storia dell'astronomia. parte ii

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ASTRONOMIA 2 FISICA/ MENTE La storia dell'astronomia dai miti dell'antichità all'Universo infinito PARTE II: dalla ripresa della ricerca astronomica nel Rinascimento a Kepler Roberto Renzetti ALLA PARTE I L'ASTRONOMIA NEL RINASCIMENTO file:///D|/CARTELLE SITO/FISICA_1/ASTRONOMIA_1_2_3_4/index-1816.htm (1 of 94)14/08/2009 16.02.17

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ASTRONOMIA 2

FISICA/MENTE

La storia dell'astronomia dai miti dell'antichità all'Universo infinito

PARTE II: dalla ripresa della ricerca astronomica nel Rinascimento a Kepler

Roberto Renzetti

ALLA PARTE I

L'ASTRONOMIA NEL RINASCIMENTO

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Abbiamo anticipato che in astronomia l'ultimo scienziato fu l'ellenista Claudio Tolomeo del 1° secolo d.C. Per 1300 anni, non è accaduto più nulla. Si sono affinati degli strumenti. Si sono soprattutto fatte molte osservazioni che hanno precisato posizioni e cambiamenti nel cielo. Il complesso di fisica ed astronomia di Aristotele è dominante attraverso il sistema di Tolomeo. Qualcuno ha avanzato qualche obiezione, si è fatta qualche modifica ma quell'imponente impianto è lì con tutti i problemi che comportava e che gli arabi avevano iniziato a porsi. Soprattutto quello della descrizione di fenomeni che dovessero poi rappresentare la realtà e non mere costruzioni matematiche. Questo era uno dei problemi principali: si sono sempre salvate le apparenze secondo il dettato di Platone ma sempre si sono descritte le cose del cielo in modo assolutamente artificioso, con una matematica di cerchi e circonferenze che se soddisfano certe spiegazioni sembrano realisticamente impossibili. In modo dl tutto imprevisto, come un vero fulmine a ciel sereno, nel 1543 viene pubblicata un'opera di un canonico tedesco-polacco di nome Nicola Copernico, il De revolutionibus orbium coelestium.

NICCOLÒ COPERNICO

E' utile iniziare con una breve biografia. Niccolò Copernico (1473 - 1543) nacque da famiglia benestante a Torun, nella Prussia, ai confini con la Polonia ed in una territorio scosso da continui cambiamenti di frontiera a seguito di guerre, annessioni e cessioni di territorio.

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Aveva 10 anni quando morì suo padre e fu adottato dallo zio materno, canonico nella cattedrale di Fraunenburg nella regione di Ermland sotto il controllo della Prussia. Nel 1489 suo zio divenne vescovo di Ermland, una delle quattro diocesi prussiane (incastonata nella terra dei Cavalieri Teutonici), divenendo anche governatore della regione. Fece i suoi primi studi prima a Torun, quindi a Wloclawek, sulla Vistola. Alla fine del 1491 entrò all'Università di Cracovia, una delle più importanti d'Europa sulla quale aveva grande influenza l'umanesimo. Si iscrisse alla Facoltà delle Arti dove studiò in modo

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approfondito l'astronomia aristotelico - tolemaica. Lo zio, per avviarlo alla carriera ecclesiastica, nel 1496 lo inviò a studiare Diritto Canonico (Giurisprudenza) a Bologna.

Successivamente, nel 1500, Copernico si trasferì a Roma dove restò per un anno e subì il fascino di Pico della Mirandola. Nel 1501, tornato in patria, venne nominato canonico di Frauenburg ma riuscì immediatamente ad avere "licenza" di proseguire gli studi in Italia dove, a Padova, si iscrisse a Medicina laureandosi poi a Ferrara nel 1503 dove restò alcuni mesi per poi tornare a Padova. All'inizio del 1506 ritornò ad Ermland dove lo zio riuscì a farlo "comandare" come suo medico personale ad Heilsberg. Collaborò con lo zio in affari di governo (occupandosi anche di zecca e di monetazione): si trattava di mantenere la neutralità della regione di Ermland tra i Cavalieri Teutonici e la Polonia. Proprio ad Heilsberg, nel 1512, scrisse il Nicolai Copernici de hypothesibus motuum coelestium a se constitutis commentariolus (noto come Commentariolus) che è una specie di programma delle sue idee.

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Questo lavoro rimase sotto forma di manoscritto distribuito a pochi amici, solo recentemente ritrovato in tre copie distribuite in tre biblioteche (1877 Vienna, 1881 Copenaghen, 1962 Londra). Questo opuscolo conteneva sette petitiones principali:

1) Non esiste un solo centro di tutti gli orbi celesti o sfere (vale a dire: ci sono, a differenza di quanto affermava Tolomeo, due centri di rotazione: la Terra che è il centro di rotazione della Luna, il Sole che è il centro di rotazione degli altri pianeti). 2) Il centro della Terra non coincide con il centro dell'universo, ma solo con il centro della gravità e della sfera della Luna (questa petitio riapriva il problema di una spiegazione della gravità). 3) Tutte le sfere ruotano attorno al Sole (che è però eccentrico rispetto al centro dell'universo). 4) Il rapporto fra la distanza Terra-Sole e l'altezza del firmamento è minore del rapporto fra il raggio terrestre e la distanza Terra-Sole. Quest'ultima è pertanto impercettibile in rapporto all'altezza del firmamento (se l'universo ha così grandi dimensioni, non avverrà che il moto della Terra dia luogo a un moto apparente delle stelle fisse). 5) Tutti i moti che appaiono nel firmamento non derivano da moti del firmamento, ma dal moto della Terra. Il firmamento rimane immobile, mentre la Terra, con gli elementi a lei più vicini (l'atmosfera e le acque della sua superficie) compie una completa rotazione sui suoi poli fissi in un moto diurno. 6) Ciò che ci appare come movimento del Sole non deriva dal moto dello stesso Sole, ma dal moto della Terra e della nostra sfera con la quale (come ogni altro pianeta) ruotiamo attorno al Sole. La Terra ha, pertanto, più di un movimento. 7) L'apparente moto retrogrado e diretto dei pianeti non deriva dal loro moto, ma da quello della Terra. Il moto della sola Terra è sufficiente a spiegare tutte le disuguaglianze che appaiono nel cielo (i cosiddetti «moti retrogradi» dei pianeti diventano moti apparenti, dato

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che dipendono dal moto della Terra).

In poco tempo dal Commentariolus gli derivò grande fama anche tra color che non lo avevano letto. Nello stesso anno morì lo zio e Copernico si trasferì a Frauenburg.

Nel 1514, durante il papato di Leone X (quello della "Taxa Camarae", il tariffario scandaloso della vendita delle indulgenze che aprì la strada a Lutero), venne invitato al Concilio Laterano per iniziare a discutere di Riforma del Calendario, Riforma che poi sarà realizzata nel 1582 (utilizzando anche i calcoli che compariranno nel suo De Revolutionibus del 1543). Egli rifiutò però di andare sostenendo di non disporre di osservazioni astronomiche sufficienti (e le cose stavano proprio così: Copernico basò i suoi lavori su moltissime osservazioni astronomiche di altri; egli ne realizzò solo 27). A questi anni, probabilmente, risale la prima stesura della sua opera fondamentale, il De Revolutionibus Orbium Coelestium che sembra sia stata completata intorno al 1530.

Tra il 1516 ed il 1519 si trasferì ad Allenstein per prendersi cura dei beni della Chiesa (in questo periodo vi fu la pubblicazione delle Tesi di Lutero). Proprio nel 1519 scoppiò la guerra tra Cavalieri Teutonici e polacchi ed egli si ritirò dapprima nella fortezza di Frauenburg e quindi, fino alla fine della guerra (1525), ad Allenstein per occuparsi della vita politico - amministrativa della diocesi di Ermland.

Nel 1538 un tal Dantyszek, personaggio malato di fondamentalismo che odiava profondamente i luterani e chiunque fosse sospetto di qualche apertura mentale, fu eletto vescovo di Ermland. E Copernico risultava essere persona aperta. Proprio in quel periodo lo stesso Copernico aveva assunto una giovane persona di servizio, Anna Schilling. Iniziarono una serie di pettegolezzi che furono stroncati dal vescovo con il licenziamento di Anna. La cosa amareggiò moltissimo il già anziano Copernico e questa amarezza lo accompagnerà fino alla morte.

Intanto le idee di Copernico che circolavano diffusamente avevano raccolto il favore di Papa Clemente VII. Nel 1536 il cardinale Nicola von Schoenberg scrisse a Copernico invitandolo ad esporle in modo più completo e dettagliato. Ma non tutti erano entusiasmi ed insieme alle critiche favorevoli vi

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erano anche violente stroncature che già intravedevano nelle cose sostenute da Copernico, persona che aveva frequentato ambienti liberali in Italia, qualcosa che era in contrasto con quanto affermato dalla Bibbia. Già nel 1539 lo stesso Lutero prese chiara posizione affermando che questo mentecatto vuole trasformare tutta l'arte dell'astronomia. E questo avviene oggi, chi vuole essere considerato saggio deve inventarsi qualcosa, e ciò è il meglio che si possa fare. Ma non c'è dubbio, come affermano le Sacre Scritture, che Giosuè comandò al Sole e non alla Terra di fermarsi (e giudizi analoghi furono anche di Calvino). Per parte sua, anche Calvino, senza citare Copernico, aveva intimato che le Scritture andavano intese alla lettera. E Copernico non osava pubblicare i suoi lavori in una epoca delicatissima in cui era molto facile finire sul rogo.

Furono il giovane astronomo tirolese Retico (Retyk) ed il vescovo Giese, amico di Copernico, ambedue protestanti, a convincerlo a dare alle stampe la sua opera. Il lavoro di stampa iniziò nel 1542 seguito da vicino da Retico (vi furono però delle difficoltà iniziali: un protestante che si faceva portatore dell'opera di un cattolico!) il quale prima che l'opera vedesse la luce, dovette abbandonare. Ma nello stesso 1542 a Roma viene riorganizzata l'Inquisizione e viene costituito il Tribunale del Santo Uffizio (Paolo III) mentre partono i lavori per il Concilio di Trento (1544 - 1563) per avviare la Controriforma che vedrà subito il processo ai cardinali (Morone e Pole) fautori del dialogo con i protestanti e la conseguenza della proclamazione di Tommaso d'Aquino dottore della Chiesa (Paolo IV, 1565) e dell'istituzione della Congregazione dell'Indice (Pio V, 1571). Il seguimento della stampa dell'opera di Copernico passò, proprio allora, ad un teologo protestante molto erudito ed interessato all'opera di Copernico, Andreas Osiander. E questo personaggio è al centro di una brutta operazione di manipolazione del lavoro di Copernico perché, contro la volontà di Copernico, vi aggiunse una prefazione non firmata in modo che sembrasse dello stesso Copernico (e sembra abbia anche manipolato il titolo che doveva essere solo De Revolutionibus con particolare riferimento al moto della Terra, e non De Revolutionibus orbium coelestium riferite al generico moto delle varie sfere celesti). In questa prefazione praticamente si sosteneva che l'intera opera era basata su una finzione, su una ipotesi matematica utile per fare i conti. E questo avveniva quando Copernico era sul letto di morte (1543) ed era impedito a fare qualunque cosa. Ed appena morto Copernico il libro vide la luce con la manipolazione suddetta (il manoscritto originale, senza manipolazioni, fu poi ritrovato a Varsavia intorno al 1850). Solo due anni dopo, nel 1545, iniziò il Concilio di Trento (che si concluderà nel 1563) che dette il via alla Controriforma.

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IL DE REVOLUTIONIBUS ORBIUM COELESTIUM

Entriamo ora in un campo che è stato discusso infinite volte. Ciò che segue riassume i termini della questione. La tesi centrale dell'opera di Copernico, il De Revolutionibus Orbium Coelestium, la Terra in moto intorno al Sole immobile, rappresentò una svolta radicale ma più per le conseguenze che altri ne trassero che non per quello che lo stesso Copernico aveva detto. Egli, partendo da dati osservativi e per rispondere al vecchio problema del moto della sfera delle stelle fisse (tale sfera era considerata da Aristotele in moto pur occupando sempre lo stesso luogo), modificò le posizioni degli astri nel sistema astronomico aristotelico-tolemaico, senza preoccuparsi di conciliare ciò con tutti gli altri problemi che si aprivano con la nuova organizzazione planetaria. I ragionamenti che Copernico porta a sostegno della tesi che vuole la Terra in moto intorno al Sole immobile sono aristotelico-scolastici. Seguiamo questi ragionamenti:

- "Poiché il cielo è la dimora di tutti ..., non si vede perché non si debba attribuire il moto più al contenuto che al contenente".

- Se la Terra a causa del suo moto dovesse andare distrutta, a maggior ragione si dovrebbe distruggere la sfera delle stelle.

- La Terra non va distrutta a seguito del suo moto perché esso è naturale e non violento.

- La caduta non lungo la verticale che dovrebbero avere gli oggetti è spiegata con l'affermazione che l'aria segue il moto della Terra "perché l'aria, impregnata di terra e di acqua, vicina alla terra, segue le sue stesse leggi".

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- "La condizione di immobilità è considerata [da Aristotele] più nobile e divina della condizione di cambiamento ed instabilità, la quale quindi è più appropriata alla Terra che all'Universo".

- Ci vorrebbe un motore enorme per muovere la sfera delle stelle.

- La Terra deve ruotare di moto naturale perché è sferica.

Queste argomentazioni di Copernico creano moltissime difficoltà allo stesso aristotelismo e mostrano forzature dei ragionamenti. Se non sapessimo che Copernico è persona dottissima potremmo addirittura dubitare della sua conoscenza di Aristotele. Vediamo allora le difficoltà nei ragionamenti di Copernico.

- Ha ragione Aristotele quando afferma che la Terra dovrebbe disintegrarsi a causa del suo moto e non la sfera delle stelle. Infatti la Terra è soggetta a generazione e corruzione oltre a possedere pesantezza, mentre la sfera delle stelle è eterea, eterna e per essa non esiste pesantezza.

- Allo stesso modo, un motore avrebbe mosso più facilmente le parti eteree dell'universo che non la Terra.

- Anche il Sole è sferico e perché dovrebbe essere immobile ?

- Il sistema infine, anche se nasceva dal proposito di rendere più semplici i calcoli, era complesso almeno quanto l'aristotelico-tolemaico.

Nonostante il "conservatorismo" di Copernico, si aprivano grosse brecce nel sistema di Aristotele che qualcuno avrebbe dovuto sistemare se avesse abbracciato il nuovo sistema e questo perché, come ho ricordato più volte, il sistema astronomico aristotelico-tolemaico è un tutt'uno con la fisica di Aristotele. E' impensabile modificare un pezzo dell'impianto senza rendersi conto dei guasti nell'altro. Vediamo quali erano i problemi che si aprivano e che, al momento, erano senza soluzione:

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- Si mette in discussione l'esistenza di due tipi di mondi separati dal cielo della Luna (la Terra, nel suo moto, "si infila" in mezzo ai due mondi).

- Si distrugge la teoria dei quattro elementi e quella del moto ad essa collegata tramite la teoria dei luoghi naturali (perché ora un oggetto dovrebbe cadere sulla Terra?).

- Tutti i moti vengono considerati come naturali e la Terra che si muove di moto circolare viene a perdere le caratteristiche di peso e leggerezza.

- Con l'ammissione di immobilità dell'ultima sfera (quella delle stelle fisse), in accordo con Aristotele (l'infinito non può muoversi), si apre alla possibilità di un mondo "infinito".

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Per dirla con Kuhn: Per Copernico la Terra in moto rappresenta un'anomalia in un universo aristotelico.

E' però utile vedere da quali fatti astronomici Copernico prendeva le mosse per elaborare il suo sistema. Egli tentava di sistemare in modo plausibile il sistema planetario in un momento in cui da più parti i fenomeni astronomici mostravano l'insufficienza dei sistemi antichi e particolarmente di quello di Tolomeo. Da quanto si sa, al di là di quanto riportato nei testi di Copernico, egli non riusciva ad accettare una delle affermazioni che Tolomeo dava senza alcuna giustificazione.

1) Il fatto che Venere e Mercurio accompagnassero il Sole nel suo cammino annuale, come diceva Tolomeo, non poteva essere una mera coincidenza. Inoltre il Sole, sempre per Tolomeo, risultava essere il centro degli epicicli.

2) Un fenomeno evidente astronomicamente ma non risultante nel sistema di Tolomeo era la variazione di splendore di Marte che nessun epiciclo del pianeta avrebbe potuto spiegare poiché ingrandendo l'epiciclo cresce di molto la retrogradazione e la teoria va in completo disaccordo con l'osservazione. Una spiegazione poteva discendere dal considerare il Sole come centro del moto.

3) Marte, Giove e Saturno sono più luminosi quando si trovano in opposizione col Sole (alla massima distanza dal Sole). Vediamo, nel sistema di Tolomeo, il verificarsi di tale stranezza per Marte.

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Nel momento in cui Marte è nella posizione X, alla minima distanza dalla Terra (T) ed allineato con essa ed il Sole (S), presenta il massimo splendore. Nel momento in cui Marte è nella posizione Y, di nuovo allineato con Sole (S') e Terra, presenta il minimo di splendore. Questi fenomeni hanno spiegazioni del tutto non convincenti ed arbitrarie in Tolomeo (mediante i raggi degli epicicli di Marte restino sempre paralleli alla retta che unisce Terra e Sole). Se si ipotizza il Sole al centro dell'orbita di Marte, il massimo e minimo di distanza nascono naturalmente nelle congiunzioni e nelle opposizioni, con il relativo minimo di luminosità nella congiunzione (sovrapposizione dell'osservazione dalla Terra di due astri nello zodiaco) di Marte con il Sole e di massimo di luminosità nell'opposizione (posizioni opposte di due astri nello zodiaco) di Marte con il Sole.

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4) Se si osservano i moti retrogradi di Marte, Giove e Saturno, essi sono via via più piccoli e non si capisce perché, più ci si allontana dalla Terra, più quel pianeta ha moti retrogradi minori. Tale questione è ignorata da Tolomeo. Anche qui, se ci si sbarazza degli epicicli, se cioè si assume il Sole come centro del moto, tutto si sistema. Tutti i pianeti devono avere epicicli uguali, identici all'orbita terrestre e percorsi in un anno. Vi è un'identità tra epicicli e orbita solare apparente. I cerchi più lontani sono visti sotto angoli più piccoli e questa osservazione comporterà la possibilità di calcolare le distanze dei pianeti, dopo aver fissato il loro ordine. Le apparenze nascono dal fatto che la Terra si muove in un'orbita circolare intorno al Sole.

Queste considerazioni sembra fossero alla base dei lavori del nostro astronomo.

Copernico inizialmente fu accettato grazie alla "prefazione" di A. Osiander. La cosa era in accordo con quanto sostenuto da Tommaso nella Summa Theologica (parte I, Quaest. XXXII, art. 1(43)). Secondo Tommaso vi è differenza tra un'ipotesi necessariamente vera (la fisica) ed un'ipotesi che invece si adatta ai fatti (la matematica). Si possono costruire tutte le ipotesi matematiche che si vogliono per spiegare i fatti astronomici purché non si cambi la fisica. E la Chiesa, da un certo punto, userà questo argomento come una clava.

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Vediamo qualche dettaglio di questa grande opera in sei libri di Copernico riferendoci alle parti discorsive del Libro I che sono in gran parte le stesse che Copernico aveva sviluppato nel Commentariolus (vi sono solo due differenze relative ai calcoli delle combinazioni degli epicicli e degli eccentrici per il moto dei pianeti).

Dopo una breve introduzione in cui si esalta il cielo, Dio visibile, l'astronomia regina delle scienze, Tolomeo il grande sistematore del cielo, ... e dopo aver ricordato, con Plutarco, che il movimento delle stelle vince la perizia dei matematici, Copernico inizia con queste parole:

In principio va rilevato che il mondo è sferico, sia perché questa forma è la più perfetta di tutte, un'integrità totale, non bisognosa di alcuna commessura; sia perché è la forma più capace, che meglio conviene a tutto comprendere e custodire; sia anche perché ogni parte separata del mondo - intendo il Sole, la Luna e le stelle - sono ravvisate in tale forma; sia perché in essa tendono a determinarsi tutte le cose, come appare nelle gocce d'acqua e negli altri corpi liquidi, quando tendono a circoscriversi da soli. Perciò nessuno metterà in dubbio che tale forma sia da attribuirsi ai corpi divini.

parole che ci mettono subito in un mondo aristotelico perché la sfericità è una caratteristica di perfezione, perfezione che se assegnata all'universo prevede la sua finitezza in quanto non gli manca nulla, come sosteneva Aristotele. Più oltre si dice che tale sfericità è anche della Terra come mostrano le ombre delle eclissi e delle acque che sono su di essa come mostra l'America che è agli antipodi dell'India. Copernico prosegue discutendo del moto circolare che egli vuole assegnare alla Terra. Tutti sostengono, egli afferma, che la Terra è immobile ma la cosa non è stata risolta completamente. E qui vengono inserite considerazioni che riguardano la relatività del movimento, come un oggetto ritenuto immobile possa essere considerato in moto se osservato da altra situazione e viceversa per un oggetto in moto. Se si tiene conto di ciò si può ammettere un moto di ciò che è ritenuto immobile. Inoltre le irregolarità del moto dei pianeti possono essere dovute alla loro rotazione intorno ad un centro che non è la Terra ma spostato di un poco rispetto alla sfera delle stelle fisse, in modo tale che la Terra possa essere ammessa in rotazione con moto circolare alla stessa maniera dei pianeti. Dice Copernico:

Infatti, ogni mutazione locale apparente deriva o dal movimento della cosa guardata, o da file:///D|/CARTELLE SITO/FISICA_1/ASTRONOMIA_1_2_3_4/index-1816.htm (14 of 94)14/08/2009 16.02.17

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quello di chi guarda, o da mutazione certamente ineguale di entrambi. Perché fra cose mosse in modo eguale nello stesso senso non si percepisce movimento, intendo dire fra l'oggetto veduto e colui che lo vede. Ora è proprio la Terra quella da cui è visto quel circuito celeste e offerto alla nostra vista. Se dunque si ipotizza qualche movimento della Terra, esso apparirà in tutte le cose che gli sono esterne come di eguale velocità, ma in senso opposto, come se quelle cose passassero via, quale è innanzi tutto la rivoluzione diurna. Questa, infatti, sembra trascinare l'intero mondo, fuorché la Terra e quelle cose che sono intorno ad essa. Ma se si ammettesse che il cielo non ha nulla di questo movimento, e invece la Terra ruota da occidente verso oriente, se qualcuno esaminasse seriamente quanto riguarda l'apparente sorgere e tramontare del Sole, della Luna e delle stelle, troverebbe che proprio così avviene. E poiché è il cielo quello che contiene e abbraccia tutto, il luogo comune di tutte le cose, apparirà subito perché si debba attribuire un movimento piuttosto al contenuto che al contenente, a ciò che è collocato piuttosto che a quello che colloca. [De revolutionibus, cap.V]

Vi sono due cose in questo brano da sottolineare, la prima è quella specie di principio d'inerzia generalizzato che viene sostenuto in un paio di parole: la Terra e quelle cose che sono intorno ad essa. Se infatti non si ammette che, ad esempio, l'aria sia solidale al moto della Terra, varrebbero le obiezioni al suo moto che a suo tempo fecero tutti, compreso Tolomeo. L'altra questione è invece a quanto avevo annunciato qualche riga più su: i ragionamenti di tipo aristotelico che dovrebbero giustificare il moto della Terra (contenuta) piuttosto che la sfera delle stelle (contenente).

Viene poi l'argomento della immensa grandezza della sfera delle stelle rispetto alla Terra. Ciò rende la terra come un punto e quindi diventa irragionevole pensare che sia la sfera delle stelle a fare una rotazione completa in 24 ore. Ma se la Terra ruota come gli altri pianeti e questo fosse il suo solo movimento, in un luogo dovrebbe sempre aversi la medesima ora con il Sole sempre nella medesima posizione. Occorre allora anche ammettere una rotazione della Terra su se stessa in 24 ore. Ma se a seguito di tale moto la Terra dovrebbe disgregarsi, a maggior ragione dovrebbe farlo la gigantesca sfera delle stelle ad eseguire lo stesso moto in 24 ore.

Dal capitolo VII fino al IX si susseguono le risposte alle obiezioni che si sono sempre fatte al moto file:///D|/CARTELLE SITO/FISICA_1/ASTRONOMIA_1_2_3_4/index-1816.htm (15 of 94)14/08/2009 16.02.17

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della Terra.

Perciò con varie altre ragioni gli antichi filosofi hanno cercato di sostenere che la Terra sta nel centro del mondo, e allegano come causa principale la gravità e la leggerezza. Senza dubbio, l'elemento della terra è il più pesante, e ad essa si portano tutte le cose pesanti, tendendo verso il suo centro interno. Infatti, poiché la Terra è rotonda e verso di essa i gravi, da tutte le parti e perpendicolarmente alla sua superficie, sono portati per loro natura, se non fossero trattenuti sulla superficie stessa, precipiterebbero verso il suo centro: come una linea retta perpendicolare alla superficie tangenziale della sfera conduce al centro. Ora le cose che si portano verso il centro sembra che necessariamente al centro siano in stato di quiete. Tanto più, dunque, l'intera Terra sarà in stato di quiete nel centro e ricevendo in sé tutte le cose che cadono, resterà immobile per il suo peso.

Secondo la teoria del moto di Aristotele, agli elementi pesanti (terra ed acqua) conviene il moto rettilineo verso il basso, a quelli leggeri (aria e fuoco) quello rettilineo verso l'alto e solo ai corpi celesti il moto circolare intorno ad un centro. Ricordo che per Aristotele il moto o è violento o naturale. Violento, il moto della Terra non può essere, perché manca di motore esterno e perché ogni moto violento ha una durata limitata. Dunque, naturale. Ma il moto naturale può essere concepito in due modi, dall'alto in basso e in circolo. Il primo non è possibile, perché ha un principio ed una fine; quindi rientra nella classe del moto violento; dunque il moto naturale è in circolo. Ma la Terra, non può muoversi circolarmente, perché questa eventualità e smentita da varie osservazioni, come la sua posizione rispetto alle stelle fisse, ecc. Dunque, essendo esaurite tutte le ipotesi concettuali di ogni movimento possibile, si conclude che la terra sta ferma. Questa maniera di ragionare ha creato la mirabile costruzione della cosmologia antica, perfetta come un organismo logico, ma non ulteriormente perfettibile che nei suoi particolari, mentre nelle grandi linee essa è statica e immobile. In definitiva ogni cosa pesante come la Terra con tutto ciò che vi è sopra, non può essere dotata di moto circolare perché non sarebbe un moto naturale ma violento. Ma Copernico ricava dal fatto che gli astri sono sferici, che il movimento che più gli conviene è il circolare. Questo moto è infatti il più semplice, ed esprime, in atto, la semplicità di quella forma. Esso è inoltre naturale e indefettibile, mentre il moto retto non compete che ai corpi che sono espulsi fuori del loro luogo naturale o che vi ritornano. «Nulla ripugna tanto all'ordine e alla forma dell'universo, quanto l'essere fuori del proprio luogo. Perciò il

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moto retto non è dato se non alle cose che non stanno al loro posto e non son perfette per natura, perché si separano dal loro tutto e ne disertano l'unità». Il moto circolare è così sempre uguale, avendo una causa che non viene mai meno, quello in alto e in basso invece è accelerato (o ritardato), perché si affretta a cessare non appena il corpo ha conseguito il luogo naturale, in cui si arresta. Anche qui la dimostrazione procede con argomenti chiaramente aristotelici E cioè, mentre per Aristotele il moto retto apparteneva alle parti elementari, tendenti a congiungersi con la totalità del loro elemento, e il moto circolare al cielo, con una netta e insuperabile divisione tra il cielo e la terra, per Copernico, invece, il moto retto è delle parti, il circolare è del tutto, cioè dell'intero astro. Ciò implica una completa redistribuzione delle due specie di movimenti: v'è infatti un moto retto nei corpi celesti (quello delle rispettive parti verso il loro tutto) e un moto circolare nella terra (quello della totalità del globo terrestre); i due moti pertanto, invece di segnare un distacco tra due ordini di sostanze differenti, sono la prova di una sostanziale affinità di natura tra gli astri e la Terra. Il dualismo antico e medievale è, potenzialmente, superato. La Terra dunque si muove in circolo come gli altri astri. Ciò vuol dire che il moto diurno del cielo è mera apparenza; è la Terra, invece, che ruotando su se stessa, muta la propria posizione rispetto al cielo.

Se dunque - afferma Tolomeo d'Alessandria - la Terra ruotasse, almeno in una rivoluzione quotidiana, dovrebbe accadere il contrario di ciò che si è detto sopra. Infatti bisognerebbe che il movimento fosse velocissimo e la sua celerità fosse insuperabile, per far compiere in ventiquattro ore l'intero ambito terrestre. Ma le cose mosse da una rotazione repentina appaiono affatto incapaci di coesione, e piuttosto, se unite, [paiono portate] a disperdersi, quando non siano tenute ferme da qualcosa che le fermi; e da gran tempo - egli dice - la Terra dispersasi sarebbe fuggita dal cielo (il che è del tutto ridicolo!); tanto più gli esseri animati e tutte le altre masse separate non potrebbero assolutamente restare ferme. E nemmeno le cose che cadono in linea retta e perpendicolarmente giungerebbero al luogo destinato, che frattanto sarebbe stato sottratto dalla grande velocità. E vedremmo anche le nuvole ed ogni cosa che sta nell'aria portarsi sempre verso occidente.

E qui Copernico dopo aver introdotto una autogiustificazione tanto banale quanto evidente: se la Terra girasse il suo moto non sarebbe più violento ma naturale, come quello dei quattro elementi, passa

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a discutere della temuta infinità dell'universo qualora la Terra si muovesse. La questione appesa ad una disputa non gli interessa, meglio lasciarla alle dispute dei naturalisti.

Invano, dunque, Tolomeo teme che la Terra si disperda e [con essa] tutte le cose terrestri nella rivoluzione che avviene, per azione della natura, che è ben diversa da quella dell'arte o da quella che può derivare per effetto dell'ingegno umano. Ma perché non si teme ciò, e anzi di più, per il mondo, il cui movimento deve essere tanto più veloce, quanto maggiore è il cielo della Terra? O forse il cielo è divenuto tanto immenso perché il movimento con indicibile veemenza lo allontana dal centro, e crollerebbe se stesse fermo? Certamente, se questa ragione fosse valida, anche la grandezza del cielo si allontanerebbe all'infinito. Infatti, quanto più per lo stesso impeto del movimento sarebbe portato in alto, tanto più veloce sarebbe il movimento, per la circonferenza sempre crescente che dovrebbe percorrere nello spazio di ventiquattro ore: e viceversa per il crescente movimento crescerebbe l'immensità del cielo. Così la velocità aumenterebbe all'infinito la grandezza e la grandezza la velocità. Ma proprio per quell'assioma di fisica: «ciò che è infinito non può essere attraversato, né può essere in alcun modo mosso», il cielo necessariamente si arresterebbe. Dicono però che fuori del cielo non c'è né corpo, né luogo, né vuoto, e assolutamente nulla, e quindi non c'è [luogo] dove possa estendersi il cielo; e allora sarebbe certo sorprendente se qualcosa potesse essere arrestato dal nulla. Ma se il cielo fosse infinito e finito solo per la concavità interna, forse diventerebbe ancor più facile capire che non c'è nulla fuori del cielo, perché tutto sarebbe in lui, di qualunque grandezza fosse, ma il cielo resterebbe immobile. Infatti la [ragione] principale su cui si fondano per dimostrare che il cielo è finito è il movimento. Sia dunque finito o infinito il mondo, lasciamolo alle dispute dei naturalisti, avendo per certo che la Terra, conclusa nei suoi poli, è limitata da una superficie sferica. Perché, dunque, esiteremo ancora ad attribuirle una mobilità conforme per natura alla sua forma piuttosto che estendere l'intero mondo, di cui si ignorano i confini, né è possibile conoscerli, e perché non ammetteremo che della sua quotidiana rivoluzione vi è in cielo apparenza, in Terra verità? Le cose stanno come quando parla l'Enea di Virgilio, dicendo:

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"Ci allontaniamo dal porto, terre e città retrocedono".

Riguardo poi alle nuvole che dovrebbero scappare via insieme a tutte le cose non ancorate alla Terra, viene di nuovo avanzato quella specie di principio d'inerzia generalizzato, secondo il quale tutte le cose che stanno sulla Terra si muovono allo stesso modo. Inoltre, con Aristotele si vogliono ribaltare le cose, quando si afferma che il moto compete di più alle cose meno nobili che non a quelle nobili. Infine, riguardo alla la gravità, essa è un qualcosa che non esiste solo sulla Terra ma riguarda ogni corpo celeste o globo, pertanto ognuno avrà la sua di gravità.

Che diremo dunque delle nuvole e delle altre cose che stanno in aria, o cadono, oppure tendono verso l'alto? Nulla, se non che non soltanto la Terra con l'elemento acqueo ad essa unito si muove così, ma anche una parte non piccola dell'aria e tutte le cose che, allo stesso modo, hanno un rapporto con la Terra. Sia che l'aria vicina, mista di materia terrena ed acquea, segua la medesima natura della Terra, sia che il movimento dell'aria sia acquisito, ed essa ne partecipi senza resistenza per contiguità e per il movimento continuo della Terra. A ciò si aggiunge ancora che la condizione d'immobilità è giudicata più nobile e divina di quella di mutazione e di instabilità, che meglio, perciò, si addice alla Terra che al mondo. Per di più sembra piuttosto assurdo attribuire movimento al contenente e collocante e non invece al contenuto e collocato, che è la Terra. Poiché esistono, dunque, vari centri, anche per quel che riguarda il centro del mondo non sarà azzardato dubitare che esso sia quello della gravità terrestre o un altro. Per parte mia, credo che la gravità non sia altro che una certa brama naturale, attribuita alle parti dalla divina provvidenza dell'artefice di tutte le cose, affinché si riuniscano nella loro unità e integrità congiungendosi in forma di globo. E questa inclinazione è credibile sia insita anche nel Sole, nella Luna e negli altri splendori erranti, cosicché per la sua efficacia essi restano in quella rotondità con cui si presentano, sebbene in molti modi effettuino i loro

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circuiti.

Nel capitolo X, dopo aver discusso di quale ordine assegnare ai vari pianeti, Copernico ci offre il disegno semplificato del suo sistema del mondo:

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E' qui che leggiamo questo inno al Sole di Copernico:

In mezzo a tutte le cose risiede il Sole. Chi mai porrebbe in questo bellissimo tempio una tale lampada in altro luogo migliore, donde potesse illuminare tutto insieme l'universo? Non senza ragione, taluni l'hanno chiamato lucerna del mondo; altri, mente; altri, rettore. Trismegisto ne ha fatto un dio visibile; l'Elettra di Sofocle lo ha chiamato onniveggente. Posto come su di un trono regale, esso governa la famiglia degli astri che gli si affaccenda intorno. La terra a sua volta non vien defraudata del servigio della luna. Essa si unisce col sole e ne vien fecondata di anno in anno. In tal modo noi troviamo sotto questo ordinamento un'ammirevole simmetria del mondo e un nesso armonico del movimento e della grandezza degli orbi, quali in nessun altro modo potrebbero trovarsi.

Nel capitolo XI Copernico descrive i moti della Terra che, secondo lui, dovrebbero essere ben tre. Il primo è la rotazione annua intorno al Sole; il secondo è la rotazione su se stessa in 24 ore per permettere l'alternanza del giorno e della notte; il terzo, che sarà dimostrato presto del tutto innecessario, è un moto del centro della Terra tale da mantenere il parallelismo dell'asse terrestre (inclinato come si sa) con se stesso al fine dell'alternarsi delle stagioni.

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In (a) è mostrato cosa farebbe l'asse terrestre senza il terzo movimento ipotizzato da Copernico. Esso doveva riguardare l'asse terrestre ed essere tale (b) da mantenerlo sempre parallelo a se stesso.

Nei capitoli XII e XIII iniziano conti, presentazione di tabelle di osservazioni (poche le sue, in gran parte riprese da ogni dato a sua disposizione), e dimostrazioni fatte con il sistema di Euclide. E qui finisce il Libro I. Poi vi sono gli altri 5 libri che sono tutti un susseguirsi di misure, di calcoli che giustificano questo e quel movimento, questa e quella posizione e la mancanza di quegli effetti che invece discenderebbero dall'ammissione di Terra immobile al centro dell'universo.

Siamo di fronte ad un altro traguardo rinascimentale. Anche nell'astronomia si riescono a raggiungere le vette di Tolomeo, fino ad allora ritenute insuperabili. L'opera non è un abbozzo o un

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commentario. Ha un impianto nuovo con calcoli e determinazioni orbitali nuove. Finalmente si ha una univoca determinazione dell'ordine successivo dei pianeti nell'universo. Vi erano naturalmente degli errori ma essi discendevano dalle poche osservazioni fatte da Copernico e dall'aver preso per buone tutte quelle di Tolomeo. Inoltre non è proprio il Sole il centro del sistema di Copernico ma il centro dell'orbita della Terra che per lui non coincide con il Sole (e ciò comportò errori a catena). Infine vi erano molte complicazioni con il mantenimento dei cerchi e dei moti uniformi. Da una parte spariva l'indigeribile equante ma dall'altra restavano cerchi che si sommavano a cerchi (si sono però ridotti a 34) e con la Terra che in qualche modo è determinante per i moti dei pianeti interni. Come ricorda Dreyer, Kepler osservò che se Copernico avesse avuto più fiducia in sé piuttosto che muoversi sulle orme di Tolomeo, avrebbe fatto cose eccelse. Ma Copernico, come disse a Retico, era cosciente dell'enorme lavoro che occorreva fare per accordare completamente la teoria con le osservazioni.

Vediamo ora alcune difficoltà del sistema di Copernico. Intanto, come accennato esso non è eliocentrico perché non è il Sole al centro dell'universo. Più correttamente si può definire eliostatico. E' vero che con questo sistema il moto retrogrado dei pianeti si risolve facilmente ed è anche vero che ora si dispone di una base per la determinazione delle distanze dei pianeti dal Sole e dalla Terra (lo dico tra parentesi: è certo che da questo momento i principi d'inerzia e di relatività sono al primo punto da dover risolvere per rendere accettabile il sistema copernicano). Riguardo alla pretesa maggiore semplicità di questo sistema rispetto a quello tolemaico, essa esiste solo se si considera lo schemino esemplificativo di cerchi concentrici. In realtà, eliminati gli equanti, occorre anche qui mantenere epicicli e deferenti per rendere conto delle orbite planetarie che non sono circolari e la simile complicazione si può osservare dal confronto delle figure seguenti.

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Da I. B. Cohen.

In A è rappresentato il sistema tolemaico, in B quello copernicano. Senza entrare in spiegazioni complesse si vede che nei due sistemi occorre studiare e tener conto di varie circonferenze. Nella figura seguente si mostra che, in alcuni casi, vi è addirittura identità di trattazione, previo un mero scambio di ruoli tra Terra e Sole.

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Da M. Boas. Nel sistema copernicano C è il Sole centro del sistema; B è la Terra; E un pianeta esterno. Nel sistema tolemaico C è la Terra; D è il Sole; E il centro dell'epiciclo del pianeta; P il pianeta. La linea che congiunge la Terra al pianeta, nel secondo caso, sarà parallela alla linea che congiunge la Terra al pianeta nel primo caso. L'angolo tra questa linea e la linea Terra-Sole sarà lo stesso in entrambi i sistemi. Di conseguenza la posizione apparente del pianeta è la stessa.

Vediamo da ultimo un paio di esempi sul calcolo delle distanze dei pianeti dalla Terra, al quale ho accennato più su, uno relativo a Venere (pianeta inferiore) e l'altro relativo a Marte (pianeta superiore).

Riferendoci alla figura seguente, iniziamo con la distanza Terra-Venere.

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Il raggio SV dell'orbita di Venere è visto dalla Terra sotto un angolo che al massimo è di 48° (quando siamo nelle condizioni in cui l'angolo SVT è retto). In queste condizioni, prendendo come unità la distanza Terra-Sole, risulta che il rapporto tra il raggio dell'orbita di Venere intorno al Sole (SV) e la distanza Terra-Sole (ST) vale:

SV/ST = 0,7.

Vediamo ora come si procede per il calcolo della distanza Terra-Marte, riferendoci alla figura seguente e prendendo sempre come unità la distanza Terra-Sole.

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Consideriamo le due posizioni di Marte rispetto alla Terra, quella in opposizione (ST1M1) e quella

in quadratura, quando cioè dalla Terra si vedono Marte e Sole in direzioni ad angolo retto (ST2M2).

Queste due posizioni si realizzeranno dopo un dato tempo misurando il quale si può risalire agli angoli percorsi(45) da Marte e Terra nella loro rotazione intorno al Sole. Chiamando x la differenza tra questi angoli si può costruire il triangolo rettangolo ST2M2, dal quale si ricava il rapporto tra la distanza di

Marte dal Sole (SM2) e la distanza del Sole dalla Terra (ST2).

SM2/ST2 = 1,6.

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Copernico fu molto ammirato. Gli avevano dato un epiteto non da poco, secondo Tolomeo. Ma le sue idee non trovarono immediatamente seguaci a parte poche unità di neoplatonici, oltre Retico, in Germania, Thomas Digges(44) in Gran Bretagna, nessuno in Francia, Giordano Bruno(46), Giovanni Battista Benedetti, Francesco Patrizi (ed in genere tutti i filosofi della natura) in Italia. Non vengono pubblicati commenti, esposizioni e/o divulgazioni sul sistema di Copernico. Le ragioni di ciò trovano concordi gli storici in due fattori fondamentali: l'autorità di Aristotele difficile da scalzare e la Rivelazione che crea una grande paura in tutti ed infatti vi fu l'immediata reazione del domenicano Giovanni Maria Tolosani, con entrature nel Sacro Palazzo, che mise in guardia contro Copernico (De veritate Sacrae Scipturae, 1546) e quindi del gesuita padre Clavius (1537 - 1612) del Collegio Romano (1581) che reiterò i pretesi pericoli delle posizioni copernicane (pur essendo Clavius un estimatore di Copernico). Tolosani, in particolare, sosteneva che una scienza inferiore ha bisogno della scienza superiore e Copernico, che risulta abile nella scienza matematica e astronomica, è difettoso nelle scienze fisiche e dialettiche, ed è imperito nelle Scritture. Questo testo lo lesse con attenzione il sodale e spregevole domenicano Tommaso Caccini che nel 1614 si scagliò con violenza contro Galileo e Copernico.

Le chiese protestanti condannarono subito Copernico ma non intervennero sul piano dottrinale perché ritenevano evidenti e sufficienti gli argomenti fisici contrari al moto della Terra (e il fiammingo Simon Stevin lo affermò con chiarezza parlando, sul piano fisico, delle assurdità e delle complicazioni di Copernico che richiederebbero negli allievi astrazioni alle quali non sono abituati. Si tenga conto che ciò convinse gli stessi simpatizzanti di Copernico a continuare ad insegnare Tolomeo). Vi era anche una sorta di stato d'animo di chi si sente privato di sicurezze. Un conto è pensarsi stabilmente fermi, altro l'andarsene in giro a grandi velocità in giro per lo spazio. La perdita della centralità per la Terra e quindi per l'uomo deve aver giocato molto in termini psicologici. Tale centralità era anche legata all'unicità dell'uomo e quindi del racconto della Genesi. Inoltre questa costruzione faceva a meno del Primo motore, di quel motore immobile individuato in Dio che Tommaso aveva sistemato lì. La gerarchia dei costituenti l'universo crolla come sta crollando l'immutabile gerarchia sociale: la nobiltà ed il celro stanno per cedere completamente il passo alla borghesia. Tutto ora crollava e da queste macerie si poteva partire con grande pragmatismo per ricostruire su basi radicalmente differenti. E tal cosa la scienza riesce sempre a farla perché è nella sua natura ma non può farla la teologia.

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TYCHO BRAHE

Anche per Tycho inizio con una biografia brevissima. Tycho Brahe (1546 - 1601) nacque a Knudstrop, in Danimarca, nel 1546. È il giovane discendente di una famiglia nobile e ricca, piuttosto disinteressata alla scienza ed alla cultura in genere (come l'intera nobiltà danese). Il giovane Tycho invece iniziò subito ad appassionarsi all'astronomia (fu l'eclisse di Sole del 1560 che lo colpì profondamente) affascinato dall'idea che questa scienza permettesse di studiare e prevedere i moti dei pianeti. A soli 13 anni, nonostante l'opposizione della famiglia

(non era ritenuto degno di un nobile lo studiare) e con l'unico appoggio di uno zio, entrò all'Università file:///D|/CARTELLE SITO/FISICA_1/ASTRONOMIA_1_2_3_4/index-1816.htm (29 of 94)14/08/2009 16.02.17

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di Copenaghen per studiare lettere. Ma l'eclisse gli fece cambiare idea ed egli passò subito allo studio dell'Astronomia e di quanto gli poteva servire a sostegno della sua grande passione. Proseguì i suoi studi a Lipsia, Wittenberg, Rostoch ed a Basilea. Nel 1563 fece la sua prima osservazione celeste importante: la congiunzione Giove - Saturno. Fu allora che iniziò a rendersi conto della non esattezza delle tavole astronomiche di cui si disponeva: rispetto alle "Tavole Prussiane" (elaborate da Reinhold) del 1551 questa congiunzione doveva aver luogo con una differenza di svariati giorni, differenza che diventava di un mese rispetto alle "Tavole Alfonsine" del XII secolo. Ed in quegli anni altri studiosi si erano sempre più convinti che occorresse una seria revisione delle tavole astronomiche. Molti procedettero con correzioni alle tavole esistenti. Tycho invece si rese conto della necessità di ricominciare a costruire tavole con osservazioni completamente nuove con tecniche e metodi di osservazione diversi e più accurati. Mentre per Copernico un errore di 10 minuti era accettabile, per Tycho si inizia a ragionare in termini di frazioni di minuto e per far ciò non bastano le buone intenzioni ma strumenti molto più avanzati. Nel 1572 egli osservò una nuova stella nella costellazione di Cassiopea. Ciò gli valse l'ammirazione ed il successivo sostegno economico del re Federico II. Questi gli regalò una piccola isola, Hveen, sulla quale finanziò la costruzione di un edificio, Uraniborg, progettato da Thyco,

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L'isola di Hveen

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L'osservatorio di Uraniborg

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Due strumenti utilizzati da Thyco

per l'osservazione del cielo. Con le rendita assicuratagli dal re, Thyco, oltre a circondarsi di una trentina di collaboratori, fece costruire apparecchiature avanzatissime e di grandi dimensioni, fermo restando che le osservazioni avvenivano ad occhio nudo. Non è che vi fossero strumenti nuovi dal punto di vista dei principi. Erano appunto le grandi dimensioni di essi che riducevano di molto gli errori nelle osservazioni (una piccola deviazione di un millimetro nella lettura di uno strumento si traduceva in

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errori di vari minuti nella posizione dell'oggetto osservato). Egli si dotò di un quadrante che aveva un raggio di 6 metri, di una sfera armillare del diametro di 5,5 metri, di un sestante di quasi due metri di raggio,... Altra novità era relativa al fatto che gli strumenti erano fissati al luogo dove erano situati, allo stesso modo che la sedia di marmo che serviva per l'osservazione. Anche della stabilità si preoccupò Tycho ed in questo senso vari strumenti li sistemò in sotterranei (come l'osservatorio di Stjerneborg, costruito successivamente da Thyco). L'ostacolo maggiore era la misura del tempo ed egli si affidò a clessidre a mercurio: il peso del mercurio che usciva da un piccolo foro gli forniva la misura del tempo. Utilizzò il piombo in polvere ma questo elemento lo deluse. Fece costruire anche grandi orologi uno dei quali marcava anche i secondi con la sua ruota principale che aveva un metro di diametro e 1200 denti; il problema era però la mancanza della conoscenza delle proprietà del pendolo come regolatore del moto (a questo proposito sarà fondamentale il contributo di Galileo ed Huygens). L'osservatorio di Uraniborg fu terminato nel 1580 ed in esso Thyco

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L'osservatorio di Uraniborg (castello del cielo) visto dall'alto (da http://www.vialattea.net )

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L'edificio costruito successivamente da Thyco, Stjerneborg (castello delle stelle) (da http://www.vialattea.net )

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Sezioni dei due laboratori di Thyco (da http://www.vialattea.net )file:///D|/CARTELLE SITO/FISICA_1/ASTRONOMIA_1_2_3_4/index-1816.htm (38 of 94)14/08/2009 16.02.17

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lavorò incessantemente per 17 anni consecutivi. Durante questo periodo si sposò con una non nobile, Cristina, e la cosa fu duramente osteggiata da tutta la nobiltà danese. Ma lo stesso re venne in sostegno di Thyco. E così, con Cristina, Thyco ebbe ben 8 figli. I problemi di Thyco iniziarono con la morte nel 1588 di Federico II. Molte invidie di nobili lo costrinsero ad abbandonare il suo osservatorio (1597). Egli si recò in Bohemia dove poté godere, per poco tempo ancora, della protezione di Rodolfo II che gli trovò una degna sistemazione a Praga come matematico imperiale. Riuscì comunque a portarsi dietro tutti i suoi manoscritti ed anche parte dei suoi collaboratori, ai quali se ne aggiunsero altri, tra i quali Kepler. Si spense all'età di 55 anni per essere persona educata che non si alzò da tavola per non mancare di rispetto, anche se gli era esplosa la vescica.

Scrisse: De Nova et Nullius Aevi Memoria Prius Visa Stella (Copenhagen, 1573); De Mundi Aetherei Recentioribus Phaenomenis (Uraniborg, 1588); Astronomiae Instauratae Mechanica (Wandsbeck, 1598); Astronomiae Instauratae Progymnasmata (Praga 1602).

CONTRIBUTI DI THYCO ALLO SVILUPPO DELL'ASTRONOMIA

Non vi è dubbio che Thyco sarà sempre ricordato per la immensa quantità di osservazioni fatte con la migliore strumentazione disponibile descritta nella sua Astronomia instauratae mechanica del 1598 (tra l'altro a lui si deve l'aver riconosciuto per la prima volta l'influenza della rifrazione atmosferica nelle osservazioni, anche se nello sviluppare tale concetto mise insieme alcuni errori che nascevano dalla non conoscenza dell'atmosfera medesima). Queste osservazioni saranno alla base della costruzione delle nuove tavole astronomiche che saranno pubblicate da Kepler nel 1627 con il nome di Tavole Rudolfine. Egli, oltre alle osservazioni continue delle posizioni dei vari pianeti, elaborò un catalogo delle posizioni di quasi 800 stelle. Detto questo vediamo quali furono le idee cosmologiche di Tycho. Egli partiva da un pregiudizio: la limitatezza dell'universo. Tale pregiudizio, unito alla non

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osservazione della parallasse stellare lo convinsero a non accettare il sistema copernicano. Se infatti l'universo è relativamente piccolo, le stelle sono "vicine" alla Terra che, secondo Copernico, si muove di moto circolare intorno al Sole. Se il sistema copernicano corrispondesse al vero, osservando le stelle dalla Terra in posizioni diametralmente opposte della sua supposta orbita, si dovrebbe avere il fenomeno di parallasse stellare: osservando cioè le stelle dalla Terra in posizioni diametralmente opposte della supposta orbita, si dovrebbero vedere proiettate sulla volta celeste in posizioni, anche se di poco, diverse. Unendo la stella osservata con quelle due posizioni della Terra si verrebbe a formare un angolo, chiamato di parallasse. Con un universo piccolo, tale angolo deve essere tanto grande da poter essere misurato. Tycho non riuscì a misurarlo e ne concluse che la Terra è ferma. Il problema stava nella enorme distanza di una stella che rendeva quell'angolo così piccolo da non poter essere apprezzato dagli strumenti di cui Tycho disponeva. Occorreranno altri 300 anni perché una tale parallasse potesse venir misurata. Per ammettere la non osservazione della parallasse bisognava ammettere che la distanza delle stelle dalla Terra fosse stata 700 volte la distanza tra Saturno ed il Sole, cosa che a Tycho sembrò impossibile.

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Parallasse stellare (con orbita terrestre mostrata di lato). A distanza di sei mesi si ripete l'osservazione di una stella e, nell'ipotesi di rotazione della Terra intorno al

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Sole, gli angoli α di figura dovrebbero risultare differenti. Da Westfall.

Questo fatto lo portò ad elaborare un nuovo sistema astronomico, ibrido tra quello tolemaico e quello copernicano. La Terra risulta immobile al centro dell'universo mentre la Luna ed il Sole gli girano intorno. I pianeti, invece, ruotano tutti intorno al Sole (vedi figura). Un tale sistema ebbe scarso successo ma servì in qualche modo a far comprendere meglio quello copernicano e risultò l'ultima spiaggia per chi proprio non voleva abbandonare il sistema tolemaico.

Il sistema tychonico (da http://www.vialattea.net )

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Il sistema tychonico

È interessante anche qui vedere quali sono i motivi che Tycho addusse contro il moto della Terra, oltre quello per lui probante della non osservazione della parallasse. Intanto la sua fede nella Bibbia era ferrea. Inoltre non riusciva a concepire "una Terra grave e pigra muoversi nello spazio". Vi era poi la questione degli oggetti lasciati cadere da una torre che proprio non volevano saperne di discostarsi dalla verticale. Ed infine il fatto che egli non riusciva proprio a concepire i tre moti che la Terra avrebbe dovuto avere secondo Copernico. Vediamo invece dove un tale sistema aiuta all'affermazione di quello copernicano. Si può subito rendersi conto che nel suo sistema astronomico l'orbita del Sole interseca quelle di Mercurio, Venere e Marte. Ciò comporta in ogni modo la distruzione delle sfere cristalline aristoteliche dove tali pianeti sarebbero stati incastonati. Egli si rende conto di ciò e sarà il primo a trasformare il significato del termine latino 'orbis' da quello di sfera a quello di orbita. Questo fatto non

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è per nulla banale, ma dirompente. Infatti le sfere cristalline sostengono i pianeti a determinate distanze relative; quando le sfere vengono meno cos'è che sorregge i pianeti ? A partire da questo momento è aperto il problema dell'individuazione delle forze che agiscono nella dinamica planetaria. Un appunto solo prima di terminare con Tycho è relativo agli oroscopi, a quella pratica che ha riguardato e riguarderà la maggior parte degli astronomi dell'antichità. Egli sosteneva, a sostegno di essi che: "Il Sole, la Luna e le stelle bastano per i nostri usi. Sarebbe inutile mettere insieme i pianeti in una marcia maestosa, regolati da loro belle leggi, se non avessero un'utilità propria e diretta che è l'oggetto dell'astrologia". In altra parte sostiene che anche le comete devono avere una qualche influenza sulle vicende terrene, perché la natura non fa nulla invano. Infine avanza la strana idea che le stelle hanno la virtù di stimolare le forze dei pianeti.

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Un oroscopo fatto da Thyco

Nello stesso anno della morte di Tycho, Kepler scriveva al suo amico Maestlin (20 dicembre 1601) dicendo:

L'opera più importante di Tycho sono le sue osservazioni, altrettanti grossi volumi che annate impiegate in questo lavoro [...] Puoi vedere in qual modo Dio dispensi i suoi doni. Nessuno può tutto. Tycho ha fatto come Ipparco, ha gettato le fondamenta dell'edificio e ha compiuto un lavoro enorme. Questo Ipparco aveva bisogno di un Tolomeo che edificasse, su quella base, le teorie degli altri cinque pianeti. Io l'ho fatto mentre egli era ancora in vita.

JOHANN KEPLER

Kepler (1571 - 1630) nacque a Weil der Stadt in Württemberg nel 1571. La sua famiglia era protestante e di modeste condizioni economiche. Dal 1579 studiò a Tubinga dove divenne un seguace di Copernico. La tentazione dell'epoca di seguire una carriera ecclesiastica fu rifiutata da Kepler perché si rese immediatamente conto, dopo un periodo in seminario, della ristrettezza delle visuali del clero luterano. Scelse lo studio della scienza all'Università di Tubinga accettando (1594) l'incarico di soprintendente di matematica della Stiria ed insegnò al seminario protestante di Graz in Austria (ma sembra che la matematica non fosse il suo forte: gli alunni disertavano le sue lezioni), "arrotondando", come quasi tutti gli astronomi dell'epoca, facendo oroscopi e predizioni (e poiché qualche predizione si avverava, venne preso in considerazione come buon astrologo). Soleva dire che l'Astrologia, figlia dell'Astronomia, doveva alimentare sua madre.

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Nel 1595, all'età di 24 anni, pubblicò la sua prima opera, il "Mysterium Cosmographicum", con la quale credette di aver svelato i segreti del sistema planetario. In realtà ciò che aveva fatto era la scoperta che vi sono una mole di ragioni per abbandonare il sistema tolemaico e per abbracciare quello copernicano, ragioni però molto tecniche che non rappresentavano comunque alcuna "prova", almeno agli occhi del grande pubblico. Il Mysterium fu mandato sia a Tycho che a Galileo ma aveva un grave difetto, soprattutto se visto con gli occhi di un personaggio che è uscito dalle pastoie del misticismo, della numerologia, della magia, dell'animismo e dell'ermetismo: è intriso di tutte le cose dette in modo esasperato, tanto che oggi ci vuole davvero uno sforzo di ottima volontà a rintracciare i contributi scientifici originali, che pure vi sono. Un esempio lampante di ciò che dico è il breve rapporto epistolare che Galileo intrattenne con Kepler. Si scrissero nel 1597 (mentre Galileo si trovava a Padova); ambedue confidarono il loro essere copernicani; Kepler apertamente, Galileo titubante perché non si azzardava ad avanzare una qualche teoria senza avere delle sensate esperienze e dimostrazioni a sostegno di essa. Ma la lettura di queste lettere, specialmente quella di Galileo a Kepler dell'agosto 1597 (in cui Galileo si mostra entusiasta del lavoro di Kepler) e quella di Kepler a Galileo dell'ottobre dello stesso anno,

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mostra due caratteri diversi, Galileo che faticosamente tentava di uscire dal 1500, Kepler che, pur muovendosi con idee "moderne", era pienamente impantanato in quel clima. Sta di fatto che Galileo provava quasi fastidio a leggere gli scritti del suo collega, noiosi, contorti, difficili e prolissi, scritti dai quali si faceva una enorme fatica a ricavare qualcosa di utile (il guaio fu che Galileo ebbe per primo in mano un testo francamente poco leggibile, il Mysterium del 1596, che gli tolse la voglia di leggere altre cose di Kepler. Se avesse avuto in mano prima l'Astronomia nova del 1609, forse qualcosa di utile sarebbe potuta accadere). Vi sono inoltre moltissimi calcoli errati che poi si sistemano compensandosi fortunosamente. La differenza tra i due si nota facilmente leggendo un qualunque brano di Kepler e confrontandolo con un qualunque brano di Galileo. E questo anche per rispondere a qualche critico che, oggi, rimprovera a Galileo di non aver tenuto conto dell'ellitticità delle orbite planetarie che Kepler aveva scoperto e che trova posto proprio nell'Astronomia nova.

Nello stesso 1597 la controriforma cattolica fece allontanare tutti i protestanti da Graz. Kepler restò perché non era un ortodosso luterano. Ma nel 1600 i cattolici divennero più intransigenti e Kepler pensò di accettare l'invito di Tycho a fargli da assistente a Praga (anche Tycho aveva avuto problemi di intolleranza ad Uraniborg e si era trasferito a Praga). Ed egli rimase a Praga sostituendo lo stesso Tycho come matematico imperiale anche dopo la sua morte nel 1601. La situazione politica stava però precipitando per la Guerra dei Trent'anni e Kepler iniziò a non trovarsi più a suo agio a Praga, soprattutto perché non riusciva più a dedicarsi completamente allo studio. Cercò un altro impiego che fosse più sicuro e lo trovò a Linz, ancora in Austria, dove restò per 14 anni. La guerra gli creò altri fastidi e spostamenti che si sommarono ai suoi problemi famigliari ed economici. Si spense nel 1630.

Ma veniamo ad alcune delle cose che fanno da spessa cornice ai contributi scientifici di Kepler. Innanzitutto l'esempio di Tycho secondo il quale sia l'alchimia che l'astrologia sono vie valide per scoprire la verità. Ed anche se Kepler non era un sostenitore delle due pratiche precedenti, le sostituiva egregiamente con misticismo e teologia. Secondo il nostro è la mistica dei numeri che governa il mondo. Si tratta di immaginare un mondo di orbite che si incastrano alternativamente con i cinque solidi regolari (vedi figure). Si inizia con la sfera di Saturno che è circoscritta ad un cubo; nel cubo è inscritta la sfera di Giove che, a sua volta, è circoscritta ad un tetraedro; questo tetraedro è circoscritto alla sfera di Marte che, a sua volta, è inscritta in un dodecaedro; al dodecaedro, per circoscrizioni ed inscrizioni successive, segue la sfera della Terra, l'icosaedro, la sfera di Venere, l'ottaedro, la sfera di Mercurio,

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quindi il Sole al centro dell'intero sistema (si osservi che, per permettere l'eccentricità delle orbite ellittiche che Kepler scopre, occorre ammettere che ogni sfera abbia uno spessore tale da poter contenere appunto l'eccentricità dell'orbita).

Dal Mysterium Cosmographicum (II edizione, Tubinga 1597). In alto a destra è riportata in dettaglio la parte più interna della figura grande.

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Un disegno che mostra le successive inscrizioni di solidi regolari e sfere

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Da Harmonices mundi

I conti, con i dati osservativi di Copernico e, soprattutto, con l'enorme mole di quelli di Tycho, gli tornavano in modo abbastanza approssimato. È poi interessante osservare che anche numero di pianeti e di solidi erano in accordo. Ancora non si conoscevano i pianeti al di là di Saturno. E mentre i pianeti sono cresciuti di numero, i solidi regolari sono restati 5. Ma tant'è. Egli diceva:

Io mi impegno a dimostrare che Dio, nel creare l'Universo e nel regolare l'ordine del cosmo, aveva in vista i cinque corpi regolari della geometria, così come sono conosciuti dai tempi di Pitagora e Platone, e che Egli ha stabilito, in accordo con le loro dimensioni, il numero dei cieli, le loro proporzioni e le relazioni dei loro movimenti.

Ed in accordo con Pitagora e Platone vi è una visione dell'Universo intrisa di misticismo. Il Sole è

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Dio Padre e per questo merita di stare al centro dell'Universo; la Sfera delle stelle è il Figlio mentre l'Etere, attraverso cui lo spirito del Sole muove i pesanti pianeti, è lo Spirito Santo. Inoltre, riprendendo temi che già erano stati di Hermes Trismegisto e Marsilio Ficino, afferma:

Il Sole è il corpo più bello, è l'occhio del mondo. In quanto fonte della luce o lanterna risplendente, adorna ed abbellisce gli altri corpi del mondo... Per quanto riguarda il calore, il Sole è il focolare del mondo... La sfera delle stelle fisse trattiene il calore affinché non si disperda ed è simile ad una parete, ad una pelle o ad un abito del mondo... Il Sole è l'unico luogo che noi giudicheremmo degno di Dio altissimo, qualora egli si compiacesse di avere una dimora materiale e scegliesse un luogo in cui abitare con gli angeli benedetti... Il Sole è l'unico luogo degno di diventare la casa di Dio.

Ma i numeri e la geometria forniscono a Kepler argomenti contro l'infinità dei mondi sostenuta da Bruno. Dice Kepler:

La geometria è una ed eterna, splendente nella mente di Dio... Nella geometria poi, dopo la sfera vi è una famiglia di figure che è la più perfetta di tutte, quella dei cinque corpi solidi euclidei. Ebbene questo nostro mondo planetario è disposto secondo la regola ed il modello di questi solidi [descritti più su]... A quale scopo sarebbero infiniti, se ciascuno racchiudesse in sé ogni perfezione [come questo nostro] ?"

Il Libro V di "Harmonices Mundi", che Kepler pubblicò nel 1619 e che contiene l'enunciato della sua terza legge, ha questo indice:

1 - Sulle cinque figure solide regolari.

2 - Sulle affinità tra esse ed i rapporti armonici.

3 - Compendio sulla dottrina astronomica necessaria per speculare sulle armonie celesti.

4 - In quali cose pertinenti ai moti planetari le semplici consonanze sono state espresse e file:///D|/CARTELLE SITO/FISICA_1/ASTRONOMIA_1_2_3_4/index-1816.htm (51 of 94)14/08/2009 16.02.17

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che tutte quelle consonanze che sono presenti nel canto si trovano nei cieli.

5 - Che le chiavi della scala musicale, o gradi del sistema, e i generi delle consonanze, il maggiore e il minore, sono espressi in certi moti. 6 - Che i singoli Toni e Modi musicali sono in qualche modo espressi dai singoli pianeti. 7 - Che i contrappunti o armonie universali di tutti i pianeti possono esistere ed essere diversi l'uno dall'altro. 8 - Che i quattro tipi di voci sono espressi nei pianeti; soprano, contralto, tenore e basso. 9 - Dimostrazione che al fine di garantire questa armonica disposizione, quelle vere eccentricità planetarie che qualunque pianeta ha come proprie, e non altre, devono essere stabilite. 10 - Epilogo relativo al Sole, per mezzo di molto fertili congetture.

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Una pagina di Harmonices Mundi

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Un oroscopo fatto da Kepler

E tutta questa impalcatura musicale gli serve per mostrare che i pianeti ruotando intorno al Sole, cantano le lodi del Signore. È un canto eterno ed intonato. Noi non riusciamo a sentirlo ma esso è dato dai rapporti speciali che esistono tra velocità e distanze dei pianeti dal Sole. Ogni pianeta ha una sua melodia (vedi figura) e la Terra, in particolare percorre la sua orbita intonando eternamente un MI-FA-MI e da questo Kepler conclude che "da questo si può capire che la MI-seria e la FA-mine regnano dovunque in questo mondo".

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La scrittura delle note da parte di Kepler in Harmonices Mundi

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Da I. B. Cohen. La traduzione delle note precedenti nei simboli a noi noti.

L'universo di Kepler resta finito e sostanzialmente aristotelico, nonostante le fondamentali novità introdotte e di cui dirò alla fine di questo scritto.

Concludo questa parte relativa al tormentato misticismo di Kepler con due considerazioni che fece nel 1610 quando fu informato della scoperta di Galileo dei satelliti di Giove. Inizialmente ebbe un sussulto ed esclamò: "Che abbia avuto ragione Bruno?". Quindi scrisse: "Perché [tali satelliti] dovrebbero ruotare intorno a Giove se su questo pianeta non vi è nessuno a contemplare tale spettacolo?".

Ma torniamo alla succinta biografia del nostro astronomo. Lo avevamo lasciato con la pubblicazione del Mysterium nel 1595. Nel 1598 l'Arciduca Ferdinando d'Austria, dopo un pellegrinaggio a Loreto, iniziò una campagna di persecuzione contro i protestanti. Kepler, cacciato dalla

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Stiria, fuggì e si rifugiò a Praga, luogo dove Tycho esercitava come matematico imperiale al servizio di Rodolfo II di Bohemia. Nel 1600 Tycho lo chiamò a Praga perché gli facesse da assistente. Un anno dopo Tycho moriva e lasciava a Kepler l'enorme eredità di tutti i suoi manoscritti di dati osservativi. Nel 1602, Rodolfo II lo nominò al posto di Tycho (alla cui memoria fu sempre fedele, anche se Galileo non si mostrò d'accordo con questo).

A parte una piccola opera di ottica del 1604 (Ad Vitellionem paralipomena), Kepler lavorava intensamente ad elaborare i dati di Tycho e nel 1609 pubblicò Astronomia Nova αιτιολογητος seu Physica coelestis (la parola greca che è nel titolo significa che egli non si accontenta di una descrizione cinematica ma intende ricercare anche le cause che producono i fenomeni celesti), opera nella quale, dallo studio delle posizioni di Marte, ricava le prime sue due leggi (orbite ellittiche e costanza della velocità aereolare) solo in questo ambito ristretto. E' doveroso dire che la pubblicazione di tale opera avvenne 3 anni dopo la fine della sua redazione, tra l'indifferenza ed ostilità dei suoi contemporanei tra cui Galileo e Descartes (paradossalmente Kepler verrà ripreso solo dagli scienziati razionalizzanti che iniziarono ad operare dopo il 1660. Le idee di Kepler tolte dalla fanghiglia mistico-teologica, sarebbero risultate preziose). Molti problemi si presentarono a Kepler per tale pubblicazione: questioni legate all'eredità della famiglia di Thyco che pretendeva il riconoscimento delle osservazioni dell'astronomo danese; invidie del genero di Kepler che pretendeva scrivere una prefazione in cui rivendica la supremazia del sistema tychonico; problemi economici dello stesso Kepler; cupidigia dell'Imperatore che voleva una tangente per ogni copia venduta.

(1ª legge) Le orbite dei pianeti sono delle ellissi di cui il Sole occupa uno dei due fuochi (questa legge fu stabilita da Kepler nel 1605).

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(2ª legge) Le aree spazzate dal segmento che unisce un pianeta con il Sole (raggio vettore) sono proporzionali ai tempi impiegati a spazzarle (questa legge fu la prima ad essere trovata da Kepler nel 1602).

E' interessante notare che Kepler studiò per molti anni i suoi dati su Marte perché le osservazioni non si accordavano con nulla ed in particolare facevano vacillare per intero il sistema di Tycho. Ma la sua guerra con Marte la vinse proprio con la scoperta delle due leggi precedenti.

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Due delle centinaia di pagine di conti di Kepler per la determinazione dell'orbita di Marte.

Fu successivamente che Kepler si rese conto che queste leggi funzionavano bene anche per gli altri pianeti, con il riconoscimento della correttezza non già del sistema di Tycho ma di quello di Copernico. Riguardo alla scoperta delle orbite ellittiche, le cose stanno pressappoco così. Kepler aveva iniziato con criticare Copernico per non aver fatto coincidere il centro dell'universo con il Sole. Egli riteneva che la forza che muoveva i pianeti provenisse da lì e quindi quello dovesse essere il centro. Ma con alcune misure si rese conto che il centro esatto non era il Sole S ma un centro C spostato (poi individuato come uno dei fuochi dell'ellisse). A questo punto Kepler credeva ancora ad un orbita circolare. Ma i dati lo portavano a sistemare il centro della circonferenza in C e non in S. Il problema era il seguente: perché i pianeti ruotano intorno a C se la forza che li muove procede da S ?

Fu qui che Kepler escogitò la soluzione, supponendo che ogni pianeta fosse soggetto a due influenze contraddittorie: da una parte la forza del Sole ed un altra che doveva essere localizzata nel medesimo pianeta. La concomitanza delle due influenze faceva sì che il pianeta alcune volte si avvicinava ed altre si allontanava dal Sole. Proseguendo in queste considerazioni e con la convinzione

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che dal Sole emana la forza principale che muove i pianeti, esso doveva agire con maggiore forza sul pianeta quando esso era più vicino e minore quando era più lontano con conseguenze sulle velocità del pianeta, maggiori a più piccola distanza e viceversa. E furono queste ultime considerazioni che Kepler poté verificare con le osservazioni, dalle quali uscì fuori per prima la seconda legge. E questo sembrava più accettabile della distruzione delle circonferenze, anche se, lungo il lungo cammino della Astronomia Nova, alla fine del capitolo 44 del Terzo libro, deve ammettere che l'orbita di Marte è ovale (si veda oltre). E su questo ovale lottò ancora mesi. Finché il 4 luglio 1603 non scrisse all' amico Fabricius queste parole: se la forma fosse semplicemente una ellisse perfetta, tutte le risposte potrebbero stare nei lavori di Apollonio ed Archimede. Ma dovette ancora lavorare molto per riuscire a trovare una legge matematica che descriveva il moto di Marte intorno al Sole. Ci riuscì dopo anni di interminabili calcoli anche se non si rese conto che quella formula descriveva proprio un'ellisse. Per ironia della sorte questa formula fu rifiutata da Kepler che fece tabula rasa di tutto e ricominciò i suoi calcoli a partire dall'ipotesi che l'orbita fosse ellittica ! Dopo altro periodo di lavoro (in totale 4 anni) si accorse che dove era arrivato era proprio a quella formula che aveva rifiutato.

Prima di passare a capire come Kepler ricava le sue leggi, vediamo la sua concezione della forza (in realtà virtus) che emana dal Sole (ma solo sul piano dell'eclittica perché altrove non vi è necessità visto che il suo scopo è muovere i pianeti che si trovano tutti - così era - su quel piano), l'anima motrix (ed anche Dio Padre, mentre il cielo delle stelle fisse è il Figlio e l'etere che sta tra questo cielo ed il Sole è lo Spirito Santo) che agisce sulle forze che anche i pianeti posseggono. Intanto egli rappresenta come una vera e propria emanazione la virtus del Sole, con tanti raggi di una ruota che fuoriescono dal Sole medesimo:

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Come già detto egli, prendendo spunto da Gilbert ma anche da Bruno, considera il Sole come un magnete che agisce sui pianeti in quanto altrettanti magneti ma con delle peculiarità. Man mano che il Sole ruotava sul suo asse i raggi muovevano i pianeti. Tali pianeti, aristotelicamente, restavano in moto, con una velocità proporzionale alla forza, finché la forza tangenziale medesima che gli forniva il Sole era in azione. L'intensità della forza doveva in conseguenza diminuire proporzionalmente alla distanza e la velocità del pianeta risultava inversamente proporzionale alla distanza dal Sole.

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In questa figura, tratta da Westfall, si vede il Sole che presenta solo il Nord perché il Sud si trova al suo interno. Il pianeta mantiene il suo asse sempre parallelo a se stesso di modo che vi saranno dei momenti in cui il Nord del pianeta si affaccerà al Nord del Sole con relativa repulsione e momenti in cui il Sud del pianeta si affaccerà al Nord del Sole con relativa attrazione. Lungo metà della sua orbita il pianeta risulta attratto dal Sole mentre nell'altra metà è respinto. E ciò rende conto dell'ellitticità delle orbite.

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E' utile ora entrare in qualche dettaglio che illustri meglio l'iter seguito da Kepler nella sua Astronomia Nova per ricavare le sue leggi.

Come già detto, Kepler aveva lavorato con Tycho su Marte per lungo tempo. Ma il contesto teorico nel quale si muoveva Tycho non lo soddisfaceva. Alla morte di Tycho nel 1601, Kepler poté riprendere l'enorme mole di dati e rileggerli in modo diverso. Muovendosi per la Terra nell'ambito degli epicicli di Tolomeo, gli occorsero 4 anni, per trovare degli scarti di 8 minuti per Marte e la cosa non era plausibile perché, come lo stesso Kepler scrisse: "La divina bontà ci ha dato in Tycho un osservatore tanto preciso che un errore di otto minuti è inaccettabile". A questo punto pensò di riprendere in considerazione l'orbita terrestre ponendosi e sviluppando il problema seguente.

Dalla Terra osserviamo Sole e pianeti in determinate direzioni rispetto alle stelle, direzioni che variano di giorno in giorno man mano che la Terra percorre una curva incognita intorno al Sole, allo stesso modo dei pianeti. Determinare la traiettoria della Terra.

E' subito evidente che se non si dispone di un riferimento fisso il problema non è risolubile. Ma Kepler riuscì a trovare tale base su cui poggiare la sua ricerca (riferiamoci alla figura seguente).

Quando Marte e Sole sono in opposizione, ciò che si vede lungo la linea TM coincide con ciò che si vede lungo la linea SM. Supponiamo che tale direzione sia fissata dall'osservazione di una stella X.

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Marte ritorna in M dopo i seicentottantasette giorni della sua orbita e di nuovo abbiamo la base SM che si mantiene in grandezza e direzione (SMX risultano di nuovo allineati). Passato questo tempo, la Terra si troverà in T'. E' a questo punto possibile con, una costruzione, conoscere i due angoli che insistono su T', angoli anche del triangolo SMT' (si può costruire SMT' con una base SM arbitraria). A questo punto Marte percorre una nuova orbita nello stesso tempo per tornare nello stesso punto M. Nel frattempo la Terra si sarà spostata in un punto T'' costruendo il triangolo SMT'' (avendo sempre SM come base). E tale processo si ripeterà indefinitamente. Disponendo poi di un numero n di osservazioni si disporrà di n posizioni della Terra riferite alla base SM e sarà possibile in modo empirico cercare quale orbita può essere contenuta in tali n punti. A questo punto assunsero fondamentale importanza le osservazioni fatte da Tycho per molti anni. Kepler mise insieme quelle di Marte che differissero tra loro di seicentottantasette giorni riuscendo a costruire un'orbita per la Terra. Essa risultava essere una circonferenza di centro C, decentrata rispetto al Sole di 0,018 (avendo preso come unità il raggio della circonferenza). Ed il calcolo era eccellente se solo si ricorda che l'orbita della Terra intorno al Sole si avvicina molto ad una circonferenza. Kepler scopre quindi una eccentricità dell'orbita della Terra ma continua a ancora a credere che tale orbita sia circolare.

A questo punto Kepler fece due errori che, fortunatamente, si elidevano tra loro tanto da permettergli di trovare la legge delle aree, cioè la sua seconda legge (che egli determinò per prima). I conti riguardavano l'orbita a circonferenza decentrata. Secondo Kepler la forza motrice risiede nel Sole ed è dovuta al magnetismo che si genera dalla rotazione del Sole su se stesso. Tale forza (non attractoria sed promotoria) che spinge il pianeta, che deve esistere perché altrimenti esso si arresterebbe, è tangenziale alla traiettoria e non diretta verso il Sole, come sarebbe dovuto accadere se Kepler avesse intuito la gravità (si noti che questa elaborazione esclude la conoscenza di Kepler del principio d'inerzia). Riferendoci alla figura a seguente, Kepler pensò che se r è la distanza del Sole dal pianeta, la forza motrice deve variare in ragione inversa ad r allo stesso modo della velocità del pianeta. E qui vi è un primo errore perché la velocità varia inversamente a SH e non ST = r. L'eventualità prevista da Kepler si verifica solo quando T si trova in P o A (apsidi) e poiché Kepler tentò la verifica della sua legge di velocità proprio agli apsidi, l'errore non gli si rivelò.

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La legge delle aree secondo Keplero con la somma delle linee intese come aree. In figura è esagerata l'ellitticità e lo spazio tra ogni coppia di linee rappresenta una unità di tempo. Da Westfall.

Come anticipato, un secondo errore annullò gli effetti di questo. Riferendoci alla figura b precedente, credendo che la velocità in T fosse inversamente proporzionale ad ST, Kepler ricavò correttamente che il tempo impiegato dal pianeta a percorrere un arco molto breve di traiettoria (TT') doveva essere proporzionale ad ST. Il percorso di un arco più lungo TT1 richiederà un tempo

proporzionale alla somma dei raggi (ST + ST' + ST'' + ... + ST1). E qui nasce il secondo errore di Kepler

(abbastanza grossolano e riconosciuto dal medesimo Kepler) che sostituì alla somma dei raggi l'area del settore. Nasceva così (1602) la legge delle aree (seconda legge di Kepler), ricavata nel modo disinvolto accennato, che però veniva accettata da Kepler perché in accordo con i dati sperimentali (Capitolo 40 del Terzo libro dell'Astronomia Nova). Egli era ora in grado di prevedere dove la Terra si sarebbe trovata in un dato tempo nella sua orbita.

A questo punto Kepler, a partire dall'orbita terrestre precedentemente ricavata e dalla legge delle aree, riprende lo studio di Marte cercando la sua orbita mediante elaborati calcoli che possiamo trasformare in geometria.

Kepler inizia con il considerare tre posizioni di Marte per verificare o meno che la sua orbita sia un cerchio. Il cerchio va bene (nel perielio)(47) ma, sostituendo ad una delle tre un'altra posizione (o afelio o posizioni intermedie) il cerchio non va più bene. Occorre ripartire da zero togliendosi (quasi) dalla mente ogni dogma. Ed egli ripartì da due punti notevoli dell'orbita di Marte, l'afelio ed il perielio relativamente ai quali si mise a raccogliere tutti i dati disponibili in modo da costruirsi due punti fissi di riferimento. Dopodiché, da due posizioni diverse della Terra nella sua orbita, posizioni che ora era in grado di dare con precisione, osservava la posizione di Marte. Ripetendo n volte tale operazione, si ottengono n punti (posizioni di Marte) M1, M2, ..., Mn che appartengono alla traiettoria cercata.

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Kepler provò dapprima a verificare se tali punti potevano rappresentare una traiettoria circolare. Come detto, se qualche punto rispondeva ad una traiettoria circolare, altri mostravano discrepanze fino ad otto minuti, del tutto inaccettabili. Se si prende un cerchio come orbita possibile, tutti i punti rappresentanti le posizioni di Marte si situano sistematicamente al suo interno (vedi figura seguente), in modo da originare un ovale. Marte deve quindi avere una traiettoria ovale, appuntita verso il perielio.

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Gli risultava però difficile lavorare matematicamente con un ovale quando tentò di applicare a tale ovale la legge delle aree. Egli stesso ebbe a dire probabilmente con un sospiro: "Ah, come sarebbero più semplici le cose se l'ovale fosse una ellisse !". Per fare i conti in modo approssimato sostituì quindi l'ovale con una ellisse ausiliare abbastanza appiattita di cui il Sole non occupa uno dei fuochi (figura precedente). L'orbita vera è a metà strada della lunula originata da cerchio ed ellisse ausiliare. Kepler osservò qui, casualmente, che l'orbita di Marte risulterebbe una ellisse con il Sole occupante uno dei fuochi e scrisse: "Mi svegliai come da un sonno profondo, una nuova luce cadde su di me". La scoperta casuale era diventata la vera grande scoperta di Kepler: Marte percorre un'orbita ellittica di cui il Sole occupa uno dei fuochi. Applicando la legge delle aree e confrontando con tutti i dati disponibili vi era un accordo completo particolarmente con Mercurio che avendo una orbita con grande eccentricità aveva rappresentato un grave problema per tutti gli astronomi fino a Copernico per la sua impossibilità di essere ricondotta ad un cerchio (l'orbita ellittica per Mercurio prevedeva il transito del pianeta sul Sole nel 1631. La verifica sperimentale non poté essere fatta da Kepler per la sua scomparsa nel 1630. Tale verifica fu realizzata da Pierre Gassendi con una precisione al decimo di grado). Il passaggio agli altri pianeti fu immediato con eccellenti corrispondenze con i dati osservativi. Da qui (1605) la prima legge

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di Kepler (nella quale in origine non compare il termine fuoco, già utilizzato nella Diottrica, che sarà introdotto nel 1622 dallo stesso Kepler nella sua Epitome astronomiae copernicanae).

Il disegno di Kepler che illustra la sua dimostrazione per il calcolo dell'orbita di Marte (da Astronomia Nova). Se il Sole si trova in un fuoco n dell'ellisse (linea tratteggiata) ed il pianeta in m, in base alla seconda legge di Kepler il raggio nm descrive aree uguali in tempi uguali. Sulla destra la figurina illustra l'equivalenza del moto su una ellisse e

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di quello su epiciclo e deferente.

Resta da capire come nasce la terza legge che mette in relazione periodi di rotazione dei pianeti intorno al Sole con distanze di essi dal Sole medesimo. Kepler, che si era dedicato a cercare tale legge già ai tempi del Mysterium del 1596, la trovò molto più tardi e la pubblicò nel suo Harmonices Mundi libri V del 1618 con le seguenti parole:

E' un fatto assolutamente certo ed esatto che la proporzione tra i tempi periodici di due pianeti scelti a piacere è esattamente come la potenza di tre mezzi della proporzione tra le loro distanze medie, e cioè fra le loro stesse orbite [Harmonices Mundi, Libro V, Cap. 3]

Traducendo ciò in linguaggio moderno si ha:

(3ª legge) I quadrati dei tempi T, impiegati dai pianeti a percorrere la loro orbita, sono direttamente proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori (R) delle ellissi descritte dai pianeti:

T2/R3 = costante.

Traducendo ancora, si può dire che questa terza legge è una legge che data una condizione ne obbliga un'altra. E' una legge di necessità, è cioè impossibile che in qualsiasi sistema di satelliti un satellite si muova a qualsiasi velocità e lungo qualsiasi orbita. Una volta stabilita l'orbita, la velocità è automaticamente determinata. Nel sistema solare, dove le velocità dei pianeti sono correlate strettamente alla distanza dal Sole, si deve dedurre che la forza che genera il moto risieda nel Sole.

Questa legge, che Kepler considera come l'anello di congiunzione tra l'Armonia del mondo e la Musica del cielo, nasce tutta nell'ambito del progetto generale di Kepler con poliedri regolari ed influssi planetari come riferimento continuo e non solo per fatti astronomici. Secondo alcuni storici, essa fu scoperta quasi per caso da Kepler che la inserì all'ultimo momento in quest'opera (per accelerarne la pubblicazione) dove praticamente sparì tra i vari incantamenti, parossismi religiosi e studi astrologici (tanto che altri storici negano che questa opera abbia un qualche valore scientifico). Sembra che anche

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Newton non la conoscesse o almeno non ne comprendesse tutta l'importanza.

Nel Mysterium Kepler, che si interrogava sul segreto del mondo che non era altro che la ricerca delle cause del numero dei pianeti e delle dimensioni delle loro orbite, aveva rappresentato il sistema solare mediante solidi regolari inscritti tra loro. L'idea era stata accantonata quando iniziò a collaborare con Tycho dove si rese conto che era una banale approssimazione perché non rendeva conto dei molti parametri che caratterizzano i singoli pianeti (velocità differenti tra vari pianeti ed anche variabili nel tempo, eccentricità delle orbite, distanze medie dei singoli pianeti, ...). Con Astronomia Nova, Kepler aveva trovato orbite ellittiche e velocità aereolari costanti ed il problema si era complicato perché ora i pianeti cambiano continuamente le caratteristiche del loro moto. Ma il pregiudizio di Armonia dell'Universo restava e Kepler cercò per vari anni (22) una legge che rendesse conto di tale armonia mettendo in relazione, forma delle orbite, eccentricità e distanze medie dei singoli pianeti dal Sole. Nel portare avanti tale programma Kepler si rese conto che la relazione cercata non doveva riguardare le distanze dei pianeti (con esse infatti non veniva fuori alcuna armonia) ma la loro velocità o meglio le velocità angolari calcolate rispetto al Sole nel perielio e nell'afelio (in ipsis motibus, non in intervallis), in corrispondenza della massima e minima velocità (in tal modo egli fu in grado di riconoscere le proprietà armoniche delle orbite planetarie delle quali ho parlato quando ho riportato i brani musicali che i pianeti suonerebbero, razionalmente e non sonoramente, nelle loro evoluzioni nello spazio). Una osservazione va subito fatta: introdurre velocità significa introdurre tempi. La ricerca di Kepler che cerca corrispondenze tra velocità angolari e vibrazioni musicali(48) si spinse oltre a cercare una dipendenza tra raggi medi delle orbite planetarie e periodi di rivoluzione (o velocità). Tale ricerca, come accennato, era iniziata durante la redazione del Mysterium quando Kepler si accorse che esisteva una dipendenza tra i periodi dei pianeti e le loro distanze dal Sole. Come sempre si va a controllare se tale dipendenza è lineare, poi quadratica, ... e poi difficilmente si va oltre. Ma Kepler andò oltre trovando la terza legge che è la relazione che più gli stava a cuore, era quella che metteva in relazione la struttura del sistema solare con le armonie celesti rappresentate dalla musica.

Altre date importanti nella biografia di Kepler, che fu un autore molto prolifico, sono le seguenti.

Nel 1610 scrisse Dissertatio cum Nuntio Sidereo. Accoglieva con entusiasmo i lavori di Galileo ma, come già detto, non lo convincevano i satelliti di Giove. Sempre nello stesso anno, nella "Narratio",

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dopo varie osservazioni al telescopio, darà ragione completa a Galileo.

Nel 1611 scrisse la Diottrica. In tale opera Kepler studiò a fondo, tra l'altro, la rifrazione attraverso diversi mezzi, quella delle lenti (occupandosi di quel difetto delle lenti sferiche che oggi conosciamo come aberrazione sferica) e quindi quella atmosferica per perfezionare le osservazioni del cielo (di rifrazione si era già occupato nel suo Ad Vitellionem Paralipomena del 1604). Non riuscì a trovare una legge per la rifrazione (la cosa sarà realizzata anni dopo da Willebrord Snell e Descartes). Studiò inoltre per primo il meccanismo della visione e la formazione delle immagini e, trattando le lenti di forma conica, introdusse il termine fuoco (il punto dove vanno a convergere tutti i raggi emessi da un altro fuoco di quella curva).

Nel 1615 scrisse la Stereometria doliorum, un trattato sulla cubatura delle botti che darà un certo impulso a ricerche di analisi infinitesimale.

Tra il 1618 ed il 1620 pubblicò il ponderoso Compendio di astronomia copernicana nel quale estese le sue due prime leggi a tutti i pianeti. È da notare che questo libro sarà messo all'Indice nel 1632, in occasione del Processo a Galileo. Solo nel 1821 fu tolto da tale Indice.

Nel 1619 pubblicò un trattato sulle comete.

Nel 1627 pubblicò le Tavole Rudolfine, che sostituiranno definitivamente le precedenti e che per circa 100 anni saranno la bibbia di astronomi e naviganti. Quest'ultima opera vide la luce ad Ulm. Prima che in questa città egli aveva soggiornato a Linz ma anche da lì dovette fuggire a seguito di ulteriori persecuzioni di protestanti da parte dei cattolici. In particolare Kepler si occupò per molto tempo dell'accusa di stregoneria che cadde su sua madre, Caterina Guldenmann, nel 1615. Il processo durò sei anni dei quali uno passato dalla madre rinchiusa in una fortezza ed alla fine, nel 1621, in modo inaspettato, rilasciata appena in tempo per morire di morte naturale. Le preoccupazioni continue, le ingenti spese, le peregrinazioni che dovette affrontare in quell'epoca per tentare di vedere riconosciuti dei suoi diritti, oltre a portarlo alla miseria, gli minarono la salute. Si spense nel 1630 a Regensburg (Baviera) dove si era recato per avere riconosciute alcune sue spettanze dalla Dieta della città. Ma qui

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già siamo in epoca moderna nella quale opera o sta per operare: Galileo, Descartes, Huygens, Leibniz, Newton, .... Dal Seicento la scienza ricomincia ad acquistare autorità e a diventare motore di progresso civile e morale nonostante gli ostacoli, a volte criminali, delle varie chiese del mondo.

È doveroso ricordare che Kepler contribuì molto ad eliminare dal sistema copernicano molte difficoltà e stonature che rappresentavano ancora un retaggio delle filosofia aristotelica e della cosmologia tolemaica. Come Tycho mise in dubbio l'esistenza delle sfere che sostengono i pianeti e iniziò a parlare di "orbite" ed aggiunse anche il fatto che nell'universo non si hanno moti uniformi. Fu il primo a capire che era necessario individuare una causa che rendesse conto di questo moto dei pianeti su determinate orbite, oltre ad aver capito (ed iniziato con ciò ad eliminare le pitagorico-platoniche circonferenze e, come Tycho, le aristoteliche sfere cristalline) l'esistenza di orbite ellittiche. Infine fu uno dei primi scienziati a capire che la trattazione astronomica non può prescindere da quella fisica. Egli, anche se in modo errato, tentò di spiegare il moto dei pianeti in termini di forze attrattive da parte del Sole. Egli conservò comunque molto del sistema aristotelico, in particolare la chiusura del mondo dalla sfera delle stelle fisse. Siamo molto distanti da Giordano Bruno che immaginava l'esplosione del mondo aristotelico in infiniti mondi(46), qui non vi sono aperture possibili. L'universo è unico, è un sistema solare formato da solo sei pianeti con un Sole centrale che è il trono del Dio della Trinità.

SEGUE

NOTE

(43) Summa Theologica,

Quaestio 32

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Proemium

[29771] Iª q. 32 pr. Consequenter inquirendum est de cognitione divinarum personarum. Et circa hoc quaeruntur quatuor. Primo, utrum per rationem naturalem possint cognosci divinae personae. Secundo, utrum sint aliquae notiones divinis personis attribuendae. Tertio, de numero notionum. Quarto, utrum liceat diversimode circa notiones opinari.

Articulus 1

Ad primum sic proceditur. Videtur quod Trinitas divinarum personarum possit per naturalem rationem cognosci. Philosophi enim non devenerunt in Dei cognitionem nisi per rationem naturalem, inveniuntur autem a philosophis multa dicta de Trinitate personarum. Dicit enim Aristoteles, in I de caelo et mundo, per hunc numerum, scilicet ternarium, adhibuimus nos ipsos magnificare Deum unum, eminentem proprietatibus eorum quae sunt creata. Augustinus etiam dicit, VII Confes., ibi legi, scilicet in libris Platonicorum, non quidem his verbis, sed hoc idem omnino, multis et multiplicibus suaderi rationibus, quod in principio erat verbum, et verbum erat apud Deum, et Deus erat verbum, et huiusmodi quae ibi sequuntur, in quibus verbis distinctio divinarum personarum traditur. Dicitur etiam in Glossa Rom. I, et Exod. VIII, quod magi Pharaonis defecerunt in tertio signo, idest in notitia tertiae personae, scilicet spiritus sancti, et sic ad minus duas cognoverunt. Trismegistus etiam dixit, monas genuit monadem, et in se suum reflexit ardorem, per quod videtur generatio filii, et spiritus sancti processio intimari. Cognitio ergo divinarum personarum potest per rationem naturalem haberi.

[29773] Iª q. 32 a. 1 arg. 2 Praeterea, Ricardus de sancto Victore dicit, in libro de Trin., credo sine dubio quod ad quamcumque explanationem veritatis, non modo probabilia, imo etiam necessaria argumenta non desint. Unde etiam ad probandum Trinitatem personarum, aliqui induxerunt rationem ex infinitate bonitatis divinae, quae seipsam infinite communicat in processione divinarum personarum. Quidam vero per hoc, quod nullius boni sine consortio potest esse iucunda possessio. Augustinus vero procedit ad manifestandum Trinitatem personarum, ex processione verbi et amoris in mente nostra, quam viam supra

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secuti sumus. Ergo per rationem naturalem potest cognosci Trinitas personarum.

[29774] Iª q. 32 a. 1 arg. 3 Praeterea, superfluum videtur homini tradere quod humana ratione cognosci non potest. Sed non est dicendum quod traditio divina de cognitione Trinitatis sit superflua. Ergo Trinitas personarum ratione humana cognosci potest.

[29775] Iª q. 32 a. 1 s. c. Sed contra est quod Hilarius dicit, in libro II de Trin., non putet homo sua intelligentia generationis sacramentum posse consequi. Ambrosius etiam dicit, impossibile est generationis scire secretum, mens deficit, vox silet. Sed per originem generationis et processionis distinguitur Trinitas in personis divinis, ut ex supra dictis patet. Cum ergo illud homo non possit scire et intelligentia consequi, ad quod ratio necessaria haberi non potest, sequitur quod Trinitas personarum per rationem cognosci non possit.

[29776] Iª q. 32 a. 1 co. Respondeo dicendum quod impossibile est per rationem naturalem ad cognitionem Trinitatis divinarum personarum pervenire. Ostensum est enim supra quod homo per rationem naturalem in cognitionem Dei pervenire non potest nisi ex creaturis. Creaturae autem ducunt in Dei cognitionem, sicut effectus in causam. Hoc igitur solum ratione naturali de Deo cognosci potest, quod competere ei necesse est secundum quod est omnium entium principium, et hoc fundamento usi sumus supra in consideratione Dei. Virtus autem creativa Dei est communis toti Trinitati, unde pertinet ad unitatem essentiae, non ad distinctionem personarum. Per rationem igitur naturalem cognosci possunt de Deo ea quae pertinent ad unitatem essentiae, non autem ea quae pertinent ad distinctionem personarum. Qui autem probare nititur Trinitatem personarum naturali ratione, fidei dupliciter derogat. Primo quidem, quantum ad dignitatem ipsius fidei, quae est ut sit de rebus invisibilibus, quae rationem humanam excedunt. Unde apostolus dicit, ad Heb. XI, quod fides est de non apparentibus. Et apostolus dicit, I Cor. II, sapientiam loquimur inter perfectos, sapientiam vero non huius saeculi, neque principum huius saeculi; sed loquimur Dei sapientiam in mysterio, quae abscondita est. Secundo, quantum ad utilitatem trahendi alios ad fidem. Cum enim aliquis ad probandam fidem inducit rationes quae non sunt cogentes, cedit in irrisionem infidelium, credunt enim quod huiusmodi rationibus

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innitamur, et propter eas credamus. Quae igitur fidei sunt, non sunt tentanda probare nisi per auctoritates, his qui auctoritates suscipiunt. Apud alios vero, sufficit defendere non esse impossibile quod praedicat fides. Unde Dionysius dicit, II cap. de Div. Nom., si aliquis est qui totaliter eloquiis resistit, longe erit a nostra philosophia; si autem ad veritatem eloquiorum, scilicet sacrorum, respicit, hoc et nos canone utimur.

[29777] Iª q. 32 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod philosophi non cognoverunt mysterium Trinitatis divinarum personarum per propria, quae sunt paternitas, filiatio et processio; secundum illud apostoli, I ad Cor. II, loquimur Dei sapientiam, quam nemo principum huius saeculi cognovit, idest philosophorum, secundum Glossam. Cognoverunt tamen quaedam essentialia attributa quae appropriantur personis, sicut potentia patri, sapientia filio, bonitas spiritui sancto, ut infra patebit. Quod ergo Aristoteles dicit, per hunc numerum adhibuimus nos ipsos etc., non est sic intelligendum, quod ipse poneret ternarium numerum in divinis, sed vult dicere quod antiqui utebantur ternario numero in sacrificiis et orationibus, propter quandam ternarii numeri perfectionem. In libris etiam Platonicorum invenitur in principio erat verum, non secundum quod verbum significat personam genitam in divinis, sed secundum quod per verbum intelligitur ratio idealis, per quam Deus omnia condidit, quae filio appropriatur. Et licet appropriata tribus personis cognoscerent, dicuntur tamen in tertio signo defecisse, idest in cognitione tertiae personae, quia a bonitate, quae spiritui sancto appropriatur, deviaverunt, dum cognoscentes Deum, non sicut Deum glorificaverunt, ut dicitur Rom. I. Vel, quia ponebant Platonici unum primum ens, quod etiam dicebant esse patrem totius universitatis rerum, consequenter ponebant aliam substantiam sub eo, quam vocabant mentem vel paternum intellectum, in qua erant rationes omnium rerum, sicut Macrobius recitat super somnium Scipionis, non autem ponebant aliquam substantiam tertiam separatam, quae videretur spiritui sancto respondere. Sic autem nos non ponimus patrem et filium, secundum substantiam differentes, sed hoc fuit error Origenis et Arii. Sequentium in hoc Platonicos. Quod vero Trismegistus dixit, monas monadem genuit, et in se suum reflexit ardorem, non est referendum ad generationem filii vel processionem spiritus sancti, sed ad productionem mundi, nam unus Deus produxit unum mundum propter sui ipsius amorem.

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[29778] Iª q. 32 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod ad aliquam rem dupliciter inducitur ratio. Uno modo, ad probandum sufficienter aliquam radicem, sicut in scientia naturali inducitur ratio sufficiens ad probandum quod motus caeli semper sit uniformis velocitatis. Alio modo inducitur ratio, non quae sufficienter probet radicem, sed quae radici iam positae ostendat congruere consequentes effectus, sicut in astrologia ponitur ratio excentricorum et epicyclorum ex hoc quod, hac positione facta, possunt salvari apparentia sensibilia circa motus caelestes, non tamen ratio haec est sufficienter probans, quia etiam forte alia positione facta salvari possent. Primo ergo modo potest induci ratio ad probandum Deum esse unum, et similia. Sed secundo modo se habet ratio quae inducitur ad manifestationem Trinitatis, quia scilicet, Trinitate posita, congruunt huiusmodi rationes; non tamen ita quod per has rationes sufficienter probetur Trinitas personarum. Et hoc patet per singula. Bonitas enim infinita Dei manifestatur etiam in productione creaturarum, quia infinitae virtutis est ex nihilo producere. Non enim oportet, si infinita bonitate se communicat, quod aliquid infinitum a Deo procedat, sed secundum modum suum recipiat divinam bonitatem. Similiter etiam quod dicitur, quod sine consortio non potest esse iucunda possessio alicuius boni, locum habet quando in una persona non invenitur perfecta bonitas; unde indiget, ad plenam iucunditatis bonitatem, bono alicuius alterius consociati sibi. Similitudo autem intellectus nostri non sufficienter probat aliquid de Deo, propter hoc quod intellectus non univoce invenitur in Deo et in nobis. Et inde est quod Augustinus, super Ioan., dicit quod per fidem venitur ad cognitionem, et non e converso.

[29779] Iª q. 32 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod cognitio divinarum personarum fuit necessaria nobis dupliciter. Uno modo, ad recte sentiendum de creatione rerum. Per hoc enim quod dicimus Deum omnia fecisse verbo suo, excluditur error ponentium Deum produxisse res ex necessitate naturae. Per hoc autem quod ponimus in eo processionem amoris, ostenditur quod Deus non propter aliquam indigentiam creaturas produxit, neque propter aliquam aliam causam extrinsecam; sed propter amorem suae bonitatis. Unde et Moyses, postquam dixerat, in principio creavit Deus caelum et terram, subdit, dixit Deus, fiat lux, ad manifestationem divini verbi; et postea dixit, vidit Deus lucem, quod esset bona, ad ostendendum approbationem divini amoris; et similiter in aliis operibus. Alio modo, et

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principalius, ad recte sentiendum de salute generis humani, quae perficitur per filium incarnatum, et per donum spiritus sancti.

(44) Sarà l'inglese Thomas Digges il primo che, nel 1576, disegnerà un universo in cui le stelle non sono più sistemate su di un cerchio che fa da corona all'intero sistema solare, ma sparse al di fuori dell'ultima sfera che è quella dell'ultimo pianeta. Digges giustifica questo con motivi teologici e non astronomici. Egli dice:

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Il disegno del sistema copernicano fatto da Thomas Digges (1543-1575) nella sua opera A perfit Description of the Caelestiall Orbes del 1576. Da notare che l'opera è in inglese e quindi si iniziano a volgarizzare le conoscenze.

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La sfera delle stesse fisse infinitamente eccelsa si estende sfericamennte in altezza ed è quindi l'immobile edificio della felicità, ornata di innumerevoli maestose luci, esternamente risplendenti, di gran lunga superiori al nostro sole in quantità e qualità, la vera corte degli angeeli celesti, priva di dolore e colma di assoluta ed eterna gioia; dimora degli eletti ed aggiunge che noi: non saremo mai in grado di ammirare a sufficienza l'immensità... di quell'orbe fisso ornato di mille luci che si estende verso l'alto in altezza sferica infinita. Delle quali luci celesti bisogna pensare che noi percepiamo soltanto quelle situate nelle parti inferiori dell'orbe medesimo, così che, nella misura in cui sono più alte, sembrano di quantità viepppiù minore, finché, essendo la nostra vista incapace di andare a concepire oltre, la massima parte di esse ci rimane invisibile a cagione della distanza inaudita.

Il mondo appare dunque infinito con "centro" nel Sole. Ebbene proprio questa è una incongruenza del resto già presente ai predecessori medioevali, in quanto ciò che è infinito non ha centri o luoghi privilegiati. A buona ragione ogni punto dell'infinito è suo centro allo stesso modo che nessun punto gode di questa caratteristica.

(45) Da questi cenni e da altre cose dette è facile rendersi conto del ruolo di primo piano che hanno avuto e sempre più avranno gli strumenti di misura. Fino ad ora abbiamo parlato di misure di angoli, di tempi e di osservazioni ad occhio nudo. Più oltre si aggiungerà una visione più sofisticata con il cannocchiale di Galileo. Ognuno di questi strumenti avrà dei perfezionamenti molto importanti con il trascorrere del tempo. Per quel che riguarda le misure di angoli serviranno sestanti e teodoliti con successivi importanti perfezionamenti realizzati con l'avanzamento della tecnologia. La misura del tempo, sempre molto precaria, arrivò a importanti passi in avanti con il pendolo di Galileo e, soprattutto, con l'orologio a pendolo di Huygens. Anche il cannocchiale si perfezionerà, prima con i sistemi catottrici di Newton, quindi con lo sviluppo dell'ottica e la realizzazione di lenti in cui erano stati eliminati i vari difetti, ed infine con i grandi telescopi di Herschel. Occorre anche citare l'invenzione del micrometro in abbinamento, nei telescopi, con un sistema di mira formato da due fili sottilissimi a croce posti davanti all'obiettivo o all'oculare. Uno di tali fili fu poi reso spostabile mediante una vite

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micrometrica posta esternamente; in tal modo il filo fisso determinava la mira e quello mobile permetteva di misurare piccole distanze angolari (ad esempio due stelle vicine o il diametro apparente di un pianeta). Quando ve ne sarà occasione parlerò in dettaglio di qualcuno di tali strumenti.

(46) Giordano Bruno

Chi scosse la coscienza dell'Europa intera assegnando una valenza molto superiore alla teoria copernicana, fu Giordano Bruno (1548 - 1600). Non nascondo la mia profonda ammirazione per questo grande personaggio, uno dei principali sostenitori di tutti i tempi del libero pensiero contro l'oppressione oscurantista. Di Bruno ho già parlato e scritto molto e qui dico l'essenziale rimandando a questi scritti che si possono trovare qui e qui, scritti nei quali vi è anche la biografia di Bruno.

Il primo grande merito che va ascritto al fecondissimo pensatore di Nola è di aver propagandato, con forti argomenti e, per la verità, con l'aggiunta di molte idee originali, il copernicanesimo per tutta Europa. I contributi spettanti a Bruno, nella descrizione copernicana del mondo, riguardano prima di tutto il problema dell'infinità dell'universo e della pluralità di mondi e di soli. Egli prende le mosse da una critica serrata al concetto aristotelico di luogo ed al vecchio problema dell'ottava sfera. Come abbiamo visto, luogo è per Aristotele il limite adiacente al corpo contenente. Bruno osserva subito che mettendo insieme i due concetti che vogliono la finitezza del mondo insieme al fatto che al di là dell'ottava sfera non c'è nulla, si deve ricavare che il mondo è contenuto dal nulla. Dice Bruno (La cena delle ceneri, Londra 15

Se tu dici che non v'è nulla, il cielo, il mondo, certo, non sarà in parte di alcuna

ed aggiunge invece che:

Se il luogo non è la superficie ma un certo spazio, nessun corpo né alcuna parte del corpo, sia che il medesimo sia grandissimo o minimo, finito o infinito, sarà senza luogo.

Qual è allora il luogo-spazio per Bruno? file:///D|/CARTELLE SITO/FISICA_1/ASTRONOMIA_1_2_3_4/index-1816.htm (82 of 94)14/08/2009 16.02.18

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Uno è il loco generale, uno il spacio immenso che chiamar possiamo liberamente vacuo; in cui sono innumerabili ed infiniti globi, come vi è questo in cui vivemo e vegetamo noi. Cotal spacio lo diciamo infinito, perché non è raggione, convenienza, possibilità, senso o natura che debba finirlo... si diffonde per tutto, penetra il tutto ed è continente, contiguo e continuo al tutto, e che non lascia vacuo alcuno; eccetto se quello medesimo, come in sito e luogo in cui tutto si muove, e spacio in cui tutto discorre, ti piacesse chiamar vacuo, come molti chiamorno.

Ed ancora:

Uno dunque è il cielo, il spacio immenso, il seno, il continente universale, l'eterea regione per la quale il tutto discorre e si muove. Ivi innumerevoli stelle, astri, globi, soli e terre sensibilmente si veggono, ed infiniti raggionevolmente si argumentano. L'universo-immenso ed inifinito è il composto infinito che resulta di tal spacio e di tanti compresi corpi

Conseguenza immediata di tale concezione di spazio è da una parte il rifiuto della sfera delle stelle fisse:

Non son più né altramente fisse le altre stelle al cielo, che questa stella, che è la terra, è fissa nel medesimo firmamento, che è l'aria,

e dall'altra il rifiuto di ogni luogo privilegiato:

dimando se questo spacio che contiene il mondo, ha maggiore aptitudine di contenere un mondo, che altro spacio sia oltre,

cosicché l'universo copernicano solo per caso è qui e non altrove e quindi non c'è alcun motivo di considerarlo centro così come nessun altro sole va considerato come centro dell'universo. Si ha quindi a che fare con un universo infinito e popolato di infiniti mondi. In questo universo nessun luogo ha un privilegio particolare rispetto ad un altro. Vi sono infiniti soli ma vi sono anche infiniti pianeti e tra

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questi ve ne sono molti popolati.

Certamente questo universo che parte da Copernico, avanza di molto lo spunto da cui era nato. In esso non c'è più quasi niente della vecchia tradizione aristotelica, neanche le sfere cristalline su cui erano incastonati i corpi celesti, poiché Bruno, dapprima con considerazioni diverse e poi da alcune scoperte di comete di Tycho Brache (che vedremo tra un poco), argomentò l'impossibilità, appunto, della loro esistenza. [Si osservi che la cometa che, dal di fuori del sistema solare, entra in esso passando intorno al sole ed andandosene di nuovo verso lo spazio, rappresenta, un corpo materiale che deve attraversare, appunto, le varie sfere]. Facendo ciò queste ultime devono andare in frantumi.

Non c'è nulla da dire, le cose sostenute da Bruno hanno un notevole fascino ed una suggestione che si farà sentire molto, soprattutto dopo le scoperte galileiane col telescopio. Tra le altre molteplici cose, Bruno mette anche in discussione il fatto che le stelle siano «fisse». Egli dice:

Quindi accade quello errore, come a noi, che dal centro de l'orizonte, voltando gli occhi da ogni parte, possiamo giudicar la maggior e minor distanza da, tra, ed in quelle cose, che son più vicine, ma da un certo termine in oltre tutte ne parranno equalmente lontane; cossi, alle stelle del firmamento guardando, apprendiamo la differenza de' moti e distanze d'alcuni astri più vicini, ma gli più lontani e lontanissimi ne appaiono immobili, ed equalmente distanti e lontani, quanto alla longitudine ... Dunque che noi non veggiamo mollti moti in quelle stelle, e non si mostrino allontanarsi ed accostarsi l'une da l'altre, e l'une all'altre, non è perché non facciano cossi quelle come queste gli lor giri; atteso che non è raggione alcuna, per la quale in quelle non siano gli medesimi accidenti che in queste, per i quali medesimamente un corpo, per prendere virtù da l'altro, debba muoversi circa l'altro. E però non denno esser chiamate fisse perché veramente serbino la medesima equidistanza da noi e tra loro; ma perché il lor moto non è sensibile a noi. Questo si può vedere in esempio d'una nave molto lontana, la quale, se farà un giro di trenta o di quaranta passi, non meno parrà che la stii ferma, che se non si muove;se punto. Cossi,

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proporzionalmente, è da considerare in distanze maggiori, in corpi grandissimi e luminosissimi, de' quali è possibile che molti altri ed innumerabili sino cossi grandi e cossi lucenti come il sole e di vantaggio. I circoli e moti di quali molto più grandi non si veggono; onde se in alcuni astri di quelli accade varietà d'approssimanza, non si può conoscere, se non per lunghissime osservazioni; le quali non son state cominciate, né perseguite, perché tal moto nessuno l'ha creduto, né cercato, né presupposto; e sappiamo che il principio de l'inquisizione è il sapere e conoscere, che la cosa sii, o sii possibile, e conveniente", e da quello si cave profitto.

Si osservino le ultime cose" che Bruno dice. Sono significative perché descrivono bene il «metodo» di Bruno: egli fa un'ipotesi ed attende poi verifiche sperimentali (le osservazioni); inoltre le osservazioni discendono da preesistenti giudizi e concezioni. Oltre a ciò Bruno ha modo di negare l'esistenza di ogni sorta di sfera cristallina:

Questi corpi mondani si muovono nell'eterea regione non affissi o inchiodati in corpo alcuno più che questa terra, che è un di quelli, è affissa.

Infine elimina l'aristotelico «motore immobile» affermando che: «il primo principio non è quello che muove; ma, quieto ed immobile, da' il poter muoversi».

Bruno era certamente influenzato dalle opere dei grandi dell'antichità classica che proprio in quegli anni venivano ritrovate in biblioteche in cui erano rimaste sepolte per secoli. Di questi filosofi egli più volte si trova a tessere le lodi, sostenendo:

Sono amputate radici che germogliano, sono cose antique che rinvengono, sono veritadi occulte che si scuoprono: è un nuovo lume che, dopo lunga notte, spunta all'orizzonte ed emisfero de la nostra cognizione, e a poco a poco s'avvicina al meridiano de la nostra intelligenza

e certamente il riconoscimento di Bruno servì, come sostiene Kuhn, a scoprire e a spiegare l'affinità esistente tra la filosofia antica e quella moderna tra l'altro perché "il vuoto infinito degli atomisti forniva

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una dimora naturale al sistema solare copernicano o piuttosto a molti sistemi solari" (Kuhn).

Il riconoscimento dell'affinità propagandata da Bruno servì alla trasformazione del cosmo copernicano finito in un universo infinito e multipopolato. In questo nuovo universo si sentiva il bisogno di una nuova fisica e Bruno avvertì ciò cominciando ad argomentare soprattutto riguardo a problemi cinematici e dinamici a sostegno della Terra in moto intorno al Sole. Per ciò che ci interessa più direttamente, egli svolse una grossa mole di lavoro, soprattutto per chiarire e risolvere alcuni problemi che più gli stavano a cuore: quelli che riguardavano la relatività della posizione, del moto e perfino del tempo e delle lunghezze. D'altra parte queste convinzioni relativistiche sono alla base anche della sua concezione dell'universo. Per Bruno l'affermare l'inesistenza di un centro per l'universo equivale a dire che non c'è nessun punto in cui si possa dare una descrizione particolare dell'universo stesso. A soccorrerlo su questa strada erano osservazioni naturali che si potevano effettuare sulla Terra. Queste osservazioni erano per lo più tratte dalla vita marinara, così come lo saranno per molti contemporanei, in particolare per Galileo, perché la navigazione aveva avuto enormi sviluppi in quell'epoca di grandi viaggi. Secondo Bruno ci possiamo rendere conto di che cosa significa il descrivere in modo diverso, a seconda di dove lo osserviamo, un avvenimento se solo pensiamo al fatto che da una barca che corre lungo un fiume sono le rive del fiume che sembrano marciare in verso opposto. Inoltre quando, di notte, due navi, con mare perfettamente calmo, cambiano la reciproca posizione c'è impossibile capire quale delle due si stia muovendo. Ciò è maggiormente vero se è impossibile vedere la costa, ed inoltre, per la verità, non siamo neanche in grado di dire se tutte e due insieme esse si stiano muovendo. Volendo poi riguardare le cose più in dettaglio, se ambedue le navi mantenendo fissa la loro posizione reciproca, si spostano, noi non siamo in grado di percepire questo movimento. In questo caso il moto e la quiete si equivalgono. E fin qui le argomentazioni portate sono abbastanza in linea con altri filosofi naturali del tempo di Bruno. Per quanto riguarda cioè il principio cinematico di relatività non ci sono problemi che alcuno possa porre. Ma Bruno fa un grande passo in avanti estendendo il principio di relatività alla dinamica. Questa cosa non era certamente facile perché per la sua soluzione doveva in qualche modo essere dato il principio d'inerzia. Ma Bruno lo intuì anche se partendo dalle considerazioni dell'impetus, per cui "la pietra porta con sé la virtù del motore".

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Cerchiamo di capire qual era la difficoltà che Bruno doveva superare. Secondo la fisica aristotelica ed anche secondo gli scolastici e comunque coloro che contestavano il copernicanesimo, tutte le esperienze dinamiche che uno può pensare o fare sulla Terra, portano inevitabilmente ad affermare che la Terra stessa è ferma. E' evidentemente la dinamica aristotelica priva di principio di inerzia, alla base di questa erronea conclusione. Bruno parte anche qui da un'osservazione tratta dalla vita marinara. Egli suppone di avere una nave che marci a gran velocità. Su questa nave un marinaio getta un grave dall'alto dell'albero maestro. Questo grave cadrà con una traiettoria perpendicolare al piano della nave, mantenendosi parallelo all'albero, ed andando a finire ai piedi di esso. Tutto ciò andrà in modo non differente da quando la nave è ferma. Allo stesso modo, osserva Bruno, quando la nave, ora vista, è in corsa, se qua1cuno spicca un salto a piedi pari ricadrà esattamente dove era prima di saltare. In definitiva, secondo Bruno:

le cose che hanno fissioni o simili appartenenze alla nave, si muovono con quella e se così non fosse, come abbiamo detto: quando la nave corre per il mare, giammai alcuno potrebbe trarre per diritto qualche cosa da un canto di quella all'altro, e non sarebbe possibile che uno potesse fare un salto, o ritornare co' piè, onde li tolse.

Certamente Bruno non possedeva i concetti di moto rettilineo uniforme, di accelerazione od altro di simile, ma certamente nelle cose ora viste c'è un abbozzo del principio dinamico di relatività che verrà poi formulato con maggiore precisione da Galileo. Egli comunque insiste ancora sul concetto che tutti gli oggetti hanno la velocità del corpo che li trasporta portando un'altra esperienza ideale a sostegno della sua tesi e sviluppando, quindi, con maggiore precisione i problemi connessi con i moti relativi. Bruno suppone che una barca, trasportata dalla corrente di un canale, marci velocemente vicinissima alla sponda. Sulla nave c'è un certo osservatore O e sulla riva un osservatore O'. Ambedue gli osservatori tengono le braccia tese: O verso la riva e O' verso la nave. Ciascun osservatore ha nella mano una palla di ferro. Appena O e O' passano a sfiorarsi con le mani, lasciano cadere la palla di ferro che hanno in mano, in modo che ambedue le palle cadano sulla coperta della nave. Cosa osserva O dalla nave? La palla che egli ha lanciato è caduta perpendicolarmente sulla coperta della nave. Mentre la palla

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lasciata da O' ha seguito, per O, una traiettoria obliqua tant'è vero che è più indietro rispetto a quella lasciata da O. Pare incredibile, ma qui Bruno riesce e ribaltare il problema. Con una notevole capacità di persuasione, fa capire che cambiando punto di osservazione è sulla terra ferma che si hanno deviazioni dalla caduta al suolo lungo una traiettoria verticale; su una nave, invece, anche se è in moto, le cose vanno come se essa stesse "ferma". In definitiva per Bruno la palla che O fa cadere non è dotata solo del moto di caduta ma anche di un moto orizzontale che ha anche quando si stacca dalla mano perché mantiene "la virtù del motore" e non perché c'è qualche sorta di spinta che l'aria dà come sosteneva Aristotele.

In definitiva Bruno fu il più grande propagandatore di Copernico per tutta Europa e fu anche colui che mise in profondo allarme la Chiesa sul potenziale distruttivo per il tomismo del copernicanesimo. La messa in discussione di un punto di quel sistema avrebbe fatto crollare tutta la base filosofica colta che sorreggeva la Chiesa medesima e che, in modo assolutamente incomprensibile, continua ancora a sostenere.

(47) Chi non ricordasse questi termini astronomici può vedere la figura seguente:

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(48) Supponiamo che esista una tale corrispondenza tra velocità angolari e numero di vibrazioni in modo che una alta velocità desse conto di un tono acuto mentre una velocità bassa di un tono grave, risulterebbe che, poiché le velocità angolari dei pianeti cambiano in ogni punto della loro orbita, anche i toni corrispondenti subirebbero delle modificazioni. Poiché poi le velocità variano a seconda dell'eccentricità dell'orbita, ciascun pianeta ha suoi particolari toni. Poiché infine il sistema solare è unico, si dovranno considerare insieme tutti questi suoni che daranno origine all'armonia dell'universo di cui si discute. Ed è proprio la corrispondenza tra le musiche dei singoli pianeti e i loro parametri cinematici che Kepler va cercando.

BIBLIOGRAFIAfile:///D|/CARTELLE SITO/FISICA_1/ASTRONOMIA_1_2_3_4/index-1816.htm (89 of 94)14/08/2009 16.02.18

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