teorie del colore
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TEORIA TRICROMATICA E TEORIA DELLA OPPONENZA
CROMATICA NELLA PERCEZIONE DEL COLORE
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Come già sappiamo dalla precedente lezione, la luce è una radiazione
elettromagnetica dal punto di vista fisico. In parole povere è un'onda che si
propaga nello spazio ad altissima velocità, anzi alla massima velocità possibile nell'universo, pari a circa
300.000 chilometri al secondo.
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Com'è fatta quest'onda? Esattamente come tutte le altre onde: ha delle creste e degli avvallamenti, che ci consentono
di definirne le tre misure principali, cioè lunghezza, ampiezza e frequenza.
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La lunghezza d'onda è la distanza tra due creste successive.
L'ampiezza è la distanza tra una cresta ed il piano mediano che interseca
l'onda.La frequenza è la quantità di
oscillazioni che l'onda compie nell'unità di tempo (la frequenza si
misura in Hertz).
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Ai fini della visione dei colori, l'ampiezza dell'onda influisce
sull'intensità luminosa dello stimolo elaborato dal cervello, mentre la lunghezza dell'onda influenza la
tonalità del colore percepito.
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Il problema fondamentale per il nostro occhio è quello di tradurre lunghezze
d'onda diverse in risposte neurali diverse. Se l'occhio rispondesse in modo identico a tutte le lunghezze
d'onda non sarebbe possibile alcuna discriminazione cromatica e noi
vedremmo il mondo in bianco e nero.
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Come già sappiamo dalla precedente lezione, la retina contiene due classi diverse di fotorecettori: i coni ed i
bastoncelli. In ogni occhio vi sono circa 6 milioni di coni e 120 milioni di
bastoncelli: un numero di elementi fotosensibili di gran lunga maggiore di quello presente nel più sofisticato dei
monitor in commercio!
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I coni contengono un pigmento denominato iodopsina.
Questo pigmento a contatto con la luce dà l'avvio ad una serie di reazioni
chimiche e stimolazioni nervose, il cui esito finale è la percezione della luce e
dei colori.
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I coni sono responsabili della visione diurna (detta fotopica). Questi fotorecettori hanno la massima
concentrazione (fino a 160.000 per millimetro quadrato) in una piccola
zona della retina, completamente priva di bastoncelli, detta fovea, e presiedono
alla percezione del colore e alla nitidezza dei contrasti.
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Ciascun cono presente nella fovea è collegato ad una cellula nervosa: a
questa via privilegiata di comunicazione con il cervello si deve
la maggiore capacità di discriminazione dei dettagli che è associata con la stimolazione dei coni della fovea.
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I bastoncelli contengono un pigmento denominato rodopsina. Questo
pigmento a contatto con la luce dà l'avvio ad una serie di reazioni
chimiche e stimolazioni nervose, il cui esito finale è la percezione delle forme, degli oggetti e del movimento ma che non produce la percezione del colore.
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I bastoncelli, benché molto più sensibili dei coni alla stimolazione da parte della luce, sono collegati alle cellule nervose
solo a gruppi e questo fa sì che l'immagine che essi veicolano sia più confusa. La visione resa possibile dai
bastoncelli è una visione non cromatica; assume importanza primaria in condizioni di scarsa luminosità ed è
detta scotopica.
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La maggiore sensibilità che caratterizza i bastoncelli permette all'occhio di
vedere anche in condizioni di scarsa luminosità, quando ormai i coni non
riescono più a fornire informazioni utili al cervello.
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Per esempio, quando si entra nella sala buia di un cinema, dopo un periodo di
cecità quasi completa nel corso del quale avviene l'assuefazione degli
occhi all'oscurità, entrano progressivamente in funzione i
bastoncelli, consentendoci di vedere sufficientemente bene per trovare posto
senza problemi.
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Teoria tricromatica
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E’ un’osservazione molto antica e ben nota ai pittori, in base alla quale
mescolando in varia proporzione tre colori fondamentali, si possono
ottenere tutte le tonalità cromatiche. Per lungo tempo si è creduto che questa
fosse una proprietà della luce.
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Nel 1802, il fisico inglese Thomas Young propose per primo l’idea che la visione dei colori riflettesse l’esistenza
nella nostra retina di tre tipi di fotorecettori. Secondo questa teoria
della visione si sosteneva la presenza di tre differenti tipi di recettori, ognuno
dei quali in grado di assorbire le lunghezze d’onda dello spettro in
maniera diversa.
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Secondo Young dalla combinazione delle sensazioni provenienti da
ciascuno di questi tre tipi di fotorecettori, doveva risultare la
percezione dei colori nello spettro visibile.
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Le tesi di Young furono riprese circa mezzo secolo dopo da Hermann von
Helmholtz.
Da allora la cosiddetta teoria tricromatica della visione, basata cioè sull'azione combinata di tre diversi tipi di recettori fotosensibili, è nota anche
come teoria di Young-Helmoltz.
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Si dovette aspettare però circa un secolo per avere la conferma
sperimentale dell'esistenza di questi tre diversi tipi di recettori e delle loro
specifiche sensibilità nei confronti della lunghezza d'onda della radiazione
elettromagnetica. Ciò avvenne grazie alle rilevazioni effettuate nel 1964 con
sofisticate tecniche di microspettrofotometria.
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La tecnica della microspettrofotometria consiste nel far passare attraverso un
singolo recettore un sottilissimo fascio di luce monocromatica e poi nel
misurare la luce assorbita per ciscuna lunghezza d’onda dello spettro di luce visibile, determinando così le curve di
assorbimento spettrale.
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Il diagramma, che descriveremo nella prossima diapositiva, illustra appunto le curve di assorbimento o sensibilità dei
tre tipi di coni sperimentalmente individuati.
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Per percepire i colori abbiamo infatti bisogno di tre classi di coni sensibili a
diverse lunghezze d'onda.
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1-Il primo tipo di coni dà una risposta massima alle lunghezze d'onda corte
(450 nanometri).2-Il secondo tipo di coni dà una
risposta massima alle lunghezze d'onda medie (530 nanometri).
3-Il terzo tipo di coni dà una risposta massima alle lunghezze d'onda lunghe
(570 nanometri).
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Le differenti posizioni, rispetto alla lunghezza d'onda, dei picchi di
assorbimento della luce da parte dei tre tipi di coni dipende dalle differenti
caratteristiche del pigmento, la iodopsina, in essi contenuto.
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I coni-S (in inglese S-cone, ovvero short-wavelength sensitive cone) hanno il loro picco di assorbimento intorno ai 437 nm; la loro massima sensibilità è
per il colore blu-violetto; il pigmento in essi contenuto è detto cianolabile.
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Il fatto che la loro curva di assorbimento sia molto più bassa di
quella degli altri due tipi di coni dipende dal ridotto numero di coni-S
presenti nella retina: costituiscono meno del 10% del totale complessivo e sono quasi del tutto assenti dalla fovea, che è la parte della retina più sensibile
alla visione del colore.
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I coni-M (in inglese M-cone: middle-wavelength sensitive) hanno il loro
picco di assorbimento intorno ai 533 nm; sono sensibili principalmente al
colore verde; il pigmento in essi contenuto è detto clorolabile.
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I coni-L (L-cone: long-wavelength sensitive) hanno il loro picco di
assorbimento intorno ai 564 nm; sono sensibili principalmente nella gamma dei rossi; il pigmento in essi contenuto
è detto eritrolabile.
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Tutti i colori vengono percepiti per elaborazione retinica dei segnali
elettrici provenienti da queste tre classi di coni sensibili a lunghezze d’onda
diverse. Le altre classi di cellule della retina (amacrine, bipolari, orizzontali,
gangliari) elaborano proprio questi segnali e li inviano al Nucleo
Genicolato Laterale e all’ area visiva 17.
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Dato il modello tricromatico di percezione dei colori, la visione del
colore giallo è l'effetto di una situazione in cui i coni-M (sensibili al verde) ed i coni-L (sensibili al rosso) sono massimamente stimolati, mentre l'eccitazione dei coni-S (sensibili al
blu) è del tutto trascurabile.
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La sensazione che ne risulta non è né di verde né di rosso, ma di un qualche
cosa di cui non esiste riscontro fisico in quanto è una creazione dei nostri sensi: a questa sensazione diamo il nome di
giallo.
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Una luce che provochi una risposta massima nei coni maggiormente
sensibili al blu, una risposta media nei coni del verde e una risposta minima
nei coni del rosso, susciterà la percezione del blu.
La visione del bianco si avrà, invece, quanto tutti e tre i tipi di coni risultano
massimamente stimolati.
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Chi ha qualche esperienza dei modelli di rappresentazione del colore su
computer avrà già capito che la teoria tricromatica della visione è
l'antecedente fisiologico del modello di colore RGB.
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Teoria della opponenza cromatica
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La teoria di Young-Helmholtz non è però in grado di spiegare alcuni
importanti fenomeni che riguardano la visione dei colori. In particolare non
può spiegare i seguenti fatti:
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1- L’'esistenza di due coppie di colori complementari, una costituita dal giallo e dal blu, l'altra dal rosso e dal verde.E’ noto che la presenza di uno dei due colori in una zona (ad esempio il blu),
rende più vivo il colore complementare (il giallo) nelle zone circostanti.
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2- L'osservazione di alcuni fenomeni percettivi quali le immagini
consecutive. E’ noto che l'osservazione di una superficie colorata per un intero
minuto dà luogo, una volta che si sposta lo sguardo su di uno sfondo
chiaro, alla visione di un'immagine che possiede il colore complementare a
quello della superficie.
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Una superficie rossa dà un'immagine verde ed una verde la dà rossa; una
superficie gialla dà un'immagine blu, ed una blu la dà gialla.
Proviamo un semplice esperimento:
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Fissate lo sguardo per circa un minuto sul rettangolo rosso e poi spostate lo
sguardo a destra proiettando l’immagine. Di che colore è?
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Per spiegare simili fenomeni, il fisiologo tedesco Ewald Hering
propose nel 1878 una teoria, definita dell’opponenza cromatica, che
postulava, ad un livello di elaborazione successivo rispetto ai coni, la presenza
di tre canali percettivi.
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1- Un canale specializzato nella visione alternativa del giallo e del blu. Quando l'eccitazione combinata dei tre tipi di coni produce la visione del blu in una certa zona, è inibita in quella stessa
zona la visione del giallo, e viceversa.
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2- Un canale specializzato nella visione alternativa del rosso e del verde.
Quando l'eccitazione combinata dei tre tipi di coni produce la visione del rosso
in una certa zona, è inibita in quella stessa zona la visione del verde e
viceversa.
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3- Un canale specializzato nella visione della componente di bianco o di nero.
Questo canale non è basato su meccanismi antagonisti, come i due precedenti, ma sul presupposto di
un'eguale stimolazione dei tre tipi di coni: a stimolazioni di bassa intensità
corrispondono grigi molto scuri; a stimolazioni della massima intensità
corrisponde la visione del bianco.
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Negli anni '50 due ricercatori presso la Eastman Kodak, Leo Hurvich e
Dorothea Jameson, trovarono delle evidenze sperimentali, in grado di
confermare in buona misura la teoria dei processi opposti di Hering.
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Questa rilevazione sperimentale è di grande importanza: essa dimostra che è possibile riprodurre qualsiasi colore dello spettro visibile, utilizzando tre
sole misure:
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1- una che identifica il colore sull'asse rosso-verde;
2- una che identifica il colore sull'asse blu-giallo;
3- una che identifica il livello di luminosità sull'asse nero-bianco.
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E’ oggi generalmente accettato un modello della visione dei colori basato su due stadi, che concorrono entrambi alla determinazione finale del colore
percepito:
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1- Il primo stadio, definito dalla teoria tricromatica, secondo il quale vi sono
tre tipi di coni, dalla cui azione combinata dipende la determinazione
del colore in base alla lunghezza d'onda della radiazione incidente.
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2- Il secondo stadio, definito dalla teoria dei processi opposti, secondo il quale la visione di un colore dipende dall'azione combinata di due canali cromatici, costituiti ciascuno da una
coppia di colori complementari antagonisti, più un canale dedicato alla
luminosità.
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Sembra che le cellule gangliari della retina e le cellule del nucleo genicolato
laterale siano caratterizzate da un campo recettivo ad opponenza
cromatica. Ciò significa che il loro campo recettivo risponde ad un colore con un’eccitazione della scarica e al colore opponente con un’inibizione.
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In altre parole i neuroni ad opponenza cromatica sono in grado di aumentare
la propria attività di scarica in presenza di certe lunghezze d'onda e di diminuirla in presenza di altre.
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Questo processo spiega il fenomeno delle immagini consecutive
complementari. Osservare a lungo una superficie rossa corrisponde ad
"affaticare" (cioè a rendere meno sensibili) tali cellule che aumentano la
propria attività di base al rosso e la diminuiscono al verde.
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Non appena la stimolazione rossa cessa, il livello di attività di queste
cellule scende al di sotto del livello di attività di base, e dal momento che la diminuzione dell'attività di base dà
luogo alla percezione del verde, vedremo un'immagine verde.
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Le cellule dell’area visiva primaria (area 17) sono invece caratterizzate da un processo più complicato definito a doppia opponenza. Ci sono poi altre aree visive nel cervello in grado di
codificare il “colore”.