La mia vestaglia strisciava sull’erba

ghiacciata.

Camminai finché non raggiunsi un fiumiciattolo ai piedi di un’altra collina. L’acqua

vorticava e le onde si spandevano tra le valli buie di Hathersage. Il fiume avanzava e

la luna illuminava fiocamente le rocce e i rami degli alberi, come fossero annebbiati.

Oltrepassai l’argine e i miei piedi sguazzarono nel fango. La sua consistenza

appiccicosa mi fece affondare lentamente nel terreno. Mi diressi verso l’acqua corrente.

Devo ricordare questa data. Mossi le dita nell’acqua. Avanzando, l’acqua mi

raggiunse le caviglie e poi le ginocchia. Oltrepassai più volte il fiume, da una sponda

all’altra. Avanti e indietro, avanti e indietro. I ciottoli e le rocce mi si conficcavano nei

piedi, ma no, ne ero certa:

Il mio senso del tatto era svanito.

Lasciai che la vestaglia ricadesse giù e l’acqua la bagnasse agli orli. I ghiaccioli sugli

alberi erano lance appuntite, colme di rugiada. Smisi di percorrere il fiume e mi distesi

in quella corrente d’acqua poco profonda. Non c’era abbastanza acqua da poter

galleggiare, ma inarcai la schiena provandoci comunque. Immersi il volto fino al naso.

Lastre di ghiaccio galleggiavano davanti i miei occhi. Ore…

Trascorsero ore.

La corrente d’acqua non avrebbe più morso la mia pelle. La densità del limo non mi

avrebbe più ricoperto le dita, né lo scorrere, gli spruzzi o il gorgoglio dell’acqua.

Era finita.

Tra i rami degli alberi scorgevo le stelle affievolirsi… si avvicinava l’alba. Uscii

dall’acqua e mi diressi a casa salendo la collina.

Il cielo era di un colore viola chiaro. A distanza, in cima alla collina, c’era casa mia.

Mi fermai. Accanto a me, alla fine del lungo sentiero che portava a casa, c’erano gli

archi lunghi di Rhode, impilati l’uno sull’altro.

Pur non avendolo mai fatto, presi un arco e incoccai una freccia. Mirai al bersaglio

nero a distanza e mi concentrai. I capelli, che ormai sembravano fili di ghiaccio, mi

stavano ritti sulle spalle. Avevo visto Rhode farlo tantissime volte. Alza il gomito

destro, cerca il bersaglio, tira e colpisci, diceva. Con uno scatto, scoccai la freccia. Lo

feci ancora e ancora. Zaphf, zaphf, zaphf… le frecce volteggiavano in aria.

Mi ci vollero centinaia di tentativi per riuscire a centrare il bersaglio. Dopo il primo

colpo esatto, tutte le altre frecce andavano a segno. Le stelle si spostavano in cielo,

finché quest’ultimo non passò da viola a rosa. Non uscivo all’alba da tanto tempo; era

più pericoloso del sole di mezzogiorno. La luce dell’alba poteva portare alla morte i

vampiri inesperti. Centrai nuovamente il bersaglio, mentre le colline ondeggianti si

tingevano di giallo.

«Era qui chi ti eri cacciata?» chiese Rhode alle mie spalle.

Scoccai un’altra freccia. Zac… proprio al centro.

«Lenah, sta per arrivare l’alba.»

Mi chinai a prendere un’altra freccia. Rhode mi afferrò per un polso e fissò la punta

delle mie dita, l’indice e il medio. C’erano dei tagli rossi sulla pelle; colavano di

sangue.

«Lenah, smettila.»

Mi strappò di mano la freccia e io mi ritrassi di scatto.

«Non lascerò che mi controlli!» urlai. «Non sarai tu il padrone della mia vita!»

Negli occhi di Rhode comparve un lampo di preoccupazione.

No, non volevo trattarlo in quel modo. Lo abbracciai subito, poggiando il suo volto

contro il mio. Sentii le guance riscaldarsi leggermente… un piccolo calore che

aumentava, fino a dissiparsi lasciando un brivido gelido e familiare.

«Mi dispiace tanto» dissi allontanandomi con un cenno del capo. «Sono scesa al

fiume. E non riuscivo a sentire niente. Ho perso, perso…»

«Il senso del tatto» concluse Rhode al posto mio.

Rimisi a terra l’arco; il mio sangue ne aveva ricoperto la corda. Mi prese la mano.

«Ho temuto a lungo accadesse. E ora è successo» dissi.

«Io ci sarò sempre» disse Rhode, mentre cominciavamo a risalire verso la villa di

pietra. «Spero ti sia di conforto saperlo.»

Se fossi stata umana, la ferita sulle dita avrebbe pulsato e mi avrebbe portato dolore

per settimane. Ancor prima di valutare l’entità della ferita, era guarita.

«Smetterò mai di sentire il tuo calore?» chiesi.

Rhode non rispose.

«Succederà?» chiesi di nuovo, sapendo che i vampiri innamorati potevano sentire

ancora il calore dell’altro, anche se il resto del loro corpo era freddo.

Quando raggiungemmo la casa, Rhode mi condusse nell’atro buio e mi rispose con

un bacio. Un bacio che non potevo assaporare, ma che mi riscaldò il petto… un bacio

che mi diceva con un gesto delicato ciò che lui non riusciva a dirmi a parole: un giorno

non sarei più riuscita a sentire i suoi abbracci.

Presente – Wickham

«Vieni o no?» chiese Rhode. Era davanti alla mia scrivania. «Non vorrai davvero

startene qui? A meno che, ovviamente, tu non voglia disegnare altre nubi tempestose.»

Avevo scarabocchiato centinaia di nuvolette tonde anziché prendere appunti.

Raccolsi le mie cose e lo seguii nel corridoio. Mi camminava affianco mentre

uscivamo.

«Stai bene?» mi chiese.

«Sì!» dissi velocemente, tentando di mandare via il ricordo di Hathersage. «Ho una

domanda, però» dissi. «Non mi hai mai detto di quale zona dell’Inghilterra sei di

preciso.» Gli feci questa domanda per vedere quando quel Rhode fosse simile al Rhode

del passato.

«Devon» rispose Rhode.

Anche il vecchio Rhode era del Devon. Fui pervasa da un lampo di speranza. Forse

se ricordava quella cosa avrebbe potuto ricordare anche il nostro passato! Uscimmo

dalla Hopper e attraversammo il cortile arrivando al Turner, il dormitorio delle ragazze.

«E spero che mi perdonerai se te lo chiedo, ma ho sentito dire che…» iniziai a dire,

ma Rhode mi interruppe prima.

«Che non ho famiglia. Sì, è vero.»

Mostrammo i nostri documenti all’addetto alla sicurezza ed entrammo nel

dormitorio.

Alcune ragazze si zittirono di botto al vedere me e Rhode dirigerci verso la mia

stanza. Di certo non erano interessate a guardare me.

«Niente famiglia. È brutto, vero?» disse con un sorriso sardonico. «I miei genitori

sono morti quand’ero piccolo. Ho solo qualche ricordo della mia vita a Lovers Bay.

Ma ho accettato la cosa, davvero.» Poggiò una spalla al muro vicino la porta della mia

stanza.

«Ehi, Rhode» disse una ragazza che non riconobbi. Lui la salutò con un piccolo

cenno del capo.

«Allora ci vieni a tirare con l’arco?» mi chiese Rhode.

«Davvero ti stai offrendo di insegnarmi come si fa?»

«Sì, Lenah.» Mi sentii elettrizzata al sentirlo pronunciare il mio nome e non riuscii

a scollare il mio sguardo dal suo.

«Oh, voi due» disse Tracy arrivando nel corridoio, «cercatevi un albergo.» Lo disse

ridendo mentre andava ad aprire la porta della nostra stanza. Le caddero le chiavi a

terra e Tracy strillò così forte da perforarmi i timpani.

Rhode posò una mano sulla spalla di Tracy. «Non muoverti» le ordinò.

«Che è successo?» chiesi. Tracy si era coperta la bocca con una mano.

Rhode disse con un tono serio «Chiamate il consulente dell’edificio.»

«Rane?» chiese Tracy, la voce ovattata dalla mano. «Stai scherzando?»

Rane? Che cosa?

Entrai nella stanza e mi bloccai. Aveva ragione… c’erano delle rane. Decine di rane

morte sparse in tutta la stanza. Penzolavano dallo specchio, ricoprivano i letti e stavano

persino sulle plafoniere. Alcune sembravano semplicemente addormentate. Altre erano

squarciate a metà, carcasse… dissezionate.

«È una cosa disgustosa!» urlò Tracy. «Che diavolo di scherzo è questo?»

Urlò di nuovo dopo aver trovato altre rane nel bagno.

Mi tornò alla mente un ricordo, senza nemmeno averci pensato. In passato. Alla

lezione di biologia. «Squarci i gatti a mani nude e non riesci a dissezionare una rana?»

mi aveva chiesto Justin dolcemente.

«Non ce l’ho fatta a tagliare la rana» avevo risposto.

Continuai a pensare a quel ricordo. Ero arrivata per la prima volta a Wickham e non

riuscivo a dissezionare le rane durante quella lezione di biologia. Avevo ucciso così

tanti umani da regina dei vampiri che, dopo essere ritornata umana, quelle piccole rane

indifese sarebbero state troppo. Quello fu anche il giorno in cui il rapporto tra me e

Justin cambiò, quando mi innamorai del ragazzo moderno del ventunesimo secolo,

lasciandomi alle spalle il mio brutale passato.

Rhode cominciò a raccattare le piccole carcasse.

Una rana saltò sullo stivale di Rhode. «Attento!» urlai. «Quella è ancora viva!»

Avrei voluto stringerla a me e ringraziarla per essere sopravvissuta. Invece, la presi,

aprii la finestra e la posai a terra con delicatezza, sotto dei rami rigogliosi.

«Perché state urlando così tanto?» la voce della consulente dell’edificio, Tina, mi

fece girare su me stessa. «Wow» disse mentre ispezionava la stanza, «questa è una…

follia.»

Rhode stava ancora raccogliendo le carcasse. Tracy tentava di abbracciarsi da sola.

«Tina» disse Tracy con un filo di voce, «le abbiamo trovate qui e basta.»

«È uno scherzo da pazzi» disse Tina. «Sapete chi è stato?»

Justin, pensai, ma non lo dissi ad alta voce.

Tina scosse la testa con disgusto e tirò fuori il cellulare. «Rimettile a terra, Rhode e

va’ a lavarti le mani.» Aspettò che qualcuno rispondesse dall’altro capo della linea.

«Ehi, Bob? Sono nel dormitorio Turner, nella doppia 102.»

Tina chiese di mandare degli addetti alle pulizie e ci disse che avremmo dovuto

lasciare la stanza per qualche ora, così da permettere ai tecnici di fare il proprio lavoro.

«Chiamo Williams» disse.

«Ehi, ragazzi» disse Tony sulla soglia. Guardò lo stanza. «Cazzarola.»

«Tony, fermo lì. Ragazzi, dovete andarvene tutti» disse Tina, accompagnandoci

fuori.

«Quelle erano… rane?» chiese Tony.

«Circa un centinaio» rispose Rhode.

«Che avete fatto per ritrovarvele?» chiese Tony.

«Oh, certo, di sicuro è colpa nostra» disse Tracy. «Sei tu quello che dice di no alle

ragazze che gli chiedono di uscire. Di solito contro di me non si vendica nessuno.»

Rhode prese il mio piumone e Tony quello di Tracy. Annusò il tessuto. «Non puzza

di rane.»

Deglutii, tentando di fermarmi dal dire qualcosa di troppo specifico. «Credo che

questa sia l’idea che qualcuno si è fatto di “scherzo di pessimo gusto”» dissi.

«E dire che il termine “pessimo” è la parola chiave» rispose Tony.

Tornammo nel corridoio per andare in lavanderia con i piumoni in mano. Senza

dubbio, quello era l’inizio della vendetta di Justin… il cambiamento dei suoi piani.

Dopo aver avviato il lavaggio, Rhode, Tracy e Tony sedettero a un tavolo della

lavanderia per parlare di chi poteva essere il responsabile del macabro scherzo. Mi

poggiai contro la finestra ascoltando il ronzio ritmico delle lavatrici.

Non erano le rane a preoccuparmi. Ciò a cui pensavo con tormento erano due cose:

primo, che quello era il nuovo piano di Justin e che da quel momento in poi le cose

sarebbero potute solo peggiorare. Secondo, che Rhode ancora non sapeva nulla. Come

Tony, anche Rhode doveva sapere la verità, per il suo stesso bene.

«Allora qual è il piano?» chiese Tony.

«Che vuoi dire?» rispose Rhode.

«Come farai a scoprire chi è stato? Ti conosco, Rhode. Il tuo cervello da sapientone

sta mettendo insieme i pezzi di un qualche piano stravagante.»

«Ma smettila» disse Rhode, togliendogli di testa quell’idea con un sorriso.

Tony si voltò verso Tracy. «Ricordi quando aveva pensato che la votazione per la

reginetta del ballo studentesco fosse stata truccata?»

Quando Rhode tentò di spiegare l’episodio, risero tutti. Aveva davvero costruito una

vita lì. Aveva una reputazione. Un passato. Sorrisi un po’, nonostante le circostanze.

Le loro voci mi riportarono alla realtà e il braccialetto di stoffa attorno al polso era

ancora ben stretto. Per un brevissimo momento la ricerca di Suleen non mi sembrò più

così impossibile con loro al mio fianco.

Fuori la finestra, il sole splendeva tra gli alberi proiettandosi a terra. Seguii le scie

di luce dalle basi degli alberi fino alla spiaggia di Wickham. La baia brillava tra le

piante e…

C’era un uomo sulla battigia. Mi raddrizzai quando lo riconobbi. Non ne ero sicura,

ma aveva la stessa statura del vampiro della fattoria. Quello che mi aveva avvertita. Se

ne stava lì a braccia conserte e guardava in direzione della scuola.

Fa’ finta di niente.

«Dovremmo dirlo a Claudia e Kate. Di sicuro riusciranno a risalire al colpevole»

diceva Tracy. «Loro sanno tutto e conoscono tutti.»

«Pensavo che quella a sapere tutto fossi tu» rispondeva allora Tony.

Strizzai gli occhi per cercare di vedere meglio chi fosse quell’uomo; dannazione, mi

mancava la vista da vampiro. Aveva capelli corti e scuri, appiattiti sulla testa e portava

una collana d’argento che catturava i raggi del sole.

Sì, era decisamente il vampiro della fattoria! Che diavolo ci faceva di nuovo alla

luce del sole?

Piano d’azione… piano d’azione… dovevo andare da lui, subito.

«Qualcuno ha fame? Magari possiamo andare a comprare qualcosa. E mangiarla

qui» proposi con un lieve tremito nella voce. Dovevo far uscire tutti dalla lavanderia.

Cercai lo sguardo di Tony e tentai di fargli capire che avevo bisogno che mi reggesse

il gioco. Con la bocca mimò un “oh” dopo aver capito che stavo tramando qualcosa.

«Cara matricola, fosse in te non lascerei mai incustodito il bucato» disse Tony

alzandosi. «Se li lasci nella lavatrice per più di due secondi dalla fine del lavaggio,

degli idioti potrebbero levare i tuoi vestiti umidi. Per cui tu resta qui… noi ti porteremo

da mangiare.»

«Per me un taco!» disse Tracy.

Dannazione. Ecco svanita la mia occasione di restare sola.

«Andiamo, Rhode. Voglio un panino. No! Un hot dog. Sì! Un hot dog.» disse Tony.

«Sei sicura di non voler venire con noi, Tracy?» tentò un’ultima volta, ma lei scosse la

testa.

Rhode attendeva nel corridoio. «Ti porto qualcosa?» mi chiese.

«Solo del caffè» dissi.

«Questa ragazza va matta per il caffè» disse Tony con una risata da maniaco. Una

volta chiusa la porta, andai subito al davanzale della finestra e tentai freneticamente di

aprirla, ma senza risultati.

«Dannazione!» urlai.

«Ma cha diavolo…» disse Tracy alle mie spalle, «stai facendo?»

Quel vampiro era ancora lì! Avrei potuto raggiungerlo se solo fossi riuscita ad aprire

quella dannata finestra.

Con un’anca premuta contro l’infisso, tentai di nuovo con la maniglia. Cigolò mentre

la giravo da sinistra a destra e premevo in avanti il vetro. I cardini erano in alto, quindi

appoggiai una gamba sul davanzale e saltai giù da lì, atterrando sull’erba.

Me ne andai.

Tracy mi chiamò dalla finestra ma proseguii e basta. Più tardi avrei dovuto

inventarmi qualche scusa.

Scansando i tronchi, seguii i fasci di luce tra i rami degli alberi. Non appena vidi la

battigia avvicinarsi, uscii dal bosco e giunsi sulla spiaggia.

Vuota. Non c’era un’anima, né di vampiro né di altra specie.

Mi girai su me stessa.

«Dove sei?» urlai. «Perché mi tieni d’occhio?» urlai alle ombre della spiaggia vuota.

Sospirai portandomi le mani ai fianchi e dandomi dei colpetti sulle anche con le dita.

Mi accovacciai… c’erano delle impronte di passi. Portavano nel bosco. Indossava degli

stivali e dovevano essere pesanti, visto che le orme sulla sabbia erano profonde. Seguii

le tracce fino al limitare del bosco, perdendone la scia su un letto di aghi di pino. Ero

inginocchiata quando un paio di ballerine entrarono nel mio campo visivo. Chi

indossava le ballerine aveva un paio di jeans, una cintura e poi la faccia confusa di

Tracy Sutton.

«Allora» disse, «chi sei corsa a vedere qui? La persona che ha lasciato le rane nella

stanza?»

Ciò che mi sorprese non furono tanto le sue domande, quanto la sua voce per nulla

intimorita.

Sospirai tornando a guardare la spiaggia ancora una volta. Chiunque fosse, era molto

bravo a nascondersi. Ero stata addestrata a scoprire ciò che si muoveva nelle ombre o

a trovare una persona che mi osservava poco al di fuori del mio campo visivo. Era

rimasto per troppo tempo fermo nello stesso posto.

Tracy se ne stava a braccia conserte e mi tornò in mente un tempo, in un mondo che

non esisteva più, in cui la sua tenacia mi aveva colta di sorpresa. Tracy non era soltanto

una persona leale, ma anche grintosa. Aveva vendicato gli omicidi di Claudia e Kate

con una foga pari a quella che avevo io quando ero un potente vampiro. Ed era stata

sempre solo un’umana! Una volta andò in un cimitero armata di coltello da cucina,

pronta a combattere la feroce Odette. Sarei stata per sempre legata a Tracy.

«Chi era, Lenah?» piegò la testa, le braccia ancora conserte.

Le sedie vuote dei bagnini a poche centinaia di metri da lì indicavano quanto poco

fossimo distanti dal confine con la città. La spiaggia era vuota.

«Ora se n’è andato» dissi.

«Siamo al sicuro?» chiese Tracy. «Perché dopo questa storia delle rane, non mi sento

molto al sicuro.» La sua voce però non tremò. Era ben ferma e le sue parole altrettanto.

La seguii e ci dirigemmo di nuovo verso il Turner.

«No» dissi, mentre mi facevo strada tra i rami e le foglie. Uscimmo dal bosco

arrivando di nuovo sull’erba. «No, non siamo al sicuro.»

Era palesemente arrivato il momento di dire tutto a Tracy.

Tracy, Tony e io restammo seduti in lavanderia anche dopo aver finito con i piumoni.

Rhode era andato a parlare con la direttrice riguardo un discorso speciale sui pericoli

degli scherzi da fare in assemblea. A quanto sembrava, e la cosa non mi sorprese

affatto, Rhode era il rappresentante degli studenti.

Tracy saltò giù dalla lavatrice sulla quale si era seduta. Con le mani sul tavolo, disse

con voce tremante. «Quindi mi stai raccontando e dicendo che Justin non solo è un

vampiro, ma che voi due vi conoscevate già, in un’altra specie di realtà alternativa.»

«Sì, in pratica ti sto dicendo questo.»

«Lo sai che sembra una follia.»

Tony non osò tentare di chiedermi fino a che punto io e Justin ci conoscessimo

prima.

Tracy si appoggiò ad una lavatrice e prese a mangiarsi le unghie. «E per un qualche

motivo mistico, non può farti del male? Ma può fare del male a noi? Che fortuna» disse

con sarcasmo e la sua acidità aveva perfettamente senso. Il bisogno di negare

l’esistenza del mondo sovrannaturale era una cosa da umani.

«Perché sei così arrabbiata?» chiese Tony a Tracy.

«Non sono arrabbiata» disse Tracy, ma stava tremando ed era evidente che fosse

alterata. Espirò e si portò le mani ai fianchi. «Non lo so. Forse sono arrabbiata davvero.

Ho avuto la strana sensazione di averti già vista la prima volta che ti ho incontrata qui.»

Spostò lo sguardo su di me dopo averlo detto. «E ogni volta che parli con Tony, divento

molto gelosa.»

Dovrei dirle di Justin.

«Gelosa di me?» disse Tony sollevandosi di scatto.

«Spiegami come vi siete conosciuti… tu e Justin» disse Tracy.

Avrei dovuto procedere con cautela in quel momento. Tracy e Justin stavano insieme

quando ero arrivata al campus qualche anno prima. Col tempo, le avrei raccontato la

versione completa. Era la cosa giusta da fare, ma in quel momento aveva già molto a

cui pensare.

«Siamo usciti insieme. Prima.»

«Ok.» Tracy abbassò la testa e non vedevo la sua espressione. «Facciamo finta che

ti credo. Tu vuoi che io accetti il fatto che in una realtà alternativa tu conoscevi Justin.

Cioè, che lo conoscevi intimamente. Ho bisogno di prove.» Sollevò lo sguardo verso

il controsoffitto. «Ok… come si è procurato la cicatrice che ha sul mento?»

«Tracy…» gemette Tony.

«Voglio solo sentirglielo dire! Se Lenah esisteva e ci conosceva in una realtà

alternativa, saprà la risposta. Come ha fatto Justin a procurarsi quella cicatrice? Io sono

l’unica alla quale ha raccontato la storia.»

«Quale cicatrice?» chiese Tony. «Non ho gli mai visto cicatrici sul mento.»

«Si vede solo da vicino.» Tracy disse la frase in modo vago, ma riuscii a percepire

una nota più dolce, perché rivolta a Tony.

Tony si sistemò sulla sedia imbarazzato. «Oh» fu tutto ciò che rispose.

Sospirai. «Quando erano piccoli, Roy, il suo fratellino, si arrabbiò con lui perché

aveva mangiato tutte le sue patatine. Perciò fece per colpirlo in viso con una forchetta,

ma, siccome Justin era più alto di lui, la forchetta arrivò fino al mento.»

Tracy restò a bocca aperta e si abbandonò sulla sedia di fronte a noi. Si coprì il volto

con le mani.

«Ha ragione» disse tirando su col naso.

«Non è una cosa buona?» chiese Tony.

«Sì!» disse Tracy soffiandosi il naso chiuso. «Vuol dire che non è una persona falsa.

Ma vuol dire anche che Justin è un dannato “Diosacosa”.»

«Un vampiro» dissi.

«Non ci credo.» Scosse la testa. «Universi paralleli? No. No, no, no, no, no, no.» Si

alzò di nuovo e cominciò a fare avanti e indietro per la stanza, con la coda di cavallo

che sballonzolava di qua e di là.

E meno male che Fuoco mi aveva detto che avrebbe ricordato tutto.

Tony si voltò verso di me. «Ok» disse con un gran sospiro, «concentriamoci su un

piano per non morire. Direi di preoccuparci per la tortura che ha pensato per noi.»

«È un’interessante scelta di parole.»

«Rane?»

«No. Tortura vera e propria…» riflettei. Incrociai le braccia fissando il tavolo di

linoleum bianco. «Sì…» dissi, mentre la mia mente andava oltre il tavolo e le mura

della stanza. Mentre parlavo si affollavano dei ricordi nella mia mente. «Quand’ero

Regina dei vampiri, i vampiri che mi tenevano nascoste informazioni li appendevo per

i polsi. Li lasciavo appesi finché avevano sete di sangue, da morire. Gliene davo un po’

quando iniziavano a rinsecchirsi, solo per soddisfare il loro bisogno e quando si

sentivano meglio ripetevo la procedura. Riuscivo sempre a ottenere le informazioni che

volevo. Questa si chiama tortura.»

Mi scrollai di dosso quel ricordo e li guardai.

Tracy e Tony mi fissavano a bocca aperta.

«Comunque…» continuai, «tornando a Justin e alle torture. Non ci torturerà.

Perlomeno non nel senso tradizionale vampiresco. Mettere centinaia di rane morte nella

mia stanza… non è piacevole, ma non è letale.»

«Non dimentichiamoci» aggiunse Tracy, «che era anche la mia stanza.»

«Ma i vampiri in genere non si comportano così.» Continuai. «Quando venni qui a

Wickham per la seconda volta, Odette…»

«La vampira bionda?» mi interruppe Tony. «Quella ha trasformato Justin in

vampiro?»

«Sì» dissi con ansia. «Odette è quella spietata. Anzi, lo sono tutti i vampiri. Ma Justin

non si sta comportando così o almeno non ancora, sempre che sia lui il responsabile.

Non ci sta propriamente torturando» dissi, cercando di proposito lo sguardo di Tracy,

«e non ci ucciderà.»

«Allora come lo ritrasformiamo in umano?» chiese. «Come hai fatto tu.»

«Non so se possiamo» ammisi.

«Dev’esserci un modo. Non possiamo lasciarlo così» disse Tracy. «Dobbiamo farlo

tornare umano. Tu l’hai fatto; saprai come fare.»

«Non è così semplice. Nessuno aveva eseguito quel rituale prima di me e Rhode.»

Colpì il tavolo con le mani. «Rhode!? Ma che diavolo, Lenah? Anche lui era un

vampiro?» sputò un po’ mentre parlava e si fece rossa in viso. Ops. Avrei voluto

dirglielo in un modo più delicato.

Una volta spiegata la situazione a Tracy, e dopo essere riuscita a farla riaccomodare

con calma, dissi «Odette ha trasformato Justin in vampiro per far soffrire me.»

«E anche me» disse Tracy mentre si asciugava le lacrime con le dita. «Era mio

amico.»

«E allora che facciamo ora?» chiese Tony e riuscii a percepire che il suo intento era

quello di allarmarci. «Che facciamo col tizio che ti tiene d’occhio?»

Mi alzai e poggiai le mani sul ripiano della finestra. La spiaggia era ancora vuota e

si era alzato il vento.

«La prima volta che questo vampiro mi vede, alla fattoria, mi dice di prepararmi. E

ora, dopo che Justin fa questo scherzo, lo stesso vampiro mi osserva dal bosco. È una

coincidenza troppo strana.»

«Vorrei sapere dov’era ieri quando siamo stati attaccati su Main Street» disse Tony.

«Devo dirvelo, tutto questo mi sembra stranamente familiare» commentò calma

Tracy.

«Forse è stato lui a colpire Justin con la freccia?» proposi.

«Molto familiare» aggiunse Tracy.

Creste spumose si arricciavano di nuovo nell’acqua.

«Ad ogni modo» dissi, «l’unico modo per poter sapere tutto con sicurezza è di

attirare il vampiro verso di me. Scoprire chi è.» Avevo la sensazione che fosse in

qualche modo legato a Suleen, ma non avevo prove.

«Sei pazza» disse Tracy. «Vorresti far avvicinare a te un tizio che spara frecce in

fronte alla gente?» si tamponò gli occhi con un fazzoletto strappato.

«Non sappiamo chi sia stato a lanciare quelle frecce» le feci notare.

«Credo tu debba scoprire cosa vuole Justin» disse Tracy.

«Non possiamo competere con lui. È troppo forte. Forse questo vampiro potrebbe

aiutarci» dissi.

Ci voleva un luogo pubblico. Un luogo in cui un vampiro avrebbe potuto passare

inosservato tra la folla. Non avrei avuto la sicurezza che sarebbe venuto, ma dovevo

fare un tentativo.

«Qual è la discoteca più famosa della città?» chiesi. «Un posto in cui possiamo

entrare anche noi.»

«Siamo nel Capo» disse Tony, «non credo troveremo posti adatti.»

«Magari il Bolt a Orleans. È proprio fuori Lovers Bay. È la discoteca più grande.

Fanno entrare gente di tutte le età di venerdì» propose Tracy.

«Perfetto. Domani. Andremo. Invita Rhode» dissi a Tony. «Glielo dirò anch’io

domani. Mi porta a tirare con l’arco.»

«È un appuntamento?» chiese Tracy.

Non avevo tempo per spiegazioni sugli appuntamenti moderni. «Credo di sì» dissi,

ma tentai di far scemare subito il discorso per tornare a concentrarci. Anche se Rhode

non ricordava nulla del suo passato, forse vedendo quel vampiro in discoteca avrebbe

ricordato qualcosa.

«Andiamo, Trace» disse Tony e la cinse con un braccio. «Andiamo in caffetteria. Ti

compro dei favolosi nacho con panna acida extra.»

«Perché la panna acida?» chiese.

«Facilita la sbornia da “cambiamento totale dell’universo” che stiamo subendo.»

«Allora ok» disse tirando di nuovo su col naso.

Riprendemmo i piumoni e tornammo alla nostra stanza pulita e senza rane.

Quella notte sognai Justin:

Si avvicina verso di me, l’acqua della baia di Wickham gli arriva fino al tronco. È

tutto inzuppato quando arriva sulla sabbia. È come la prima volta che l’ho visto: un

giovane uomo con un favoloso futuro. L’acqua gli sgocciola sull’addome, fino al

girovita dei pantaloncini. Lì, dove di solito mi aspetterei orde di studenti, non c’è

nessuno, siamo soli. Anche in questo mondo onirico non posso fare a meno di sentirmi

innamorata del suo spirito. Ha una tale sicurezza e ama la vita.

«È una bellissima giornata» dice Justin accanto a me. Sorride al sole e io vorrei

abbracciarlo. «Hai poco tempo, come al solito» dice, mentre l’acqua gli sgocciola

dalla mascella. Ancora una volta devo resistere alla voglia di toccarlo.

«Perché sei ancora un vampiro? Perché non ti hanno liberato?» sospiro. Ho così

tante domande, ma questa è la più urgente.

«Devi usare il tuo cuore per capire» spiega Justin. Finalmente si volta a guardarmi

dritto negli occhi. Lo sguardo è gentile come lo ricordavo. «Il tuo cuore, Lenah.»

Si allontana sulla spiaggia.

«Usare il mio cuore? Come?»

Sale i gradini che dalla spiaggia portano al campus di Wickham. La luce del

tramonto mi acceca e devo coprirmi il volto con la mano. Voglio seguirlo.

«Justin!» lo chiamo di nuovo. «Justin!»

Feci un balzo nel letto.

«Justin!» urlai.

Mi portai le ginocchia al petto e sentii il cuore battere contro le gambe. Volevo urlare

di nuovo il suo nome, ma avevo la gola secca.

«Hai pronunciato il suo nome tre volte» disse Tracy, mettendosi a sedere. La luce

della luna illuminava il pavimento tra i nostri due letti, creando una foschia perlacea.

Tracy poggiò la schiena al muro e portò anche lei le braccia al petto.

«Lo amavi?» mi chiese con voce a malapena udibile. «In passato, intendo.» Ci

eravamo arrivate alla fine: la verità.

«Sì, lo amavo.»

«Non mi stai raccontando tutto. Lo so. Me lo sento. Se mi vuoi dalla tua parte, dovrai

dirmi tutta la verità.»

Era più semplice confessare tutto al buio. Tracy non aveva detto nulla all’inizio. Se

non l’avessi guardata in viso sarebbe stato più semplice ammettere quant’ero stata

cattiva.

«Noi…» sospirai. «Tu eri la sua ragazza. Sono venuta a Wickham e mi sono

comportata da egoista. Non avevo mai avuto amiche, quindi non ho pensato molto a

come potessi sentirti. Mi dispiace.»

«Sì, beh» disse dopo qualche momento, «sono certa di essere stata uno zuccherino

con te» scherzò. «Anche prima che vi metteste insieme.»

La guardai negli occhi; non potei farne a meno. Tentai di fingere di non sentirmi

sorpresa per ciò che aveva detto, ma era troppo tardi.

«Oh, non essere così sorpresa. Fino all’anno scorso ero acida con tutti, a parte

Claudia e Kate. Non so… mi sono stancata di fare la stronza. È sfiancante.»

Non sapevo come dirglielo, per cui non le dissi nulla. Perché una volta ero stata una

persona orribile anch’io.

«Comunque non fu vero amore… almeno non per me» dissi. «Esistono varie forme

d’amore. Ho imparato che è così. Ma niente arriverà mai a somigliare a ciò che provo

per Rhode.»

«Davvero sei…» si fermò. «Davvero sei viva da seicento anni?»

«Più o meno. Ma ora invecchio normalmente. Sono umana.»

«Qual è la cosa più bella che hai mai visto?»

Fatta eccezione per i cento anni passati in ibernazione, avevo avuto una lunga vita

di sangue. Non riuscii ad ammettere che camminare nel campus e vedere Rhode umano

e in salute fosse la risposta da darle. Vedere Tony vivo poteva essere un ottimo secondo

posto. Invece scelsi «Il carnevale di Venezia del 1605. Il doge indossava un vestito di

velluto blu. La gente portava maschere tempestate di diamanti e rubini. Non avevo mai

visto vestiti più belli. Le commedie a teatro facevano ridere centinaia di persone.

C’erano tavolate di cibi e vino dolce. Si ballava tutta la notte. I cortigiani si baciavano

negli angoli e facevano brindisi con i bicchieri alzati…» quel ricordo mi trasportò via

per un attimo. «Rhode e io ci sentivamo quasi a nostro agio!» il mio sorriso svanì.

«Finché non uccidemmo il doge.»

Tracy fece un respiro profondo e io dovetti ricordarmi che non era abituata a vedermi

in veste di assassina. Dopo qualche momento mi disse piano «Non sono mai stata

innamorata. Però vorrei. Non ero innamorata di Justin, solo dell’idea che mi ero fatta

di lui. Riusciva a comandare una stanza piena di gente… sai, quando si dice così di una

persona, no?»

Mi ritrovai a fare una pausa prima di continuare a parlare con Tracy. Non ricordavo

nemmeno di aver mai raccontato ad un’altra ragazza i miei problemi. Per Tracy era

stato odio a prima vista, al nostro primo incontro, in passato. Non potevo biasimarla;

ero completamente innamorata del suo ragazzo.

Ma poi eccoci lì, pronte a combattere insieme.

«Cosa stavi sognando?» disse Tracy.

Mi poggiai su un gomito. «Ho visto Justin sulla spiaggia di Wickham e mi ha detto

di usare il mio cuore.»

«Usare il tuo cuore?»

«Esatto.»

Tracy si mosse tra le lenzuola mentre entrambe cercavamo di decifrare ciò che

potesse significare quella frase.

Il cuore. Il battito del cuore? Dovevo amare? Non aveva alcun senso!

La domanda che mi aveva assillata in lavanderia tornò a tormentarmi: perché non

faceva del male alle persone intorno a me? Il suo comportamento era così difficile da

capire. Ovviamente, attaccare le persone più vicine a me era stata la tattica di Odette.

Diavolo, era stata la mia stessa tattica. Nessuno era stato più rapito dal campus dopo

quella ragazza all’inizio dell’anno. Jackie qualcosa. Non la conoscevo. Doveva essere

stato Justin. Ma era così imprevedibile e non avrei potuto immaginare i suoi piani.

Lessi sull’orologio che erano le 4.19. Avevo bisogno di caffè, perciò mi levai di

dosso le coperte.

«Ci alziamo? Perché sicuramente non riuscirò a dormire ora» disse Tracy.

«Sì, ci alziamo.»

«Sgattaioliamo in caffetteria a prendere per prime i bagel?» suggerì.

«Mi hai letto nel pensiero» dissi afferrando la felpa. Tracy raccolse le pantofole.

Sgusciammo via e chiudendo la porta osservai il mio letto tutto scompigliato, specchio

di quella notte tormentata.

CAPITOLO 8

Traduzione: Angela

Pre-Revisione: Noir

Non riuscimmo a trovare una ragione o una soluzione al messaggio criptico di Justin

nel mio sogno. Quindi Tracy si concentrò invece su cosa avrei indossato per il mio

appuntamento di tiro con l'arco con Rhode quel pomeriggio. Dopo colazione impiegò

quindici minuti a scegliere un outfit da farmi indossare e alla fine optò per dei jeans

con una sua canotta blu. «Ti vesti solo di nero» disse Tracy. «Hai bisogno di un po' di

colore per questo appuntamento. E stasera al club? Neanche lì lo potrai indossare.»

«Oh certo, vestita con un colore acceso sarò un bersaglio più facile.»

«Rimani un bersaglio indossando qualsiasi cosa» replicò, e mi spinse verso la

porta. Non aveva tutti i torti.

Aspettai ai piedi della collina dove si praticava tiro con l'arco, ricordando il giorno

in cui Fuoco e altri tre membri delle Eridi avevano aspettato me e Rhode in cima alla

collina per dirci che non potevamo stare insieme. Era la nostra punizione per la

manipolazione degli elementi.

Ok, Fuoco non si trova qui, ma Rhode si. Rhode non ha memoria e non ti può

giudicare per aver perso la tua nel 1740. Questo è un vantaggio. Si, un vantaggio!

Questo appuntamento non sarà difficile. Perché sto aspettando qua sotto?

Potevo farcela di sicuro. Strinsi e riaprii le mani mentre mi arrampicavo lungo la

collina. Potevo trascorrere del tempo con Rhode e fingere che non avessimo

condiviso cinquecento anni insieme. Presi un profondo respiro e raggiunsi la cima

della collina.

Rhode era lì, immerso nella luce del tardo pomeriggio. Il respiro mi si bloccò in

gola.

Stava preparando le frecce per la nostra lezione e teneva il mento alzato verso il

cielo, godendosi il calore del sole. Stendendo le braccia verso l'alto, teneva gli occhi

chiusi.

Non ero a conoscenza dell'esistenza di un paradiso o di una coscienza dopo la

morte. Ogni volta che avevo ceduto alla fine della mia vita, Rhode mi aveva salvata.

Che fosse dipeso dal suo amore, o del potere del mondo soprannaturale, non ero

mai effettivamente morta. Ma se mai mi fosse toccato morire, sperai che fosse così,

con Rhode ad attendermi.

Dovrei salutare invece di stare ferma e fissarlo come una specie di stalker.

Feci un passo in avanti e mi assicurai di schiarirmi la gola così da non cogliere

Rhode di sorpresa. Si girò verso di me e sorrise.

«Altre rane?» Chiese.

«No.»

«Ho chiesto alla squadra di tiro con l'arco se avessero sentito qualcosa. Nessuno ha

confessato, ma arriveremo fino in fondo all questione.»

«Dopo il tuo discorso minaccioso all'assemblea mattutina... cos'è che hai detto? Oh

si, ci saranno conseguenze non solo per la crudeltà inflitta agli animali ma anche per

sfacciataggine. Ben detto. Mi piace la parte sulla sfacciataggine.»

«Ti stai prendendo gioco di me.»

«Mai.»

Sollevò una freccia dalla pila che aveva messo insieme. Le sue piume erano viola

scuro, uno dei colori della scuola. Era una freccia fatta per esercitarsi sul bersaglio,

con una punta smussata per ragioni di sicurezza.

«Allora sei pronta?» Chiese.

«Più che mai.»

La lezione di Rhode fu abbastanza buona. Nonostante fossi più o meno al suo

livello, finsi di ascoltare e di non avere idea di quali fossero le parti di un arco e di

una freccia. Non mi piaceva fingere, ma volevo essere a stretto contatto con lui.

Forse, se avessimo rimesso in scena un momento della nostra storia insieme, avrebbe

ricordato un brandello del suo passato. Inoltre, volevo stargli vicina e basta.

«Vedi?» Dimostrò, e la freccia emise un suono metallico e volò in aria. Con un

tonfo centrò il bersaglio.

«Tocca a te, novellina» disse. Si mise dietro di me e io mi appoggiai a lui. Il calore

del suo petto fluì in tutto il mio corpo. Il suo calore non solo mi avvolse, ma fu di

conforto anche alla mia anima. Quest'amore umano era magnanimo; mi faceva

formicolare le dita. Rhode guidò la mia mano indietro e mi sussurrò contro l'orecchio,

«Va bene se ti sto così vicino?»

«Si» bisbigliai appena.

Insieme lasciammo andare l'arco. Volevo impressionarlo e l'arco colpì il centro del

bersaglio.

Perfettamente.

«Wow, tiro fortunato» commentai, alzando le spalle.

Rhode fece un passo indietro.

«Si. Decisamente. Tiro fortunato.» Inclinò la testa. «Lenah...»

«Cosa?» Continuai a fissare il centro del bersaglio, l'arco, qualsiasi parte che non

fossero i suoi occhi blu.

«Perché ho la sensazione che tu lo sappia già fare?»

Scossi la testa. «Non ne ho idea.»

Indicò in direzione del bersaglio... in attesa.

Dannazione. Non riuscivo a mentire a Rhode.

«Questo dovrebbe essere interessante» disse, ma c'era una punta di fastidio nella

giocosità del suo tono.

Alzai l'arco, tirai indietro la corda e la lasciai andare. La freccia centrò il bersaglio,

proprio accanto alla freccia che avevamo tirato insieme.

«OK, adesso mi sento stupido» disse. «Sei formidabile.»

«No, non sentirti stupido.»

«Sei un'arciera bravissima.»

«Fortuna del principiante» risposi, in un patetico tentativo di produrre una risatina.

«Lenah...»

Si piegò per prendere un'altra freccia, ma esitò. Indicò la mia spalla sinistra.

«Aspetta un attimo...» disse, rialzandosi lentamente. Continuò a indicare la mia

schiena. Oh cavolo. Stupida Tracy e stupido top, che si era spostato durante la

lezione.

«Voltati» disse, calmo.

Gli mostrai la mia schiena. Fui attraversata da un brivido quando mi scostò i

capelli. Fece scorrere le dita sulle parole tatuate.

«Malvagio è chi agisce nel male» dissi senza fiato, recitando il tatuaggio sulla mia

spalla. Il suo tocco era così gentile e le sue dita delicate.

«Perché hai questo tatuaggio?» Sussurrò. «Questa esatta espressione.»

«Un motto di famiglia.»

Odiavo quella situazione. Odiavo mentire. Odiavo il fatto che fosse stato proprio

lui a farmi quel tatuaggio e poi a baciarmi per ore. Entrambi lo credevamo essere il

nostro motto, un tempo. Se pensavo di essere cattiva, le mie intenzioni lo avrebbero

rispecchiato. Potevo essere tanto cattiva quanto lo desideravo, a patto che ciò

rispecchiasse quello che ero. Tante, tantissime volte, mentre attingevo alle gole delle

persone, mi dicevo, 'È nella mia natura.'

Non sapevo che per me ci fosse molto più che semplice dolore. Non lo sapevo

finché non ero ritornata umana.

Rhode lasciò cadere la mano e aggrottò le sopracciglia.

«Cosa? Non ti piacciono i tatuaggi?» Dissi, tentando di di scherzare.

Evidentemente, Rhode non era in vena.

«Che cosa vuoi?» Chiese. «Perché sei venuta qui?»

«Per la scuola.»

«Perché hai mentito sul fatto di non saper tirare con l'arco?»

«Se sapevi che stavo mentendo, perché hai accettato di insegnarmi?» Ci fissammo

l'un l'altra, e non volevo altro che dirgli la verità. Anch'io ero nervosa. Non sapevo

come iniziare. Avevo creato tutta quella farsa e Fuoco l'aveva reso così semplice.

«Cosa? Dillo!» disse Rhode.

Espirai bruscamente. «Non so come.»

«Lascia perdere. È quasi ora di pranzo» rispose, distogliendo lo sguardo e

mettendosi la faretra sulla spalla. Non volevo continuare a mentirgli ulteriormente,

perciò mentre se ne stava andando, gli dissi dei nostri piani per la sera. Forse avrei

potuto trovare un modo per dirgli la verità stasera. Magari una volta visto un vampiro

o qualcosa del genere? Forse sarebbe stato più facile in quel modo.

«Questa sera usciamo» dissi. «Al Bolt a Orleans.»

Esitò e la sua rabbia sembrò dissolversi un po' nel rispondere: «Tony me l'ha detto.

I club non sono proprio il mio...»

«Genere?» Suggerii.

«Esatto» concordò. « Torni al campus?» Chiese. Accettai l'invito anche se stava

solo tentando di essere educato.

Camminammo insieme giù per la collina, e fui grata per il cambio di argomento.

«Oh, dai, britannico. Non puoi venire? Solo per una volta? Alle nove e mezza» lo

stuzzicai.

«Vuoi sapere la verità?», chiese. Le mie battute erano chiaramente ancora non

apprezzate.

Spostò la faretra così che stesse più aderente contro la sua spalla.

«Non mi fido di te. Rane nella tua stanza, bugie sul tiro con l'arco, frecce tirate a

pochi centimetri dalla tua testa. E il tuo tatuaggio con quell'esatto proverbio.»

«Ti ricordi... Volevo dire, conosci questa frase?» Chiesi.

«Non riesco a capirti. Ti presenti qui proprio quando qualcosa non va. E tu...» la

sua voce si affievolì.

«Cosa?» Chiesi gentilmente.

«Tu mi guardi.»

«In che modo ti guardo?»

Non rispose, ma sembrò soppesare cosa intendesse. Non mi diede tempo per

spiegare.

Si allontanò a gradi passi, lasciandomi ai piedi della collina di tiro con l'arco, da

sola.

Alle nove e mezza andai verso il Turner, per aspettare Tracy nel parcheggio.

Quando girai l'angolo, di fronte l'entrata del dormitorio Seeker si trovava una

familiare panchina di ferro battuto. Passai le dita lungo le volute del motivo. Vicken

si era seduto lì tante volte. Dovevo ancora dirgli addio alla maniera dei vampiri, con

un rituale. Ma non ne avevo avuto possibilità. Adesso Vicken era morto. L'unico lato

positivo in tutto questo caos era che la sua anima era in pace e la sua storia

completata.

Tracy si fermò di fronte all'edificio con un SUV argentato. Suonò il clacson due

volte proprio mentre Tony spuntava dal sentiero e si fermava accanto a me. Mise un

braccio attorno la mia spalla.

«Lenah, Lenah, Lenah. Sei sicura di essere pronta per questi passi di danza?»

«Li ho già viste. Credimi, lasciano molto a desiderare.»

«Molto a desiderare?» Replicò, in un falso accento britannico.

Ci ammassammo dentro la macchina con Claudia, Kate e Tracy.

«Lenah!» Esclamò Claudia dal sedile posteriore. «Stai benissimo!»

«Grazie» dissi.

Il mio top rosso mostrava un po' più scollatura di quanto volessi. Mentre lo stavo

provando,Tracy mi aveva rassicurata che copriva l'impugnatura del pugnale che

usciva un po' dalla cintura. «Questo è l'importante, no?» Aveva detto.

«No, veramente, il rosso ti sta meglio» continuò Claudia. «Ti ho sempre solo vista

in nero.»

Non mi ero dimenticata dei morbidi capelli di Claudia mentre si sparpagliavano sul

pavimento della torre di arte. Era morta in modo doloroso, ma veloce, nelle grinfie di

Odette. Non mi ero dimenticata della sua determinazione a combattere. Non lo avrei

mai dimenticato.

«Ho bisogno di cambiarlo» dissi, schiarendomi la gola. Era meglio continuare con

l'argomento del momento, dato che non potevo dirle di essere felice di vederla viva.

Ero lieta che non si fosse accorta che avevo deciso di indossare anfibi. Non potevo

correre o potenzialmente inseguire qualcuno con scarpe con il tacco alto.

«Stiamo aspettando qualcun altro?» Chiesi, dato che la macchina non si muoveva.

Proprio mentre pronunciavo quelle parole, Rhode emerse dal sentiero buio.

Immediatamente rovistai nella mia cintura, attenta a non mettere in mostra l'elsa

incastonata con un rubino del pugnale che avevo nascosto. Rhode si sedette nel posto

accanto al mio, aveva un profumo fresco come di dopobarba.

La lozione moderna copriva l'antico odore di legno a cui ero abituata.

«Non pensavo saresti venuto» dissi a bassa voce.

Rhode si mise la cintura di sicurezza.

« Due ore, Tony, poi me ne vado» disse.

«Vivi un po', Lewin» rispose Tony, girandosi dal sedile anteriore.

«Nessun gruppo di dibattito? Nessuna preparazione per l'assemblea?» Chiese Katy.

«Nessun discorso per il consiglio studentesco?» Aggiunse.

«Oh, a proposito, era un bel discorso sui scherzi quello di questa mattina. Hai

spaventato tutti a morte.»

«L'ira di Rhode» aggiunse Claudia.

«Il film!» disse Tony, e tutti iniziarono a ridere, compresa me.

«Considerando che prima è scomparso Justin e adesso anche Jackie Simms, credo

sia alquanto stupido lasciare il campus» disse Rhode. Jackie Simms... Questo era il

suo nome. Jackie era stata rapita dalla scuola a marzo e probabilmente Justin ne era il

responsabile. La coincidenza era troppo grande.

Svoltammo su Main Street e incontrai gli occhi di Tracy nello specchietto

retrovisore.

«A Rhode piace parlare difficile» disse Claudia con un risatina.

«Ah sì?» Chiesi, trovando il coraggio di guardarlo. Mi chiesi come avrei fatto ad

abbattere il muro di sfiducia. Lo aveva detto chiaro e tondo. Non mi fido di te.

«Quel gioiello» disse Rhode. Fece cenno alla collana che mi aveva dato Fuoco.

«Lo avevo notato prima, ma pensavo fosse il riflesso del sole. È decisamente unico.

Cambia colore?»

«È un oggetto di poco valore» dissi, portando le dita alla collana.

Interessante!Rhode sentiva che la gemma non era naturale. Forse era un piccolo

indizio che avrebbe potuto ricordarsi qualcosa della nostra vita insieme.

I suoi occhi indugiarono sulle mie dita che coprivano il pendente, ma rapidamente

tornò a guardare di fronte a sé, la mascella serrata. Dannazione. Non capivo se sapeva

che stavo mentendo.

Non riesco a capirti. Ti presenti qui proprio quando qualcosa non va.

Mentre le parole di Rhode mi risuonavano in mente, il mio buon umore scomparve.

Non mi fido di te, aveva detto.

Serrò la mascella e seppi che era per colpa mia.

Il Bolt Club si elevava su due piani, ed era il più grande club su Cape. Trovammo

un solo tavolo libero vicino alla pista da ballo al piano terra. Rhode andò a prendere

da bere e Tracy si occupò di ordinare degli antipastini. Claudia e Kate la seguirono, e

ciò rese più facile per Tony e me restare da soli.

« Ci potrebbe essere un tavolo al piano di sopra...» disse Tony, trovando una scusa

che ci permettesse di andare in ricognizione per il club. I tavoli di sopra erano posti

migliori, e ciò rese più credibile la bugia.

Tony e io salimmo al primo piano per cercare il vampiro, quello con la collana

d'argento e gli occhi strani. Arrivammo al . Non c'era il bar, solo svariati tavoli pieni

di studenti della Wickham. Alcune persone tentarono di convincere me e Tony a

sederci con loro e parlare, ma non potevo permettermi di farmi distrarre. Se il

vampiro ci stava guardando adesso, avrebbe avuto moltissime persone dietro cui

nascondersi. C'erano moltissime persone ad affollare il Bolt.

Un'altra rampa di scale conduceva giù al parcheggio. Una donna barcollò giù da

un'altra rampa in scarpe con la zeppa altissima. Una ragazza della mia classe di

francese si curvò in avanti per baciare un ragazzo che riconobbi.

«Qualche segno di lui?» Chiese Tony.

«Non ancora. Si starà tenendo in disparte» dissi. Dopo aver controllato le persone

nella pedana del primo piano, entrammo all'interno.

Trovammo un angolo in cui potevamo appoggiarci contro una balconata che

correva lungo tutto il perimetro. La maggior parte delle superfici era smaltata di nero,

risultando scivolose alla vista. Tony mosse la testa al ritmo della musica e osservò la

pista da ballo del piano di sotto. Sentii odori sconosciuti, ancora sorpresa dalla

differenza percepibile tra gli odori del mondo antico e moderno.

Drink zuccherini e olio emanato dai corpi deodorati con cipria e profumi. Mentre

le persone passavano, non riuscii a impedirmi dall'applaudire il look che Tracy aveva

scelto per me. La maggior parte delle ragazze indossavano vestiti e scarpe con il

tacco altissime. Aderente era una eufemismo.

Una ragazza ci oltrepassò. Indossava un vestito nero con le bretelle sottili e scarpe

con il tacco nere che avrebbero potuto trafiggere a morte una bestia.

«Ciao...» disse Tony. Si voltò per seguire la ragazza mentre raggiungeva un tavolo

con altre persone.

Lo colpii scherzosamente. «Hai una ragazza.»

«Che è più sexy di quella ragazza» sorrise a trentadue denti in risposta.

Immersi nella danza delle luci, ci dirigemmo verso le scale del piano terra.

Immaginai per un breve momento mia madre e mio padre a un tavolo. Qualcosa in

questo club avrebbe ricordato loro del mondo in cui vivevano e respiravano? L'unica

cosa che restava la stessa? Le persone. Parlavano e ridevano insieme; questo non era

cambiato. Immaginavo che gli uomini avrebbero sempre amato conversare con

qualcun altro, indipendentemente dall'età. Eppure tante cose di questo mondo erano

diverso dal mio in Inghilterra. Non solo i vestiti, ma anche il modo superficiale nel

quale le persone vivevano la propria vita. Avevano semplicemente a disposizione

molto più tempo di quanto ne avessi io nel quindicesimo secolo. Nel mondo

medievale, se arrivavi ai trent'anni, eri considerato anziano.

In cima alle scale, un uomo con la pelle chiara mescolò il ghiaccio dentro il suo

drink. Il Whiskey strabordò e scivolò lungo le pareti del bicchiere, come il sangue

che una volta bevevo da calici stracolmi. L'uomo si diresse verso di me come se

volesse ballare, e io mi allarmai e mi strinsi a Tony.

«Quell'uomo sarebbe stato un pasto delizioso nella mia vita precedente» gli

mormorai contro l'orecchio.

Tony mi trascinò per le scale. Mi fermai, facendo finta di sistemare qualcosa nella

scarpa, mentre spostavo il pugnale dalla vita allo stivale. In questo modo avrei

comunque potuto prenderlo facilmente, ma non sarebbe stato notato da chiunque si

fosse trovato nelle vicinanze nella pista da ballo.

«Quando avrai finito di sistemare i tuoi accessori, possiamo ballare?» Chiese

Tony, inclinando leggermente la testa.

Mi trascinò con sé fino alla pista da ballo. Quando ero venuta in quel club per la

prima volta, Tony non era con me. Non capiva la mia amicizia con Justin. Tony

ancheggiò per per farmi ridere. Avrebbe dovuto esserci già quella prima volta. Non

avrei dovuto lasciarlo all'oscuro. A quel tempo, pensavo fosse la cosa migliore da

fare. Aveva sentimenti per me e io non potevo ricambiarli. Ero stata egoista a non

essere più onesta con lui sin dall'inizio.

«Allora, Regina dei Vampiri» disse Tony, «hai mai visto qualcuno ballare così?»

Sventolò le mani su e giù, accidentalmente colpendo il sedere di una ragazza.

Quest'ultima si girò verso di noi.

«Oh mio...» disse Tony, immobilizzandosi.

«Che stai facendo?» Sbraitò la ragazza.

«Incidente. Un assoluto incidente.»

Scoppiai a ridere e lasciai Tony a caversela da solo, il che equivalse a darsela a

gambe dalla pista da ballo. Oltrepassò Rhode, che stava all'inizio delle scale che

portavano alla pista. Proprio in quel momento, la canzone cambiò in un un lento. Le

luci divennero rosse, poi blu mentre Rhode si dirigeva verso di me. Non potei fare a

meno di guardarlo; volevo passare le dita sul suo petto ampio e muscoloso. Il grigio

acciaio della sua maglia con i bottoni rendeva i suoi occhi blu più luminosi.

Quindi io e Rhode eravamo così da umani.

«Balliamo?» Chiese a voce bassa, vicino al mio orecchio.

«Sicuro che vuoi?» Chiesi, per via di come ci eravamo separati sulla collina dedita

al tiro con l'arco. Persino in macchina non era stato proprio amichevole.

«Hai mai ballato prima?» Chiese.

«Sì» risposi, pensando che fosse una domanda strana.

«Bene. Vedi? La verità. Stiamo già andando d'accordo.»

Dovetti distogliere lo sguardo; le guance mi si colorirono.

Rhode intrecciò le mani alle mie...

Rhode mi prende la mano. Sono i primi anni del 1700 e siamo in una sala da ballo

grandissima. Palmo contro palmo, ci muoviamo con passi calcolati, creando calore

ogni volta che ci tocchiamo. Ci amiamo così profondamente che, quando la nostra

pelle si incontra, un caldo fremito passa per tutto il mio freddo, morto corpo da

vampira.

In quel ricordo ci voltammo verso destra e poi verso sinistra, palmo contro palmo.

Danzammo con le mani intrecciate di fronte a una sala piena di umani che non

avevano idea di quanto fosse importante per noi amare. Amare così profondamente

che quando il tuo cuore morto avesse smesso di battere, l'amore del tuo amato ti

avrebbe riportato indietro da dentro.

Il pulsare degli altoparlanti mi fece ritornare sulla pista da ballo del Bolt. Sbattei le

palpebre per far scomparire la sala da ballo della mia memoria, ma il giovane uomo

di fronte a me era sempre lo stesso.

Rhode mi mise una mano intorno alla vita. Ero grata di aver spostato il pugnale

nello stivale.

«Più vicini» sussurrò. «Così.» Non c'era più spazio tra noi, i nostri corpi incollati.

Inspirai il suo distinto odore umano: dopobarba e qualcosa di dolce che non riuscivo

a identificare. Era lo stesso confortevole odore che aveva sul campo di tiro con l'arco.

«Rhode» sussurrai. «Mi dispiace per oggi.»

«Perché mi fai questo?» Chiese. La musica diminuì intorno a noi. «Mi confondi.

Del tutto. Non riesco a capirti. Il tuo comportamento, come mi guardi. Come mi sento

nei tuoi confronti.» I suoi occhi mi scrutarono il volto come se avesse capito qualcosa

di me per la prima volta. «Affascinante» disse. «E bellissima.»

Era così feroce nella sua passione. La sua intensità mi bloccò le parole in gola.

«Perché io?» Chiese.

«Non lo so» balbettai, perché non volevo mentire. «Perché dev'esserci una

risposta?»

«” Malvagio è chi agisce nel male”» continuò gentilmente. «Tu ci credi?»

Rhode spostò la mano sulla mia nuca. Stava per baciarmi.

«Credo nell'intento» dissi. «Credo che se tu voglia far del male agli altri, porterai

rovina su di te.»

«E cosa accadrebbe se tu amassi qualcuno così tanto da evocarla dal nulla?»

chiese.

La sua bocca era vicino alla mia. Potevo quasi assaporarlo. Avvicinai la mia bocca

alla sua.

Sussurrò piano e il suo respiro mi toccò le labbra. «Forse volevo amarti così tanto

che ti ho immaginata. E adesso sei qui. Che balli con me.»

Avremmo potuto essere da soli in quella stanza; saremmo dovuto essere soli. Stavo

per baciare Rhode. Qui. Adesso.

«Tu … mi ami?» Sussurrai.

Le sue labbra si schiusero per rispondere. Era proprio sul punto di dire qualcosa

quando un'ombra sopra di lui si mosse verso la luce. Sul balcone, proprio dietro la

testa di Rhode, c'era il vampiro.

Questa volta non sarebbe scappato. Gli occhi di Rhode seguirono i miei.

«Ritorno subito. Dannazione. Scusa» dissi.

Una volta che mi ebbe individuato, il vampiro scappò. Scansando più persone che

potevo, spinsi gli avventori via dalla mia strada mentre la musica ritornava quella da

discoteca.

Corsi oltre Tony e Tracy. «Lenah, aspetta!» Disse Tony.

«Non mi aspettare! Vai!» Gridò Tracy da dietro di noi. Credo che stesse parlando

con Tony, ma non potevo aspettare. Non potevo perdere tempo.

Sul balcone, il vampiro tentò di schivare tutte le persone, di uscire, ma non ci

riuscì. Dovette fermarsi e farsi strada tra la folla.

I miei piedi si muovevano sule piastrelle appiccicose. Ero quasi arrivata alla fine

della pista da ballo, dove avrei potuto salire le scale e fermarlo.

«Dov'è?» Gridò Tony. Era accanto a me, tentando starmi dietro. «Scusate, scusate»

disse mentre ci facevamo strada tra la gente. Feci le scale due gradini alla volta e mi

fermai in cima. Sia il vampiro che io ci trovavamo alla stessa distanza dalla porta. Se

fosse stato più veloce di me sarebbe scappato e io avrei perso la mia possibilità di

prenderlo da sola.

Si trovava sotto una luce nera, una di quelle che rendeva tutto viola. Gli occhi dei

vampiri di solito rimanevano dello stesso colore di quando erano vivi. I suoi erano

sicuramente argentei.

«Dove diavolo...» ansimò Tony.

Il vampiro e io aspettammo entrambi che l'altro facesse il primo passo.

«... È quel tizio?» Finì Tony.

Continuò ad ansimare accanto a me. «Lo vedi?» Balbettò.

Aspetta.Per lo scatto in avanti. Un singolo movimento del corpo. Sai quando

scappare.

«Adesso!» Urlai.

«Sono dietro di te!» Gridò Tony.

Percorsi il balcone mentre Tony gridava dietro di me. Non avevo mai chiesto a

questo corpo umano di correre così veloce.

Lo avrei battuto!

Pompai le braccia. Le gambe bruciavano per via dello sforzo. Sarei arrivata prima

io a lui. Lo avrei fatto.

Le mani protese in avanti, mi gettai sul vampiro.

Mi schiantai contro la sua schiena e cadde in avanti contro il muro.

Si lanciò verso di me all'ultimo secondo. Buttai tutto il mio peso su di lui e lo

immobilizzai ad altezza del collo. Non aveva bisogno di respirare, ma sperai che la

mia forza lo avrebbe fermato lo stesso. I suoi occhi argentei si muovevano come

pozze di mercurio. Trasalii anche se stavo tentando di risultare formidabile. Non

potei fare a meno di lasciarmi incantare dal colore cangiante delle sue pupille.

«Renoiera» disse, con un accento che sembrava italiano. Cosa? Non capivo la

parola.

«Cosa vuoi da me?» Chiesi. «Niente più misteri.» Premetti il gomito più forte sul

suo collo. Grandioso, il pugnale è nel mio stivale proprio quando ne ho bisogno.

Tony puntò al vampiro e disse. «Si! Faresti meglio a dirle tutto quello che sai,

teppista.»

«Non stai aiutando, Tony» dissi a mezza bocca. Il vampiro non mi stava

combattendo. «Dimmi, perché mi stai seguendo?» Ripetei.

Silenzio.

Rimossi il gomito dalla sua gola e presi il ciondolo che portava al collo tra il

pollice e l'indice. Era la stessa collana che avevo notato l'altro giorno alla fattoria. Un

piccolo cerchio con una R nel centro. Era fatto di argento fuso e meno largo di una

moneta. Lo lasciai cadere e si posò piatto sulla sua pelle.

«Sembra che tu abbia più bisogno di aiuto di quanto pensassi» disse, e notai

nuovamente il suo accento italiano. «Incontriamoci alla cappella di Wickham domani

sera. A mezzanotte.»

«La cappella?» Chiesi. «Non metterò quei studenti in pericolo.»

«Sono in pericolo dall'esatto momento in cui sei ritornata a Lovers Bay.»

Quella verità mi fece male e mi zittì all'istante..

«Volevo programmare il nostro incontro in un altro modo, ma sembra che non sia

più possibile. Dato che hai tanto aggraziatamente reso pubbliche le tue

preoccupazioni su di me, è più sicuro per loro se ci facciamo una lunga

chiacchierata» disse. Sembrava che stesse dicendo la verità, ma non potevo esserne

certa. Avrebbe potuto lavorare per Justin. Ero stata ingannata molte volte dalle facce

più innocenti e belle.

«Ti prometto che ti dirò ciò che hai bisogno di sapere» disse, mettendosi dritto.

«Cosa intendi con che ho bisogno di sapere?» Chiesi, anche se questa volta il mio

tono di voce era molto più gentile.

Inclinò la testa a mo' di saluto e si diresse verso la porta.

Decisi di provare un'altra tattica.

«Perché non si fida di me? Perché dovrei crederti?» Chiesi in italiano. Si girò, la

mano sulla maniglia. La traccia di un sorriso all'angolo della bocca.

«Non hai altra scelta se non fidarti di me, Renoiera» disse. Di nuovo quella parola.

Era strano, ma non sentivo alcuna ostilità da parte sua. Aveva quell'aspetto

traslucido tipico di tutti i vampiri, ma qualcosa in lui era diverso. A parte gli occhi,

non riuscivo a capire cosa.

Sentii il delicato tocco di una mano sulla mia. Lanciai un'occhiata a Tracy, che si

era unita al gruppo di spettatori. Pensai che avrei trovato Rhode tra i vari volti, ma

non era lì.

Il vampiro sistemò la propria maglia e soltanto una volta raggiunta la fine del

corridoio si girò verso di me.

«Stai attenta stasera. Altri stanno guardando» disse, e aprì la porta. Questa volta il

suo strano sguardo puntò verso Tony e Tracy. «E domani, vieni da sola.»

Con ciò scomparve nella notte.

CAPITOLO 9

Traduzione: redtulip87

Pre-Revisione: Medea_Knight

«Perché devi andare da sola?» Tony mormorò nella mia direzione, ma abbastanza forte

da farsi sentire da Tracy. «Perché è più facile farsi uccidere se si è soli» concluse. Tony

e Tracy mi seguirono verso la ringhiera che si affacciava sulla pista da ballo principale.

Ormai non mi interessava più quello che pensava Fuoco. Avrei detto a Rhode quello

che stava succedendo e l’avrei fatto quella notte. Aveva bisogno di proteggersi.

«E i suoi occhi» disse Tony.

«Già, che faceva con gli occhi?» chiese Tracy.

«E cosa intendeva con “gli altri stanno guardando”… decisamente troppo criptico»

disse Tony.

La musica rombava tutt’intorno e mentre stavamo sulla balconata non desideravo

altro che andare via. Nei miei seicento anni di vita non avevo mai visto un vampiro con

quegli occhi. Anche il suo atteggiamento era strano. Mi aveva seguito e osservato da

lontano, eppure non mi attaccava.

Tony mi tirò gentilmente per un braccio, lo misi intorno al suo e Tracy prese

posizione vicino a lui. «Andiamocene da qui» disse, accompagnandoci al piano terra.

«Gli Altri ci stanno guardando.»

Una volta tornati in macchina, Kate si sedette fra me e Rhode. Rhode aveva aspettato

di sedersi per ultimo in macchina così da non sedersi vicino a me. Non potevo

biasimarlo, non dopo essere scappata dalla pista da ballo. Gli altri chiacchieravano

intorno a me durante il tragitto verso casa. Rimasi concentrata sul panorama fuori dal

finestrino. Avevo evitato la cosa per troppo tempo, ma sapevo ciò che dovevo fare.

Avrei detto la verità a Rhode. Quella sera.

Tornammo al campus solo quindici minuti prima del coprifuoco. «Vi raggiungo

dopo» dissi a Tracy mentre uscivamo dalla macchina e lei e Tony andavano dal

parcheggio al vialetto. Lui circondò Tracy con un braccio e sperai che, una volta rimasti

soli, lui le raccontasse tutto quello che era accaduto quella sera.

Rhode era già a metà del vialetto che portava alla biblioteca. Non lo stavo aiutando

a tenersi fuori pericolo. C’erano così tanti modi in cui avrebbe potuto essere attaccato.

«Rhode!» lo chiamai, ma non mi riconobbe. Lo rincorsi dicendo «Puoi aspettarmi?»

Si girò verso di me e mi disse «No. Parlare con te è inutile. Scappi appena ti tocco.»

Gli tesi la mano, per stringere la sua. «Non scapperò» dissi. Lui sospirò. Un attimo

dopo incontrò il mio sguardo e scosse leggermente la testa. Invece di prendermi la

mano, mi spostò delle ciocche di capelli dagli occhi. Il mio stomaco si contrasse.

Ci spostammo dal sentiero al cortile.

«Fra poco scatta il coprifuoco» disse, oltrepassando la biblioteca.

«Sì. Certo.» Da una finestra del secondo piano, qualcuno suonava una chitarra

acustica e si sentivano delle note delicate.

Rhode mi prese per mano. Mi aspettavo che la tenesse e che continuassimo a

camminare, invece mi fece roteare come se fossimo in una sala da ballo. Mi tirò a sé e

ascoltando il suono del nostro musicista invisibile, mi accompagnò in un casquet.

Istintivamente, avrei voluto vedere se il nostro contatto sarebbe stato caldo come ci

accadeva quando eravamo vampiri. Ma non era necessario, dato che eravamo già molto

accaldati.

Rhode mi appoggiò le mani sulla schiena e scoppia in una risata. Spostò una mano

dalla schiena alla base del mio collo. Il suo tocco era gentile. Eravamo insieme nel

nostro campus. Non era forse nostro? Non ci era stata negata la gioventù? Non

meritavamo semplicemente di essere degli adolescenti, anche se per un minuto

soltanto? Mi stava fissando le labbra. Non avrei potuto baciarlo senza prima dirgli la

verità. Non era giusto.

«Devo dirti una cosa» mormorai. Rhode, ancora concentrato sulle mie labbra, si

avvicinò in un lampo. Mi bloccai; avevo desiderato talmente tanto di baciarlo che era

quasi troppo da sopportare. Rhode si tirò indietro e l’espressione che aveva nei suoi

occhi blu mi sconvolse… mi amava veramente.

«Allora dimmela.» mi disse, ma quelle due parole suonavano come un ti amo.

Avrebbe dovuto dirmi quelle.

Mentre camminavamo, una sinfonia di conversazioni proveniva dalle stanze del

dormitorio. La colonna sonora di Wickham era composta dalle risate e dalle voci degli

studenti, i nostri amici. Lì potevamo essere quello che eravamo realmente, dei

diciassettenni e diciottenni, non dei multi centenari. Ma mi chiedevo se avremmo

potuto essere chi eravamo realmente. Fuoco, perché darci un tale peso?

“Se non vuoi uccidere Justin, al tuo fianco ci sarà qualcun altro, qualcuno che non

si preoccupa per te come faccio io.”

«Sei silenziosa» disse Rhode, «per essere una che cerca di dirmi qualcosa.»

«Sto cercando le parole giuste.»

Prendemmo il sentiero verso la torre delle stelle. O, per lo meno, pensavo che mi

stesse portando lì. O forse alla serra. No, il Rhode di prima l’avrebbe fatto. Mi avrebbe

mostrato le piante, le erbe e i fiori. Mi avrebbe spiegato i poteri medicinali e i significati

simbolici delle piante, tipo la lavanda, la pianta della libertà. Quel Rhode mi stava

portando… sulla spiaggia?

Stavo quasi per dirgli «Non dovremmo uscire dal campus», quando Rhode disse

«Sei una brava ballerina.»

Scoppiai a ridere forte.

«È così divertente?»

«Beh, ecco, no, non lo è. Grazie.»

Cominciammo a parlare del club e di quanto fosse ridicola la gente che lo

frequentava. Era quasi una conversazione normale. Attraversammo il vialetto

principale e Rhode scese le scale che portavano alla spiaggia di Wickham. Non

saremmo andati così lontano. Gli altri ci stavano guardando.

«Stasera ero venuto solo per ballare con te» mormorò Rhodes.

«Mi dispiace di essere scappata. Ho visto un vecchio amico» risposi, cercando di

portare la conversazione nella giusta direzione.

«Un ex fidanzato?»

«No, solo un amico. Prima che io ti dica quello che devo dirti… voglio che tu ti fidi

di me. Prima mi hai detto che non ti fidi.»

Mi fermai al confine tra la spiaggia privata e quella di Wickham. Pensavo non fosse

saggio andare più lontano. Rhode mi teneva ancora per mano.

«Hai detto che mi ami…» cominciai a dire, ma non mi fece finire.

«Lo sai che è così, e non so neanch’io il perché» disse tutto d’un fiato. Rhode mi

avvicinò al suo corpo. I nostri petti si toccarono. Non disse niente, ma il bisogno che

avevo di lui scorreva dentro di me.

Le sue labbra incontrarono le mie, il mio corpo era percorso dai brividi. Le sue mani

si muovevano sulla mia schiena. Andai incontro al suo bacio, premendo ancora di più

il mio corpo al suo. Mi piacevano le sue braccia su di me, mi stavo abituando a quel

calore fra di noi. Per un attimo sentii che era GIUSTO godersi quel momento.

Parole dal passato. Mi tornarono in mente delle parole che Rhode mi aveva detto un

tempo, in un teatro dell’opera nella prima metà del Settecento.

Ovunque tu andrai, io verrò con te.

Scosse un po’ la testa per la seconda volta.

«Lenah, dimmi… perché mi sembra tutto così familiare…»

«È proprio per questo che volevo parlarti. Ci conosciamo molto di più di quanto ti

abbia detto. Molto meglio, direi.»

Rhode mi baciò il naso e abbassò la testa per stuzzicare le mie labbra con le sue.

Portami ovunque. Vola via con me. Ovunque tu andrai, io verrò con te. Sì, quello era

uno dei motivi del mio ritorno, anche se non era la mia motivazione iniziale. Proteggere

Rhode, amare Rhode, assicurarmi che non gli accadesse niente di male. Era stupendo

vederlo lì, così alto, vestito di nero, così vicino a me.

«Ti ho amato per tanto tempo» dissi, ma le mie parole si persero nell’aria. Lo

sguardo di Rhode si era focalizzato su qualcosa alle mie spalle. Andò verso la spiaggia

erbosa che portava al bosco di Wickham. «Rhode?» chiesi, seguendolo.

Ebbi un sussulto. Una mano sbucava dall’erba e stava penzoloni sulla sabbia. «Santo

cielo!» disse, quasi sussurando. «È morta. Non ti avvicinare» mi ordinò, alzando una

mano per indicarmi di stare lontana. «Qualcuno l’ha pugnalata. C’è un coltello», disse

indicandolo.

«I cadaveri non mi spaventano» risposi.

Rhode alzò un sopracciglio. «Perché la cosa non mi sorprende?»

«Beh, mi pare che nemmeno tu te la stia dando a gambe» dissi camminando sull’erba

per avvicinarmi il corpo.

Feci un passo indietro. Si trattava della ragazza che avevo visto il mio primo giorno

al campus, mentre mangiavo nella caffetteria. Ne ero sicura; la ragazza con i lunghi

capelli biondi, con la collanina d’argento. In quel momento riuscii a notare che il

ciondolo che indossava era una medaglietta circolare con una R all’interno. Il ciondolo

era identico a quello che indossava il vampiro nel club. Era un vampiro anche lei; si

capiva dalla pelle traslucida. Aveva un pugnale conficcato nel petto, dritto al cuore. I

suoi biondi capelli ricci erano sparsi intorno alla testa e ricadevano sull’erba come dei

nastri. Al suo fianco c’erano un arco e una faretra. Tirai fuori una delle frecce. C’era

una piccola R intagliata nel legno. La coda era rossa, come quella delle frecce scoccate

nel fienile e su Main Street.

Rhode si accovacciò e i suoi occhi squadrarono il corpo. «La sua pelle è così strana»

sospirò profondamente. «Dovremmo dirlo a qualcuno» aggiunse.

«Quel simbolo» dissi, indicando la collana. «Hai mai…»

Rhode sospirò, sfregandosi le braccia. «Fa così freddo» mi interruppe. Si sfregò

ancora le braccia. Dopo averlo detto, notai che effettivamente si sentiva un freddo

innaturale. Pensai che fosse per lo shock di trovarmi al cospetto di un vampiro. «Hai la

pelle d’oca anche tu» disse indicando il mio braccio.

«Vieni» dissi, prendendogli la mano. «Veloce.»

Improvvisamente sentii la collana riscaldarsi sul mio petto. Il calore era

destabilizzante, considerando l’aria fredda intorno; la collana si stava riscaldando da

sola? Avrei potuto toccarla se le mie mani non fossero state occupate a tenere la mano

di Rhode. Mi sembrava, però, che il calore della collana fosse familiare; sicuramente

mi aveva già riscaldato il petto prima di quella sera.

«Non possiamo lasciare qua questa povera ragazza» disse, mentre lo facevo tornare

sulla sabbia.

«Non lo faremo» dissi, solo per convincere Rhode a venire con me. Alle nostre

spalle, la spiaggia era vuota. «Dai.»

Corremmo nell’area principale della spiaggia. Si sentiva un chiaro rumore

proveniente dai boschi paralleli alla spiaggia. Mi concentrai sul suono. Erano forse dei

passi? Non potevo esserne sicura.

Wickham. Torna al vialetto. Dov’era quel vampiro italiano che amava così tanto

spiarmi? Davanti a noi, a meno di cinque metri, c’erano gli scalini del campus.

«Lenah, qualcuno ci sta seguendo!» urlò Rhodes. Indicò la bassa diga che

costeggiava la spiaggia.

Dietro di essa, nel profondo del bosco, delle ombre saltavano da un albero all’altro.

La ringhiera delle scale rifletteva la luce della luna come se fosse un segnalatore

luminoso.

Eravamo quasi arrivati.

Justin sbucò fuori dai cespugli sulla spiaggia e ci tagliò la strada. Puntammo i piedi

nella sabbia. Rhode usò il suo braccio come scudo, per proteggermi.

«Pensavo fossi più intelligente di così» disse Justin.

Rhode fece un passo avanti. «Tu non sei Justin? Quelle nelle foto del campus? Justin,

vieni con noi, non è sicuro stare qua fuori... c’è una ragazza morta.»

«Non avrei saputo spiegarlo così bene neanch’io» rispose Justin.

Rhode aveva proteso una mano verso Justin, ma l’abbassò poco dopo.

Il colorito pallido di Justin contrastava nettamente con il nero del suo completo

curato. Dietro di lui, un furgone della sicurezza di Wickham attraversava il campus.

Con Justin lì, cos’avrebbe potuto fare esattamente una sola guardia contro di lui?

«Che ti succede agli occhi?» chiese Rhode. «E alla pelle?»

«Non è in sè, Rhode» dissi. «Giusto, Justin?»

Justin camminò con fare vago verso di noi. Io e Rhode indietreggiammo finché i

nostri stivali non toccarono l’acqua.

«Lenah, sta’ dietro di me» disse Rhode. Stavo per dirgli di fare la stessa cosa.

«Se indietreggiate ancora un po’ dovrete nuotare. E, al contrario di voi, io non ho

bisogno di trattenere il fiato» disse Justin.

«Cosa ti è successo?» chiese Rhode. Come Tony su Main Street prima di lui, anche

Rhode realizzò tutto in un attimo. «Cosa... sei?»

Justin non era solo. Altri due vampiri uscirono dal bosco e saltarono sulla sabbia.

Erano gli stessi vampiri di qualche sera prima con Tony. Si posizionarono a fianco di

Justin.

«Possiamo aiutarti» disse Rhode. «Cosa vuoi?»

«Mmm. Cosa voglio? La pace nel mondo. Sangue 0 negativo. Un letto.» Justin mi

fece l’occhiolino.

Sussultai disgustata.

«Quale che sia la follia che cerchi di attuare, non ci riuscirai» dissi. «Specialmente

se ci uccidi.»

«Ucciderci?» Rhode disse, sorpreso.

Mi misi davanti a Rhode, facendogli da scudo con il mio corpo. Infilai una mano nel

mio stivale ed estrassi il pugnale. Non sarebbe servito contro Justin; era troppo potente.

«Rhode non ricorda niente. Qualsiasi cosa tu voglia, puoi vedertela con me» provai a

trattare.

Rhode si girò verso di me con uno sguardo confuso.

«Volevo parlartene» dissi, guardando dritto negli occhi di Rhode. «Era questo che

ero venuta a dirti stasera.»

«Non capisco...» disse Rhode, bloccandosi pian piano mentre Justin si avvicinò

sfiorandomi col suo dito gelido dalla guancia alla mascella. Voleva accarezzarmi, ma

il freddo delle sue dita mi faceva rabbrividire.

«Non toccarla!» urlò Rhode, avventandosi contro Justin. Dalla familiare mano di

Justin fuoriuscì una raffica d’aria che fece volare Rhode due metri più indietro, sulla

sabbia, dove si raggomitolò con un gemito. Si alzò in fretta, pur inciampando sui suoi

stessi piedi.

«Ti aspettavamo nella tua stanza, al dormitorio.»

Il mio stomaco si contorse. Tracy.

«Ma poi abbiamo visto che stavi facendo una dolce, romantica passeggiata, così ho

pensato di raggiungervi.»

«Cos’hai fatto a Tracy?»

«Tracy?» ghignò con accondiscendenza. «No. No. Ho bisogno dell’aiuto del tuo

amico» disse Justin, indicando Rhode con un cenno. Non gli credevo. Pregai che Tracy

e Tony fossero ancora in giro per il campus, vivi.

«Non ho paura di te» disse Rhode. Gli uomini di Justin accerchiarono Rhode, come

degli avvoltoi. Rhode cercò di proteggersi dall’impatto indietreggiando di qualche

passo e aumentando le distanze. Il suo sguardo vagava tra Justin e i vampiri e viceversa

e appena furono a pochi passi da lui, tentò di sferrare un pugno. Gli uomini di Justin si

precipitarono a trattenergli le braccia. Proprio come aveva fatto Tony su Main Strett,

anche lui cercò di liberarsi dalla loro presa.

«No!» urlai. Feci per correre verso Rhode, ma Justin mi fermò afferrandomi

saldamente una mano. Provai a divincolarmi per arrivare a Rhode, ma senza riuscirci.

«Cosa vuoi? Non capisco. Lui non sa niente!»

«Sistemeremo alcune cose, tutto qui» disse Justin.

«Va bene, è vero che ti amo. Stavo mentendo» dissi disperata. «Lo sai che verrò con

te.»

Ci guardammo e per un secondo pensai che Justin mi avresse creduto.

«Sei una pessima bugiarda» mormorò. Con uno scatto, Justin avvolse le sue dita

fredde attorno alla mia nuca, avvicinandomi a lui. Avvicinò le sue labbra gelide alle

mie. La sua lingua ghiacciata si insinuò nella mia bocca, facendomi contorcere lo

stomaco. Mosse la testa per cercare di andare ancora più a fondo con la lingua, ma era

freddo e putrido.

Mi lanciò nell’acqua bassa e il sale mi fece bruciare il taglio sul dito medio. Doveva

essersi riaperto. Leccai il sangue, prima che l’odore potesse attirare Justin o gli altri

vampiri. Il sapore, che una volta amavo così tanto, in quel momento era metallico e

amaro.

«Non mi ami, ma sei bellissima» disse. «Ti sono piaciute le nuove decorazioni nella

tua stanza? La pelle di rana sta andando alla grande ultimamente.» Era compiaciuto di

sé stesso.

Rhode si contorse per liberarsi dalla morsa dei vampiri. Pestò il piede di uno dei

vampiri, facendolo saltare, per poi usare la sua mano libera per tirare un pugno in faccia

a un altro. Il suo corpo ricordava come difendersi nonostante la sua mente non lo

sapesse.

«Vai!» urlai a Rhode. «Corri! Torna al campus!» Urlai così tanto che la mia voce si

spezzò. Cercai di uscire dall’acqua, ma Justin mi spingeva giù.

Rhode non andò via. Continuò a cercare di battere i due vampiri di Justin. Un terzo

vampiro sbucò dal bosco dietro la spiaggia. Lanciai il pugnale fuori dall’acqua mirando

al vampiro che usciva dal bosco. Colpire un bersaglio in movimento era difficile e il

pugnale non era di certo la freccia lanciata da un arco. Tenendo il pugnale dall’elsa,

mirai dritto al cuore del vampiro che si stava avvicinando. Ti prego colpiscilo o almeno

rallentalo un po’.

«Non ti avevo detto di stare giù?» sbottò Justin, spingendomi giù dalla spalla proprio

mentre lanciavo il pugnale.

A causa della pressione esercitata da Justin mancai il mio bersaglio e il pugnale andò

miseramente a finire sulla sabbia.

«Dannazione!» urlai, come se qualcosa mi stesse strozzando la voce in gola. Il

ciondolo al mio collo era così caldo da ustionarmi la pelle. Lo sollevai dal mio petto,

ma mi bruciò le dita. L’acqua salata lo raffreddò, ma non molto.

Il terzo vampiro teneva la testa di Rhode fra le sue enormi mani. Avrebbe potuto

tranquillamente spezzare il collo di Rhode.

Sguazzai cercando di uscire dall’acqua per aiutare Rhode. Justin rovesciò gli occhi

all’indietro e con un colpo del braccio mi bloccò. Un colpo d’aria mi colpì allo stomaco

e mi lanciò all’indietro come una mano invisibile. Puntai i talloni per contrastare la

corrente, fermandomi solo dopo che l’acqua mi stava raggiungendo alla vita.

«Non volevo ancora dirti di questo talento particolare, ma visto che sei un rompipalle

totale…»

Ci fu un pop molto familiare. Un disco rotante di acqua ruotò nell’aria e separò me

e Rhode. Avevo visto solo un altro vampiro creare una barriera d’acqua… Suleen. Le

mie labbra si schiusero e respirai piano dalla bocca. Significava che Justin non riusciva

a manipolare solo l’aria, ma anche l’acqua. Ma come…? Come poteva avere quel tipo

di potere?

La barriera d’acqua continuava a crescere sotto il comando di Justin. I vampiri

continuavano a tenere fermo Rhode, che digrignava i denti da dietro le onde. Ma

quando i suoi occhi incontrarono i miei, la rabbia nella sua espressione si placò.

«Ti amo» dissi, «ti ho sempre amato.»

«Per sempre» rispose. Nonostante non potessi sentirlo, riuscivo a leggere il labiale

delle sue labbra. I canini di Justin erano ancora allungati, quasi a toccare il suo labbro

inferiore. «Te l’ho detto» gli dissi, «qualsiasi cosa tu voglia da me, puoi averla. Rhode

non si ricorderà niente, a prescindere da quello che gli fai.» ribadii. «Va oltre il tuo

potere. Non so quante volte devo dirtelo per convincerti.»

«Il mio potere» disse Justin, raggiungendomi nell’acqua, «va oltre ogni tua più

fervida immaginazione.»

«Uccidere Suleen non ti rende un maestro. Sei un assassino. E il rituale della

mortalità è inutile» dissi. «Rhode non se lo ricorda, e tu dovresti avere cinquecento

anni per essere in grado di eseguirlo. Non tornerai mai più umano.»

Justin rise sonoramente tanto che la sua testa cadde all’indietro. Il mio ciondolo

pulsò di calore e io serrai la mascella sia per la bruciatura che per la rabbia.

«Mi hai detto tutto del tuo prezioso rituale. Pensi che io voglia tornare umano?»

chiese con quella risata beffeggiante. Lo scudo d’acqua continuava a roteare ancora e

ancora come un mulinello nell’aria, alla luce della luna, alle spalle di Justin. Non

riuscivo più a scorgere Rhode, vedevo solo delle figure di corpi distorti dall’acqua.

«Tutti i vampiri vogliono tornare umani» dissi, distogliendo lo sguardo dallo scudo

d’acqua.

«Non tutti i vampiri hanno il mio potere» disse Justin.

Mosse la mano e l’acqua si mosse allargandosi ancora di più.

«Non ho bisogno di un pubblico per fare questo» disse.

Justin annusò l’aria. Il taglio sul mio dito si era aperto un po’ di più ed era diventato

più profondo. Il sangue mi scorreva lungo la mano. Si portò la mia mano al naso e

leccò il sangue dal dito. Mi voltai; dei brividi mi scossero in tutto il corpo.

«Ricordi quando dicevi che dovevo rispettare le stupide leggi dei vampiri? Vuoi

vedere di cosa sono capace ora?»

La mano di Justin tornò a scorrermi dietro il collo. Pensavo volesse raggiungere la

mia collana, ma mi tirò indietro il capo per guardarmi negli occhi. Mi avrebbe baciata

di nuovo? Rabbrividii per l’orrore.

«Cosa stai...»

Appena i nostri sguardi si incontrarono, non riuscii più a guardare altrove. Volevo,

ma non ci riuscivo. La luce della luna evidenziava le sue minuscole pupille. Un senso

di cedimento si insinuò nella mente. Era come se stessi guardando un film ad alta

velocità.

La spiaggia, la luna, il bosco e il cielo che si oscura. Il mio corpo sembra cadere

oltrepassando la sabbia, la terra e arrivando sino al centro del mondo, nell’oscurità.

Non ho forma. Non ho un corpo. Solo la mia mente. È abbastanza bello qui. Anzi, è

molto tranquillo.

Vorrei fluttuare in questa oscurità. Ero sulla spiaggia? Oh, non importa, giusto? Le

spiagge, il mondo e la vita... non contano, se io posso stare in questo posto, senza

porte, senza muri e senza un corpo che possa considerare mio.

«Dannazione!» urlò Justin. Presi un grosso respiro e caddi nell’acqua schizzando

ovunque. Sale. Sangue. I muscoli delle gambe e delle braccia si contraevano.

Con un sogghigno Justin barcollò fuori dalla baia, raggiungendo la sabbia. Si voltò

a guardarmi. Un senso di rivelazione gli attraversò il viso. Non sapevo cosa fosse, ma

era chiaro che Justin aveva capito qualcosa.

Volevo muovermi più velocemente di quanto la mia mente potesse consentirmi.

Scossi la testa per schiarirmi le idee. Mi sentivo più lenta di quanto volessi.

«Cosa mi hai fatto?» urlai, tastandomi il petto e le braccia. «Cos’era quel posto?»

«Portate Rhode via da qui» ordinò Justin ai vampiri, togliendosi la sabbia dai

pantaloni.

«No!» gridai, e la parola mi si conficcò in gola. Incespicai, ero confusa e non avevo

coordinazione nei movimenti.

«Lenah!» l’urlo di Rhode viaggiò attraverso la spiaggia. «Lenah! Scappa!»

Trascinarono Rhode sull’erba. Appena mi spostai, lo scudo mi seguì, trattenendomi

dal raggiungere il mio Rhode.

«Non farle del male!» strillò Rhode.

Una conflagrazione devastante, aveva detto Fuoco. Potevo farcela. Sarei riuscita a

lanciare la collana.

Barcollai sulla sabbia e mi strappai la collana dal collo. Il metallo si sollevò dalla

mia pelle e scricchiolò a causa della mia solida presa.

Justin rise nuovamente. «Cosa diavolo stai facendo?»

Il piccolo ciondolo nelle mie mani era come un fuoco che non desiderava altro che

essere liberato. Aprii la mano e la collana volò in aria raggiungendo Justin. Si spostò

di lato mentre il ciondolo si trasformava in una palla di fuoco.

Colpì la barriera d’acqua con un’esplosione, sprigionando scintille rosse in aria. Lo

scudo d’acqua inghiottì il fuoco. Mi coprii la faccia con il braccio, aspettando che il

fuoco implodesse. Dopodiché, sarei andata a salvare Rhode. Il fuoco avrebbe tenuto

lontani i vampiri da Wickham, lontani da noi e avrei potuto passare il resto della mia

vita a spiegare a Rhode che non l’avrei mai più deluso.

Sbirciai da sopra il braccio.

Il ciondolo rosso misurava ormai quanto una palla da basket, all’interno del

mulinello d’acqua. Lo scudo d’acqua pulsava al ritmo del battito di un cuore. Si

contrasse e poi le sue dimensioni raddoppiarono. Si contrasse nuovamente…

continuando a crescere. Dov’era l’esplosione? Dov’era il potere di Fuoco?

Con gli occhi spalancati, Justin indietreggiò verso l’erba della spiaggia. «Cos’è

quello?» chiese, mentre l’arancione diveniva color corallo e la sfera continuava ad

allargarsi.

Non volli nemmeno respirare. Nessuno si mosse. Il terreno brontolò e la sfera iniziò

a tremare. Ci siamo... Dai! Pregai.

La bolla scoppiò. Un’enorme raffica d’aria mi sollevò dalla riva e mi lanciò di nuovo

in aria. Raggiunsi il fondo, ero completamente sommersa e scalciai per tornare in

superficie. Una volta su, annaspai per respirare. Piccole braci scoppiettavano in ogni

direzione come fuochi d’artificio. Delle scie rosse dovute alla combustione caddero a

terra in grandi archi. Un concerto di sibili mentre le fiamme divampano nella baia,

andando poi a spegnersi.

Cos’era successo?

Non c’era neanche una brace rossa o una piccola fiamma a illuminare la notte

stellata.

Lo scudo d’acqua aveva inghiottito il ciondolo ed era esploso, non lasciando altro

che un segno nero sulla sabbia. Non aveva causato l’inferno che Fuoco aveva

promesso.

Era stato un fallimento. Avevo usato il mio unico potere e avevo miseramente fallito.

L’esplosione doveva aver fatto balzare all’indietro anche Justin. Mentre si alzava, le

sue labbra erano sollevate in un sorriso.

«Lui non sa niente» dissi, ma la mia voce tremò, diventando rauca.

Justin si inchinò e fece finta di togliersi il cappello verso di me. Saltò la diga con

l’agilità di un gatto e mi lasciò a sanguinare nella baia, da sola.

«Rhode?» urlai nell’oscurità, anche se sapevo che ormai non aveva senso farlo.

Sguazzai fuori dall’acqua, inciampando e cadendo sulla sabbia. I miei palmi si

posarono su una serie di impronte sovrapposte. Avrei potuto seguirle, come mi aveva

insegnato Vicken, ma scomparivano al di là della diga.

«Rhode?» lo chiamai di nuovo e la mia voce si spezzò.

Mi arrampicai fin sulla diga, ma il bosco era troppo buio per riuscire a vedere

qualcosa. Mi girai nuovamente. La spiaggia era deserta, eccezion fatta per la vampira

morta, qualche centinaio di metri più in là.

Rhode non c’era più.

Feci l’unica cosa che potevo fare… scappai.

CAPITOLO 10

Traduzione: Medea Knight

Pre-Revisione: Noir

Ritrovai il mio pugnale di rubini tra l’erba sulla spiaggia e lo riposi nel fodero. La

sabbia fine mi impediva di procedere speditamente, ma continuai a camminare fino alla

spiaggia. Mi bruciavano le cosce e mi dolevano i polpacci, ma il dolore fisico non

importava in quel momento.

Tony. Trova Tony.

Caddi in ginocchio mentre il furgone blindato di Wickham mi oltrepassava e

arrivava alla spiaggia. Inalai l’odore umido della sabbia.

Tony. Avrebbe potuto dare un senso a tutto.

Non appena le luci posteriori si spensero, corsi su per le scale fino al retro del Quartz.

Mi fermai davanti la finestra di Tony e bussai tre volte. Si sentì un rumore, seguito da

una serie di imprecazioni. Si affacciò alla finestra, brandendo un pennello come fosse

stato un pugnale. Avvicinai il volto al vetro. Balzò dallo spavento e scosse la testa

dopo avermi riconosciuta.

«Mi vuoi vivo o morto, Lenah?» Mi chiese, aprendo la finestra. «Perché un altro

spavento del genere e mi farai fuori.» Si accovacciò e mi guardò dall’alto in basso.

«Che diavolo ti è successo? Stai tremando. Entra dentro.»

«Ho bisogno dei miei coltelli» dissi, i denti che battevano. «Coltelli» dissi di nuovo.

«Certo, certo. Coltelli. OK. Roba da pazzi» commentò mentre mi sedevo a terra sotto

la finestra.

«Devo arrivare nella mia stanza. I coltelli sono nella mia stanza» dissi.

Tutto ciò che riuscivo a vedere erano gli occhi di Rhode attraverso lo scudo d’acqua.

Aveva mimato le parole “per sempre”.

Anche dopo avergli mentito, Rhode voleva che sapessi che mi avrebbe amata per

sempre. Il suo istinto gli diceva che eravamo nati dalla stessa stella. Anche se non

riusciva a capirlo bene, anche se non riusciva a ricordarsi di me, sapeva che eravamo

fatti l’uno per l’altra.

La mano di Tony mi toccò il braccio. «Hai un bel taglio qui.» Mi fece alzare da terra.

«E sei zuppa.» Mi annusò. «Hai nuotato nella baia?»

«I miei coltelli.»

«Prenderemo i tuoi bei coltelli tra un minuto» disse. «Prima dobbiamo dire a Tina

che sei caduta e farti dare un pass per il ritardo. Altrimenti ti metteranno in punizione.

Wow, hai davvero bisogno di darti una ripulita. Col sapone.»

Tony si sedette a terra ai piedi del letto.

«Sai» disse, «sarebbe carino se potessimo fare una conversazione senza dover dire

“Porca puttana e ora che facciamo?”»

Stump.

Lanciai di nuovo il pugnale con l’elsa di rubini di Fuoco contro un muro che non era

collegato a nessun altro. Percorsi la distanza fino alla fine della stanza e lo ripresi per

fare un altro lancio.

Tony aveva in mano un messaggio di Tracy. Diceva che stava andando a prendere

Kate in infermeria. A quanto pareva, Kate era inciampata e caduta, battendo la testa

mentre tornava dal club. Il Bolt e l'incontro con il vampiro italiano sembravano risalire

a un secolo prima.

Lanciai di nuovo il coltello.

«Quelli saranno stati tre metri. Sei molto precisa.» disse Tony. «Fai paura.»

«Non c'è nulla che possiamo fare» dissi. «Non so dove sia Justin. Non conosco i

vampiri di qui.»

«Beh, in un certo senso invece sì» osservò Tony mentre sfilavo il coltello dal foro

che avevo fatto nel muro. Tornai in posizione all’estremità del letto, e strinsi ancora di

più il pugnale. Il calore della mia pelle contro l’elsa mi consentii di fare un bel respiro,

forse per la prima volta dopo che Rhode mi aveva baciata sulla spiaggia. «Sai, tipo,

quel tizio che dobbiamo incontrare domani sera alla cappella?» Proseguì Tony, «Il

brav’uomo che hai attaccato al club?»

«Dobbiamo? Noi non dobbiamo incontrare nessuno.»

Lanciai di nuovo il coltello. Dopo che centrai l'obiettivo, Tony disse: «Vengo con

te.» La sua mascella era contratta. «Non entrerai in quel posto da sola.»

«Quel posto? La cappella?»

«Ora è la cappella dei vampiri, mi piace chiamarla così.»

Se avessi tentato di impedire a Tony di venire con me, sapevo che avrebbe trovato

il modo di immischiarsi in ogni caso.

«Ehi, il tuo collo sembra bruciato. Lo sapevi? Dov’è la tua collana?» Chiese Tony.

Portai le mani al collo, laddove c’era stato il ciondolo. Mi mancò il respiro quando

le dita toccarono un punto in rilievo. Andai davanti allo specchio; sulla pelle era stato

marchiato a fuoco un piccolo segno a forma di lacrima.

Tony era dietro di me e insieme guardammo il mio riflesso. Allontanai la mano. Ora

che lo notavo, anche il palmo della mia mano aveva dei segni rossi. Dovevano risalire

a quando avevo afferrato il gioiello rovente.

«Il ciondolo si surriscaldava quando ero nelle vicinanze di Justin. Si è riscaldato più

volte anche nelle vicinanze di vampiri. Mi ha bruciato anche i palmi delle mani.»

Mostrai a Tony le mani.

«Come un dispositivo di sicurezza?» Chiese.

«Non ci avevo pensato. Ma sì, credo di sì. L’ho usato per tentare di fermare Justin.»

Non riuscivo a guardarmi allo specchio mentre lo ammettevo, «Ma il suo scudo

d’acqua lo ha sovraccaricato.»

Tony tornò a sedersi sul pavimento con la testa sulle ginocchia. «Cosa diavolo è uno

scudo d’acqua?» Domandò quasi sussurrando.

Stump.

Colpii di nuovo l’obiettivo.

«Quel ciondolo non te lo ha dato Fuoco? Lei non è, tipo, l’onnipotente?»

«Lei è Fuoco. Un elemento. Così come lo è l’Acqua. Queste non sono armi

fabbricate. Sono solo elementi che, se lasciati nei propri contenitori, hanno potere. Ma

l’acqua di Justin ha fatto spegnere il fuoco.»

Esaminai gli sfregi sulle mie scarpe e mormorai: «come ho detto, ho fallito.»

Tony alzò la testa di scatto. «Non hai fallito. Ci hai provato e magari domani sera

potremo chiedere aiuto a quel vampiro.»

Mirai di nuovo al foro nel muro e il pugnale vi affondò perfettamente. Non avrei più

mancato il vampiro di Justin sulla spiaggia. Avrei potuto aiutare Rhode.

Il chiavistello della porta scattò. Non ebbi il tempo di recuperare il coltello. Tracy

entrò nella stanza. Spalancò la bocca nel vedere il pugnale conficcato nel muro.

«Che stai facendo?»

Esitai, scegliendo con cura le parole. Decisi di andare per il letterale. «Mi esercito.»

«Allora, fammi capire» disse Tracy. «Cosa pensi che voglia?»

«Non lo so neanch’io. Non vuole fare il rituale che abbiamo fatto io e Rhode. Non

so perché, visto che è tutto ciò che ogni vampiro desidera da secoli.» Non avevo

risposte. Mi colpii le cosce con le mani e passeggiai avanti e indietro rispetto Tracy e

Tony. Erano entrambi seduti sul letto di Tony. Non mi ero mai fatta prendere alla

sprovvista dal comportamento di un vampiro prima di allora. Ero sempre stata io

l’esperta.

Il rituale per ritrasformare un vampiro in essere umano avrebbe richiesto un enorme

potere alla persona che lo avesse eseguito, anche se non avesse voluto sacrificarsi di

sua spontanea volontà. Riversare intenzioni negative in un incantesimo così potente

avrebbe costituito una minaccia vera e propria e forse trasformato il rituale in

qualcos’altro, qualcosa di pericoloso. Erano sempre le intenzioni quelle che contavano

di più.

«Forse non vuole tornare umano per davvero» disse Tony, parlando sempre di Justin.

«Ricordi quando mi dicesti che dovevo ubbidire alle stupide leggi dei vampiri? Vuoi

vedere di cosa sono capace adesso?»

Justin non aveva provato a convincere me a fare il rituale; il suo obiettivo era stato

Rhode. OK, quali erano gli altri fatti? Aveva lasciato quelle rane a tormentarmi. Aveva

rapito Rhode. Non c’era uno schema preciso. Io ero l’unico denominatore comune.

Smisi di camminare e strinsi le mani contro il telaio della finestra.

Altri fatti: Justin non poteva trasformarmi in un vampiro; non poteva nemmeno farmi

del male. Scossi la testa… qual era il pezzo mancante? Il pugnale ora si trovava di

nuovo al suo posto nella cassa, per cui non potevo lanciarlo per ritrovare la

concentrazione. Fuori era buio, perciò la luminosità della stanza rifletteva il mio volto

nella finestra. I miei capelli erano appiattiti sulla fronte e i vestiti zuppi. Mi toccai dietro

la testa con le dita e sussultai; era ancora dolorante; da lì Justin mi aveva afferrata per

guardarmi negli occhi.

Il ricordo delle ombre oscure che si impadronivano del mondo mi tornò in mente. Il

mio corpo era quasi scomparso; dal momento in cui i nostri occhi si erano incontrati,

non avevo più avuto l'impressione di trovarmi sulla spiaggia. Justin mi aveva fatto

inclinare la testa e fatto perdere il controllo della realtà.

Sulla spiaggia, avevo guardato nei suoi freddi e vuoti occhi verdi e la mia coscienza

era volata via.

Sobbalzai sul posto.

Questo faceva parte del pezzo mancante.

«I suoi occhi» dissi ad alta voce, girandomi verso Tracy e Tony. «Stasera. Stava

facendo qualcosa mentre mi guardava negli occhi.»

«Chi?» Chiese Tony.

Raccontai ciò che era accaduto sulla spiaggia, nel modo più dettagliato possibile.

«… e poi siamo ritornati a Wickham. Sono caduta in acqua e lui sulla sabbia» finii

il mio racconto.

«Quindi è come se ti facesse andare in qualche posto» commentò Tony, cercando di

capire.

«Non con tutto il corpo. Non ci muoviamo fisicamente» spiegai.

«Come in Star Trek» disse.

«Star Trek?» Chiesi, non capendo la frase.

«Lascia stare. Quindi non vi spostate fisicamente» continuò Tony.

«Solo con la mente» chiarii.

Quel che Justin faceva era molto pericoloso. Poter guardare nella mia mente e farmi

andare chissà dove? In seicento anni non avevo mai sentito una cosa del genere. Dei

poteri così erano sorprendenti, specie in un vampiro così giovane.

Arretrai, allontanandomi dalla finestra, finché i miei piedi non urtarono la base del

letto.

«Che c’è?» Chiese Tony. «Qual è il problema?»

L’alba inondò di luce rossa il verde dell’erba così come le teste di Tony e Tracy. Era

quel tipo di rosso che mi sarebbe piaciuto, se solo in quel momento non mi fosse parso

quasi canzonatorio. Mi toccai la ferita sul petto e sussultai.

«Hai di nuovo quello sguardo» disse Tony. «Sai, lo sguardo che dice “andiamo ad

azzannare qualcuno”?»

In qualunque cosa Justin fosse immischiato, di certo era al di fuori della mia portata

e ben oltre quella di Tracy e Tony.

«Devo darvi un’arma» dissi, e mi calai nuovamente nella parte del soldato Lenah.

Mi inginocchiai davanti alla cassa che mi aveva lasciato Fuoco e aprii silenziosamente

le serrature. I cardini cigolarono un po’ e mi misi a sedere sui talloni. Di certo un tempo

c’erano stati molti più pugnali nella cassa.

Per cercare i pugnali dovetti spostare un po’ di cose, la spada a due mani che avevo

usato per salvare Rhode, qualche libro, la mia bisaccia con i soldi e…

Una scatola.

Una piccola scatola di legno con uno strano decoro a vortici inciso sul coperchio.

Sul legno vi era una pietra lunare, intrecciata come una vite.

«Questa non l’avevo mai notata» dissi ad alta voce.

«Che cos’è?» Chiese Tracy.

«Vieni qui» dissi. Tony e un'assonnata Tracy, si inginocchiarono accanto a me

davanti alla cassa.

Aprii il coperchio.

Dentro c’erano due anelli d’argento e un braccialetto. Ognuno di essi era adornato

da una gemma. Il motivo a vite copriva anche il braccialetto; al centro c’era uno zaffiro

blu scuro a forma di lacrima.

«Acqua…» sussurrò una voce. Fece eco nella stanza e si dileguò subito.

Tracy mi afferrò un braccio, raggelandosi. Mi guardai intorno. La stanza non era

cambiata; nessuno scintillio di rosso o cremisi. Mi aspettavo forse che Fuoco sarebbe

comparsa davanti a me come una visione?

«Chi c’è?» Attesi, con il cuore in gola.

Nessuna risposta.

«Non le sento solo io le voci, vero?» Chiese Tony.

«No, l’abbiamo sentita tutti» dissi.

Uno degli anelli aveva incastonato un opale bianchissimo al centro e l’altro una

pietra d’ambra. Era una delle pietre dal colore più vivace che avessi mai visto.

Aspetta… una pietra d’oro, una bianca, una marrone e una blu. Ah. Tutto finalmente

quadrava. Questi erano gli elementi rimasti: terra, aria e acqua.

La luce dell’alba si riversò nella stanza e colpì la scatola. Mi riscaldò le dita. Che

quella scatola si fosse trovata o meno nella cassa prima di allora, poco importava, anzi

non poteva importare. Adesso li avevamo… i tre elementi rimasti… e perdere tempo a

chiedermi perché Fuoco si fosse comportata in quel modo sarebbe stato come chiedere

all’universo di spiegare i propri meccanismi, e in quel momento non rientrava nel mio

elenco di priorità.

«Queste sono armi. Proprio come il mio ciondolo, potrebbero sembrare dei gioielli

normali, ma non lo sono. Come potete vedere qui…» mostrai loro di nuovo la ferita

che avevo sul petto… «quando si riscaldano, ti avvisano della presenza di un vampiro.

Se si riscaldano fino a bruciarti, ti trovi in pericolo di vita.»

Tracy alzò le sopracciglia e Tony si tirò su a sedere sulle ginocchia. Il loro

entusiasmo mi fece salire il panico. Forse stavo raccontando loro troppo in fretta di

queste armi. Adagiai la scatola sul mio grembo.

«Cosa c’è?» Chiese Tracy.

«Forse mi sto sbagliando su tutto questo. Forse sono troppo impulsiva. Queste non

sono tipiche armi umane. Sono state fatte in un altro regno da creature estremamente

potenti. Devo pensarci bene ancora» dissi, chiudendo il coperchio della scatola con le

gemme. Non riuscii più a dire niente riguardo i miei dubbi, perché Tracy di colpo prese

tutte le foto che aveva davanti lo specchio dello scrittoio. Aprì un cassetto della

scrivania e tirò fuori un album di foto. Quando si risedette, mi lanciò addosso le foto

di Justin e dei suoi amici e aprì l’album. Scorreva con veemenza tra le foto.

Justin e Tracy in spiaggia.

Justin e Kate che facevano sci d’acqua.

Justin e i fratelli sulla barca del padre.

Aspetta… dov’erano finiti i fratelli di Justin? Perché c’erano solo foto di Kate e

Claudia?

Anche i fratelli di Justin, Roy e Curtis, frequentavano anche loro la Wickham.

«Cos’è successo a Roy e Curtis?» Chiesi.

«Quando Justin fu dato per disperso, la madre li fece ritirare da scuola.»

Aveva senso. Perché continuare a mandare i propri figli in una scuola dalla quale era

scomparso il suo secondo figlio e dove nessuno riusciva a trovare risposte? Avevo

incontrato la madre di Justin e amava suo figlio proprio come mia madre amava me.

Girai l’ultima pagina dell’album.

Era la foto di una gita per fare snorkelling su una barca molto familiare. Quella di

Justin.

«Se non lascerai che ti aiuti a riprendermi il mio amico, Lenah, andrò io stesso in

quella cappella domani sera.»

«Quel vampiro potrebbe essere ben peggiore di Justin» dissi.

«Avrebbe potuto ucciderti alla fattoria o al club, ma non l’ha fatto» replicò Tony.

Affondai il mento nel collo. «Senti, è solo che non posso…»

«Rischiare che ci accada qualcosa?» Chiese Tracy.

«Ho visto quel che è successo le altre volte. E una volta all’opera, fallivo. Stasera ho

deluso Rhode.»

«Forse non avresti fallito, se noi fossimo stati lì, Lenah. Justin era mio amico. Anche

i suoi fratelli lo erano. E tu dici che è un mostro che ha rapito Rhode e che anche Tony

è a rischio. Voglio fare anch’io la mia parte. Ne ho bisogno.» disse Tracy, scuotendo

la testa mentre continuava a fissare le foto. «Penso che forse… forse in questi ultimi

tre anni abbiamo atteso che arrivassi tu ad aiutarci.»

Justin mi sorrideva dal delirio di foto sul pavimento. Era solito alzare il mento e

inclinare la testa verso il sole. Quando faceva più caldo, gli si vedevano anche un po’

di lentiggini sul naso. Avevamo percorso insieme le strade di quella scuola, con lui che

mi circondava le spalle con un braccio.

Senza dire altro, passai l’anello d’argento con la pietra d’ambra a Tony.

Aprì il palmo della mano.

«I coltelli non serviranno contro Justin. Con questi, sarete armati di un potere reale,

in grado di aiutarvi. Salvarvi. Non potete mai sapere quando e se i vampiri verranno da

voi per aggiungervi tra le loro fila per il solo fatto che conoscete me.»

Diedi il braccialetto con lo zaffiro a Tracy. Il colore dei suoi occhi faceva pendant

con la pietra.

«Lanciate queste armi in aria contro il vostro nemico» dissi loro. «Nel momento in

cui si allontaneranno dal vostro corpo, diventeranno l’elemento che rappresentano.

Assicuratevi che nella traiettoria non ci sia nient’altro, specialmente se sono altri

elementi. È proprio questo quel che mi è successo stasera. Lo scudo d’acqua di Justin

ha bloccato il mio fuoco. Il tuo elemento» dissi rivolgendomi a Tony, «è la terra.»

«Ma com’è possibile?» Chiese, rivolgendo la domanda direttamente all’anello

d’argento apparentemente innocuo nella sua mano.

Toccai il punto sensibile in cui si trovava la gemma, alla base del mio collo. Mi era

sembrata la cosa più giusta da fare. Rhode era stato rapito… portato via. Era quello il

momento in cui mi serviva di più.

«Il mio elemento era il fuoco, il tuo è la terra e quello di Tracy è l’acqua.»

Tracy girò il polso per guardare meglio il braccialetto. Sfiorò lievemente la pietra

con le dita,

«E l’aria?» chiese.

«Una volta tornato, sarà di Rhode.»

Non alzai lo sguardo dall’anello che stava riposto nella scatola. Le facce di Tony e

Tracy mi avrebbero detto che non sapevano se Rhode sarebbe mai tornato. Chiusi il

coperchio e riposi la scatola nella cassa. Dovevo aggiustare le cose.

«Ricordate» dissi, «potete usarli solo una volta. Poi scompariranno.» Mi sentii in

preda a un lieve rimorso. Se avessi saputo che si trovava lì, avrei potuto dare

quell’anello a Rhode. Tracy aveva ragione. Forse insieme avremmo potuto fermare

Justin.

L’indomani sera avrei chiesto delle risposte al vampiro con l’accento italiano e gli

occhi strani. Gli avrei raccontato del vampiro morto mentre indossava una collana con

lo stesso simbolo. Della donna sulla spiaggia, che alla luce dell’alba si era tramutata in

polvere.

Il mattino successivo, dopo l’assemblea, entrai nello studentato. Nessuno aveva

ancora menzionato il fatto che Rhode fosse scomparso. La signora Williams presto

avrebbe dovuto dire qualcosa. La gente se ne sarebbe accorta presto.

Quando io e Rhode eravamo vampiri, potevamo percepire i nostri pensieri e sogni.

Persino l’ultima volta che ci eravamo trovati insieme da umani a Wickham, a volte

potevo leggere le sue emozioni e persino i suoi pensieri! Eravamo Anam Cara, anime

gemelle, e questa non era una cosa del tutto inusuale. Ma fino ad allora, anche prima

che venisse rapito, non ero riuscita a raggiungere la mente di Rhode.

Lo avrei trovato… ce l’avrei fatta.

Oltrepassai degli alberi tappezzati di volantini recanti la dicitura “Scomparso” di

Jackie Simms. I poster di Justin si stavano arrotolando ai bordi. Tenendo la pelle a

contatto con le tracce di sangue di Suleen, riuscii a tenere a bada l’agonia abbastanza a

lungo da concentrarmi.

Non potevo uscire dal campus, lasciando Tony e Tracy così scoperti. Il fatto che ora

avessero delle armi non bastava.

Entrai nello studentato per farmi un caffè e pensare un po’. Da lì avrei avuto anche

una buona visuale della cappella. Il vampiro aveva dimostrato di poter girare alla luce

del giorno e volevo tenerlo d’occhio.

Forse era la mia unica speranza di ritrovare Rhode.

«Forse è in Inghilterra» disse qualcuno ad uno dei tavoli vicini. «Lo diceva sempre

che voleva tornarci.» Com’era prevedibile, la gente stava già parlando della scomparsa

di Rhode.

«Per via di una ragazza, scommetto» rispose qualcun altro.

«La signora Tate ha detto che le ha chiesto il permesso di andarsene.»

Mentre ascoltavo quei pettegolezzi, girai lo zucchero nella mia tazza da caffè.

Prima che potessi origliare altre notizie, Tony si gettò sulla sedia di fronte alla mia.

Si guardò alle spalle e ai lati del tavolo.

«Bene, siamo soli» disse.

«Sì… abbastanza» risposi. «E hai della vernice sul naso.» Non rispose nemmeno a

quell’affermazione. Mi passò, invece, un piccolo libro con la copertina di pelle.

«Che cos’è?» Posai la mano sulla copertina morbida.

«Non l’ho propriamente studiato ancora, ma se è ciò che penso che sia, mi

ringrazierai.»

Aprii il libro e mi mancò il respiro. Girai qualche pagina. Era la scrittura di Rhode.

Era una specie di diario.

«Hai fatto irruzione nella sua stanza?» Mi chiesi come avesse decorato le pareti e

quali libri tenesse sugli scaffali.

«Beh, hai detto che volevi risposte. Ho pensato, perché non ottenerne qualcuna? Non

guardarmi così, Lenah. C’era una guardia fuori la porta, perciò mi sono intrufolato

dalla finestra. Questo era sulla scrivania.»

Si udì una fragorosa risata dal club di astronomia ad uno dei tavoli lì vicino.

«Non dovremmo proprio leggerlo» dissi.

«Sono io che non dovrei leggerlo» disse Tony, bevendo un sorso del mio caffè senza

chiedermi il permesso. «Tu invece dovresti.»

Lasciai la mano sopra il libro chiuso. Era possibile che Rhode avesse ricordato una

cosa qualsiasi e l'avesse scritta sul diario. Ma vi aveva anche trascritto i suoi pensieri

intimi. E quelli ero certa che non volesse farli leggere a nessuno, specialmente a me.

«So a cosa stai pensando» disse Tony. Mi puntò contro le sue dita nere di carboncino.

«Che non dovresti leggerlo. Ma lascia che ti dica che se io venissi rapito da Mister

Follia e la mia anima gemella avesse il mio diario, vorrei che lo leggesse. Specialmente

se io fossi privo di ricordi.»

Era vero; avrebbe potuto scrivere degli indizi nel diario, ricordi della sua vita da

vampiro. Volevo sapere quanto esattamente ricordava. Non solo per una questione di

curiosità, ma anche per scoprire se esisteva un modo qualsiasi con cui potesse

difendersi. Pur non conoscendo i suoi piani, ero certa che Justin avrebbe costretto

Rhode a dargli delle informazioni.

«Che c’è?» Domandò Tony, bevendo un altro sorso. «A cosa stai pensando?»

«Alle possibilità che ha Rhode» risposi. Avevo ancora la mano sul diario. Tony si

alzò per prendere qualcosa da mangiare. Rimasi sola per meno di un secondo, perché

Tracy si sedette immediatamente accanto a me con un vassoio di minestra e insalata.

«Ho visto che ti ha dato il diario.»

«Per torturarmi» risposi, infilandolo nella borsa. L’avrei letto una volta sola. Per il

momento dovevo concentrarmi sulla serata e sull’incontro con il vampiro.

«Dovremmo incontrarci nella stanza di Tony. È quella che dista di meno dalla

cappella» dissi.

Quando Tony tornò a sedersi, vidi che si era servito forse la porzione di hamburger

e patatine fritte più enorme della storia.

«Hai bisogno di aiuto» gli disse Tracy.

«E quindi pensi che Justin tornerà?» Chiese Tony, masticando un boccone di carne.

Ignorò completamente Tracy.

«Stasera?»

«Se tutto va bene, non tornerà per un po’» disse Tracy, guardando pero' verso l’altra

parte dello studentato. Claudia stava parlando fitto con le altre ragazze al suo tavolo.

Non si era truccata e si era fatta una coda di cavallo scarmigliata. Indossava i pantaloni

del pigiama di Wickham.

«Sembra proprio che Claudia abbia scoperto che Kate esce con il suo ex» disse

Tracy. «Le avevo detto di stare alla larga da Alex». Scosse la testa.

Avrei dato qualsiasi cosa per dovermi unicamente preoccupare per la scuola e per i

nuovi pettegolezzi che giravano al Wickham.

«Forse aspetterà che sia tu ad andare da lui?» Disse Tony, parlando sempre di Justin.

I nostri tentativi di essere ottimisti erano patetici.

Mi alzai e raccolsi le mie cose. «Lascia perdere Kate e Claudia, Tracy. Sono qui e

hanno tante cose da fare per la scuola. Ciò significa che sono al sicuro. Sospetto che

Justin arriverà stasera.» Mi misi la borsa in spalla. «Ci vediamo nella stanza di Tony,

alle undici e mezzo. Preparatevi. E indossate le vostre armi.»

CAPITOLO 11 Traduzione: Medea Knight

Alle undici e un quarto, io e Tracy ci ritirammo per la notte insieme a Tina, fingendo

di andarcene in camera. Appena chiusa la porta, lanciai un pugnale a Tracy.

«Notte!» sentimmo dire a Tina a qualche ragazza del nostro stesso piano. La sua

stanza era la terza a partire dalla nostra.

«Aspettiamo solo un altro minuto,» sussurrai a Tracy.

Dopo un momento di silenzio chiese: «Com’è possibile che qualcuno usi l’aria per

muoversi più velocemente? Come fa Justin?»

«Se uccidi di proposito un essere vivente, spezzi il ciclo della vita,» dissi. «Lo uccidi

prima che il suo “contratto” di vita sia terminato, per così dire.»

Ne avevo uccisi così tanti. Avevo assaporato il loro sangue, che mi zampillava in

bocca scendendo fino alla gola. Quando mi scorreva dentro mi sentivo rinvigorita,

potente.

Ripresi a parlare. «Se trasformi qualcuno in vampiro, togli la sua anima dall’ordine

naturale delle cose. Si tratta solo di un punto di partenza. Poi, puoi impadronirti di altri

ordini naturali, per esempio degli elementi. I vampiri provano un’estasi pura quando

controllano un elemento che non sono più in grado di percepire con i loro corpi. Usare

il vento, anche se non può più sentirne la carezza sul viso, dona un potente vantaggio

a un vampiro. »

Una volta, in un campo di lavanda, avevo invocato un vento tanto impetuoso, da far

scricchiolare e tendere i rami degli alberi vicini. Manipolare gli elementi, però, non

rientrava tra i miei interessi.

Amavo Rhode.

Eppure, c’era stato un tempo in cui il mio padrone era il potere.

«Quindi l’unico modo in cui Justin può riavere la sua umanità è con il rituale?»

«È quanto di meglio possa augurargli,» ribattei.

Dietro di lei, sullo specchio del comò, Justin mi sorrideva da sette o otto foto. Tracy

le aveva risistemate seguendo un ordine meticoloso. In un’altra foto, Kate, Claudia e

Tracy erano sedute sul lungomare, sorridevano all’obiettivo, con il sole che le

costringeva a strizzare gli occhi.

«Ti giuro che… tutto ciò che voglio è fare in modo che Justin torni a essere quello

di prima. Se posso,» dissi.

«Bene,» concluse Tracy, annuendo leggermente col capo. «Bene,» aggiunse poi, con

un sussurro che probabilmente non voleva io sentissi.

«Vediamo,» continuai, premendo un orecchio sulla porta. Verificai che fuori non ci

fossero altri rumori. Sentii alcune voci, ma erano ovattate; provenivano da dietro le

porte chiuse. Controllai il corridoio.

«È vuoto,» bisbigliai.

Tracy controllò l’ora sul cellulare. «Sono le undici e trentotto.»

«Siamo in ritardo, andiamo,» risposi.

Tenendo le spalle addossate al muro, strisciammo verso il dormitorio dei ragazzi.

Eravamo riuscite a guadagnare la porta a doppi battenti, quando dovetti fermarmi.

«Penso che il mio cuore stia per esplodere,» sussurrò Tracy.

Non le risposi. Chiusi gli occhi e cercai di ascoltare, come facevo quando ero un

vampiro.

Il ronzio dell’aria condizionata.

Altre voci sorde, provenienti da dietro le porte chiuse.

Una musica a basso volume, ma nessun rumore di passi.

«Penso che sia tutto a posto,» dissi. Feci cenno a Tracy di proseguire. Camminammo

in punta di piedi fino alla porta di Tony, girammo velocemente la chiave nella serratura

ed entrammo.

«Come diavolo ti sei vestito?» chiese Tracy dopo aver chiuso la porta.

Tony indossava pantaloni mimetici e una maglietta nera. Era intento a gonfiare i

bicipiti davanti allo specchio.

«Come mi sono vestito?» rispose. «Questi sono i pantaloni mimetici più costosi della

Marina militare di New Orleans. Dobbiamo confonderci con il paesaggio,» spiegò

Tony e, quando Tracy, per tutta risposta, inarcò le sopracciglia, sbuffò ripetendo,

«Come mi sono vestito?» e scosse la testa.

«È convinto di far parte delle unità speciali,» mi spiegò Tracy.

«Cosa sono le unità speciali?» le chiesi.

Tracy mi diede una pacca sulla spalla. «Quando tutto questo sarà finito, ti mostrerò

un tutorial,» disse. Dopodiché, ci calammo giù dalla finestra di Tony, dentro il buio

della notte.

Come temevo, le misure di sicurezza erano state leggermente incrementate dopo la

scomparsa di Rhode. Se non l’avessi saputo, probabilmente non avrei notato le altre

macchine nel campus o la seconda guardia al cancello.

Tony e Tracy avevano impiegato gran parte della mattinata a controllare i punti in

cui si trovavano le telecamere di sorveglianza, perciò, una volta giunti nel cortile

interno vicino la cappella, avremmo potuto intrufolarci nell’edificio senza essere visti.

Per fortuna, nella cappella non c’erano telecamere di sorveglianza.

Strisciando contro il muro del Quartz, mi portai le mani sui fianchi. L’oscurità era

fitta quella notte. Tutt’intorno al cortile interno, le fioche luci delle camere degli

studenti rischiaravano a malapena l’erba. Nemmeno la luna faceva capolino; c’erano

solo nuvole in cielo. Le costellazioni, che avrebbero dovuto mostrarmi il cammino,

aiutarmi a scegliere la via migliore, erano coperte proprio com’era accaduto la notte

del rapimento di Rhode.

«Un cielo velato non aiuta,» diceva sempre Rhode.

Diceva. Prima che perdesse la memoria. Prima che si scatenasse tutto quel casino.

«Eccola,» sussurrò Tony con voce seria, indicando verso il campus.

«Lo sappiamo. La cappella la vediamo tutti i giorni,» disse Tracy.

«Sì, ma stanotte là dentro c’è un vampiro che ci aspetta. È diverso.»

«Per il momento, pensiamo ad oltrepassare il cortile interno e ad arrivare allo

studentato,» dissi.

Corremmo verso la cappella, cercando di mantenerci curvi. Attraversammo il

sentiero che portava dal Quartz alla biblioteca, attraversammo il prato e stavamo per

raggiungere lo studentato, quando Tony si fermò. Con un sibilo, si levò l’anello dal

dito.

«Dannazione. Hai ragione. È caldo.» Lo fece rimbalzare sulla mano.

«Anche il mio si sta riscaldando,» sussurrò Tracy.

«A terra,» ordinai. «Subito.»

Ci abbassammo fino a toccare il suolo. Pochi secondi dopo, un furgone della

sicurezza costeggiò la biblioteca, dirigendosi verso la strada che portava al Quartz.

Sgusciò via verso il Seeker. Tony strisciò verso di me. Toccai l’anello che aveva in

mano. Emanava pulsazioni di calore, proprio come era accaduto alla mia collana sulla

spiaggia.

Alzai la testa, attenta a restare comunque accovacciata.

«Cosa vedi?» Chiese Tracy con una smorfia. Sembrava che il braccialetto le desse

fastidio, infatti lo allontanò leggermente dal polso. Dovevamo andarcene da lì.

I lampioni dello studentato erano spenti e i dormitori erano troppo lontani perché le

loro luci potessero illuminare il cortile interno. Non avevamo scelta, se non continuare

a brancolare nel buio. Speravo solo di poter arrivare alla cappella prima che Justin o

qualcuno dei suoi ci scoprissero… sempre che non lo avessero già fatto. Ero certa che

qualcuno ci stesse osservando. «Andiamo,» dissi.

Stavamo di nuovo correndo nell’ombra.

Sentii un’ondata di panico nello stomaco. Oltrepassammo velocemente lo studentato

e giungemmo al secondo campo di lacrosse. Una volta svoltato dietro l’edificio, la

cappella distava poco più di quattro metri.

«Evvai!» sussurrò Tony alzando le mani al cielo.

«Sei comunque un idiota,» disse Tracy con un sorriso.

Dalla fattoria vicina si levava il profumo della menta e della salvia. Rallentammo,

mentre ci inerpicavamo lungo la collina che portava alla cappella. Mi voltai, ma non

vidi nessuno che ci seguiva. L’area, però, era troppo ampia perché potessi esserne

assolutamente sicura.

«Porca miseria,» disse Tracy togliendosi del tutto il braccialetto. Tony aveva rimesso

l’anello, ma scuoteva la mano.

«Brucia di nuovo,» disse. Spalancò gli occhi e li puntò dietro di me. «Attenzione!»

Si sentiva un rumore di passi affrettati. Qualcuno avanzava rapidamente nell’oscurità.

A causa del buio pesto, non sapevo da dove stessero arrivando e con chi o cosa

avremmo avuto a che fare. Sguainai il pugnale e lo tenni alto di fronte a me. Tracy e

Tony mi imitarono, seguendo il mio segnale.

Fummo circondati da un gruppo di vampiri statuari. Ce n’erano almeno dodici,

contro tre di noi. Ognuno di essi impugnava un tipo di arma diversa.

Sentivo che il pugnale che stringevo in mano, teso di fronte a me, sembrava ridicolo.

Inclinai appena la punta della lama per incontrare gli occhi del vampiro italiano. Era

proprio di fronte a me. Scrutai gli altri; la loro energia non era diretta verso di noi.

Alcuni nemmeno ci guardavano. Continuai a tenere alto il pugnale.

«Non dovevamo incontrarci nella cappella?» dissi.

«Silenzio,» sussurrò bruscamente, con gli occhi argentei che scrutavano il gruppo

nella foresta. Impugnava un lungo machete dalla punta curva pericolosamente vicina

alla gamba.

Tutti i vampiri sfoggiavano il suo stesso identico simbolo: una R all’interno di un

cerchio.

«Andate!» comandò il vampiro italiano.

I vampiri si mossero come un’entità dotata di un’unica mente e in pochi secondi due

si posizionarono al mio fianco. Uno era quello italiano, l’altro, una ragazza dai lunghi

capelli biondi raccolti in una coda che le scendeva fino alla base della schiena. I suoi

occhi argentei continuavano a scrutare frenetici i recessi della foresta.

«Aspettiamo Lenah!» urlò Tony. Due vampiri lo stavano trascinando verso la

cappella, mentre lui tentava di sottrarsi alla loro presa. Anche Tracy cercava di liberarsi

da quello che l’aveva afferrata.

«Vai, Tony!» urlai. «Tracy, sto bene.»

Sperai che fosse vero.

La vampira bionda fissava un punto nella foresta e sussurrava qualcosa al loro capo

in una lingua che non comprendevo.

«In formazione! Ora!» urlò, stavolta in inglese. Sobbalzai per la forza della sua voce.

Prese posizione davanti a me, per proteggermi da Justin.

Le nuvole nere che avevo già visto invadere Main Street precedevano Justin nella

foresta. Si insinuavano tra l’erba rapide, come animate da una tempesta. L’italiano si

slanciò contro Justin, il machete che fendeva l’aria.

«Fuggite!» urlò la bionda, spostando il suo sguardo metallico su di me.

Corremmo tutti verso la cappella. Non sapevo come avrei fatto a difendermi. Non

volevo trovarmi id nuovo faccia a faccia con quell’oscurità che Justin aveva invocato

quando mi aveva costretta a guardarlo. Non volevo vedere il mondo scivolare via.

Temevo che da un momento all’altro Justin mi avrebbe afferrata per un polso e

trascinata via.

«Non fermatevi,» gridò ancora la bionda, mentre rallentava e scoccava una raffica

di frecce contro Justin. Dovetti combattere l’istinto di aiutarla.

«Puoi fare di meglio, Liliana,» disse Justin alle mie spalle. Mi bloccai, quando la

bionda, Liliana, volò in aria atterrando davanti a me. Si tirò subito in piedi e scoccò

un’altra freccia. Sfiorò un orecchio di Justin. Tentai di allontanarla da lui, ma Justin

mosse di nuovo la mano e Liliana fu di nuovo sollevata in aria. Venne scagliata lontano

e cadde con un tonfo secco più in là, vicino allo studentato. Un impatto del genere

avrebbe ucciso sul colpo qualsiasi essere umano, ma Liliana scosse la testa e tornò

immediatamente a combattere.

Justin era davanti a me, portava lo stesso vestito nero che aveva indossato in passato.

«Ti sono mancato?» mi chiese.

«Cosa ne hai fatto di Rhode?» chiesi.

Alle spalle di Justin vedevo i suoi vampiri sbucare fuori dalla foresta, diretti verso

la congrega del vampiro italiano.

«Portateli nella cappella!» urlò l’italiano, aggiungendo anche qualcos’altro in quella

lingua che non capivo.

«Ho sempre saputo che eri forte, Lenah, ma forse dovresti smetterla di combattermi.

Risparmia le forze… per dopo.»

Mi prese per un polso e mi trascinò attraverso il prato, lontano dalla cappella. Sentii

le ginocchia cedere e cominciai a incespicare sui miei stessi passi. La forza della presa

di Justin mi provocava spasmi di dolore che si irradiavano dalle spalle alle mani. Il

vampiro italiano balzò di fronte a noi, agitando il machete verso il petto di Justin.

«Sei proprio debole, Cassius,» Justin ringhiò, fece volare via il machete e mi

strattonò via dalla cappella. «Perché disturbarti ad attaccarmi?»

Cassius rispose a Justin in una lingua misteriosa. Non riuscivo a capire se Justin la

comprendesse, perché non rispose. Cassius recuperò il machete e lo brandì verso Justin,

che dovette balzare all’indietro. Questo movimento mi consentì di liberarmi dalla sua

presa. Avrei voluto accasciarmi a terra, cullandomi il braccio. La pressione inferta dalle

sue dita era stata quasi insopportabile. Justin e Cassius continuarono a lottare mentre

mi slanciavo verso la cappella. Non ero certa si trattasse di un porto sicuro; sapevo solo

che le armi di Fuoco, in possesso di Tracy e Tony, avrebbero potuto concederci un po’

di vantaggio, almeno in un primo momento.

Uno dei vampiri di Cassius mi raggiunse. Vidi davanti a me, alla luce dorata che

filtrava dall’ingresso della cappella, che Tony stava aiutando Tracy ad entrare. Il vento

imperversava di nuovo su di noi e non mi ero resa conto che Justin si fosse di nuovo

librato in volo.

«Attenta!» mi avvisò il vampiro al mio fianco e ci fermammo, senza sapere bene

dove sarebbe atterrato Justin.

Il manto di nubi che lo avvolgeva lo fece atterrare proprio davanti a me in un batter

d’occhio. Mi fece cadere a terra con un pesante tonfo. Sentivo la testa pulsare e battei

le ciglia per schiarirmi la vista. Una luce metallica attraversò il mio campo visivo. Il

vampiro che era con me fendette l’aria con una spada, ma sentii un crac.

Il tipico crac emesso dalle ossa che si spezzavano.

Scivolai seduta. Il vampiro che stava cercando di aiutarmi era svenuto su un cumulo

di terra, con la sua stessa spada conficcata nel cuore.

Cassius sembrò materializzarsi dal nulla e sfilò la spada dal petto del vampiro morto.

Impugnò l’arma insanguinata in una mano e il suo machete nell’altra.

«La tua dedizione mi stupisce,» disse Justin a Cassius. «Ma ti assicuro che è sprecata

per Lenah, credimi.»

Il modo in cui Justin modulava la voce, quella cadenza e quel tono, risultava freddo

e tagliente.

«Resta dietro di me,» le ordinò Cassius, continuando a tenere lo sguardo puntato su

Justin. Se fossi scappata, avrei creato un diversivo, ma Justin era troppo veloce e io

odiavo sentirmi così inutile.

Justin inclinò la testa verso Cassius, che brandiva ancora il machete nella mano

sinistra e la spada nella destra. Spostava senza sosta il peso del corpo da una parte

all’altra, pronto a balzare all’attacco.

«Mi stavo giusto chiedendo cosa ti fosse successo in quest’ultimo anno,» disse

Justin. «Pensavo ti fossi ritirato, lasciando ai tuoi amichetti il compito di svolgere il

lavoro sporco al posto tuo.»

«Abbiamo sventato i tuoi attacchi contro Lenah e il campus Wickham quattro volte,

finora,» sbraitò Cassius. «Ma diglielo!» gridò, i suoi lineamenti decisi, contorti dalla

rabbia. «Dille perché siamo venuti qui a proteggerla! Perché dobbiamo salvarla!»

«Tu dov’eri la scorsa notte, quando abbiamo preso il suo prezioso Rhode?» chiese

Justin.

Cassius emise un ringhio. «Hai ucciso il nostro guardiano. Il nostro migliore arciere.

Siamo arrivati sul posto subito dopo che te n’eri andato.»

Justin protese il palmo della mano e un refolo d’aria grigia, tossica, si avvolse come

un serpente attorno alla spada e al machete di Cassius, che lanciò un urlo e cadde in

ginocchio. Con un sibilo gli uscirono le zanne e fece cadere le armi sull’erba. Il fumo

grigio si dissolse, ma le mani di Cassius erano ancora deboli, inerti sul suo grembo.

«Fermati,» implorai, anche se sapevo che era inutile.

Le fredde dita di Justin mi afferrarono di nuovo e con i palmi gelidi delle mani mi

attirò più vicina al suo volto.

Non guardarlo. Non guardarlo.

Ma non potevo impedirmelo…

I nostri occhi si incontrarono e la luna si oscurò.

Il cielo svanì. Così anche l’erba. Niente Wickham. Non mi reggevo più in piedi…

c’era solo uno spazio immenso, senza fine.

La mia ansia scomparve… avrei potuto fluttuare in aria, se lo avessi voluto. Non

dovevo preoccuparmi di Rhode o della battaglia in corso. Sì, era la cosa giusta da

fare. Volevo stare lì con Justin. Volevo lasciare il mio corpo. Perché lottare contro

Justin? Dovevo aiutarlo. Lo amavo. Se restavo lì, mi avrebbe trovata.

Crollai sul prato. Battei la fronte contro il suolo e fui invasa dalla nausea. Inspirai

l’odore della terra, portandomi le ginocchia al petto, in posizione fetale. Ero stanca di

lottare. Non più. Ero ancora nel mio corpo. Era questo che contava. Ero al sicuro.

Anche Justin era caduto. Mi guardava sbalordito. Si rialzò e indietreggiò.

«Cosa stai cercando di fare?» dissi con voce rauca reggendomi la testa.

«Non funziona,» mormorò. «Questa è la seconda volta. Non riesco a prenderti.»

Prendermi. Ecco cosa voleva fare. Prendermi e portarmi da qualche parte.

Sentii il centro della fronte pulsare ripetutamente. Riuscivo a malapena a muovere il

collo, perché il dolore era enorme.

«Troverò un modo,» disse sottovoce. E con un’esplosione di aria fredda, allargò le

dita e se ne andò dal campus. Si era mosso troppo in fretta perché la mia mente potesse

registrare in quale direzione fosse scappato.

CAPITOLO 12 Traduzione: *Haruka*

Troverò una soluzione.

Continuavo a ripetermelo. Troverò una soluzione.

Faceva tutto parte del piano di Justin.

Il dolore alla testa si era alleviato, ma toccandola faceva ancora male.

«Entra dentro. Entra dentro» disse Cassius, conducendomi nella cappella. Quando

entrai nell’edificio, Tracy era seduta sull’ultima panca, tenendo il polso stretto al corpo.

Tony era accanto a lei con una mano sulla sua spalla. Un vampiro si avvicinò a Tracy

portando un kit di pronto soccorso. Lei allontanò la mano nervosamente.

Il vampiro le si inginocchiò di fronte. «Fidati di me» disse. «Sono stato un guaritore

per duecento anni.»

Mi si contorse lo stomaco nel vedere l’agitazione nei suoi occhi. Allungò il braccio

e lui prese una benda dal kit.

Un brivido mi percorse e mi strinsi nelle braccia per riscaldarmi. Justin aveva violato

più volte il mio sguardo ormai. Lo aveva fatto di proposito; non mi stava “solo

guardando negli occhi”. Voleva allontanarmi dalla mia coscienza. Come se fossi stata

trasportata fuori dal mio corpo.

Troverò una soluzione.

Per fare cosa? Il piano di Justin, qualunque fosse, era molto più complesso di quanto

pensassi. Avevo perso tempo cercando di capire quale fosse, mente il suo scopo era

semplicemente quello di attaccare Wickham. Avrei dovuto cercare un modo per

sconfiggerlo. Se fossi riuscita a ferirlo avrei potuto impedire che accumulasse altro

potere. Avrei potuto provare a trovare il ragazzo che conoscevo, e a cui volevo bene,

all’interno di quel corpo di vampiro.

Camminai lungo la navata e mi sedetti nella prima fila di panche. Dietro di me, i

vampiri camminavano anti e indietro lungo le file. Due erano accanto alla porta,

tenendo d’occhio i campi.

«La sua congrega è andata» disse uno dei vampiri a Cassius, mentre mi seguiva

lungo la fila.

Una volta che Justin mi rapirà, quale sarà il piano? Sembrava che avesse il

controllo della mia mente, ma non poteva spingersi oltre perché la legge dei vampiri

gli impediva di farmi del male.

Rabbrividii.

Dovunque mi avesse portata, mi piaceva stare lì. Qualunque cosa mi avesse fatto

Justin, mi aveva resa insensibile alla realtà. Il mio mondo era diventato il suo.

Troverò una soluzione... per fare cosa di preciso? Qual era lo scopo?

Cassius mi porse un asciugamano così che potessi pulirmi il viso e le mani. La

cappella era una larga stanza in pietra con delle vetrate colorate poste in alto sui muri.

La luce lunare attraversava i vetri decorati, inondando di una luce perlacea le panche e

il pulpito. I vampiri non temevano le chiese o gli edifici religiosi; non avevano alcun

controllo. Eppure, in una stanza del genere, mi sentivo protetta.

Tony si stagliava in modo protettivo al fianco di Tracy, guardando il vampiro che si

occupava della sua ferita. Un livido violaceo iniziò a formarsi sul mio polso. Si

intravedeva attraverso il tessuto del braccialetto insanguinato.

«Renoiera…»

Ecco di nuovo quella parola.

Renoiera…

«Ok…» disse Tony con calma. «Che cos’è Reno-yare-a?»

In fondo alla stanza, c’erano almeno sei vampiri in fila dietro l’ultima panca. Quando

incrociarono il mio sguardo, inchinarono la testa. Cassius era l’unico accanto a me e si

inginocchiò in mezzo alla navata, vicino alla mia panca.

«Che lingua parli?» chiesi. «Non è né spagnolo né francese. Né alcuna lingua

romanza che abbia mai sentito.»

«É il nostro linguaggio» rispose. «Si chiama Linderatu.»

«Un linguaggio dei vampiri?» chiesi incredula. Mi piegai verso di lui e sollevai il

pendente che aveva al collo. «E questo simbolo?» domandai. Osservò i miei movimenti

con così tanta attenzione che lasciai il ciondolo.

«É il tuo simbolo: R per Renoiera.»

«Il mio simbolo.»

«Renoiera…» disse, calcando sulla “r”, come si usa in spagnolo. Tony mormorò la

parola dietro di me.

«Che vuol dire?»

«Significa regina» disse Cassius. «Per te.»

«Regina?» Ridicolo.

Cassius si inchinò di nuovo e il resto dei vampire in fondo alla stanza lo imitarono.

«Non sono la vostra regina. Vi state sbagliando. Nessuno di voi ha idea di chi io

sia.»

Cassius si inchinò di nuovo. «Come facciamo a conoscerti è una delle tante domande

a cui dovrai rispondere stasera.»

«Per favore, alzati» sussurrai a Cassius. Mentre mi abbassavo verso di lui, le mie

dita gli sfiorarono la spalla. Sussultai.

«Sei… sei caldo» balbettai. «No, sei decisamente bollente. Come un essere umano.»

Mi venne subito in mente un’altra domanda. «Ha a che fare col fatto che puoi uscire di

giorno?»

Mi pulsò la testa e premetti le dita sulle tempie.

Diglielo! Aveva urlato Cassius. Dille perché siamo venuti a proteggerla. Perché

siamo qui per salvarla.

Esitò e mi sollevò per un braccio con le sue calde dita.

«Ah» disse. Indicò con un cenno della testa il braccialetto. Notai che indossava un

pezzo di stoffa bianca insanguinato, appuntato sulla manica della camicia nera. Il

sangue sui suoi vestiti strappati era diventato color ruggine.

Approfittai del silenzio e ripetei in mente la parola “Renoiera”. Ripensai a quello

che mi aveva detto Suleen riguardo la rivoluzione.

«Se siete qui per proteggermi, perché siete scappati da me così tante volte?»

«Abbiamo pensato che ti avremmo messo ancora più in pericolo se Justin ti avesse

associato a noi. Come puoi vedere dal nostro rapporto, non siamo i suoi vampiri

preferiti. Volevamo aspettare finché non fosse stato necessario rivelarci a te.»

«Ma come?» chiesi. «Come sapevate chi ero?»

«Ci sono state delle voci, negli ultimi quattrocento anni, riguardo una regina dei

vampiri che è ridiventata umana» disse Cassius. «All’inizio erano solo leggende, delle

favole.»

«Non capisco. Il mio passato doveva essere cancellato.» Ebbi un presentimento. Era

solo un’idea, ma riuscivo a collegare facilmente tutti i pezzi. Il potere di Justin e la sua

conoscenza andava oltre i suoi anni.

«Gli Svuotati» dissi ad alta voce, «hanno qualcosa a che fare con tutto questo, non è

vero?»

Il gruppo di vampiri si cambiò degli sguardi consapevoli.

«Gli Svuotati vivevano in una casa di onice, Renoiera,» disse un vampiro dal fondo

della cappella.

Cassius lo zittì con uno sguardo. Chiaramente il vampiro non avrebbe dovuto dire

niente. Ma aveva rivelato un indizio importante sul perché erano qui e sul perché si

ricordavano di me. Onice.

«Sì, i soffitti» dissi. Nella mia mente vidi me stessa riflessa all’ingresso di onice

della casa degli Svuotati. Vicken ed io usavamo il riflesso del soffitto di onice per

vedere le nostre anime. L’onice mostra la purezza dell’anima. A quel tempo, in quella

vita, sia la mia anima che quella di Vicken erano grigie come la neve sporca.

«Ok, ma non spiega come fate a ricordarvi di me quando tutti i ricordi di me come

vampira dovrebbero essere stati cancellati.»

«Quella che è iniziata come una favola, alla fine ha iniziato a circolare come dato di

fatto. Capisci?» disse Cassius con il suo accento italiano cantilenante. «Col passare del

tempo, la gente ha iniziato a sospettare che tua storia non fosse una leggenda, ma la

verità. Non avevamo nessuna prova ma, tre anni fa, gli Svuotati, senza dire il perché,

dissero che avevano ottenuto il tuo sangue. Da quel momento in poi, le voci sono

diventate un fatto.»

«Ma come?» chiesi. È l’onice, sussurrò dentro di me la voce della regina dei vampiri.

L’onice… sussurrò di nuovo. C’erano soffitti di onice in quella casa. Guarda gli indizi.

La voce della me vampira era una piccola parte della mia coscienza, un aspetto della

mia anima da cui non mi sarei mai separata del tutto; mi aiutava, ma mi era anche

d’intralcio. Mi faceva rimanere in contatto con il mondo soprannaturale. Stavo

ricordando le volte in cui, quando ero vampira, avevo a che fare con creature o vampiri

potentissimi. Mi servivano quante più informazioni possibili.

«Cosa sei? Perché i tuoi occhi sono argentati? Come fai a stare sotto il sole?» chiesi.

«L’argento non è solo il colore dei nostri occhi» risposte Cassius, «protegge le nostre

anime dal sole. Come uno scudo, anche se non siamo del tutto sicuri che sia proprio

magico. Quando ci indeboliamo, ci trasformiamo in cenere come ogni altro vampiro.

Un paletto nel cuore, la decapitazione e la luce solare. Non siamo invincibili.»

Mi toccò l’avambraccio.

«Possiamo leggerci a vicenda nella mente. È così che ci scambiamo le informazioni.

Posso condividere con te la nostra storia.»

«Toccandomi?»

Sollevai il braccio per sfiorargli le dita e, quando le strinse sulla mia pelle, il suo

calore mi ricordò che questi vampiri non erano normali. I vampiri sono freddi come il

ghiaccio, morti. Lanciai uno sguardo a Tracy e Tony, ancora seduti sulla panca in

fondo. Tony cercò di abbozzare un sorriso, ma la bocca di Tracy era stretta in una linea

dura, attenta. Non si fidava ancora di loro.

Mi aggrappai al braccio di Cassius e chiusi gli occhi. La immagini arrivarono alla

mia mente senza volerlo.

Sono nella casa degli Svuotati. Cassius cammina accanto a Rayken, un membro del

trio degli Svuotati. Seguono una lunga fila di vampiri lungo il corridoio. Alla fine c’è

un’enorme porta decorata con delle sculture di corpi grotteschi e contorti. Dietro di

essa c’è la biblioteca. Cassius alza lo sguardo al soffitto del corridoio. Onice. La sua

anima si riflette nella pietra. La sfera appesa in bilico sul suo petto è di un grigio

sfumato. La sua anima non è nera. Cassius segue Rayken nella biblioteca. Un quartetto

suona delle musica leggera nell’angolo della stanza.

Rayken, Laertes e Levi, gli Svuotati, danno dei calici di sangue a tutti i vampiri

presenti nella stanza. In mezzo alla sala, vestito nel suo perfetto completo nero, c’è

Justin. Non prende un calice; ha le mani incrociate al petto. Cassius porta il calice

sotto il naso e ne annusa il profumo. Il sangue sembra normale.

Ma è cauto. Justin nota Cassius mentre annusa il sangue ancora una volta. Forse è

più dolce del solito?

«Sei fortunato» dice Justin a Cassius. «Solo pochi vampire sono stati invitati qui.

Devi aver fatto qualcosa di importante.»

Cassius dà uno sguardo alla stanza. Riconosce alcuni dei vampiri, ma non tutti.

Conosce Liliana, la bionda nascosta nell’angolo. Sua sorella è accanto a lei; entrambe

sono degli ottimi arcieri.

Rayken è al centro della stanza e solleva il calice.

«Un nuovo rituale» dice Rayken. «Vorremmo espandere la confidenza degli

Svuotati. In questo rituale, condivideremo tutti insieme il sangue. E, facendolo, daremo

vita ad una nuova congrega. La congrega più forte di tutte.» I vampiri nella stanza

portano i calici alle labbra e bevono. Il liquido è dolcissimo, il migliore che Cassius

abbia mai assaporato. Finisce il suo in due sorsate.

L’immagine cambia.

Cassius è confuso sul pavimento. Vuole. Vuole. Vuole. Vuole tornare indietro; vuole

non aver fatto tutto quello che ha fatto.

«Non avrebbero dovuto conservare la loro sanità mentale! A cosa mi servono ora?»

La voce di Laertes risuona dalla porta accanto.

«Deve essere il suo sangue» risponde Justin.

«Lenah è rimasta lucida quando è stata ritrasformata in vampira,» replicò Laertes,

calmandosi. «Il suo sangue scorre nelle loro vene. Sapevamo che era un rischio.»

«Gettalo sotto il sole» dice Rayken. «A mente lucida, Cassius è inutile per me.»

Fa male, pensa Cassius. Non buttatemi sotto il sole!

Ispirai l’aria frizzante che c’era nella cappella. Il calore della mano di Cassius si

allontanò dal mio braccio.

«Ci chiamiamo Demelucrea. Significa “mezza-luce”» disse Cassius, facendo un

passo indietro per unirsi agli altri vampiri. «Siamo vampiri solo in parte. L’altra metà

è una Demelucrea. La parte Demelucrea ci fa rimanere lucidi e ci fa tollerare la luce

del sole…»

«Bevete sangue?» chiese Tony.

«Sì» rispose Cassius. «Lo prendiamo dalle banche del sangue. Cerchiamo di non

uccidere gli esseri viventi.»

«Cercate?» dice con una vocina Tracy.

«Come alterano il sangue?» domandai. «Che cosa fanno?»

«Non lo sappiamo» rispose semplicemente Cassius. «Era il tuo sangue, Renoiera, è

tutto quello che sappiamo.»

«Il mio sangue? Impossibile.» Ma le parole di Suleen mi risuonarono nella mente.

Li ha creati dal tuo sangue.

«Gli Svuotati, in qualche modo, hanno ottenuto il tuo sangue. Attraverso uno

squarcio nel tempo, o forse ci sono riusciti grazie alla casa di onice.»

Ecco ancora quella parola: onice. Gli Svuotati, un tempo, possedevano una fiala del

mio sangue. Ma, ancora una volta, Fuoco aveva cambiato la storia. Quell’evento,

quando diedi il mio sangue agli Svuotati, non era mai avvenuto.

Proprio come non c’era mai stata la morte di Tony! Ora era vivo perché Fuoco aveva

cambiato, con successo, la storia quando sono tornata nel mondo del Medioevo. Anche

se ho dato il mio sangue agli Svuotati nella loro casa di onice, non ho mai sanguinato

sui pavimenti di pietra. È stata una transazione pulita. Sarebbero stati capaci di estrarlo

dalle pietre solo se ci avessi sanguinato sopra, come è successo con la freccia che ha

colpito Justin la prima notte a Main Street.

Ugh. Gemetti. Quell’evento non c’è mai stato! È impossibile che abbiano ancora il

mio sangue.

«Qualunque sia il modo in cui lo hanno ottenuto» continuò Cassius, «hanno usato il

tuo sangue per unirlo al nostro.»

Avvertii la bile in bocca e diedi loro le spalle, cercando di ricompormi. Il taglio sul

dito medio bruciava.

«Chi conosce i limiti della conoscenza degli Svuotati?» continuò. «L’unica cosa di

cui sono sicuro è che siamo vampiri in grado di uscire di giorno» disse con enfasi,

«Non siamo tormentati dal dolore della nostra esistenza.»

Torturati dal dolore della nostra esistenza. Parlava proprio come un vampiro.

«Chi ha creato il vostro linguaggio?» chiesi.

«Io.»

«Hai creato un linguaggio? In tre anni?»

«Perché no?» disse, e sollevò il mento. «Se non possono capirci, allora non possono

fermare i nostri piani. Una volta che siamo diventati indesiderati, abbiamo creato il

nostro linguaggio e abbiamo reclamato la nostra esistenza.»

«Quindi siete stati trasformati in…» Tony scelse con cura le parole, «ibridi?»

«Da quello che sono riuscito a scoprire, il nostro obiettivo doveva essere quello di

poter uccidere sia di giorno che di notte. Ma il piano degli Svuotati è andato in fumo

perché abbiamo mantenuto la nostra lucidità e ragione. La nostra umanità, se

preferisci.»

«Dov’è la tua famiglia?» domandò Tony. Sembrava rispettoso, come se stesse

cercando di capire Cassius.

«La mia famiglia è morta. In quanto vampiro, senza la mia lucidità, non avevo alcuna

coscienza; non aveva importanza cosa avessi fatto o chi avessi ucciso. Ero arrabbiato

e insensibile.»

Mi venne in mente la mia sorellina Genevieve che correva nel frutteto ridendo come

una matta.

«Molti di noi hanno perso la propria famiglia» disse lentamente Cassius.

Alzai le mani in aria.

«Basta così» dissi, e mi lanciai lungo la navata, fuori dalla cappella, uscendo fuori.

Lo stomaco si contorse e presi delle grandi boccate d’aria per impedire alle lacrime di

scendere. Sorpassai i corpi dei due Demelucrea morti nel campo scuro. Alle prime luci

dell’alba, sarebbero diventati cenere. Nient’altro che polvere da smuovere per i

giocatori di lacrosse alla prossima gara. Non siamo invincibili.

«Lenah! Ferma!» la voce di Tony che mi chiamava. «Per favore!»

Caddi in ginocchio davanti alla staccionata della fattoria di Wickham. Aspettai di

sentire i passi di Tony, poi si inginocchiò accanto a me.

«Quindi eccoci» dissi, fissando il terreno. «Suleen aveva ragione.»

Cassius si inginocchiò dall’altra parte.

«È grazie al tuo sangue che siamo riusciti a rimanere lucidi» disse lentamente. «Lo

consideriamo un dono.»

«Solo quando sono stata trasformata di nuovo in vampira ho riottenuto la mia

lucidità» sospirai. «Nessuno sa perché. Prima ero malvagia. Il sangue che scorre nelle

vostre vene è maledetto.»

«Una maledizione poter uscire di giorno? Una maledizione poter camminare tra gli

umani? Quando Suleen ha detto che sarebbe stato possibile il tuo ritorno, ci siamo uniti,

Renoiera. È grazie a te che abbiamo speranza.»

«Speranza per cosa?»

«Di poter sconfiggere Justin. Di poter…»

Il suo sguardo si posò sul suolo.

Non era così eroico come lo avevano fatto sembrare. Ma avevo capito perché mi

veneravano e trasformata in una leggenda. Avevo distrutto i limiti dell’immortalità.

«Volete che vi aiuti a tornare di nuovo umani» dissi.

Cassius sospirò. «È la nostra speranza più profonda. Ma ci serve la tua esperienza.

Vogliamo essere liberi da Justin. È un tiranno. Ora che il suo piano di riportarti nel

mondo moderno come regina è fallito, possiamo solo immaginare quali piani

escogiterà.»

La pensavamo in modo molto simile, Cassius ed io. Anche se il nostro obiettivo non

era lo stesso; i Demelucrea volevano distruggere Justin. Io volevo scoprire cosa voleva

Justin e portare via Rhode da questo inferno il prima possibile. Sapevo cosa mi aveva

chiesto Suleen, ma non era così semplice uccidere Justin.

«Tony…» desideravo il conforto del mio amico.

«Va tutto bene. Davvero. Ce la caveremo e ci riprenderemo Rhode» disse. Mi strinse

la mano. «Ci riusciremo.»

«Non posso promettere che il rituale funzionerà con voi» dissi guardando Cassius.

«Ecco, Renoiera, abbiamo provato il rituale con Suleen. Non ha funzionato. Per

compiere il rituale bisogno essere un vampiro completo, e noi non lo siamo. Non è

successo niente. Nessuna conseguenza terrificante, nessun gesto sconvolgente. Credo

che sia stato anche peggio. Siamo rimasti esattamente uguali.»

«Allora come pensate di tornare umani?»

«Grazie a te» mi disse semplicemente Cassius. «Crediamo che tu troverai una

soluzione.»

Quando guardai dietro di me, Tracy si trovava davanti a dieci o più Demelucrea.

«Ma prima devi aiutarci ad uccidere Justin» disse Liliana, che si era unita a noi. «È

fuori controllo.»

«Vi aiuterò, ma non posso prendermi la responsabilità di tutti quanti» dissi

alzandomi in piedi. «Non sono la regina di nessuno.»

«In cambio, possiamo aiutarti a trovare la tua anima gemella» annunciò Cassius.

Quella frase rimase sospesa in aria e odiai il fatto che avesse sfruttato apposta il mio

punto debole.

«Dove credi che sia?» domandai.

«La casa di Justin non è lontana da qui. È il primo posto che dovremmo controllare.

Henri ed io andremo all’alba, Renoiera. Possiamo ideare un piano.»

Andò verso il guaritore che aveva bendato il polso di Tracy.

Renoiera. Che parola stupida. La luce della luna colpì il mio simbolo, appeso al collo

dei uno degli altri Dem, che avevo sentito chiamare Micah.

«Accetto il vostro aiuto» dissi, «ma voglio affrontare Justin da sola.»

«Impossibile. È troppo pericoloso. Justin riesce a manipolare gli elementi» spiegò

Henri. «E tu non hai ancora le capacità per ucciderlo.»

Ignorai deliberatamente la parola “ucciderlo”.

«Ho visto di cosa sono capaci gli Svuotati» dissi toccandomi la spalla dolorante. Il

petto pulsava con il mio cuore e ogni battito bruciava. Il fantasma del ciondolo di Fuoco

mi ricordava quando volessi stare con Rhode.

«Rhode deve andarsene prima che…» esitai. «Prima che venga ferito.»

«O ucciso» si intromise Liliana.

Trasalii. «Chissà cosa gli sta facendo Justin» specificai, parlando direttamente a lei.

«Ma non sarei ancora così pessimista. Non posso.»

Non portava il mio simbolo al collo, ma aveva un anello. «Mia sorella gemella»

disse, «è stata uccisa davanti ai miei occhi.»

«La ragazza bionda tra le dune di sabbia» dissi.

Annuì una volta. «Le avevo detto di non andare da sola. Siamo arrivati mentre

scappavi sulla spiaggia.»

«Cianno» la zittì Cassius. Sembrava molto come uno “stai zitta”.

«Se ho ragione e ora Rhode è a casa di Justin, vorremmo attaccarlo tra due giorni»

spiegò Cassius.

«Perché non prima?» chiesi.

«C’è un’eclissi solare tra due giorni. Crediamo sia la nostra occasione migliore»

rispose Henri.

«La vostra occasione migliore?» dissi ridendo. Non volevo essere scortese, ma era

la cosa più ridicola che avessi mai sentito in vita mia. «Un’eclissi. Quindi, in pratica,

avete intenzione di suicidarvi.»

«Qual è il vantaggio di un’eclissi?» chiese Tony.

«È il momento migliore» spiegò Cassius. «Justin non rischierà di lasciare casa sua,

né si aspetterà un attacco in un giorno del genere. È molto pericoloso per noi uscire

quel giorno.»

«Qual è il vantaggio di un’eclissi?» chiese di nuovo Tony.

«Due giorni sono una lunga attesa» commentai. «Chissà cosa potrebbe succedergli

nel frattempo.»

«L’eclissi è la soluzione migliore per intrappolare lì dentro Justin» insistette Cassius.

«Qualcuno vuole spiegarmi il perché?» urlò Tony.

Cassius spiegò i dettagli a Tony, ma io ero tornata a Hathersage, in Inghilterra, nel

1739.

Sono al piano di sopra della mia casa a Hathersage. Rhode ed io siamo appoggiati

al telaio della finestra e guardiamo la luna passare davanti al sole. Le ombre danzano

sui campi di lavanda in un modo che non avevo mai visto prima. Un anello di diamante

circonda il sole eclissato. Lampi di luce brillano e scintillano attorno alla luna.

«Andiamo!» urlo, ed esco dalla porta. «Corriamo sotto questo strano sole!»

Rhode tira la mia mano e mi rispinge in camera da letto.

«Capisci, non è vero?» dice. I suoi lunghi capelli neri gli ricadono sulla schiena.

Sarebbero sembrati come seta, se non avessi perso del tutto il tatto.

«Capire cosa?» chiedo.

«Nel momento in cui la luna non coprirà più il sole, la luce sarà troppo forte. Ti

trasformerebbe in polvere.» Mi accarezza i capelli e le dita tracciano una linea calda

sul mio cuoio capelluto.

«Ma posso stare sotto il sole» replico.

«Non quel sole. Nessuno può sopportare la luce di un’eclissi. Una volta che la luna

oltrepasserà il sole, i raggi solari saranno mortali.»

«Buono a sapersi. Mi hai appena salvato la vita» dico scherzando.

«Ti salverò sempre» risponde lui.

«E io salverò te.» Ci baciamo davanti alla finestra, durante quell’oscurità fatta di

luce. Quando ci stacchiamo, dà uno strappo alle tende e chiude la porta della camera

da letto.

«Soltanto di notte un vampiro può uscire di nuovo al sicuro» concluse Cassius.

«È confortante» disse Tony. «Esci alla luce del sole dopo un’eclissi e… puff.»

«Puff?» domandò Tracy.

Henri rise, ma coprì la risata schiarendosi la gola.

«Dovremmo rientrare nella cappella» disse Liliana. «Non è sicuro per gli umani stare

qui fuori.»

Gli umani?

«Non credo che Justin ucciderà Rhode» sostenne Cassius. «Se lo facesse, saprebbe

che non soddisferesti mai i suoi desideri.»

Mi alzai in piedi; non sarei rientrata nella cappella. Avevo chiuso lì e mi faceva male

la testa. Strofinai il polso indolenzito. Parlarono così tranquillamente della morte di

Rhode, come se la cosa non mi avrebbe annientata se fosse avvenuta.

«Abbiamo controllato la sua casa e la zona per mesi. Ma ora che ha Rhode dobbiamo

controllarlo di nuovo all’alba. I suoi movimenti potrebbero essere cambiati, forse

mostrerà qualche debolezza. Sappiamo già che i suoi vampiri non sono in grado di

uscire di giorno come noi.»

«Lui può?»

«Sì, è molto potente. Ma come sapete, non può sopravvivere alla luce dell’eclissi,

nessuno di noi può. Inoltre, Justin non agirà da solo. Fa affidamento sulla sua congrega

praticamente per ogni cosa che fa.»

Il cielo stava iniziando a schiarirsi, tingendosi di violetto. Tra due ore sarebbe sorto

il sole.

«Dobbiamo entrare e uscire dalla casa molto prima che l’eclissi finisca» annunciò

Cassius.

Mi fermai lungo la strada che conduceva ai dormitori.

«E sei sicuro di Justin? Come hai detto, è potente.»

«Nemmeno gli Svuotati riuscirebbero a sopportare un’eclissi, Renoiera.»

Anche se facessimo in tempo, i Dem stavano rischiando il tutto per tutto.

«Non possiamo semplicemente riprenderci Rhode in un giorno in cui Justin non è in

casa? Sai, quando Rhode potrebbe avere meno gente a controllarlo» chiese Tony.

«Uccidere Justin è l’unico modo per fermarlo. E se ci riuscissimo, dovremmo farlo

quel giorno; non abbiamo altra scelta se non di rischiare il tutto per tutto.»

«Il tutto per tutto» mormorai. Aveva usato le mie stesse parole. Mi aveva risposto

come se stessimo parlando, anche se non avevo detto niente ad alta voce.

«Riesci a leggere i miei pensieri» dissi, riprendendomi dalla sorpresa. Questo voleva

dire che i Demelucrea avevano vissuto o erano riusciti a leggere i ricordi che avevo

avuto di Rhode qualche momento fa.

«In tutta onestà, i tuoi pensieri sono molto chiari per noi e sarebbe saggio conservare

quei pensieri per te stessa,» ammise Cassius.

«Ogni volta?» domandai.

«Sembra così» disse Cassius, lanciando una rapida occhiata al vampiro guaritore che

si trovava in un angolo della cappella. «Ti abbiamo sentita nei nostri pensieri negli

ultimi giorni. Non proprio tutto, non era costante.»

«Standoti vicina, sono più chiari» aggiunse Liliana.

«E i nostri?» chiese Tracy sollevando il mento.

«Le vostre emozioni sono chiare» spiegò Cassius, «ma i vostri pensieri sono

vostri…»

«Tracy» disse al posto suo.

«Signorina Tracy» concluse.

La devozione dei Demelucrea nei miei confronti era così forte che volevo scappare.

Ero imbarazzata di avere un clan di vampiri che lottavano per me quando non avevo

fatto niente per meritarmelo.

Tony e Tracy si stagliarono davanti ai Dem. La loro lealtà era chiara, anche nella

luce lunare. Non volevo deluderli. Non potevo uccidere così facilmente Justin come

avrebbero potuto fare Cassius o Liliana. Il problema non erano le armi, ma le mie

intenzioni. Non volevo che morisse. Volevo farlo rinsavire.

«Siamo coinvolti in tutto questo per te, Renoiera, che ti piaccia o no» disse Liliana.

Cassius sorrise, ma era un sorrisino furbo, come se stesse andando tutto secondo i

piani.

Dal momento che non vedevo altri modi per farlo senza di loro, dissi, «Va bene.

Vediamoci in biblioteca. Nell’atrio dello studio, nel corridoio in fondo, domani sera

alle 20:00. Ditemi cosa troverete nella casa – sbagliai le parole – nella nuova casa di

Justin.»

Per me, la casa di Justin era quella dove viveva sua madre a Rhode Island: che

cucinava biscotti e dove c’era sempre un bel fuoco in autunno. Ero sicura che il posto

in cui Justin viveva ora, combaciava con la sua nuova personalità: austera e fredda.

Ci dirigemmo verso il campus principale, sapendo che i Demelucrea ci avrebbero

seguiti per scortarci. Non saremmo stati di nuovi un’altra volta, non sul serio. Mi voltai

ad osservare i vampiri.

«Oh, e già che ci siete, potete evitare di mancare per un pelo la mia testa? Vorrei una

spiegazione per questa cosa, prima o poi.»

Liliana abbassò la testa con un sorriso imbarazzato. «Credevo che ti stessero per

attaccare, Renoiera. Solo dopo mi sono resa conto che il ragazzo che ti seguiva era

Rhode.»

Alzai un sopracciglio. «E lei sarebbe un arciere con una vista soprannaturale?» chiesi

a Cassius.

Incrociò le braccia e rise, osservando il terreno.

«E domani sera…» mi rivolsi di nuovo a Cassius.

«Sì?» domandò lui, schiarendosi la gola.

Gli rigirai la frase che mi aveva detto al club di danza. «Vieni da solo.»

CAPITOLO 13 Traduzione: *Haruka*

La notte seguente, l’orologio nell’atrio dello studio ticchettava più lentamente di

qualunque altro mai esistito.

19:20… 19:45… 19:47…

Mentre aspettavo, mi sono seduta con le mani a pochi centimetri dal diario di Rhode.

Era accanto al mio quaderno di biologia, praticamente mai aperto, e il mio mocaccino.

Le mie dita esitarono sul libriccino.

L’ultima volta che Rhode ed io eravamo stati al Wickham, le nostre menti si erano

connesse tra loro grazie al potere delle nostre anime. “Un’anima sola non può vivere

senza l’altra”, questo mi disse Suleen una volta. Anam cara.

Entrare in contatto con la mente di Rhode era una cosa. Ma il suo diario non era la

sua mente. Sarebbe stata un’intrusione. Sarei dovuta rimanere solo seduta lì ad

aspettare Cassius.

… 19:57.

Cosa voleva confessare Rhode in quelle pagine limitate? Quali segreti? Aveva

osservato le costellazioni? Mi aveva sognata?

Allontanai il diario di morbida pelle con la punta delle dita. Non potevo sopportarlo.

Nel mio quaderno avevo scritto parole e idee che mi balenavano nella testa.

Demelucrea.

Renoiera. Pronunciai la parola a voce alta e calcai la voce sulla “r” proprio come

avevano fatto i Dem. Arrossii. Chi volevo prendere in giro? Non ero più una regina.

Continuai a scarabocchiare sul foglio a righe.

Come avevano fatto gli Svuotati ad avere il mio sangue per creare i Demelucrea? Se

la storia era cambiata, com’era possibile una cosa del genere? Era un mistero che avrei

scoperto anche a costo di morire. Probabilmente sarà così, pensai prendendo un sorso

di mocaccino.

Vedevo i membri del club di astronomia fare jogging dalla finestra alle mie spalle,

diretti alla zona di tiro con l’arco. Erano tutti eccitati per l’eclissi del giorno seguente.

Dimmi, Fuoco… ci sono indizi sull’onice? Come mai non me ne avevi mai parlato?

Come mai un’intera razza di vampiri è nata grazie a me? Come hai potuto lasciarmi…

Scrissi nel quaderno, l’altra mano era ferma sul diario di Rhode.

Oh, non volevo parlare con Fuoco. Volevo parlare con Rhode.

«Puh» gemetti, e mi alzai dalla scrivania. Maledetto Tony! Perché mi aveva dato

una cosa tanto preziosa? Sapeva che non sarei riuscita a resistere!

Mi sedetti. Una pagina. Solo una pagina del diario e sarebbe bastato. Tirai i lembi di

pelle e aprii la copertina. Nel titolo della pagina c’era scritto con la sua grafia precisa

e sottile:

Chiediti, amore mio, se non sei troppo crudele ad avermi irretito così, ad aver distrutto così la mia libertà.

– John Keats

Voltai pagina; tremava tra le mie dita. Lessi.

Cara…

Non so nemmeno il tuo nome, cara. Ti chiamerò così. Ma qual è il tuo nome? Non riesco a scriverlo qui,

su questa pagina. Perché mi sfugge. Ogni giorno ce l’ho sulla punta della lingua per un solo istante ed ecco

che è già sparito.

Brucio per te.

C’è un alone di condensa su questa finestra che guarda su un campus che cerca ancora di aggrapparsi

all’estate. L’autunno arriverà presto. Ieri ti ho sognata di nuovo. I tuoi capelli erano legati sopra le orecchie e

indossavi un abito da sera lungo e rosso. Uno splendido abito medievale impossibile da trovare oggigiorno.

Fasciava il tuo corpo mentre tu ti stagliavi su una grossa collina distesa lontana nella…

Due colpi alla finestra mi strapparono via dalle meravigliose parole di Rhode.

«Cazzo!» urlai, e spinsi via il diario che scivolò lungo la scrivania e si fermò in bilico

dall’altra parte.

Cassius era appoggiato al vetro. Passai una mano tra i capelli ed espirai. Finsi di

essere calma e controllata quando sollevò la finestra ed entrò con dei rotoli di carta

sotto il braccio.

«Non c’è segno di Rhode, ma c’è stato parecchio movimento nella casa.»

«Ma credi che sia lì?»

«Non sono riuscito ad avvertire la sua energia, cosa che mi porta a credere che sia

nel seminterrato. C’è una specie di suite lì sotto.»

«Come fai a saperlo?»

«Sono stato nella casa un paio di volte quando Justin ha perso la fiducia degli

Svuotati. Non sono riuscito ad avvertire Rhode direttamente, ma potevo sentire gelosia

e rimorso da parte di Justin. Vive queste due emozioni nei confronti di Rhode, quindi

la cosa promette bene.»

Mi ritrovai ad annuire. «Va bene. E sei ancora sicuro che l’unico modo per salvare

Rhode sia durante l’eclissi?»

«L’eclissi totale dovrebbe durare sette minuti» disse Cassius, «il nostro attacco lo

sorprenderà, te lo assicuro. Si nasconderà e si preparerà per l’eclissi solare. Come sai,

non è una cosa che i vampiri prendono alla leggera.»

«Sette minuti per entrare e portare fuori Rhode? È impossibile.»

«Dobbiamo essere fuori almeno qualche minuto prima. Dobbiamo raggiungere un

edificio, o comunque un posto con un tetto, dove possiamo evitare il sole post eclissi.

La copertura degli alberi non basterà.»

Aprì il progetto di una casa sulla scrivania. Era disegnato a mano, probabilmente da

uno dei Dem.

Posai la mano sul diario e afferrai la pelle come se stessi stringendo Rhode.

Chiediti, amore mio, se non sei troppo crudele ad avermi irretito così, ad aver

distrutto così la mia libertà. Amavo il suono di quelle parole.

Brucio per te.

Cassius si schiarì la gola.

«Come puoi vedere, la casa è vicina.» La sua voce mi riportò alla realtà e mi

concentrai sulla strada.

Giusto. Dovevo dimenticare i miei pensieri.

Warwick Avenue. Controllai due volte il nome della strada.

«Vicina? Cassius, quella è Warwick Avenue. È la strada parallela al cimitero di

Lovers Bay. Cioè a meno di un chilometro e mezzo da qui!»

Volevo che fosse sconvolto, che fosse preoccupato quanto me dal fatto che Justin

fosse così vicino al collegio Wickham. Justin non aveva scelto sicuramente a caso la

sua postazione. Per osservarmi, per osservare Rhode, e per pianificare i suoi attacchi il

più precisamente possibile.

Cassius indicò di nuovo il disegno della casa.

«Ci sono due ingressi.» Mostrò l’ingresso e il retro della casa. «Questa finestra porta

alle scale del seminterrato. Henri ed io lo abbiamo visto dalla spiaggia. Justin e la sua

congrega continuavano a salire e scendere per le scale.»

«Va bene, quindi dobbiamo entrare nel seminterrato» dissi, facendo dei respiri

profondi.

«Quando si è trasferito all’inizio, qui è dove…» Cassius esitò, «dove si trova

l’attrezzatura per la tortura.» Sussultai e mi schiarì la gola. Alzai le spalle, cercando di

far finta che la cosa non mi preoccupasse.

Cassius si allontanò dalla scrivania. «Renoiera» disse gentilmente, «so che Rhode è

vivo.» La sua voce era così dolce e profonda che credetti quasi che fosse vero.

«Stai tremando di nuovo» continuò, e posò una mano sulla mia. Al suo tocco, provai

di nuovo quella sensazione, la stessa che avevo avvertito nella cappella. Devozione

cieca e totale.

«Justin…» iniziai, ma esitai per scegliere con cura le parole. «Justin è una mia

responsabilità. Se state combattendo e dovete ucciderlo fatelo, ma… voglio provare a

salvarlo e a farlo tornare come prima.»

«Ne sei sicura?» chiese Cassius.

«Sicura di cosa?»

«Che valga la pena salvarlo?»

«Certo che ne vale la pena.»

Dovevo essere stata più brusca di quanto volessi, perché Cassius chinò la testa.

«Certo» rispose. Mi si scaldarono le guance. Sapeva quello che desideravo senza che

lo dicessi.

«Scusami» dissi sospirando, «la nostra priorità principale è liberare Rhode.»

«Ci riusciremo» rispose dolcemente.

Un altro colpo al vetro mi fece strillare per la seconda volta di fila quella notte.

Cassius sbloccò la finestra.

«Henri» disse.

Henri si inchinò davanti a me e io scossi la testa, odiavo tutte queste formalità. Tirò

fuori un’altra mappa della casa da una borsa. «Questo è il disegno migliore che siamo

riusciti ad ottenere del piano terra. Parecchi di noi non sono stati lì per un anno o più.

La cattiveria di Justin è aumentata sensibilmente mentre si preparava per il tuo arrivo,

quindi immagino che abbia fatto dei cambiamenti.»

«Perché gli Svuotati non hanno fermato Justin?» chiesi.

«Collaborava con gli Svuotati, ma quando si è convinto che saresti tornata, o che

saresti potuta tornare, hanno interrotto la loro alleanza. La sua ossessione nei tuoi

confronti gli ha riempito la testa. A che gli sarebbe servito se riusciva a pensare solo a

te?»

«Allora perché gli Svuotati non lo hanno ucciso quando ne avevano la possibilità?»

Henri posò la mano aperta sulla scrivania. «Perché… Renoiera» disse

semplicemente, «sono morti.»

«Morti?» risi, «certo. Gli Svuotati sono morti.»

«Sì» rispose Henri senza alcuna emozione nella voce. Guardò Cassius, che alzò solo

le spalle, non capendo per quale motivo ridevo.

«Gli Svuotati» dissi, continuando a ridere, «sono stati uccisi da Justin. Ti rendi conto

che è impossibile?»

Henri esitò prima di rispondere.

«Ma è vero, Renoiera» fu così gentile nel rispondere.

La mia risata iniziò ad affievolirsi.

«Justin ha ucciso gli onnipotenti Svuotati. Quelli che sono stati vampiri per millenni?

Ha ucciso Suleen e gli Svuotati?»

«Sì» rispose Cassius.

«Ok, quindi tutto quello che ho sempre pensato è una stronzata totale.»

La rabbia crebbe in me e poggiai le mani sulla scrivania. Justin non conosceva le

leggi basilari dei vampiri. Non si era reso conto che se mi amava quando era stato

trasformato in vampiro, mi avrebbe amata per sempre. Come aveva fatto ad uccidere

quelli che avevano migliaia di anni più di lui? E all’improvviso capii, perché era quello

che avrei fatto anche io. Stava usando qualcuno di ancora più potente per ottenere

informazioni.

«Gli Svuotati non sono morti» dissi, «lo so per certo.»

«Ho visto io stesso il cadavere di Levi e quello di Rayken pochi giorni dopo. Erano

legati ad un palo al centro di una serra. Sono morti di una morte lenta» rispose Cassius.

«Devono esserci volute settimane per ridurli in cenere.»

«Che mi dici di Laertes?» domandai.

L’espressione di Cassius si fece guardinga; continuò a osservare il progetto della

casa. «Si dice che sia morto anche lui.»

«Si dice! Quindi potrebbe essere vivo.»

«Potrebbe essere vivo, sì; nessuno ha visto il suo cadavere per poter affermare il

contrario» replicò Cassius, puntando i suoi occhi nei miei. «Ma è altamente

improbabile. Justin dichiara di aver ucciso anche Laertes.»

«Deve essere vivo. Ecco come Justin ottiene il potere. È perché sa cosa fare!

Controllare gli elementi? Creare ibridi dal mio sangue e qualsiasi altra cosa voglia fare

quel pazzo?» Nella mia testa Justin mi fissava negli occhi e il terrore soverchiante del

suo controllo mentale mi fece sussultare. Cassius ed Henri si scambiarono degli

sguardi, ricordandomi che potevano avvertire i miei pensieri e le mie emozioni.

«Che altro sta facendo?» chiese Cassius. «A te, alla tua mente.»

«Niente che mi vada di condividere in questo momento. Concentriamoci solo su

come prepararci per il nostro attacco.»

Presi il diario di Rhode dalla scrivania e lo ficcai nella borsa.

Cassius, senza cercare di convincermi a parlare, indicò una piccola finestra sul

progetto della casa.

«Quella finestra…» Cassius spiegò il modo migliore per entrare in casa, ma non

riuscivo a concentrarmi. Portai le dita in un punto della gola dove avvertivo un bruciore

intenso.

«Che elementi sa controllare al momento?» domandai, toccando con le dita la

planimetria.

«Sembra che riesca a manipolare solo acqua e aria stavolta» rispose Henri.

«Crediamo che riesca a gestire anche la magia. Ma non ne siamo sicuri. La casa degli

Svuotati è controllata dalla manipolazione magica. Possono cambiare le entrate e le

porte. Puoi aprirne una e ritrovarti a Mosca, aprirne un’altra e ritrovarti nel

seminterrato. La tua mente e le tue intenzioni alimentano l’incantesimo» spiegò

Cassius.

«La paura gli fornisce potere» aggiunse Henri, «più si è spaventati, più la casa

diventa difficile da gestire.»

Manipolazione magica? Non ero brava con queste cose, anche se avevo già sentito

questo termine prima d’ora.

«Non sappiamo se Justin ha attuato questa cosa nella nuova casa. Non siamo sicuri

di quanto capisca davvero di questa magia e di quanto gli sia stato insegnato e fatto

mettere in pratica prima di uccidere gli Svuotati. Dobbiamo fare molta attenzione.»

Cassius intervenne di nuovo, descrivendo nei dettagli la struttura della casa. Volevo

davvero prestare attenzione, ma non riuscivo a rimanere concentrata. In me

serpeggiava l’ansia. Non per Justin. Ma per la lealtà che i Dem chiaramente provavano

per me.

Henri si perse con le parole, probabilmente distratto dai miei pensieri.

Sapevo che sarebbero riusciti a sentirmi, ma non riuscivo a smetterla di pensare.

Come posso fare? Chiesi a me stessa. Capisco a malapena la magia elementare,

figuriamoci la magia manipolativa. Come posso essere la leader che vogliono che sia?

La devozione dei Demelucrea arrivava a ondate; in un’aura soverchiante. Ogni volta

che mi trovavo con uno di loro, era l’emozione fondante. Potevo avvertirla ora, mentre

organizzavamo il nostro attacco.

Come posso sopravvivere a tutto questo?

Mi aggrappai alla scrivania.

Come?

Me lo chiesi, ancora e ancora.

CAPITOLO 14 Traduzione: Medea Knight

Il mattino successivo, lo studentato riecheggiava di espressioni quali “eclissi totale”,

“ombra”, “anello di diamante” e molte altre ancora che prima di allora non avevo mai

associato alla luna. A quanto pareva, l’eclissi per tutti gli altri era una cosa eccitante. Il

loro entusiasmo mi faceva venir voglia di dare un pugno a qualcosa… forte.

Per tutta la lezione di inglese, mentre il nostro professore si dilungava a parlare di

Gatsby, tentavo di memorizzare la planimetria della casa di Justin. Aveva una sua

schiera di vampiri, anche se, a differenza dei Demelucrea, si trattava di vampiri comuni

che non potevano uscire alla luce del sole. Non sapevo quanti ce ne fossero nella sua

congrega; di norma, il numero si aggirava intorno a cinque.

Speravo che Cassius avesse ragione e che Justin non rischiasse di uscire durante

l’eclissi. A quanto ne sapevamo, per Justin la luce dell’eclissi era pericolosa quanto lo

era per i vampiri normali, ma io avevo qualche dubbio, dati i suoi grandi poteri. Tutto

era possibile.

Tony ed io ci sedemmo ad un banco in fondo all’aula. Scarabocchiò qualcosa sul

mio quaderno:

Sette minuti all’eclissi. Ventuno minuti per l’intero attacco? Il piano di Cassius è

una follia.

Gli risposti sotto. È quello che continuo a ripetergli anch’io.

Con la forza che avrà il sole dopo l’eclissi, persino C diventerà polvere, scrisse Tony.

La luce del sole eclissato è troppo persino per loro!

Ma non vogliono ascoltarmi, gli scrissi.

Mentre uscivamo dall’aula senza aver imparato nulla su Gatsby, Tony disse «Non

potevi trovarti dei discepoli più assennati?» Gli squillò il telefono prima ancora che

potessi alzare gli occhi al cielo.

«È un messaggio di Cassius».

«Gli hai dato il tuo numero?»

«Mi sembrava una buona idea».

«Vorrei averci pensato anch’io» dissi.

Il messaggio diceva:

ARRIVATE AL 1142 DI TIPTOE ROAD, TRURO, ALLE 21.00.

«Carino e vago» disse Tony, «i vampiri dicono mai direttamente ciò che vogliono?»

Il numero 1142 di Titptoe Road era una casa moderna a due piani situata nel cuore

della foresta di Cape Cod, un posto tranquillo. L’oceano sembrava essere l’unico vicino

di casa di Cassius.

«Non è esattamente quel che mi aspettavo,» disse Tracy, mentre uscivamo dalla

macchina e ci dirigevamo verso la porta. La casa aveva delle enormi finestre alte dal

pavimento al soffitto, che si andavano a unire al piano superiore. La porta era costituita

da un vetro fumé, per cui non potevamo vedere l’interno della casa.

«Non è esattamente ciò che ci si aspetterebbe dalla foresta di Cape,» disse Tony.

«Non è esattamente ciò che ci si aspetterebbe da un vampiro,» gli feci eco io.

Era ovvio vivessero in case con enormi vetrate. Cassius e i suoi vampiri potevano

godere dell’oceano e dliziarsi alla normale luce del sole. Le eclissi erano un evento

talmente raro, che avrebbero potuto mettere le finestre che volevano.

Possono vivere alla luce del sole per merito mio. Per uno strano momento mi sentii

fiera di me stessa.

Tony stava per sfiorare il vetro della porta con le nocche per bussare quando Cassius

aprì. Liliana ed Henri erano con lui. Wow, avevo quasi dimenticato quanto fossero belli

i vampiri. Liliana indossava dei pantaloni neri eleganti e un maglione di cashmere. I

lunghi capelli biondi ricadevano in boccoli sulle spalle. Cassius indossava un abito

moderno e non potei fare a meno di notare che portava degli stivali logori anziché

scarpe eleganti.

«Stasera eseguiremo insieme un rituale denominato Luntair» spiegò.

Non conoscevo quel rituale.

Aprì un po’ di più la porta ed entrammo tutti. Cassius ci guidò verso una rampa di

scale e poi nell’atrio principale del primo piano. Era una specie di soggiorno con un

tavolo di vetro sul quale erano stati adagiati dei candelabri d’argento con delle piccole

candele bianche. Le finestre creavano un panorama tutt’intorno alla stanza e

riflettevano la luce delle candele. Alla stessa altezza dei mobili c’erano anche dei divani

di pelle bianchi.

«Tutto è molto… pulito…» sussurrò Tony.

«E simmetrico» aggiunse Tracy.

«Grazie» disse Cassius con una piccolo sorriso. Ci condusse in un corridoio laterale.

Ci ritrovammo a camminare su un lussuoso tappeto orientale. Persino nel corridoio

le pareti erano bianchissime e moderne.

«Dove stiamo andando?» chiese Tracy.

Henri, Micah e Liliana camminavano in gruppo davanti a noi.

«Cassius deve mostrarvi una cosa prima» annunciò Liliana con un sorrisetto. I

vampiri raggiunsero una porta alla fine del corridoio.

«Aspettate qui,» disse Cassius con tono gentile, riavvicinandosi a loro. «Torniamo

subito». Ci lasciò fuori la porta di una stanza chiusa.

Un altro gruppo di Demelucrea, compreso Esteban, uno di quelli che si trovavano

nella cappella, si era già radunato davanti la porta in fondo al corridoio. Esteban era

alto e scuro di pelle.

«Cosa pensate ci sia in quella stanza?» sussurrai a Tracy e Tony.

«Armi. Ci ammazzeranno tutti,» disse Tracy con una risata isterica.

«Penso che se ci avessero voluto morti, ci avrebbero già uccisi. Sapete com’è,» Tony

fece una smorfia, esponendo i denti e indicando dove sarebbero state le zanne, se ne

avesse avute.

«A proposito di armi, fate tutto il possibile per non pensare a quelle che state

indossando. I Demelucrea possono connettersi ad immagini specifiche. Più nella mia

mente che nella vostra, ma meglio non rischiare». Non ero certa che fosse del tutto

cosciente del suo gesto, ma Tracy stava toccando il suo braccialetto.

«Aspetta,» sussurrai. Mi sorpresi a chiedermi perché non ci avessi pensato prima.

«Il tuo braccialetto è caldo? Percepisce i Demelucrea?»

«No,» disse Tracy, «è freddo.» Anche Tony disse che il suo anello era freddo. Questo

non fece che darmi un altro motivo per non rivelare assolutamente ai Demelucrea le

armi di Fuoco. Non potevano percepirle, o per lo meno non credevo potessero, visto

che nessuno mi aveva chiesto del braccialetto o dell’anello. Avevo bisogno di più

tempo per capire cosa volessero da me questi vampiri. Inoltre, i doni di Fuoco non

erano influenzati dalla loro presenza. Avevo bisogno di più informazioni prima di poter

coinvolgere i Demelucrea nei miei problemi con le Eridi.

Cassius tornò da noi nel corridoio.

«Eccoci qui,» disse sollevando un portachiavi. Con un clic, aprì la porta che dava in

una stanza dal pavimento in legno massello e le pareti bianche.

Schiacciò un interruttore e delle lampade dorate illuminarono quelli che sembravano

una dozzina o più di dipinti. Tony si diresse immediatamente verso quello più grande.

«Hai una galleria d’arte a casa tua?» chiesi a Cassius, avvicinandomi al dipinto che

avevo più vicino. «L’artista chi è?» Cassius non rispose.

Si intitolava Nuit Rouge. Rappresentava una donna con indosso un abito nero, che

danzava in una sala da ballo antica. Si intravedevano delle piccole zanne nella sua

bocca e anche in quelle degli altri soggetti raffigurati. Feci un passo indietro; quelli

erano dipinti di vampiri?

Da vampira, avevo istituito la festività, piuttosto violenta, della Nuit Rouge.

«La Nuit Rouge esiste ancora?» chiesi.

«No, Renoiera».

La donna del quadro aveva dei capelli lunghi e scuri, che le ricadevano in boccoli

sulle spalle. Dietro di lei c’erano quattro uomini allineati, con le braccia conserte. Il

resto delle persone teneva alto un bicchiere pieno di una sostanza rossa, probabilmente

sangue.

Andai al dipinto successivo.

Si chiamava Viaggio a nuoto.

Uno schiff, ovvero una vecchia barca di legno, galleggiava in acque poco profonde.

Un unico fascio di sole illuminava una ragazza, sempre bruna e con i capelli lunghi,

che sedeva sul bordo della barca. Altre persone nuotavano in acqua e si schizzavano a

vicenda. Quella scena… era molto familiare.

Mi spostai velocemente al dipinto successivo, mentre sentivo accelerare i battiti del

mio cuore.

Il rituale.

Una ragazza al centro di un campo di lavanda, con le braccia lungo i fianchi. Un

raggio di sole la illuminava e il suo corpo emanava scintille. Mi portai una mano alla

bocca.

«No…» sussurrai con un lieve sospiro. Non mi ero accorta di stare trattenendo il

respiro. «Chi li ha dipinti?»

«Io».

«Come?» sussurrai. «Come?»

«Come dicevo, all’inizio erano solo storielle… favole. Ho creato il dipinto del

viaggio a nuoto nel 1850,» spiegò Cassius.

Crollai a sedere su una panca. Tracy e Tony erano in fondo alla stanza a guardare un

dipinto. Tracy stava indicando qualcosa sulla tela.

«Justin non ridiventò umano quando tu ritornasti nel 1417. Lui si trova qui, in un

tempo che avrebbe dovuto essere cancellato. È un nuovo mondo. Ma gli eventi di

quello vecchio, quello originale, in qualche modo sono andati a intrecciarsi ad esso».

Riguardai tutti i dipinti davanti a me.

La risposta era così chiara. Perché non l’avevo capito subito?

«La mia anima gemella,» dissi, «i nostri due mondi non potranno mai essere

veramente separati se io e Rhode siamo divisi. Il collegamento tra i due mondi non si

è mai del tutto chiuso».

Cassius annuì. «Penso sia proprio così».

Le creature sovrannaturali come i vampiri erano in grado di percepire il mio passato

per via della connessione tra me e Rhode. Il collegamento tra le nostre anime aveva

creato una specie di canale. La risposta ad una delle domande l’avevo trovata, ma

restava ancora quella più importante:

«Ma questo non spiega perché Justin sia rimasto un vampiro,» dissi.

«Lenah…» la voce di Tony era stranamente calma.

«Dannazione,» disse Cassius, «mi ero ripromesso di spiegarlo prima a lui». Si

affrettò verso dov’era Tony e io lo seguii a ruota. Il dipinto davanti a Tony mostrava

un giovane uomo disteso a terra, morto. La stanza raffigurata conteneva una carta da

parati ricercata e vi erano delle grandi sedie ben ordinate. Doveva trattarsi di una scena

dell’epoca vittoriana. Il soggetto era chiaramente di nazionalità giapponese e sopra di

lui era appeso un ritratto. Il mio ritratto, quello che Tony mi aveva fatto quando avevo

iniziato ad andare a Wickham. Il giovane del ritratto era Tony.

La ragazza era sempre la stessa, capelli scuri e occhi blu, raffigurata in tutti gli altri

quadri della stanza.

Quei dipinti risalivano tutti al mio primo anno a Wickham.

«Cos’è successo?» chiese Tony, fissando il dipinto. «Vi ho sentiti. È questo che mi

è successo allora?» si voltò verso di me.

Gli occhi gli si erano riempiti di lacrime e anche Tracy si stava sforzando di non

piangere. Ero stravolta. Non volevo vederlo piangere, ma dovevo farlo: dovevo

dirglielo.

«Sei stato ucciso. E vorrei poterti dire che non è stata colpa mia. Ma sono arrivata

troppo tardi».

«I vampiri l’hanno ucciso?» chiese sommessamente Tracy. Aspettò che Cassius

rispondesse, ma rimase zitto a fissare me.

«Sì. L’ha ucciso la mia congrega» dissi, «non ho fatto in tempo a impedirlo».

Non le dissi che Tony si era messo alla ricerca dei vampiri. Che, ostinato come al

solito, si era imposto di scoprire la mia identità.

«Avrei dovuto dirti la verità, Tony. Mi dispiace davvero.» Mi si incrinò la voce e

sentii quasi le lacrime salire.

Tony si voltò nuovamente a guardare il dipinto della sua morte.

«Quindi tu…» cominciò a dire.

Tentò di trovare le parole giuste e pregai di non aver perso per sempre Tony. Me lo

meritavo, perché non gli avevo detto sin da subito della sua morte. Avrei dovuto

rivelargli che era morto giovanissimo e che vederlo vivo e vegeto mi aveva quasi fatto

svenire. Avevo seriamente pensato che Tony fosse morto per sempre. Il suo volto e la

sua risata mi avevano perseguitata nel frutteto di mio padre. Avevo insegnato persino

a Genevieve a scrivere il suo nome.

Tony scosse la testa.

«Quindi sei tornata indietro nel tempo… hai cambiato la storia… per riportarmi in

vita?» chiese alzando un po’ la voce.

«Sì,» dissi, chiudendo di nuovo gli occhi mentre confessavo la verità.

Mi sentii avvolgere da braccia calde e forti; Tony mi stava abbracciando! Tracy era

più dietro, vicino Cassius.

Aveva una mano sulla bocca e il volto rigato dalle lacrime.

Lo abbracciai forte anch’io.

«Grazie,» sussurrò. «Grazie per avermi riportato in vita».

Sospirai profondamente, sollevata del fatto che fosse vivo, che mi stesse

abbracciando e non se ne fosse andato via, perché lo avevo deluso in un’altra vita. Lo

strinsi di nuovo a me.

«Ahi! Basta così,» disse, allontanandosi. «Hai una stretta troppo forte, regina dei

vampiri».

«Ti prego, non chiamarmi così».

«Perché no?» disse Tony a gran voce. «Regina dei vampiri… ha un suono così

regale».

«Ho avuto già abbastanza regalità per una vita intera,» risposi.

«Penso possiamo proseguire adesso,» disse Cassius e il sorriso d’intesa sulle sue

labbra era segno del fatto che fosse contento della mia riappacificazione con Tony. Ci

condusse fuori dalla galleria.

«Prima di entrare in una nuova fase della nostra vita, abbiamo una tradizione da

rispettare,» spiegò Cassius. «Vorremmo che stasera ne faceste parte anche voi.»

Uscimmo su un patio rialzato, che si apriva su un grande cortile. Era stato ricoperto da

centinaia di candele bianche. Apprezzai quella sensazione. Le candele bianche erano

purificanti. Purificavano le stanze; tenevano alla larga spiriti indesiderati.

Da un traliccio pendevano delle lanterne. Gli occhi di Tracy brillavano mentre

tentava di sfiorare le luci. Vicino un vialetto che conduceva a delle dune, c’era Liliana,

con arco e frecce. Sulla sabbia erano accumulate decine di frecce.

Dopo la battaglia della notte precedente, erano rimasti soltanto dieci Demelucrea ed

erano lì sul patio, ad aspettare pazientemente. Cassius avanzò con una penna ed un

cestino pieno di foglietti di carta.

«Prendete tutti i foglietti che volete. Scrivete su di essi le vostre più profonde paure.

Non le vedrà nessuno se non voi».

«Profonde?» chiese Tony.

«Ciò che temiamo a volte può essere una profezia, può avverarsi. Stasera noi

cercheremo di evitare che ciò si verifichi».

Non avevo capito bene, ma mi sedetti ad un tavolo sotto le luci, dopo aver preso

quattro pezzi di carta rettangolari dal cestino. Al tavolo direttamente opposto al mio

vidi Cassius, piegato a scribacchiare su un solo pezzo di carta. Volevo sapere quali

fossero le sue più grandi paure, ma dopo averlo visto trafiggere Justin con un pugnale

ed un machete contemporaneamente… pensai fosse impossibile ne avesse.

Tony teneva ferma la penna vicino la bocca, come se stesse pensando a cosa scrivere.

Tracy consegnò quasi subito i suoi. Ero invidiosa della sua sicurezza. Mentre fissavo i

miei foglietti, continuavo a soppesare le mie paure.

Temevo che Justin sarebbe rimasto per sempre un vampiro. E ancor peggio, che non

sarei riuscita a riportarlo tra i vivi. Temevo che sarebbero morti altri dei Demelucrea

creati dal mio sangue e che sarebbe stata colpa mia. Ma più di tutto, temevo che Rhode

ed io saremmo rimasti divisi per sempre. Non avevo dubbi: se lui fosse morto io sarei

esplosa e di me non sarebbero rimasti che frantumi.

Micah, il Demelucrea alto e smilzo, intinse la punta di una freccia di Liliana in ciò

che sembrava essere acqua in una ciotola dorata. L’acqua non avrebbe potuto appiccare

fuoco alla freccia… doveva essere cherosene. Tony si alzò e consegnò tre pezzi di

carta.

Allora, cosa temevo di più?

Foglietto 1: che con Rhode non ce l’avrei fatta. Che sarebbe morto.

Foglietto 2: che sarebbe morto Justin.

Foglietto 3: che avrei causato altre vittime al mio risveglio.

E, ultimo foglietto, il numero 4: che avrei dovuto svolgere il mio ruolo di regina.

Mi alzai per raggiungere il gruppo, davanti le frecce e il cestino.

«Vieni,» disse Liliana, mentre ci dirigevamo verso una radura in mezzo a una duna

di vegetazione.

Tutti i Demelucrea, eccetto Cassius, Micah e Liliana, si disposero a semicerchio

dietro di noi. Henri era quello più lontano e stava ammirando il cielo.

«Andate avanti,» disse Cassius a Tony, Tracy e me. «Noi vi seguiamo. Disponetevi

al centro.» Una ciocca dei suoi capelli castani si attorcigliò davanti i suoi occhi

argentei. Alla luce della luna, sembravano di acciaio.

«Tracy, va’ prima tu,» disse Liliana, mentre afferrava il foglietto di Tracy, lo

accartocciava e lo passava a Micah, che, con una fionda, lo lanciò e lo fece volare fin

su nel cielo. Liliana accese la punta di una freccia e colpì il pezzo di carta. La freccia

andò a segno e sfrigolò in cielo. Cadde nell’oceano, spegnendosi tra le onde.

«Semplicemente fantastico» disse Tony.

«Cos’hai scritto?» chiesi a Tracy. «Ovviamente non sei costretta a dirmelo,»

aggiunsi rapidamente. Mi accorsi di quanto quella domanda fosse personale solo dopo

averla posta.

Tracy continuava a guardare le onde. «Che temo che i miei amici soffrano o vengano

uccisi. Claudia e Kate…» esitò. «E Justin». Mi guardò negli occhi. «E anche tu. Che

temo non ce la faremo.» Ero commossa dal suo altruismo.

Liliana prese i foglietti di Tony. Micah si preparò a lanciarli in cielo uno ad uno.

Liliana avrebbe dovuto lanciare tre frecce molto velocemente per colpirli tutti.

«Quando il fuoco brucia le nostre paure, esse vengono spazzate via, non possono più

controllarci,» disse Cassius.

«E quando raggiungono l’acqua, ne usciamo purificati,» conclusi io. Tutti i

Demelucrea, persino quelli più taciturni che aspettavano il proprio turno dietro di noi,

mi guardarono.

Il loro sguardo mi imbarazzava e desiderai non aver detto nulla. Ma ero stata una

vampira per ben 592 anni. La sapevo lunga sui rituali, anche se in quel momento ero

umana.

Dopo un rapido thwipp della fionda, le paure di Tony volarono in aria e Liliana

scoccò tre frecce. Tutte le paure sfrigolarono via e, cadendo nell’oceano, formarono un

grande arco. Sperai che il rituale tra noi fosse autentico, che ci legasse.

Tony circondò Tracy con un braccio.

«E tu?» disse Cassius mentre tendeva la mano in attesa delle mie paure. Gliele porsi

e raggiunsi Liliana e Micah.

«Pensi che questa cosa funzioni davvero?» chiese Tony.

«È l’intenzione che conta,» disse Liliana. Il mio cuore si gonfiò di orgoglio, perché

erano proprio le parole che avrebbe detto anche Rhode.

Le mie paure volarono in cielo per quattro volte e tre di esse vennero colpite subito

dalle frecce. Liliana scoccò l’ultima freccia, ma mancò di parecchio l’ultimo pezzo di

carta. Il foglietto bianco planò nel cielo scuro, trascinato via dal vento nell’oceano,

annegando nelle profondità delle onde.

«Sono un’ottima tiratrice. Non so cosa sia successo,» si scusò, ma riuscii a scorgere

un sorrisetto sul suo viso quando si chinò a intingere la punta di un’altra freccia.

Riusciva a percepire le mie paure nella sua mente; non aveva bisogno di leggere dei

pezzi di carta.

«Okay, Cassius,» disse Liliana. «Tocca a te».

«La mia paura è semplice,» rispose lui mentre porgeva il suo foglietto a Micah.

«Temo che deluderò la Renoiera». I suoi occhi d’acciaio si incatenarono ai miei. «Che

non riuscirò a portare a termine il mio compito».

Il suo pezzo di carta volò in aria e in pochi secondi la freccia di Liliana lo trapassò.

«Che morirò senza alcun onore,» disse, mentre finalmente distoglieva lo sguardo dal

mio.

CAPITOLO 15 Traduzione: redtulip87

Il mattino seguente, dopo l’assemblea, io, Tony e Tracy eravamo nella cappella con i

Demelucrea, esaminando i progetti. Dal rituale Luntair, capii meglio i Demelucrea, in

particolare Cassius. Erano esattamente ciò che sarei stata io se non avessi partecipato

al rituale dei Vicken molto tempo fa.

Non erano esattamente vampiri tradizionali, ma comunque non avevano scampo,

come chiunque, dalla maledizione dell’immortalità. Non erano demoni predatori, ma

erano comunque dei morti viventi.

Cassius voleva sistemare ciò che era stato fatto ai Demelucrea, e lo apprezzavo.

Fuori dalla cappella, la gente rideva e chiacchierava eccitata per l'eclisse. Il

fenomeno aveva catturato l’attenzione di tutta la scuola. Anche Lovers Bay Main Street

stava prendendo parte, con caffè macchiato all’eclissi di luna alla caffetteria Main

Street e torte di luna speciali alla tavola calda di Lovers Bay. Se solo avessero saputo

cosa significava per noi l’eclisse.

Cassius controllò il suo orologio e puntualizzò «Abbiamo due ore di tempo fino

all’eclisse.» Riprese una conversazione che aveva avuto con Micah, «Lenah andrà per

ultima. Assicuriamoci che Liliana le sia dietro, abbiamo bisogno che Lenah sia protetta.

Circondata.»

«Voglio entrare per prima.» Dissi.

«La finestra in basso è l’accesso migliore» Cassius concordò, «Ma sei troppo

importante per andare prima di noi.»

«No» dissi, «devo farlo io.» Incrociai le braccia per enfatizzare il mio punto di vista.

Scoppiò un frastuono. Alcuni di loro parlavano nel linguaggio dei vampiri, il

Linderatu, alcuni invece parlavano in inglese, Cassius imprecava in italiano. Una delle

parole che sentivo ripetere continuamente era no.

Tony si trovava al mio fianco. Mi guardò e si mise nella stessa posizione in cui ero,

braccia incrociate al petto. Tracy, come al suo solito, si sedette silenziosamente vicino

a noi. Potevo scommettere che stesse valutando. Avevo imparato a non sottovalutarla.

«Sarebbe un suicidio» obiettò Liliana, «non possiamo rischiare che tu vada per

prima.»

«Devo farlo» dissi, «se sono la vostra...» non riuscivo a dirlo. «Se sono chi voi dite

che io sia, dovrei andare per prima. Justin vuole me.»

«Ed è esattamente per questo che non dovresti andarci» aggiunse Esteban,

dall’angolo più buio della stanza.

La luce del primo mattino fece capolino dalle vetrate colorate della cappella,

direttamente sul tavolo dove avevamo appoggiato le piantine della casa di Justin.

«Non voglio che qualcuno mi tenga la manina per tutto il processo» dissi. Cassius

indicò il disegno della finestra.

«Renoiera, non ti stiamo sottovalutando. La finestra del sotterraneo è alta un metro

e mezzo ed è larga due metri. Per favore, lascia entrare prima Micah. È il nostro lavoro

proteggerti. Così facendo possiamo mostrarti il modo migliore per entrare dalla finestra

e possiamo intervenire se qualcuno è dentro ad aspettarci.»

«Va bene» acconsentii. «Ma entrerò subito dopo di voi.»

«Ci sono almeno tre vampiri a difendere Justin. Ne ha portati cinque per combattere

fuori dalla cappella ma ne abbiamo uccisi due. Non so con quale velocità riesca a

rimpiazzare i suoi uomini. Tony e Tracy, voi sarete al sicuro in un piano più tranquillo,

con un maggior numero di noi a proteggervi.»

«Non esiste, ragazzo zannuto» disse Tracy. Si alzò e continuò. «Non sono quasi

morta in un’altra vita per finire sul piano più tranquillo. Ci muoviamo come un

branco.»

Brava ragazza.

«Voglio che mi assicuriate che uscirete» ripetei ai Demelucrea che mi stavano di

fronte. «Se vi ordino di andare, voi smettete di combattere e scappate dalla casa. Non

potete chiamarmi Renoiera e poi non lasciarmi prendere alcuna decisione.» Mi

assicurai di guardare intensamente negli occhi Cassius e Liliana quando lo dissi.

«Inoltre, prendiamo Rhode e chiunque altro riusciamo a trovare, umano o vampiro che

sia.»

Feci del mio meglio per non pensare a Laertes, l’ultimo rimasto degli Hollow One,

ma la sua immagine si fece vividamente strada nella mia mente, con il suo sorriso senza

zanne, che non riuscii a farla sparire.

«Renoiera...» cominciò a parlare Micah.

«Ascolta, lo so che tu pensi che sia morto, ma voglio che tu sia pronto a portarlo con

noi se lo troviamo. Chiaro?»

«Non riusciamo a percepirlo» Micah concluse. Intendeva tramite la percezione

extrasensoriale dei vampiri.

«Certo che lo salveremo» replicò Cassius. Ripiegò le piantine sul tavolo e disse «Ci

incontriamo ai cancelli di Wickham sulla Main Street tra un’ora. Come pianificato.»

Liliana si infilò la giacca di pelle, poi si legò alla schiena la faretra, «Metterò fuori

gioco le guardie al piano terra non appena saremo là» disse con un gesto plateale.

«Tenete gli occhi coperti alla luce del sole» disse Cassius ai Demelucrea, «Fanno

sentire gli umani... a disagio.»

Lasciammo la cappella a gruppi di due e di tre per non attirare l’attenzione su di noi.

Sussurrai a Tony e Tracy mentre attraversavamo il cortile interno: «avete le vostre

armi? Ricordatevi, funzionano solo una volta.»

Annuirono impercettibilmente.

E siccome era una lezione che avevo imparato a mie spese, aggiunsi «Usatele solo

quando ne avrete più bisogno.»

Era l’una di pomeriggio, ero fuori dai cancelli di Wickham con Tony e Tracy. Tony

continuava a battere nervosamente il piede.

«La finisci?» Chiesi.

«Oh, per favore. Ti stai mordendo il labbro come una bambina piagnucolosa da

cinque minuti. E tu non sei una bambina piagnucolosa. E tu...» si girò verso Tracy,

«smettila di guardare il cellulare.»

«Non ho notizie di Kate da un paio di giorni. Pensa che io sia dalla parte di Claudia

per la questione Alex. Quindi immagino significhi che non parli neanche con me.

Abbiamo solo Calcolo insieme ma oggi non l’ho vista. È il giorno della nostra rottura.»

Qualsiasi cosa “è il giorno della nostra rottura” significasse. Non potevo permettermi

di essere distratta da una lite fra Claudia e Kate. Dovevamo salvare Rhode. L’avremmo

salvato, come le centinaia di volte che lui aveva salvato me. E Justin? Avrei provato a

salvare anche lui, se solo ci fossi riuscita.

Cassius, Henri e Liliana stavano camminando sulla Lovers Bay Main Street.

«Stanno arrivando» dissi, e li indicai sulla strada.

Quando ci raggiunsero, Cassius disse «Comportatevi in maniera naturale.»

Indossava un cappellino da baseball per coprire i suoi occhi.

A Liliana sembrava non interessare, e l’argento dei suoi occhi luccicava alla luce del

sole.

La mia mascella era così serrata che sollevai le dita per toccarmi la guancia: pulsava

mentre marciavamo verso il lato opposto di Main Street. Cassius aveva un borsone e

Liliana uno zaino per coprire la faretra; le nostre armi erano nascoste. Cassius le passò

un paio di occhiali da sole che lei prese alzando gli occhi al cielo. Ora, con i loro

occhiali da sole e le borse, potevano tranquillamente sembrare turisti.

Io ed Henri li seguivamo. Era inconsueto andare in battaglia durante il giorno, avevo

attaccato per così tanto tempo di notte.

Warwick Avenue era l’ultima strada prima della spiaggia, e avevamo concordato

che avremmo camminato dal cortile sul retro fino al bagnasciuga e al terreno di Justin.

Le mie mani tremavano quindi le strinsi a pugno.

Odiavo ammetterlo, ma ero spaventata. I grandi leader e le grandi regine non

dovrebbero provare una paura così umiliante.

Il pugnale con l’elsa di rubino di Fuoco era saldamente fissato tramite una cinghia

al mio polso, nascosto dalle maniche lunghe. Avrei semplicemente dovuto muovere il

braccio in avanti in uno specifico movimento e il pugnale si sarebbe sfilato dalla

custodia e sarebbe finito direttamente nella mia mano. Micah fu molto bravo a

spiegarmi come usarlo. Il pugnale era un talismano ora, un amico in questa guerra. La

spada che Fuoco mi aveva dato era nascosta nel borsone di Cassius. L’aveva recuperata

da me dopo aver lasciato la cappella quella mattina.

Cassius e Liliana si fermarono quando arrivammo all’angolo con Warwick Avenue.

Quattro proprietà sulla destra, quattro sulla sinistra, e in fondo, illuminata da un raggio

di sole, c’era la casa di Justin.

Possedimento. Covo. Qualunque cosa fosse, era di due piani e imponente.

Come concordato, Liliana ci seguì dalla strada parallela alla spiaggia. Avrebbe avuto

tempo in abbondanza per identificare e, con le sue frecce, neutralizzare qualsiasi

nemico in arrivo dalla spiaggia. Gli altri Demelucrea sarebbero arrivati dalla via del

cimitero e sarebbero entrati nella casa di Justin dal lato opposto.

“Saranno la seconda linea di difesa” aveva spiegato Cassius, riferendosi a Esteban e

gli altri Demelucrea. “Meno persone entreranno nella casa inizialmente, meglio sarà.

Ci aspetteranno fuori nel momento in cui avremo bisogno di supporto.”

Come se potessero leggere nel pensiero, il resto dei Dems sarebbe stato in grado di

entrare nel momento stesso in cui qualcuno avesse avuto bisogno di loro. Guardai

dietro di me, la lunga distesa della spiaggia. La gente stava iniziando a sistemare

coperte e sedie per l’eclisse. Indossavano felpe leggere e preparavano le loro

fotocamere. Mi vergognavo, ma non volevo niente di più che raggiungerli e

dimenticare tutto quello che stava accadendo.

Henri accelerò per raggiungermi. Strinsi ancora le mani per non fargli vedere che

stavano tremando. Sii coraggiosa, dissi a me stessa. Sii coraggiosa.

«Credo…» disse Henry a bassa voce, restando al mio fianco, «che tutti i veri leader

provino paura.»

Mi vedevo doppia, nel riflesso dei suoi occhiali da aviatore.

«Ah, quindi stai leggendo i miei pensieri. Speravo fossi distratto.»

«A volte, Renoiera, sono piuttosto rumorosi.»

«Vorrei essere la versione migliore di me stessa» dissi, «Ma non è sempre facile.»

«Non lo è mai» rispose Henri.

Cassius ci sorpassò e voltò impercettibilmente la testa mentre stavo parlando.

«Vampiri, umani, mutaforma, fenici, abitanti dell’oceano, sirene… Penso che

vogliamo tutti la stessa cosa, Renoiera» aggiunse Henri, «essere umani.»

«Vorrei potervi accontentare.»

Henri rispose soltanto con un piccolo sorriso riconoscente.

Cassius controllò la posizione del sole. Presto la luna l’avrebbe coperto, e una volta

che la luce dell’eclisse avesse raggiunto la terra, ogni vampiro nella sua direzione

sarebbe morto.

Girammo l’angolo, lontani dalla vista degli osservatori dell’eclisse sulla spiaggia, e

di chiunque altro.

Le mani mi tremavano, non mi opposi più. Continuando a muoverci parallelamente

allo specchio dell'acqua, la sagoma bionda di Liliana sbucava dalle recinzioni e dagli

alberi, mantenendo la nostra andatura. Espirai un paio di volte. Tony non stava facendo

scherzi o cercando di alleggerire il clima con le sue confortanti battute. Tracy controllò

nuovamente il suo cellulare.

Finalmente raggiungemmo la casa di Justin e Cassius fece segno di abbassarci dietro

la diga. Ci abbassammo insieme in un piccolo cerchio.

Sii coraggiosa… sii coraggiosa.

«OK. Davanti a noi ci sono centocinquanta metri di giardino che ci portano

direttamente alla casa. Il cortile è costeggiato da statue di marmo. Perfette per

nascondersi.» Disse Cassius, controllando nuovamente l’orario. «Manca poco.»

«È importante che Lenah sia l’ultima ad avvicinarsi alla struttura. È possibile che

Justin la percepisca.» Disse Henri.

«Non riesce a sentire voi?» Chiese Tracy.

«La vibrazione della nostra energia è molto diversa da quella di un normale vampiro.

È inconsistente.»

«Può darsi, Ma per quanto riguarda noi?» Chiese Tony. «Può percepirci?»

«Speriamo sia distratto» disse Cassius, mantenendoci concentrati, «Ok. Tracy, hai

parcheggiato il tuo SUV dove abbiamo concordato?»

Tracy annuì. Era proprio alla fine della strada.

«Bene. Ora ricordate, dobbiamo entrare nel SUV di Tracy esattamente quando

scoccano le 13:26. Questo ci concede due minuti prima che il sole ricominci a

splendere.»

«Hai coperto i vetri della macchina?» Chiesi.

«Tende nere. E abbiamo messo una tenda divisoria fra i sedili anteriori e quelli

posteriori.»

«Dobbiamo andare adesso.» Sussurrò Henri. Con quel comando, lui e Cassius

saltarono il muro di pietra e direttamente nel cortile. Posai gli occhi sul braccialetto di

Tracy e ci scambiammo uno sguardo d’intesa. Mi alzai e sbirciai da dietro il muro di

granito.

Anche gli altri si arrampicarono. In fila indiana, Tony, Tracy, Henri e Cassius si

avvicinarono alla casa.

Liliana si spostò in modo che la casa fosse alle sue spalle.

13:10

Avevamo sedici minuti. Cassius si abbassò di fronte la finestra, molto più piccola di

come me l’ero immaginata. Avrebbe dovuto essere completamente aperta per

permettere a chiunque di entrarci. Ora che eravamo lì realizzai che avrei avuto

necessariamente bisogno del loro aiuto per far passare Rhodes da quella finestra. Me

lo immaginai svenuto fra le mie braccia, incapace di muoversi. Henri, Cassius, Tony e

Tracy avevano ormai raggiunto la finestra.

Liliana mi fece cenno di raggiungerli nel cortile. Mi arrampicai sul muro di pietre e

saltai silenziosamente sull’erba. Velocemente corsi verso un albero e mi nascosi dietro

al tronco. Ti prego, fa’ che Cassius abbia ragione.

Pregai affinché Justin non si aspettasse un attacco in questo giorno pericoloso.

13:11

Rhode è vivo. Deve esserlo. Una volta raggiunta la finestra, Cassius mi passò la

spada dal borsone. Afferrai il metallo e spostai la mia lunga treccia oltre la spalla. Nel

tempo che impiegai ad arrivare dalla spiaggia alla casa, Cassius aveva rimosso il vetro

dalla finestra con un coltello speciale.

«L’eclissi totale durerà massimo sette minuti» ci ricordò. «Ricordate, la luna non

smette mai di muoversi.»

Cassius si intrufolò nella finestra infilandovi prima i piedi e scomparendo

nell’oscurità. Henri lo seguì. La loro agilità lo faceva sembrare facile. Mi fermai vicino

a Tony e Tracy e strinsi la spalla di Tony.

«Buona fortuna, Len» mi disse.

Sentire di nuovo il mio soprannome mi fece dolere il cuore.

Era il mio turno. Mi abbassai e usai come appiglio la cornice della finestra con la

mano libera. Con l’altra, premetti la lama vicino al corpo e mi infilai nell’apertura.

Qualcuno, Cassius o Henri, mi afferrò per le caviglie. Non appena i miei piedi

sfiorarono il pavimento della tromba delle scale lo tastai con il piede. Volevo avere la

percezione di quanto spazio avevo intorno a me.

Tony e Tracy strisciarono schiena contro schiena proprio come avevamo provato

nella cappella. Alla nostra sinistra, delle scale ricoperte da moquette portavano a una

porta. Si sentiva della musica rock estrema arrivare dal piano di sopra. Le chitarre erano

troppo rumorose, la voce del cantante principale era uno strillo che echeggiava dal

secondo piano. L’espressione di Liliana era tagliente come un rasoio. I suoi movimenti

robotici. Puntò la sua freccia direttamente verso la cima delle scale. Mi allontanai dalla

porta in punta di piedi, verso un corridoio alla base delle scale.

Cassius mi seguì e proseguimmo verso il salone. Speravo solo avesse ragione su

dove si trovasse Rhodes.

Mi ero mossa a malapena di tre metri prima che Liliana urlasse: «corri, Lenah!»

disse qualcos’altro in Linderatu che non riuscii a capire. Mi girai. Uno dei vampiri era

in piedi in cima alle scale. «Justin!» chiamò il vampiro. Liliana scoccò una freccia, ma

non mi trattenni per vedere se lo avesse colpito.

«Renoiera. Adesso!» Mi pregò Cassius.

Una porta alla mia sinistra si aprì prima che io la toccassi. Un vampiro entrò nel

corridoio, una ragazza che non riconobbi a prima vista.

«Jackie!» Urlò Tony. «Lenah, è Jackie Simms!»

Justin aveva trasformato Jackie Simms in un vampiro. Proprio come avevo

sospettato.

Si lanciò contro di me ma l’istinto prese il sopravvento e le tirai un calcio preciso in

mezzo al petto. Cadde all’indietro, cercando di usare le braccia per ritrovare

l'equilibrio. Corsi verso di lei. Sapendo che usare il pugnale sarebbe stato più semplice

rispetto alla spada, lasciai cadere la spada. Mossi il polso in avanti e l’elsa del pugnale

scivolò nella mia mano. Con un movimento fluido le conficcai il pugnale nel suo cuore

ormai morto. Collassò sul pavimento.

Mi alzai e rimisi al loro posto alcune ciocche ribelli. Gli occhi di Cassius

viaggiavano dal corpo sul pavimento a me. Con le sopracciglia alzate mi passò la spada.

Bene. Forse ora mi avrebbe trattata come il soldato che ero e non come la regina che

voleva che io fossi.

Jackie Simms era distesa immobile, le sue labbra sottili socchiuse.

Aveva diciassette anni ed era morta.

Che perdita, un’altra morte non necessaria. Ero sorpresa di quanto fosse stato

semplice per me ucciderla. Ma era giovane e non aveva avuto tempo di allenarsi, come

lo avevo avuto io.

Trova Rhodes, idiota, una voce che suonava orribilmente come quella di Vicken mi

urlava nella testa.

Cassius teneva la sua spada alta e pronta all’attacco.

Estrassi il pugnale dal corpo e pulii la lama sui miei pantaloni. La porta da cui era

sbucata Jackie non era quella di una stanza ma di una scala nascosta che conduceva al

primo piano. La stessa sconclusionata musica rock risuonava da dietro quella porta.

«Lenah!»

I talloni di Tracy sbatterono contro le scale. Cercò di divincolarsi dalla presa di un

vampiro grosso tre volte la sua stazza. Tony si lanciò alle spalle dell’aggressore,

cercando di bloccarlo al pavimento.

Liliana corse sulle scale ed estrasse velocemente il suo arco.

«Abbassati, Tony!» Urlò, e balzò di lato.

Quando la freccia fu scoccata, il vampiro si tenne il petto. Tracy si liberò e cadde al

suolo.

Cassius oscillò la sua spada e mi chinai. Saltò addosso a un vampiro che stava per

attaccarmi alle spalle. Cassius lo colpì con la spada al collo, facendo rotolare la testa

sul pavimento di marmo.

Bene. Tre nemici in meno.

Aprii la seconda porta, pronta a combattere chiunque o qualsiasi cosa ci fosse dietro.

Ma era soltanto una stanza piena di arredamenti antichi avvolti da teli bianchi.

«Questo non è soltanto un covo.» Commentò Cassius da dietro di me. «Ha un piccolo

esercito qui. Quanti erano quelli? Tre?»

Nella mia testa Rhode era incatenato, denutrito, probabilmente quasi morto.

«Lenah!» Qualcuno urlò il mio nome ma non riuscii a vedere chi. Dal piano

superiore si sentiva un rumore di passi che facevano tremare gli impianti del soffitto.

Attraversai il corridoio per arrivare a una terza porta.

Cassius mi seguiva sulle punte dei piedi, pronto a scattare nel caso qualcuno si

avvicinasse. I miei amici erano andati al piano superiore dove non potevo vederli. I

Demelucrea si prenderanno cura di loro, ricorda cosa ti ha detto Cassius.

Abbassai la maniglia della terza porta… Dannazione! Niente Rhode. Invece, armi di

ogni forma immaginabile erano imbragate ai muri. Nell’angolo c’era un'installazione

molto simile a un laboratorio chimico. Non so perché ma sentivo che Laertes era stato

in quella stanza. Non era lì adesso, ma lo spazio mi trasmetteva le stesse vibrazioni che

percepivo a casa sua. Era una sorta di vibrazione sacra, di una conoscenza superiore,

come neutra, né buona né cattiva.

Justin sapeva che saremmo arrivati. Laertes era stato spostato. Mi sussurrò la mia

anima antica.

Magari non pensava che saremmo arrivati oggi, ma con la scomparsa di Rhodes

doveva immaginare che saremmo arrivati prima piuttosto che poi.

Un pezzo di argento baluginò di fronte il mio volto. Era un coltello lanciato dalla

mano di qualcuno. Mi passò a pochi centimetri dalla testa. Cadde a terra con un

clangore e balzai lontano da Cassius. Ci fu un vortice di vestiti neri e metallo. Justin.

Avevo immaginato che Justin avrebbe fatto un’entrata di scena per ferirmi, per dare

spettacolo.

Questo significava solo una cosa, il nostro attacco lo aveva colto di sorpresa.

Cassius brandì la spada in aria, obbligando Justin a indietreggiare nel corridoio. Non

persi tempo e andai ad aprire l’ultima porta, entrando in una stanza buia con la

moquette. Il frastuono del metallo che incontrava altro metallo risuonava alle mie

spalle. Uno spiraglio di luce fece capolino da una finestra quadrata vicino il soffitto.

«Rhode!”

Sbattei la porta dietro di me, ma non c’era alcuna serratura. Lunghe catene

sostenevano le braccia di Rhode sopra la sua testa, che penzolava da un lato. Corsi da

lui e allungai una mano per toccargli il mento. Sembrava che non stesse respirando. La

luce del giorno filtrava nella stanza ma la finestra era troppo alta e la luce non

raggiungeva il pavimento. Non capivo se l’eclisse fosse già cominciata.

«Rhode?» Chiamai. La mia voce era malferma. «Riesci a sentirmi?»

Non si mosse. Le gambe bloccate davanti a lui, le mani immobili come quelle di una

bambola di pezza.

«Rhode. Mon amour» dissi in francese, «Amore mio.»

La sua testa scattò indietro e io balzai lontano da lui. Saltai così lontano che colpii il

muro dietro di me.

Dei suoni animaleschi provenivano da Rhode. Serrai gli occhi.

I suoi occhi.

Non era possibile. Doveva essere uno scherzo delle ombre nella stanza. Si sentì uno

schianto fuori dalla porta.

«Sto per slegarti» gli dissi, avanzando lentamente. Dovetti sciogliere le pesanti

catene che erano legate un metro e mezzo sopra la sua testa. Avvicinandomi, il blu dei

suoi occhi mi fece singhiozzare.

Quando fu libero, le sue mani schizzarono in avanti e afferrarono saldamente i miei

polsi. Mi avvicinò a lui ed esaminò ogni angolo del mio viso.

«Tu» disse, scandendo ogni parola, «sei arrivata troppo tardi.»

I suoi occhi si irrigidirono. La pelle del suo viso luccicava in modo innaturale.

Per la seconda volta nella sua lunga vita, Rhode Lewin era un vampiro.

CAPITOLO 16 Traduzione: Fra

Catturai un secondo singhiozzo nel mio petto e trattenni il fiato, per evitare di

lasciarmelo sfuggire. Per un momento, per un solo secondo, desiderai essere

nuovamente un vampiro.

«Come ha potuto farti questo?» sussurrai. La mano di Rhode mi stringeva ancora il

polso.

«Lui…» iniziò. Le parole gli morirono in gola. «Pensava che questo potesse

restituirmi la memoria,» disse Rhode. Mi guardò, cercando qualcosa. «Quando ho

perso la memoria?» chiese. «Chi sono davvero?»

«Non volevo bruciarti,» fu tutto quello che riuscii a dire. Mi venne in mente quanta

fame dovesse avere… potevo leggerglielo negli occhi. «Ti darò presto del sangue,»

dissi. «Te lo prometto, ma prima devo portarti fuori da qui.»

Lasciò andare il mio polso e raggiunse la catena, staccandola dal gancio. Questa

cadde con un tonfo pesante sul pavimento. Rhode si strofinò il polso e gli avambracci.

Quando mi abbassai, i nostri visi si ritrovarono a pochi centimetri di distanza. I suoi

occhi continuavano a rigirarsi al contrario. Doveva aver bevuto del sangue, ma non era

abbastanza. Avevo bisogno dell’aiuto di Cassius per portarlo fuori.

Allungai il braccio. «Bevi da me.» La familiarità dell’evento, la stessa cosa che era

accaduta con Suleen mi colpì all’improvviso. Non potevo perdere anche Rhode.

Ci fu un forte colpo alla porta. Spinsi il braccio proprio sotto il suo naso.

«Sbrigati, Rhode, per favore. Altrimenti morirai,» dissi, agitandogli il braccio

davanti alla faccia. «Per favore.»

«Io…» esitò. «Non sai quanto lo vorrei.»

Tenni il braccio teso.

«Sì lo so. Fallo. Sono pronta.»

Mi spinse via, così caddi all’indietro.

«No! Ci conosciamo a malapena,» gridò. «E adesso è successo tutto questo. Io

sono… Io sono un…»

La porta si aprì sbattendo e Cassius irruppe nella stanza.

«Renoiera! Justin sta avanzando velocemente…» disse e si fermò, registrando lo

stato di Rhode.

«Cassius!» urlò Liliana dal piano di sopra. «Aiutami!»

Cassius fece un passo verso Rhode.

«Vai da lei!» ordinai. Lui uscì velocemente dalla stanza aggrottando la fronte. Ci

sforzammo di raggiungere il corridoio.

«Dovresti venire. È la tua opportunità per allontanarti da lui.» Rhode si tirò su e

insieme ci dirigemmo verso le scale del seminterrato. Ai piedi della rampa, c’era la

finestra da cui eravamo entrati. In cima, si trovava il piano principale.

Le luci continuavano a tremolare per i passi pesanti sopra di noi. La voce di Cassius

riecheggiò ma, a causa della confusione, non riuscii a cogliere le sue parole.

Mentre salivamo le scale, Rhode inciampò e dovemmo sederci. La finestra mi

derideva. Era l’unica via di fuga per evitare di incappare nella lotta che si stava

svolgendo al piano di sopra.

Calcolai mentalmente la distanza tra il pavimento e la finestra. Rhode posò la fronte

sul palmo della mano. Non sarei mai riuscita a farlo passare dalla finestra da sola.

Avrebbe dovuto issarsi sulle braccia, ma non ne aveva la forza. Riusciva a malapena a

rimanere in piedi per cinque secondi. Il sole brillava nella tromba delle scale; l’eclissi

non era ancora cominciata. Mi guardai indietro e valutai le varie opzioni. Non c’era

modo di uscire. Avrei dovuto andare al primo piano per tentare di far uscire Rhode.

«Ascoltami,» gli dissi. «Tra qualche minuto ci sarà un’eclissi totale. Se, una volta

terminata, la luce del sole dovesse toccarti, morirai.»

«Lasciami qui,» mi disse. «Salvati.»

Spinsi il polso contro le sue labbra. «Se ti nutrirai, avrai abbastanza forza per passare

attraverso la finestra prima che l’eclissi cominci.» Rhode appoggiò un gomito contro

la scala e mi guardò di sbieco.

«Tu…» Il tono di voce era teso. «Tu sai cosa sono?» Chiese

«Sei con me» risposi. «Per sempre.»

Mi alzai. Odiavo lasciare la finestra ma Rhode era troppo traumatizzato e non potevo

spingercelo attraverso da sola. «Andiamo,» dissi.

Rhode riuscì a salire le scale, ma dovette poi appoggiarsi di nuovo a me quando

arrivammo in cima. Sfondai la porta. Il soggiorno era un disastro, le librerie erano state

scardinate e la scrivania giaceva su un lato. I vampiri stavano combattendo dappertutto.

Il rumore era assordante.

Dall’altra parte della stanza c’era un’enorme finestra ad arco. Una sedia, scagliata

da uno della congrega di Justin, ci volò attraverso con una forza tale da far schizzare i

pezzi di vetro ovunque. Provai a chiudere la porta per evitare le schegge, ma un paio

di pezzi colpirono il telaio e rimbalzarono nella tromba delle scale.

Dal punto in cui mi trovavo, riuscivo a vedere un parcheggio coperto sotto la finestra,

che nascondeva una macchina sportiva nera. Se Justin fosse scappato dalla finestra

rotta, la tenda lo avrebbe coperto dal sole. Non c’era modo di portarci Rhode, senza

evitare di farsi male.

Sopra la tenda, un quarto di luna aveva oscurato la parte sinistra del sole.

L’eclissi era cominciata.

Non potevo pensare a Justin; dovevo rimanere concentrata su Rhode.

Si appoggiò contro la ringhiera. Eravamo accanto alla tromba delle scale. Alla mia

sinistra, come aveva detto Cassius, c’era un lungo corridoio con una porta laterale, che

avrebbe dovuto portare verso il cortile e che era il percorso più veloce per raggiungere

il Suv di Tracy.

Sette minuti all’eclissi totale, aveva detto Cassius.

In fondo alla stanza Tony era saltato sulla schiena di una vampira bionda e l’aveva

bloccata a terra. Tracy si era lanciata su di lei per proteggerla.

«Ma che diavolo fai? Lasciala in pace!» Gli ordinò Tracy.

Conoscevo quell’espressione…

Kate Pierson sibilò, scoprendo dei nuovi canini.

No, non lei. Non in questo modo.

Le mia labbra si aprirono e non potei far altro se non stare a guardare. Strinsi i denti;

volevo dare una mano. Volevo urlare.

«Smetti di coprirla!» Gridò Cassius, correndo poi di fianco a Tracy. Si chinò

rapidamente per evitare un freccia, che gli volò sopra la testa. «Tracy, allontanati. È

troppo tardi.» Si voltò verso di me. «Lenah, vai!» Indicò la porta alla fine del corridoio.

«Porta al cortile!» Gridò. «Vai!»

«Dobbiamo sbrigarci» dissi a Rhode.

La sua testa si girò lentamente verso la scena sul pavimento, mentre lo spingevo

verso il corridoio.

«Kate…» disse. «Quella era Kate Pierson?»

Rhode era alto un metro e novantacinque, superandomi di gran lunga. Dovevamo

fare pochi metri ma presto cominciò a trascinare i piedi, sempre di più. Lo avevo

appena sollevato nuovamente quando mi vennero i crampi alle braccia.

Dovetti lasciare la presa, facendo crollare entrambi a terra. I vampiri non avevano

bisogno di respirare, ma Rhode era così debole che riusciva a malapena a terminare

una frase prima di doversi fermare per riprendere le forze.

«Lo sento…» disse. «Lo sento. So di cosa si tratta…» Scosse la testa. «Qualunque

cosa io sia.»

Fuori dalla finestra rotta riecheggiava la voce di Esteban. Doveva trovarsi lì vicino,

perché le sue parole erano coperte dai rumori dello scontro.

Passai un braccio sotto Rhode e me lo tirai contro. Devo solo portarlo fuori prima

che Justin ci veda. Alla fine del corridoio, Cassius, Tony e Tracy lottavano per tenere

ferma un’urlante e scalciante Kate. Tony la teneva per i piedi. Guardai di nuovo verso

il sole oscurato.

«Devi andare,» urlai a Cassius.

«Tre minuti!» Gridò di rimando.

«Non c’è abbastanza tempo!» Replicai. Intanto, i Dem stavano combattendo contro

i vampiri di Justin ma non riuscivo a individuare quest’ultimo.

Vicino a noi c’era una spada abbandonata, ma non potevo raggiungerla mentre

reggevo Rhode. Non potevo far altro che lasciarla lì. Muovemmo faticosamente pochi

passi, quando i muscoli ripresero a bruciare. Accidenti a questo corpo mortale! Mi

dovetti fermare.

Ci accasciammo sul pavimento per la seconda volta.

Dal punto in cui eravamo, riuscivo a scorgere qualcosa del soggiorno e un’altra

rampa che conduceva al piano di sopra.

Una scarica di terrore mi attraversò lo stomaco.

Justin stava scendendo le scale. Sospirò e raggiunse il caos come se stesse andando

a cena.

«Alzati!» Dissi a Rhode. «Alzati, alzati, alzati.»

Justin saltò nel corridoio vicino a noi. Da qualche parte là vicino, la musica era così

forte che i bassi facevano vibrare gli arazzi appesi alle pareti.

Rhode appoggiò le mani contro la parete ed entrambi tremammo mentre ci alzavamo

in piedi.

Justin continuò la sua lenta passeggiata. Aveva le narici dilatate e i canini già snudati

che gli sfioravano il labbro inferiore. Si fermò davanti a noi. Senza dire una parola, la

sua mano scattò e afferrò Rhode per il collo.

«Cos’hai intenzione di fare?» Grugnì Rhode. «Trasformare tutti i Wickham in

vampiri?... Kate Pierson era tua amica» continuò.

Justin sbattè Rhode al suolo abbastanza forte da rompergli le ossa e le sue labbra si

atteggiarono in una smorfia. Premette il piede, rivestito da una scarpa d’alta moda, sul

petto di Rhode. Ci fu uno schiocco secco a livello delle costole e Rhode gridò.

«Adesso,» mi disse Justin «deciderò io di cosa parlare.»

Ai miei piedi Rhode tirò su la testa tremando. Sollevò anche le dita e queste

tremavano mentre si muovevano. Lui…

Si riaccese in me la speranza.

Rhode stava raggiungendo la spada. Dovetti distogliere i miei pensieri da quello che

stava facendo o Justin avrebbe potuto avvertire le mie emozioni.

«Parlare di cosa?» Risposi alla fine. «Del fatto che non ti ho mai amato?» Avrei

detto qualunque cosa per guadagnare tempo. Justin mi colpì alla spalla, facendomi

cozzare contro il muro. Sbattei la testa già dolorante e scivolai a terra.

«Lenah…» la voce di Rhode mi giunse molto debole.

Il volto di Justin scivolò nella visuale e si avvicinò. Le sopracciglia avevano assunto

una forma a V molto severa e gli era spuntato un ghigno sul volto.

Non c’era nessun senso di perdita nei suoi occhi. Nessuna tristezza.

Con la coda dell’occhio, vidi la mano di Rhode sull’elsa della spada. Tra la musica

e il caos proveniente dal salotto, i suoi movimenti non si sentivano.

Justin avvolse le dita, con la sua forza vampiresca, intorno al mio collo, stringendo

abbastanza da permettermi di prendere solo dei piccoli respiri.

«Ho intenzione di prendere la tua anima» ringhiò. «Una volta per tutte. Lo faremo

per bene questa volta.»

Strinse più forte. Riuscivo a sentire il sangue che mi rimbombava nelle orecchie.

Poteva farmi del male. Lo aveva già fatto! Aveva infranto la legge dei vampiri proprio

come aveva promesso. I miei polmoni non riuscivano a contrarsi. Un bruciore mi

invase il petto. Rhode, prendi la spada. Prendi la spada.

Le luci del corridoio sbiadivano, così come i suoni della battaglia.

«La tua anima è mia,» disse Justin strascicando le parole.

Non potevo combatterlo… non ne avevo la forza.

Le luci si spensero e l’ultima cosa che vidi furono dei canini appuntiti e letali.

CAPITOLO 17 Traduzione: redtulip87

Rhode... non lasciargli prendere la mia anima. Anam cara.

Justin urlò e io caddi all’indietro sulla moquette. Urla e clangore di metalli assalirono

le mie orecchie. Inspirai, emettendo un orrendo suono gutturale.

Mi asciugai le lacrime dagli occhi mentre Justin si afferrò la gamba. Il sangue stava

trapassando il tessuto dei pantaloni e gli imbrattava le mani. La spada fuoriusciva dal

muscolo del suo polpaccio.

Allontanai le ombre dagli occhi. Justin e Rhode erano entrambi confusi.

«Corri, Lenah!» Rhode si era girato, cercando di sollevarsi.

«Non esporre il cuore!» urlai. Il mio calore si scontrò con il suo corpo freddo,

proteggendolo sdraiandomi sopra di lui.

Mi sforzai fino allo stremo per sollevare il mio corpo, cercando di proteggere quello

di Rhode.

Justin aveva la spada, e la sollevò in aria puntandola verso le nostre teste. Il mio

corpo si irrigidì. Trattenni il respiro. Eccola, era arrivata. La fine. Almeno sarei morta

con Rhode. Mi aggrappai a lui più forte possibile. Justin sibilò come un animale. Ci

fissò lentamente... la sua bocca aperta in una smorfia di shock.

Justin abbassò la spada. E sorrise.

«Ma certo» disse con un aspro sogghigno. «Avrei dovuto capirlo.»

La punta della spada scintillò nella strana luce dell’eclissi mentre Justin la ripose al

suo fianco.

«Si tratta di entrambi» disse sbalordito.

Non ha ferito me. Non ha ferito entrambi. Cosa diavolo è appena successo?

«Justin!» un vampiro comparve dalla sala e indicò Henri che stava correndo giù per

le scale, verso il nostro piano.

Justin corse immediatamente via come se non fosse stato colpito solo pochi momenti

prima.

Controllai l’eclissi. Un enorme anello di diamante che brillava intorno al sole. Il

crepuscolo sarebbe durato solo un altro minuto, al massimo.

«Ascoltami» dissi a Rhode. I suoi occhi erano chiusi. Gli tirai uno schiaffo.

«Rhode.»

«Lenah...» gemette. «Io...»

«Prendilo! Prendilo! Il Verese...» urlò Justin dalle scale. Non ero sicura di aver colto

l’intera parola. Corse verso Tracy e Tony, che erano usciti dalla sala ed erano ora dietro

di me.

Mi girai verso Rhode. «Mi devi aiutare. Non riesco a sostenere il tuo peso.» Il mio

braccio bruciava e il taglio al diro medio pulsava.

«Io ti a...» Rhode farfugliò. «Io ti a...»

I suoi occhi rotearono all’indietro, la sua testa crollò di lato e perse conoscenza.

Lo scossi ma non rispose.

Tony e Tracy stavano trascinando Kate per le caviglie, lungo il corridoio.

Sollevai la testa di Rhode, ma i suoi occhi rimasero chiusi.

«Il Vere...» urlò Justin, tornando nella stanza. Persi la parola nella sua interezza

un’altra volta. Pensai che non fosse inglese. Teneva qualcosa sotto il braccio. Un

vecchio libro in pelle con una spessa copertina.

Ridisse la strana parola un’altra volta. Forse era francese? Non riuscivo a tradurla.

Cassius corse verso Justin ma si chinò in tempo per schivare un colpo della sua

spada. Il loro duello li costrinse a tornare verso la sala. Decisi di cogliere l’occasione

al volo, sollevai l’imponente figura di Rhode. I miei muscoli tremarono e raggiunsi

metà corridoio prima che il mio corpo mi abbandonasse, di nuovo.

Il sudore mi scendeva copioso dalle tempie fino alla mascella. Dovevo solo

raggiungere quella porta.

Tony e Tracy erano occupati con Kate, mentre la congrega di Justin era distratta.

I Demelucrea ci concessero una via di fuga al meglio delle loro potenzialità. Dovevo

solo riuscire a sollevare Rhode!

«Justin! Sta portando via Rhode. Lenah lo sta portando via» urlò Kate. Si liberò da

Tony e Tracy e si rimise in piedi. Tony cadde all’indietro, massaggiandosi il braccio.

«Kate! Aspetta!» urlò Tracy, seguendola nella sala. Tracy non poteva ovviamente

comprendere il cambio di lealtà di Kate, ma io sì. Kate era un vampiro novello. Justin

era familiare e potente. Non ci avrebbe messo molto a portarla sotto il suo controllo.

Tony corse appresso a Tracy.

«No! Lasciala stare!»

Una freccia si scagliò nell’aria. Il tonfo di un corpo che si accasciava al suolo e la

voce angosciata di Tracy che urlò il nome di Kate.

La freccia di Liliana aveva trovato il suo obiettivo.

Presi Rhode da sotto le ascelle e lo trascinai per il restante corridoio. La sua testa

premeva contro la mia pancia e le suole dei suoi stivali strisciavano contro il tappeto

orientale. Tony uscì dalla sala supportando sia Micah che Tracy. La gamba destra di

Micah era piegata in una strana angolazione. Del sangue gli colava dalla fronte.

Entrambi stavano zoppicando. Nessuno dei due avrebbe potuto aiutarmi con Rhode.

Tony mi guardò come se fosse sul punto di lasciare andare Micah per correre in mio

aiuto, ma Liliana mi si avvicinò e prese Rhode dall’altro lato. Con il suo aiuto, il peso

sulle mie braccia si affievolì immediatamente.

Cassius alzò la sua spada in aria e la puntò verso Justin. Tony, Micah e Tracy ci

superarono. Lo sguardo di Tony si soffermò su di me.

«Sto bene... Vai.»

A Tony non piacque la mia risposta, ma spinse la porta e uscirono.

Cassius corse per il corridoio per venirci incontro. Sanguinava dalla testa e dalle

braccia. Il taglio della fronte sembrava profondo. Anche un vampiro ci avrebbe messo

tempo per guarire.

«Muoviti!» urlò, «ho preso un certo libro dalle mani di Justin. L’ho messo in fuga.

Abbiamo...»

Un vento gelido sollevò la mia treccia. Justin volò fino a noi.

«Andate! Veloce! Veloce!» continuai a ripetere, «Cassius, Liliana! Prendete Rhode

e andate!»

Liliana lasciò Rhode e quasi caddi per cercare di prenderlo. Preparò le frecce.

«È un ordine, Cassius!» dissi.

Lui strinse la mascella e sbuffò con frustrazione. Scappò fuori dalla porta nell’ultimo

istante di luce dell’eclissi.

«Liliana, fermati!» strillai.

Mi ignorò e scagliò freccia dopo freccia a Justin, che le scansò con facilità, una dopo

l’altra. Rhode rimase immobile ai miei piedi.

Justin puntò il palmo della sua mano verso di lei, una forte folata di aria percorse il

corridoio, sollevando Liliana e scaraventando il suo corpo contro la porta dietro di me.

Cadde in maniera scomposta, il suo arco immobile nella sua mano.

Justin si mosse e fu in un attimo di fronte a me. Velocemente sbandierò un pugnale

nell’aria. Sfiorò il mio naso, a un centimetro dal mio collo.

Saltai all’indietro, quasi inciampando su Rhode ai miei piedi, tastandomi il collo. Mi

aspettavo che fuoriuscisse del sangue dalla mia pelle. Le mie dita tastarono il collo e

la faccia. Ero illesa, ma avrei potuto essere ferita mortalmente.

Lo shock si fece strada dentro me. Non si trattava di Justin che stava cercando di

ferirmi come fece sulla spiaggia. Ci aveva provato e aveva fallito perché la legge

naturale dei vampiri lo imponeva: mi amava, quindi ero salva.

Questa volta mi mancò apposta.

Justin aveva provato a pugnalarmi. Avrebbe potuto ferirmi. Niente l’aveva fermato

questa volta.

«Dimmi perché non l’hai fatto» dissi, «Dimmi che non siamo arrivati a questo,

Justin?»

«Non è così tragica» disse, «Non devi dispiacerti per me.»

«Ma io sono dispiaciuta per te.»

Non l’avevo realizzato fino a quel momento. Ero stata troppo distratta dal portare

fuori Rhode. Justin mi aveva preso a pugni solo attimi prima; a calci, anche. Non

avrebbe potuto pugnalarmi prima di oggi, ma ora avrebbe decisamente potuto.

Mi cinse con un braccio intorno alla vita e i suoi canini si avvicinarono al mio collo.

Vorrei stare con Rhode, vorrei amarlo, ma la mia mente cadrebbe a pezzi, il mio odio

prenderebbe il controllo e io sarei la schiava del potere ancora una volta. Justin

vedrebbe esaudito il suo desiderio. Diventerei nuovamente la regina dei campiri.

Ucciderei. Odierei. Non riuscirei a conservare la mia anima.

La punta dei canini di Justin si fece strada nella mia pelle. Il dolore simile a quello

di un ago mi fece tremare le ginocchia. Il morso non era tale da trasformarmi, non

ancora. Mi avrebbe prosciugato tutta la notte, mi sarei trasformata. Provai a scansarmi

ma la sua presa era troppo forte. Mi sta prosciugando, e in fretta. Le mie ginocchia

cedettero.

Dietro di me sentii la maniglia della porta abbassarsi, qualcuno stava tornando

dentro. Justin allentò la presa e si allontanò da me.

«Lasciala» disse Tracy in un sussurro.

«Tracy, vattene!» urlai. Justin mi lasciò cadere. Quando toccai il pavimento, afferrai

la mano senza vita di Rhode. Il mio braccio tremava e il mio collo bruciava per il morso.

Tentai di proteggere i corpi di Rhode e Liliana come meglio potevo.

«Non sei Justin» disse Liliana, «Non più.»

Si sfilò il braccialetto dal polso.

Oh no.

Alzò il braccio. «Il vero Justin non avrebbe ucciso Kate. Era tua amica!»

Tracy lanciò la scia d’argento e volò vicino all’orecchio di Justin. Il braccialetto si

fermò, proprio dove si trovava Justin. Tracy cadde in ginocchio, ai piedi di Justin che

la prese per il braccio con cui aveva effettuato il lancio.

«No, Tracy, non farlo!» urlai, ma era troppo tardi. Il braccialetto prese velocità,

trasformandosi in un disco d’argento. Il disco si trasformò in un vortice, volteggiando

nel corridoio.

La sua arma aveva funzionato; il braccialetto diventò un mulinello d’acqua, nato

dall’aria, che cresceva a vista d’occhio. Proprio come la palla di fuoco in spiaggia,

l’elemento, l’acqua, aumentava di dimensione.

Justin indietreggiò fino al muro per vedere vorticare l’enorme mulinello. La sua

forma mutava, allungandosi e appiattendosi.

«Cos’è?» disse. «Cosa diavolo è?» Alzò la voce.

Rhode e Liliana rimasero inermi sul pavimento.

La sinfonia di chitarre che stava riempiendo l’aria all’improvviso si spense. Non

sapevo perché e non poteva interessarmi al momento. Il mulinello virò. La sua

rotazione aveva quasi un ritmo musicale e a ogni giro, cresceva. Faceva sembrare lo

scudo d’acqua di Justin, una piscina per bambini.

Justin sollevò un palmo, ma prima che potesse manipolare l’acqua, l’intera massa

collassò al suolo, come uno spesso lenzuolo. La pioggia scese all’interno della casa

con forza torrenziale.

«Lenah!» un diluvio ruggente sovrastò l’urlo di Tracy. Uno spruzzo d’acqua emerse

dalla parte bassa delle scale, riversandosi sulla moquette del corridoio, crescendo

sempre di più. Sussultai quando sentii l’acqua gelida avvolgermi le caviglie.

Ci fu un movimento nell’acqua, vicino ai miei piedi. Rhode mosse la testa; l’acqua

l’aveva fatto rinvenire. Anche Liliana.

Mi abbassai verso Rhode. Tracy prese il braccio di Liliana e l’aiutò a mettersi in

piedi. La Dem si asciugò l’acqua dal viso, dagli occhi, ma continuava a diluviare in

casa.

Cercai Justin ma era dalla parte opposta della sala, stava combattendo contro le onde

d’acqua che arrivavano dal piano principale.

«Andiamo!» dissi, tirando il braccio di Rhode.

«No» disse, e si ritrasse. «Non c’è niente che tu possa fare, Lenah!»

Corse a zigzag nella direzione di Justin.

«Sei impazzito completamente?» chiesi, seguendolo.

«Lenah! Torna indietro!» Tracy urlò alle mie spalle.

Rhode si imbattè in un tavolo alla fine della stanza e si ritrovò nuovamente

nell’acqua.

L’acqua ora mi raggiungeva le tibie. Rhode cercava di tirarsi fuori dall’acqua. La

sua mano tremava così tanto che riuscì soltanto ad aggrapparsi alla gamba del tavolo

prima che collassasse nuovamente.

Ero ancora a qualche metro da lui, quando Justin sbucò dal fondo della stanza, di

nuovo. Aveva recuperato il suo libro prezioso e lo teneva sotto un braccio. Le mie

gambe tremavano per lo sforzo di aver trasportato Rhode. Justin sollevò una mano,

palmo all’infuori, e aprì le dita.

All’ordine di Justin l’acqua nei pressi di Rhode lo sovrastò con un’ondata. Si separò

dalla massa e fluttuò come una tavola. Rhode zoppicava, mentre Justin lo tirava verso

di sè.

Provai a raggiungerlo, la mia mano doleva per via del taglio pulsante al dito.

Sguazzai verso Justin e Rhode, ma l’acqua aveva ormai raggiunto il livello

dell’ombelico. Rhode rimase fluttuante dietro Justin.

Un vampiro fluttuò verso di me nell’acqua. Era senza testa.

Justin fece scivolare qualcosa nella sua tasca, una fiala o una bottiglietta, non ne ero

sicura.

«Rhode, svegliati!» urlai. Ma la mia voce si spezzò. Dalla finestra, si poteva vedere

un pericoloso sole far capolino dai tetti. L’eclissi era finita ormai da qualche minuto.

«Cosa gli stai facendo?» gli chiesi. Ora che ero vicino alla finestra potevo vedere; i

vetri della finestra erano coperti da quella che sembrava vernice nera.

Il ghigno di Justin crebbe. La pioggia scendeva su di noi, coprendo la sua smorfia

dura.

Justin indicò il corpo di Rhode che stava fluttuando in quella strana ondata d’acqua.

Justin si arrampicò sul davanzale, che era sopra il livello dell’acqua. Lanciò il corpo di

Rhode verso la finestra, frantumandola, contro le macchine sportive.

Un urlo crebbe dentro di me, fuoriuscendo come un ruggito animale. Forse il potere

della mia rabbia lo sorprese perché mi guardò e il suo viso perse l’espressione

concentrata.

Usala solo quando ne hai davvero bisogno.

Ora. Fu quello il momento in cui ebbi davvero bisogno della collana di Fuoco. Ma

non potevo saperlo, non potevo prevedere questo tipo di orrore.

Justin saltò giù, protetto dalla tettoia.

«Lenah!» da qualche parte alle mie spalle, Tracy mi chiamò. L’acqua mi arrivava al

petto. Nuotai indietro verso il corridoio. Tracy aprì la porta e l’acqua fuoriuscì nel

cortile. La luce del sole entrò e Liliana si spostò per evitare il diretto contatto con i

raggi. Guardò fuori dalla porta e verso il cielo blu.

«Vai» disse Liliana, ma i suoi occhi erano rivolti a Tracy. «Vai dagli altri.»

Tracy obbedì, lasciando solo me e Liliana dentro la casa.

La pioggia era terminata e solo delle piccole goccioline cadevano nella casa allagata.

Ci fu un rumore nel legno, e il mio cuore fece un salto. Ci fu un suono forte di rottura

nelle travi e automaticamente pensai a proteggermi la testa. Controllai il soffitto, stava

effettivamente cedendo ma tenne.

Fuori, sentii un motore accendersi. Mi mossi velocemente verso la fine del corridoio,

la tenda della tettoia si era rotta e il legno cadde.

Justin fece ruggire una Jaguar nera partendo, con il corpo inerme di Rhode dentro.

Justin aveva distrutto la tettoia.

C’era già molta più luce rispetto a poco prima.

Liliana era intrappolata.

Si nascose nelle ombre in fondo al corridoio. Mi sembrava così piccola.

Con la punta dei piedi toccavano ancora il pavimento, mentre tentavo di raggiungere

Liliana. Più mi avvicinavo, più ingoiavo acqua. Una volta che la porta fu aperta, l’acqua

fuoriuscì.

Quando la raggiunsi, Liliana mi passò la sua sacca e il suo arco. Sull’arco c’era una

piccola R cerchiata, incisa nel legno, proprio come quello di sua sorella.

«Nuota fino all’ultimo piano. Ti facciamo uscire più tardi» dissi pacatamente.

«L’acqua non è ciò che mi potrebbe uccidere. Potrei vivere per settimane in una casa

piena d’acqua.» Piegò la testa da un lato, «Non le senti anche tu?»

«Cosa?»

«Le sirene...»

Aveva ragione, si sentiva riecheggiare il chiaro suono delle sirene.

«Mi riterranno responsabile, vorranno interrogarmi. In ogni caso, mi dovranno

obbligare ad andare alla luce del sole.»

Rimanendo all’ombra si sporse dalla porta per guardare il sole.

«È bellissimo, vero?» mi chiese, guardandomi negli occhi.

In lontananza, Tracy zoppicava per la strada verso la sua macchina. Speravo che

Tony, Micah e Cassius fossero al sicuro.

L’acqua mi premeva sulle gambe mentre fuoriusciva e si riversava sull’erba.

Liliana fece un passo per uscire dalla casa.

«No!» urlai, afferrandola per un braccio. Lei, come Cassius, era calda al tatto.

«Questa è la ragione per cui sono nata» sussurrò. Il suo sussurrare mi fermò, era

molto calma. «Lasciami andare» mi ordinò.

I nostri occhi si scontrarono, i miei blu, i suoi grigi. Non doveva morire in questa

casa piena d’acqua. Doveva scegliere il suo destino.

«Grazie, Renoeira» disse. Dovevo essere io, a ringraziare lei.

Liliana mise i piedi sull’erba e portò il viso al cielo. La bellissima vampira bionda

girò il suo sguardo su di me. Un sorriso apparì sul suo viso mentre un raggio di sole

sbucò da dietro una nuvola e si scagliò sul prato.

Polvere arancione ricoprì Liliana dalla testa ai piedi. Come Suleen nel frutteto di

mio padre, era diventata una statua di polvere d’oro. Uscii e le mie dita tentennarono

mentre toccai la soffice polvere; crollò al suolo, diventando nient’altro che cenere.

Mi abbassai e tastai i suoi resti. Il mio petto si strinse per l’angoscia. Il senso di lutto

mi fece sentire vuota. Svuotata. Mi odiai per il fallimento.

Le sirene erano vicine ormai.

«Lenah!» mi chiamò Cassius dalla macchina.

Il suono delle sirene si fece sempre più alto, arrivava dalla via principale.

Era troppo tardi per fare qualsiasi altra cosa. Justin era scappato, Rhode era

intrappolato con lui.

«Muoviti!» urlò Tony, e il panico nella sua voce mi destò.

Presi una manciata di resti di Liliana e li misi dentro la mia tasca. Corsi per il prato,

verso la strada, infilandomi in macchina. Tony era alla guida e, una volta che la portiera

fu chiusa, accese il motore. Come girammo l’angolo, vedemmo le prime ambulanze

girare in Warwick Avenue.

La mia ultima immagine di Lovers Bay fu quella dei camion dei vigili del fuoco

saettare per la via principale.

Le autorità avrebbero avuto un bel rompicapo per capire come tutta quell’acqua

avesse potuto riempire una casa. Avrebbero cercato per un sistema di irrigazione ma

non l’avrebbero trovato. Non sarebbe rimasto niente, una volta che l’acqua fosse

fuoriuscita completamente; solo vampiri morti e la parvenza di una casa.

Volevo salvare Rhode. Volevo salvare Liliana, Henri e ovviamente Kate Pierson.

Erano vampiri.

Proprio come Justin.

Proprio come Rhode.

CAPITOLO 18 Traduzione: Valeriuccia921

«Di’ qualcosa.» ripeté Tony mentre guidava. Posai la faretra e l’arco di Liliana ai miei

piedi e tirai fuori le sue ceneri dalla mia tasca. Erano color ruggine… un colore

coraggioso da lasciarsi alle spalle.

Tracy sedeva sul sedile posteriore. Non riuscivo a vederla da dietro la tenda nera,

ma sentivo i suoi singhiozzi. «Non ce l’ho fatta a raggiungere Rhode. Mi dispiace

Lenah. Mi dispiace così tanto…»

«Lenah, di’ qualcosa.» ripeté Tony.

Un leggero soffio di vento e tra le mie mani di Liliana non sarebbe rimasto più niente.

Tracy irruppe di nuovo in un singhiozzo di dolore.

«Lasciami dare un’occhiata, Tracy.» sentii dire a Micah.

«Fa male! Non toccare!»

«Andrà tutto bene.» rispose Tony.

«Come può andare tutto bene?» gemette Tracy. «È un mostro!» continuava a

ripeterlo. «Justin è un mostro!»

Mentre viaggiavamo, continuavo a guardare le ceneri nella mia mano. Avevo ancora

le braccia indolenzite per aver trasportato Rhode. Rivedevo col pensiero Justin puntare

la spada contro me e Rhode, con un’espressione rapita in viso. Non aveva colto

l’occasione di ucciderci, anche se l’aveva avuta. Perché? Cos’aveva voluto dire con

quel suo commento: “entrambi”?

Tony prese l’autostrada e nel giro di poco raggiungemmo di nuovo la casa di

Cassius. Imboccò la stradina d’ingresso e parcheggiò nel garage. Tutti stavano

parlando, ma non riuscivo a capire cosa dicessero. Le portiere della macchina si

aprirono e si richiusero e qualcuno aprì la portiera del passeggero. Non mi mossi.

Tracy entrò in casa con un braccio al petto e in preda ai singhiozzi. «Kate. Kate.»

«Starà bene?» Sentii Tony chiedere a Micah.

«Penso di sì.» rispose.

Cassius disse «Renoiera, guardami.» e si accovacciò vicino alla portiera aperta.

Gli mostrai le mie mani, che stringevano ancora quei resti delicati.

«Sono di Liliana.» riuscii a dire, anche se la voce mi tremava.

Aprì le mani e lì riposi le ceneri. Riportai rapidamente le mani in grembo; avevo la

pelle ricoperta come da uno strato di polvere. Mi ricordai di quando avevo creduto che

Rhode fosse morto. Aveva cercato di sacrificarsi svolgendo il rituale. I suoi resti da

vampiro che avevo trovato erano proprio uguali a questi.

«Era un soldato, proprio come Rhode.» disse Cassius con un tono pacato. «Era

pronta a morire.»

«È stata. Colpa mia» mi mancava il fiato, «avrei dovuto obbligarla a scappare,

costringerla.» Avevo un nodo alla gola.

«È voluta restare per proteggerti, anche andando contro i tuoi ordini.» tentò di

spiegare Cassius.

«Tu sei scappato quando ti ho ordinato di farlo.»

«L’ho fatto solo perché me lo avevi ordinato.» rispose. «Se fosse dipeso da me, sarei

rimasto acnh’io.»

«In quel caso sareste morti entrambi.»

Senza volerlo, tornai a pensare a Justin. Adesso che era incapace di provare dei

sentimenti sarebbe diventato spietato. Era arrivato il momento di fare ciò che Suleen e

Fuoco mi avevano chiesto. Lo avevo finalmente capito. Non potevo rischiare che Justin

trasformasse altri in vampiri. Qualunque fosse il suo piano, non si sarebbe mai

accontentato di Rhode. Ero sicuramente il suo bersaglio numero uno e tutti quelli che

erano legati a me correvano lo stesso rischio. Poteva voler dire soltanto una cosa…

Dovevo essere io, sola, a sconfiggerlo.

Avrebbe torturato Rhode finché non mi fossi arresa. Avrebbe sicuramente

trasformato in vampiri gli altri studenti di Wickham finché non gli avessi concesso

quello che voleva… la mia anima.

«Che cos’hai, Len?» Chiese Tony. Era uscito dalla casa ed era in piedi vicino a

Cassius. I due Demelucrea continuavano a squadrarsi. Ben presto arrivò anche Micah.

Aveva con sé delle bende e non toglieva gli occhi da Cassius. Mi ascoltavano

all’interno della loro mente.

Qual era la parola che aveva urlato Justin? Verese qualcosa. Justin aveva detto

qualcosa che somigliava a verese. Sembrava che la parola fosse incompleta quando

l’aveva detta e non sembrava neppure inglese.

Cassius si alzò in piedi e si girò verso Micah ed Esteban.

«Dilla ad alta voce,» mi chiese gentilmente Micah. «Per favore.»

«Verese o vere. È tutto quello che sono riuscita a capire.» dissi. «È solo l’inizio di

una parola. Non ho capito il resto.»

«Vere significa “verso” nella nostra lingua.» disse Micah. «Non è molto da cui

partire.»

Cassius annuì.

Mi sfiorai gli occhi con le punte delle dita. I granelli delle ceneri di Liliana rimasero

impigliati nelle mie sopracciglia. Non m’importava.

«Chi è con Tracy?» chiesi nel buio.

«È in buone mani, Renoiera,» rispose Cassius.

«Smettila di chiamarmi così!» urlai e il suono riecheggiò per tutto il garage. «Una

Renoiera incapace di fermare l’unica persona che sta facendo del male a tutti? Incapace

di salvare Rhode? Erano i soli due motivi che ci avevano spinto in quel dannatissimo

posto! Volete che lo uccida; non ne sono stata capace. Non sono la regina di nessuno.»

Uscii dalla macchina e mi diressi verso la porta per andare a controllare Tracy.

Mi fermai in cima alle scale che portavano in casa; dovevo a tutti delle scuse sincere.

«Mi dispiace di non avervi parlato delle armi elementali. Volevo essere sicura di

potervi proteggere davvero. Immagino che fossero il mio segreto. Ma…» e feci un

respiro profondo… «la verità è che non sono in grado di proteggere nessuno.»

Cassius fece per rispondere, ma lo interruppi, spostando la treccia per mostrare il

collo. Feci vedere loro le ferite circolari che le zanne di Justin mi avevano lasciato sulla

pelle.

«Ormai dovreste averlo capito che Justin può farmi del male. Ha cercato di nuovo

di trasformarmi in vampiro in quella casa. Se non fosse stato per Tracy, in questo

momento mi starei già trasformando.»

«Pensavo avessi detto che non può ferirti se ti ama.» disse Tony.

«Ormai non è più capace di amare.» rispose Cassius con un filo di voce. Gli occhi

di Micah si sgranarono per l’orrore.

Non parlai, perché ero senza fiato. Spasmi di dolore mi percorrevano gambe e

braccia. Il dolore mi distraeva.

«È arrivato il momento.» dissi. «Dobbiamo andarcene il più velocemente possibile.

Trovatemi delle armi.»

Riuscimmo a organizzarci per tornare a Wickham nel giro di un paio d’ore. I genitori

di Tracy e Tony sarebbero stati avvisati se fossero stati lontani dal campus per troppo

tempo. Avevo bisogno anche di organizzare un piano. Non mi sarei gettata di nuovo

nel pericolo senza valutare le mie possibilità. Inoltre, molti dei Demelucrea, Cassius

ed Esteban compresi, dovevano guarire. Anche loro avevano bisogno di sangue.

Mi sedetti sul divano del soggiorno e strinsi l’arco di Liliana in grembo. Feci

scivolare le dita sul legno leggero.

Cassius fece per me quello che avrei dovuto fare io giorni fa, quando Liliana era

riuscita a colpire con l’arco Justin su Main Street. Avevo tenuto la freccia di quella

notte nella mia borsa. Dopo averla esaminata, Cassius la buttò nel fuoco del camino.

«Anche se riuscissimo a prelevare un campione soddisfacente da quella freccia, ci

vorrebbero giorni per capire cosa c’è nel sangue di Justin» spiegò Micah. «E non

abbiamo tutto quel tempo.»

La freccia per tutta risposta scoppiettò e sibilò tra le fiamme. Al bruciare del sangue

e degli incantesimi la cattiveria e il potere di Justin evaporarono nel fumo. Tutta la

magia raccolta in quell’onice sparì dopo la sua distruzione.

«Qualche arma di Fuoco è rimasta?» chiese Cassius.

«Quelle di Tony e un anello d’argento le ho nel cofano. Penso che dovremmo

tenercele come ultima speranza. Non si sono rivelate di grande aiuto per me.»

«Sono comunque qualcosa.» disse Tony.

«Come faremo a entrare nella casa degli Svuotati?» chiese Tracy mentre sorseggiava

del tè. «È il prossimo passo del nostro piano, giusto? Andare a riprenderci Laertes e

Rhode?»

«Non sappiamo nemmeno che cosa Justin stia cercando di proteggere.» fece notare

Tony. «Quando eravamo in quella casa, sembrava interessato solamente a catturare

Rhode e a tenere quel libro. Avete visto come ha cercato di riprenderselo dopo che gli

era stato tolto di mano?»

«Il libro potrebbe spiegare la fonte del suo grande potere.» rispose Cassius.

«Spiegherebbe la sua ossessione nel proteggerlo. Ed è anche il nostro unico indizio.»

Micah e Cassius incontrarono il mio sguardo. «Andiamocene.» dissi. Micah iniziò a

preparare una borsa e mise al suo interno un pugnale fregiato col mio simbolo. Tintinnò

contò le altre armi.

«Non ho paura di affrontare Justin, non dopo quello che ha fatto a Kate.» disse Tracy,

alzandosi in piedi. Lei e Tony continuavano a fare piani di battaglia.

Tracy e Tony, dissi fermamente ai Demelucrea usando solo la mente, non possono

venire.

Sia Micah che Cassius s’irrigidirono. Micah continuò a preparare i bagagli, ma i suoi

occhi cercavano i miei.

Dobbiamo tornare e proteggere la scuola, dissi. Nessun altro deve morire, nessuno.

La voce profonda di Cassius mi risuonò in testa. Sono d’accordo, dobbiamo tornare.

Qualcuno deve proteggere la scuola. Ma è troppo pericoloso per te, Renoiera.

«No,» dissi ad alta voce.

«Che c’è? Non penso che una falce sia troppo,» disse Tony mal interpretando la mia

reazione. Scossi la testa.

Dovresti dirglielo, mi disse Cassius con la mente. Aveva ragione. Com’era quel

detto? Il tempismo è tutto.

«Tony, Tracy, dovete tornare a Wickham.» interruppi io. «Non verrete con me alla

casa degli Svuotati.»

Tracy balzò in piedi «Non esiste! Hai visto quello che Justin ha fatto a Kate… era

una delle mie migliori amiche.»

Appoggiai l’arco di Liliana sul tavolo vicino al divano.

«Non accetto altre opzioni. Dovete restare al sicuro. Solo così potrete proteggere

Claudia e gli altri a Wickham.» Mi alzai e mi misi a braccia conserte. Appoggiai la

schiena contro l’ampia finestra.

Tracy sospirò e serrò le labbra. Dopo un attimo annuì. Forse era stato il riferimento

a Claudia a convincerla.

«Con Micah, Cassius e gli altri Demelucrea» ripresi, «riuscirete a tenere le cose sotto

controllo. Dobbiamo capire il modo migliore per tenere tutti al sicuro. Poi penserò io a

Justin.»

Tony si alzò in piedi, raggiungendomi nel chiarore della luna. «Lo faremo. Puoi

contare su di noi.»

Pegaso, la costellazione del cavallo alato, era sempre stato il mio navigatore. Appena

apparso in cielo, partimmo alla volta di Wickham.

«Toneremo e ci comporteremo come se nulla fosse successo,» dissi dal sedile del

passeggero. Tony era di nuovo al volante. «Se qualcuno ci chiede dove siamo stati,

diremo che ho dovuto far visita a una zia malata e che voi mi avete dato un passaggio.»

«Micah è davvero bravo a falsificare documenti ufficiali,» disse Tracy dal sedile

posteriore. Stava leggendo un promemoria che Micah aveva stampato. Micah e Cassius

ci avrebbero raggiunto nel mio dormitorio alle nove, ma nel frattempo dovevano

controllare il perimetro della scuola. Eravamo d’accordo sul fatto che dopo la battaglia

Justin avrebbe avuto bisogno di un po’ di tempo per riorganizzarsi... d’altronde

avevamo distrutto la sua casa. Ma non pensavo che gli sarebbe servito tanto tempo.

Appena avessi avuto la certezza che Tony e Tracy erano al sicuro, avrei trovato Justin

e lo avrei ucciso. Avevo capito che non c’era un altro modo. Suleen aveva avuto

ragione fin dall’inizio.

Spero davvero di riuscire a proteggerli, dissi ai Demelucrea.

Possiamo e lo faremo rispose gentile la voce di Micah nella mia testa. Cassius rimase

in silenzio, sul sedile posteriore, a riflettere sul piano.

Io, Tony e Tracy ci trovammo sul sentiero che portava ai cancelli di Wickham.

Le luci dello studentato illuminavano il campus.

«Una zia malata, eh?» disse Tony.

«Sì. Molto anziana. Direi decrepita,» risposi.

Avevamo ripassato il discorso per la nostra giustificazione durante il viaggio di

ritorno. Il guardiano uscì dalla sua cabina dirigendosi verso di noi. Mentre aspettavamo

che ci raggiungesse, una leggera brezza cominciò a soffiare tra gli alberi e una foglia

fluttuò come un’altalena, fino a toccare terra. Alzai un braccio, aprii il palmo e la foglia

cadde al centro della mia mano.

Guarda… disse una voce nella mia testa. Era la regina dei vampiri, radicata dentro

di me, che mi ricordava che il pericolo era vicino.

Un uomo era appoggiato alla parete di pietra vicino all’entrata del cimitero di Lovers

Bay. Si nascondeva all’ombra degli alberi. Indossava una giacca di pelle leggera e

aveva le mani in tasca.

«Andate,» sussurai a Tony e a Tracy. «Andate dal guardiano.»

«È un vampiro?» sussurrò Tracy a sua volta.

L’altro lato di Main Street era più affollato, specialmente vicino alla caffetteria.

Eccolo lì! Un secondo vampiro! Stava in piedi, all’ombra creata dal palazzo

dell’ufficio postale. Ci stava guardando con le braccia conserte, ma non si mosse verso

la luce del lampione.

Il guardiano alzò una mano e ci impedì di attraversare il cortile. «Tutti e tre siete

stati messi in lista per vedere immediatamente la preside Williams. Lo sapete che non

avete il permesso di lasciare il campus per periodi prolungati, specialmente senza un

permesso. Stavamo per chiamare i vostri genitori.»

Chi avrebbero chiamato nel mio caso?

Altri due vampiri aspettavano in fondo alla strada. Un altro era in un’auto

parcheggiata vicino al ristorante di Lovers Bay.

«Venga con me, signorina Beaudonte.» disse il guardiano. Sulla strada, il vampiro

con la giacca di pelle alzò il mento e si accigliò.

Tutti loro, tutti i vampiri su quella strada osservavano i nostri movimenti. Sembrava

proprio che avessi ragione su Justin. Non avevo alcun dubbio sul fatto che quei vampiri

fossero lì su suo ordine.

Erano venuti a Lovers Bay, perché era stato ordinato loro di farlo.

Erano venuti per me.

CAPITOLO 19 Traduzione: Valeriuccia921

«Non abbiamo saltato nessuna lezione.» gemette Tracy.

«La cosa è irrilevante signorina Sutton. Kate Pierson e Rhode Lewin sono stati

dichiarati dispersi durante la stessa settimana.» disse la preside Williams mentre si

metteva comoda nel suo ufficio, «Eravamo terribilmente spaventati. Immaginate cosa

sarebbe successo se i media avessero scoperto delle nuove sparizioni.».

«È questo che la spaventa?» chiesi, «La cattiva pubblicità?».

La preside s’innervosì nuovamente. «Tenga per sé le sue opinioni, signorina

Beaudonte. Mi aspetto che voi tre rispettiate il coprifuoco, non avrete diritto di visita

per quarantotto ore. Non potrete lasciare il campus. Mi aspetto anche che rispettiate

fedelmente il regolamento della scuola per il resto del semestre. Nonostante i dubbi

espressi dalla signorina Beaudonte, quello che m’interessa è la vostra incolumità. Ci

rivedremo domani all’assemblea scolastica.».

Uscimmo dall’ufficio.

«Tenga per sé le sue opinioni.» scimmiottò Tony. Sospirò e un fremito gli passò

lungo il corpo, «È davvero brava, e spaventosa.»

«È un’idiota.» risposi.

«Vado a cercare Claudia» sentii dire a Tracy. Il modo in cui serrò le labbra mi fece

capire che, senza Kate, si era ormai imposta di riuscire a proteggere gli amici rimasti

al campus.

Tutto stava andando secondo i miei piani.

«Vado con Tracy.» disse Tony, «Sono quasi le otto.».

Non m’importava nulla di ciò che aveva detto la preside Williams. Non facevo più

parte del mondo della Wickham Boarding School. Lo avevo accettato nel momento in

cui avevo chiesto alle Eridi di riportarmi a casa, nel medioevo, non appartenevo più al

mondo moderno.

Rimasi in piedi con le gambe divaricate e guardai la strada che andava dalla spiaggia

al dipartimento di scienze e al centro multimediale. Raddrizzai le spalle e alzai il mento.

Chiunque fossero quei vampiri mi stavano ancora osservando. Dovevo riuscire a

emanare fiducia e potere.

Non m’importava che gli studenti pensassero che fossi strana.

Non avevo la vista dei vampiri; erano ormai tre anni che non la possedevo più. I miei

occhi passarono dall’infermeria alla Seeker, dai cancelli alla libreria. Mi girai finché il

mio sguardo fu di nuovo rivolto verso di loro. Dissi delle parole che sapevo non

avrebbero potuto sentire, ma che sapevo sarebbero stati capaci di capire leggendo il

mio labiale.

«NON HO INTENZIONE DI ARRENDERMI SENZA COMBATTERE.»

Alle nove in punto aprii la finestra del mio dormitorio. Nel giro di pochi secondi

due paia di braccia e di gambe entrarono dalla finestra.

«Li abbiamo visti.» disse Cassius, «Siamo riusciti a catturarne uno, ma non ci ha

dato molte informazioni.».

«Sono però riuscito ad ottenere questo.» disse Micah mostrandomi un occhio nero.

«Almeno sappiamo che è stato Justin a mandarli qui.» disse Cassius.

«Lo avevo già intuito.» risposi.

«Non saresti dovuta tornare qui.» disse Micah rivolgendosi a me.

«Come è riuscito a raccoglierne così tanti? Ha spedito un telegramma?» chiesi.

«Penso che ormai siano più di moda le e-mail.» rispose Micah sorridendo.

Non ero dell’umore giusto per ridere.

«Dovremmo tornare a casa mia.» disse Cassius, «Stanotte. Tu ed io dovremmo

andarcene.»

«Non possiamo lasciare Tony e Tracy da soli. Abbiamo bisogno di un piano per

scoprire cosa vogliono i vampiri.».

«Ho come l’impressione che lo scopriremo in ogni caso.» disse Cassius. Micah

annuì e quando volse di nuovo il suo sguardo verso di me, il livido sopra il suo occhio

era già passato da nero a una pallida sfumatura dorata. «Abbiamo provato a negoziare,

ma il nostro aspetto non li convinceva. Ci pensavano una minaccia.».

«Quando hanno capito che cosa siamo, ci hanno attaccati.» disse Micah, «E ci hanno

promesso che ne arriveranno altri.».

«E questo è esattamente il motivo per il quale devi andartene.» mi ordinò Cassius.

«Non finché non avrò prova che Tony e Tracy sono al sicuro.».

«Dov’è Tracy adesso?» chiese Cassius.

«È in camera di Claudia. Tornerà presto. Dammi fino a domattina.».

Quella notte rimasi seduta alla finestra, con la testa appoggiata alla parete dietro di me.

Avevo con me il pugnale. Un’arma al mio fianco mi faceva sentire più tranquilla, anche

se Cassius e Micah erano di guardia sotto la mia finestra. Avevo perso la spada di

Fuoco durante la battaglia a casa di Justin, ma avevo ancora il pugnale. Il campus era

silenzioso. La notte era caduta sul cortile del campus e sui boschi nei dintorni della

Wickham. Delle ombre si muovevano lungo il perimetro, delle figure aspettavano,

pregando per la mia fine.

Che cosa aveva promesso Justin a tutti quei vampiri che mi stavano dando la caccia

a Lovers Bay? Qual era il suo piano?

Era solo un piano di riserva nel caso in cui fosse stato trattenuto?

Mi allontanai dalla finestra appena mi accorsi di un vampiro appollaiato sui rami di

un albero. Aveva la testa appoggiata al braccio e mi stava fissando.

«Era questa la vita che facevano gli altri?» Tracy fece una pausa, «Morte e paura

che ti seguono in ogni momento?».

Pensavo si fosse addormentata. Era tornata a casa ed era andata direttamente a letto.

Abbassai le tende nascondendo la nostra stanza dai vampiri che ci stavano controllando

nella notte. Mi girai verso di lei e appoggiai di nuovo la schiena alla finestra.

«La morte non fa in fondo parte della vita?» le chiesi.

Si girò su un fianco. «Non ho paura di morire.» disse, «Ho paura di non poter riuscire

a vivere la mia vita. Invecchiare, sposarmi, avere un sacco di bambini mezzi asiatici

con Tony.».

Le sue parole mi piacquero molto.

Capivo benissimo a cosa si riferisse. Una vita non vissuta era probabilmente molto

peggio di un’eternità da non morta.

«È questo quello che voglio.» disse con voce calma, «E sono sicura che l’avrebbe

voluto anche Kate.».

«Lo avrebbe voluto anche Justin.»

«Già…» disse, «Ora però, dopo di quello che ho visto, il mondo è diverso, io sono

diversa.».

«Diversa come?»

«Voglio andare al college. Voglio cantare nella recita natalizia. Voglio essere

presente alla cerimonia di diploma del mio fratellino.».

Non sapevo che Tracy avesse un fratello più piccolo. Avrei voluto parlare di

Genevieve, ma lei continuò a parlare. «Voglio andare al ballo di fine anno con Claudia

e farci una foto in quello stupido stanzino.» la sua voce s’incrinò nel nominare Claudia.

«Adesso però, non so più se sarà possibile. Potremmo morire Lenah. Potremmo morire

tutti.» Il tono della sua voce era triste e consapevole allo stesso tempo. Cercò di

nascondere le mani in modo che non me ne accorgessi, ma le vidi chiaramente tremare

nel chiarore della luna.

Mi misi vicino al suo letto e strinsi le mani fredde di Tracy nelle mie.

«Ti proteggerò. Non so ancora come, ma farò tutto quello che potrò. Anche se

dovesse significare morire.»

Tracy mi strinse al suo corpicino.

«Salva Rhode.» disse tirando su col naso, «Portalo in salvo. Non possiamo perdere

nessun altro.».

Me ne ero quasi dimenticata. In questo mondo Tracy e Rhode erano compagni di

classe, erano amici.

«E Justin?» chiesi, «Non vuoi più che lo salvi?».

«Io non sono come te e Tony.» disse soffiandosi il naso, «Io non riesco a

perdonare.». Non volevo dirle che anch’io ero giunta alla stessa triste conclusione.

Si alzò dal letto e staccò le foto dallo specchio. Aspettò dandomi le spalle, ma

riuscivo a vedere il suo viso nel riflesso dello specchio. Strinse le labbra e una fece una

smorfia cercando di non piangere.

«Qualunque cosa sia quella che ora vive nel corpo di Justin, non è il ragazzo che

abbiamo conosciuto al primo anno. Non è lui Lenah.» Singhiozzò e si voltò verso di

me, asciugando le lacrime. «Katie era la mia migliore amica.» Scosse i capelli, inghiottì

le lacrime e alzò il mento decisa. «Ed io voglio vedere tutti i vampiri morti. Uno per

uno.» Se ne andò in bagno e chiuse la porta.

Aspettai vicino al suo letto. Mi dispiaceva che li volesse tutti morti, ma non potevo

biasimarla. Forse Tracy non avrebbe mai potuto capire la complessità dell’essere un

vampiro. Aveva trascorso il suo tempo solo con i Demelucrea e loro erano qualcosa di

speciale, degli ibridi pienamente in possesso delle loro facoltà mentali. Se avesse

compreso il dolore di Justin, sarebbe stata più compassionevole?

Justin voleva solo distruggere la mia vita. Capivo quel desiderio, il bisogno di

distruggere. D’altronde io stessa avevo vissuto quel desiderio di distruzione. Ma aveva

ragione. Non era più il ragazzo che avevo amato alla Wickham.

Andai alla scrivania. Le foto di Justin e Kate erano impilate. Ne sollevai una di Justin

e dei suoi fratelli. Nella foto abbracciava Curtis e Roy. Kate, Claudia e Tracy sedevano

sotto di loro, anche loro abbracciate. Avevo bisogno di tenere quella foto. Forse come

monito di quanto le nostre vite potessero cambiare velocemente. La infilai nella tasca

dei miei jeans.

Mi appoggiai al cuscino. Scorsi un’ombra e guardai fuori.

La notte avrebbe dovuto essere mia amica. Una volta il cielo e le stelle mi erano di

guida per risolvere i problemi.

Ora però, non riuscivo a vedere le costellazioni. Le uniche cose che riuscivo a vedere

erano buio e ombre.

«Spero vivamente che continuerete a seguire queste regole.» disse la preside Williams

all’assemblea del giorno seguente. Io, Tony e Tracy eravamo seduti in fondo

all’auditorium. In questo modo potevamo vedere l’intero corpo studentesco.

L’amministrazione aveva ideato un nuovo programma a coppie. Avevo già visto la

Wickham così prima d’ora. Programmi a coppie, chi si aiutava e chi se ne andava. Era

tutto inutile se…

Il mio corpo scattò.

Con un rumore assordante, un’esplosione mandò frammenti di vetro illuminati dal

sole per tutta la stanza.

La gente cominciò a urlare e gli studenti più anziani si alzarono di corsa in piedi. La

maggior parte degli studenti era alla porta prima ancora di poter capire chi stesse

attaccando.

Vampiri di entrambi i sessi e di tutte le età entrarono nell’auditorium. Dovevano

essere almeno una trentina.

Il vampiro con la giacca di pelle che avevo visto in strada alzò un braccio indicandomi.

Sguainai il pugnale e saltai verso il palco.

Tony mi seguì.

«No. portali fuori di qui. Salva più studenti che puoi!» urlai.

Tracy spinse una ragazza che non riconobbi verso la porta.

Un altro vampiro corse verso di me, ma Tony lo colpì e lo fece volare sul pavimento.

Mi misi in ginocchio e trafissi il cuore del vampiro.

«Ce n’è un altro!» urlò Tony

«Porta gli studenti e gli insegnati fuori di qui!» gli urlai «Ricordi il dipinto della

galleria? Trova un posto sicuro.»

Mi strinse la mano come gesto di buona fortuna e corse verso l’uscita principale.

Almeno altri dieci vampiri entrarono dalle finestre.

Cassius! Urlai nella mia testa.

Siamo qui! Appena la sua voce risuonò nella mia testa sbucò di corsa da dietro il

palco.

Il vampiro della strada stava spingendo via degli studenti in modo da riuscire a

raggiungermi.

«Lenah!» sentii Tracy chiamare. Non riuscivo a trovarla in quella confusione. Mi

concentrai sul vampiro che correva verso di me. Una volta che fu abbastanza vicino, lo

colpii con un calcio centrandolo negli stinchi.

Gli studenti cercavano di evitarci correndo verso l’uscita.

«Dammelo!» urlò il vampiro della strada.

«Darti cosa?» schivai un pugno e affondati il pugnale. Lui saltò di lato e mancai la

presa. Uno zaino volò verso il soffitto.

«Non fare a finta di non capire. Dammelo e ti ucciderò prima che Justin possa

raggiungerti.».

Il vampiro cercò di graffiarmi, ma girai le anche colpendolo con un calcio laterale

spedendolo contro le sedie.

«Che qualcuno aiuti Lenah! Chiamate la sicurezza!» urlò la signora Williams, ma

ben presto fu spinta fuori da un ammasso di studenti.

«Guarda i loro denti!» urlò una studentessa del secondo anno, e un vampiro la spinse

a terra. Il mento della ragazza colpì il pavimento con un tonfo e il vampiro si diresse

nuovamente verso di me.

Cassius superò le sedie e mi raggiunse con velocità quasi animalesca.

Altri due vampiri stavano correndo verso di me, uno da sinistra, l’altro da destra.

Ero circondata. Stringevo il pugnale con entrambe le mani e trattenevo il fiato

preparando l’attacco. Avrei voluto avere ancora con me la spada.

Cassius fermò un vampiro che si stava arrampicando sulle sedie strattonandolo per

la coda di cavallo e lo spinse al suolo. Dozzine di vampiri mi stavano accerchiando.

Un ammasso di braccia, gambe e zanne.

Un urlo familiare risuonò nell’aria. La voce di Tony.

Era in fondo all’auditorium con le mani in fuori, come se avesse appena lanciato un

disco. La porta era dietro di lui e la luce del giorno faceva capolino dall’esterno. Il sole

illuminò un pezzo d’argento di forma circolare che volò in aria.

L’arma di Tony. L’anello d’argento.

L’anello d’argento divenne di uno strano colore olivastro. Prese la forma di un’orbe

e tutti i vampiri si fermarono per seguirne i movimenti.

Cercai inutilmente Tracy tra i pochi studenti rimasti nell’auditorium. L’orbe

trasmetteva la sua energia attraverso tutta la stanza.

Tony aspettava vicino alla porta. L’Anello, che rappresentava l’elemento della terra,

era un orbe che cambiava colore scurendosi sempre di più. Passava da un color peltro,

a un color carbone, fino ad arrivare a un marrone scuro. Cassius e Micah raggiunsero

Tony con un balzo. L’orbe s’indurì e girò verso di noi, ormai del colore della terra più

scura.

Il pavimento tremò sotto di me e dovetti reggermi a una sedia lì vicina.

La massa in volo diventava sempre più grande. Piccole esplosioni di polvere

riempirono l’auditorium. Alcuni dei vampiri s’inciamparono gli uni sugli altri nel

tentativo di uscire, scivolando sulla polvere.

Rimasi immobile nella fila di sedili in cima all’auditorium. Era piombato il silenzio.

Avevo poco tempo…

Mi guardai intorno per vedere se trovassi qualche studente della Wickham tra la folla

formata dai vampiri, ma sembrava che tutti fossero riusciti a uscire.

L’orbe cadde sul pavimento con forza, schiacciando dozzine di vampiri sparsi per

l’auditorium.

Cassius e Micah si aggrapparono alla camicia di Tony. L’intero edificio tremò e sperai

che il soffitto non ci cadesse in testa. Un peso del genere avrebbe ucciso qualunque

umano all’istante, ma era anche abbastanza pesante da riuscire a spezzare il collo di un

vampiro.

La polvere si era ammassata arrivando fino all’altezza delle finestre. Un odore

pungente ricopriva la stanza. I vampiri che volevano attaccarmi erano scesi da trenta a

sei.

«Arrenditi!» disse il vampiro alla mia sinistra. E saltò verso di me.

Rimasi ferma e, in punta di piedi, fendetti l’aria con il pugnale. Volevo ferire carne

e pelle, volevo disarmare il mio nemico. Parai il colpo ma ricevetti un calcio nello

stomaco. Caddi sull’ultima fila di sedie. Un bracciolo mi colpì alla schiena. Cercai di

sedermi, ma il dolore allo stomaco era tale da farmi tremare. Un altro vampiro saltò

verso di me. Cassius si precipitò e gli mozzò il collo con la spada. La testa del vampiro

volò in cima al soffitto.

Un’armata di vampiri stava scavalcando le finestre. Continuavano ad arrivarne di

nuovi! Non potevamo batterli tutti.

Presi di nuovo il pugnale a due mani e sussultai per il dolore allo stomaco. Mi

preparai per l’impatto, per lo scontro tra corpi, per il dolore. Avrei combattuto. L’odore

acre del sangue mi colpì le narici. Trattenni il fiato, pronta per…

L’aria intorno a me si cristallizzò.

Piccoli cristalli svolazzavano intorno a me.

Ogni volta che espiravo, il mio fiato si trasformava in piccoli filamenti bianchi. Mi

asciugai il sudore dalla fronte e mi girai cercando di capire cosa fosse successo.

Ero avvolta in una sfera d’aria leggerissima.

I vampiri si guardarono l’un l’altro per poi rivolgere l’attenzione verso il posto dove

mi trovavo fino a poco tempo prima. Continuavano a rigirarsi.

«Dove è andata?»

«Che cosa è successo?»

Il mio cuore batteva fortissimo, serravo ancora il pugnale nelle mani.

Allentai la presa e il mio avambraccio, dopo alcune fitte dolorose, si rilassò. Mi

stiracchiai cercando di capire fin dove arrivava la bolla in cui mi trovavo. Le molecole

intorno a me erano come sospese nell’aria. Le mie dita sfiorarono la polvere

cristallizzata ma le piccole particelle si dissolsero come nubi. I cristalli si mossero. Si

muovevano verso la polvere che ricopriva le file dell’auditorium.

I vampiri si crearono un passaggio tra l’erba e la polvere che portava al palco da

dietro il podio. Apparse Laertas, uscì dall’ombra del backstage e raggiunse la cima

della collina nella mia direzione.

«Lenah» urlò Cassius. Era proprio davanti a me. Il terrore nella sua voce mi fece

sussultare.

«Cassius» urlai. Non mi sentì.

Provai a raggiungerlo con la mente. Puoi vedermi Cassius? Laertes è qui.

Cassius non rispose. I miei pensieri non riuscivano a raggiungere la sua mente da

dove mi trovavo.

Sarei potuta morire in questa sfera, con il potente vampiro che camminava verso di

me. Ma non avevo paura di lui.

Gli ultimi vampiri sgattaiolarono fuori dall’auditorium per la stessa via dalla quale

erano entrati, qualcuno si lamentava che fossi scappata grazie ad un incantesimo molto

potente.

Laertes, lo svuotato che nessuno era riuscito a trovare, camminava verso di me,

zoppicava sulla gamba sinistra. Indossava il suo familiare completo nero, ma era ormai

ridotto a degli stracci. Nonostante lo zoppicare, non ebbe problemi a raggiungere la

cima della collina.

Nei suoi occhi non c’era la voglia di battaglia che mi aspettavo. Piegò la bocca in un

sorriso. Era un uomo molto vecchio, con la faccia tirata, era più magro di quanto

ricordassi. Avrebbe potuto essere sulla cinquantina quando era stato trasformato in

vampiro, ma adesso mi sembrava molto più vecchio. Quando finalmente arrivò di

fronte a me, puntò il dito verso il pugnale di Fuoco che stringevo tra le mani e sorrise.

«Ha davvero un ottimo gusto la ragazza vero?» prese il pugnale. Rimasi sorpresa

dalla mia calma. Non avrei dovuto essere spaventata? Non avrei dovuto cercare di

combatterlo? Ero sopraffatta dalla necessità di risposte.

«Sei riuscito ad ottenere in qualche modo il mio sangue? Dal tetto di onice nella tua

casa? Com’è possibile.» gli chiesi.

«È un’ottima domanda» disse guardando le pietre dell’elsa. «L’onice è davvero una

pietra molto potente.».

«Fantastico. Gli indovinelli.» risposi disgustata.

Laertes si mise di nuovo a ridere. Un mare di vetri rotti scricchiolava alla base dei

suoi vestiti.

Un forte vento penetrò dalla finestra portando con sé l’odore di Lover Bay. La stanza

adesso era vuota.

«Ti ho appena salvato la vita. Mi sarei aspettato almeno un grazie.» disse.

«Sei arrivato tardi e quello è il mio pugnale. Non penso di essere ancora fuori

pericolo.».

«Credimi Lenah Beaudonte. Potresti uccidermi a mani nude.»

Laertes s’incamminò lentamente verso una sedia. Attraverso le finestre dai vetri rotti

sentivo la gente chiamare il mio nome.

Laertes si accomodò sulla sedia. Solo in quel momento mi resi davvero conto della

gravità delle sue ferite.

«Ho usato le mie ultime forze per venire fin qui. Sono riuscito a fuggire da un luogo

che avevo reso praticamente inevadibile.».

«Sei dovuto scappare da casa tua?»

Eravamo ancora nella sfera mentre parlavamo.

«Come faccio a sapere che non sei qui su missione come gli altri vampiri?» chiesi

mentre mi tranquillizzavo. Non mi sentivo ancora abbastanza a mio agio per sedermi.

«Cosa? Mi credi forse una specie di spia?» disse con un altro sorriso. Quando aprì

la bocca, sussultai alla vista dei buchi, anche se sapevo che gli svuotati si facevano

togliere le zanne come prova della loro dedizione alla conoscenza e al sapere.

«Sì», riuscì finalmente a dire, «Potresti essere una spia.».

«Quest’imboscata è stata un’idea stupida da parte di Justin. Voleva riuscire a

stanarti.» disse, «Ero perfettamente consapevole che saresti rimasta uccisa, così sono

dovuto venire qua per una serie di motivi. Ho aspettato finché non eri davvero in

pericolo di vita.».

«Potresti uccidermi.»

«Siediti» mi disse, «Ho qualcosa per te.»

Frugò nelle tasche e tirò fuori un pezzo di carta.

«Questo ti porterà da Justin e porterai a termine la tua missione, Lenah Beudonte.»

disse Laertaes. «Potrei non riuscire a prenderlo io stesso. Lo tiene troppo sotto controllo

ed io, beh…» disse guardandosi le mani rugose, «io non ho più le forze.».

Aprii il foglio di carta. Vi era scritta una parola: Vereselum

«Ecco com’era.» emisi uno stridio con la voce, «Vere-selum. Che cosa significa?»

«Ti dirò solo una cosa, questo è il miglior regalo che potessi farti.».

Sapevo bene che orami il discorso era chiuso, non mi avrebbe detto altro, poco

sarebbero importate le mie suppliche.

Qualcosa della cattiveria di Laertes svanì. Ricordavo fin troppo bene il suo desiderio

di usare il mio sangue per richiamare le eridi. Questa volta però, la sua espressione

trasmetteva ammirazione. Sembrava lo sguardo di un nonno, o uno zio amorevole. Non

avevo mai avuto nessuno dei due, nemmeno da umana.

«Perché mi stai dando questo?»

«Diciamo solo che ultimamente il mio cuore ha cambiato direzione».

«Il tuo cuore? È un parolone detto da te!»

«È un brutto taglio.» disse Laertes riferendosi alla linea frastagliata che scendeva

lungo il mio dito medio.

«Perché?» continuai a chiedere ignorandolo, «Perché creare un Demelucrea dal mio

sangue? Come sei riuscito ad ottenere il mio sangue?».

«Dovresti pulire quella ferita» disse indicando nuovamente il taglio e sospirando,

«se proprio vuoi saperlo, non avevamo intenzione di perdere noi stessi.» ammise

Laertes, quella strana aria girava ancora sopra di noi. «All’inizio la nostra conoscenza

doveva essere un mezzo per raggiungere il potere. I vampiri più potenti sarebbero

diventati re dell’oscuro mondo dei vampiri. Poi rinunciammo alla capacità di amare.

Ma con quella perdemmo anche la passione, la pietà e la gioia.».

«Anche Justin ha fatto la stessa scelta.» dissi con un tono calmo.

Laertes allungò il braccio destro, sussultai. Allargò le dita in modo da mostrare che

l’indice e il medio delle sue mani erano stati mozzati all’altezza delle nocche. La pelle

era marrone e piena di lividi lì dove aveva perso la punta delle dita.

«Gli è bastato tagliarmi due dita prima che rivelassi come rinunciare all’amore. È

stato troppo per la mia forza interiore. Ero più potente quando c’erano anche i miei

fratelli.».

Intendeva Rayken e Levi. Avevo davvero il coraggio di provare pietà per quel

mostro?

«Pensammo che creare degli ibridi fosse un’ulteriore prova del nostro potere, se

potevamo creare creature del giorno e della notte, avremmo potuto uccidere in ogni

momento. Comandare di giorno come di notte.»

Laertes si alzò in piedi stringendo ancora il mio pugnale. Se lo rigirò tra le mani.

«Non eravamo che la più debole forma di vampiro. Volevamo far scorrere via il

nostro dolore. Siamo stati dei codardi.» disse mentre ammirava i rubini.

«E adesso avete creato un mostro.» dissi con calma.

«Non è capace di provare amore. E senza di me non potrà essere così…efficace.».

«Ma ci hai provato, hai provato a rimettere al suo posto l’amore che avevi tolto.».

«Ho trascorso ore, anni, decadi nel tentativo di rimettere l’amore al suo posto dopo

averlo perso.».

«E l’onice? Forse se distruggessi il soffitto di casa tua, l’amore tornerebbe al suo

posto.».

«L’amore non è un incantesimo, l’amore non si fa comandare dagli incantesimi, non

si fa comandare dal potere. È una luce bianca, come la tua anima. Una volta rimossa,

non potrà più tornare indietro. L’onice non può essermi d’aiuto. Perché pensi che

abbiamo voluto a tutti costi che Rhode facesse delle ricerche?

È impossibile. Tutto quello che adesso provo, è pietà. Colpevolezza. Forse un

minimo di compassione, ma mai amore. Non posso più provare amore per nulla. Justin

mi ha obbligato a rivelargli il segreto in modo da non essere più vittima del suo amore

per te.» fece una pausa. La mano mutilata reggeva ancora il pugnale.

Odiavo quella parola, vittima. Alcune persone erano vittime, sì, ma noi eravamo

sopravvissuti e potevamo almeno controllare il male che si diffondeva alla Wickham.

Volevo chiedergli dove mi avesse portato Justin quando aveva provato a togliermi

l’anima, ma Laertes si era alzato, il pugnale immobilizzato nella sua mano.

«Cosa vuoi fare con quel coltello?»

«Sono vecchio. Ho 1795 anni. Non amo niente e nessuno. Ho fatto del male ad

abbastanza persone.»

«Possiamo trovare un modo per riottenere il tuo amore.» dissi, «Ho trovato una

possibilità no? Insieme ci riusciremo.»

Alzò il pugnale e lo rivolse verso il suo petto.

«Le anime gemelle sono rare. Più rare di quanto tu possa credere.» disse, «Ma questo

potrebbe essere il caso.» scosse la testa, «Amore, dopo tutto questo tempo.».

Prima che avessi il tempo di fermarlo, Laertes si trafisse il cuore con il pugnale. Si

accasciò al suolo. Il suo corpo emanò una scossa che mi scostò i capelli dalla faccia.

Un’onda d’energia uscì dal suo corpo e si diffuse in tutta la stanza. Un tonfo venne

dall’alto e le numerose finestre del soffitto esplosero ricoprendo l’auditorium di piccole

schegge di vetro. Fui spinta indietro dall’onda d’energia e la mia testa sbattè contro lo

spigolo di una sedia.

Mi si annebbiò la vista e la testa cominciò a pulsarmi dal dolore. Mi allungai

cercando il mio pugnale, ma la luce mi accecò e persi le forze. Mi allungai nuovamente

e questa volta le mie dita incontrarono i granelli famigliari dei resti di un vampiro,

quelli di Laertes. Accasciai la testa sulla moquette e la vista mi si annebbiò

nuovamente.

«Dov’è il tuo potere adesso?» sussurrai. Appena le mie parole svanirono nel buio,

mi ricordai una frase.

Fuoco, fuoco, fuoco di vita; ci spargeremo come polvere una volta morti.

C’era dell’erba ai miei piedi. Erba di un verde splendente, di un verde quasi surreale,

come se qualcuno l’avesse dipinta troppo verde e troppo lucente.

E poi quell’odore. Inspirai profondamente…lavanda. Sbattei le palpebre, non ero

più nell’auditorium. Ero da sola in mezzo a un campo. In lontananza un famigliare

castello di pietra troneggiava le colline di lavanda. Il sole era alto nel cielo, ma i suoi

raggi non sembravano raggiungere il campo.

Aspetta…conosco questo posto. Mi girai circondata dalla lavanda che ondeggiava

al vento. Sono già stata qui! Quando Vicken mi trasformò nuovamente in vampiro. Ma

c’era anche Rhode. Mi girai cercandolo, il vento che soffiava tra i campi portava con

sé un odore che amavo, un odore di terra.

Qualcosa si stava muovendo lì fuori.

Esitai

C’è qualcuno qui. La figura si stava avvicinando. Alta, spalle larghe. Un uomo. La

figura si avvicinava sempre di più. Mi morsi un labbro.

La figura era alta con capelli molto corti. Sì. Sì. Sì. Sì.

Corsi verso di lui.

«Rhode!»

La figura velocizzò il suo passo.

«Rhode!» urlai nuovamente. Avevo la pelle d’oca. Questo era il nostro posto. Solo

nostro.

«Lenah!» la sua voce. È Rhode e sa chi sono. Lo capisco dal tono della sua voce.

«Lenah! Sto arrivando!».

Potrei restare in questo posto per sempre, dovunque esso sia. Non l’avevo già detto

in passato? Lo farei. Per sempre.

La strana figura sbucò dall’aria permettendomi di riconoscerla pienamente. Le

braccia di Rhode si muovevano ai suoi fianchi mentre correva verso di me.

Il sorriso di Rhode si allargò. È sano, umano e i suoi occhi blu brillavano.

Gli saltai al collo e strinsi le mie gambe intorno alla sua vita. Rhode mi riempì di

baci finché le mie guance non si bagnarono di lacrime. Continuò a baciarmi. Sul naso.

Sulle labbra. Sulla fronte. Non potevo parlare.

«Ti amo, lo sai vero?» chiese dolcemente, ma l’intensità del suo tono mi fece quasi

tremare.

«Lo sai quanto ti amo?» mi alzò e i miei occhi incontrarono i suoi. Le mie gambe

ancora attorno a lui.

«Non lasciarmi andare!» piansi. Ci tenemmo stretti. Non doveva lasciarmi andare,

non poteva lasciarmi andare. Ma dopo alcuni minuti mi sdraio nell’erba.

«Ti amo.» sussurrai, «E farò di tutto per salvarti.».

Si piegò sopra di me, passandomi le mani tra i capelli.

«Sono così preoccupata per te.» dissi e la sua bocca fu di nuovo sulla mia. «Che

cosa vuole Justin?» gli chiesi appena si spostò, «Com’è potuto succedere?».

«Credeva che se mi avesse nuovamente trasformato in vampiro mi sarei ricordato

ogni cosa e che avrei potuto trasformarlo nella tua anima gemella al mio posto.».

«Ma è impossibile.»

«Adesso lo sa e i suoi desideri sono cambiati.».

«E quali sono?»

«Non lo so»

Rhode si sedette e ruotò il corpo verso la direzione da cui era arrivato.

«Che cosa stai guardando? Justin può riuscire a trovarci qui? In questo posto?» mi

voltai per guardare nella stessa direzione di Rhode.

«Non penso. Posso sentirlo dove ho lasciato il mio corpo.».

«Quanto tempo abbiamo?»

«Istanti, come sempre.» si girò di nuovo verso di me. «Ascolta Lenah. Questo è il

posto dove potremmo sempre andare. Tu ed io. Le nostre anime. È per questo che ti ho

trovata qui dopo che Vicken ti aveva nuovamente trasformato in vampiro dopo il ballo

invernale.».

Mi spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le sue morbide labbra furono di

nuovo sulle mie.

«Ti troverò sempre. Dovunque tu andrai, io ci sarò. Non dimenticarlo mai.» disse.

«Se abbiamo così poco tempo, c’è una cosa che devo sapere. Come faccio a portarti

fuori dalla casa degli svuotati?».

«È una magia molto complicata.» disse, «Non è stato Justin a crearla e non può

controllarla a pieno. È più potente di lui. Laertes non si trova e lui è il solo che possa

davvero controllare la casa. Non sono nemmeno sicuro che Justin sappia come

usarla.».

«Laertes è morto. È venuto da me. E ascolta, Rhode…» odiavo doverglielo dire,

«Justin ha ucciso Suleen. È morto tra le mie braccia.»

Volevo mostrargli il braccialetto macchiato di sangue, ma in questo mondo speciale,

in questo mondo sospeso tra i mondi, non lo avevo con me.

Rhode piegò la testa ed espirò profondamente. «La miglior cosa che possiamo fare

a questo punto è farcela.» disse.

«Devi sempre usare la testa. Quelli che non hanno confidenza con la magia della

casa possono perdere la loro sanità mentale nei suoi labirinti di trabocchetti. Più sarai

spaventata, più i labirinti saranno difficili.».

«Dove posso trovarti?»

Si alzò e mi strinse a sé. Guardò nella direzione da cui era venuto.

«Sono nella libreria con Justin. Ma devi promettermi che se ti sentirai smarrita, mi

lascerai lì.» mi disse.

«Non posso promettertelo.»

«Sta arrivando. Devo andarmene.» mi mise le mani sulle spalle. «Justin è convinto

di poter far evaporare la mia anima. Ogni volta che ci prova fallisce, ma ci sta andando

sempre più vicino. Non so quanto tempo avrò ancora prima che ci riesca.».

Lo strinsi di nuovo a me. Volevo chiedere dei suoi ricordi e di come potessi fare per

farlo ricordare, ma non c’era più tempo.

«Ti amo. Devo andarmene.» disse.

«Verrò a salvarti.» risposi.

«Devi avere fiducia in te stessa Lenah. E ricordati, il cattivo e quello che pensa da

cattivo.» disse.

Il sole ricopriva il campo. Rhode indietreggiò senza rompere il contatto visivo. Avrei

voluto rincorrerlo, ma il sole era troppo luminoso. Non riuscivo a vederlo.

«Rhode!» urali, «Rhode aspetta!».

Nel giro di un attimo non ero più nei campi di Hathersage. Guardai in alto. La pioggia

sbatteva contro un soffitto di vetro. Inalai l’odore di strane erbe e candele accese.

Poteva voler dire una cosa sola. Ero di nuovo a casa di Cassius.

CAPITOLO 20 Traduzione: Valeriuccia921

«Tony» sussurrai. La mia voce era flebile, «Tony e Tracy stanno bene?».

Avevo qualcosa di caldo appoggiato sulla fronte. Lo toccai con una mano e gemetti;

avevo ancora male alla nuca e alle dita. Le contrassi dolcemente affinché smettessero

di formicolare.

«Che cosa hai detto?»

La voce aveva un accento italiano. Cassius.

«Sono al sicuro?» Cercai di mettermi a sedere, ma tutto il sangue fluì nel punto in

cui avevo battuto la nuca contro la sedia dell’auditorium.

Cassius mi aiutò ad alzarmi con le sue mani calde.

«Non muoverti troppo» disse.

«Tracy e Tony» dissi, «Non li ho più visti. Che cosa è successo?»

Cassius esitò, non riusciva a guardarmi negli occhi, «Lenah, Tracy è stata catturata.»

Sussultai e una fitta mi attraversò l’intero corpo fino alla punta delle dita.

«Catturata? Dov’è Tony?»

«Gli altri Demelucrea sono con lui, per oggi è al sicuro.» I suoi occhi argentati

continuavano a muoversi nella luce grigiastra.

Scossi la testa. «Non è ferito vero?»

«Non fisicamente.»

«Tracy è morta?»

«Non lo sappiamo. Justin aveva detto ai vampiri che hanno attaccato il campus, che

avevi un antidoto al vampirismo. Come se fosse una cosa possibile» disse Cassius con

una tale foga che quasi sputò. «È per questo che erano così violenti.»

«Una bugia intelligente» dissi. Ero sul divano del salotto di casa di Cassius. Era tutto

così grigio in confronto al campo soleggiato del mio sogno con Rhode. «Cos’altro

avrebbe potuto spingere un branco di vampiri affamati da me? Probabilmente non la

uccideranno.» dissi, «La useranno come merce di scambio.»

«Crederanno a qualsiasi cosa dirà loro Justin» affermò Cassius. Si alzò e prese

dell’alcol e dell’ovatta da un tavolo vicino. «Quando starai meglio dovremo attaccare

subito.»

«Come fa ad avere tutto quel potere?» mi chiesi arrabbiata. «Laertes è morto. Si è

ucciso davanti ai miei occhi.»

«Hai visto Laertes?» chiese Cassius.

Gli raccontai cosa era successo nell’auditorium. Gli spiegai cosa pensavo fosse

successo non appena Justin mi aveva guardato negli occhi.

«Tutto ciò che sapeva, lo sapeva grazie a Laertes. Forse abbiamo una possibilità in

più contro di lui ora che Laertes è morto.»

Il foglietto di Laertes era ancora nella mia tasca, avrei dovuto mostrarlo a Cassius,

poiché non ne capivo il significato e sospettavo fosse in lingua vampiresca.

«Lascia che finisca di medicarti la mano» disse Cassius.

Gli Svuotati, per quanto fossero orribili, avevano trascorso vite intere a cercare di

capire la loro magia. Il loro studio ci aveva condotto fino a qui. Metà degli Svuotati era

morta. Ora avevamo bisogno di quel libro.

«Sono sicuro che Micah ed Esteban stiano facendo il possibile per liberare Tracy»

disse Cassius e mi disinfettò la ferita al dito con l’alcol. Il bruciore mi fece emettere un

sibilo. «È un brutto taglio» disse Cassius dando un’occhiata alla ferita frastagliata.

«Anche Laertes ha detto la stessa cosa» dissi. «Il taglio…» le mie parole si persero

nell’aria.

Le mani di Cassius furono subito sulle mie. «Che cosa vorresti dire?»

Di colpo capii.

«Aspetta…» dissi alzandomi lentamente in piedi. Un leggero panico trasaliva dal

mio tono di voce.

Avvicinai le dita ai miei occhi. Il taglio era di circa dieci centimetri e si estendeva

per tutta la lunghezza del mio dito medio. Che cosa aveva potuto ferirmi in quel punto

così ripetutamente?

Justin aveva afferrato la mia mano la prima volta che c’eravamo incontrati sulla

Main Street e mi aveva tagliato. Era successa la stessa cosa la notte in cui aveva portato

via Rhode; la ferita aveva bruciato nell’acqua salata della baia.

Aveva bruciato e si era aperta di nuovo quando mi aveva afferrato a casa sua.

«Qualcosa sta continuando a tagliarmi in questo punto» parlai a voce alta, ma non

mi ero rivolta a Cassius, stavo parlando a me stessa.

«Renoiera stai bene?»

Che cosa c’era sulle mani di Justin che potesse tagliarmi? Un anello? L’avevo mai

visto portare un anello? Un ricordo si fece strada lentamente nella mia testa. Che anello

avrebbe potuto portare Justin? I miei pensieri svanirono e mi portai una mano alla

bocca. Trattenni il fiato. Riuscivo a malapena a mettere insieme tutti i pezzi così

velocemente. Oh mio Dio… Era possibile?

«Renoiera? Ti prego la tua paura mi mette a disagio. Non mi piace vederti in questo

stato.»

L’onice legava le persone a un mondo che non li voleva più.

Ero stata distratta, mi ero lasciata distrarre dai cambiamenti sul volto di Justin.

Chiusi gli occhi: Justin correva verso di me attraverso il campo da lacrosse con le dita

allargate. Sul dito medio della mano sinistra portava un cerchio argentato.

«Non devi mai indossare l’onice se non vuoi conoscere la morte, me lo disse Rhode

tanto tempo fa» dissi a Cassius.

Tre anni prima che tornassi nel mondo medievale avevo perso un anello. Era stato

nella battaglia con Odette nella palestra della Wickham. All’improvviso mi tornò in

mente una conversazione avuta con Rhode…

«Ehi…» disse Rhode alzando le sopracciglia, «Dov’è il tuo anello d’onice?

Allungai le mani e allargai le dita.

Il mio anello d’onice era sparito.

«Devo averlo perso durante la battaglia» guardai verso la Hopper. «Vado a

cercarlo» dissi alzandomi in piedi.

«Lascia stare» mi disse, «È una pietra maledetta. Obbliga le persone a rimanere.

Anche le anime. Collega le persone al loro passato e a un mondo che potrebbe non

volerle più.»

«I tuoi pensieri sono confusi Renoiera. Rhode. La Wickham.»

Camminai malferma fino al tavolo e disegnai uno schizzo dell’anello di Rhode.

L’anello che aveva indossato per centinaia di anni, l’anello che io avevo indossato per

centinaia di anni dopo che me lo aveva regalato.».

«Hai mai visto quest’anello?» gli chiesi.

Cassius guardò il foglio portandoselo al viso. «Sì» disse e l’agitazione nella sua

risposta mi fece trattenere il respiro. «Significa qualcosa per te?» mi chiese.

Come potevo spiegarlo a Cassius? Avevo bisogno che capisse la connessione tra

l’anello e ciò che aveva significato per me portarlo.

«Ho un’idea» dissi, «Probabilmente è folle, ma forse può funzionare.»

Ci guardammo negli occhi, solo pochi centimetri ci separavano.

«I tuoi poteri vengono da me. Forse possiamo invertirli» dissi.

Cassius aggrottò le sopracciglia. «Invertirli? Non penso sia…»

«Perché no? Riesci a sentire i miei pensieri che io lo voglia o no. Prendimi il braccio.

Vediamo se riesci a vedere anche i miei ricordi. La mia storia.»

Cassius indietreggiò. «Non lo so.»

Allungai la mano. «Avanti Cassius, almeno provaci.»

Mi guardò di traverso. «Ok» disse e allungò il suo braccio. Questa volta pensai a

delle immagini ben precise e sperai che potesse vederle anche lui.

Camminavo lungo il corridoio della mia casa a Hathersage. Entrai nella sala da

pranzo, quella con il lungo tavolo nero. Rhode era in piedi vicino a una collezione di

gioielli, tutti con la stessa pietra nera.

«Che cosa sono?» chiesi ammirando le collane, gli orecchini e gli anelli, tutti

decorati con delle pietre nere molto simili. Rhode era in piedi vicino a un vampiro alto

che indossava un cappello a cilindro. Entrambi indossavano un completo nero e

osservavano i gioielli al microscopio.

«Non vi fanno male gli occhi?» chiesi.

«Prego signorina» disse il vampiro con il cappello facendo un passo indietro e

offrendomi il microscopio.

Quando guardai attraverso la lente del microscopio, mi mancò il fiato. L’onice in

fin dei conti non è nera, è un insieme di piccoli diamanti compressi tra di loro in modo

da non poter più essere visibili a occhio nudo.

«I piccoli diamanti catturano gli incantesimi e li trattengono, continuano ad

assorbire energia» disse il vampiro alto, «Sono molto potenti. S’indossano per

aumentare il potere dei propri incantesimi.»

«Non ho bisogno di oggetti simili» dissi con un cenno della mano, Rhode invece

prese un anello e se lo lasciò scivolare immediatamente intorno al dito.

«Deve fare attenzione con quella» disse il vampiro, «Quella pietra ha una vera…»

scelse con calma le parole, «Personalità. Conosce il sangue, quindi faccia attenzione

a non sanguinarci sopra troppo spesso.»

Non riflettei sulle sue parole. Sapevo solo che orami era tardi e che avevo fame.

Resi l’immagine sfocata cercando di ricordare un altro momento. Questa volta

mostrai a Cassius numerose immagini una dopo l’altra. Rhode che mi spiegava del

rituale, la mia ibernazione nel 1910, il mio risveglio alla Wickham e l’incontro con

Justin sotto la pioggia. Subito dopo mostrai il momento in cui avevo cercato di morire

subito dopo il rituale. Mostrai a Cassius l’anello d’onice al mio dito. Gli mostrai me e

Vicken sotto il soffitto della casa degli Svuotati. Gli mostrai la faccia felice di Justin.

La battaglia nella palestra. «È una pietra maledetta» disse Rhode sotto all’albero. Gli

mostrai di nuovo un Justin felice: giocava a lacrosse, teneva aperta la portiera di una

macchina e ballava con Tony e Tracy al ballo d’inverno. Terminai con ricordi più

recenti come la morte di Laertes nell’auditorium.

Quando mi allontanai, una luce illuminò le nostre mani ed entrambi cademmo

all’indietro. Cassius mi diede velocemente le spalle e fissò la finestra.

«Ha funzionato?» gli chiesi.

Appoggiò le mani su di un altro tavolo e pianse. Per i viventi piangere era un

sollievo. Per i vampiri era una punizione. Strinse il tavolo così forte che pensai che il

legno si spezzasse.

«Quell’anello, Cassius, collega Justin attraverso il mio mondo passato a questo.

Deve averlo trovato nell’auditorium durante la battaglia con Odette. Il potere di quelle

pietre lo ancora a questo mondo.»

L’onice e la sua connessione avevano finalmente un senso.

Cassius si voltò verso di me. Sul suo viso si vedeva ancora il dolore dei miei ricordi.

«Ti rendi conto di quanti incantesimi, incluso il rituale, ho fatto portando

quell’anello? Di quanti ne abbia fatti Rhode? Quante volte è scorso del sangue su quella

pietra? Contarle è impossibile. Adesso è tutto così chiaro. Gli Svuotati hanno estratto

il mio sangue da quell’anello per crearti.»

Justin era rimasto in questo mondo indossando quel potente anello, e non solo.

L’anello lo legava anche al mondo in cui ero stata una vampira, gli dava anche un sacco

di potere grazie alla potenza di tutti gli incantesimi che avevo fatto indossandolo.

Per gli Svuotati c’era inoltre il potere aggiuntivo del mio sangue.

Trattenni il fiato e indietreggiai con le spalle, anche se la testa mi doleva ancora.

«Ma Renoiera, cosa mi dici del soffitto d’onice della casa degli Svuotati? Conosce

tutti gli incantesimi che gli Svuotati abbiano mai lanciato?».

«Non ho paura di quella casa, non più.»

«Perché?»

«Perché sono convinta di poter portare Rhode fuori di lì.» Scossi la testa parlando

principalmente a me stessa e continuai, «Avrei dovuto saperlo che Fuoco non mi

avrebbe deluso. Justin stava sfruttando la magia di qualcun altro. La magia deve essere

immagazzinata e creata, non può essere semplicemente richiamata a piacere. L’anello

è la fonte del suo potere.»

Mi misi una mano in tasca e il foglietto di Laeters mi punse.

La pioggia cadeva dolcemente sulle foglie.

Tirai fuori il foglietto dalla mia tasca. «Questa è la parola che avevo sentito dire da

Justin» dissi, «Laertes me l’ha data un attimo prima di uccidersi. Ha detto che era il

miglior regalo che potesse farmi.»

Misi il foglietto di carta al centro del tavolo.

Cassius lo avvicinò a sé con due dita.

Imprecò in italiano e si allontanò di colpo dal foglio come se fosse infuocato. I miei

occhi incontrarono i suoi ed ebbi come la sensazione, nel profondo del mio stomaco,

che Laertes aveva scritto quella parola sul foglio perché sapeva che i Demelucrea mi

avrebbero aiutato.

«Vere-selum» dissi.

«Potrebbe…» le dita di Cassius corsero lungo il foglio e finalmente si calmò,

«Potrebbe avere un sacco di significati» disse.

«Ma…» lo spinsi a continuare

Non riuscivo a capire il tono della voce di Cassius, non aveva mai usato un tono

simile prima d’ora.

«Ma…» s’irrigidì alzandosi in piedi, «L’esatta traduzione è “verso la salute”.»

«Che cosa significa?»

Si stava reggendo con le mani al tavolo. Porto il mento verso il petto. «Renoiera….»

scosse la testa, «Renoiera singifica antidoto.»

La bugia di Justin non era stata solo questo. Non era solo una stupida bugia per

attirarmi fuori dalla Wickham.

«L’antidoto a cosa?» chiesi.

Strinse il tavolo.

«Renoiera.» La voce di Cassius era così tranquilla che mi dette quasi i nervi. «Se

non ha mentito… è un antidoto…» i suoi occhi girarono per la stanza finché

incontrarono i miei, «al vampirismo.»

La confusione scoppiò nella mia testa. Volevo Tony. No, volevo Rhode, che era un

vampiro intrappolato in una casa con Justin.

«Dillo di nuovo. Lentamente!» dissi.

«Un antidoto al vampirismo.»

Antidoto. Antidoto. Antidoto. Non importava quante volte potessi ripetere quella

parola. Non aveva senso. Non poteva avere senso.

«Justin ha creato un antidoto?»

«Dubito abbia creato qualcosa» rispose Cassius.

«Beh, continua a parlarne!» alzai le mani; non riuscivo a sopportare il silenzio.

«Pensa a qualcosa. Non posso stare semplicemente qui a far niente.» Mentre

camminavo, scuotendo le mani mi tranquillizzai.

«Ok. Se davvero si parla di un antidoto, forse gli Svuotati l’hanno creato prima di

cacciarlo.»

«Laertes era troppo debole per farcela.»

Quello stupido pezzo di carta era lì sul tavolo come a prendermi in giro.

Il labbro inferiore mi tremava mentre camminavo e mi portai le mani alla bocca per

fermarlo.

Un antidoto.

Avevo visto un antidoto?

A casa di Justin….un vampiro fluttuava vicino a me nell’acqua. Senza testa.

Justin si era messo qualcosa in tasca, come una fialetta o una bottiglia, ma non ne

ero sicura.

«Stava sicuramente proteggendo qualcosa oltre al libro» disse Cassius seguendo

chiaramente il filo dei miei pensieri nella sua mente.

«Potrebbe essere vero?» azzardai a chiedere a Cassius, «Non riesco a immaginare

che Justin possa tenere con sé una cosa così potente senza distruggerla.»

Dovevo continuare a parlare, altrimenti sarei scoppiata a piangere. La speranza

cominciò a espandersi dal mio cuore prendendo possesso di tutto il corpo. Continuavo

a sussurrare a me stessa… Puoi ritrasformare Rhode.

«Ne ha chiaramente bisogno per qualche motivo. Se conosco la razza di vampiro

che è diventato, userà il Vereselum come un’arma» disse Cassius, «Forse è per questo

che smania per avere la tua anima.»

«Dobbiamo portargliela via prima che la possa trasformare» dissi.

«Sempre che non l’abbia già fatto» rispose Cassius.

Riuscii finalmente a rilassare le mani e le scossi per poi appoggiarle alla parete.

«Se fosse vero, potremmo riavere Rhode. Potremmo ritrasformarti» dissi. Non

potevo farne a meno; sorrisi. Da quanto tempo era che non sorridevo? Mi alzai in piedi.

Certo! «Prima ritrasformeremo Rhode e poi useremo l’antidoto su Justin con la forza.

Rhode è grosso e forte, potrà tranquillamente tenere fermo Justin. Non ci sarà bisogno

che io lo uccida, in fin dei conti.»

Risi, ma era una risata malferma. La frivolezza mi aveva reso la testa leggera. Mi

appoggiai alla parete e chiusi gli occhi. Grazie al cielo, una possibilità. Una possibilità

in tutta quella confusione.

Suleen aveva avuto ragione. Ero parte di una rivoluzione, ma era molto più profonda

dei Demelucrea.

Anche Laertes era parte di essa. Una rivoluzione contro la maledizione dei non

morti. Una rivoluzione per tornare alla luce. Per vivere. Camminai verso le armi alla

destra della stanza. Dovevo prepararmi per la battaglia contro Justin.

Passai oltre Cassius verso i coltelli appesi alla parete opposta.

«Renoiera…» disse Cassius.

Impugnai un coltello dalla sua federa. «Vedrai» dissi a Cassius, «Non manca molto

al momento in cui Justin ci sarà utile.»

«Lenah.»

Era la prima volta che Cassius mi chiamava per nome. Mi voltai.

Non stava sorridendo.

«Non riesci a capirlo, vero?» disse.

«Che cosa?»

«Anche se riuscissi a trovare l’antidoto e tutti i tuoi sogni si avverassero, Justin

sarebbe un uomo incapace di provare amore.»

«Ma…»

«Alcune cose sono irreversibili. Questa è una di quelle. Anche Laertes te l’ha detto.

Hanno cercato di distruggere l’onice per riavere indietro la capacità di amare. Non ha

funzionato. L’amore che provava Justin è da qualche parte, usato in un altro modo, ma

ormai se n’è andato.»

Cassius si strinse l’avambraccio. Un pugnale lo aveva ferito durante la battaglia

nell’auditorium.

Sarebbe guarito in poche ore, molto meno se avesse bevuto del sangue. Guardai le

mie ferite.

«Sai cosa devi fare» disse gentilmente, «Lo sai da quando Laertes è morto.»

Allungò il braccio, come per guidarmi all’interno di un teatro elegante, invece le sue

dita incontrarono le spade, i coltelli e gli altri modi pericolosi per uccidere un vampiro

in una casa impenetrabile.

Aveva ragione. Senza amore, anche da umano, Justin sarebbe stato un assassino.

Sarebbe stato vuoto. Un ammasso di odio.

Avevo solo una scelta.

Dovevo trovare il Vereselum per tutti quelli che erano stati trasformati.

Mi fermai davanti ad uno specchio a figura intera e Cassius mi legò una bandoliera

alla schiena. Era una cintura di cuoio portata sopra la spalla alla quale era legata una

spada. Così era più semplice trasportare la spada ed estrarla quando era necessario.

«È abbastanza stretta?»

Annuii.

«Bene. Questa è fatta d’onice.» disse Cassius brandendo una spada lunga nel riflesso

dello specchio, «Se qualcuno è dietro una porta o si nasconde dietro a uno scudo tu

affonda, la spada farà il resto.».

Avrei voluto usarla contro gli assalitori di Tracy. Volevo irrompere attraverso ogni

porta in modo da poter salvare Rhode.

«Questa è la mia tracolla preferita» disse, «Al suo interno troverai spazio per ogni

cosa vorrai portarti dietro.» Intendeva il Vereselum.

Avevo quattro pugnali. Due nei miei stivali, due attaccati a delle stringhe intorno ai

miei avambracci. Ma come avrei fatto a prendere l’antidoto? Come avrei potuto portare

Rhode fuori dalla casa degli Svuotati senza Suleen? Laertes aveva detto qualcosa a

proposito dell’amore, ma l’amore non mi avrebbe aiutato a portare via Rhode e

l’antidoto allo stesso momento. La cosa però non era importante. Dovevo entrare in

quella casa e provarci.

Un antidoto.

La fine di tutti i vampiri.

Era come un mantra. Più lo dicevo, più diventava una preghiera.

«E come ultima cosa…» disse Cassius mostrandomi una scatoletta minuscola, ma

molto simile a quelle dei gioielli. «Questa di chiama sabbia Amaranta. È fatta con un

fiore. Ti mostrerà la strada per raggiungere il tuo desiderio più grande» la mise nella

tracolla.

Una volta che la spada fu nella bandoliera, me la strinse ancora di più addosso. Cercò

di dire qualcosa, ma alla fine me la comunicò con i suoi pensieri. Usa l’Amaranta solo

quando vorrai trovare l’uscita. Torna da noi.

Avevo la tracolla, la spada lunga e i pugnali. Nello specchio vidi Cassius dietro di

me, i suoi occhi argentei brillavano. Si portò il braccio al petto e disse: «Sembri davvero

una regina.» Mi sorrise a labbra strette.

I miei capelli erano raccolti in una lunga treccia bionda sulla schiena. Mi sentivo più

comoda così. Mi guardai di nuovo allo specchio. Avevo respirato lavanda per secoli. Il

sole, che aveva toccato la mia pelle solo negli ultimi tre anni, aveva riempito le mie

guance di lentiggini. Vivevo all’aria aperta, con i pro e i contro del mondo.

Sì la Terra aveva compiuto il suo giro, ma il suo movimento non mi aveva nemmeno

sfiorato. Non più, adesso.

Portai indietro le spalle; l’ultima cosa di cui avevo bisogno era su di un tavolo lì

vicino.

La luna mandava una luce tenue sopra i boschi. Il diario di Rhode uscì dalla mia

borsa. Era il mio unico vero compagno in sua assenza. Lo aprii e un piccolo pezzo di

carta cadde dalle sue pagine. Lessi le parole sussurrando.

“Chiediti, mia cara, se tu non sia crudele ad avermi ridotto così, ad avermi privato

della mia libertà”

Non avevo strappato quel pezzo di carta. Non ce ne era bisogno. Sapevo le parole a

memoria.

Cassius controllò la posizione della luna.

«È il momento» disse.

Annuii, aveva ragione, e, sommersa dal peso delle mie armi, piegai il biglietto e me

lo misi in tasca.

Ma…

Qualcosa di affilato o di appuntito, come un riccio di mare, mi punse un dito. Lo

presi fuori dalla tasca e mi fermai.

«Che cos’è?» chiese Cassius.

Ma certo…me ne ero completamente dimenticata. Avevo messo questi pantaloni

dopo il disastro della rana. La lavanda del cuore fatto da mia madre. La fragranza era

leggera ma allo stesso tempo forte, come il sole giallo e splendente delle mattine di bel

tempo, come il giallo dei capelli di Genevieve.

Lo rimisi in tasca sperando di poter rivedere la mia famiglia. Dovevano restare in un

angolo in fondo alla mia testa, altrimenti avrei perso la concentrazione. Misi da parte

la lavanda e i ricordi di casa.

Eravamo partiti con dodici Demelucrea; ne avevamo persi due nella battaglia contro

Justin fuori dalla cappella tre giorni fa. Ne avevamo persi altri tre nella battaglia per

cercare di salvare Rhode da casa di Justin e altri quattro nell’attacco all’auditorium di

quella mattina.

Esteban, Micah e Cassius erano gli unici rimasti.

Sulla porta d’entrata, quando la luna fu alta nel cielo, Cassius mi abbracciò. Lo

strinsi cercando di rassicurarlo del fatto che i Demelucrea avessero riposto la loro

fiducia nella persona giusta.

Quando si allontanò, si tolse un orologio argentato dal polso. Era un orologio digitale

e mi mostrò come illuminare l’orario schiacciando un bottone.

«Concentrati sul tempo e sul salvare Rhode, non restare lì più tempo del dovuto.»

Le ultime parole erano così intense che lo abbracciai di nuovo.

«Veglierai su Tony? Non lasciare che si metta nei guai adesso che Tracy è sparita.»

Annuì. «Lo sai che potrei venire con te vero?» disse con il suo tono calmo ma

risoluto.

«Lo devo fare da sola. È una cosa tra me e lui.»

Non disse nulla ma mi baciò la fronte. Si spostò dalla casa alla macchina. Quando i

fari posteriori della macchina di Cassius furono l’unica cosa che riuscii a vedere

attraverso la pioggia, misi una mano sulla porta per tirarla dietro di me. Proprio mentre

la porta stava per chiudersi, squillò il telefono sul tavolo del foyer.

Tornai dentro e risposi.

«Ho sentito che stai partendo. La luna sta sorgendo. O come diciamo noi comuni

mortali, sono le undici e mezzo.»

Tony.

Mi aggrappai al legno del tavolo. Avremmo potuto farci prendere dal panico, dire

un centinaio di cose, come ad esempio fai attenzione, ma non lo facemmo. Riusciva a

scherzare e fui felice di sentire la sua voce prima di scendere in battaglia.

La mia voce si ruppe quando gli dissi: «Dimmi che non devo avere dei super poteri

per riuscire a sconfiggerlo, Tony. Che non sarà capace di amare, che sarà un mostro se

lo lascerò vivo.»

Tony rimase in silenzio per un po’ e riuscì a sentire la voce di Micah in sottofondo.

«Non c’è bisogno che te lo dica Len.»

«Devo essere la regina dei vampiri per ucciderlo?»

«No. Devi solo essere te stessa.»

Guardai il soffitto in modo da non piangere; per qualche strana ragione in quel modo

riuscivo a trattenere le lacrime.

«E chi sono io?»

«Sei compassionevole, generosa. Non hai paura di niente e di nessuno se qualcuno

che ami è in pericolo. E hai degli ottimi gusti poiché sei una mia fan.»

Risi, ma fu una risata vuota.

«Avanti Lenah. Sei tornata indietro nel tempo per riportare in vita il tuo migliore

amico. Non hai bisogno che sia io a dirti chi sei.»

Una lacrima calda scorse lungo una mia guancia e la asciugai.

«Non si piange prima della battaglia» disse Tony. Questa volta risi per davvero.

«Come lo sapevi?» chiesi singhiozzando.

«Ormai ti conosco abbastanza bene Lenah. Nel giro di una settimana tu…» esitò,

«Beh sei la mia migliore amica.»

«Sono contenta che tu abbia chiamato.»

«Quando vuoi» disse, «Quando vuoi.»

Forse non sarei mai tornata a casa. Alcune persone erano destinate a morire giovani.

A non invecchiare.

A non avere le rughe. A illuminare il mondo con i più brevi dei respiri. Magari ero

destinata a spegnermi nel giro di un attimo. Non ero mai stata pronta, nessuna delle

volte che ero stata portata via dal mio mondo. Avevo sempre dovuto combattere prima

di essere pronta.

Adesso ero pronta.

Quarantadue, il numero della casa degli Svuotati, spiccava su di un’insegna di pietra,

esattamente come l’ultima volta che ero stata lì. La passeggiata lungo la strada era

lunga almeno mezzo miglio e questa volta il rumore dei miei passi sembrava più forte.

Non m’importava se qualcuno del nuovo branco di Justin, ero sicura ne avesse creato

uno, mi avesse visto mentre mi avvicinavo. Non era un’operazione segreta e ormai mi

stavo avvicinando al campo di battaglia. Strinsi l’arco e la fibbia della bandoliera. Nella

mia testa riuscivo a vedere il fantasma della mia vecchia auto e Vicken seduto accanto

a me.

Quella era stata l’ultima volta che ero stata alla casa.

Forse non c’era bisogno di fare il rituale dopo la morte di Vicken. Sopravvivere, o

meglio, vivere sarebbe stata il miglior modo per onorare la vita del mio amico. Sarebbe

stato orgoglioso di me vedendomi adesso con una spada.

Avrai giurato che un odore di sigaretta mi seguisse lungo la strada.

Non so a te, ma questa casa mi dice Vieni dentro, se vuoi morire.

E con le parole di Vicken in testa mi fermai davanti ai gradini.

Nonostante la mostruosità della casa risi e scossi la testa.

Questa volta non avrei bussato.

CAPITOLO 21 Traduzione: Medea Knight

Girai la maniglia, pensando che la porta fosse chiusa a chiave.

Ma non lo era.

La porta si aprì con uno scricchiolio e l’atrio nel quale un tempo avevo provato così

tanta paura apparve al chiarore della luna. Esitai, sbirciando dentro la casa. Sopra di

me c’era quello stesso soffitto di onice nero che avevo visto in passato. Nei candelieri

in ferro ardevano delle candele rosse. Dall’atrio si allungava un corridoio.

Qualsiasi cosa farai, Lenah, non pensare al Vereselum, dissi a me stessa.

Non dovevo pensarci, altrimenti le mie intenzioni sarebbero apparse evidenti. Se mi

fossi concentrata su Rhode, cosa abbastanza facile, avrei potuto distogliere l’attenzione

di Justin dall’antidoto. Dopo un ultimo sguardo al viale fuori, entrai, chiudendomi la

porta alle spalle.

Dopo averla lasciata, la maniglia dorata scomparve nel legno scuro della porta.

Non avevo più vie di uscita.

Iniziai a respirare affannosamente, per cui cercai di calmarmi un po’,

ricomponendomi e ritrovando il mio solito portamento. Un alone perlato splendeva

dall’alto verso il basso. Mentre i miei occhi si abituavano all’oscurità, riuscii a vedere

che l’alone era il riflesso della mia anima che pendeva dal mio petto, proprio come un

amico che illumina la strada. Il soffitto di onice appariva ancora più lucido che mai;

anche dopo la morte degli Svuotati quel posto era rimasto immacolato. Controllai

l’orologio di Cassius. Ero in quell’atrio da trenta secondi.

«Beh… cos’aspetti ad entrare?»

La voce di Justin mi strisciò nell’orecchio. Mi venne la pelle d’oca a sentire il gelo

nella sua voce. Justin avrebbe potuto essere in qualsiasi punto della casa; magari mi

aveva fatto arrivare la sua voce da chissà dove solo per spaventarmi.

Sguainai la spada di onice e la tenni alta dinanzi a me. Il suo peso leggero era

confortante, visto quello che avevo provato nel tentativo di tirare Rhode fuori dall’altra

casa di Justin. Avanzai di un passo.

Una freccia sferzò l’aria. Ne udii il suono prima ancora di vederla e mi gettai a terra.

I pugnali che avevo alla cintura fecero rumore al contatto col pavimento. Cercando di

vedere dov’era atterrata vidi semplicemente che la freccia si era conficcata nella porta

e si stava dissolvendo… fino a svanire.

«Resta calma» sussurrai a me stessa. «Puoi farcela.»

Certo, Justin era in grado di creare scudi d’acqua e di usare l’aria per spostarsi, ma

non aveva la stessa padronanza degli elementi che avevano Laertes, Rayken e Levi.

Ma finché l’anello di onice fosse rimasto intatto, finché il mio sangue e la mia energia

fossero rimasti in quelle crepe e in quelle minuscole conchette, Justin sarebbe stato

potentissimo.

Mi detti una spinta con le dita sudate sul pavimento di onice, per alzarmi. Ricordavo,

dalla mia visita passata alla casa, che girando a sinistra sarei scesa nel corridoio che

conduceva alla porta con le sculture di corpi intrecciati. Dietro quella porta c’era una

biblioteca.

Farai uscire Rhode. Non fallirai stavolta, mi dissi.

Mi precipitai verso l’entrata, premetti la schiena contro il freddo marmo di lato e

sbirciai da quell’angolo. Delle candele illuminavano il corridoio buio ed emanavano

una piccolissima luce.

Le candele nere privavano l’ambiente di tutta l’energia positiva. Si nutrivano di

paura. Insieme all’onice, mi fecero provare un senso di timore. Quella stessa casa

desiderava che io fallissi.

Mi spostai dal mio angolo, sempre con la schiena al muro. Ero in un punto blu scuro

e meno buio: la carta da parati. A un tratto, un’altra freccia volò nell’atrio ormai vuoto,

andando a conficcarsi di nuovo nella porta. Era una trappola a ripetizione!

Mi spostai lungo il corridoio fermandomi davanti a delle porte poste su entrambi i

lati. Rhode. Rhode. Rhode. Andiamo… serrai la mascella. Quale porta aprire per prima?

Aprii quella sulla destra. All’interno c’era una camera da letto lussuosa con un letto a

baldacchino. Dall’altra parte della stanza c’era uno scrittoio con incisioni molto

complesse; era antico, probabilmente d’epoca vittoriana. Ma era palese che quella

camera non venisse usata da almeno cent’anni. Non c’erano televisori o strumenti

tecnologici di alcun tipo. Sul comodino c’era una piccola lampada a olio con una

sfumatura di bianco ghiaccio.

«Dove diavolo è?»

Dovevo trovare la porta con le sculture.

Aprii l’altra porta.

No… trovai la stessa esatta camera con letto a baldacchino.

Era una replica perfetta, persino le pieghe del piumone erano uguali.

Sbattei la porta e poggiai la fronte sul legno. Avevo il respiro pesante. L’orologio

emise un suono. Ero dentro da due minuti.

Sollevai la fronte lentamente. Ero pervasa dall’orrore.

Quel corridoio non aveva inizio né fine. Le porte continuavano all’infinito. Le

candele erano disposte sulle pareti in file infinite.

Mi inumidii le labbra.

Mantieni la concentrazione, Lenah.

Odiavo quella casa. La odiavo.

Dovevo stare al gioco per trovare la via d’uscita. Provai con un’altra porta. Si aprì

con un cigolio.

Il letto a baldacchino e la lampada con la sfumatura di bianco ghiaccio.

Un’altra porta. Stessa camera.

La stessa.

Baldacchino. Mi si spezzò il cuore nel petto.

Sfumatura di bianco ghiaccio.

Trassi un respiro profondo, trattenni la voce nei polmoni per un secondo e poi urlai

più forte che potei «Rhode!»

Poggiai la schiena al muro lasciandomi scivolare a terra. Respiravo affannosamente,

pervasa dalla frustrazione. Mi toccai la treccia.

Sei minuti.

Non volevo usare la sabbia amaranto di Cassius. Non ancora. In quel momento capii

cosa volesse dire usare l’arma più potente prima ancora di averne davvero bisogno.

Posso farcela.

«Qual è il trucco? Dev’esserci un trucco» dissi ad alta voce.

Fantastico. Parlavo anche da sola.

«Tu!»

Udii la voce di un uomo sbraitare e balzai in piedi. Un vampiro che avevo visto sulla

strada di Lovers Bay stava correndo verso di me. Era davvero un colosso, doveva

pesare almeno un quintale. Avevo le spalle tese, la schiena stanca e non volevo più

saperne di giochetti.

Il vampiro si fermò improvvisamente, poco prima che i nostri corpi si scontrassero.

Io mi accovacciai per fargli lo sgambetto. Inciampò e cadde a terra. Tracciai un grande

arco in aria con la spada lunga di onice, dal soffitto verso il pavimento. Non mi

interessava andare a segno o muovere la spada velocemente.

Avevo bisogno di Rhode e dovevo uscire da quella casa con il Vereselum.

Nove minuti.

È questo che vuole. Vuole che perdi la concentrazione.

Quel vampiro gigante mi aveva dato un indizio. In qualche modo era arrivato

dov’ero io, il che voleva dire che c’era un’uscita. Pensa razionalmente, Lenah.

Doveva trovarsi nella camera da letto, perciò avrei dovuto entrarci dentro.

Rinfoderai la spada impregnata di sangue.

Aprii la porta successiva e, ovviamente, ritrovai la camera da letto. Nell’angolo a

destra della stanza, vicino alla testata del letto, c’era un’altra porta. Poteva essere un

armadio oppure un’entrata. Poteva anche non portare a nulla e forse varcandola sarei

rimasta intrappolata per sempre in quella camera. Dovevo correre quel rischio. Entrai,

lasciando la porta aperta. Feci un altro passo e mi ritrovai definitivamente nella stanza.

La porta alle mie spalle sbatté chiudendosi.

Resta concentrata, resta concentrata.

Balzai sul letto. Cigolò sotto il mio peso. Avevo l’infantile paura che ci fosse

qualcosa o qualcuno nascosto sotto il letto. Scesi dall’altra parte atterrando in piedi,

afferrai la maniglia della porta e per una frazione di secondo pregai che non fosse

chiusa. La maniglia dorata girò e la porta si aprì.

Mi ritrovai…

Nello stesso corridoio di prima! La carta da parati scura, con i candelieri, dove

rilucevano candele rosse, non più nere. Camminai lungo lo stesso tappeto orientale del

corridoio.

Però c’erano solo quattro candelieri, non più file infinite. C’erano anche soltanto

quattro porte; due per lato.

Proprio di fronte a me c’era la grande porta con le statue di pietra raffiguranti corpi

umani intrecciati e in agonia. Tirai un profondo respiro e sorrisi. Sapevo che prima o

poi l’avrei trovata. Chiusi gli occhi per un secondo, una volta raggiunta. Quando li

riaprii, mi concentrai sulle statue. Si arrampicavano sulla porta come se stessero

scappando dall’Inferno. Alcune gridavano rivolte al cielo, altre si aggrappavano ai

corpi marmorei intrecciati.

Non c’era scampo per quelle anime torturate, scolpite nella roccia.

Un colpo alla schiena mi fece cadere. Cadendo andai a sbattere col viso sulla pietra.

Mi voltai per fronteggiare il nemico. Il vampiro si era lanciato dal soffitto, perciò

troneggiava su di me, i suoi piedi ai lati dei miei fianchi. Portai le gambe al petto e

mirai ai suoi genitali. Spingendo velocemente le gambe in avanti, lo mandai al tappeto.

Con un movimento del polso, riuscii a raggiungere uno dei miei pugnali, mi

accovacciai su un ginocchio e lanciai un fendente con la lama. Il vampiro la bloccò con

la mano e il pugnale volò in aria, facendo rumore contro il muro.

Sguainai la spada; avrei colpito solo all’ultimo secondo. Potevo farcela; dovevo

essere veloce. Mi era quasi addosso. Per quel che avevo notato, non aveva pugnali, ma

era veloce. Sentivo il suo alito sanguinoso. Quando la sua ombra mi raggiunse tirai

indietro il braccio. Poi lo mossi in avanti per colpire, pugnalandolo dritto al cuore. Il

vampiro inciampò e, a bocca aperta, cadde all’indietro senza vita, rovinando a terra.

Caddi a terra anch’io, tentando di recuperare il fiato.

«Quanti altri uomini sacrificherai, Justin?» ansimai. «Oppure mi affronterai tu

stesso?»

Non rispose. Qualcosa nel soffitto di onice attirò la mia attenzione. Mi vedevo seduta

a terra davanti al vampiro morto. Nel mio riflesso vedevo la sfera bianca che lasciava

il mio petto e attraversava la porta di pietra. Era scomparsa dall’altra parte.

Quando l’avevo vista in passato, la mia anima non si era mossa…

La mia anima stava tentando di tornare al suo posto.

Mi alzai lentamente e mi girai verso la porta. Dovevo ancora riprendere fiato. Toccai

le sculture. Se mai ne avessi avuto l’occasione, sarei tornata e l’avrei mandata in

frantumi.

Un fioco bagliore bianco illuminò nuovamente il soffitto.

La mia anima tornò in corridoio, arrivò sul mio petto e mi entrò dentro. Un calore

familiare mi pervase.

Era lo stesso calore che provavo quando Rhode e io ci toccavamo da vampiri. Avevo

provato quello stesso tipo di calore da umana, dopo aver sentito un freddo tale da

percepire a malapena la mia bocca, a causa dell’intorpidimento. Il tipo di calore che mi

nutriva l’anima ogni volta che Tony rideva o stringeva la mano di Tracy nella sua. Il

calore dell’amore.

In quel momento, in quella casa oscura, compresi finalmente perché un tempo ero

riuscita a invocare il potere della luce nelle mie mani. Perché ero stata ritrasformata in

vampiro da Vicken ed ero stata in grado di uccidere i membri della mia confraternita.

L’amore mi aveva alimentata da dentro e aveva trovato il modo di uscire,

manifestandosi in un’arma così potente che nessun vampiro si sarebbe mai potuto

nemmeno avvicinare a me. Amore incondizionato. Quello che ora provavo per Tony.

Per Tracy. Per Cassius e per i Demelucrea. Un tempo lo avevo provato anche per Justin.

Avevo sempre amato Rhode. Sempre.

Il chiavistello scattò e la grande porta si aprì davanti a me. Feci un respiro profondo

ed entrai.

CAPITOLO 22

Traduzione: Valeria7692

La stanza era esattamente come l’avevo vista l’ultima volta. Piena di libri fino al

soffitto. C’erano un gran caminetto di onice e scaffali di libri alti quaranta piedi. Tre o

quattro scale erano appoggiate lungo gli scaffali. Il soffitto era decorato da un affresco,

forse italiano. Dove una volta sedevano tre Svuotati sulle loro sedie in cuoio, ora sedeva

Justin, da solo.

Aspettai sulla porta.

«Siamo tu ed io», disse Justin.

«Esattamente come volevi», risposi tranquillamente.

Mi ero aspettata di vedere delle guardie ma non c’era nessun altro in quella stanza.

C’era una porta vicino al caminetto…Rhode doveva essere lì.

Tenni la spada lungo il petto, come uno scudo, con la punta rivolta verso l'alto.

«Dov’è Rhode?» domandai.

«Qui», rispose Justin.

Finsi di controllare la stanza in cerca di Rhode, ma in mezzo al tavolo c’erano il libro

che avevo visto a casa di Justin e una bottiglietta. Erano sotto una campana di vetro. Il

Vereselum. Doveva essere quello. Justin teneva il suo premio vicino a sé, come un

trofeo. Si alzò e si avvicinò così velocemente che feci un balzo all’indietro e allungai

la spada tra di noi.

Con un movimento della sua mano, la mia spada volò in aria e atterrò sul pavimento.

Non ero sorpresa. La mia stretta non era nemmeno cosi' forte.

«Come sei riuscito a governare la magia per spostare la mia anima fuori dal mio

corpo?».

«Allora te ne sei accorta.» Alzò le spalle. «Solo un piccolo trucchetto che mi ha

insegnato Lartes.».

«È morto. Si è ucciso alla Wickham quando hai mandato quell’esercito di vampiri

contro di me.».

Sorrise. Dalla sua bocca uscì un forte odore di sangue rancido. «Sei una bugiarda

terribile. È sotto il mio controllo.».

«Quante dita hai dovuto staccargli prima che ti rivelasse come liberarti dell’amore?

Erano due, giusto?».

Justin mi spinse da parte e tornò a sedersi sulla sua sedia. La considerai una vittoria

poiché non voleva che vedessi la sua faccia.

«Se vuoi vedere Rhode, lascia qui tutte le tue armi. Anche i pugnali nei tuoi stivali

e quelli nascosti nelle tue maniche.»

Lasciai cadere i pugnali nascosti nelle mie maniche e i tre che avevo messo nei miei

stivali.

«Fatto.» dissi facendo mente locale di dove avevo messo ogni cosa. Justin camminò

verso la porta vicino al caminetto. Quando fu di spalle, spostai indietro la gamba

sinistra mettendomi in posizione da battaglia, pronta a difendermi nel caso in cui ne

avessi avuto bisogno.

Con un clic del chiavistello, la porta vicino al caminetto si aprì.

Rhode era incatenato, così come lo avevo visto nella casa di Warwick Avenue.

«Rhode! Sono qui!» urlai. Alzò la testa, stordito.

Non sorrise.

Non c'era luce nei suoi occhi.

Il suo sguardo si rivolse al pavimento. Mormorò qualcosa e Justin sbatté la porta.

«Che cosa gli hai fatto?» urlai saltando verso la porta. Justin mosse un braccio e un

alito di aria fredda alzò i miei piedi dal pavimento. Fui spinta all’indietro, ma riuscì a

non cadere reggendomi al tavolo.

«Hai lasciato che Rhode s’indebolisse per la fame. Deve nutrirsi», dissi digrignando

i denti mentre mi rimettevo in piedi.

«Perché? Non mi è stato affatto utile. Era semplice. L’unica cosa che doveva fare

era dirmi come potevo cambiare le cose, in modo che fossi io la tua anima gemella e

non lui.».

«Tu sei pazzo. È impossibile», risposi.

«Non è più importante ormai. Non ti amo più. In realtà non amo più nessuno»,

lanciò un bicchiere pieno di sangue contro una libreria. Il bicchiere si frantumò. Il

sangue macchiò i libri e si sparse sul pavimento. «Anche solo pensare alla mia vecchia

vita mi dà il volta stomaco.».

Si avvicinò agli scaffali come un animale che insegue la sua preda. Quando si fermò,

incrociò le braccia sul petto. Sussultai. Il mio anello scomparve altrettanto velocemente

dalla mia vista. Mi concentrai su Rhode per evitare che Justin capisse le mie intenzioni.

«Quando Rhode non riuscì a darmi ciò che volevo, mi sono liberato del problema

alla radice causando tutto questo».

«Ti sei liberato della capacità di amare; lo so».

«Sono andato alla Wickham qualche giorno fa», disse Justin ignorando ciò che

avevo detto. «Tutti quegli studenti che camminano su e giù per i corridoi. Che fanno

quello che gli è ordinato a ogni ora del giorno.».

«Ti manca. E la cosa ti uccide.»

Rise e un innaturale sorriso zannuto si allargò sul suo viso; la cosa però non nascose

il suo dolore. «Che cosa dovrebbe mancarmi? Il fatto che non posso più tornare a casa?

Giocare a lacrosse? Vedere i miei fratelli? Quelle pecore fanno quello che gli viene

ordinato, ma ben presto si uniranno a me.».

«Lasciali stare!» lo avvisai.

Si lanciò contro di me e mi buttò sul pavimento. Le sue mani fredde erano attorno al

mio collo ma non strinse; mi teneva solo contro il pavimento.

«Ho dovuto stare a guardare mentre voi due vi siete innamorati di nuovo tre anni fa,

quando venne in quella scuola. Mi hai lasciato», ringhiò.

«Non era mia intenzione farti soffrire e lo sai.»

Mi lasciò andare si raddrizzò la camicia. Volevo strofinarmi il collo dolorante, ma

non volevo lasciargli quella soddisfazione.

«Non dovrò mai più vedere una cosa del genere,» disse e si sedette. Si scrocchio' le

dita, sorridendo.

«Per quale motivo stai sorridendo?» chiesi. Immediatamente mi pentii di aver

mangiato la foglia.

«Non dovrò mai più preoccuparmi di te e di quel patetico del tuo ragazzo», disse.

Storsi gli occhi. «Perché no?»

«Pensavo saresti stata capace di capirlo Lenah…» era quasi raggiante quando lo

disse, «Ho tolto la capacità di amare a Rhode.».

Una luce rossa mi accecò gli occhi. Una rabbia cieca mi esplose dentro e mi lanciai

in aria, le mani come artigli. Fagli male, fagli male, uccidilo, ferisci Justin.

Mi spinse a terra trattenendomi. Urlai al soffitto come un animale in gabbia.

«Rhode!» urlai al soffitto affrescato. Digrignai i denti. Dimenai le mani e le gambe.

«Hai messo in dubbio il mio potere e hai fatto un grave errore. Quando avrò finito,

sarò ancora più potente di quanto gli Svuotati abbiano mai sperato.».

«Non ci riuscirai mai» gracchiai.

«Non lo capisci Lenah? Ci sono già riuscito. Tu e Rhode siete qui. Gli ultimi pezzi

del puzzle.».

«Sei un pazzo.».

«Riuscirò a controllare le vostre anime e le combinerò con qualcosa di molto

speciale.».

Intendeva il Vereselum.

Justin s’inginocchiò di nuovo accanto a me, sembrava quasi volermi baciare quando

disse: «Una sola goccia del mio Vereselum e tutti quelli della Wickham Boarding

School saranno vampiri sotto il mio comando,» bisbigliò. Avevo la gola secca ma

parlai comunque. «Stai sottovalutando quelli che sono venuti prima di te. Devi essere

morso. È la regola.»

«Io posso fare le mie regole.» Mentre mi parlava, si aggirava intorno al mio corpo,

mi prese il mento e mi leccò la guancia con la sua lingua fredda.

Mi lasciò andare sapendo che non avevo alcun vantaggio. Rimasi distesa, prendendo

fiato. Le scarpe di Justin ticchettarono mentre tornò alla sua sedia. Mi resi conto che

non voleva trattenermi a lungo per non restare mai lontano dal Vereselum per troppo

tempo.

Justin impugnò un lungo coltello da una scatola di legno.

«Ho bisogno dell’anima di entrambi,» disse. «È per questo che non vi ho ucciso

quando ne ho avuto l’occasione.».

L’orrore delle sue intenzioni mi colpì.

Le nocche di Justin schioccarono quando strinse il manico della spada. L’anello

sembrava prendersi gioco di me quindi concentrai la mia attenzione sulla porta. Rhode,

Rhode. Devo raggiungere Rhode.

«Dovrò lasciarti dissanguare fin quasi alla fine. Lo stesso vale per Rhode.

Richiamerò le vostre anime quando staranno per spegnersi…uno dei tanti vantaggi

dell’onice.».

«Sei ridicolo.»

«Perché? Perché è quello che voglio? Perché la Wickham mi ricorda una vita di

bugie? Una vita in cui fingevo di essere felice?».

«Tu ERI felice»

«E tu? Lo eri? Cercavi sempre di cancellare quello che avevi fatto.».

Odiavo che mi conoscesse così bene.

«Una volta mi tenesti per mano in una barca. Mi consolasti quanto pensavo che

Rhode fosse morto. Eri un bravo fidanzato Justin.»

Mi guardò negli occhi. Wow. Era possibile che qualcosa che avevo detto lo avesse

davvero colpito? «Secondo te perché gareggiavo con le barche e facevo bungee

jumping?» la sua voce era calma. «La mia vita da umano non era abbastanza.». Prese

alcuni respiri profondi mantenendo il contatto visivo.

«Non posso tornare a casa.»

«Avresti potuto,» non c’era bisogno che accennassi al Vereselum.

«No!» urlò. La sua rabbia era tornata. «Nel momento in cu Rhode è tornato nella tua

vita, io ho perso tutto. Ora mostrerò agli altri che cosa vuol dire.».

Justin stava in piedi vicino alla porta, indicando Rhode. Non potevo sapere quale

forza stesse lanciando contro di lui ma, quasi come rispondendo a un comando, Rhode

urlò. L’agonia di quell’urlo mi spinse all’azione. Non sapevo cosa stavo facendo. Saltai

sul tavolo più vicino, rimbalzai su una scrivania e atterrai sul pavimento vicino alla

porta di pietra. La mia spada. Dovevo riuscire a prendere la mia spada.

Presi la spada dal pavimento. Justin corse verso di me, ma fraintese le mie intenzioni.

Invece che correre verso Rhode, mi diressi verso il Vereselum. Justin girò su se stesso

e aprì la sua mano sinistra per teletrasportarsi verso di me. Sembrava quasi una macchia

nera.

Tenni la punta della spada sopra al vetro. Justin si fermò all’istante.

«Che svolta interessante,» disse.

Bastava un movimento verso il basso e il vetro sarebbe andato in pezzi.

Alzò la mano, pronto per preparare l’ormai famigliare incantesimo per controllare il

vento.

Colpii il vetro con la spada, mandando la campana in mille pezzi, Justin lasciò cadere

la mano. Fece addirittura un passo indietro.

Raggiunsi i resti di vetro e presi la bottiglia. Con la spada in una mano e la fiala

nell’altra non riuscii, però, a prendere il libro. Justin invece sì. Saltai sul pavimento e

ci girammo intorno; gli occhi di Justin non si staccavano dalla fiala che avevo tra le

mani.

«La distruggo qui e ora,» lo minacciai.

«Non hai idea di cosa ci sia lì dentro,» disse.

«Un antidoto».Serrò le labbra. Un’altra piccola vittoria.

«Pensavi davvero che ti avremmo lasciato in possesso di qualcosa di così potente?

Avresti dovuto controllare Lartes quando hai spedito tutti quei vampiri alla Wickham.

Adesso non c’è nessuno ad aiutarti a distruggere l’ultima speranza contro il

vampirismo.».

I suoi occhi saltavano dalla bottiglia a me. Si leccò le labbra.

«La vuoi?» chiesi, «Prima dovrai rispondere ad alcune domande. Prima domanda.

Perché la mia anima sarebbe in grado di trasformare qualcuno in vampiro?».

Justin non disse nulla.

Alzai il braccio minacciando di distruggere la fiala.

«Non è la tua anima. Siete tu e Rhode. Le anime gemelle sono la fonte d’energia più

potente dell’universo. Il Vereselum, combinato con le vostre anime e il sangue di un

Demelucrea, perde ogni potere curativo. Una volta che il mio sangue l’avrà toccato,

chiunque lo beva non solo diventerà un vampiro, ma perderà ogni capacità d’amare.».

«Cosa mi stavi facendo quando mi guardavi negli occhi?» continuai a chiedere.

«Dammi la bottiglia!» ordinò.

«Dimmi la verità!» urlai di rimando.

Corsi uno stupido rischio. Lanciai la bottiglia in aria, solo un paio di pollici, e la

ripresi.

«E va bene!» urlò. «Gli occhi sono una finestra verso l’anima. Non è solo un modo

di dire. Me l’ha insegnato Laertes. Ho potuto prendere la tua anima e nasconderla per

un po’. Finché ne avessi avuto bisogno. Ma ho scoperto che non potevo davvero

strapparla dal tuo corpo senza Rhode. Dev’essere fatto nello stesso momento perché è

la stessa anima divisa in due corpi differenti.».

Lasciai cadere la bottiglia nella tracolla.

Prima che potessi muovere la spada, Justin mi afferrò per un braccio. La stanza iniziò

a girare appena Justin mi lanciò sul pavimento. La spada mi sfuggì di mano. Tenni una

mano stretta alla tracolla. Justin si mise in ginocchio sopra al mio petto. Ero

completamente vulnerabile ma non m’importava. Con l’altra mano cercai di arrivare

alla spada. Le mie dita grattarono contro l’elsa e riuscì ad afferrarla.

Justin cercò di capire le mie intenzioni e si girò. Alzai il braccio e lo pugnalai a un

fianco.

Mi lasciò andare di colpo, cadendo all’indietro.

Justin portò le mani alla ferita. Sarebbe guarita immediatamente, quindi dovevo

muovermi velocemente.

Mi misi in ginocchio.

«Dammi la bottiglia!» Justin fece una smorfia e tirò via la spada dal suo fianco. La

lanciò sul pavimento, cadde lontana con un tonfo. Mi prese per i capelli e mi trascinò

in direzione di Rhode. Sentivo bruciare l’attaccatura dei capelli. Non toccarli, dissi a

me stessa. Mantieni la presa sulla tracolla! Le sue mani erano strette intorno alla mia

testa e quando smise di trascinarmi, caddi sulla schiena.

Attraversò la stanza per brandire la spada.

«Facciamolo adesso!» disse sputando.

Non avevo niente per proteggermi. Avrebbe potuto prendere il Vereseleum e l’intera

tracolla giacché non ero armata.

Ero solo una ragazza. Una ragazza umana che voleva essere felice. Che voleva amare

Rhode e tornare a casa dalla sua sorellina.

Aspetta…

Devi usare il tuo cuore, Justin aveva detto così. Devi usare il tuo cuore.

Misi velocemente una mano nella tasca dei miei pantaloni. La foto di Justin e dei

suoi fratelli era ancora lì! La tirai fuori nell’esatto momento in cui Justin si girò verso

di me, la spada sguainata, pronto a colpire. Allungai la mano stringendo la foto. Nella

foto i suoi fratelli sorridevano alla fotocamera: tre ragazzi biondi sotto il sole estivo.

Sotto di loro c’erano Kate, Claudia e Tracy.

Justin si fermò, smise di sogghignare e abbassò la spada. S’inginocchiò lentamente

e mi prese la foto dalle mani.

La fissò, i suoi occhi guizzavano da una parte all’altra della fotografia.

«Dove l’hai presa?» sussurrò.

L’anello era proprio davanti ai miei occhi. Stringeva la foto con entrambe le mani.

«Perché me l’hai portata?» chiese, ancora confuso dalla vista della foto.

Colpi la sua mano sinistra stropicciando la foto.

«Che cosa stai facendo?».

Lo presi per un polso e dissi a denti stretti, «Hai qualcosa che mi appartiene.».

Strinsi le dita intorno all’anello e solo in quel momento si rese conto delle mie

intenzioni. Tirai più forte che potei e gli tolsi l’anello per poi infilarmelo al dito.

Una sfumatura rossa brillò sotto i miei occhi. La mia spada era vicinissima alle mie

dita.

Ero sul pavimento e Justin mi accerchiava, stringendo la foto rovinata e macchiata

di sangue. Mi mostrò le zanne e concentrai la mia attenzione sui suoi movimenti. Tutto

ciò di cui avevo bisogno, era un movimento del suo piede, un piegamento del suo

ginocchio; un piccolo indizio che mi stava attaccando e avrei conficcato la spada nel

corpo di Justin.

Alzò la sua spada e si rivolse verso di me.

Per un attimo il tempo si fermò.

Il corpo di Justin era in aria, le braccia in avanti, le gambe allungate, la punta della

sua arma rivolta verso di me.

Afferrai la mia spada.

Non c’era alcun ragazzo vicino a me sotto la pioggia. Non c’era alcun ragazzo in un

completo di tuxedo che mi aspettava nervoso con un corsage in mano al ballo

d’inverno.

Spinsi indietro il gomito nell’esatto istante in cui Justin cadde verso di me. Con un

urlo che quasi mi distrusse la gola, affondai la spada nel suo petto fino all’elsa.

Justin sgranò gli occhi e mi fissò. Scivolai via mentre cadeva.

Dov’era il pugnale? Il tavolo era vuoto, tutte le penne, i fogli e i libri erano

sparpagliati in disordine sul pavimento. Senza l’anello Justin era più debole, ma il suo

potere l’avrebbe protetto ancora per un po’. Dovevo distruggerlo.

Un fermacarte di pietra, dovevo accontentarmi. Lo afferrai dal tavolo e appoggiai

l’anello al pavimento. In quell’anello erano racchiusi 592 anni di potere vampiresco.

La pietra di onice tratteneva la forza degli incantesimi di Rhode, del rituale, e di tutti

gli incantesimi che avevo lanciato io indossandolo. Se l’avessi distrutto, avrei fermato

la fonte di potere di Justin e avrei distrutto il legame tra lui e il mondo che ero destinata

a cambiare. Avrai anche distrutto i resti del mio sangue di vampira.

Justin urlò e inarcò la schiena dal dolore. In qualche modo era riuscito a sfilare

leggermente la spada dal suo petto.

Alzai il fermacarte e lo portai sopra la mia testa, sopra l’anello che aspettava di essere

distrutto.

«No!» ululò Justin.

Abbassai il fermacarte con forza e colpii l’anello. Una luce bianca esplose nella

stanza. Delle parole riempirono l’aria come se mille persone stessero parlando.

Attraversa le tenebre e raggiungi la luce.

Un bambino, Lenah!

Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo.

Credici e sii libera.

I sussurri svanirono e la casa cadde nel silenzio.

Strisciai verso Justin e quando mi guardò, caddi all’indietro.

Il suo colorito non era cereo. Aveva i pori dilatati e stava sudando. I vampiri non

sudano. I vampiri non hanno i pori.

Quando l’anello si era rotto, Justin era tornato umano.

Le mie mani tremavano e le allungai per toccargli la pelle. Come per fornirmi una

prova che quello che vedevo era reale, la sua pelle era calda.

«Guarda che cosa hai fatto.» sputò. Perfino le sue lentiggini erano tornate al loro

posto.

«Che cosa ho fatto?» gli risposi con voce tremante.

«L’avevo rimossa.» disse. I suoi occhi erano di nuovo di una delicata sfumatura di

verde. «L’avevo rimossa, così che non ti avrei più amato,» rantolò. «L’amore è per i

codardi».

Non c’era rimorso nei suoi occhi. Il loro verde era freddo e la forza da vampiro era

svanita. Stringeva ancora la foto insanguinata tra le mani.

«Ho usato il mio cuore per capire,» dissi. «Mi hai detto di farlo ed io l’ho fatto!».

Una fotografia delle persone che amava era stata la sua rovina. Laertes aveva

ragione. L’amore era l’antidoto.

«Volevo aiutarti,» dissi. «Riportarti indietro.».

«Basta!» urlò, continuò a urlare fino a tossire. «Smettila di mentire.»

«Mi dispiace,» dissi ancora in ginocchio vicino a lui. «Mi dispiace non aver potuto

fare niente prima che rimuovessi la tua capacità di amare.».

Non sapevo cos’altro dire. Che l’onice l’aveva trasformato in vampiro? Che Laertes

aveva detto che era impossibile far tornare indietro l’amore una volta rimosso? Forse

avrei dovuto solo dire: grazie per aver cercato di salvarmi. Ma se n’era andato. Quel

Justin non esisteva più.

«Avrei dovuto ucciderti la notte del tuo compleanno. La notte nella tenda. Quando

Odette era ancora viva,» disse. Farfugliava.

«Io odio…Io odio…» fece una smorfia e cercò di capire se stesse recuperando le sue

forze.

«Ti odio,» urlò. Sussultò un’ultima volta e la sua bocca si spalancò. Fissava il

soffitto, immobile. Non respirava più. Non si era rilassato, non aveva detto ti amo.

Era morto arrabbiato. Sconfitto.

Se n’era andato.

Di colpo arrivarono I ricordi:

Justin che cammina verso di me nel corridoio dei suoi genitori. È notte, e la luce

della luna che entra dalla finestra, illumina i muscoli del suo torso abbronzato. Ama

la vita. Vuole amare…ci ama. Il suo bacio umido dopo una partita. Il suo corpo caldo

sotto le lenzuola, la punta del mento rivolta verso l’alto mentre ride per un qualcosa

che ho detto. I suoi occhi che m’implorano di non compiere il rituale.

Cacciai via i ricordi concentrandomi su quegli occhi vuoti. Gelosia. Odio. Da

vampiro era stato motivato da tutte le sue insicurezze umane. Sarebbe stato una delle

peggiori tragedie della mia vita.

Presi l’elsa della spada e la sfilai dal suo corpo. Il sangue sulla punta della lama era

di un rosso scuro, quasi nero. Pensai momentaneamente a Fuoco e mi chiesi se era

davvero quello che avrebbe voluto da me. Uccidere Justin. Non potevo immaginare

nessuno che volesse una cosa del genere.

I miei occhi si spostarono dai capelli tagliati corti alle sue spalle larghe e poi sulle

scarpe di cuoio italiane. Le sneakers se ne erano andate. Come anche i jeans strappati

e le uniformi sportive che odoravano d’erba e sudore.

Presi le sue mani e le appoggiai sul suo petto. Misi la spada sotto le sue braccia, così

sembrava un guerriero. Non era un guerriero? Non aveva, in un modo o nell’altro,

combattuto la mia battaglia? Solo recentemente aveva cambiato schieramento. E anche

questo cambiamento, si poteva dire che fosse colpa mia.

Justin Enos era morto.

Era andato, dove se ne andavano le anime…ovunque esse andassero.

CAPITOLO 23

Traduzione: Valeriuccia7692

Controllai nella tracolla; il libro e la bottiglia erano al sicuro. Ora la cosa più importante

era Rhode.

Questo era chiaramente l’inizio della mia nuova vita. Una vita a fianco di un giovane

uomo che non avrebbe più provato passione, amore o eccitazione. Justin era davvero

riuscito a rimuovere la capacità di amare di Rhode? La cosa non m’importava. Rhode

era la mia Anam Cara e io avrei provato abbastanza amore per entrambi.

Mi voltai verso il corridoio. Rhode era svenuto un’altra volta. Era debole e in

astinenza da sangue, esattamente come lo era stato a casa di Justin in Warwick Avenue.

Fissai di nuovo il corpo di Justin. Era immobile. Al di là della gigantesca finestra

che dava sul cortile, il tramonto aveva tinto il cielo di una sfumatura scura di rosa.

Avrei dovuto portare Rhode in un posto sicuro il prima possibile. Entrai nella stanza

dove era stato legato e m’inginocchiai di fronte a lui. Allungai un braccio, le mie dita

tremavano, e gli toccai una mano.

Aprì le palpebre e i suoi occhi da vampiro incontrarono i miei. Erano ancora più

azzurri di come li ricordassi. Mi guardò con lo stesso sguardo di uno scienziato che

esamina un insetto.

Rhode allungò le mani, ma erano ancora trattenute dalle grosse catene che lo

legavano alla parete.

Lo slegai e il metallo cadde sul pavimento. Rhode collassò all’istante. Mi misi al suo

fianco a terra e, quando raggiunsi la sua mano, le sue dita mi accarezzarono il palmo

dolcemente. Rabbrividii.

«Tu….» La sua voce si spezzò, non seppi dire se a causa del poco uso o della tortura.

«Sei qui.» Disse. «Ti ho sognata.»

«Ti troverò sempre.»

Con una leggera pressione sul mio polso, Rhode mi attirò a sé e mi baciò in un modo

così passionale, che il mio corpo reagì prima della mia mente. Lo baciai a mia volta.

Le nostre bocce erano calde e lui mi baciava con trasporto. Rhode mi amava. Era così.

Lo sentivo nel tocco delle sue mani sul mio corpo e nella presa delle sue braccia mentre

mi stringeva a sé. Lo lasciai fare.

Mi staccai, le mie lacrime che bagnavano i volti di entrambi.

«Non ha funzionato!» Chinai la testa per un secondo. Altre lacrime mi scorsero

lungo il naso e le guance e poi sul pavimento. «Ha detto che si era portato via la tua

capacità d’amare.».

«Non ce l’ha fatta» rispose, e i raggi del sole mattutino filtrarono nel corridoio.

«Ogni volta che ha cercato di farlo, ha fallito» continuò. «Non poteva riuscirci senza

la mia anima gemella.»

Ecco cosa intendeva prima Justin nel corridoio. Per ottenere il nuovo Vereselum

aveva bisogno di entrambi.

Rhode mi baciò ancora.

«Forza, dobbiamo andarcene» dissi, gettando il metallo contro il pavimento. «Riesci

a camminare?»

Rhode esitò e allungò un braccio per cercare di le condizioni del suo corpo.

«In realtà…» disse, alzandosi in piedi da solo, «sono debole, ma sto bene.» Appena

finì la frase, le ginocchia gli cedettero. Lo presi per mano e gliela strinsi. Si rialzò da

solo. «Sto meglio con te» disse.

Rhode era debole, ma non così tanto come lo era stato durante l’eclissi. Justin gli

aveva comunque dato da mangiare in modo da tenerlo vivo, ma aveva bisogno del mio

aiuto per camminare; riusciva comunque a supportare la maggior parte del suo peso

da solo. Quando attraversammo il corridoio e ci trovammo di nuovo nella biblioteca, il

corpo di Justin giaceva immobile. Il sole aveva raggiunto il tappeto e l’arazzo orientale.

«Aspetta» disse Rhode, indicando il pavimento.

Un raggio di sole si era fatto strada tra le nuvole e illuminò il piede di Justin, poi la

sua gamba, il suo bel torace e infine il suo viso.

Con un lieve sfrigolio il corpo si tramutò in cenere.

«Ma era tornato umano prima di morire» dissi, «io l’ho visto.».

«Certa magia supera la nostra capacità di comprensione.» Sussurrò Rhode.

Sembrava quasi il vecchio Rhode.

«Ma…» dissi.

Forse il corpo non era riuscito a sopportare la luce dopo che l’anima si era macchiata

di una tale oscurità. Senza amore nei nostri cuori potremmo davvero essere solo

polvere.

Non puoi nasconderti dal sole per il resto della tua vita. Giusto? Mi sussurrò nella

testa il fantasma di Justin. Devi lasciar correre.

Justin era morto esattamente come aveva vissuto.

Velocemente e in maniera pericolosa.

Qualcuno sarebbe tornato nella casa a catalogare gli oggetti degli Svuotati. C’era un

sacco di roba che avrebbe potuto essere usata per scopi benefici. Incantesimi, libri,

probabilmente la casa stessa.

Aprii la porta sul corridoio, c’erano la stessa carta da parati blu scura e gli stessi

portacandele, ma le candele si erano ormai spente. Il problema era che c’erano

portacandele ovunque. Sogghignai in direzione del soffitto d’onice.

Introdussi una mano nella tracolla e tirai fuori la sabbia Amaranta. La lanciai davanti

a me e pregai: trova la strada per uscire da questa casa. L’Amaranta illuminò di rosa

un percorso che attraversava la prima porta alla nostra destra.

«Davvero comodo» disse Rhode.

«Non comodo, pianificato. E la prima cosa che faremo appena saremo usciti da qui

è trovarti del sangue. Ce n’è un po’ a casa di Cassius.»

Camminammo attraverso la porta e ci ritrovammo nell’entrata. Sospirai, contenta di

vedere che non eravamo tornati in quella maledetta stanza da letto.

«Ti spiacerebbe spiegarmi cosa…» Rhode si appoggiò alla parete. Fece un respiro

per poi continuare la frase. «Ti spiacerebbe spiegarmi cosa sia questo posto?» Chiese.

Quando mi avvicinai alla porta principale, la maniglia si materializzò.

Ma dovevo controllare una cosa prima di andare via.

Nel soffitto d’onice sopra di me e Rhode, un globo bianco svolazzava tra i nostri

busti, proprio vicino ai nostri cuori. Era più grande di quello piccolo che avevo visto

prima.

Un unico globo per un’unica anima.

«Forza» dissi.

Aprimmo la porta e, invece che sulla strada, ci trovammo in un largo garage. C’era

una dozzina di macchine di lusso parcheggiate, modelli differenti, tutte con i finestrini

oscurati. Su di una mensola c’erano sette o otto paia di chiavi.

«Questa sembra comoda» commentò Rhode, ed entrò nella macchina più vicina, che

era aperta. Era lo stesso modello del SUV di Tracy. Tracy.

Avrei fatto una telefonata appena arrivata a casa di Cassius.

Una volta anche Justin possedeva una macchina come quella. In una vita differente.

Mi bloccai ricordando di una volta in cui Tracy, Kate, Claudia ed io eravamo andate

tutte assieme a fare bungee jumping con la macchina di Justin. Cantavamo a pieni

polmoni e ballavamo ascoltando la radio. Sembrava trascorso un secolo. Cercai il

mazzo di chiavi giusto.

Appena le trovai, mi misi alla guida a fianco di Rhode e, una volta aperto il garage

con un pulsante, fummo in strada. La mia mano era appoggiata sulla leva del cambio e

Rhode mise la sua mano sopra la mia. Non guardai indietro; non ce n’era bisogno.

L’unica cosa importante adesso era andare avanti.

Andammo a casa di Cassius. Non c’era nessuno, ma Rhode bevve immediatamente

del sangue da un recipiente. Mi diede le spalle mentre bevve, anche se ormai non era

più uno shock per me. Quando arrivò il tramonto, e Rhode non avrebbe più corso rischi

a esporsi alla luce del sole, tornammo in strada e parcheggiammo davanti alla Wickham

Boarding School.

Prima di scendere dalla macchina aprì la tracolla. Volevo solo essere sicura che il

libro e l’antidoto fossero ancora lì, sani e salvi. Erano ancora assieme. Ciò che li teneva

assieme però era il diario di Rhode.

«Aspetta» dissi, toccando gentilmente la sua pelle fredda e tirando fuori il quaderno.

Glielo passai e per un secondo sembrò come se non fossimo usciti da quei cancelli e

come se non avessimo un potentissimo siero nelle nostre mani.

«Chiediti, amore mio, quanto tu sia crudele per avermi imprigionato in questa

maniera, per aver distrutto la mia libertà. Adoro queste parole» dissi.

«Keats» disse, «Ed è vero. Il tuo amore mi ha cambiato. Per sempre.»

«Mi hai sognato?»

«Per tre anni. E quando ti ho visto camminare al campus quel giorno, non sapevo

cosa fare. Ancora non ti ricordavo e nemmeno ti parlavo in sogno, nemmeno ti

stringevo. Eppure…» non finì la frase. «C’era qualcosa di così familiare in te, e mi

sentivo così in colpa quando ti avevo nei dintorni.».

«Ti racconterò tutto della tua vita appena saremo tranquilli.».

«E poi magari, se l’antidoto funziona davvero, potrebbero tornarmi i ricordi.».

Mi era stato detto in mille modi diversi che non avrei mai potuto far tornare la

memoria a Rhode. Fuoco me l’aveva spiegato per primo e Justin me lo aveva

confermato.

«Percepisco la tua incertezza.»

«Sono solo troppo preoccupata per sperare.» Risposi.

Rhode si mise un cappello da baseball che trovò sul sedile posteriore di Justin.

Probabilmente il cappello era stato suo una volta.

La mano calda di Rhode cercò la mia.

Attraversammo il cancello.

Il guardiano scrutò Rhode con attenzione. Nel campus, gli studenti continuavano a

preparare le auto e trasportare grandi scatoloni fuori dai dormitori. Anche se era notte,

il campus continuava a svuotarsi. A quanto pare non c’era tempo da perdere dopo un

attacco massiccio da parte dei vampiri. Nessuno voleva restare a scuola dopo quello

che era successo. Chi poteva biasimarli? Dal lato opposto del campus i vetri in pezzi

dell'auditorium rimanevano sparsi per terra.

Il guardiano si fermò sulla porta della guardiola.

«Rhode?» La sua bocca si spalancò e il guardiano fece un salto all’indietro dalla

sorpresa. Controllò qualcosa sulla bacheca e chiamò qualcuno al walkie-talkie. Rhode

si calcò il cappello sopra agli occhi.

«Rhode, dobbiamo chiamare la polizia. Io..sì, Lenny. È qui. Avvisa la signora

Williams.» Sorrise alla radiolina. Probabilmente era la notizia migliore che avesse

ricevuto nel corso dell’anno.

«Dovrai parlare con il tuo referente e con l’amministrazione domani mattina.

Probabilmente anche i poliziotti vorranno farti delle domande. Non so se l’hai saputo,

ma la scuola chiude fino al prossimo autunno.».

«Quando?» Chiese Rhode.

«Tra due giorni. Dopo le sparizioni degli studenti e quello che è successo

nell’assemblea di ieri, il comitato e la città credono che…ti spiegherà tutto il tuo

referente» disse il guardiano.

Entrò di nuovo nella guardiola. Non avevo nessuna voglia di vedere Tina, il nostro

referente, e la stessa cosa valeva per Rhode. Dovevamo portare il Vereselum a Cassius,

e in fretta. Salutammo il guardiano e ci incamminammo lungo il sentiero. Esattamente

come concordato con Cassius, ci dirigemmo verso la cappella.

Di notte era più facile evitare gli ultimi gruppetti di ragazzi che entravano e uscivano

dalla caffetteria. Soltanto il bar delle insalate e lo stand dei panini sembravano ancora

aperti. Riuscimmo a entrare nella cappella senza essere notati. Mentre camminavamo

verso l’altare in fondo alla stanza, Tony mi saltò al collo per abbracciarmi.

«Visto? Sapevo che ce l’avresti fatta» disse.

Abbracciò affettuosamente Rhode, quasi buttandolo a terra.

«Amico, è bello vederti.»

Cassius era in piedi contro la parete, sotto a una vetrata con Esteban e Micah. Mi

guardò negli occhi e io raggiunsi la fine della navata. Allungò una mano affinché la

stringessi, ma io lo tirai verso di me e ci abbracciammo.

L’anello è stato distrutto, dissi nella mia mente. E quando si è spezzato,

distruggendo la magia, Justin è tornato umano. Solo per un momento.

Mi dispiace, dissero Micah e Cassius all’unisono.

Si è comunque trasformato in cenere appena il sole l’ha toccato. Non ne sono sicura,

ma penso sia stato perché la sua anima era stata intaccata da troppa magia oscura.

«Hai fatto quello che dovevi fare» disse Cassius a voce alta, «quello che tutti

sapevamo saresti riuscita a fare.».

Cassius si allontanò e fece un cenno verso l’angolo della stanza, Tracy era lì. Mi

mancò il fiato. Esteban era in piedi vicino a lei come se fosse una guardia del corpo.

Tracy uscì dall’ombra e mi abbracciò. Il freddo del suo corpo mi diede I brividi.

«Quando è successo?»

«Subito dopo l’attacco all’auditorium.»

Ci separammo. Era facile dimenticarsi del pericolo di quegli occhi induriti, anche

dopo tutto quel tempo. Poteva vedere ogni mia imperfezione umana. I suoi capelli

biondi non erano mai stati così rigogliosi.

«Smettila» disse, guardando il pavimento.

«Smettere cosa?»

Per un attimo lasciò che le sue zanne fossero visibili. «Tu più di tutti gli altri. Non

ammirarmi.»

«Quello che hai detto sul dolore dei vampiri, è il senso di colpa ciò che mi tormenta

di più. E il rimorso. Continuo a pensare a ogni cosa io abbia mai fatto.»

Tracy non mi chiese di Justin.

Guardai il tavolo dove avevamo preparato il nostro piano per attaccare la casa di

Justin. Misi una mano nella tracolla e presi l’antidoto. La fiala di vetro tintinnò contrò

il tavolo quando l’appoggiai. Cassius, Micah ed Esteban fecero un passo indietro verso

la parete. Tracy si morse le labbra e si lasciò cadere tra le braccia di Tony. Lui continuò

a stringerla. Rhode non si allontanò, ma tenne le mani in tasca. La luce della luna

attraversò la finestra e illuminò la piccola bottiglia. L’antidoto era rosso e la luce lo

fece risplendere.

«Prima di tutto» dissi, avvicinandomi a Rhode, «non abbiamo visto vampiri nel

campus questa sera.».

«Hanno fatto un accordo con me» disse Tracy scostandosi i capelli all'indietro.

«Dopo quello che hanno fatto in auditorium, hanno accettato di restare fuori dal campus

fino a domani dopo il tramonto.»

«Come possiamo fidarci di loro? Come hai fatto a convincerli? Il senso di colpa non

è sufficiente.»

Tony si mise una mano in tasca e ne tirò fuori la scatola che mi aveva dato Fuoco,

quella che aveva contenuto le armi. L’aprì, l’anello rappresentante l’aria non c’era più.

«Diciamo soltanto che hanno pensato potessimo avere di più.»

«Beh allora muoviamoci» dissi, «Cassius prendi questo.»

Gli passai il libro e Cassius si sedette immediatamente e lo aprì.

Dopo un’ora io, i Demelucrea, Tracy e Rhode eravamo ancora seduti sul pavimento,

mentre Cassius continuava a lavorare. Dovevamo sapere se il libro di Laertes spiegava

come produrre più antidoto una volta che avessimo utilizzato quello della fiala.

Dovevamo anche trovare un modo di distribuirlo a ogni vampiro che lo avesse voluto.

Mentre aspettavamo, raccontai loro cosa fosse successo nella casa degli Svuotati,

della battaglia con Justin e della sua morte.

«Quindi non ha mostrato alcun rimorso?» Chiese Tracy. I muscoli della sua faccia

erano tirati, la sua espressione tesa, come quella di una bambola di porcellana.

«Nemmeno un po’» dissi, «voleva infliggere dolore fino al suo ultimo respiro.»

Cassius si alzò e camminò fino alla fine del tavolo. Ci alzammo tutti in piedi.

«Avrò bisogno di mesi per decifrare questo libro» disse. Rhode si alzò in piedi e

raggiunse l’altro lato del tavolo. «Ma ho letto e riletto la sezione riguardante l’antidoto

cinque volte» continuò Cassius. «Penso di averne capito i componenti.»

«Quindi? Cosa diavolo è?» Chiese Tony.

«Questo è l'antidoto. Contiene tracce del sangue di Lenah. È la fonte originale di ciò

che ci ha trasformato. Ma è anche una combinazione di molte cose. Quando ci siamo

trasformati Rayken o Levi hanno mescolato il sangue di Lenah con il nostro.»

«Il nostro?» Chiese Micah meravigliato.

«Non può funzionare senza sangue di Demelucrea» spiegò Cassius. «Ma non ce n’è

abbastanza qui» aggiunse, leggendomi nel pensiero. «Se vogliamo ricrearlo, uno di noi

dovrà donare il suo. È l’unico modo. C’è bisogno di sangue di Demelucrea perché

funzioni, e noi abbiamo sia il nostro sia quello di Lenah che ci scorre nelle vene.»

«Siamo parte dell’antidoto?» Sussurrò Esteban.

I Demelucrea emanavano un misto di orgoglio e diffidenza e non li potevo biasimare.

Anch’io avevo provato lo stesso orgoglio e lo stesso imbarazzo.

«Come possiamo essere sicuri che non sia un trucco?» Chiese Rhode, «che il vero

libro non sia ancora nascosto da qualche parte nella casa?»

Tracy e Tony si alzarono e si appoggiarono alla parete, e quest'ultimo incrociò le

braccia. Tracy aveva la testa appoggiata sulla sua spalla. Micah si era alzato in piedi e

aveva una mano davanti alla bocca. Continuava a spostare il peso da una gamba

all’altra.

Cassius si chinò sul libro. Schiacciò le erbe e i fiori che erano attaccati alle pagine.

Voltò una pagina in particolare. Appunti nella calligrafia di Laertes riempivano la

pagina vicino a uno schizzo del mio viso.

«Non ha senso usare informazioni false, ma non ha nemmeno senso sprecare così

tanto tempo a produrre un falso di questa fattura. È un rischio per entrambe le parti

Rhode.»

Cassius fece un cenno verso l’antidoto, incitando Rhode a berlo.

Rhode fece per prendere la bottiglietta, ma si fermò appena le sue dita la toccarono.

Strinse il pugno. «Puoi riprodurlo?» Chiese a Cassius. «Ne sei sicuro?»

«Una volta che l’avrai bevuta, prenderò un campione del tuo sangue e, se il libro è

quello vero e ho capito bene, è tutto ciò di cui avrò bisogno.»

«Ma il sangue…» disse Tony, «stavi parlando di te stesso vero? Dovrai aggiungere

il tuo sangue per distribuire l’antidoto.»

«Si tratta sempre di sangue» mormorai. La cosa che volevo di più in quel momento

era potermi lasciare per sempre alle spalle quell’orrendo mondo in cui la voglia di

sangue faceva da padrona.

«E l’ultima persona che trasformerai?» Chiese Rhode.

«Sarà l’ultimo vampiro che riuscirò a trovare» disse Cassius.

«Il mondo è grande» disse Tony.

«E io ho un sacco di tempo» replicò Cassius.

Non sapevo come mostrare a Cassius la mia riconoscenza. Dire grazie non sembrava

abbastanza viste la sua lealtà e determinazione. Mi venne in mente quello che aveva

detto la notte del rituale. Aveva paura di morire senza onore. Sradicare il vampirismo

sarebbe stato il suo modo per ottenerlo.

Rhode alzò la bottiglia e, appena lo fece, la luce della luna colpì il liquido color

magenta. I nostri sguardi s’incontrarono. Non avevamo scelta; dovevamo correre il

rischio.

«Uscite tutti dalla stanza» disse Cassius, «anche tu Lenah. Deve poter concentrarsi.

Potresti distrarlo. Starò qui io.»

Seguii gli altri verso la porta, ma il mio sguardo restò su Rhode. La luna scomparve

tra le nuvole e la stanza cadde nell’ombra. L’unica luce veniva dagli occhi argentei di

Cassius.

Rhode svitò il tappo e si portò la fiala alle labbra. I suoi occhi incrociarono di nuovo

i miei.

Proprio quando la porta stava per chiudersi, disse: «Alla tua salute, amore mio.»

Portò indietro la testa e svuotò il contenuto della fiala.

CAPITOLO 24 Traduzione: Angela

Tracy mi portò fuori, altrimenti non avrei lasciato la cappella.

«Vieni con me» disse con un tono di nuovo calmo. Ci dirigemmo verso l'edificio

Hopper.Da vampira, si muoveva con minor goffaggine rispetto a quando era umana.

Grazie alla vista da vampiro, riuscivo a scorgere tutti I suoi minimi movimenti. Mi

mancava il suo vecchio modo di camminare.

«Guarda» disse, indicando il bosco.

Ombre di corpi si intravedevano sotto gli alberi. Altri, notai quando guardai meglio,

si trovavano lungo il muro.

Vampiri. Come li avevo visti la notte prima dell'attacco all'auditorium. Arrivavano

in gruppi. Secondo Micah, messaggi sull'antidoto erano stati spediti in tutto il mondo.

Sulle mie mani c'erano le vite vita di Justin, Kate e Jackie. Pure quelle di Liliana ed

Henri. Forse potevamo liberare tutti i vampiri, e le morti dei miei amici e delle mie

conoscenze non sarebbero state vane.

«Quando mi hanno trasformata... Sai a cosa ho pensato?» chiese Tracy.

«Il buio? Il tuo battito?»

«Che non avevo compassione per Justin come vampiro.» I suoi occhi cristallini mi

guardarono sotto la luminosa luce della luna. «Non ero neanche spaventata di quello

che stavano per farmi. Volevo solo essere umana di nuovo. Così avrei vissuto tutta la

mia vita, dall'inizio fino alla fine. In modo da apprezzarla tutta.»

Mi fermai. «Un centinaio di bellissimi bambini metà asiatici?» dissi con una risata.

Pure lei rise e ciò fu una gioia. «Andrà tutto bene» dissi.

Gli occhi di Tracy si concentrarono di nuovo sulla foresta.

«Ci stanno guardando» disse. «Se qualcuno si avvicina a te, Lenah, li ucciderò tutti.»

Era una vampira potente.

«Pensavo mi avresti odiata» dissi.

Scosse la testa, distogliendo gli occhi dai vampiri in lontananza.

«Mai.» Ci sorridemmo.

«Dirò loro che stiamo lavorando sull'antidoto adesso» disse. «Starò bene.»

Doveva aver sentito la mia esitazione, ma fu breve. «E anche tu. Sei al sicuro, lo

giuro.»

Tracy puntò verso la spiaggia. Tony stava seduto sul muretto che si affacciava

sull'oceano. «Credo ti stia aspettando.» Tracy saltò attraverso il sentiero principale ed

entrò nei boschi della Wickham. Si mescolò alle ombre, sapendo come tutti i vampiri

il modo migliore per scomparire nella notte.

Non vedevo l'ora di unirmi a Tony, e nonostante la promessa di Tracy, ero confusa

sul perché qualcuno lo avesse lasciato sedersi lì, esposto. Camminai con passi leggeri

verso la spiaggia.

La scuola avrebbe riaperto in pochi mesi, ma le cose sarebbero cambiate; il mondo

sarebbe cambiato. E io avrei costretto i vampiri guariti a rispettare un'unica importante

regola: mentre essi aspettavano di essere trasformati, la Wickham Boarding School e

Lovers Bay non dovevano essere toccate. La scuola doveva essere protetta. Per sempre.

Tony stava seduto sulla sporgenza in pietra, guardando l'acqua calma della baia.

Il modo in cui la luce della luna illuminava l'acqua e le barche nei loro ormeggi mi

avrebbe sempre reso cara Lovers Bay. Non avrei dovuto essere qui. Avrei dovuto

vivere con la famiglia nel 1400. Qualsiasi altra epoca in cui avevo vissuto non era mia

da vivere.

Camminai fino alle scale e mi fermai accanto al muro su cui Tony era seduto.

Nonostante non ricordasse la nostra prima conversazione, mi elettrizzava chiedergli la

stessa cosa che gli avevo chiesto allora.

«Posso sedermi con te?»

«Ehi, compagna di viaggio» disse, spostandosi più in là. «Il mio cervello è in

ripetizione. Continua a dire...» disse con una voce robotica, «Spero veramente che

l'antidoto funzioni e che che riusciremo a farlo per tutti. Spero veramente che l'antidoto

funzioni. Spero veramente... Si, hai capito.»

«Lo scopriremo subito» dissi dolcemente con una piccola risata. Non potevo più

preoccuparmi.

Quei giorni erano finiti. Questa era l'unica speranza che avevo.

«Sarà una lunga notte» disse Tony con un sospiro. Si appoggiò sulle mani.

«Forse.»

La luce della luna ondeggiava sull'acqua e rifletteva gli occhi di Tony.

Si girò verso di me.. «Allora, ho usato completamente l'ultimo anello per togliere di

mezzo il gruppo che stava fermando Tracy. Lenah, avresti dovuto vedermi. Ho lanciato

l'anello e questo li ha gettati in aria come... be', come un grande ciclone. Non abbiamo

neanche visto dove sono finiti, era così potente. Abbiamo preso Tracy, ma lei non si è

messa a correre. »

Tony si mise in piedi e imitò la posa di Tracy.

«Vuoi questo antidoto?» alzò perfino la voce per renderla più femminile. Scoppiò a

ridere. Immediatamente fece una faccia seria di nuovo. «State lontani da noi. Chiunque

si avvicinerà e farà del male a una singola persona ancora nel campus non avrà

l'antidoto. Vi pugnaleremo al cuore e basta.»

Saltò sul muretto e disse con la sua voce normale.

«Però l'hanno ascoltata. Centinaia di loro stanno qui, ma nessuno è entrato nel

campus.»

«Me l'ha detto» dissi. «Ma non mi ha mostrato quella stimolante interpretazione.»

Alzò il mento. «Sono io. Hanno paura di me.»

«Ci scommetto.»

La sua finta arroganza scomparve quando vide il mio collo.

«Hai dei lividi.»

Toccai i punti delicati sul mio collo. Molta parte del mio corpo faceva ancora male.

«E' dove Justin ha tentato di strangolarmi.»

Gli occhi di Tony rimasero sui lividi. «Hai fatto ciò che dovevi...» disse con tono

basso.

«Non c'era nessun altro modo» dissi. «Volevo salvarlo anche dopo che avevo capito

cosa era diventato. E per la verità, pure alla fine» dissi a bassa voce.

«Lo so» disse Tony. «Non hai avuto scelta.» Esitò e dopo un momento disse, «Credo

che dirò a sua madre, lo sai, la verità.»

«Non ti crederà mai.»

«Lo farà se porto Cassius.»

«Justin, in qualche modo, ci ha aiutato con l'antidoto» dissi. «Questo la renderà

felice. Gli Svuotati non sapevano che Justin l'avrebbe tenuto.»

Tony inarcò le sopracciglia.

«Si... ha aiutato. Questo è molto importante. Anche se è completamente incasinato.»

«Puoi cambiare la storia. Per lei.»

Piego' le spalle, chiudendosi in sè stesso. «C'è qualcos'altro» aggiunse.

«Cosa?»

Guardò di traverso l'oceano, come se si stesse concentrando duramente sulla scelta

delle parole.

«Ho ricordato qualcosa. Dopo la lite nell'auditorium siamo ritornati al dormitorio, e

quando sono entrato nella mia stanza. Mi sono ricordato di te. Di prima.»

«Ti sei ricordato? Cosa?»

«Avevi tentato di avvertirmi sulla congrega, non è vero? Nell'altra vita. Mi hai detto

di non immischiarmi, ma l'ho fatto lo stesso.»

«Non volevo dirtelo» dissi.

«L'ho sognato. Un milione di volte. Solo che non sapevo fossi te finché non mi sono

ricordato del sogno e poi ho messo tutto insieme.»

Posai una mano sul suo ginocchio e Tony mi guardò.

«Avrei dovuto ascoltarti» disse. «Se non avessi ficcato il naso dove...»

«Avevo pensato che proteggendoti dalla verità ti avrei salvato. Ma ha segnato il tuo

destino, perché volevi conoscere tutte le risposte. Questa volta non l'ho fatto. Vedi?

Mossa intelligente. Senza di te, avremmo fallito.»

«È vero. Sono grandioso. Come Superman. Senza i collant.»

«Chi è Superman?»

Tony buttò la testa indietro e rise alle stelle. Amavo il modo in cui le sue spalle

venivano scosse mentre rideva profondamente.

«Ti voglio bene, lo sai, vero?» dissi.

Si azzittì subito, a perfino sotto la luce della luna, potevo vedere che era arrossito.

«Nessuno me l'ha mai detto prima senza, sai, doverlo fare» disse.

Tirai Tony verso di me e lo abbracciai stretto. Inspirai il suo odore familiare unito

all'aria salmastra di Lovers Bay. Arei voluto ringraziarlo per la telefonata prima di

entrare nella casa degli Svuotati. Non ne avevo bisogno, perché lui era il mio migliore

amico. L'unico altro migliore amico, oltre a Rhode, che avessi mai avuto. Questo

giovane uomo sarebbe cresciuto per diventare qualcuno. Ne ero sicura.

«Hai fatto bene» disse, staccandosi dal mio abbraccio. «Veramente bene. Cambierai

il mondo. Quante persone possono dirlo?»

«Non l'ho fatto da sola» dissi.

Le braccia di Tony si allontanarono.

«Lenah» sussurrò. Stava scrutando qualcosa oltre le mie spalle.

Mi girai per seguire la direzione del suo sguardo. Quello era Rhode? Si, stava

camminando lungo la spiaggia e la luna aveva creato un'aureola sulla sua testa e sulle

sue spalle.

Aveva funzionato? Non riuscivo a capirlo.

«Vai da lui...» disse Tony.

«E se-»

«Vai.»

Mi alzai lentamente. Le mie gambe non erano sicure su dove andare. Un piede

davanti all'altro. Un piede davanti all'altro. Volevo ignorarlo, ma il mio cuore stava

sbattendo nel mio petto. Rhode aveva la mano infilata nella tasca. Aveva una piccola

ruga sul lato sinistro della bocca. Un sorriso enigmatico.

Molto da Rhode.

Rhode, che aveva combattuto con Richard III.

Questo poteva significare solo una cosa.

Allargai le mie braccia come quando ero nel campo di lavanda.

«Rhode!»

Corse verso di me e questa spiaggia era il campo di lavanda, il frutteto dei miei

genitori la prima volta che ci eravamo incontrati, era la tenuta della Wickham, un teatro

dell'opera, e tutte le strade che avevamo percorso insieme. Sempre più vicini. Quasi

qui.

«Rhode!» gridai.

Era qui.

Rhode mi sollevò e mi baciò. Mise la mano sulla mia nuca, e giuro che il calore

sovrannaturale che avevamo da vampiri corse lungo il mio corpo.

L'amore si librò in volo. Poteva volare.

Mentre la Terra girava sul suo asse, la forza del bacio di Rhode mi disse che lui mi

amava, e quando mi tirai indietro, passò un dito lungo la mia guancia. Il blu dei suoi

occhi sembravano molto più il colore di un gioiello di quanto ricordassi sotto la luce

sbiadita della luna.

«Be'...» disse, e poi sospirò.

Nel suo sguardo c'era una scusa.

«Quella era un'avventura, vero?» ero così conscia del nostro amore per l'altro, che

non aveva neanche bisogno di dirlo a parole. «Ho riavuto la mia memoria.» Toccò

dolcemente i miei capelli con la punta delle dita.

«Lo farei daccapo» dissi. «Per te.»

Portò la sua bocca sulla mia. Le nostre labbra si schiusero e sentii il suo sapore.

Adesso potevamo farlo; potevamo baciarci ogni volta che avremmo voluto. Mi adeguai

al movimento del suo bacio. Accanto a noi, Tony si schiarì la gola.

«Ciao, Tony» disse Rhode, rimettendomi lentamente sulla sabbia.

Tony aveva camminato lungo la spiaggia per unirsi a noi. «Lasciatemi perdere. Stavo

solo guardando la baia. E' molto affascinante a quest'ora della notte.»

Rhode lasciò un braccio intorno alla mia vita, mentre allungò l'altra mano.

«E' un onore...» disse Rhode.

«In qualsiasi momento, fratello. In qualsiasi momento.»

«Quindi cosa è successo?» chiesi a Rhode con una piccola gomitata.

«Ci sono voluti venti minuti. L'antidoto era così strano. Aveva il sapore di lavanda,

giorni soleggiati, e mi fluiva dentro. Per ogni centimetro che si diffondeva nel mio

corpo, mi ricordavo sempre di più di voi. Tu, io, il frutteto, la casa degli Hatersage,

Lenah, tutto» sorrise.

Tracy ed Esteban corsero verso di noi dal sentiero vicino la serra.

«E' quello, Rhode?» lei gridò e saltò su e giù.

«Esteban, credo sia Rhode!»

«Dov'è Micah?» chiesi. «Lui era il prossimo a trasformarsi.»

Cassius corse verso di noi lungo la spiaggia dalla stessa direzione di Rhode. Una

volta che mi ebbe raggiunto, mise entrambe le mani sulle mie spalle.

Il freddo e cinico soldato era felice come un bambino. «Ha funzionato!» Ci

abbracciammo e Cassius non riusciva a trattenere la sua gioia. «Ha funzionato!» Mi

sollevò, e quando mi posò a terra, si girò verso Tracy e Tony.

Micah camminò tra di noi, festanti, verso la riva. Ci sciogliemmo dal nostro

abbraccio e lo guardammo mentre si inginocchiò e posò entrambe i palmi nell'acqua.

«E' fredda» disse mentre era inginocchiato. «E' fredda.» Si mise a ridere. Rise e rise,

finché tutti stavamo ridendo di nuovo insieme su quella spiaggia. «Quando tutto sarà

finito» disse Micah, allontanandosi dall'abbraccio con Cassius, «andrò da mia sorella.

Avrà quarant'anni. Ne aveva undici quando... be', quando me ne sono andato.»

Rhode continuò a tenere il suo braccio intorno alla mia vita.

«Tracy, tu sarai la prossima» disse Cassius, mentre Tony la abbracciava stretta.

«Non ancora» rispose Esteban. «Non c'è niente che voglia di più. Ma hai bisogno di

aiuto, Cassius. Avrai bisogno di diffondere questo messaggio ai vampiri in modo

sicuro. Voglio aiutarti.»

«Va bene. Puoi decidere quando sei pronto.»

«E la casa» disse Esteban. «Gli Svuotati. Non vedo l'ora di mettere le mie mani su

quella biblioteca.»

Cassius posò una mano sulla spalla di Esteban. «Ce la faremo. Andremo lì e la

renderemo la nostra nuova casa.»

«Ehi, cos'è?» chiese Tony, e raccolse qualcosa da vicino i miei piedi. Un pezzo

sporco di stoffa grigia penzolava dalle sue dita. Era sporco con macchie rosse.

Era il braccialetto che avevo ricavato dalla mia gonna molto tempo fa, quello

macchiato dal sangue di Suleen. Tony me lo porse e lo tenni sul palmo della mia mano.

Gli occhi di Rhode incontrarono i miei, e seppi che non avevo bisogno di spiegare

cosa era accaduto a Suleen.

«Mandalo verso l'alba» disse dolcemente Rhode.

Posai il piccolo braccialetto sull'acqua. Mi aspettavo che sarebbe caduto dopo che

Justin era morto, ma era rimasto sulla mia pelle fino ad adesso. Mentre la stoffa

dondolava sulle piccole onde e verso la baia, sussurrai, «Addio.»

Il mio braccialetto insanguinato si disintegrò, rilasciando le fibre nella baia salata.

Il cielo non era più punteggiato di stelle. Adesso era viola, presto sarebbe stato rosa,

e poi il giallo dell'alba.

Quando avevo chiesto a Fuoco per la prima volta di riportarmi indietro nel mondo

medievale, mi aveva detto come ritornare a casa.

«Tutti i cicli devono essere completi. Il sole che dà inizio alla giornata deve sorgere.

La fiamma che illumina il mondo deve scomparire. Finire ciò che ha iniziato.»

Rhode incontrò i miei occhi.

«Cosa c'è?» chiese.

Se volevo ritornare a casa, potevo. Dovevo solo aspettare fino a quando il mio

compito non fosse stato completato.

«Quando è finito, devi ritornare sul campo di tiro con l'arco. Quando il nuovo sole

sorgerà, sarai rimandata indietro.»

Il sentiero dietro di me era vuoto. I dormitori per lo più all'oscuro.

Il vento adesso era leggero e caldo. Inspirai l'odore salmastro della Wickham

Boarding School, «Nell'oscurità e nella luce.»

Avevo fatto ciò che Fuoco mi aveva chiesto. Potevo ritornare a casa.

«E tu?» Tracy chiese a Cassius, e venni riportata alla conversazione.

«Sarò l'ultimo a essere trasformato» disse Cassius. «Prima ho bisogno di andare alla

casa degli Svuotati e distruggere il tetto e il pavimento di onice. Distruggerlo e

riportarlo nel mondo ordinario. Da ciò che Lenah mi ha detto, c'è molto da svelare e

smontare nella casa.»

Micah incrociò le braccia. «E io aiuterò il più possibile.»

«No. All'alba, Micah, prenderai un treno per andare a casa di tua sorella» disse

Cassius. «Questo è come puoi aiutare.»

«C'è del denaro nel baule nella mia stanza» dissi a Micah.

«Dovresti prenderlo e andare.»

Micah premette le labbra e annuì.

«Un attimo, non ne avrai bisogno?» mi chiese Tracy.

Il sole fece capolino all'orizzonte. Rhode strinse il suo braccio intorno a me.

Il cielo era di un color lavanda e una spessa linea arancione segnava l'orizzonte.

Rhode mi girò verso di lui.

«Andrò ovunque tu voglia. Basta che mi dici dove.»

Dietro la biblioteca c'era la collina che si alzava fino all'altopiano di tiro con l'arco.

Nel campus era appena iniziato l'autunno, e gli alberi verdi erano cosparsi di rosso e

arancione, un indizio del freddo che avrebbe fatto a breve. Era l'estate del 1417 quando

me n'ero andata per ritornare alla Wickham.

«Voglio ritornare a casa» dissi. «Dalla mia famiglia.» Rhode baciò la mia fronte

come risposta.

«Quando lo farai?» chiese Tony con una punta di panico nella voce. «Quando te ne

andrai?»

Potevo restare. Volevo vedere le facce dei vampiri che avevamo ritrasformato

mentre il giorno iniziava su Lovers Bay. Avrei amato vedere la loro gioia mentre il sole

avrebbe illuminato la loro pelle.

Ma me ne sarei dovuta andare all'alba.

Il sole si librò proprio sopra la linea dell'orizzonte. «Devo andare adesso» dissi.

«Adesso?» la voce di Tony si spezzò.

Mi allontanai da Rhode e mi diressi verso Micah, Esteban e Cassius. Si inchinarono

verso di me.

«No, per favore. Non sono più Ranoiera. Niente più inchini.»

Micah alzò la mano per toccare il ciondolo ancora intorno al suo collo. «Credo che

indosserò il mio» disse. «Per ricordare.»

«Come ritornerai a casa?» chiese Tony.

«Deve ritornare indietro. Nel suo tempo» disse Tracy, prendendo la mano di Tony

nelle sue.

«Hai ciò di cui hai bisogno?» chiesi a Cassius.

Ci pensò su un momento, ma nei suoi occhi argentei, quasi viola adesso per via del

cambiamento del cielo, c'era la parola... «Si.» Non mi avrebbe mai rifiutato niente.

Questo era il suo modo di salutarmi e non avrei mai dimenticato la sua lealtà.

«Si» disse. «Abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno.»

«Promettimi una cosa dentro quella casa.»

«Qualunque.»

«Distruggi la porta. La porta a forma di scultura umana. In mille pezzi.»

«Sarà la prima cosa che faccio» disse Cassius. Si girò verso Tracy. «Ho bisogno di

te un'ultima volta. Avverti i vampiri nei boschi che l'antidoto funziona. Dì loro che

creeremo un calendario per somministrarlo a tutti nella casa degli Svuotati domani.

Incontrami nella cappella; levati dalla luce.»

«Andrò con te» disse Esteban a Tracy. Lei annuì, pronta per il suo ultimo compito

come vampira.

«Aspetta» dissi, fermando Esteban prima che lui e Tracy potessero correre via.

Grazie, dissi a Micah ed Esteban nella mia mente.

Esteban sorrise, ma Micah guardò avanti e dietro tra noi due.

«Ho detto, grazie.» Micah mi abbracciò come addio e gli diedi le chiavi della mia

stanza e del baule. Dopo, sarebbe andato alla cappella per prendere le sue cose. Ognuno

di loro aveva molti giorni davanti. Tracy ed Esteban si avvicinarono a Cassius.

«Buona fortuna» disse Cassius, allungando un braccio. Invece di dargli la mano per

salutarci, mi tolsi l'orologio che mi aveva prestato e glielo porsi.

«Stai venendo a salutarmi, vero?» chiesi.

La sua bocca formò un sorriso. «Ovviamente.»

Guardai verso Tracy. Le sue labbra erano chiuse nonostante stesse sorridendo. Mi

strinse in un freddo abbraccio da vampiro. Il freddo della sua pelle si sarebbe riscaldato.

Il suo cuore avrebbe battuto di nuovo.

«Riesco a sentire la tua speranza per me» disse. «E' splendido, grazie.»

«Sii coraggiosa.»

Fece dei passi indietro, «Come te.»

Mantenne i suoi occhi su di me fino all'ultimo. Si girò, e lei ed Esteban corsero verso

il campus. La sua ombra divenne sempre più piccola mentre correva, e finalmente

scomparve nell'ombra degli alberi. Una serie di figure la circondarono.

«E' ora di andare» dissi, non avendo bisogno di controllare il sorgere del sole. Il

colore del cielo era diventato di un rosa chiaro.

Tony prese la mia mano sinistra, Rhode, la destra. Cassius camminò accanto a

Rhode. Iniziammo a camminare verso la casa. Oltrepassammo il dormitorio Quartz,

poi il circolo universitario, oltre le lunghe finestre dove avevo mangiato con i miei

amici. Arrivai alla collina di tiro con l'arco e feci alcuni passi, prima di rigirarmi verso

il campus. C'era la mia vita.

Il circolo universitario, la biblioteca. Anche la torre della stella.

I miei occhi oltrepassarono il campo da lacrosse e la tenuta, e mi fermai quando

Tracy uscì dagli alberi vicino alla tenuta della Wickham. All'inizio pensai fosse da sola

in quella mattina color lavanda.

Vampiri da ogni parte del mondo – asiatici, africani, europei, uomini e donne –

uscirono dagli alberi. Insieme stettero sul perimetro del bosco della Wickham. I miei

occhi passarono da una fine del campus all'altra, ma ogni singolo spazio era occupato

da un vampiro. Con un movimento grazioso, tutti i vampiri allungarono una mano

davanti a loro all'unisono, e lo portarono al proprio cuore.

«Cosa stanno facendo?» chiese Tony.

«Credo...Credo stiano dicendo grazie.»

Rhode strinse la mia mano. Non volevo lasciare andare la mano di Tony o quella di

Rhode, quindi sperai che la vista delle lacrime che scorrevano sulle mie guance fosse

abbastanza per i vampiri che stavano guardando.

Centinaia di loro stavano in massa contro gli alberi, tenendo le loro mani sui loro

cuori.

Pure loro avrebbero pianto.

Sarebbero stati liberi.

L'alba punteggiò la cima della collina. Il bersaglio. La via per casa.

Salimmo la collina. Camminammo insieme fino alla cima e con ogni passo che

facevo, mi lasciavo indietro la Wickham Boarding School. Mi allontanai da Tony e

dalla vita che avrei potuto avere se fossi stata nel mondo moderno. Mi allontanai dagli

amici, dalle danze moderne, dal latte macchiato. Musica dentro uno stereo che poteva

suonare con un volume così alto che avrebbe riempito una stanza, musica pop, e

biblioteche con migliaia di libri. La mia lista era così lunga. L'alba crebbe più luminosa

intorno alla mia famiglia e ai miei amici. La mano della mia anima gemella era stretta

nella mia e continuammo a salire.

«Quasi arrivati» disse Rhode con un'altra stretta. Guardai indietro un'altra volta

verso la Wickham e i vampiri che mi stavano guardando andar via. Dissi un ultimo

addio con un'occhiata alla serra, Lovers Bay, Main Street e oltre.

«Pronta?» chiese Rhode. «Siamo qui.»

Feci gli ultimi passi del pendio e, mentre arrivai all'altopiano di tiro con l'arco, l'alba

si schiuse oltre l'orizzonte.

E qui – aspettando più in là – c'era Fuoco.

Stava davanti a un sentiero arancione di luce che portava a un orizzonte infinito.

Tolsi la mia mano da quella di Rhode e iniziammo a dire addio agli altri. Rhode

strinse la mano di Cassius e io mi gettai su Tony. Mi abbracciò e singhiozzò contro di

me.

«Ti voglio bene» disse.

Mi sciolsi dall'abbraccio e lo fermai, poggiando le mie mani sulle sue spalle. I suoi

bellissimi occhi a mandorla familiari incontrarono i miei e in essi vidi ogni storia della

nostra amicizia.

Non aveva bisogno di ricordare tutto ciò che avevamo fatto, o detto, lui lo sentiva.

Avevamo uno speciale tipo di amore. Il suo pomo d'Adamo si alzò e abbassò per dire

questo straordinario addio.

«Voglio che tu capisca una cosa» dissi. «Qualcosa di molto importante. Hai dato un

significato a quest'esperienza che mai avrei immaginato possibile.»

«Lenah...» disse, e i suoi occhi si riempirono di lacrime.

«No, Tony» dissi con una scossa della testa. «Non dimenticherò mai cosa mi hai

dato e sentirò sempre la tua mancanza.»

«Ma te ne stai andando» disse. «Potresti rimanere.»

«E' ora per me di andare a casa. Dove sarei dovuta sempre stare.»

«Cosa farò?» disse con un piccolo singhiozzo. «Senza di te?»

«Qualcosa di importante» dissi. E sapevo che era vero. «Non essere sorpreso dalla

tua grandezza, Tony Sasaki. Sii sorpreso che nessuno se lo aspettava.»

Abbracciai il mio migliore amico e mi dissi di non dimenticare mai il suo calore.

Rhode mi diede un colpetto alla spalla e mi allontanai dalla forte stretta del mio

migliore amico.

Rhode prese il mio posto e abbracciò Tony. Mi girai verso Cassius.

Afferrammo l'avambraccio dell'altro in vero stile Demelucrea.

«Grazie» dissi con una piccola risata.

«Prego» rispose. Il mio sorriso cadde mentre dissi, «Non aspettare troppo a lungo

prima di usare l'antidoto su di te. Promettimelo.»

«Lo prometto, Renoiera.»

Mi sopraffò l'ondata di qualcosa come nostalgia, quando disse quella parola. Alzai

il braccio e toccai la collana che indossava ancora al collo.

«Racconta la storia. La mia storia. Dilla cosicché ogni vampiro da ogni parte lo

sappia.»

«Lo farò.»

Gli diedi un bacio sulla guancia.

Grazie, dissi nella mia mente. Per tutto.

Tutto sarà fatto, Lenah.

Baciai l'altra guancia, felice che mi avesse chiamato per nome. Indietreggiai da

Cassius, verso l'amore della mia vita. Rhode stava accanto a Fuoco.

Lacrime scivolavano lungo la faccia di Tony. Perché dovremmo avere paura del

dolore di un addio? Era il corso naturale della vita.

Volevo ricordare Tony in questo modo – alla luce dell'alba.

Mai più paura. Mai più correre dalla luce del giorno. Adesso potevo camminare alla

luce del sole, e sarei andata a casa.

Per sempre.

Quando arrivai a Rhode, lui prese la mia mano e ci girammo verso il sentiero

arancione.

«Sai, aveva ragione» disse Fuoco.

«Chi?» io e Rhode chiedemmo all'unisono.

«Suleen. Su di te. Su cosa sareste riusciti a fare insieme. Sarebbe orgoglioso.»

Perfino nella sua morte, lo spirito di Suleen mi commosse.

Fuoco accennò al sentiero colorato di arancione e giallo.

«E' ora.»

Prima che io e Rhode facessimo un passo sul sentiero, lo tirai a me. Avevo bisogno

di un altro bacio sul posto dove aveva tentato così disperatamente di darmene uno. In

un posto dove non saremmo mai più ritornati. Le nostre bocche si incontrarono e le sue

forti braccia scivolarono intorno alla mia schiena. Brividi percorsero il mio corpo, su e

giù per le mie gambe. La luce del sole brillava su di noi, riscaldando il nostro bacio, i

nostri corpi, e il terreno su cui eravamo. Quando io e Rhode ci staccammo... allo stesso

tempo, i nostri occhi occhi si incontrarono. Insieme, facemmo un passo.

Riuscimmo a fare dei passi, prima che ebbi bisogno di guardare indietro un'altra

volta. Il mio migliore amico stava piangendo. Tony alzò una mano per salutarmi.

Allungai una mano e la portai al cuore mentre camminavo indietro nella luce. Gli avrei

voluto bene per sempre.

Non riuscivo a fermare le lacrime. Perché avrei dovuto? Avevo usato tutta la mia

forza per dire finalmente addio. Con un'ultima occhiata a Fuoco, Tony e Cassius, mi

girai verso Rhode.

«Credo di vedere un melo» disse con un sorriso. Si, pure io intravedevo la rotondità

familiare degli alberi della casa di mio padre. Ero quasi a casa.

Dietro di noi, Tony, Cassius e Fuoco erano solo ombre arancioni adesso. Presto

avrebbero tremolato e sarebbero scomparsi, e io sarei ritornata dalla mia famiglia e

Rhode. Come sarebbe dovuto sempre essere.

L'odore di mele riempì l'aria intorno a noi. Il sentiero ai miei piedi passò

dall'arancione della luce di Fuoco, al marrone scuro, poi al terreno curato. La strada

scomparve e incontrammo una serie di alberi e un recinto in legno. Rhode si guardò

indietro, ma vide solo Hampstead Heath. Davanti a noi, lontano, oltre gli alberi del

frutteto, il fumo usciva da un camino.

Esitammo alla fine della fila del frutteto dove molto tempo fa Rhode mi aveva

trasformata in un vampiro, dove avevamo iniziato la sanguinosa storia che adesso

avevamo cambiato.

Brava ragazza, Vicken avrebbe borbottato. Sorrisi al suolo, permettendo all'orgoglio

di sopraffarmi per pochissimo tempo.

«Hai qualche rimorso?» chiese Rhode.

«No» dissi. «Sono pronta.»

«Per un'avventura?» chiese.

Mi scappò una piccola risata che si diffuse nell'aria medievale.

«Con te.»

Mano nella mano, camminammo lungo il viottolo del frutteto e ci dirigemmo verso

la casa in distanza.

«Lenah!» mi giunse la voce di mia sorella oltre gli alberi, risuonando nell'aria.

«Genevieve?» chiamai.

Mia sorella girò l'angolo, rimbalzando i suoi riccioli. I suoi occhi si illuminarono e

saltellò su e giù, indicandomi. La vista di lei mi portò sulle mie ginocchia. Il terreno

rinfrescò la mia pelle.

«Mamma! Lenah è ritornata, e ha portato qualcuno con lei!»

«Genevieve» gracchiai.

«Genevieve! Vieni ad abbracciarmi!» aprii le mie braccia.

La strinsi al mio petto. Mio padre e mia madre corsero dalla casa e vennero verso

me e Rhode. Mio padre, con la sua barba e il grande stomaco, aprì le braccia. E sapevo,

mentre prendevano la mano di Rhode e ci portavano lungo la strada, che non ero più

una viandante notturna.

Quella vita era finita. Cercai perfino il sentiero arancione, ma non lo vidi.

Rhode strinse la mia mano. «Ti amo» disse un'altra volta.

Non c'erano parole per quello che avevamo. Anam Cara, anima gemella. Amore.

Non importava il nome.

Perché ero Lenah Beaudonte.

Ragazza. Amante. Sorella. Figlia. Regina, per alcuni...

Ed ero libera.

RINGRAZIAMENTI

Grazie a Margaret Riley e tutta la famiglia della William Morris Endeavor, che ha

supportato la storia di Lenah fin dall’inizio.

Alla community VCFA, soprattutto ad A.M. Jenkins, Franny Billingsley, Hannah

Moderow e Kristin Derwich.

Alle CCW, il gruppo di donne più di classe e fantastiche che abbia mai avuto il

piacere di conoscere. Grazie per il tempo che abbiamo passato a lavorare sulla storia

di Lenah e per avermi aiutata a scriverla. Sono grata di avervi e di tutto ciò che abbiamo

realizzato insieme.

Agli editor che ho avuto nel corso degli anni nel Regno Unito: Claire Creek, Polly

Nolan, Emma Young, Ruth Alltimes e Rebecca McNally. La vostra fiducia in questa

storia e nel personaggio di Lenah è stata fondamentale per la mia crescita, non solo

come scrittrice ma anche come artista. Sono una scrittrice migliore dopo aver lavorato

con voi.