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Su la soglia del nuovo Impero mediterraneo
Mediterraneo, piccolo e grande mare, sede di vita propria e insieme tramite fra continenti e oceani, quanta storia ti grava addosso e nel tempo stesso ti fa vivo e animato e uma~o; quanta varietà di genti si è specchiata da millenni e tuttora si specchia su le tue acque, pur nella tua unità; quanta alterna vicenda di grandezze e decadenze hai visto, tu e ognuno dei tuoi popoli! Da tutti i continenti attorno sono calati su di te, entro di te, uomini di ogni razza e da te hanno preso qualche elemento comune, e ora più gli uni ora più gli altri ti hanno signoreggiato, ora più gli uni ora più gli altri hanno messo il loro segno su di te. N avigatori e mercanti quasi tutti, cominciando dai Cretesi e Fenici e Cartaginesi e Greci: chè tali li ha sempre fatti il contatto immediato col liquido elemento, la varietà dei paesi attorno e dei loro prodotti, la ristrettezza e povertà delle terre che si allungano tra le catene costiere e il mare. Ma anche duri contadini, bonificatori, creatori di zolle, piantatori di viti e ulivi e mandorli e agrumi, che sono albéri o arbusti da paese secco e assolato, lenti a crescere ma ricchi di essenze vitali. Forse in nessun altro paese del mondo l'agricoltura è tanto faticosa quanto nelle terre che ti fanno corona e tanto rivela la volontà dell'uomo, la lotta dell'uomo con le forze prepotenti della natura. E guai se l'uomo un momento ristà, chè il torrente rompe e dilaga, la vena d'acqua tratta di sotterra si perde, le terrazze Costruite sui pendii a sostegno della terra vegetale crollano, i venti inaridiscono e bruciano le piante, le sabbie del mare o del deserto invadono le case e i solchi.
N ella storia di questo mare, che pure ha conosciuto Fenici e Cartaginesi e Gre-
ci, e poi Arabi e Turchi, Provenzali e Catalani, gli abitatori dell'Italia sono protagonisti, chi guardi alla vastità dell'opera loro, all'orma profonda che vi hanno lasciato, alla loro virtù di ripresa dopo ogni decadenza o rallentamento, come che questo sia non altro che riposo: Etruschi del centro della penisola, Liguri del Nord, Italo-Greci di Sicilia e Calabria e Campania; Romani e Latini e Italici con Celti e Liguri e Greci romanizzati; Italiani delle città dall' XI al XV secolo; Veneziani fino al XVIII secolo. pel resto nessuna meraviglia. L'Italia è tutta tuffata nel Mediterraneo, mentre le Alpi, separandola dall'Europa continentale, ne determinano ancor meglio il carattere essenzialmente mediterraneo. Perciò, come la civiltà prima le era venuta da paesi del Mediterraneo, cosi verso il Mediterraneo essa ha sempre orientato la sua attività politica economica e guerriera. Roma non era ancora giunta alla valle del Po e già aveva preso terra in Sicilia, in Sardegna e Corsica, nell'Illiria, in Spagna, a Cartagine, in Asia Minore. La conquista delle Alpi fu tarda opera di Augusto, quasi per proteggersi alle spalle. Il titolo maggiore della grandezza di Roma è l'aver dato unità, politica e spirituale, alle genti del Mediterraneo. Vanto di Roma e degli Italiani più tardi è di aver concorso, più forse di ogni altro popolo, a consel'vare il carattere di mare europeo al Mediterraneo, contro i semiti di Cartagine, i semiasiatici di Bisanzio, gli Arabi e Turchi d'Asia e d'Mrica. Navigatori e mercanti anche essi, come già Fenici e Cartaginesi e Greci: ma anche contadini, dissodatori e bonificatori, creatori di zolle, costruttori di città e organizzatori di Stati.
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Chi toccò l'apice in questa molteplicità, organicità, armonia di attitudini fu Roma. Dove i Romani giunsero, qui essi si radicarono, si identificarono col paese, lo trasformarono, vi instaurarono la vita o una nuova e più piena vita. Con la loro inesauribile e metod~ca energia espansiva e costruttiva, essi fondarono colonie in tutto il bacino del Mediterraneo ed oltre; ripopolarono di loro gente e abbellirono di nuova bellezza città antiche e illustri ma distrutte o decadute (Corinto l), o accanto a città e centri abitati indigeni fecero sorgere pagi di cittadini romani che poi si fusero con quelli e divennero municipi e colonie, come Tugga e Cirta nel Nord-Africa; crearono vaste zone agricole dove non era se non gramo commercio carovaniero e pastorizia seminomade, diffondendovi la piccola proprietà coltivatrice o ordinandovi la grande azienda a coltura estensiva. Quindi, anche, edificare, fortemente e monumentalmente edificare, ma in rispondenza a concreti bisogni della società politica. E da per tutto, accanto alla casa o villa o fattoria campestre, con le sue fontane e i suoi mosaici, come quelli di cui è piena, ad esempio, l'Africa romana, l'opera di grande mole, di nobile materiale, travertini, marmi, conglomerati dai più vari colori, di cui i paesi mediterranei sono particolarmente ricchi. E si sa quale passione e ambizione di edificare ebbero Augusto e il suo collaboratore Marco Agrippa, edile oltre che soldato e marinaio, a cui son dovuti il famoso acquedotto detto Pont du Gard nella Gallia, i templi di Nimes, l'Odeon di Atene ecc. E dopo di loro, Traiano che tanto rifece della rovinata Alessandria; Adriano che procurò ad Efeso una posizione di primato fra le città d'Asia e d'Africa, insieme con Antiochia ed Alessandria; Settimio Severo che molto costruÌ nella provincia di N umidia e nella provincia d 'Africa e quasi riedificò con insuperabile magnifi-
cenza Leptis Magna.... Tutto il mondo romano, e specialmente tutto il cerchio dei paesi mediterranei si ricoprÌ cosÌ di archi trionfali e di porte di città che spesso erano anche esse archi trionfali, tipica ideazione di Roma antica; di palazzi e ville, di monumenti onorari e di tombe, di circhi e di basiliche, di teatri e anfiteatri, di portici e di terme, talvolta colossali. E da per tutto, motivi decorativi in scultura, pitture parietali, mosaici a figure umane e animali, a fiori e piant e, a scene varie di vita, a linee geometriche. Caratteri salienti di questa arte: solidità, razionalità, praticità. U so di stili locali dove essi erano, o loro influsso su le nuove costruzioni, da principio: ma anche, forme tipiche dell'architettura romana, come l'arco e la cupola; e in tutto, poi, una sempre più evidente impronta romana, uno svolgimento obbediente a proprie e intrinseche esigenze e non a estranei influssi.
Fra le regioni più segnate di Roma tutti conoscono la Siria che ebbe ville e case grandiose e ricche, e città come Eliopoli, con il suo ciclopico tempio di Giove, opera di Antonino Pio e Caracalla, e Palmira, oasi verdeggiante nel deserto fra Mediterraneo ed Eufrate, sviluppatasi fortemente nel I e II secolo dell'Impero, divenuta con Settimio Severo base delle operazioni di guerra contro i Parti, bella delle sue mille colonne. Ma più della Siria, non meno della Gallia e Spagna, è davanti ai nostri occhi l'Africa del Nord, l 'Africa romana, sempre più vasta attorno al primo e più antico nucleo che fu il territorio di Cartagine, fino a comprendere t utta la regione dalla grande Sirti fino all'Oceano. Sviluppo economico, culturale, artistico del paese, sotto l'Impero, quale esso non aveva mai avuto e per un pezzo non avrà mai più, specialmente nella sua zona intermedia, fra la Tunisia e l'Algeria attuali. Ricchezza agricola, più che al~ro! non ostante le poco favorevoli condiZIonI
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-ARTE ROMANA A NIZZA T v. C II.
LA TunlllA: Trofeo del tempo di Aug usto (ril'ostrl/ziol/c).
LA T BRIA: Trofeo elcI leJ~'pO di AuguSlO (stato llttl/llle dopo rest.lIltri).
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ARTE ITALIANA A NIZZA
N IZZA: Museo Massetla. S. G~\)"aru>i. ~'-\!;"'-- .... ""'~~
Proviene dalla Parrocchiale di Lucerauo (Nizzardo). Opera certa di IACOPO DURANTI, che ha firmato un poHttico (5. Margherita e Santi) nella P arrocchiale di Freyus. Un pittore Iacopo
Duranti risulta operante a Taggia, per conto della Rep. di Genova, nel 1443.
"N IZZA: Chiesa di Cimiez. Crocifissione.
Proviene dal Convento della Croce, dei Minori Osservanti, nella stessa città. Eseguita nel 1512 da LUDOVICO BREA : è un'opera del periodo matnro, pos teriore a lunghi soggiorni in Liguria e alla collahorazione col Foppa nella Pala di S. Maria di Castello a
Savona (1 ~90)
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ARTE ITALIANA IN CORSICA TAV. CXV.
EBBIO (Corsica): Cattedrale.
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MURATO (Corsica): Chiesa di S. Michele.
(LJal volullte < La COl'sica nella SUCl italiani/ci »).
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LE AR TI - - ------------------- 295 ---
di clima e di suolo. Ma esse furono affrontate e vinte con risoluta energia, regolarizzando e utilizzando ogni sorgente e ogni corso d'acqua, tracciando una fitta rete stradale, portando laggiù nuclei di coloni-proprietari. Specialmente Cesare e Augusto fecero una vera politica di colonizzazione e nel t empo stesso avviarono la costituzione di grandi aziende, rimanendo la piccola coltura limitata ai punti dove la terra era migliore e le esigenze militari richiedevano maggior numero di uomini interessati alla difesa. Comunque, un po' i coloni romani un po' i romanizzati, il paese si popolò molto, città e campagne insieme. Di centri urbani - colonie e municipi - furono ricche le pendici settentrionali dell'Aurasius, il grande massiccio pullulante di acque, caposaldo difensivo contro le popolazioni del deserto, dove sorgevano Theveste, sede della terza legione fino ai tempi di Vespasiano, Lambesi che poi ne divenne essa sede, Thamugadi fondata al tempo di Traiano e divenuta il centro maggiore della N umidia. E più a nord e più ad est, Cirta, CuicuI, Sufetula, Tubursico, Tugga, Cartagine ecc., tutte ricche di monumentalità. Sviluppo di vita municipale. Formazione di un agiatQ ceto medio rurale. Vita intellettuale assai progredita e vivo senso di latinità che poi si manifesta come attaccamento dell'episcopato africano alla Chiesa di Roma contro l'Oriente; come preferenza data alla lingua latina sulla greca per gli usi religiosi, già nel tempo che la Chiesa di Roma usava ancora il greco; come alto riconoscimento della provvidenzialità dell'Impero. Basti ricordare Agostino.
* * *
Col tempo, queste opere, questi segni, queste voci di romanità si interruppero, si cancellarono o attenuarono, si spensero o affiochirono, dove più' dove meno. Quel
patrimonio di arte costruttiva e figurativa, quelle moli di pietra e di marmo o mutarono volto (e palazzi imperiali divennero fortezze e rifugio di profughi, come a Salona, templi pagani divennero chiese cristiane o fornirono mate.riali a costruirne); oppure si consunsero nell'abbandono e nello squallore. Via via che dall'Italia non irradiava più la forza d'impulso e la energia coordinatrice che aveva sorretto la grande costruzione; via via che la vita si impoveriva e la popolazione si diradava e si disperdeva; le acque deviavano o straripavano, i nomadi dell'interno avanzavano verso la fascia costiera, le sabbie l'acquitrino la boscaglia, come invadevano e sommergevano i campi e le fattorie, cosÌ anche i templi e i teatri e le terme. Insomma, anche l'ossatura marmorea del grande organismo si disarticolava e si disfaceva.
Poi, un po' per volta il flusso degli uomini dall'Italia, fattasi nuovàmente centro di irradiazione, essa prima e più d'ogni altro paese della nuova Europa romana germanica e cristiana, ricominciò. Pellegrini, mercanti, marinai, artigiani, cavalieri e uomini di guerra e di chiesa riapp.arvero, specialmente nei porti e scali del Levante, e ripresero, pietra su pietra, la loro fatica di costruttori; ordinarono una lor vita municipale a somiglianza della madre patria; si conquistarono in ogni isola una signoria; penetrarono o tentarono di penetrare sino ai paesi delle favolose ricchezze, spinti tanto dal desiderio di allargare i loro traffici, quanto, a un certo momento, da passione di nuovi paesi e genti e costumi. Erano non cento e mille, ma diecine e diecine di migliaia, forza propulsiva di prim'ordine di quella vita assai intensa che dopo le Crociate si instaurò per qualche secolo laggiù, dalle coste della Dalmazia e dell'Illiria, ora detta Albania, lungo tutto l'arco di cerchio, a Salonicco, primo sbocco della via Egnazia col suo grande arco romano, a Co-
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stantinopoli, rigurgitante di latini, al Mar N ero è a Caffa capitale del genovese «Imperium Gazariae », a Trebisonda, con i suoi due castelli genovese e veneziano l'un contro l'altro armati, alle città dell'Anatolia costiera e di Siria e Palestina, a Cipro e Candia ed isole dell'Egeo, ad Alessandria d'Egitto, quasi .dsorta nel '300 all'antica sua prosperità commerciale per opera specialmente di Genovesi e Veneziani. Poichè, nei paesi del Mediterraneo, Genovesi e Veneziani furono essi, come i Fiorentini altrove, il quinto elemento. Lo dimostrano le stesse opere murarie disseminate da per tutto, specialmente mura di città, fortezze e castelli, oltre acquedotti, fontane, chiese e conventi, logge adorne, case di città e di campagna, qua e là anche campi e fattorie e grandi oliveti. I Veneziani più forse dei Genovesi, con più continuità, attitudini di governo, senso di grandezza, quasi da eredi e prosecutori di Roma. Opera complessa la loro, da conquistatori, colonizzatori, instauratori di una civiltà fl'a italiana e orientale: una civiltà di cui l'arte non era una delle ultime manifestazioni.
Più fuggevole e superficiale fu la ricomparsa degli Italiani - di Sicilia e Napoli e Toscana e Liguria - nell'Africa del Nord, e quasi solo in funzione commerciale, o come pescatori di corallo a Tabarca, o come cercatori d'oro, nei punti della Costa dove le vie carovaniere sboccavano dall'interno sul mare o risalivano dal mare verso l'interno. Ma vi fu anche nel Mediterraneo occidentale un campo in cui Pisani e Genovesi operarono da pionieri, ripresero, con le nuove città e borgate, con le opere architettonich~, con l'avvaloramento agricolo, il complesso lavoro di Roma, riallacciarono all'Italia terre che, un po' il dominio bizantino, un po' le scorrerie saracene, un po' l'istinto isolano, se :r;te stavano allont.anando: Sardegna e Corsica. I Pisani specialmente. Mossero di lì i primi maestri e lapicidi
che cominciarono a popolare di belle chiese policrome le due isole. Architettura pisana e architettura romanica, quasi sinonimi: sebbene poi quello stile, per virtù di maestri e costruttori locali, assumesse atteggiamenti propri, sardi o còrsi. Grandi e monumentali, alcune di queste chiese, in Sardegna. Più modeste in genere quelle della Corsica: ma portano anche esse i loro segni di nobiltà, cominciando da quella S. Maria Assunta di N ebbio, che nel 1119 l'arcivescovo di Pisa, metropolita, .consacrò: la prima o una delle prime chiese romaniche, e potremmo dire preromaniche, della Corsica, in una regione che diventerà poi architettonicamente la più ricca dell'isola. Ma ricca diverrà anche la vallata del Tavignano, èentro e culla della storia còrsa. Poichè quella vallata è chiusa a monte della città di Corte, tutta risonante di memorie del tempo delle lotte per l'indipendenza e di ricordi paolini, ed ha poi allo sbocco Aleria, l'Alalia degli antichi, famosa per le lotte che lì attorno combatterono Focesi Cartaginesi Etruschi per il possesso dell'Isola e quindi per il dominio del Tirreno, fino a che non vi si insediò Roma, e Silla vi mandò una colonia di cittadini romani. Decaduta poi, e quasi annegata fra gli stagni, risorse con Pisa a vita nuova. Lungo il Tavignano apparve quella chiesa di S. Pietro di Giuncaggio che era una delle più interessanti dell'Isola fino a pochi anni addietro, quando, rimasta ormai senza popolo, fu ridotta a edificio privato. Venne poi il pieno dominio di Genova: e con esso, vennero le belle chiese di barocco genovese, derivazione dell'Ales si, le quadrate fortezze e cittadelle di Calvi Bastia Bonifacio Ajaccio, le diecine di torri litoranee, quadre o rotonde, a difesa dalla pirateria turca o barbaresc.a, i castelli dell'interno restaurati, tutte opere di . guerra, ma non prive di elementi artistici; documenti importanti di quella nuova architettura militare che
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ebbe negli Italiani maestri famosi e ricercat issimi, spirito artistico e spirito scientifico fusi insieme. Il XV, XVI, XVII sec. furono la loro età dell'oro. E come lavorarono in Francla e Fiandre, in Portogallo e Spagn a, in Germania e Ungheria, cosi nelle B alcani, nel Mar N ero, in Anatolia, in Siria e Palestina, nel Nord-Mrica, nell'Egeo, a Malta. Non serve ricordare il grande Giulio Savorgnan, il cui nome è legato alle fortificazioni di Cipro, nel '500, e quelli di Evangelista Menga, di Francesco Lapar elli, di Nicola Bellovanti, di Bartolomeo Genga, che si applicarono a rendere inespugnabile, come realmente divenne, Malta: prima che Mattia Preti, maestro calabrese di gran forza e fantasia, si applicasse lungamente a restaurare e dipingere le chiese di Malta, molte delle moltissime chiese di Malta che gli architetti italiani vi avevano costruito e vi costruivano, e arricchire di sue tele le isole maltesi.
Poi, anche per questa specie di secondo impero degli Italiani, in cui attività pratiche e attività artistiche si fondevano sino a raggiungere in taluni punti una insuperabile armonia, declinò, illanguidi, si sfaldò'. La Sardegna se la prese Spagna e quasi se la assimilò. Furono distrutti o lasciati nell'abbandono e rovinati dal tempo, con la conquista turca in Oriente e nell'Egeo, le chiese e i fondaci delle antiche comunità italiane, i palazzi e fort ezze e rocche che le famiglie genovesi e veneziane avevano costruito nelle isole di loro dominio, le grandi mura, a duplice o t riplice cerchio, di che le due repubbliche avevano recinto tante città. Gli Slavi invasero sempre più la Dalmazia, accampandosi anche nelle città romane e veneziane, ma rimanendo estranei a quella vita, a quei costumi, a quella monumentale grandezza. I Francesi si impadronirono ' della Corsica: e, un po' indifferenza e t rascuratezza, un po' proposito, affrettarono il rovinoso declino delle chiese
còrse. Gli Inglesi SI piazzarono a Malta, come guarnigione a guardia di una fortezza: e anche qui, altra distruzione di memorie e monumenti romani, per incuria e spirito utilitario, dopo quella che s'era fatta al tempo dei Cavalieri per la costruzione delle fortezze, mentre i grandi palazzi o alberghi delle varie lingue dell'Ordine diventavano Uffici e Comandi inglesi. Ma anche ora dopo questo nuovo arresto o dispersione, come dopo il 1000, c'è in vista un ritorno degli Italiani su la scena di questo loro piccolo e grande mare. Anzi, esso è già in atto, da un secolo e più: da quando gli Italiani, con Galiani e Genovesi e Palmieri e Verri e i migliori del '700, ripresero a sentire il Mediterraneo come campo necessario della loro espansione; da quando il Re di Sardegna, erede della Repubblica di Genova, cominciò con la sua minuscola flotta a far atto di presenza a Tunisi e Tripoli, e i suoi Consoli riattizzarono di sotto la cenere quel che ancora rimaneva acceso delle vecchie comunità italiane del Levante; da quando gli Italiani che emigrarono per ragioni politiche e poi gli artigiani e contadini tornarono a riversarsi a Malta e Alessandria, a Tunisi e Algeri, e si misero ad esercitarvi professioni liberali e commercio, a far la guerra nella Legione straniera francese e ad assumere uffici dello Stato egiziano, a travagliarsi per trovare le sorgenti del Nilo e per dissodare la terra, piantare aziende agricole, lavorare alle miniere di fosfati e ad ogni mestiere; da quando Crispi si arrovellò per Tunisi e Biserta e tenne d'occhio il Marocco, e Caneva e Cagni e Ameglio sbarcarono nel 1911 a Tripoli e a Rodi; da quando il Fascismo ha riaddidato con nuova e più energica coscienza il Mediterraneo e l'Mrica agli Italiani e riconquistato la Libia che era andata perduta e creatovi porti e strade, bonificato e rinnovato le città, riportato alla luce Sabrahata e Leptis e Cirene; da quando
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Balho ha tracciato laggiù la grande strada litoranea, dedotto migliaia di iamiglie coloniche, creato diecine di villaggi, italiani e indigeni, tri,:ellato la terra e impiantato poderi irrigui dove era steppa e quasi sahhia, creato la hella architettura delle piantagioni e quasi rinnovato il paesaggio, messi o rimessi su di esso i segni dell'uomo italiano; da quando fanti e Camicie Nerè han dehellato il Negus d'Etiopia e conquistato l'Impero, potenzialmente Impero mediterraneo, e i Legionari han combattuto in Spagna e aiutato la riscossa della nazione spagnuola; da quando Mussolini ha tenuto testa agli inglesi e la Home fleet è tornata ai suoi porti donde si era mossa con la solita orgogliosa presunzione di sè e la non meno solita disistima degli Italiani; da quando infine, spuntato il gran giorno della riscossa, animi e armi sono tesi verso Corsica e Tunisi e Nizza e Malta ed Egitto.
Grande lavoro, anche questo 'dell'ultimo secolo. Lavoro nuovo che si somma con l'antico, due volte compiuto. E il lavoro antico riappare sempre più nella sua giusta luce non di episodio dovuto a favorevoli e momentanee contingenze esterne,
non di acqua passata che non macina più, ma di fatto organico e quasi necessario della vita mediterranea ed europea; e il lavoro nuovo si illumina della gran luce di quello antico, che è luce di Roma e delle città italiane della rinascenza, luce di 'politici e guerrieri, di dissodatori di terre e di creatori di opere d'arte; e il lavoro antico e nuovo additano il lavoro di domani. Ci sarà molto da fare per. gli Italiani di domani. Le opere dei padri, se conferiscono ad essi una specie di diritto, impongono anche dei doveri. E il nuovo impero del Mediterraneo sarà veramente formato solo quando saranno formati gli uomini capaci di sentirlo nella sua pienezza, di governarlo, di avvalorarlo anche nella sua ricchezza archeologica e storica e quindi nella sua continuità, dai padri romani ad oggi, di dargli in ogni sua parte l'impronta nostra, come impronta romana, veneziana o genovese diedero Romani Veneziani e Genovesi a tante terre del Mediterraneo che erano p ,arte del loro Impero, fossero esse Mrica o Malta, Corsica o isole del Levante o Dalmazia.
GIOACCHINO VOLPE
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