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STORIA DELLA MODA Benedetta Del Romano

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STORIA DELLA MODA Benedetta Del Romano

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LA NASCITA DEL PRÊT-À-PORTER ITALIANO

La grande industria italiana non era adatta ad affrontare un cambiamentocosì radicale come quello dell’avvento delle mode giovanili e non sapevarispondere con successo alla richiesta di prodotti industriali con uncontenuto moda che accontentasse il pubblico giovanile.

La Max Mara fu l’unica grande azienda che seppe intercettare il pubblicogiovane creando una linea ad hoc, la Sportmax.

L’alta sartoria italiana aveva iniziato a proporre seconde linee di altamoda pronta, che però rimanevano ancorate alle propostestilistiche delle collezioni di alta moda.

Dal 1967 le passerelle di Palazzo Pitti furono dedicateesclusivamente a queste seconde linee di prêt-à-porter di lusso.

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Queste collezioni di prêt-à-porter di lusso non erano ancora capaci diesprimere una originalità stilistica, ma contemporaneamenteiniziarono ad essere aperte delle boutique che vendevano abitid’importazione e piccole collezioni proprie, destinate ad un pubblicogiovane.

Nacquero quindi punti vendita destinati ai giovani e alla «moda giovane»simili a quelli già presenti in altre capitali europee.

Nel 1963 a via della Spiga fu inaugurato Cose, creato da Nuccia Fattori,che proponeva maglieria e abiti francesi, insieme ad alcuni abiti prodottiin proprio.

Nel 1966 fu aperto da Gabriella Barassi Gulp in via Santo Spirito, il cuiarredamento molto all’avanguardia, era realizzato da Amalia del Ponte.

LA NASCITA DEL PRÊT-À-PORTER ITALIANO

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GULP 1966

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Nel 1967 Elio Fiorucci, che dopo l’apprendistato presso la fabbrica dipantofole del padre era stato folgorato dalla moda londinese, aprì la suaboutique «Fiorucci» vicino San Babila. Capì che la novità della moda delmomento stava nel suo nascere dal basso, senza essere imposta dall’altoe decise di aprire un grande negozio dedicato alla moda giovane conprezzi bassi e buona qualità, nonché un’offerta molto varia e rinnovatamolto spesso.

In breve tempo vennero aperte succursali a Londra (1975), a New York(1975) e a Los Angeles (1979).

Anche in questo negozio esisteva una linea propria, creata appositamenteper la boutique stessa.

LA BOUTIQUE «FIORUCCI»

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FIORUCCI 1967

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Una trasformazione sostanziale del settore moda venne proprio da questeboutique che erano capaci di proporre novità. Per stare dietro a questecontinue innovazioni era necessario una produzione snella che siadattasse alle nuove idee anche dal punto di vista della lavorazione.

La maglieria era una tecnica molto adatta per rispondere a questeesigenze.

Occorrevano delle figure nuove di creativi che sapessero cogliere le novitàe proporle al pubblico giovanile, che fossero essi stessi giovani e cheavessero un gusto internazionale.

Spesso questi stilisti, che lavoravano come free lance, avevano unaformazione francese ed erano professionisti del settore.

LA NASCITA DEL PRÊT-À-PORTER ITALIANO

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Questi nuovi professionisti avevano il compito di inventare uno stile dapresentare al pubblico, che era giovane e sempre più ampio. Le modevenivano dal basso e si moltiplicavano, quindi era necessario che ilcreatore di moda sapesse scegliere uno stile in cui identificarsi ed essereidentificato.

I primi stilisti di questa fase della nascita prêt-à-porter italianoiniziarono a scegliere stili riconoscibili e che li differenziassero.

Missoni scelse di identificarsi con i giochi di colore della maglieria e laricerca sui materiali. Krizia s’identificò con uno stile ironico ed eccessivo,con il quale interpretava le mode del momento. Walter Albini puntò invecesul revival che, dopo il grande interesse verso la modernità degli annisessanta, iniziò a pervadere diversi campi, dal cinema, all’arte figurativa.

LO SVILUPPO DEL PRÊT-À-PORTER ITALIANO – LO STILE

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Walter Albini aveva iniziato a sfilare a Milano, nel ‘74 avevano trasferito le propriesfilate anche Missoni e Krizia e presto tutti gli stilisti seguirono il suo esempio:Milano diventò di fatto la capitale del prêt-à-porter italiano, cosa che vennericonosciuta anche all’estero. Alcune iniziative promosse da Federtessile eportate avanti da l’AIIA e dall’Associazione Magliecalze, sancirono la definitivaconsacrazione di Milano come capitale del settore.

Iniziarono presto a comparire nuovi nomi, ovvero Versace, Armani e Ferré.

La fine degli anni ‘70 rappresentò un punto di svolta nella storia del Made in Italye della moda italiana. Nonostante il periodo cupo che attraversava il paese,l’Italia viveva un periodo di ripresa produttiva con un aumento dei consumi internie buoni risultati nelle esportazioni.

Nel 1978 le sfilate organizzate alla Fiera Campionaria di Milano, che sitrasformarono successivamente in «Milano Collezioni», iniziarono ad ospitaretutti i nomi del prêt-à-porter italiano.

LO SVILUPPO DEL PRÊT-À-PORTER ITALIANO – LO STILE

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Con le rivendicazioni femministe e l’adozione dei pantaloni da partedelle donne, con l’uomo che cercava alternative al completoformale, s’imponeva un modo di vestire meno legato al genere. Inuovi stilisti si dedicarono ad un abbigliamento più adatto ai tempimoderni. Era un abbigliamento «casual» o «destrutturato» secondouna definizione di Armani.

L’abbigliamento «casual» era un abbigliamento non formale, cherispettava il corpo senza costringerlo, salvaguardandone ilbenessere.

L’Oriente e l’antichità fornirono un’ispirazione per questo nuovotipo di abbigliamento.

LO SVILUPPO DEL PRÊT-À-PORTER ITALIANO – LO STILE

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Contemporaneamente alla ricerca di uno stile originale e identificativo,iniziava a diffondersi un nuovo modello produttivo che prevedeva lacollaborazione fra stilisti e industria.

Armani iniziò una collaborazione con il GFT (Gruppo Finanziario Tessile),nel 1977, che era in una profonda crisi. Lo stilista impose le proprieistanze al GFT e divenne mero produttore delle collezioni Armani checontrollava anche la comunicazione e la distribuzione.

In seguito a questo accordo il GFT rivide i suoi contratti con Ungaro e nestipulò uno con Valentino.

LO SVILUPPO DEL PRÊT-À-PORTER ITALIANO – L’INDUSTRIA

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Altri esempi di questo nuovo tipo di accordi tra stilista e industria furono:

- La società tra Ferré e Mattioli, che era alla pari però rese nota alpubblico solo la griffe Gianfranco Ferré.

- La società Gianni Versace srl che affidò la produzione a più industriespecializzate, scelte in base al settore merceologico che non avevanoparte nella società.

Altre aziende, come Max Mara, continuarono ad avere un tipo diverso dirapporto con gli stilisti, nel quale a prevalere era il marchio dell’aziendaproduttrice e non il nome dello stilista, che rimaneva perlopiù nascosto alpubblico.

LO SVILUPPO DEL PRÊT-À-PORTER ITALIANO – L’INDUSTRIA

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Il modello produttivo decentrato, caratterizzato dalla sinergia di piccoleaziende concentrate in distretti era adatto a soddisfare le necessità divelocità e qualità del mercato.

Il lavoro di tutta la filiera doveva essere razionalizzato e coordinato dallostilista-progettista.

Per la realizzazione delle collezioni di prêt-à-porter era necessarioquindi rivolgersi alla manifattura tradizionale ma anche a centricapaci di innovazione di prodotto che potevano venire incontro allenuove esigenze del mercato.

La dimensione ridotta di queste aziende terziste garantiva duttilitàe velocità nel soddisfare le richieste dello stilista.

LO SVILUPPO DEL PRÊT-À-PORTER ITALIANO – L’INDUSTRIA

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I PRIMI ANNI ‘80

Gli anni ‘80 portarono con sé un nuovo culto del corpo, che venivaplasmato con jogging, aerobica, danza e doveva apparire sempreabbronzato, atletico e sano.

I nuovi miti erano il successo, il denaro e la carriera. Gli yuppiesincarnavano questi nuovi ideali e la loro divisa fatta di completi perfetti,camicie immacolate e capelli impomatati diventarono l’immagine di unmondo ambizioso e senza scrupoli.

Anche le mode giovanili da strada rispondevano a questa ricerca di lussoincurante delle spese: era l’epoca dei «paninari», ragazzi della Milano-bene rivestiti di capi griffati e riconoscibili.

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YUPPIES Anni ‘80

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PANINARI Anni ‘80

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Un grande attestato della popolarità del prêt-à-porter italiano arrivòquando «Time», nel 1982, mise in copertina Giorgio Armani.

In realtà però in quegli anni si stava attraversando un momento didifficoltà. La moda prêt-à-porter italiana stava diventando semprepiù lussuosa e ricercata, e rivaleggiava quasi con la couture. Aquesto punto Armani si rese conto della necessità di fare abitiportabili e non solo creazioni di design.

Nacquero delle seconde linee che soddisfacevano questa necessitàe che erano rivolte ad un pubblico di massa, caratterizzate daversioni meno estreme delle linee sperimentali presentate nelleprime linee.

I PRIMI ANNI ‘80

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Esistevano poi delle terze linee, quelle giovanili. È i caso di EmporioArmani nata nel 1981 che veniva venduta in negozi monomarca. Vi sitrovavano jeans griffati e collezioni maschili e femminili che coniugavanoprezzo accettabile dal pubblico giovane e immagine innovativa e ditendenza. Queste linee avevano generalmente un’immagine piùtrasgressiva.

Esistevano poi le licenze che servivano a vendere prodotti con un alto«contenuto moda» utilizzando la fama della griffe.

La prima linea era dedicata alla sperimentazione e alle ricerche creativedello stilista ed era dedicata da un pubblico elitario, sebbene più ampio diquello tradizionalmente esclusivo della couture. Serviva a tenere vival’attenzione sul marchio e a comunicare le nuove tendenze.

I PRIMI ANNI ‘80

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I nuovi ricchi aveva necessità di sfoggiare la propria ricchezza in uncontesto in cui erano venuti meno i modelli tradizionali dell’apparire. Legriffe della moda italiana rappresentavano la chiave estetica dei nuoviconsumi e divennero uno status symbol.

Gli anni ‘80 vennero caratterizzati, così, da un’eleganza aggressiva esfacciata. Il made in Italy era diventato una garanzia di qualità edeleganza e i vari marchi della moda avevano saputo trovare delle giustestrade stilistiche per differenziarsi tra di loro e trovare delle identità nettee riconoscibili.

Molti stilisti, per enfatizzare la personalizzazione delle loro griffe, scelserodi cambiare location per le loro sfilate, abbandonando la Fiera perspostarsi in spazi diversi.

I PRIMI ANNI ‘80

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LE DONNE IN CARRIERA

Le «donne in carriera», che dovevano combattere per imporsi nel mondodel lavoro, erano le «eroine» degli anni ‘80.

Il tailleur divenne la divisa della donna lavoratrice e al contempo sitrasformò nella sua corazza.

Le spalle imbottite, il torace ingrandito, andavano ad enfatizzare la partesuperiore del corpo. Si riproponevano elementi maschili costruendo unasiluette artificiale che doveva dare credibilità alla donna in un mondo diuomini.

L’abito indicava un ruolo, un’armatura lussuosa che dava forza alla donna.

La giacca era la nuova divisa femminile da abbinare a diversi capi. Ognistilista la propose in una sua versione più o meno aggressiva o più omeno sexy.

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UNA DONNA IN CARRIERA

1988

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IL SUCCESSO DEL MADE IN ITALYI nomi del prêt-à-porter italiano diventarono sinonimo di stile e dibuon gusto. Il made in Italy diventò uno status symbol ed eraricercato da tutti.

Lo stilista aveva soppiantato il couturier nell’interpretazione della societàe nel cercare di sintetizzarla in uno stile adatto ad una clientelainternazionale.

La boutique monomarca diventa il luogo deputato agli acquisti o davisitare per conoscere le ultime novità della moda.

Le classi medie riconoscevano la continuità con la couture e utilizzaronole creazioni degli stilisti come rappresentazione del proprio potere e delproprio ruolo sociale.

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Lo stile italiano aveva saputo imporsi, rispondendo al desiderio dimostrarsi alla moda e dava la possibilità di scegliere fra i vari stilidistintivi delle varie griffe.

Armani significava funzionalità e discrezione, esprimeva una classicitàadeguata ai tempi moderni.

Ferré proponeva una immagine di donna più raffinata che accostavaelementi etnici e effetti couture, portando avanti una sperimentazione suimateriali.

Versace era aggressività e provocazione, era uno stile preso dal mondodello spettacolo.

IL SUCCESSO DEL MADE IN ITALY

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Gli stilisti iniziarono ad estendere i prodotti marchiati dalle loro griffeattraverso un diffuso sistema di licenze, che iniziarono ad articolare deiveri e propri total look.

Le sfilate diventavano show mirabolanti, con protagoniste le top model piùfamose e l’immagine del marchio doveva essere sempre coerente ecostantemente veicolata attraverso tutti gli strumenti di comunicazionedisponibili.

Il prêt-à-porter era diventato «la moda» che non era più eterodiretta e destinata adelle élite ristrette e aristocratiche. Iniziavano ad esistere stili diversi in cuipersone diverse potevano riconoscersi.

Oltre alle tendenze che rappresentavano la nuova società rampante degli anni ‘80emersero nuovi stili, derivati dagli stili di strada che rispondevano ai bisogni dialtri gruppi sociali.

IL SUCCESSO DEL MADE IN ITALY

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MODE DI STRADA

È il caso di Vivienne Westwood o Jean Paul Gaultier. La creatività dellaWestwood, che aveva iniziato la sua esperienza nella moda all’interno delmovimento punk, rappresentò l’inizio di una rinascita stilistica per Londrache divenne il luogo delle ricerche più eccentriche ed estreme.

Altri stili traevano origine dallo sportswear americano, dando vita amodelli ricercati nei tessuti ma dal taglio pulito e rigoroso. Questa modaera destinata a coloro che volevano differenziarsi dai nuovi ricchieccessivi e vistosi. Esempi di questo stile sono Donna Karan e Jil Sander.Questo stile diede poi vita al cosiddetto «pauperismo di lusso» di cuisaranno interpreti Prada ed Helmut Lang.

La ricerca di un’eleganza intellettuale diede vita ad uno stile intimista dicui divennero maestri gli stilisti giapponesi che introdussero nuovilinguaggi e portarono nuove ricerche stilistiche.

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LA NUOVA RICERCA STILISTICA

I primi stilisti giapponesi a sfilare a Parigi furono Kenzo e Issey Miyakenegli anni ‘70. Ma le proposte più dirompenti arriveranno negli anni ‘80con le creazioni di Rei Kawakubo, che aveva dato vita a Comme desGarçons, e di Yohij Yamamoto che iniziarono un nuovo modello culturalee vestimentario che ibridizzava senza esotismi la tradizione orientale concapi occidentali.

Negli anni ’90, dalla ricerca dello stilismo nipponico, prese spuntoun’avanguardia europea formata da alcuni stilisti formatisi pressol’accademia delle Belle Arti di Anversa. Questi stilisti cercavano ladecostruzione del capo e la sperimentazione più radicale, arrivandoperfino a cercare di negare la logica della griffe utilizzando delle etichettebianche, come nel caso di Margiela.

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LA RISPOSTA DELLA MODA ITALIANALa Moda italiana rispose a queste sperimentazioni con il lusso el’opulenza, ma le vendite iniziarono a registrare delle flessioni visti i costisempre maggiori. Negli anni tra l’ ‘89 e il ’90 molti nomi della moda italianisi trovavano a Parigi cimentandosi con l’haute couture d’oltralpe.

I problemi della moda italiana furono aumentati da alcune situazionicontingenti: la morte di Moschino e l’assassinio di Gianni Versace, larottura del sodalizio creativo tra Anna Domenici e Mariuccia Mandelli, ildifficile rientro di Ferré dopo l’esperienza da Dior.

Nonostante questo, il prêt-à-porter italiano sopravvisse, ma solo pochi nomi,come Armani e Dolce&Gabbana, seppero mantenere la posizione guadagnatanegli anni ‘80 nel mercato internazionale, mentre uno dei pochi che riuscì amantenere alta la capacità innovativa fu Antonio Marras, grazie al recupero diantiche tradizioni artigianali e culturali sapientemente reinterpretate.