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11 Storia della lotta alla varroa N el corso degli ultimi 30 anni, sono stati passati in rassegna diversi acaricidi. Nessuno ha avuto parti- colare fortuna. L’uso prolungato e spesso indiscri- minato ha portato nel tempo a problemi di resistenza degli acari, in particolare della varroa, nei confronti dei principi attivi utilizzati.A oggi, la lotta chimica non ha alcuna chan- ce. Le firme dell’agrochimica non sembrano interessate a investire nella ricerca di nuovi prodotti, perché il settore apistico non è economicamente interessante. D’altra parte, anche la lotta biologica presenta qualche problema. Le problematcità nella lotta alla varroa è dovuta, oltre che ai problemi di resistenza prima accennati, alla difficoltà di trovare sostanze che uccidano l’acaro senza nuocere alle api (acari e insetti sono biologicamente simili), al ciclo di vita della varroa che avviene prevalentemente nelle celle opercolate, dove i principi attivi non arrivano, e che ha una durata variabile, alle condizioni climatiche che influiscono sull’efficacia dei prodotti, specialmente di quelli di origine naturale, più aspecifica. Oltre a ciò, l’azione degli apicoltori spesso scollegata dalle strategie territoriali, vanifica l’efficacia degli interventi.Trat- tare le colonie in periodi diversi da altri apicoltori dello stesso territorio non impedisce le reinfestazioni degli alvea- ri dovute a derive, saccheggi, sciamature che sono la causa prima di diffusione della varroa tra apiari. La storia degli acaricidi inizia con la fine degli anni ’60, con la phenotiazina contro la Braula coeca e il clorobenzilate contro Acarapsis woodi. Entrambi i prodotti non offrivano un’efficacia particolarmente elevata e, in particolare, il clorobenzilate provoca sterilità e mortalità della regina. A metà degli anni ’70, entra in commercio il Folbex, a base di bromopropilato. Oggi è in disuso, anche se tra tutti i prodotti è tra i meno tossici sia per l’ape sia per l’uomo (classe di tossicità III per l’Organizzazione Mondiale della Sanità e IV per l’Agenzia di Protezione per l’Ambiente). Alla fine degli anni ’70 è la volta dei cosiddetti prodotti naturali. Entrano in campo timolo e acido formico, tuttora molto utilizzati. All’inizio degli anni ’80 vengono riscoperti coumaphos e amitraz, già usati in agricoltura negli anni ‘40-50. Oggi esi- stono due prodotti: Perizin (a base di coumaphos) e Apivar (strisce a base di amitraz) ammessi per la lotta alla var- roa. Il primo ha però problemi di resistenza in diverse zone del territorio nazionale, per il secondo la resistenza è riconosciuta negli USA e nei Balcani, e si sospetta che il fenomeno sia presente anche da noi. In entrambi i casi, comunque, l’efficacia non è elevatissima. La varroa sembra sconfitta a metà degli anni ’80, con la scoperta di altri acidi organici (acido lattico e acido ossali- co), del cimiazolo (Apitol), ma in particolare di due piretroidi: flumetrina (Bayvarol) e fluvalinate (Apistan). La carat- teristica di quest’ultimi è di essere quasi perfetti: tollerati molto bene dalle api, efficacia elevata e i residui nel miele limitati, tutto ciò anche sia per l’elevata affinità dei principi attivi per i grassi (99% finiva nella cera) sia per i bassi dosaggi sufficienti ad uccidere la varroa. Purtroppo, nel giro di pochi anni, le varroe sono diventate resistenti ai pire- troidi, togliendo ogni illusione agli apicoltori che credevano di aver risolto il problema della varroa. L’Apitol è invece un prodotto da usare in assenza di covata ma con temperature sopra ai 10°C,pena la mortalità della api. I due fattori sono raramente coincidenti. Non ci sono dati di efficacia conosciuti. Il prodotto è tra i pochi regi- strati, tuttavia non viene molto utilizzato. Tra gli acidi organici, quello che sicuramente ha avuto più fortuna e che oggi viene largamente utilizzato e consi- gliato da molti Responsabili Veterinari, come trattamento autunnale, è l’acido ossalico. Pur non conoscendosene il meccanismo d’azione, si è riscontrata un’efficacia, in assenza di covata, superiore al 90%. Il doppio trattamento viene sconsigliato, specialmente in zone umide dove il prodotto persiste più a lungo, per problemi di mortalità alle api. Dall’’85 in poi, l’industria farmaceutica non ha prodotto più nulla. Non solo il mercato è economicamente poco rilevante, ma anche l’abitudine al “fai da tè” degli apicoltori ha disincentivato le multinazionali dal ricercare nuove molecole.

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Storia della lotta alla varroa

Nel corso degli ultimi 30 anni, sono stati passati inrassegna diversi acaricidi. Nessuno ha avuto parti-colare fortuna. L’uso prolungato e spesso indiscri-

minato ha portato nel tempo a problemi di resistenza degliacari, in particolare della varroa, nei confronti dei principiattivi utilizzati.A oggi, la lotta chimica non ha alcuna chan-ce. Le firme dell’agrochimica non sembrano interessate ainvestire nella ricerca di nuovi prodotti, perché il settoreapistico non è economicamente interessante. D’altra parte,anche la lotta biologica presenta qualche problema.Le problematcità nella lotta alla varroa è dovuta, oltre cheai problemi di resistenza prima accennati, alla difficoltà ditrovare sostanze che uccidano l’acaro senza nuocere alleapi (acari e insetti sono biologicamente simili), al ciclo divita della varroa che avviene prevalentemente nelle celleopercolate, dove i principi attivi non arrivano, e che ha unadurata variabile, alle condizioni climatiche che influisconosull’efficacia dei prodotti, specialmente di quelli di originenaturale, più aspecifica.Oltre a ciò, l’azione degli apicoltori spesso scollegata dallestrategie territoriali, vanifica l’efficacia degli interventi.Trat-tare le colonie in periodi diversi da altri apicoltori dellostesso territorio non impedisce le reinfestazioni degli alvea-ri dovute a derive, saccheggi, sciamature che sono la causaprima di diffusione della varroa tra apiari.La storia degli acaricidi inizia con la fine degli anni ’60, conla phenotiazina contro la Braula coeca e il clorobenzilatecontro Acarapsis woodi. Entrambi i prodotti non offrivano un’efficacia particolarmente elevata e, in particolare, ilclorobenzilate provoca sterilità e mortalità della regina.A metà degli anni ’70, entra in commercio il Folbex, a base di bromopropilato. Oggi è in disuso, anche se tra tutti iprodotti è tra i meno tossici sia per l’ape sia per l’uomo (classe di tossicità III per l’Organizzazione Mondiale dellaSanità e IV per l’Agenzia di Protezione per l’Ambiente).Alla fine degli anni ’70 è la volta dei cosiddetti prodotti naturali. Entrano in campo timolo e acido formico, tuttoramolto utilizzati.All’inizio degli anni ’80 vengono riscoperti coumaphos e amitraz, già usati in agricoltura negli anni ‘40-50. Oggi esi-stono due prodotti: Perizin (a base di coumaphos) e Apivar (strisce a base di amitraz) ammessi per la lotta alla var-roa. Il primo ha però problemi di resistenza in diverse zone del territorio nazionale, per il secondo la resistenza èriconosciuta negli USA e nei Balcani, e si sospetta che il fenomeno sia presente anche da noi. In entrambi i casi,comunque, l’efficacia non è elevatissima.La varroa sembra sconfitta a metà degli anni ’80, con la scoperta di altri acidi organici (acido lattico e acido ossali-co), del cimiazolo (Apitol), ma in particolare di due piretroidi: flumetrina (Bayvarol) e fluvalinate (Apistan). La carat-teristica di quest’ultimi è di essere quasi perfetti: tollerati molto bene dalle api, efficacia elevata e i residui nel mielelimitati, tutto ciò anche sia per l’elevata affinità dei principi attivi per i grassi (99% finiva nella cera) sia per i bassidosaggi sufficienti ad uccidere la varroa.Purtroppo,nel giro di pochi anni, le varroe sono diventate resistenti ai pire-troidi, togliendo ogni illusione agli apicoltori che credevano di aver risolto il problema della varroa.L’Apitol è invece un prodotto da usare in assenza di covata ma con temperature sopra ai 10°C,pena la mortalità dellaapi. I due fattori sono raramente coincidenti. Non ci sono dati di efficacia conosciuti. Il prodotto è tra i pochi regi-strati, tuttavia non viene molto utilizzato.Tra gli acidi organici, quello che sicuramente ha avuto più fortuna e che oggi viene largamente utilizzato e consi-gliato da molti Responsabili Veterinari, come trattamento autunnale, è l’acido ossalico. Pur non conoscendosene ilmeccanismo d’azione, si è riscontrata un’efficacia, in assenza di covata, superiore al 90%. Il doppio trattamento vienesconsigliato, specialmente in zone umide dove il prodotto persiste più a lungo, per problemi di mortalità alle api.Dall’’85 in poi, l’industria farmaceutica non ha prodotto più nulla. Non solo il mercato è economicamente pocorilevante, ma anche l’abitudine al “fai da tè” degli apicoltori ha disincentivato le multinazionali dal ricercare nuovemolecole.

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Per portare le famiglie all’inverno, è indispensa-bile effettuare un trattamento tampone in esta-te. Considerando che tutti i prodotti chimici di

sintesi presentano problemi di resistenza, oltre cherappresentare un problema per il persistere dei resi-dui nel miele e nella cera, crediamo sia molto impor-tante utilizzare prodotti naturali quali il timolo e gliacidi organici. Gli acidi organici, pur non esistendosul mercato prodotti registrati, così come il timolo,sono prodotti ammessi dal regolamento CE 1804/99che regolamenta l’apicoltura biologica.

TIMOLOSi trova in diversi formulati commerciali (Apilife var,Apiguard). Inoltre viene utilizzato sciolto in alcool e,più raramente, in cristalli. Il meccanismo d’azione deltimolo non è a oggi conosciuto. Sembra che agisca alivello del sistema nervoso, provocando la paralisi, equindi la caduta, dell’acaro, ma non la morte. È quin-di importante, o non posizionare il cassettino sotto ilfondo a rete dell’arnia, o svuotarlo tra un trattamen-to e l’altro.L’azione del timolo si esplica con l’evaporazione; perquesto motivo è importante effettuare i trattamenticon temperature superiori ai 20°C. Temperatureeccessivamente alte, tuttavia, possono disturbare leapi, poiché il timolo in questo caso evapora troppo infretta, provocando la fuoriuscita delle api dall’alveareo un’eccessiva ventilazione delle stesse. I prodotti diseguito elencati possono essere utilizzati uno inluogo dell’altro.

• APILIFEVARSi tratta di tavolette costituite da un materiale inerte(n.d.r. “Oasis”) impregnate di oli essenziali (timolo,mentolo, eucaliptolo) e di canfora.Viene commercializzato dalla Chemicals Laif in bustedi plastica sigillate contenenti due tavolette (per tavo-letta si intende una delle due contenute nella busta).Tutte le sperimentazioni sino ad ora condotte (sia dal-l’Istituto Nazionale di Apicoltura, sia dagli apicoltori)ne consigliano una metodologia di impiego diversa

da quella proposta dalla casa produttrice.Non é consigliabile pertanto seguire le istruzioneriportate sulla confezione. Il tempo di carenza è di 30giorni.TrattamentoPer ogni alveare si impiega una tavoletta, divisa in tre-quattro parti, posizionate sul listello portafavo. Non met-tere le porzioni di tavoletta nella vicinanza della covata.Si devono effettuare tre interventi a distanza di 6-7 gior-

Strategia di lotta dellaCommissione Sanitaria UNAAPI

Nord e centro ItaliaIntervento tampone in estate

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og a vea e s usa o t e tavo ette. og e e es du de etavolette alla fine dell’ultimo trattamento. Le api, appenatrattate, fanno molta barba e ventilano intensamente: faimpressione, ma non soffrono.

Periodo di usoImportante la tempestività; trattare in estate il piùpresto possibile, non oltre il primo di agosto. Ognimese le varroe raddoppiano e, se sono troppe, la tavo-letta non è sufficiente. Se le api sono già vicine al col-lasso, l’Api Life Var non è sufficiente per salvare lefamiglie. Bisogna allora ricorrere agli interventi diemergenza. Un uso del prodotto in stagione primave-rile limita fortemente lo sviluppo delle famiglie, lacostruzione dei fogli cerei e deprime lo sviluppodella covata. Con temperature inferiori ai 20°C l’effi-cacia è troppo bassa.Predisposizione dell’apiario• Trattare contemporaneamente l’intero apiario.• Per limitare i rischi di saccheggio è necessario che

la forza delle famiglie presenti nell’apiario sia omo-genea, eventualmente è opportuno costituire unapiario di famiglie forti ed un altro di famigliedeboli e nuclei.

• Chiudere la porticina di volo in posizione primave-rile o, per le famiglie più deboli, invernale.

• Chiudere il fondo di rete.• Evitare il cambiamento delle regine durante il trat-

tamento.• Non trattare in presenza di inizi di saccheggio.• Eventualmente mettere un giorno prima del tratta-

mento un pezzetto di tavoletta per abituare le api.In presenza di raccolti tardivi? E’ efficace anche in presenza di melario purché vengamesso fra nido e melario. In quasi tutte le situazioniitaliane in agosto non c’è raccolto e si può togliere ilmelario.Fanno eccezione pochi casi (melata e, più raramente,

dov à esse e a ato o a a cost u o e d ogcerei o alla produzione di miele per l’alimentazionedelle api.

• APIGUARDÈ un formulato in gel, a lento rilascio.Verrà commer-cializzato nei prossimi mesi da Vita Europe in vaschet-te di alluminio. Il trattamento deve essere effettuatodue volte, a distanza di 15 giorni, con un dosaggio di50 grammi per ogni trattamento. Sono in corso speri-mentazioni per valutare l’efficacia del prodotto.

ACIDO FORMICOE’ un acido organico, liquido, incolore, fortementecaustico e irritante per contatto, inalazione ed inge-stione. Corrosivo per i metalli. Da usare adottandoopportuni accorgimenti: indossare protezioni permani (guanti di gomma), occhi, viso (idonee masche-re) e dosare il prodotto all’aria aperta, mai sopra aglialveari aperti. Sigillare sempre i contenitori di acidoformico. Evitare qualsiasi gocciolamento sulle api.Metodo con panno spugnaL’esperienza sino ad oggi maturata indica questamodalità di applicazione dell’acido formico come lapiù diffusa e di pratico utilizzo. Prevede l’impiego diun panno spugna (15x10x0,5 cm) impregnato con 40ml di acido formico al 60% da introdurre ogni 4-5giorni per 5 volte, appoggiato sul vassoio antivarroa.Ha invece creato problemi l’impiego del pannoappoggiato sui favi (foto).

ACIDO OSSALICONormalmente l’acido ossalico viene utilizzato per iltrattamento invernale, poiché la sua azione non siesplica in presenza di covata. Nei casi in cui, tuttavia,l’infestazione si riveli molto alta già in primavera, incondizioni climatiche che non permettono ancoral’utilizzo del timolo, è possibile effettuare dei tratta-menti cadenzati a distanza di un mese, in occasionedella levata dei melari. Tale trattamento non eliminacomunque il trattamento estivo a base di timolo. Perposologia e dosaggio vedi di seguito.

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Il trattamento invernale si pratica appena le colonierimangono prive di covata. E’ molto importanteeffettuare questo trattamento in giornate di bel

tempo, con le api in volo, quando la temperatura non éancora scesa eccessivamente.

ACIDO OSSALICOL’acido ossalico è un acido organico già naturalmentepresente nel miele. Non si conosce il meccanismod’azione, ma sembra che interferisca con il meccani-smo di assorbimento dell’acqua dell’acaro (le varroenecessitano di molta umidità per vivere), mentre nonviene ingerito dalle api.Attualmente si consigliano due metodi di utilizzo:

S ott e e sc og e do 00 g a d ac do ossa codiidrato e 1 chilogrammo di zucchero in 1 litro diacqua distillata. Di questa soluzione si somministrano,per gocciolamento tra i favi (servendosi di una sirin-ga) 5 millilitri per favo (50 ml per una colonia con apisu 10 favi). Il trattamento va praticato una sola volta inassenza di covata. Una seconda somministrazione ininverno sembra, in alcuni casi, arrecare danni anchealle api.Una soluzione alternativa è quella di sciogliere 80grammi di acido ossalico e 400 g di zucchero in 1 litrodi acqua. Riducendo la concentrazione dello zucche-ro sembra che il danno alle api sia inferiore.

• ACIDO OSSALICO NEBULIZZATO.Si prepara sciogliendo 28 grammi di acido ossalico dii-drato in 1 litro di acqua. La soluzione viene spruzzatasu ogni facciata di favo coperta da api.Il metodo è più laborioso e viene consigliato agli api-coltori con pochi alveari. La convenienza di questotrattamento è che la quantità acido ossalico è notevol-mente inferiore, evitando così i problemi di tossicitànei confronti delle api. In questo caso, il trattamentopuò essere ripetuto una seconda volta senza provoca-re alcun danno.L’acido ossalico va somministrato in entrambi i casi ingiornate soleggiate, con le api in volo e con tempera-ture sopra i 5°C. Anche per l’acido ossalico occorreprestare qualche precauzione, poiché se inalato puòprovocare intossicazione.

In alcune zone del Sud gli apicoltori hanno la fortu-na di poter sfruttare, per intervenire contro la var-roa, il blocco di covata che generalmente si ha alla

fine di agosto, a causa del caldo eccessivo e del bloccodel flusso nettarifero. Quand’anche rimanesse qualchefavo di covata, questo può essere spostato dalla colo-nia da trattare, per la costituzione di nuovi nuclei.Approfittando,dunque,della situazione ottimale, è pos-sibile intervenire in questo periodo con acido ossalicoo con prodotti a base di timolo.L’acido ossalico può essere inoltre utilizzato in dicem-bre, quando si verifichi il blocco di covata invernale.Metodologia e dosaggi di somministrazione sono glistessi più sopra descritti.

Intervento invernale

Sud Italia

famiglie di api che popolano bene:

ml di prodotto diluito

10 favi 9 favi 8 favi 7 favi 6 favi 5 favi 4 favi

50 ml 45 ml 40 ml 35 ml 30 ml 25 ml 20 ml

DOSAGGI DA UTILIZZARE PER L’IMPIEGO DI ACIDO OSSALICO

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Interventi biomeccaniciSono tutte quelle tecniche apistiche e quegli accorgimenti complementari alla lotta chimica.

✓ FONDI A RETE.Sono ormai da bandire tutte le arnie a fondo chiu-so. Il fondo a rete non permette alle varroe, checadono accidentalmente, di risalire. È inoltre unutile strumento per la diagnosi delle varroe pre-senti nell’alveare.

✓ ASPORTAZIONE DELLA COVATA MASCHILE.Nella celle da fuco si concentra la maggiore quan-tità di varroe.Asportare i telai con le celle maschi-le consente di portare via dall’alveare una buonaquantità di varroa.

✓ UTILIZZO DEI FAVI TRAPPOLA. Sono telai con foglio cereo con cellette più gros-se, che vengono costruiti con celle da fuco. Sfrut-ta il principio per cui la varroa predilige la covatamaschile per riprodursi. Una volta che la covata èopercolata deve essere tolta prima che sfarfalli edeliminata.

✓ ELIMINAZIONE DEI FAVI VECCHI EDEFORMI O ROTTI. La varroa è attratta soprattutto dalle celle già pre-cedentemente covate. Inoltre, su telai vecchi edeformi o rotti, più facilmente vengono costruitecelle da fuco, con le conseguenze immaginabili.

✓ MESSA A SCIAME, BLOCCO DELLA COVATA. Si tratta di eliminare tutta la covata presente, inmodo da poter intervenire con un trattamentosicuramente più efficace.

✓ SOSTITUZIONE DELLE REGINE. Invecchiando le regine tendono a deporre mag-giormente uova da fuco. Una sostituzione raziona-le delle regine rappresenta un buon metodo diprevenzione.

✓ FAMIGLIE FORTI. La forza della famiglia favorisce il riscaldamentodella covata, accelerando così il periodo di svilup-po delle larve.Riducendo il periodo di opercolatura, infatti, lavarroa ha meno tempo per riprodursi.

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Nella lotta alla varroa si é confermato in questiultimi anni un significativo utilizzo di ApiLifeVar e di altri prodotti a base di timolo, anche

se non è mancato il ricorso ad acaricidi tradizionaliammessi e non, tra cui anche il fluvalinate, e questononostante i grossi problemi di resistenza manifesta-ti e che già lo avevano messo fuori gioco.Una segnalazione di inefficacia dell’ApiLifeVar, parti-colarmente preoccupante, è ancora giunta dalla pro-vincia di Como. In questa zona la messa a punto ditempistica e metodologia di lotta a base di timolo éinfatti un patrimonio collettivo condiviso da molteaziende apistiche. Utilizzando prodotti “dolci” (timo-lo ed acido ossalico) il livello di efficacia non rag-giunge quasi mai percentuali vicine al 100%. E’, quin-di, sufficiente qualora una delle somministrazionicapitali (tampone estivo e trattamento invernale)non sia effettuata nelle condizioni ottimali, avereincrementi di varroa con danni consistenti anche adistanza di molto tempo. Questo spiegherebbe i pro-blemi verificatisi in alcune zone ed aziende nel corsodel 2001.

ApiLifeVarIn seguito alle lamentele espresse nel recente passa-to da molti apicoltori sull’efficacia del prodotto,sono state condotte prove per verificare da unaparte la corrispondenza di quanto evidenziato inetichetta, dall’altra il grado di efficacia sugli alveari.La prova del peso delle tavolette ha portato a con-cludere che il 69% delle stesse rientra nei limiti. Il31% rimanente era comunque di peso vicino allamedia e, in ogni caso, mai inferiore a quanto indica-

to dalla casa produttrice. È comunque evidente chemolta importanza assume la conservazione del pro-dotto: pur essendo le buste sigillate, una cattiva con-servazione del prodotto (al caldo ed in posizionerovesciata) rischia, probabilmente, di comportaredelle modifiche alla concentrazione delle tavolette.Prove di efficacia sono state condotte in diverse pro-vincie (Aosta, Pavia,Asti,Teramo) ed hanno portato arisultati non totalmente concordi ma con un quadrod’insieme positivo. Nelle prove effettuate dall’Asses-sorato agricoltura della Valle d’Aosta l’efficaciamedia registrata è stata dell’81%; in Lombardia (Api-lombardia) e in Abruzzo (Ist. Zooprofilattico dell’A-bruzzo e Molise) dell’88%; in Piemonte (Aspromiele)del 90%. Sembra confermato in tutti i casi che l’a-zione del timolo si esplica soprattutto dal secondotrattamento e che l’aspecificità del timolo e l’in-fluenza di molti fattori ambientali (temperature,forza della famiglia, ecc.) portano a risultati moltovariabili con gap percentuali anche di 38 punti.

ApiguardVita Europe dovrebbe, finalmente, riuscire a portaresul mercato italiano l’Apiguard, acaricida a base ditimolo in gel. Quest’anno la ditta ha messo a dispo-sizione i primi campioni di prodotto. Come per Api-Life Var, l’efficacia si è dimostrata variabile macomunque sufficiente. In Lombardia (Apilombardia)la caduta media è stata del 72%, in Piemonte (Aspro-miele) dell’89%, in Abruzzo (Istituto Zooprofilattico

I lavori in corso

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caso, pu t oppo, a va ab tà de e co d oambientali ha dato differenze tra gli alveari di 37punti percentuali.Le prove sono state effettuate con due soli trattamen-ti spalmando il prodotto sopra i favi del nido, a distan-za di una settimana, secondo le indicazioni della casaproduttrice. È probabile che un terzo trattamentopossa portare a risultati migliori. Determinante sarà ilcosto del prodotto che in ogni caso si pone tra i pro-dotti utilizzabili per l’apicoltura biologica.

Acido ossalicoDa tempo, si dibatte e si cerca la migliore formula diacido ossalico per il trattamento autunnale contro lavarroa. È nota l’ipotesi per cui la tossicità dell’acidosulle api possa risultare connessa alla presenza dellozucchero nella soluzione. Sono state effettuate delleprove dai tecnici di Apilombardia, Aspromiele e del-l’Assessorato Agricoltura della Valle d’Aosta per veri-ficare la differenza di efficacia tra la soluzione100:1000:1000 (100 g acido ossalico, 1000 g zuc-chero, 1 l acqua) e la soluzione 80:400:1000 (80 gacido ossalico, 400 g zucchero, 1 l acqua).I risultati sono contrastanti: con la prima soluzionec’è stata un’efficacia dell’81% in Lombardia, del 93%in Piemonte e del 96% in Valle d’Aosta; la secondasoluzione ha dato risultati dell’87% in Lombardia,dell’82% in Piemonte e del 92% in Valle d’Aosta.Notevole interesse ha sollevato la nuova modalità disomministrazione per evaporazione a caldo (in par-ticolare per l’asserita atossicità per le api e quindiripetibilità della somministrazione) su cui si impe-gneranno le prove di campo nel prossimo autunno.Quest’anno l’arrivo dello specifico attrezzo non haconsentito l’effettuazione di prove su vasta scala.

Apedin VaporQuesto preparato, estratto in alcool di acetosella,echinacea, tuja e spirea, è stato testato dall’Associa-

zione Produttori Apistici di Padova. I risultati, chehanno una valenza preliminare, sono stati moltovariabili, con valori percentuali dal 32 al 93.Una forchetta di efficacia veramente inaccettabile. Sipuò pensare che Apedin Vapor possa rappresentareun discreto trattamento tampone del tampone. Con-divisa da quanti l’hanno provato l’impressione di unbuon apporto di “tonicità” alle famiglie. Tuttavia,oltre alla necessità di effettuare ulteriori sperimen-tazioni per trovare il momento e la modalità ottima-le di somministrazione, è stata rimarcata una valuta-zione di costi/benefici a fronte del prezzo del pro-dotto.

IpereatLe prove sono state condotte dall’Istituto Zooprofi-lattico delle Tre Venezie come preliminari di ulterio-ri sperimentazioni. Il lavoro si è svolto in autunnocon lo scopo del confronto con il tradizionale inter-vento a base di acido ossalico.I primi risultati mostrano come i due trattamentisiano pressoché intercambiabili con differenze nonsignificative: 92% dell’ipereat contro il 90% dell’aci-do ossalico. Al momento non sono state presentatedifferenze significative in merito alla tossicità per leapi. Una valutazione sulla scarsa competitività, per ilcosto della somministrazione, rispetto all’acido ossa-lico tal quale, è stata condivisa dai partecipanti. L’I-stituto intende proseguire le prove, anche in periodicon presenza di covata.

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La resistenza ad insetticidi ed acaricidi è statadocumentata in diverse centinaia di insetti edacari.

Le difficoltà e le notevoli perdite economiche pro-vocate dallo sviluppo incontrollato di tale fenomenosono state affrontate con l’impiego di nuovi principiattivi, dando per scontata la capacità dell’industriachimica di offrire prodotti in grado di sostituireperiodicamente quelli diventati inefficaci. D’altraparte le tecniche elaborate a livello teorico perimpedire o perlomeno rallentare la selezione e la dif-fusione di popolazioni di acari resistenti non hannotrovato sempre applicazione pratica

DEFINIZIONE DI RESISTENZALa resistenza è definita tradizionalmente come laselezione e lo sviluppo di popolazioni capaci disopravvivere ad una dose di un determinato princi-pio attivo, che sarebbe letale alla maggioranza degliindividui di una popolazione normale.Nel caso della varroa il fenomeno si è manifestatoper acaricidi di sintesi (fluvalinate, principio attivodell’Apistan, e coumaphos, principio attivo del Peri-zin), ma non si può escludere che la resistenzainsorga anche per quelli naturali.

MECCANISMI CHE CONFERISCONO RESI-STENZA AGLI ACARICIDILa resistenza compare spesso come conseguenza dimutazioni casuali del patrimonio genetico che per-mettono all’organismo mutato di neutralizzare unprincipio attivo tossico o di sfuggire alla sua azione.Gli organismi resistenti possono essere già presentiall’interno di una popolazione mai trattata con quelprincipio attivo, ma in numero estremamente ridottoin quanto la frequenza di mutazione è molto bassa(per un determinato gene si ritiene che la frequenzadi mutazione sia dell’ordine di 1 ogni 100.000 -1.000.000 di individui in ogni generazione).Tali muta-zioni sono più probabili in organismi con molte gene-razioni all’anno ed in popolazioni numerose e perciòin esse la resistenza insorge più rapidamente. Poichèle alterazioni del materiale genetico hanno in genereun effetto negativo sulla funzionalità complessiva del-l’organismo, la vitalità dell’individuo mutato è di soli-to più bassa di quella degli individui normali; perciòin mancanza di altre spinte selettive, il numero degliindividui mutati all’interno della popolazione può dif-ficilmente aumentare. L’uso degli acaricidi invecefavorisce gli individui mutati eliminando dalla popo-lazione gli individui normali sensibili (fig. 1)

Resistenza:un fenomeno che si combatte con prevenzione e monitoraggio

fig. 1 - Gli acari resistenti prendono il sopravvento su quelli suscettibili, provocando il collasso dell’alveare

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I meccanismi più frequenti che conferiscono resi-stenza agli acaricidi sono tre:1 - riduzione della permeabilità della cuticola (l’acari-cida penetra con difficoltà all’interno del corpo del-l’acaro);2 - aumento della detossificazione metabolica (gli aca-ricidi vengono degradati da enzimi specifici);3 - mutazione del sito bersaglio (target) (l’acaricidanon è più in grado di bloccare una proteina indi-spensabile per la sopravvivenza dell’acaro).La resistenza può anche essere il risultato di piùd’uno dei meccanismi sopradescritti. Questo fattopuò determinare la comparsa di ceppi di acari condifferenti gradi di tolleranza ai principi attivi.Prove di laboratorio effettuate impiegando unasostanza che inibisce l’azione di enzimi specificihanno suggerito l’ipotesi che la resistenza della var-roa al fluvalinate e ad altri piretroidi sia da attribuireall’azione di enzimi detossificanti (fig. 2).Infatti l’impiego di tale sostanza in aggiunta al flu-valinate riduce la dose letale per gli acari resistenti,ciò significa che essi sono più suscettibili al tratta-

c s suppo e c e c s a o e g ado d deg adare l’acaricida. Non sono state fatte però delleprove a riguardo.

RESISTENZA CROCIATALa resistenza crociata compare quando gli acaricidiimpiegati possiedono una struttura molecolare simileed agiscono sulle stesse molecole bersaglio.Di conseguenza un meccanismo di resistenza puòessere sufficiente per rendere inefficace un’interafamiglia di acaricidi. Ad esempio, popolazioni di var-roa resistenti al fluvalinate sono allo stesso temporesistenti ad altri piretroidi, quali la flumetrina e l’a-crinatrina, pur non essendo mai state sottoposte atrattamento con prodotti contenenti tali principiattivi.Meccanismi che conferiscono resistenza al couma-phos potrebbero consentire agli acari di sopravviveread altri acaricidi come il clorphenvinphos.

CARATTERISTICHE GENETICHE DELLA RESISTENZANel caso della varroa la variabilità genetica sembraessere estremamente bassa a causa dell’elevato tassodi inincrocio. Infatti le varroe si riproducono sola-mente all’interno delle cellette di covata opercolata.Con livelli di infestazioni normali si trova con mag-giore frequenza una sola varroa per cella e sono, per-ciò, numerosi i casi in cui le varroe figlie si incrocia-no con il fratello. Inoltre il maschio è aploide (R)quindi si comporta da omozigote per tutti i caratteri.Ciò chiaramente finisce per aumentare la proporzio-ne di omozigoti nelle popolazioni naturali e quindianche degli acari che portano in omozigosi (RR) icaratteri della resistenza (gli omozigoti sono quegliacari che esprimono al meglio le doti della resisten-za). Questo fatto può aumentare la rapidità di svilup-po delle popolazioni di acari resistenti.

REVERSIONE DELLA RESISTENZAGli svantaggi selettivi associati con la resistenza agliacaricidi determinano la riduzione della proporzionedi acari resistenti una volta cessati i trattamenti (fig.3). Questo comporta un graduale processo di rever-sione per cui popolazioni resistenti ridiventanosuscettibili.Nella pratica, però, la reversione è stata spesso piùlenta di quanto atteso in base ad indagini di laborato-rio; infatti, lo svantaggio del ceppo resistente è spes-so molto modesto.Risultati ottenuti fino al 1999 con saggi di laboratoriosu acari raccolti in diversi apiari stanziali del FriuliVenezia Giulia hanno mostrato una riduzione dellaresistenza al fluvalinate; essa però non è tale da con-sentire un reimpiego a breve termine dell’Apistan.

fig. 2 - Enzimi specifici sono in grado di degradare l’acaricida, rendendolo inattivo.

fig. 3 - In assenza di trattamenti gli acari resistenti perdono terreno

rispetto a quelli suscettibili.

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L INSORGERE DELLA RESISTENZALe misure pratiche da adottare discendono da model-li di controllo teorico dei fattori che influenzano lavelocità di selezione della resistenza negli organismiviventi. Non tutte le tecniche indicate a livello teori-co risultano vantaggiose sia per i costi che per lalaboriosità.1) Impiego di alte dosi di prodotto acaricidaIn genere con dosi molto alte solo gli omozigoti resi-stenti, presenti inizialmente con frequenze basse, tol-lerano i trattamenti. Ne consegue che se nella popola-zione trattata immigrano individui suscettibili, la sele-zione della resistenza rallenta.Come già visto però,nelcaso della varroa, la proporzione di acari omozigoti èmolto elevata, rendendo la strategia meno efficace.2) Durata e numero dei trattamentiUn fattore determinante per la crescita delle popola-zioni di acari resistenti è la durata e la frequenza deitrattamenti acaricidi. La presenza costante dellasostanza attiva nell’ambiente di vita fornisce una spin-ta evolutiva forte verso la selezione della resistenza. Èquindi necessario ridurre il numero dei trattamentiper dare la possibilità ai ceppi suscettibili di riguada-gnare terreno nei confronti di quelli resistenti soprav-vissuti ai trattamenti.2) Impiego di acaricidi in rotazione o in stretta successioneSe sono disponibili acaricidi differenti con diversomodo di azione e metabolismo si potrebbe alternare illoro uso fra un anno e l’altro.Anche l’impiego di due acaricidi in stretta successio-ne, se il secondo è diverso per meccanismo di azione,riduce il vantaggio per gli individui resistenti. È per-tanto improbabile che si sviluppi contemporanea-mente la resistenza ad entrambi gli acaricidi.

MONITORAGGIO DELLA RESISTENZA SUL TERRITORIOIl monitoraggio della resistenza è stato utilizzato spessosolo tardivamente, per verificare che l’insuccesso deitrattamenti era dovuto appunto alla resistenza. In realtà ilmonitoraggio, almeno dal punto di vista teorico, si pro-pone di limitare lo sviluppo e la diffusione della resi-stenza. Affinchè il monitoraggio dia risultati concreti esia economicamente conveniente esso deve:1) valutare quantitativamente le popolazioni resistenti;2) identificare possibili centri di diffusione della resi-stenza;3) valutare cambiamenti della tolleranza all’acaricidanella popolazioni di acari resistenti;4) verificare l’efficienza di strategie di controllo dellaresistenza.Esso viene attuato con l’impiego di saggi di laboratorio econ prove di campo.

CONCLUSIONIGli acari hanno una straordinaria capacità di svilupparerapidamente popolazioni resistenti per le loro caratteri-stiche intrinseche (popolazioni numerose e quindi mag-giori probabilità che si verifichino mutazioni che indu-cano resistenze); inoltre l’uso ripetuto di pochi principiattivi che sembrano offrire maggiori garanzie di succes-so, spesso con costi inferiori finisce per favorire l’esplo-sione del fenomeno con danni irreparabili. È quindiopportuno investire nella prevenzione e nel monitorag-gio.Le strategie di lotta più valide impiegano diversi pro-

fig. 4 - Capsule impiegate per la valutazione della suscettibilità della varroa

ad acaricidi piretroidi e fosforganici.

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de e cac a. Spesso pe ò ta sc e d te ve to vegono utilizzati dopo la comparsa della resistenza,quandoi vantaggi ad essi collegati non sono più utili. Il successodella lotta è comunque legato ad una azione coordinatafra la maggior parte degli apicoltori.Il monitoraggio ha loscopo di impedire che la resistenza si sviluppi e si dif-fonda a macchia d’olio. Opportuni saggi di laboratoriopossono permettere di tenere sotto attenta osservazionel’efficacia degli acaricidi sul territorio (fig. 4). Essi con-sentono di individuare in modo tempestivo il fenome-no, dando la possibilità agli operatori di adottare tecni-che di lotta alternative, limitando i danni.Per disporre,invece, di una mappa dettagliata che descriva la distri-buzione e l’intensità della resistenza sul territorio ènecessario effettuare il maggior numero possibile diprove di campo su alveari scelti a campione.Esse saran-no condotte dagli apicoltori stessi che potranno averenello stesso tempo la dimensione del problema all’in-terno del proprio apiario.In conclusione la resistenza sembra essere un fenomenoinevitabile, se non si adottano tecniche che ne ridu-cano le possibilità di sviluppo e di diffusione.

testo a cura di Giorgio Della Vedova(Dipartimento di Biologia applicata alla Difesa

delle Piante dell’Università di Udine)

CHE INSORGANO FENOMENI DI RESITENZA

• Non affidarsi in maniera assoluta a tratta-menti ripetuti e prolungati con acaricidiche permettono di ottenere valori di effica-cia superiori al 99%

• Alternare l’impiego degli acaricidi neglianni o combinare l’utilizzo di diversi acari-cidi nello stesso anno (ad esempio, oliiessenziali alla fine dell’estate + acido ossali-co in novembre in assenza di covata)

• Integrare i trattamenti con tecniche dicontrollo meccanico, quando possibile

N.B. La lotta è più difficile con i mezzi con-sentiti nelle zone a clima più caldo

In base all’esito di alcune prove di campo si ritiene che esistano ceppi di varroa resistenti al principio attivocoumaphos contenuto nel Perizin. Non si sa con esattezza quale ne sia la diffusione a livello nazionale. Sisconsiglia a chi volesse utilizzare il prodotto di verificarne preventivamente l’efficacia su un numero di alvearianche minimo (almeno due) per apiario. Al fine della correttezza dei risultati é indispensabile garantire:1) assenza di covata opercolata per tutta la durata della prova (se necessario, la covata presente potrà esse-re spostata in altri alveari),2) utilizzo di alveari con fondo a rete, sotto il quale andrà posto un foglio di carta vaselinato.Per la verifica dell’efficacia dei trattamenti si può operare nel seguente modo:1. Inserire il foglio di carta vaselinato e trattare con Perizin secondo le indicazioni del produttore.2. Dopo tre-cinque giorni, sostituire il foglio vaselinato, contando le varroe cadute.3. Subito dopo, trattare con ac. ossalico, gocciolando il prodotto sulle api presenti negli spazi interfavo con

l’aiuto di una siringa (50 millilitri alle colonie forti, 30-40 millilitri a quelle mediamente popolose). La soluzio-ne di ac. ossalico andrà preparata come riportato nella relativa scheda. Nel caso in cui la temperatura siasuperiore ai 10°C (e le api non siano in glomere) è possibile trattare ciascun favo mediante nebulizzazionedi ac. ossalico al 2%. Per ottenere tale soluzione, occorre sciogliere 28 g di ac. ossalico diidrato in 1 litro diacqua distillata. La soluzione verrà poi nebulizzata sui favi in ragione di 3-4 millilitri per facciata di favo.

4. Dopo cinque-sette giorni prelevare il foglio vaselinato e contare le varroe. Il calcolo dell’efficacia del trattamento con Perizin si ottiene dalla seguente formula:

Se l’efficacia ottenuta è approssimativamente del 90%, non occorre eseguire ulteriori trattamenti. Se i valori diefficacia risultano inferiori all’80%, sarà opportuno prendere contatto con la propria associazione chiedendodi attivarsi presso i laboratori e gli Istituti scientifici operanti nella propria regione per verificare se l’inefficaciaè da attribuirsi a fenomeni di farmacoresistenza.

efficacia = numero di varroe cadute in seguito al trattamento con Perizin

numero totale di varroe cadute (Perizin + Ac. Ossalico) x 100

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senso dell’olfatto e del gusto, ossia è capace di rico-noscere odori e sapori, molecole chimiche che pos-sono trasmettere informazioni preziose per il parassi-ta. Così l’attrazione verso la celletta di covata dipen-de dall’effetto esercitato sulla varroa da sostanze odo-rose provenienti dalla celletta stessa.Alle sostanze capaci di trasmettere un messaggio èstato dato il nome di semiochimici. I più noti fra essisono senz’altro i feromoni delle farfalle che le fem-

mine emettono per atti-rare da lontano i maschicon cui accoppiarsi. Perla loro elevatissima atti-vità biologica questesostanze sono già statelargamente impiegate inagricoltura soprattuttoper il monitoraggiodegli insetti dannosi maanche nella lotta con ilmetodo della confusio-ne sessuale o della cattu-ra massale.A tutt’oggi sono stateidentificate varie sostan-ze attive sulla varroa.Purtroppo però molte diquelle implicate nellefasi cruciali del ciclobiologico del parassita,come ad esempio il suc-citato ingresso nella cel-letta, sono tuttora igno-te. La ricerca sui semio-

chimici è piuttosto impegnativa e presuppone appro-fondite conoscenze sul ciclo biologico dell’organi-smo oggetto di studio e l’uso di sofisticate tecnicheanalitiche.Talvolta lo sforzo richiesto è tale da non giustificareapprofondite ricerche se non si ravvisa un notevoleinteresse economico. Nel caso della varroa la dispo-nibilità di prodotti acaricidi efficaci e ben tolleratidalle api ha di fatto reso meno urgenti tali ricerche,almeno fino a quando l’insorgenza di fenomeni di far-maco-resistenza della varroa a diversi principi attiviha reso necessaria la ricerca di metodi di lotta alter-nativi.

IL CICLO BIOLOGICO DELLA VARROALa varroa alterna fasi foretiche sulle api adulte a fasiriproduttive all’interno delle cellette opercolate. Lafase riproduttiva ha inizio quando l’acaro, trasportatoda un’ape di casa, raggiunge una celletta prossimaall’opercolatura. Dopo l’opercolatura la varroa si nutrea spese dell’emolinfa larvale e dopo una sessantina diore inizia a deporre le uova da cui si sviluppano unmaschio e alcune femmine. Dopo l’accoppiamento, lefemmine adulte fuorie-scono dalla celletta assie-me all’ape neosfarfallata.Vari autori hanno riscon-trato che quando più var-roe invadono la stessacelletta la riproduzionerisulta diminuita.

I SEMIOCHIMICIChiunque studi il ciclobiologico della varroanon può non essere col-pito dalla perfetta sin-cronizzazione fra questoe quello dell’ape suoospite. Basti pensareall’ingresso nella cellettaper la riproduzione: essoha luogo poche oreprima dell’opercolaturaquando la larva d’apeche vi si trova è pronta afilare il bozzolo. Uningresso troppo precoceavrebbe probabilmente come esito la morte poichèla varroa verrebbe facilmente scoperta dalle api dicasa che la rimuoverebbero senz’altro dalla celletta,d’altra parte l’acaro non può neanche tergiversaretroppo se non vuole rischiare di rimanere chiusofuori dalla celletta opercolata.Ma come fa la varroa a riconoscere con tanta preci-sione il momento adatto? Indubbiamente per far ciòil parassita deve essere capace di captare segnali pro-venienti dall’ambiente esterno. È noto a tutti che lavarroa non ha occhi e poco si sa del suo senso del-l’udito e del cosiddetto tatto; di sicuro però, come lamaggior parte degli artropodi, possiede un sofisticato

I Semiochimici della Varroa:conoscenze attuali e prospettive

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Da alcuni anni presso il Dipartimento di Biologia appli-cata alla Difesa delle Piante dell’Università di Udinesono in corso ricerche riguardanti i semiochimici coin-volti nel rapporto varroa-ape.Si ritiene che ognuna delle fasi del ciclo biologicodella varroa sia controllata in qualche modo da uno opiù segnali chimici. In particolare, l’ingresso nella cel-letta è determinato dall’attrazione esercitata sulla var-roa da sostanze provenienti dalla celletta stessa.Anchela riproduzione è stimolata da sostanze presenti nellacelletta nelle prime ore dopo l’opercolatura, mentre lariduzione della fertilità in condizioni di infestazionemultipla è determinata da semiochimici che vengonoliberati all’interno della celletta opercolata. Le ricer-che svolte fin qui presso il laboratorio di Udine hannopermesso di raggiungere i seguenti risultati.1) Ingresso nella cellettaLa varroa è attratta da sostanze chimiche contenutenell’alimento larvale che è presente nella cellettaprima dell’opercolatura. L’isolamento e l’identificazio-ne di queste sostanze sono tuttora in corso.2) OvideposizioneL’avvio della riproduzione della varroa dipende dasostanze presenti nella celletta poco dopo l’opercola-tura. Queste sostanze sono presenti sulla cuticoladelle larve d’ape ma potrebbero provenire dall’ali-

sviluppo.3) Inibizione della riproduzioneÈ causata da sostanze emesse dalle larve infestate. Unadi queste sostanze è già stata identificata.Attualmentesono in corso ulteriori studi per verificare l’attività diquesta sostanza nell’alveare.

LE RICERCHE SVOLTE AD UDINEUna volta identificate, le sostanze attrattive responsa-bili dell’ingresso della varroa nella celletta potrebberoessere impiegate con diverse modalità. La messa apunto di trappole innescate con sostanze attrattivepotrebbe presentare difficoltà difficilmente superabi-li; d’altra parte si può pensare di saturare con esse l’at-mosfera dell’alveare, rendendo più difficile alla varroail riconoscimento delle cellette da invadere. Gli stimo-latori dell’ovideposizione potrebbero invece essereimpiegati per indurre la riproduzione della varroa neiperiodi meno favorevoli, come quello invernale, con-seguendo un probabile effetto letale sulle varroe indot-te ad uscire dalla diapausa.Gli inibitori della riproduzione, infine, saranno utilizzatiper rallentare il ritmo riproduttivo del parassita.

Francesco Nazzi(Dipartimento di Biologia applicata alla Difesa

delle Piante dell’Università di Udine)

PROSPETTIVE FUTURE

La ricerca si sta occupando di studiare dei sistemi di lotta alla varroa alternativi, che nonprevedano l’uso, o che lo ridimensionino, della lotta chimica. In questo senso, due sono lestrade che potrebbero portare a qualche risultato: la resistenza genetica e i semiochimici. Attualmente si stanno studiando quelle caratteristiche genetiche che le nostre api potreb-bero sviluppare per convivere con la varroa e per limitarne la riproduzione.I meccanismi di tolleranza che le api potrebbero sviluppare, attraverso delle modificazio-ni del loro patrimonio genetico, per convivere con la varroa o per limitarne la riprodu-zione, sono:- periodo foretico più lungo;- riduzione della fertilità della varroa sull’ape operaia;- riduzione del periodo di opercolatura;- rimozione della covata infestata (utile anche per covata calcificata e peste americana);- capacità di “spulciamento” (grooming).

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