storia di roiano e gretta

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RIVISTA ELETTRONICA DEL PORTALE TRIESTINO NUMERO UNO STORIA DI ROIANO E GRETTA

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Storia di Roiano e Gretta

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RIVISTA ELETTRONICA DEL PORTALE TRIESTINO – NUMERO UNO

STORIA DI ROIANO E GRETTA

Cenni storici del territorio tratti da vecchi testi, se riscontrate delle imperfezioni segnalate a [email protected] Il contrafforte di Terstenico che divide il rione di Barcola da quello di Gretta, ospita alla sua sommità la villa Bonomo, che, assieme al rustico, esiste al n. 261 della via che da essa ha tratto il nome, sopra un terrapieno bastionato. Si tratta di una graziosa costruzione dalla facciata a timpano prettamente settecentesca, il cui elemento di maggior rilievo è il poggiolo dalla bella balaustra in ferro battuto recante l'arme dei Bonomo, ripetentesi quest'ultima in pietra ancora sul

fianco della villa E' proprio da qui che il celebre pittore francese L.F. Cassas, chiamato a Trieste dal direttore della polizia barone Pietro Antonio Pittoni, ritrasse nella prima metà del giugno 1782 il famoso panorama della città. Nella stessa circostanza riprodusse anche la riviera di Barcola che, in verità, al contrario della veduta di Trieste, risultò alquanto fantastica Entrambe le vedute furono incluse poi nello stupendo volume di stampe pubblicato a Parigi vent'anni dopo, il "Voyage pittoresque et historique de l'Istrie et de la Dalmatie". La via Bonomea fu aperta nel 1779 per i buoni uffici del governatore conte Carlo de

Zinzendorf. Scendendo lungo il crinale di Terstenico incontriamo le antenne trasmittenti di Radio Trieste, inaugurata il 28 ottobre 1931, sul posto in cui fino ai primi anni del secolo sorgeva un bel bosco di pini e quindi, sulla punta estrema, il faro della Vittoria, eretto sopra il forte Kressich, la più cospicua e meglio conservata fortificazione della seconda metà dell'Ottocento. Costruito nel 1854, esso rappresenta, per le sue caratteristiche tecnico-militari, un'opera difensiva completa. Sul lato mare si aprono le sue potenti troniere ed il rondello principale mentre dal lato terra è protetto da un ampio fossato completo di galleria di controscarpa. Un ponte levatoio con numerose difese laterali ed un doppio sistema di porte regolava l'entrata. Una lapide con un'imponente aquila bicipite e la data di costruzione era murata in testa alla casamatta principale, ed ora è conservata, scalpellata, nei sotterranei. Il forte ne possedeva di profondi, invulnerabili a qualsisi tipo di artiglieria, che lo rendevano veramente imprendibile, anche perché era costruito a circa cinquanta metri sul livello del mare, altezza ottimale a quel tempo per non essere colpiti dalle artiglierie navali, non avendo allora i cannoni delle navi la possibilità di un alzo sufficiente. Il faro della Vittoria fu ideato dall'architetto Arduino Berlam e dallo scultore Giovanni Mayen i lavori iniziarono il 15 gennaio 1923. Il grand'ammiraglio Thaon de Revel donava il 3 febbraio 1924 l'ancora del cacciatorpediniere "Audace", al diamante della quale fece apporre una targa con la scritta "Fatta prima d'ogni altra sacra dalle acque della gemma redenta il 3 novembre 1918". Completava il dono con due proiettili della "Viribus Unitis" che ora si trovano dinanzi all'entrata del laro. La statua della Vittoria alata alla sommità, dello scultore Giovanni Mayer come quella del marinaio, alta m. 7.20, venne eseguita da Giacomo Srebot nella sua officina di via Donato Bramante. La statua del marinaio, in pietra d'Orsera, è alta m. 8,60. La lanterna fu costruita a Napoli. I calcoli del cemento armato vennero eseguiti dallo studio degli ingegneri fratelli Battigelli,

tenendo presenti le condizioni più sfavorevoli. La statua della Vittoria fu offerta dagli armatori di Trieste, quella del marinaio mediante una sottoscrizione aperta da un Comitato cittadino. La spesa totale per l'opera fu di 5.265.000 lire e venne inaugurata da Vittorio Emanuele III il 24 maggio del 1927. A monte della strada del Friuli, in via dei Berlam n. 8, esisteva fino a qualche anno fa la grande villa suburbana dei Marenzi, della quale ora più nulla rimane se non la balaustra del terrapieno sul quale sorgeva. Ecco perché nel cimitero di Barcola esiste la tomba della famiglia Marenzi, la quale ospita uno dei suoi membri più illustri e rappresentativi, Francesco Antonio. Nato a Trieste il 1 giugno 1805 nel palazzo di via dei Rettori, intraprese ancor giovane la carriera militare raggiungendo il grado elevatissimo di "Fefermarsciallo"; nel 1848, durante la prima guerra di indipendenza, fu al quartier generale di Radetzky quale addetto alla persona dell'arciduca Sigismondo, dopo partecipò in prima linea alla battaglia di Novara. In seguito il Marenzi fu inviato in Galizia, e poi a Lubiana quale comandante militare della Carinzia e della Carniola. Non solo nell'arte militare rifulsero le doti di questo patrizio triestino, ma anche nel campo delle scienze, della ricerca e degli interessi per i problemi della città; sono dovute alla sua penna monografie sui vulcani, sui terremoti ed uno studio particolare sul Carso; si prodigò inoltre per la sollecita realizzazione dell'acquedotto di Aurisina. Morì in palazzo Marenzi il 4 gennaio 1886. Al n. 81 di strada del Friuli esiste un complesso che sembra quasi un piccolo fortilizio, ma entrando nel cortile se ne scopre la funzione: si tratta di una colombaia militare, molto interessante e pittoresca L'attuale-chiesa di Santa Maria del Carmelo a Gretta è stata aperta al culto il 4 ottobre 1970, ma l'arrivo a Trieste dell'ordine cui è affidata risale ancora al 1935. Nel 1937 venne costruito il complesso della cappella, del convento e delle sale di riunione, nel 1952 la sala per il cineteatro, poi demolita Risale al 1963 la creazione della parrocchia, separando il territorio da quelle di Roiano e di Barcola. La parte del contrafforte di Gretta a valle della strada del Friuli ospitò fino dalla fine dell'Ottocento molte ville affacciate sull'azzurra distesa del mare ed illuminate dal sole al pomeriggio, come la villa Prinz, la villa Rutherford poi Cosulich, la villa Tripcovich e quella di Alberto Casali, ultimata dal proprietario poco prima della sua morte nel 1972. Pochi anni or sono venne demolita, a monte di quella che oggi ospita il consolato jugoslavo, una villa ottocentesca il cui stile arieggava quello di Miramare. Gretta conserva però ancora, lungo la via del Cisternone, qualche rustica costruzione, risalente all'epoca in cui tutta la zona aveva ancora carattere rurale, come testimonia il busto di un mandrier, col suo bravo caregon in testa, sistemato nella nicchia di una casetta in fondo a questa via Racchiuso tra i contrafforti di Terstenico e di Scorcola si stende il rione di Roiano, le cui frazioni portano i nomi di Scala Santa, Sottomonte, Case Sparse, Molini, Moreri, Verniellis, Sant'Ermacora, San Pietro, Cordaroli. Quest'ultima denominazione a ricordo della corderia Bozzini, una lunghissima tettoia di 400 me-tri costruita nel 1805, sotto la quale si eseguiva la torcitura dei cavi, ubicata all'inizio di viale Miramare. Quattro" torrenti scendono dalle vallette alle spalle di questo rione: Carbonara, che più a valle viene detto anche Martesin, Roiano, Rosani e Scalze. Tutti confluiscono nella piazza tra i Rivi per sboccare in mare con un unico corso ormai tutto sotterraneo, nel bacino N. 1 del Punto Franco Vecchio.

Fino alla metà dell'Ottocento questa zona era rimasta quale si presentava nel XV secolo, allorché Tristano de' Cingoli, Fiorino Trina, Antonio de' Marcossa, i Coppa, gli Argento, i Civelli possedevano qui le lore vigne: un dolce digradare di prati e boschi e pratini coltivati ad orto o a vigna in mezzo ai quali occhieggiava qualche rustico casolare. Dalla parte di Scala Santa, il podere che fu poi dei Fecondo de Fruechtenthal era proprietà di "Ser Vilan de Bachin de Trieste "bon citadin" come lui stesso volle definirsi 1438 sulla sua casa ed ora nel Cortile delle Milizie del castello di San Giusto. Si ha notizia che in epoca remota, e lo testimoniano documenti del 1050 e 1292, quasi in riva al mare sorgesse una cappella dedicata a San Pietro, che vantava pure una confraternita intitolata allo stesso nome. Il 29 di giugno si teneva una sagra, con fiera, balli, musiche ed alberi della cuccagna. Non si sa quando l'usanza si estinse: forse con la costruzione del lazzaretto. Abbiamo memoria dell'esistenza di una batteria, detta di Musiella, che sorgeva nella stessa zona, che fu armata nel 1733 nel quadro della guerra di successione polacca In questo punto c'era un isolotto dinanzi alla costa che portava lo stesso nome della chiesetta, e quando questa sparì, probabilmente con la costruzione del lazzaretto, Francesco Santo Romano sentì quasi il dovere di conservare la statua del santo che era stata oggetto di venerazione, ponendola nel 1824 in una nicchia espressamente ricavata all'e-sterno del muro di cinta del suo podere, presso i volti di Roiano. Questi ultimi presentano anch'essi una nicchia con un'immagine sacra: quella della Madonna. Verso la metà del XVIII secolo il lazzaretto di San Carlo diviene insufficiente a smaltire tutte le merci che dovevano essere sottoposte al prescritto trattamento sanitario: si profila perciò la necessità di costruirne uno nuovo, e la zona prescelta sarà quella di Roiano. Eretto tra il marzo del 1765 ed il luglio del 1769 secondo il parere di G. Baldasseroni di Livorno, su progetto definitivo del consigliere commerciale Massimiliano Frémaut, seguendo il disegno dell'ingegnere del genio Struppi essendo direttore dei lavori l'architetto Carlo Dini di Livorno, fu dedicato a Santa Teresa. Sorgeva esattamente sull' area ora occu¬pata dalle case INCIS, tra il viale Miramare, le vie Santa Terese e Tor San Pietro. Possedeva due bacini, quello sporco, più grande, e quello netto, ed era armato con batterie disposte alla bocca e sul gomito del braccio maggiore che chiudeva il bacino sporco. Aveva l'edificio per il priorato (cioè l'amministrazione), due case pei contumacianti, l'ospedale, la cappella a pianta circolare dedicata ai santi Teresa, Sebastiano e Rocco, quattro grandi magazzini di sciorino chiusi ed uno aperto, sette edifici minori per i guardiani e due per i custodi, due stalle. C'era anche il cimitero: infatti durante lo scavo per la posa della fondamenta dell'edificio di via Tor San Pietro che contiene la mensa aziendale della ditta Stock furono ritrovati dei resti umani. Un ingresso monumentale vi dava accesso. Su di esso due lapidi: la prima accennando alle molte opere di utilità pubblica eseguite a Trieste dall'imperatrice' significava lo scopo dell'erezione del lazza-retto; la seconda ricordava i presidenti degli enti commer-ciali che esistevano a Trieste e a Vienna al tempo della costruzione. L'altare della cappella, le tre statue dei santi cui era dedicata, il portale e le lapidi furono tutte trasportate al lazzaretto di San Bartolomeo nel 1870, dove si trovano tutt'ora. La cerimonia di inaugurazione del lazzaretto e di benedizione della cappella, il 31 luglio 1769, dovette essere veramente imponente: un corteo di barche con addobbi e baldacchini variopinti e regatanti in costumi degli stessi colori portarono sul posto autorità civili, ecclesiastiche e la nobiltà: la manifestazione doveva ricordare le più sontuose regate storiche di Venezia sul Canal Grande! Il lazzaretto entrò subito in funzione ed ebbe per decenni un'attività eccezionale. Ma Roiano rimase quella di sempre: luogo di diporto per i cittadini e di abitazione dei territoriali di origine slovena che indossavano i costumi costituiti da calzoni poco sotto il ginocchio, camicia bianca, panciotto e caregon in testa gli uomini, gonna scura con alta fascia di colore vivace verso il basso,

grembiule, camicetta bianca preziosamente ricamata come lo scialle, e fazzoletto acconciato alla ben nota maniera in testa le donne. Venne di moda la passeggiata al Lazzaretto nuovo: si iniziava dai giardini e si proseguiva lungo la sponda del mare. Al termine si apriva il parco della villa che Antonio de' Giuliani si era abbellita ed ampliata verso la fine del Settecento. Attraversato un ponte di legno sul torrente Martesin, ci si trovava in uno slargo sul quale si apriva l'ingresso del lazzaretto. Proprio in questo punto il ventenne imperatore Francesco Giuseppe il 14 maggio 1850 pose la pietra inaugurale dei lavori per la costruzione della stazione ferroviaria. Da questo slargo salivano verso Roiano gli angusti viottoli del cosidetto Augarten che, con le rustiche tavole di legno, richiamava cittadini e popolani sotto i pergolati di fronte al mare, in mezzo ad una idilliaca verzura, a gustare il buon vino locale. La passeggiata continuava, lungo il torrente Roiano, tra alberi di gelso e giungeva fino ai possessi Piller e Gadolla Dietro a quest'ultimo si inerpicava ripidissima la Scala Santa. Ad Opicina saliva pure la via "dei dodici moreri" che attraversava quell'angolo "oscuro e melanconico" (come lo chiamava il conte Gerolamo Agapito nel suo libro sui pubblici passeggi risalente al 1826) con i prati, gli orti, i boschi ed i rustici casolari di Pischianzi; un'altra erta montava, fiancheggiando pur essa un corso d'acqua, a Conconello, ed altre ancora si inoltravano a Terstenico e a Gretta seguendo il corso di altri rivi. Le zone più impervie vedevano assai di rado persone che si avventurassero fin lì e che non fossero contadini o botanici. In tali luoghi, propizi alle fantasticherie, fiorirono attività di maghi e fattucchiere: famosa la "striga dei dodise moreri" (Maria Zolli) e "el mago de Scala Santa" (Francesco Frat-nik), mente più a valle, vicino al muro del lazzaretto, presso un grande tiglio si giustiziavano, all'epoca napoleonica, i briganti ed i rapinatori che infestavano allora le contrade. Come abbiamo già accennato, nel 1850 iniziano i lavori per portare a Trieste la ferrovia; e poiché il miglior modo per avvicinarsi alla città era quello di seguire a mezza costa la riviera, i tecnici della "Meridionale" superarono l'ostacolo che il lazzaretto opponeva scavando una galleria nel eolie di Gretta (tutt'ora esistente! ed elevando un viadotto vetrato onde isolare i convogli dalla possibilità di contagio) al di sopra delle sue costruzioni Ma ormai quest' impianto sanitario era superato e troppo vicino alla città. Nel 1867 fu chiuso definitivamente ed un altro ne venne eretto in valle San Bartolomeo. Per realizzare la vasta platea su cui sarebbe stato steso il parco ferroviario, vennero sbancate le colline di Gretta e di Scorcola ed interrata la zona di mare prospiciente. E interessante notare come il livello del terreno di riporto vennisse mantenuto ad un'altezza di circa 10 metri sul livello del mare (cioè a quello della demolita "Casa del ferroviere") ed a questa quota venissero costruiti tutti gli impianti, eccezzion fatta per il magazzino merci che veniva così a trovarsi in una specie di trincerone. Questa soluzione fu voluta dalle autorità doganali che temevano, con l'avvento della ferrovia, una fioritura del contrabbando. Difatti era previsto che tutte le merci in arrivo entrassero in quell'edificio (che mutuò il nome di silos dal deposito di granaglie che venne addossato alla sua facciata nel 1865) al livello del secondo piano, e dopo essere state controllate e manipolate, scendessero al primo attraverso dei montacarichi e da qui entras-sero in città. Sennonché ci si accorse che da dieci metri di altezza le merci non potevano passare direttamente dai vagoni ferroviari alle navi; allora, in concomitanza con i lavori di costruzione del Porto Nuovo (1868-1883), tutto fu ristrutturato e la quota del parco ferroviario portata al livello attuale. Intanto nel 1861 si costruiva la scuola elementare, ora dedicata al Tarabochia, e nel 1868 la caserma.

La chiesa di Roiano, dedicata ai Santi Ermacora e Fortunato, fu progettata dall'architetto Francesco Catolla e costruita tra il 1858 e il'62 in stile neogotico. Nel transetto destro ci sono le tombe dei Wassal, e precisamente di Sophie Marie de Wassal nata Rovrier, la quale tornando da Odessa, morì al lazzaretto di Santa Teresa nell'anno 1831 e fu seppellita in quel piccolo cimitero. Più tardi, su istanza della famiglia, la salma fu traslata nella chiesa parrocchiale di Roiano. Vicino c'è la tomba del marito Renato morto in Francia trentacinque anni dopo la moglie. Accanto a questa tomba vediamo quella del loro figlio Eugenio morto all'età di 67 anni a Parigi nel 1878. Risulta ch'egli occupava un posto importante al servizio dell'imperatore di Russia Due epitaffi ricordano l'uno i coniugi, l'altro il figlio. A questa famiglia si deve la costruzione dei due altari laterali, doni di quadri ed istituzioni di opere benefiche. Nell'interno della chiesa sono inoltre degni d' attenzione i quadri sopra l'altare maggiore che raffigurano i due santi patroni, opera del triestino Rota; sopra quello di sinistra il trittico con i Santi Pietro, Renato, Sofia e sopra quello di destra il quadro del Guerrini che ritrae l'Immacolata. Gli altari sono tutti in marmo pregiato. Sulle pareti dell'abside maggiore sono affrescati i quattro evangelisti ora è stato trasportato fuori dalla chiesa, a sinistra dell'entrata principale, il monumento sepolcrale dei Wassal che sorgeva nel cimitero del lazzaretto. Le quattordici stazioni della Via Crucis sono pregevoli ter-recotte modellate da Carlo Sbi-sà tra il 1956 ed il 1957. Il campanile ha quattro campane. L'organo fu costruito da Giovanni Tonoli da Brescia nel 1862 utilizzando canne dallo strumento fabbricato da Francesco Dacci per la cattedrale di San Giusto nel 1780. Durante la prima guerra mondiale furono sequestrate le canne di prospetto che vennero ripristi-nate nel gennaio del 1923. Nel 1955 lo strumento fu ripulito e vi vennero aggiunte delle canne riproducenti il suono della viola provenienti dalla chiesa della B.V. del Soccorso. L'ultimo intervento di ripristino venne effettuato nel 1981. Tutta la chiesa fu restaurata nel 1955 e nel 1976. Nel 1883 il rione fu collegato alla città col tram a cavalli che con l'inizio del secolo divenne elettrico. Nel 1914 venne inaugurato il ricreatorio nella villa donata al Comune dalla gentildonna inglese Sara Davis. Costruito dall'architetto Scalmanini, dopo il 1918 assunse il nome della medaglia d'oro Guido Brunner. Nel 1928 passò all'amministrazione dell' "Opera Nazionale Balilla" prendendo la denominazione di "Casa Balilla Aldo Ivancich". Nel maggio del '45 e fino al 12 giugno dello stesso anno vi si accasermarono le truppe jugoslave. Nel settembre del 1946, inconscienti oppositori di questa patriottica istituzione fecero esplodere di notte una bomba provocando la distruzione di gran parte dell'edificio. Dal 1928, quando si trasferì qui da Barcola, dov'era nata nell'ottobre del 1884, Roiano è sinonimo di Stock. Giovanissimo, il dalmata Lionello Stock ebbe l'idea di distillare a Trieste il vino che allora esportava in Francia per ovviare alla mancanza di uve distrutte dalla filossera Ebbe in prestito dal padre 2000 fiorini, trovò un socio nel veronese Camis, e coraggiosamente iniziò la sua attività sotto la ragione sociale Camis & Stock, distillerie a vapore. Superate le prime dif-ficoltà l'industria prosperò: Lionello Stock ricordava che all'inizio, per pagare i pochi operai in forza allo stabilimento di Barcola. aveva dato in pegno l'orologio d'oro con ca¬tena che suo padre gli aveva regalato. Nel 1906 Camis si ritirò. Durante la prima guerra mondiale la Stock fu trasferita a Linz in Austria e dopo la seconda perse tutti gli stabilimenti in Polonia, Cecoslovacchia e Jugoslavia, ma la sua fortuna era da tempo cosa fatta. Lionello Stock morì senza eredi maschi nel 1948, e la proprietà continuò nelle sue figlie e nel figlio di una di queste, Alberto Kreilsheim-Casali, morto nel 1972, già console onorario di Gran Bretagna

Restano gli eredi del cognato di Alberto, Carlo Wagner, nonché i nipoti di Lionello Stock,: Mario Morpurgo e Gianni Mann che reg¬gono le distillerie del Punto Franco Vecchio. Ma non è possibile lasciare il rione di Roiano senza ricordare quell'oasi contadina a pochi metri dal centro della città che è la frazione di Pischianzi, famosa per il vino che produce dai vigneti amorosamente coltivati sui pratini esposti a ponente. Questo miracolo di paese, annidato in una Valletta che scende ripida dal Carso al mare, ha anche una minuscola e deliziosa piazzetta per arrivare alla quale bisogna percorrere una stradina tutta curve tra i muri vecchi e sbrecciati e tra alte siepi di verde. Inoltre qui è ancora viva la tradizione dell' osmizza. Qui, da dicembre a maggio, c'è la possibilità di passare una serata a bere e a cantare, in faccia al mare lì in fondo sul quale le navi appaiono e scompaiono fra i rami degli alberi.