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STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO CATANIA QUADERNI DI SYNAXIS 27 SYNAXIS XXIX/2 - (2011) QUADERNI DEL CeSIFeR 6 CENTRO DI STUDI INTERDISCIPLINARI DEL FENOMENO RELIGIOSO CITTÀ APERTA Edizioni

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STUDIO TEOLOGICO S. PAOLOCATANIA

QUADERNI DI SYNAXIS 27

SYNAXIS XXIX/2 - (2011)

QUADERNI DEL CeSIFeR 6

CENTRO DI STUDI INTERDISCIPLINARI DEL FENOMENO RELIGIOSO

CITTÀ APERTAEdizioni

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LA PREGHIERAManifestazione e/o fattore d’identità

a cura diGiuseppe Ruggieri

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In copertina:ANGU WALTERS, The Evening Prayer (olio su tela).

La preghiera : manifestazione e/o fattore d’identità / a cura di Giuseppe Ruggieri. – Troina : Città aperta ; Catania : Studio teologico S. Paolo, 2012.(Quaderni di Synaxis ; 27)(Quaderni del CeSIFeR ; 6)ISBN 978-88-8137-474-81. Preghiera – Atti di congressi. I. Ruggieri, Giuseppe.248.32 CDD-22 SBN Pal0241394

CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

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SOMMARIO

LE SORPRESE DELLA PREGHIERA: PER UN’INTRODUZIONE(Giuseppe Ruggieri) . . . . . . . . 7

PREGARE GLI DEI / PREGARE DIO. LA PREGHIERA COME FATTORE IDENTITARIO TRA PAGANI E CRISTIANI: I CASI DI ELIO ARISTIDE E POLICARPO(Teresa Sardella) . . . . . . . . 11

IDENTITÀ CRISTIANA, TEOLOGIA E GESTUALITÀ NELLAPREGHIERA DI TERTULLIANO(Giuseppe Ruggieri) . . . . . . . . 39

EUCHÉ E NOÛS NEL CORPUS MACARIANUM(Francesco Aleo) . . . . . . . . 53

DESIDERIO E PREGHIERA IN GIOVANNI CASSIANO(Maurizio Aliotta) . . . . . . . . 69

PREGHIERA E CONCILI GALLICI TRA V E VI SECOLO(Rossana Barcellona). . . . . . . . 95

SUPPLICHE E GRAZIA(Francesco Migliorino) . . . . . . . 119

PREGARE COI SALMI (NELL’ALDILÀ). SALMODIE ULTRATERRENE NELLA «COMMEDIA» DI DANTE (Sergio Cristaldi) . . . . . . . . 139

EGIDIO COLONNA ROMANO (1243ca-1316) E LA SPIEGAZIONE DELLA PREGHIERA DEL SIGNORE(Roberto Osculati) . . . . . . . . 161

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LA CONCEZIONE DELLA PREGHIERA IN KANT(Antonino Crimaldi) . . . . . . . . 201

LA PREGHIERA COME POESIA: GLI INNI ALLA NOTTE DI NOVALIS(Grazia Pulvirenti) . . . . . . . . 215

IL RUOLO DELLA PREGHIERA NEGLI SCRITTI DI SORENKIERKEGAARD(Luca Saraceno) . . . . . . . . 229

IN PARTIBUS INFIDELIUM: FORME E SENSI DEL PREGARENELL’ESPERIENZA LETTERARIA ITALIANA DELL’OTTO/NOVECENTO(Antonio Sichera) . . . . . . . . 243

LA PREGHIERA COME RICERCA DI IDENTITÀNELL’ESPERIENZA DI SORELLA MARIA.VALERIA PIGNETTI (TORINO 1875— CAMPELLO 1961)(Arianna Rotondo) . . . . . . . . 309

PER VISIBILIA IN INVISIBILIA. POESIA E PREGHIERA IN CRISTINA CAMPO(Rosa Maria Monastra) . . . . . . . 327

INDICE . . . . . . . . . 341

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SUPPLICHE E GRAZIA

FRANCESCO MIGLIORINO*

1. ETOLOGIA DELLA PREGHIERA

Supplica è una parola possente. Ha un che di pretenzioso eambiguo, a metà strada tra il banale e il sublime. Il termine ha un cosìampio spettro di significati e, soprattutto, di applicazioni da mostrarsiil più delle volte come vago e incerto. Vittima di una spudorata infla-zione semiologica. Ha abbastanza risorse da farsi maneggiare condocilità dai cultori dei saperi più disparati. Eppure, si ostina a mante-nere vaghezza e porosità, tracima da un campo all’altro con disinvoltainfedeltà: dall’iconologia alla linguistica, dalla teologia al diritto, dallaliturgia alla diplomatica. Si potrebbe dire, con buoni argomenti, cheessa proviene dalle fabulose radure dell’archetipo1.

Si sa, l’uomo crede di essere al riparo quando espunge da sé la suaparte animale2. Eppure, proprio i gesti della supplica si inscrivononell’etologia del vivente, con la sua propensione a mostrare i segnidella sottomissione tutte le volte che egli si imbatte in chi ha il poteredi dare la morte o di lasciare vivere. L’atto del pregare e del supplicareè il più umano tra i comportamenti ‘animali’ dell’uomo. Una strategia

* Docente di Storia del Diritto medievale e moderno presso la Facoltà di Giuri-sprudenza dell’Università degli Studi di Catania.

1 Cfr. G. KOZIOL, Begging pardon and favour. Ritual and political order in earlymedieval France, Ithaca-New York 1992, 11 ss.

2 Rinvio almeno a: G. AGAMBEN, L’aperto. L’uomo e l’animale, Torino 2002;E. ALLEVA, La mente animale. Un etologo e i suoi animali, Torino 2007.

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di difesa e di sopravvivenza, una condivisione delle gerarchie, unaofferta di pace. Soprattutto, una richiesta di aiuto.

Dopo il primo atto socratico che ha preteso di irrigidire il simboloin una pura forma, si fa fatica ad ammettere che la supplica (come lapreghiera) sia tenuta in vita da quella stessa costellazione di signifi-canti che si incaricano di dare senso ai soggetti stessi, di dare valoreappunto alla loro esistenza in quanto soggetti3. Avviene così che essasia tanto più teatrale e drammatica quanto più il benefattore èlontano e assente. Lontano e assente come il grande Architetto. È uncongegno che tiene insieme la possanza del padre e la finitudine delfiglio, con tutti i loro rispecchiamenti reciproci4.

Nel suo campo semantico militano fattori diversi che si contami-nano con procedure d’intersezione e di sovrapposizione: il linguaggiodella preghiera, i gesti della penitenza, l’intercessione dei santi, l’abi-tudine alla umiliazione di sé. Nel lungo medioevo la prostrazione è unatto di preghiera che assimilava la pratica mondana della grazia ad unarchetipo che si sottrae da sempre al computo del tempo5.

D’altronde, cos’altro è la supplica se non l’atto di chiedere unagrazia o il perdono, che viene manifestato secondo i moduli ritualidella preghiera? Preghiera e supplica sono più che sinonimi, si nutronoa vicenda. Ma c’è di più: la relazione tra l’ammissione della colpa e ilgesto dell’umiliazione ha contribuito a fondare nel tempo uno dei piùdurevoli aspetti del rito cristiano della penitenza6. La contrizioneaccompagnata al proponimento di non cadere nel peccato diventava

Francesco Migliorino120

3 I concetti danno valore agli oggetti conosciuti, «in funzione della loro utilità peri soggetti», all’opposto dei simboli che «danno senso e valore ai soggetti stessi, riem-piono di senso la loro esistenza in quanto soggetti»: C. TULLIO-ALTAN, Soggetto,simbolo e valore: per un’ermeneutica antropologica, Milano 1992, 44.

4 La drammatizzazione, da sempre, è il più efficace strumento comunicativo dell’e-sperienza simbolica. Tanto più in quello stupefacente teatro di maschere che è ildiritto: F. MIGLIORINO, Religiosità e comportamento nell’agire sociale pubblico, in Reli-giosità e civiltà. Le comunicazioni simboliche (secoli IX-XIII), a cura di G. Andenna,Milano 2009, 265-279.

5 Cfr. G. KOZIOL, Begging pardon and favour, cit., 12.6 Geoffrey Koziol si sottrae al rischio di reificare il rito, mettendolo in rapporto con

gli apparati simbolici di una società nel suo specifico contesto storico. Come fa rile-vare giustamente G. ISABELLA, Rituali altomedievali: le ragioni di un dibattito, in

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condizione necessaria del sacramento della penitenza che producevai suoi frutti ex opere operato7.

Nel campo secolare la preghiera era rivolta per lo più da un inferiornei confronti di un dominus e di solito si vestiva di gesti e di parole chemettevano in scena il rimorso e la soggezione: dalla semplice docilitàdel capo chinato fino alla completa prostrazione del corpo. Il rituale siadattava alle circostanze. I subordinati di solito supplicavano i signori,ma i signori talvolta supplicavano i loro pari, e occasionalmente i loroinferiori. I gesti potevano anche essere pressoché identici nei diversicasi. Ciò che però non poteva mancare era la formalizzazione deldiscorso. Solo a queste condizioni si rendevano manifeste e pubblichedue circostanze: l’umiltà del richiedente e la grazia del benefattore8.

La supplica, dunque, mette allo scoperto il corpo e istituisce unarelazione che è fatta di gesti e di riti. Il copione può essere violato aseconda delle circostanze. Esemplare è un episodio della vita diLanfranco vescovo di Canterbury e antico maestro di Anselmo daBaggio, papa Alessandro II. Lanfranco si reca a Roma per ricevere ilpallio dal pontefice. Alessandro lo riceve assiso sul suo trono, mainaspettatamente si alza in piedi per accoglierlo affettuosamente econsegnargli, con le sue proprie mani, i segni della primazia di Canter-bury su tutte le diocesi inglesi. Gesto inconsueto, perché il superior,che qui è addirittura il Vicario di Cristo, sembra quasi svestirsi del suoruolo per mettersi alla pari dell’inferior. Come spiega lo stesso ponte-fice, quei gesti non appartenevano a quel preciso momento, eranocome un tornare indietro nel tempo quando le parti erano rovesciatee il giovane tremulo Anselmo si nutriva, nell’abbazia di Bec, dellasapienza del Magister Lanfrancus9.

Suppliche e grazia 121

Storica 14 (2008) 41-42, 176, per il nostro autore «i rituali sono innanzitutto costrut-tori dell’identità sociale».

7 Su questo ci permettiamo di rinviare a F. MIGLIORINO, Il corpo come testo. Storiedel diritto, Torino 2008, 49 s.

8 Cfr. G. KOZIOL, Begging pardon and favour, cit., 8.9 MILONE CRISPINO, Vita beati Lanfranci, PL 150, 48-49: «Sequenti anno [1071] cum

praefato archiepiscopo Romam ivit, et honorifice a sede apostolica susceptus est, liquidevenienti papa assurrexisse dicitur, tum pro sua magna religione et eminenti scientia, tumquia, dum esset in Normannia, venientes Romanae Ecclesiae ministros honorifice susci-

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Non c’è ragione di scomodare la metafora servo/padrone di Hegel,per affermare che proprio in virtù del rapporto asimmetrico che siinstaura nello scambio tra supplica e grazia la procedura del ricono-scimento rende possibile la costruzione sociale della soggettività. Dientrambi gli attori: del colpevole che china lo sguardo per invocare ilperdono e del censore che corruga il suo volto tanto vendicativoquanto misericordioso10.

Un sistema di idee che rifletteva e sosteneva una distribuzioneoligarchica del potere. La Grazia come un atto simbolico di autoritàche esigeva allo stesso tempo la partecipazione del governante equella del suddito. Si può ben capire, allora, l’ampiezza e la rilevanzadi quel genere di supplica con cui gli individui si rivolgevano a signoriche facevano derivare la loro potestà da Dio. Di buon’ora, il modellodella penitenza si incaricò di colonizzare la sfera politica e giuridica11.

D’altronde, la Chiesa non aveva mai preteso di tenere per sé ogniforma di accesso alla grazia divina. Per la semplicissima ragione che ladisseminazione del potere di eccezione, che è costitutivo della grazia,rendeva più fitti i legami sociali. La Grazia è uno stato di eccezioneconcessa su base individuale, è l’esercizio della dissimulazione dellaregola. Se fosse generale, sarebbe il contrario della giustizia. Data amigliaia o centinaia di migliaia di singoli casi, costruisce una rete dideroghe e dispense che fortificano la regola stessa. A fronte di unmarcato pluralismo politico e giuridico, livelli plurimi di intermedia-zione convalidavano il congegno più che indebolirlo. In questo quadro,si pensi solo allo straordinario ruolo dei santi che consentivano al piùumile dei laici un rapporto meno distante con la sfera del sacro e conl’inesauribile fonte della grazia12. Nel campo secolare, è stato sottoli-neato il ruolo dell’eccezione, che ha il suo fondamento nell’arbitrium

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piebat, et quosdam papae consanguineos studiose docuerat. Fertur etiam papa dixisse:“Non ideo assurrexi ei quia archiepiscopus Cantuariae est, sed quia Becci ad schola eiusfui, et ad pedes eius cum aliis auditor consedi”».

10 Su tale linea di ricerca, cfr. F. MIGLIORINO, Il corpo come testo, cit., 23 ss.11 Cfr. G. KOZIOL, Begging pardon and favour, cit., 93 ss., che parla di un vero e

proprio paradigma.12 Cfr. ID., Begging pardon and favour, cit., 96.

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del signore, e la sua incerta latitudine rispetto alla legge13. Comevedremo, a proposito delle dispense pontificie, la deviazione dallaregola (la grazia, appunto) doveva rispondere alla ratio aequitatis, oalmeno alla necessitas e all’utilitas comune.

Nella vita religiosa la supplica aveva un’efficace ubiquità e perva-sività: i chierici erano supplicanti di professione, pregavano Dio per ilperdono dei loro peccati, ma al contempo, come intercessori, invoca-vano il perdono dei peccati dei loro committenti. Come in un gioco dispecchi, l’intermediario vestiva i panni del colpevole e viceversa.

Cosmologia e antropologia. L’universo è ordinato e la provvidenzaopera in esso con opere singolari. Vi è dunque una correlazione fra lasupplica a Dio e quella ai regnanti nel nome di Dio. Fra la prostrazionedei penitenti e quella dei litiganti. Fra l’intercessione dei santi e quelladei patroni in favore dei clienti. Nel caso della supplica, la prostrazionedi un re a Dio, la prostrazione di un conte al re, la prostrazione di tutti(omnes et singulatim) al sacro erano facce della stessa verità: Cristoaveva consentito di essere umiliato fino alla morte di croce (Fil 2,8)perché l’uomo fosse innalzato alla grazia14.

La supplica era il solo rituale, l’unico sistema di valori, che eracondiviso da laici e da chierici15. E sebbene non sia stata vista semprenello stesso identico modo, l’ambiguità del discorso faceva sì darendere tollerabili le possibili dissonanze16. Nella vita poteva capitaredi dover supplicare qualcuno: nella penitenza e nella messa, duranteun processo, per sancire una sottomissione dopo una ribellione, maanche per corroborare la fedeltà a un signore17. Motivazioni pretta-mente politiche o giuridiche potevano dunque mescolarsi con moventidevozionali e di purificazione: con la consapevolezza — propria

Suppliche e grazia 123

13 Cfr. M. VALLERANI, La supplica al signore e il potere della misericordia. Bologna1337-1347, in Quaderni storici 44 (2009) 2, 412 e s.

14 Cfr. G. KOZIOL, Begging pardon and favour, cit., 322.15 Lo fa rilevare L. SCHMUGGE, Suppliche e diritto canonico. Il caso della Peniten-

zeria, in Suppliques et requêtes: le gouvernement par la grâce en Occident, 12.-15. siècle,sous la direction de H. Millet, Rome 2003, 230.

16 Cfr. G. KOZIOL, Begging pardon and favour, cit., 322 s.17 Cfr. ibid., cit., 291.

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dell’età premoderna — che ogni faccia del mondo era il fedele segna-colo dell’armonia del mondo.

Il diritto era uno straordinario serbatoio di concetti e di valori. Dalsuo vocabolario, sceglieva le parole giuste per immaginare la societàprima ancora di regolarla con divieti e sanzioni18. Diversamente dainostri tempi, non temeva le contaminazioni, metteva in contesto ledomande del teologo con le argomentazioni del filosofo, per guidarel’uomo nel suo tribolato cammino. L’armonia dalla dissonanza sinutriva del paradigma di ordine che adattava alle circostanze con icongegni della dispensa e dell’eccezione.

In questo la Penitenzieria apostolica è stata un fertile campo diesperienza, ha prodotto uno straordinario investimento di sapere e dipotere. Ha connotato la storia sociale, religiosa e istituzionale dell’in-tera Europa. Fino alle soglie della modernità, ha contribuito acostruire — con decine di migliaia di documenti prodotti in serie —una ragnatela fittissima di richieste di grazia e di perdono. Comevedremo nelle sue carte, il modello penitenziale della colpa e il dispo-sitivo sociale della vergogna, sorreggendosi a vicenda, mettevano inscena il problema insolubile della virtù e del disonore.

2. IL «CONFESSIONALE DEL PAPA»

La Penitenzieria apostolica è una delle istituzioni più antiche dellaCuria romana. Muove i suoi primi passi nella seconda metà del sec.XII, in un tempo in cui il diritto nuovo delle decretali riceveva unformidabile impulso dalla teoria e dalla pratica della plenitudo pote-statis del Vicario di Cristo. Le risposte date alle pressanti domande digiustizia che giungevano da ogni parte d’Europa aggiornavano ildiritto antico della Chiesa e lo adeguavano alla missione universale delpapato medievale19. Nel frattempo, la scienza giuridica s’incaricava

Francesco Migliorino124

18 Cfr. in proposito A.M. HESPANHA, Introduzione alla storia del diritto europeo,Bologna 1999, 61 ss.

19 I papi esercitavano già da tempo le loro prerogative giurisdizionali al modo degliantichi imperatori romani, attraverso mandata, commissoria e responsa inviati asingoli su casi particolari. Quando il papato post-gregoriano riprese con nuovo vigorela sua tradizionale missione universalistica, i ricorsi a Roma si erano moltiplicati

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nelle scuole universitarie di coordinare le norme del Decreto diGraziano con le nuove disposizioni papali20. Il diritto penitenziale sistrutturava entro il più generale processo di centralizzazione di uffici,di procedure, di liturgie. La Curia romana era ormai avviata a diven-tare una inesauribile fonte di grazia: «Well of Grace», secondo la feliceespressione dell’inglese John Paston21.

È stato calcolato che «tra il grande scisma e la riforma luterana(1378-1523)» sono state registrate nella Cancelleria apostolica «circa1.4 milioni di suppliche»22. Si tratta, per lo più, di richieste di beneficio di litterae de gratia, volte ad ottenere una sorta di prelazione benefi-ciale per il futuro. A queste fonti, già conosciute, si sono aggiunte nel1983 decine di migliaia di documenti riemersi quasi dal nulla, quandoè stato aperto agli studiosi l’Archivio della Penitenzieria apostolica23.Un patrimonio archivistico di straordinario interesse su cui FilippoTamburini, dal 1969, aveva richiamato l’attenzione degli storici con un

Suppliche e grazia 125

mutando la natura stessa della decretale, che fu sempre meno un atto spontaneo delpontefice sui problemi del governo e dell’amministrazione ecclesiastica, per assumerenel tempo più i caratteri del responso ad una domanda di giustizia: cfr. G. FRANSEN,Les décrétales et les collections de décrétales, Turnhout 1972, 12 ss.; K.W. NÖRR,Päpstliche Dekretalen und römisch-kanonischer Zivilprozess, in Studien zur europäi-schen Rechtsgeschichte, a cura di W. Wilhelm, Frankfurt am Main 1972, 53-65.

20 La canonistica, a differenza della civilistica, non aveva a che fare con un oggettodi lavoro compiuto, né si era mai interrotta dopo la pubblicazione del Decreto laricerca di nuove regole di diritto da applicare nell’amministrazione e nella giurisdi-zione ecclesiastica. Durante il pontificato di Alessandro III, ma soprattutto da Inno-cenzo III in poi, si rinsaldò la stretta collaborazione fra teoria e prassi, fra l’attivitàdottrinaria delle scuole e l’uso sempre più frequente della giurisdizione delegata attra-verso la procedura canonica del rescritto: cfr. K.W. NÖRR, Päpstliche Dekretalen, cit.,53 ss.; S. KUTTNER, Quelques observations sur l’autorité des collections canoniques dansle droit classique de l’Eglise, Actes du Congrès de droit canonique (Paris, 22-26 Avril1947), Paris 1950, 355.

21 Cfr. L. SCHMUGGE, Suppliche e diritto canonico, cit., 207.22 Cfr. l.c.23 Come fa rilevare F. TAMBURINI, Santi e peccatori. Confessioni e suppliche dai regi-

stri della Penitenzieria dell’Archivio Segreto Vaticano (1451-1586), Milano 1995, 12 s.,le felici intuizioni di Charles H. Haskins e Emil Göller sul ruolo della Penitenzierianella storia della Chiesa tardo medievale restarono, per buona parte del Novecento,delle voci isolate, fino a quando la serie dei Registri delle suppliche fu individuata epoi depositata come fondo autonomo presso l’Archivio Vaticano.

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impegno generoso e appassionato. Carte scandalose e storie male-dette, suppliche di ecclesiastici e di laici che chiedevano al papa diessere perdonati (e graziati) di peccati gravissimi con lo scopo dichia-rato di essere reintegrati nei loro uffici e nei loro privilegi.

Le origini dell’Ufficio si fanno risalire alla riserva papale per ipeccati che erano di particolare gravità e rinviano alla risalente tradi-zione dei pellegrinaggi penitenziali a Roma, dove i fedeli si recavano«quo citius et melius misericordiam Dei consequerentur», tanto dameritare giustamente l’appellativo di confessionale del papa. Va da sé,però, che solo nel contesto della chiesa postgregoriana fu possibileporre in maniera più pressante l’esigenza di assegnare ad un personale‘specializzato’ il compito di dispensare in nome del papa l’assoluzionedei peccati nei casi espressamente riservati. Il rimorso della colpa e laricerca della grazia, infatti, coinvolgevano un numero sempre crescentedi peccatori, al punto tale che i cardinali presbiteri, a cui i papi affida-vano i pellegrini penitenti, cominciarono ad essere affiancati da Poeni-tentiarii istituiti allo scopo. In questa pratica, documentata da unvetusto libro («in quodam antiquo libro») posseduto da papa Bene-detto XII, si può intravedere l’emersione di due distinte figure: i peni-tenzieri maggiori e minori. A quel tempo non c’era ancora un ufficiostabile né erano codificate regole e procedure. Circolavano, al più, iprimi formulari per istruire e decidere i casi di routine24. Si andavaaffermando, comunque, una certa propensione ad ampliare l’ambitodelle competenze originarie, ben oltre la sfera sacramentale. Ciò anchein virtù delle concessioni di nuove facoltà accordate ai cardinali Peni-tenzieri dai pontefici «vivae vocis oraculo»25.

Grazie agli studi (e alle analisi quantitative) di Ludwig Schmuggee dei suoi allievi e collaboratori, oggi siamo in grado di interrogareuna documentazione sorprendente per i suoi contenuti e la sua mole,

Francesco Migliorino126

24 Il cardinale Tommaso da Capua è l’autore del più antico formulario (1234-1243):ed. H.C. LEA, A formulary of the Papal Penitentiary in the Thirteenth Century, Philadel-phia 1892.

25 Cfr. F. TAMBURINI, Le dispense matrimoniali come fonte storica nei documentidella Penitenzieria apostolica (sec. XIII-XVI), in Le modèle familial européen: normes,déviances, contrôle du pouvoir, Actes des séminaires organisés par l’École française deRome et l’Università di Roma, 1984, Rome 1986, 9 s.

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finalmente sottratta al cono d’ombra in cui è rimasta velata per suaintrinseca astuzia. Un Repertorium di 20.000 richieste di grazia rivolteda supplicanti tedeschi dal 1431 al 148126; 38.000 istanze, dal 1449 al1553, di aspiranti chierici volte ad ottenere una dispensa dalla irregu-laritas ex defectu natalium27; 42.560 supplicanti che, dal 1445 al 1492,chiedono la grazia alla Penitenzieria per derogare ai divieti del dirittocanonico in materia matrimoniale28.

Diversamente dai registri della Cancelleria, le carte della Peniten-zieria dunque spaziano tra i campi più diversi: dall’assoluzione deipeccati già commessi alle indulgenze per quelli ancora da compiere,dalle dispense dalle condizioni di irregolarità alle licenze d’agire inderoga alle norme canoniche vigenti. Le assoluzioni, di norma, eranoprotette dal sigillo della confessione e perciò non andavano registrate,salvo quando le colpe avevano creato pubblico scandalo e si ponevanoperciò sull’incerto confine tra il peccato e il crimine. Le dispense solle-vavano, per casi singolari, dall’obbligo di rispettare i canoni e riguar-davano, nella stragrande maggioranza dei casi, gli impedimentimatrimoniali29 e le inabilità all’ordine sacerdotale30. Le licenze scio-glievano un religioso dal voto, consentivano a un laico di scegliere ilproprio confessore, concedevano a un chierico di venir meno all’ob-bligo di residenza per avviarsi agli studi o per intraprendere un pelle-

Suppliche e grazia 127

26 L. SCHMUGGE et al. (cur.), Repertorium Poenitentiariae Germanicum, 6 voll.,Tübingen 1996-2005.

27 ID., Kirche, Kinder Karrieren. Päpstliche Dispense von der unehelichen Geburtim Spätmittelalter, Zürich 1995.

28 ID., Deutsche Ehen vor römischem Gericht. Matrimonialdispense der Pönitenti-arie aus deutschsprachigen Gegenden Europas (1455-1484), in The Roman Curia, theApostolic Penitentiary and the partes in the Later Middle Ages, a cura di K. Salonen eC. Krotzl, Roma 2003, 118.

29 Le dispense matrimoniali erano registrate sotto la rubrica de matrimonialibus ederano date, per lo più, in deroga al divieto dei matrimoni clandestini, agli impedimentidi parentela fino al quarto grado di affinità e consanguineità, alla proibizione dellacognatio spiritualis: L. SCHMUGGE, Suppliche e diritto canonico, cit., 212 s.

30 Registrate sotto diverse rubriche (de defectu natalium, de uberiori gratia, depromotis et promovendis), dispensavano dal difetto della nascita illegittima o dall’etàminima prescritta dai canoni e dal divieto di essere ordinati fuori dalla propria diocesi:L. SCHMUGGE, Suppliche e diritto canonico, cit., 214 s.

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grinaggio. Le indulgenze, fra l’altro, esentavano dall’obbligo di deter-minati esercizi penitenziali31.

Tra foro interno della coscienza e foro esterno delle azioni, ognisingola littera Poenitentiariae, «inviata in genere ad una autorità reli-giosa o ecclesiastica e spedita per via postale o consegnata a mano, nelcaso non infrequente che l’oratore fosse venuto personalmente pressola Curia papale» per perorare la sua richiesta di grazia, era un docu-mento opponibile nel foro contenzioso e valeva a sanare una partico-lare condizione di irregolarità32. Nonostante ciò, non si può dire che laPenitenzieria fosse propriamente una corte giudiziaria. I penitentiariiagivano come confessori e nell’accogliere le ammissioni di colpa deisupplicanti le valutavano in rapporto alla congruità della richiesta digrazia, dando per presunta la veridicità delle loro affermazioni33.

Seguiamo gli affanni del supplicante. Se poteva, egli si recava aRoma per affidare alle persone giuste la sua petizione. Vagava tra letante apoteche (tra San Pietro, San Paolo e Santa Maria Maggiore) perfarsi assistere da un procurator. Se era più risoluto, avvicinava uno deipenitenzieri minori. Presentata la supplica e ottenuta la grazia, dopoaver pagato per la confezione della lettera e la sua spedizione tornavafinalmente a casa per far valere il beneficio della grazia ricevuta. Gliufficiali della Penitenzieria provvedevano nel frattempo a inserire informa abbreviata la supplica e la decisione, che solo in pochissimi casiera firmata dallo stesso papa34.

Nel Quattrocento, con il superamento del conciliarismo, «la Peni-tenzieria apostolica diventò il più importante centro di distribuzionedella grazia ecclesiastica». Com’è stato mostrato, «uomini e donne ditutti gli strati sociali, chierici e laici, dal cardinale fino alla semplicemonaca, dal re al bambino esposto nella ruota di un orfanotrofio,erano i ‘clienti’ della Penitenzieria»35. Specialmente per gli scomunicati

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31 Cfr. W.P. MÜLLER, Violence et droit canonique: les enseignements de la Péniten-cerie apostolique (XIIIe—XVIe siècles), in Revue historique 131 (2007) 776.

32 Cfr. F. TAMBURINI, Santi e peccatori, cit., 11.33 Cfr. W.P. MÜLLER, Violence et droit canonique, cit., 776. 34 Cfr. le dense pagine di K. SALONEN – L. SCHMUGGE, A sip from the “Well of

grace”. Medieval texts from the Apostolic Penitentiary, Washington DC 2009, 69 ss. 35 Cfr. L. SCHMUGGE, Suppliche e diritto canonico, cit., 209.

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non vi era altro rimedio per essere ricongiunti alla comunione deifedeli che la supplica al papa. Nei casi controversi e là dove erapendente un valido appello, poteva anche bastare una absolutio adcautelam36. Per i chierici una condizione di irregolarità (ex culpa o exdefectu famae) faceva correre il rischio di perdere per sempre un bene-ficio. Per loro era oltremodo urgente la richiesta di essere reintegratinello stato clericale. I benefici potevano pure restare vacanti, lo scan-dalo invece rischiava di infliggere una ferita ben più tagliente nellacoscienza dei più37.

Gli atti della Penitenzieria sono documenti confezionati ‘in serie’secondo i collaudati criteri formulari di una istituzione che soffocavasotto il peso del suo stesso lavoro38. Noiosi e ripetitivi, come i peccatiche, da sempre, si danno a vedere: tanto orrendi quanto banali. Nono-stante ciò, quelle carte riservano agli storici sempre nuove sorprese,per la dovizia di informazioni e per la indicibile vena letteraria dellesue storie. Mi riferisco, soprattutto ma non esclusivamente, alle litterae

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36 Ne fa un utile inquadramento il cardinale Bérenger Frédol nel suo Liber deexcommunicacione, cap. de absolucione ad cautelam (ed. E. Vernay, Paris 1912), 1-18;in sintesi: «Ego autem Berengarius, consideratis omnibus que circa materiam istamnotantur, talem breviter trado doctrinam quod ubicumque probabiliter dubitatur analiquis excommunicatus vel non ut quia dicitur sentencia nulla et de hoc aliquepresumpciones apparent, non tamen constat, vel quia fama est quod aliquis est excom-municatus, non tamen aliter constat et talis vult anime sue vel fame consulere vel actumaliquem exercere a quo repelleretur excommunicatus, talis potest et debet ad cautelamabsolvi» (7).

37 Le due regole apostoliche per la promozione al reggimento della diocesi e perl’ordinazione sacerdotale erano lette con limpida consapevolezza dagli interpreti.Oportet enim episcopum sine crimine esse e oportet autem illum et testimonium haberebonum diventavano il fondamento della distinzione tra l’irregularitas ex culpa e quellaex defectu famae. Nel primo caso l’impedimento derivava dalla criminalis infamia,concetto che serve da spartiacque tra il crimine e il peccato; nella seconda ipotesi, loscadimento della fama presso la comunità dei fedeli impediva al pretendente di essereordinato sacerdote: F. GILLMANN, Zur Geschichte des Gebrauchs der Ausdrücke “irre-gularis” und “irregularitas”, in Archiv für katholisches Kirchenrecht 91 (1911) 56 ss.;B. LÖBMANN, Der kanonische Infamiebegriff in seiner geschichtlichen Entwicklung,Leipzig 1956, 9 ss; F. MIGLIORINO, Fama e infamia. Problemi della società medievale nelpensiero giuridico nei secoli XII e XIII, Catania 1985, 184 ss.

38 Fondamentale per l’analisi diplomatica dei documenti prodotti dalla Peniten-zieria papale K. SALONEN – L. SCHMUGGE, A sip from the “Well of grace”, cit., 84 ss.

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declaratoriae, che dal secolo XV compaiono in registri a parte dalleconsuete forme di grazia delegate dal papa alla Penitenzieria (assolu-zione, dispensa, licenza e indulgenza)39. Un serbatoio insaziabile dicolpe e accomodamenti, di strategie personali e urgenze istituzionali,di regole incrollabili e dissimulazioni necessarie. Un fantasmaticoteatro che mette in scena la vergogna e la colpa, che lascia sullo sfondole storie miserabili dei suoi personaggi oscuri per effigiare — in unasorta di affresco tragico — la società e la sua cultura.

3. IL CRISANTEMO E LA SPADA

Vorremmo ora raccontare alcune di queste storie. Hanno in comuneuna sollecitudine così grande per la perdita della buona fama da fareimpallidire ogni parvenza di rimorso, nell’incerto e opaco confine frala vergogna e la colpa. A volte i supplicanti si dichiarano responsabilidi peccati nefandi e, tuttavia, portano il peso di una vergogna chesembra avere a che fare più «con la vista e l’essere visto» che con il«risuonare in se stessi della voce del giudizio»40. Chiedono una assolu-zione o una dispensa per tornare ad essere quelli che erano, prima diessere stati giudicati e censurati dallo sguardo degli altri. Altre volte,proclamano la loro innocenza, ma piegati dal vento maligno della diffa-

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39 Cfr. W.P. MÜLLER, Violence et droit canonique, cit., 780 s., che ne mette inevidenza, oltre all’ampiezza e alla cura del racconto, l’«enigmatico» inquadramentodelle funzioni giuridiche. Dal nostro punto vista, la richiesta pressante (comune amolte suppliche) della restituito in integrum non è poi così enigmatica e si inscrivepienamente nella potestà papale di decidere contra ius per ragioni di necessità edequità. In proposito, ci permettiamo di rinviare a F. MIGLIORINO, In terris ecclesiae.Frammenti di ius proprium nel Liber Extra di Gregorio IX, Roma 1992, 177 ss.

40 Cfr. B. WILLIAMS, Vergogna e necessità, trad. it., Bologna 2007, 105 (per la cita-zione), che mette in discussione la distinzione (inaugurata da Margaret Mead e resacelebre da un saggio insperato di Ruth Benedict: Il crisantemo e la spada. Modelli dicultura giapponese, trad. it., Bari 1968), tra shame culture e guilt culture. Come si sa,l’intuizione dell’antropologa americana, che aveva preparato il suo denso saggio invista di un’invasione del Giappone da parte delle forze armate americane, haampliato la sua portata euristica per spingersi, forse più del dovuto, a spiegare l’emer-sione di una ragione morale nella coscienza dei Greci post-omerici: E.R. DODDS, Igreci e l’irrazionale, trad. it., Firenze 1969 e A.W.H. ADKINS, La morale dei Greci: daOmero ad Aristotele, trad. it., Bari 1964.

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mazione aspettano almeno una dichiarazione che li metta al riparo dazelanti inquisitori o da interessati debitori. Quando, invece, l’infamiacontinua a produrre i suoi effetti di esclusione e inabilità, si spingonoal punto da implorare comunque un’assoluzione, preferiscono essereliberati formalmente da una colpa non commessa piuttosto che subirel’onta di un discredito realmente operante.

Siamo in Norvegia, nella diocesi di Nidaros (oggi Trondheim).Jean Albertsson, canonico agostiniano del monastero di Saint-Siège,viene convocato dal suo superiore per sostituire nella cura dellachiesa parrocchiale di Verdal il presbitero Andrea che da tre anni èimpedito da una grave malattia. Jean comincia a svolgere le suefunzioni di supplenza regolarmente e per sei mesi. La salutemalferma di Andrea precipita e, alla sua morte, l’arcivescovo confe-risce al vicario l’ufficio pastorale, gli chiede di occuparsi pienamentedella cura e dell’amministrazione della parrocchia «tam in spiritua-libus quam in temporalibus».

Passa solo qualche giorno e scoppia una lite tra Jean e Margherita,una familiare del defunto Andrea che s’era insediata stabilmente neilocali della chiesa. Per reagire alle frasi ingiuriose della donna, il nuovoparroco l’ammonisce a parole e, poi, la colpisce tre volte con uninnocuo bastone (così egli dice!) sulla parte superiore della gamba, sulbraccio sinistro e, ancora, sulla mano destra. Non aveva tenuto contoche la donna era già sofferente per i traumi che si era procurataqualche tempo prima maneggiando con imprudenza un’ascia e unmartello. Cinque giorni dopo l’aggressione di Jean, Margherita muore.

Il rumore (la mala fama) dell’accaduto si propaga. Corre di boccain bocca, si nutre delle malevole insinuazioni che la donna aveva disse-minato per mettere in cattiva luce l’intruso. Il malcapitato ricorre allaPenitenzieria alla ricerca di un rimedio. Sa bene il rischio che corre perla corrente avversa e sinistra delle maldicenze. È regola indefettibileche la violenza non sia compatibile con lo stato clericale41. Il disonore,non meritato, lo pone in una condizione di inabilità a svolgere le suefunzioni. Ben consigliato sulla forma della supplica, egli dichiara la sua

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41 In questa prospettiva la vicenda è messa in luce e studiata nel bel saggio di W.P.MÜLLER, Violence et droit canonique, cit., 781 ss.

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innocenza, chiede e ottiene dalla Penitenzieria (il 29 aprile 1498) unalittera declaratoria «quatenus ipsum nullum homicidii reatum incur-risse» per mettersi al riparo dalla scomunica, dalla irregolarità e dallanota d’infamia.

Passano diciotto anni e continua a pesare nella pubblica opinioneil sospetto della colpevolezza di Jean. Ancora una supplica alla Peni-tenzieria. Questa volta il defamatus non chiede una declaratoria, egliha buone ragioni per dubitare che a causa di quell’evento possa ancoratrovarsi in una condizione di irregularitas ex culpa che lo esclude daogni aspirazione a un beneficio ecclesiastico. Diversamente dallaprima istanza, qui egli chiede (e ottiene) di essere assolto ad cautelam.

La solenne e autorevole dichiarazione ottenuta nel 1498 serviva aspegnere la diffusione di voci infamanti che compromettevano la repu-tazione di Jean al punto tale da renderlo inabile all’esercizio pastorale.L’assoluzione che è invocata nella seconda supplica, invece, è di unindividuo che dinanzi all’evento criminoso rinuncia a negare le sueresponsabilità penitenziali e penali. Un percorso che si accompagna divolta in volta alla vergogna e alla colpa. Una strategia di difesa che —ben prima della segretezza barocca — lascia intravedere sullo sfondoe all’orizzonte l’uso disinvolto (e condiviso) della dis/simulazione42.

Altri innocenti che invocano la restituzione della fama43.Pierre Le Gros, laico di Thérouanne, è un uomo «honeste conver-

sationis et vite». Entro i limiti della umana fragilità, si è astenutosempre dalla macchia del peccato. Persone invidiose e rivali che glivolevano male, lo accusano di avere commesso atti contro natura neiconfronti di un fanciullo, diffamandolo «apud bonos et graves»44.

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42 Per un quadro d’insieme, cfr. J.-P.CAVAILLÉ, Dis/simulations. Religion, morale etpolitique au XVIIe siècle, Paris 2002.

43 Per i tre casi che seguono, vedi F. TAMBURINI, Santi e peccatori, cit.: supplica diPierre Le Gros (29 marzo 1452), doc. 3, 119 s.; supplica di Bratusia (31 agosto 1490),doc. 37, 185 s.; supplica di Antonello de Luca (21 febbraio 1552), doc. 87, 319 s.

44 Nella canonistica classica l’infamia facti coincide spesso con la decoloratio famaee nelle sue fasi formative è presupposto processuale per la purgazione canonica.Eppure, i suoi effetti sono rilevanti nella promozione agli ordini sacri, nell’eserciziodegli atti legittimi, nella facoltà di muovere un’accusa o di prestare una testimonianza.Nelle opere dei decretisti l’infamia di fatto assume un ruolo crescente, ed è riferita ailuoghi (moltissimi) in cui le fonti antiche della Chiesa riferiscono di una non bona

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Il supplicante si dichiara del tutto innocente e tuttavia sa benequanto incerto sia il confine tra l’infamia irrogata da un tribunale e ladiffamatio che viene dal mormorio malevolo dei più45. Narra di essersimesso volontariamente nelle mani della giustizia secolare al fine dipurgarsi da un’accusa così ripugnante. In quella sede il fanciulloconfessa di essere stato circuito dagli accusatori e di aver detto quelloche ha detto perché istigato da loro. La nota dell’infamia e del diso-nore, però, resta in agguato.

Qualche tempo dopo, infatti, un tale che doveva del denaro a Pierre,per non pagargli il debito lo accusa («diffamat») con malizia («mali-ciose») del peccato di sodomia. Nonostante non si sia insudiciato maidi tale crimine, l’oratore teme che presentandosi ancora all’autoritàsecolare sia posto alla tortura e costretto per paura a confessare colpemai commesse. Seguendo quindi i buoni consigli di parenti ed amici,egli viene di persona presso la Curia romana, «exponens quatenus utipse in pace et quiete vivere valeat de cetero et ne ulterius superpremissis indebite molestetur». Chiede anche l’assoluzione dal peccatodi sodomia «saltem ad cautelam», con la cancellazione della macchiad’infamia — anche nel caso abbia meritato quella cicatrice senzasaperlo («si quam contraxit») — e la restituzione alla piena e inviolatacondizione giuridica. La Penitenzieria accorda la grazia.

Bratusia, una donna della parrocchia di Bayons, nella diocesi diEmbrun, espone di essere sempre vissuta onestamente e secondo iprecetti cattolici. Mai era stata sospettata o accusata di eresia o di sorti-legio. La sua fama era limpida e non compromessa. Nonostante ciò,inaspettatamente viene messa sotto processo come eretica e strega daGiacomo di Rampart, uno spietato inquisitore appartenente all’ordinedei Frati minori.

A causa di tali accuse, Bratusia viene incarcerata e, in deroga al

Suppliche e grazia 133

conversatio di persone che, a causa del loro scadimento morale, sono giustamentetenute fuori dai riti liturgici e da quelli mondani. Da qui, l’insistito richiamo delle fontiall’immagine di un’opinio dehonestata apud bonos et graves, per stigmatizzare queldefectum famae che è il risultato di una vita reprensibile e che non sempre è collegataa una condotta delittuosa: F. MIGLIORINO, Fama e infamia, cit., 171-197.

45 In proposito, cfr. P. LANDAU, Die Entstehung des kanonischen Infamiebegriffs vonGratian bis zur Glossa ordinaria, Köln-Graz 1966, 17 ss.

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rito giudiziario, sottoposta più volte ai tormenti. Lo strazio è senzamisura ed eccede la sua stessa vita, la cella è così umida e angusta dalasciarla senza respiro. Non riesce neppure a darsi la morte, alla fineè costretta per disperazione a confessare colpe mai commesse. Il risul-tato? Fin troppo mite: viene condannata a compiere svariati pelle-grinaggi penitenziali.

La paura, però, non si sazia e la supplicante, benché ingiustamenteinquisita, carcerata e condannata, sa bene che in futuro l’aspettanofalsi testimoni e nuovi tormenti. È stupefacente, perciò, che nellasupplica che rivolge alla Penitenzieria faccia riferimento soprattutto altimore di patire l’infamia. Ribadisce la sua innocenza, eppure ammettedi avere abiurato il reato di eresia e di magia nelle mani dell’arcive-scovo. Chiede di essere assolta dalla scomunica, dispensata dall’in-famia e restituita nel seno della Chiesa. Il risultato: «Fiat de speciali etexpresso»46.

Antonello de Luca, canonico della Collegiata di S. Nicola diNicosia, nella diocesi di Messina, è accusato falsamente da un uomodel suo paese e suo nemico, davanti all’Ordinario, del nefando criminedi sodomia. Ha cercato di dimostrare la sua innocenza ma, avendosaputo che per tale crimine era stato già citato in giudizio dalla curiadel viceré di Sicilia, teme di non reggere di fronte alle false prove deisuoi avversari. Viene di persona a Roma e confida più nella miseri-cordia della Chiesa che nella propria capacità di difesa.

Implora di essere assolto «in utroque foro» dal delitto di sodomia.Non lo ha commesso quel crimine ma chiede la riconciliazione, simette nei panni di chi lo ha commesso («quomodolibet commiserit»).La sua è una supplica sorprendente ma non inconsueta. La liberazioneda tutte le censure è l’unica via di scampo per esercitare ancora il mini-stero dell’altare e per mantenere i benefici ecclesiastici.

Altre volte vengono in soccorso la tolerantia e la dissimulatio,congegni formidabili che, ispirandosi alla necessitas e all’aequitas,tengono sospese — alla maniera della pipa di Magritte — le dure

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46 La locuzione indica che il penitentiarius maior aveva ricevuto dal papa — vivaevocis oraculo— la delega a trattare un caso che era fuori dalla competenza ordinariadella Penitenzieria: K. SALONEN – L. SCHMUGGE, A sip from the “Well of grace”, cit., 75.

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prescrizioni della teologia morale e del diritto canonico. Uno statod’eccezione. Come quando l’infamia canonica è rimessa direttamentedal papa (Pio II, in una grazia del 1463) per dispensare quattro tremulisupplicanti che da adulti portano ancora il fardello delle incolpevolipulsioni di quand’erano adolescenti47.

Accade anche — e non sono casi rari — che i supplicanti si dichia-rino colpevoli e chiedano un’assoluzione o una dispensa per il pericolodi incontrare prima o poi lo sguardo (cioè il giudizio) degli altri. L’am-missione dunque della colpa ma anche la paura della vergogna (equindi dell’infamia e delle sue nefaste conseguenze)48.

Registro del 28 giugno 1492. Pietro di Peyto, maestro in teologia,frate professo dell’ordine dei Carmelitani, provinciale di Tolosa, «isti-gante diabolo» ha commesso l’abominevole peccato di sodomia («tama posterioribus quam anterioribus partibus») con chierici, laici e reli-giosi del suo ordine. Dentro e fuori dal convento. Ha indotto svariatepersone alla masturbazione reciproca di giorno e di notte, ha avutorapporti carnali con donne. Teme di essere incorso nella scomunicapromulgata dagli statuti del suo ordine per i reati commessi. Tuttavia,non è stato accusato o processato. È come se il peccato non avesseancora valicato i confini della coscienza.

Nell’ipotesi che sia effettivamente incorso nella scomunica — «siquam propter premissa forsan incurrerit» (sic!) — l’oratore chiedel’assoluzione nel foro penitenziale e contenzioso. Chiede anche ladispensa dalla irregolarità contratta e di poter mantenere l’ufficio diprovinciale o altri incarichi che gli venissero affidati. Chiede altresì

Suppliche e grazia 135

47 Grazia del 3 giugno 1463: cinque uomini della diocesi di Vicenza, quattro eccle-siastici e un laico. Francesco presbitero, Domenico Conforti, Andrea diacono, Pietrodi Antonio suddiacono, Girolamo di Crantano. Quando erano adolescenti, insieme adaltri coetanei, furono scoperti a commettere il crimine di sodomia. Processati econdannati ad una certa pena. Il tono della supplica: «Sed quia premissa sine magnainfamia haberi non valent, supplicant S.V. iidem exponentes quatenus ipsos a dicto vicioabsolvi secumque super irregularitate […] dispensare mandare dignemini omnequeinfamie maculam abolendo». Chiedono l’assoluzione, la dispensa dalla irregolarità ela remissione dell’infamia: F. TAMBURINI, Santi e peccatori, cit., doc. 14, 136.

48 Basterebbe scorrere la documentazione edita da F. TAMBURINI, Santi e peccatori,cit., 111-360.

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l’abolizione dell’infamia e di non essere più molestato dai giudici seco-lari o ecclesiastici.

La decisione della Penitenzieria è condizionale: «Fiat de gratia spe -ciali et expresso dummodo super premissis iudicialiter inquisitus citatusconfessus aut convictus non fuerit»49. Alla fine, la grazia opera comesalvacondotto da esibire, all’occorrenza, davanti a giudici e accusatori.

I peccati occulti, dunque, devono esser confinati nel temibile collo-quio che il penitente instaura con la sua coscienza, al cospetto di unamorevole ed esperto medico dell’anima. Lontani dai tribunali, doverischierebbero di procurare, attraverso la comunicazione sociale, undanno ancora maggiore nella coscienza dei più. Tanto più quando ilpeccato si riveste di un attributo, quello dello scandalo, che minaccia,col cattivo esempio, ogni singolo cristiano nella sua coscienza e lasocietà intera nella sua condizione ordinata. In tale contesto, l’infamiache si accompagna alla violazione del sigillo del segreto è la più auten-tica creatura dello scandalo50.

Due storie diverse ma accomunate dalla speciale sollecitudine alasciare velato (non visibile allo sguardo degli altri) il volto di chi si èautoaccusato dei propri peccati.

14 ottobre 1452: Michele di Epila, presbitero dell’Ordine dei Predi-catori, professore di sacra teologia e confessore del re Alfonso d’Ara-gona, chiede la facoltà di assolvere una donna di Napoli, della qualenon può fare il nome, dal reato di uccisione deliberata della prole.

Egli chiede, dunque, una «gratia de speciali» per un caso riservatoal papa.

Il Penitenziere accorda la grazia («Fiat de speciali») con espressoriferimento al turbamento e allo scandalo che ne deriverebbero se sivenisse a conoscere il nome della nobile: «Et quod nomen etcognomen dicte muliebri habeantur pro expresso cum si exprime-rentur et factum huiusmodi manifestaretur magna exinde scandalaverisimiliter orirentur»51.

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49 Cfr. ID., Santi e peccatori, cit., doc. 39, 189-191.50 Per il notevole contributo dato in materia dai teologi salmantini, cfr. F. MIGLIO-

RINO, Il corpo come testo, cit., 76 ss. 51 Cfr. F. TAMBURINI, Santi e peccatori, cit., doc. 6, 124 s.

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14 marzo 1486: Ulrico Val de Eligen è un sacerdote della diocesi diCostanza. Un giorno, trovandosi in una bottega di barbitonsore aconversare con altri presbiteri suoi amici, racconta di avere ricevuto laconfessione di una ventina di persone (venute dal Nord), che avevanoavuto rapporti sessuali con bestie («cum quodam cane abhorrendumsodomie vicium») e anche fra loro e con una donna.

Il vescovo di Costanza lo aveva privato del beneficio ecclesiasticoe sospeso in perpetuo dall’esercizio degli ordini. Dopo averlo pubbli-camente scomunicato e degradato, lo aveva fatto rinchiudere incarcere. Dopo tre mesi di prigione, era stato rilasciato per ordine dellostesso vescovo che aveva raccolto ulteriori informazioni.

L’oratore ammette di essere stato quantomeno imprudente mal’abominio di quei peccatori lo aveva scosso. Nonostante ne abbiaparlato in pubblico, egli non ha violato il sigillo della confessione, néha nominato alcuna persona in particolare. Implora perciò l’assolu-zione dalla scomunica, la dispensa dall’irregolarità e dall’inabilitàcontratte. Chiede anche di essere liberato dalla macchia dell’infamia52.

Nelle severe e segrete stanze della Penitenzieria apostolica si rice-vono e si registrano storie di ordinaria miseria. Maneggiate con lapuntigliosa precisione di giuristi e moralisti. Nel frattempo sonosempre al lavoro parole possenti che decidono della vita degli uomini.

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52 Cfr. ibid., doc. 30, 170 s.

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INDICE

SOMMARIO . . . . . . . . 5

LE SORPRESE DELLA PREGHIERA: PER UN’INTRODUZIONE(Giuseppe Ruggieri) . . . . . . . . 7

PREGARE GLI DEI / PREGARE DIO. LA PREGHIERA COME FATTORE IDENTITARIO TRA PAGANI E CRISTIANI: I CASI DI ELIO ARISTIDE E POLICARPO(Teresa Sardella) . . . . . . . . 11

1. Conflitto/continuità: un paradigma interpretativo e la preghiera . 112. Come pagani e cristiani vedevano pregare i loro avversari di fede . 183. Preghiera e soteriologia . . . . . . 224. Sofferenza e preghiera di affidamento in Aristide e Policarpo:

una sensibilità comune . . . . . . 27

IDENTITÀ CRISTIANA, TEOLOGIA E GESTUALITÀ NELLAPREGHIERA DI TERTULLIANO(Giuseppe Ruggieri) . . . . . . . . 39

1. L’autore dell’identità . . . . . . . 412. Un’identità polemica . . . . . . . 433. Un’identità apocalittica . . . . . . 444. Gesti, tempi e spazi della preghiera . . . . 47

EUCHÉ E NOÛS NEL CORPUS MACARIANUM(Francesco Aleo) . . . . . . . . 53

Introduzione . . . . . . . . 531. Euché e noûs negli scritti dello Ps.-Macario Egizio . . . 54Conclusioni . . . . . . . . 67

DESIDERIO E PREGHIERA IN GIOVANNI CASSIANO(Maurizio Aliotta) . . . . . . . . 69

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Introduzione . . . . . . . . 691. Il contesto sociale ed ecclesiale di Giovanni Cassiano . . 702. La preghiera nella vita del monaco . . . . . 74

2.1. Come pregare . . . . . . . 752.2. La natura della preghiera . . . . . 81

3. Preghiera ed emozioni . . . . . . 84

PREGHIERA E CONCILI GALLICI TRA V E VI SECOLO(Rossana Barcellona). . . . . . . . 95

1. Castità e preghiera . . . . . . . 1012. Liturgia battesimale . . . . . . . 1053. Verso l’uniformità . . . . . . . 1084. Riflessioni conclusive . . . . . . 116

SUPPLICHE E GRAZIA(Francesco Migliorino) . . . . . . . 119

1. Etologia della preghiera . . . . . . 1192. Il «confessionale del papa» . . . . . 1243. Il crisantemo e la spada . . . . . . 130

PREGARE COI SALMI (NELL’ALDILÀ). SALMODIE ULTRATERRENE NELLA «COMMEDIA» DI DANTE (Sergio Cristaldi) . . . . . . . . 139

1. Il grande divorzio . . . . . . . 1392. Dissonanze infernali . . . . . . . 1433. Salmi degli espianti . . . . . . . 1464. Ineffabile lode . . . . . . . 154

EGIDIO COLONNA ROMANO (1243ca-1316) E LA SPIEGAZIONE DELLA PREGHIERA DEL SIGNORE(Roberto Osculati) . . . . . . . . 161

LA CONCEZIONE DELLA PREGHIERA IN KANT(Antonino Crimaldi) . . . . . . . . 201

LA PREGHIERA COME POESIA: GLI INNI ALLA NOTTE DI NOVALIS(Grazia Pulvirenti) . . . . . . . . 215

IL RUOLO DELLA PREGHIERA NEGLI SCRITTI DI SORENKIERKEGAARD(Luca Saraceno) . . . . . . . . 229

Introduzione . . . . . . . . 2291. Preghiera tra vita e pensiero . . . . . . 231

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2. Preghiera tra pseudonimia e autenticità . . . . 2333. Preghiera tra singolo e agape . . . . . . 2364. Preghiera tra interiorità e humor . . . . . 2375. Preghiera tra temporalità e paradosso . . . . 240

IN PARTIBUS INFIDELIUM: FORME E SENSI DEL PREGARENELL’ESPERIENZA LETTERARIA ITALIANA DELL’OTTO/NOVECENTO(Antonio Sichera) . . . . . . . . 243

1. Premessa . . . . . . . . 2432. Il primo Ottocento: Foscolo e Leopardi. Da Jacopo al pastore errante 247

2.1. Foscolo. Sul limitare del transito. . . . . 2472.2. Leopardi. Oratio a solitudine . . . . . 262

3. Il secondo Ottocento. Carducci e D’Annunzio. Dalla preghiera ad Omero alla reazione neopagana . . . . . 2713.1. Carducci. Dalla finitudine alla «divina poesia» . . . 2713.2. D’Annunzio. L’invocazione dalla potenza del moderno . 274

4. Il primo Novecento: Quasimodo e Montale . . . . 2804.1. Quasimodo. Il poeta orante tra sofferenza e narcisismo . 2814.2. Montale. Dall’orazione getsemanica all’antiteologia mistica . 285

5. Il secondo Novecento: Pasolini e Caproni . . . . 2955.1. Pasolini. L’Altro della prossimità e della distanza . . 2965.2. Caproni. Ovvero: De oratione in morte Dei . . . 301

LA PREGHIERA COME RICERCA DI IDENTITÀNELL’ESPERIENZA DI SORELLA MARIA.VALERIA PIGNETTI (TORINO 1875— CAMPELLO 1961)(Arianna Rotondo) . . . . . . . . 309

1. La piccola riforma . . . . . . . 3122. La liturgia . . . . . . . . 3143. La preghiera . . . . . . . . 319

PER VISIBILIA IN INVISIBILIA. POESIA E PREGHIERA IN CRISTINA CAMPO(Rosa Maria Monastra) . . . . . . . 327

1. Il valore della poesia . . . . . . . 3272. Modernità e tradizione . . . . . . 3293. Il destino, la fiaba, la grazia e la Grazia . . . . 3334. La preghiera . . . . . . . . 337

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