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1 Unità 3 Sopravvivenza di culti del mondo antico CONTENUTI 1 2 3 4 Il pesce d’aprile dagli antichi riti ad oggi Relitti del culto degli animali Sopravvivenza di culti del mondo antico: le feste del Sole Le feste liminari tra primavera ed estate Fitta è la permanenza nella società contemporanea di culti del mondo antico, ora tramandati sotto forma di relitti antropologici, ora trasmutati in riti diversificati ri- spetto al passato. Le forme più emblematiche di tale processo possono essere rias- sunte in moduli che proviamo a codificare nel seguente schema: — Le usanze e le credenze derivanti da racconti mitologici e diffuse su tutto il terri- torio nazionale (il più singolare è il rito del «pesce d’aprile»). — La sopravvivenza del culto degli animali: ne sono esempi il volo delle formiche a Pianoro (Bo), la festa dei serpenti in onore di San Domenico a Cocullo (Aq) e la festa della Madonna delle galline a Pagani (Sa). — Il culto del Sole, di cui sono espressione le feste in onore di San Giovanni Battista nel Centro-Sud e di Santa Lucia in Campania. — Le feste liminari tra primavera ed estate: la Domenica delle Palme e i Gigli di Nola. ❱❱ 1. Il pesce d’aprile dagli antichi riti ad oggi Il riso è di origine diabolica o divina? Ha un suo ritualismo o è eccentrica esplo- sione di «entusiasmo» (che significava nella lingua greca il «dio dentro»)? Maga- ri nelle condizioni di una strana «ebbrezza», dominata da un potere divino. Qual- cuno penserà che stiamo proponendo giochi di parole; ma forse dietro le parole, ci sono schegge di vita, grumi di sogni e qualche atomo di verità. E, per avvici- narci alle verità che sono dietro il mistero del riso, giunge propizio questo nostro viaggio, a ritroso nel tempo, alla ricerca delle radici perdute di un rito, che appare oggi sciatto e quotidiano e invece vanta un antico e arcano blasone di nobiltà: il pesce d’aprile. Gli antenati mitologici, folklorici e letterari di questa simpatica usanza risalgono a tempi antichissimi. Cominciamo dalle cronache rosa-nere del mito greco. Esse ci narrano al proposito una storia illuminante. Di divinità appunto che ridono. Ce ne parla l’Inno omerico a Demetra, in cui la dea, affranta dal dolore e dal lutto in quan- to è alla ricerca disperata della figlia Kore, sta «senza sorridere», fino a che la serva Iambe (nome che è tutto un programma, poiché significa «colei che schernisce»), con

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Unità 3Sopravvivenza di culti del mondoanticoContenuti• 1 • 2 • 3 • 4Il pesce d’aprile dagliantichi riti ad oggi

Relitti del culto deglianimali

Sopravvivenza di culti del mondo antico: le feste del Sole

Le feste liminari traprimavera ed estate

Fitta è la permanenza nella società contemporanea di culti del mondo antico, ora tramandati sotto forma di relitti antropologici, ora trasmutati in riti diversificati ri-spetto al passato. Le forme più emblematiche di tale processo possono essere rias-sunte in moduli che proviamo a codificare nel seguente schema:

— Le usanze e le credenze derivanti da racconti mitologici e diffuse su tutto il terri-torio nazionale (il più singolare è il rito del «pesce d’aprile»).

— La sopravvivenza del culto degli animali: ne sono esempi il volo delle formiche a Pianoro (Bo), la festa dei serpenti in onore di San Domenico a Cocullo (Aq) e la festa della Madonna delle galline a Pagani (Sa).

— Il culto del Sole, di cui sono espressione le feste in onore di San Giovanni Battista nel Centro-Sud e di Santa Lucia in Campania.

— Le feste liminari tra primavera ed estate: la Domenica delle Palme e i Gigli di Nola.

❱❱ 1. il pesce d’aprile dagli antichi riti ad oggiIl riso è di origine diabolica o divina? Ha un suo ritualismo o è eccentrica esplo-sione di «entusiasmo» (che significava nella lingua greca il «dio dentro»)? Maga-ri nelle condizioni di una strana «ebbrezza», dominata da un potere divino. Qual-cuno penserà che stiamo proponendo giochi di parole; ma forse dietro le parole, ci sono schegge di vita, grumi di sogni e qualche atomo di verità. E, per avvici-narci alle verità che sono dietro il mistero del riso, giunge propizio questo nostro viaggio, a ritroso nel tempo, alla ricerca delle radici perdute di un rito, che appare oggi sciatto e quotidiano e invece vanta un antico e arcano blasone di nobiltà: il pesce d’aprile. Gli antenati mitologici, folklorici e letterari di questa simpatica usanza risalgono a tempi antichissimi. Cominciamo dalle cronache rosa-nere del mito greco. Esse ci narrano al proposito una storia illuminante. Di divinità appunto che ridono. Ce ne parla l’Inno omerico a Demetra, in cui la dea, affranta dal dolore e dal lutto in quan-to è alla ricerca disperata della figlia Kore, sta «senza sorridere», fino a che la serva Iambe (nome che è tutto un programma, poiché significa «colei che schernisce»), con

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MODULO 1Geografi a della ricerca antropologica

i classici lazzi e frizzi al confi ne con l’«osé», fa ridere e rasserena la dea, che avrà poi in sorte la possibilità di rivedere la fi glia dalla primavera all’autunno.

Ancora più sorprendente, come racconta Erodoto, era il rituale folklorico primaverile, diffuso a Bubasti in Egitto, in occasione della festa in onore di Bastet, dea rappresen-tata sotto forma di gatto (animale, invero, non privo di valenze diaboliche): delle don-ne, solcando su imbarcazioni il Nilo, sbef-feggiavano altre donne sulla riva, alzandosi le vesti. Un gesto questo che i Greci chia-mavano anásyrma, che signifi ca appunto «gesto del tirar su la veste» e che ritorna frequentemente nei miti dell’Ellade. I Latini andarono ancora oltre. E forse è nella loro letteratura che viene anticipato, in forme simili alle nostre, il pesce d’aprile. Basta leggere un episodio a cavallo fra il II e il III libro dell’Asino d’oro di Apuleio: Lucio, il protagonista del romanzo, dopo un lauto banchetto consumato ad Ipata, in Tes-saglia (terra di magia), ebbro di vino, uccide tre esseri misteriosi. Portato in tribunale e destinato a pena tremenda, viene posto di fronte alla «madre» dei tre uccisi, la quale, scoprendo il lenzuolo funebre, ne rivela l’identità: si tratta solo di tre otri, che Lucio,

ubriaco, ha infi lzato. Testimoni, pubblico, giudici: tutti in piedi a ridere di crepapelle. E così gli spiegano che a Ipata, all’inizio dell’anno, che corrisponde quasi al nostro aprile, si suole con una beffa collettiva festeggiare il dio Riso, «un nume che accom-pagna con benigna affezione il suo fedele che è autore ed attore del gioco». Nei tre succitati campi dell’immaginario antico la beffa «primaverile», mescolando l’Eros e l’Occulto, si pone dunque come rito risolutore di una situazione angosciosa. Come si è poi arrivati all’attuale usanza legata al primo aprile? Le ipotesi sono di-scordanti. C’è chi la fa risalire all’abitudine che si aveva a Firenze di mandare i sempliciotti a comprare in un certo posto un tipo di pesce che esisteva solo in effi gie. E c’è chi lo riporta al costume marinaro di mandare a pesca gli inesperti il primo aprile, proprio quando i pesci sono invece sul fondo per depositare le uova. E infi ne non manca chi ha «cristianizzato» tale rito, ricollegandolo al decreto pon-tifi cio che vietava il consumo di pesce il primo aprile, in ricordo del miracolo ac-caduto al tempo del Patriarca Bertrando: il Papa, infatti, ospite di quest’ultimo il primo aprile, quindi in piena Quaresima, sarebbe stato prodigiosamente liberato di una spina confi ccatasi nella gola durante un frugale pranzo. È evidente in tal caso l’accostamento fra scherzo d’aprile e Carnevale (il quale ingenera il suo contralta-re cristiano, cioè la Quaresima) e ancora fra il simbolo del pesce e le primitive tradizioni cristiane: non si dimentichi che il nome greco di «pesce», ichthýs, è l’acrostico di Ièsus Christòs Theù Hyiòs Sotèr, ossia «Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore».

Una statua raffi gurante la dea egizia Bastet. dalle sembianze di gatto (Torino, Museo Egizio)

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Unità 3Sopravvivenza di culti del mondo antico

Per non parlare poi di un famoso pesce d’aprile del Marchese del Grillo, il quale fece credere ad un povero carbonaio, come al solito ubriaco, di essere lui il vero Marchese: al risveglio lo attendevano però il mattarel-lo della moglie e la truce realtà quotidiana. Oggi, la situazione è diversa. In questa nostra società che non sa ridere (e forse non sa neanche piangere), ma che conosce la beffa delle tante disfunzioni, una profezia si è avverata: il dio Riso, collettivo e liberatorio, è morto. Ed è stato anche imbalsamato nel sarcofago del piccolo schermo, dove maga-ri si celebra, in forma smitizzante e bassa, il rito del pesce d’aprile attraverso frizzi e lazzi, spesso di bassa fattura.

❱❱ 2. Relitti del culto degli animaliUna delle più antiche leggende della storia della civiltà ha come tema l’uccisione di un animale sacro. Ce lo attestano i grandi scrittori greci, che narrano di un contadino, il quale si macchiò dell’uccisione di un bue. Ciò fu causa di gravi sciagure, a cui si rimediò solo con un rito collettivo di espiazione del gesto delittuoso. Si tratta − ci chiediamo oggi − solo di miti ancestrali, ormai lontani dalla cultura moderna? No. A ben vedere, una valenza vitale e ai limiti dell’umano, relativa alla fi gura dell’anima-le, è molto presente nella cultura, aulica e popolare al tempo stesso, che fa del suo patrimonio di leggende e di riti un affascinante punto di forza. Qui di seguito offria-mo una panoramica delle più signifi cative feste italiane aventi un tipo di animale al centro del fenomeno rituale.

❱ 2/1 Misteriosi voli delle formicheChe la vita umana sia percorsa da un fi tto mistero è ormai tesi accettata anche da quegli scienziati che aspirano a liberarsi dalle fredde catene di una piatta Ragione. Ma che arcana sia anche l’esistenza degli animali, in cui qualcuno comincia a ipotiz-zare addirittura l’esistenza dell’anima, è conquista che solo recentemente si sta fa-cendo strada nella cittadella della Scienza. Gli strumenti dell’antropologia ci consen-tono, infatti, di avvicinarsi a un fenomeno arcano ed inquietante. Alludiamo al miste-rioso volo che immensi sciami di formiche compiono, convenendo tutti insieme, l’8 settembre di ogni anno, al Santuario, che, dedicato alla Natività di Maria, è situato a 638 m. di altezza, nel territorio di Pianoro, a 28 Km. da Bologna, fra le Valli dell’Idi-ce e dello Zena.La Chiesa, edifi cata nel IV-V sec. forse in stile proto-romanico, fu dedicata prima a Santa Maria Barbarese, poi a Santa Maria Zena e, infi ne, dal XV sec., a Santa Maria del Monte delle Formiche. Del 1520 è il celebre quadro, la cui copia è stata rubata nel 1972: in esso è raffi gurata la Vergine con S. Giovanni Battista e le famose formi-che alate, poste in basso.Ed eccoci allo stranissimo fenomeno che si colloca tra fede e folklore. L’8 settembre, giorno in cui si festeggia la Natività della Vergine, e spesso anche nei giorni della set-

Un mosaico romano che raffi gura un pesce, uno dei simboli del cristiane-simo delle origini

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MODULO 1Geografi a della ricerca antropologica

timana seguente, migliaia di formiche − che l’entomologo Carlo Emery nel 1882 indi-viduò come appartenenti alla specie della myrmica scabrinodis − volano, con movi-menti a spirale, in direzione della Chiesa della Madonna delle formiche, per realizzare l’accoppiamento. Poi, con una puntualità sconcertante, i maschi vanno a morire in precisi luoghi del Santuario: sul tetto, sul campanile, sul pavimento e sull’altare. Le femmine invece ritornano in volo ai loro lontani luoghi d’origine, da cui ritorneranno l’anno dopo, nello stesso posto, per ripetere con altri maschi l’accoppiamento.Tale sorprendente rito ci spinge innanzitutto a saperne di più su questo animale mi-nuscolo e quotidiano, che è la formica, la quale cela nella sua vita misteri e meraviglie che pochi immaginano. Innanzitutto stupisce il numero enorme di specie in cui viene classifi cato tale insetto: qualche scienziato si avvicina alla soglia delle 7.000, ma non manca chi oscilla tra 12.000 e 14.000. Gentile e forte, sensibile e aggressiva, la for-mica è inoltre un essere sociale per eccellenza. La sua esistenza non si può concepi-re al di fuori del gruppo: essa non possiede niente per sé e dona con prodigalità. Pronta a soccorrere i suoi genitori, la formica è una «buona samaritana» verso le altre formiche angustiate da ferite o mutilazioni. Che, peraltro, la formica sopporta stoica-mente, in quanto essa è capace di sopravvivere anche venti giorni dopo essere stata decapitata.

detto da loroLe meraviglie delle formicheSecondo Plinio, la formica è l’unico animale che dà sepoltura ai suoi morti e organizza vere e proprie espo-sizioni fi eristiche per prendere e far prendere pubblica visione dei carichi trasportati dai più lontani luoghi. Il suo lavoro è in rapporto con l’astrologia, perché, secondo il grande scrittore latino, le formiche restano inoperose durante il plenilunio. Alcune specie, descritte dal poeta-scienziato Maurice Maeterlinck, sono invece fortemente aggressive, tanto che hanno eserciti organizzati per attaccare le specie meno bellicose, e con le loro mandibole tagliano il collo, il torace e le zampe delle avversarie. Sono solite anche far prigionieri, i quali però adottano come ma-dri le vincitrici. A testimonianza della loro forza, Erodoto narra di una stirpe di formiche dell’India cercatrici d’oro: gli abitanti di queste regioni, nel periodo estivo, approfi ttando dell’assenza delle formiche nascoste nelle loro tane, sottraggono il prezioso metallo ad esse, che però li inseguono e li pungono a sangue.

E, se è vero che l’oro è simbolo di rigenerazione, non ci stupisce il ruolo della formi-ca come causa di fecondità: infatti nei riti di molti popoli, come i Bambara, una po-polazione del Mali, in Africa, le donne sterili si siedono su un formicaio per vincere la sterilità. Sarà un puro caso, ma l’area del Monte della Madonna delle formiche, in cui anticamente si stanziarono prima gli Etruschi e poi i Romani, fu consacrata a Cerere, dea della fecondità, come testimonia il rinvenimento di un ex voto, caratte-rizzato dalla presenza di spighe di grano. Ma il nesso con Cerere spiana la strada verso altri rimandi: non dimentichiamo che Cerere-Demetra, dea anche del grano e della Vita, va, secondo il mito, alla ricerca della fi glia Persefone, prigioniera negli oscuri anfratti del Regno della Morte. Una dialettica Vita-Morte, che ritorna, sotta altra forma, nel «destino» delle nostre formi-che alate, che vengono sorprese dalla morte nel momento in cui si congiungono per riprodursi, dunque per consentire la vita della specie.Ritornando, dunque, al volo delle formiche verso Pianoro, va detto che esso è, per così dire, pienamente «riconosciuto» dalle gerarchie ecclesiastiche, visto che esso è

Le meraviglie delle formicheSecondo Plinio, la formica è l’unico animale che dà sepoltura ai suoi morti e organizza vere e proprie espo-sizioni fi eristiche per prendere e far prendere pubblica visione dei carichi trasportati dai più lontani luoghi. Il suo lavoro è in rapporto con l’astrologia, perché, secondo il grande scrittore latino, le formiche restano inoperose durante il plenilunio. Alcune specie, descritte dal poeta-scienziato Maurice Maeterlinck, sono invece fortemente aggressive, tanto che hanno eserciti organizzati per attaccare le specie meno bellicose, e con le loro mandibole tagliano il collo, il torace e le zampe delle avversarie. Sono solite anche far prigionieri, i quali però adottano come ma-dri le vincitrici. A testimonianza della loro forza, Erodoto narra di una stirpe di formiche dell’India cercatrici d’oro: gli abitanti di queste regioni, nel periodo estivo, approfi ttando dell’assenza delle formiche nascoste nelle loro tane, sottraggono il prezioso metallo ad esse, che però li inseguono e li pungono a sangue.

detto da loro

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Unità 3Sopravvivenza di culti del mondo antico

richiamato, oltre che nella dizione e nell’iconografi a del Santuario, ancor più chiara-mente in due versi in latino, che, posti sotto l’icona della Madonna, recitano testual-mente: «A gara le formiche volano verso l’altare della Vergine, ma, essendo nello stesso tempo vittime, tante muoiono».Tale testo ci invita a rifl ettere su due aspetti strani di questo volo nuziale: la sciama-tura e la competizione. Il primo ci porta a interrogarci sul perché queste formiche adottino la pratica della «sciamatura» come metodo di riproduzione. Le risposte sono contrastanti. Alcuni la riconducono al fatto che essa, per il suo verifi carsi in un mese stabilito, impedisce rapporti con altre specie. Altri, viceversa, la attribuiscono alla scelta delle formiche di accoppiarsi con ceppi genetici diversi, cosa che non sarebbe possibile con l’«unione coniugale» nell’area ristretta del nido.Il secondo aspetto, quello della competizione, riguarda i maschi delle formiche, per-ché non tutti fra essi riescono alla fi ne ad accoppiarsi, nonostante le femmine invece lo facciano con più di un maschio. Questa competizione getta una «sadica» luce sull’intera specie della myrmica scabrinodis, che ha l’abitudine, paragonabile a una tattica bellica, di assediare i nidi di altre specie similari, fi no a determinarne la resa e lo sgombero delle dimore.

E qui scatta un’altra inquietante «coincidenza», che riguar-da di nuovo il mistero del mito. Note sono, infatti, attra-verso i poemi omerici, le vicende del popolo dei Mirmi-doni, nome che deriva appunto da myrmex (formica). Ma i misteri delle formiche di Pianoro non fi niscono qua. Va aggiunto, infatti, che ad esse si attribuiscono anche virtù terapeutiche. L’architetto Gaetano Marchetti e don Orfeo Facchini hanno raccolto una serie di testimonianze di studiosi, i quali hanno riportato testimonianze del pas-sato che attesterebbero effetti benefi ci di unguenti deriva-ti dal trattamento di queste formiche. L’acido formico ottenuto sarebbe effi cace contro emicranie e reumatismi in genere, che una volta erano defi niti «mal di formica». Tuttora, durante la festa della Madonna, vengono offerte in dei cartocci ai devoti, i quali li portano a casa, queste misteriose, quasi sacre, formiche, per eventuali usi tera-peutici. Non prima di aver partecipato a una mistica pro-cessione, durante la quale vengono accesi dei falò. Essi hanno un duplice ruolo simbolico: illuminare il percorso nelle tenebre a coloro che non ci sono più (e che sono i destinatari delle messe di suffragio celebrate a Pianoro) e

concludere la cerimonia di propiziazione della Vita sul Monte della Madonna delle Formiche, che con il suo stagliarsi verso l’Alto segna un punto di incontro fra Cielo e Terra, un andare oltre il livello umano, una proiezione verso il territorio dell’Inde-cifrabile e del Numinoso.

❱ 2/2 Serpenti esorcizzanti in processione a CoculloIl 6 maggio segna un appuntamento antropologico importante. Luogo del rito: Cocul-lo, in Abruzzo, in provincia di L’Aquila. L’ormai famoso rito dei serpari, che qui si svolge in onore di San Domenico, è un momento unico e indimenticabile. Vissuto da migliaia di fedeli provenienti dal Centro Italia e da nuclei di emigranti, venuti per

«Amanti della competizione» e «divoratori di nemici» sono defi niti da Omero i Mirmidoni, che erano i soldati guidati da Achille nella guerra di Troia. E Mirmidone si chiamava il loro primo re, la cui fi glia fu sedotta da Zeus, che si era presentato a lei proprio sotto forma di formica. Interessante è un altro riferimento mitologico, che ha come protagonista Eaco, nonno di Achille. Egli, essendo rimasto solo in seguito alla morte di tutti i suoi sudditi a causa di una pestilenza, vide in sogno una pioggia di formiche che si trasformavano in uomini: cosa che effettivamente si realizzò.Oggi le tracce di queste arcaiche e pagane ri-sonanze non sono del tutto spente, se si tiene presente che in genere il formicaio per la sua struttura mette in comunicazione con il ventre della terra e che alcuni monti della zona di Pianoro sono tuttora denominati Monte Venere, Monte Cerere, Monte Iano e Monte Adone.

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MODULO 1Geografi a della ricerca antropologica

questa canonica occasione. Emblematico è anche il nome del paesino: rimanda al greco conchýlion («conchiglia») e al latino cocullus (che era un copricapo appuntito). E in realtà Cocullo, appollaiata sull’Appennino tra la Conca peligna e l’alveo del Fucino, si accampa come in una conchiglia a mo’ di copricapo sulla dorsale montuosa.

Centro interessante anche per le pregevoli vestigie archeologiche, Cocullo si identifi ca ormai per gli antropologi e i turisti attenti con la secolare festa di San Domenico, pro-tettore contro i morsi di serpi. L’appunta-mento è a mezzogiorno, ora in cui inizia la processione del Santo, che, preceduto da una croce, viene avvinto, sul sagrato della Chie-sa a lui dedicata, dai serpenti, che lo accom-pagnano su per le erte ed erme stradine dell’antico borgo. Accanto alla processione prendono corpo altri rituali, che sorprendono e spiazzano il visitatore. Nell’interno della Chiesa infatti i fedeli raccolgono della terra dietro l’altare, che viene cosparsa intorno alle abitazioni

(per il passato,disciolta in acqua e bevuta) per scopi apotropaici contro le aggressio-ni dei serpenti; altri devoti invece afferrano con le mani o con la bocca una cordicel-la miracolosa per guarire dal mal di denti. Una festa così pregnante e originale merita di essere compresa nelle sue valenze simbolico-sacrali. Perciò folte schiere di studiosi hanno cercato di coglierne gli arca-ni signifi cati, spesso però proponendo delle piatte rispondenze fra relitti pagani (come quello del culto per la dea Angizia) e ritualità cattoliche. Oggi, grazie ai rigorosi studi del grande antropologo Alfonso Maria di Nola, siamo in grado di comprendere molti passaggi storici e signifi cati culturali. Come ad esempio l’evoluzione dei ser-pari o ciaralli, che derivano dagli antichi Marsi, operatori specializzati, i quali cura-vano dai morsi degli ofi di con la saliva propria o con quella dei serpenti stessi: fi gu-ra questa poi «deterioratasi», tanto che «ciarallo» equivalse a «ciarlatano» al meno nella concezione della Chiesa e degli scrittori dotti. Come − ci si chiede − si inserisce in questa storia San Domenico? Anche il succitato studioso è dell’avviso che non è facile dirlo. Innanzitutto – egli sostiene – va ricor-data l’historiola («storiella») del Santo, che, nell’allontanarsi da Cocullo, lascia in suo ricordo agli abitanti la reliquia del suo dente, il quale dunque «si contrappone come benefi co rispetto a quello malefi co dei serpenti». E poi forse c’è stata una «tolleranza sincretica» da parte del clero locale, che consen-tì che i serpari scegliessero il Santo come protettore. Serpari, che sono protagonisti con il loro presentarsi tra il pubblico, avvinti anch’essi come il Santo dai rettili, a testimonianza della validità di un rito, in cui, con il dominio sul serpente, sono esor-cizzati i rischi futuri.

❱ 2/3 Frenetiche tammorre per la Madonna delle GallineTutti in processione con la Vergine a cui partecipano centinaia di fedeli, accompagna-ta dalle musiche travolgenti delle tammorre, irrefrenabili giorno e notte e da festosi canti corali. È questo il magico scenario che si dispiega, sotto gli occhi di devoti e

Serpenti che avvolgono la statua di San Domenico a Cocullo

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Unità 3Sopravvivenza di culti del mondo antico

turisti nella giornata della Domenica in Albis, a Pagani, in provincia di Salerno, in onore della Madonna delle galline, una festa in cui fede e folklore, che sembrano talvolta diametralmente opposti, risultano perfettamente fusi tra loro.

Di misteri e di prodigi è intessuta la storia di tale ricorrenza. Il primo in-terrogativo riguarda l’arcana deno-minazione di questa «Madonna In-coronata del Carmine», da tutti chiamata «delle galline»: esiste una diàtriba tra gli storici. V’è chi (R. Ammirante) collega l’appellativo della Vergine al fatto che proprio al-cune galline, razzolando, trovarono il quadro di una Madonna Nera e vi è invece chi (Fiorentino Di Nardo) lo fa risalire all’usanza dell’offerta di tali animali a Maria. Certo, è singo-lare che un pennuto, come la gallina, così domestico e quotidiano, acquisti una valenza così pregnante: eviden-temente non va esclusa l’ipotesi che proprio questo animale era conside-rato nelle antiche tradizioni come «psicopompo», cioè come capace di accompagnare le anime nell’Aldilà.

Particolarmente varia ed elaborata è l’articolazione del rito. Dal Santuario, di note-vole fattura barocca e ricco di opere d’arte, esce di mattina in processione l’ottocen-tesca statua della Vergine, su cui si vanno a depositare molti colombi che, liberati dai fedeli, si affi ancano alle galline sul piedistallo. Insieme restano immobili, tra fuochi d’artifi cio e canti. Nel pomeriggio poi, mentre la processione avanza nel suo silente cammino, vi è il raduno dei tammorrari, provenienti da varie località, che, lasciando grande spazio all’improvvisazione, accompagnano tradizionalissimi canti «a fi gliola» con danze tanto sfrenate da avere quasi un ruolo di esorcizzazione collettiva dall’an-goscia.Non sorprendano a questo punto i testi dei canti, dai contenuti sibillini, eseguiti per la Madonna delle galline, fra i quali segnaliamo due storie di sangue e morte: una che allude a un bizzarro desiderio di evirazione e un’altra che narra di una fanciulla, la quale, per «difendersi» dal primo bacio dello spasimante, lo accoltella, mettendone il sangue in un’ampolla. Richiami questi alla Morte che, però, acquistano un signifi -cato emblematico e concreto da collegare allo spasmodico sogno umano di liberarsi a tutti i costi, se pur per un breve attimo, dalle inquietudini quotidiane che ci stringo-no e attanagliano. I fedeli hanno con la Vergine un dialogo «diretto»: Roberto De Simone ricorda di aver visto una donna, che, disperata per la morte di un fi glio appe-na nato e caduta quasi in trance, si denudò il seno per far vedere alla Vergine come esso sarebbe stato ancora capace di allattare il fi glio.

La Madonna delle galline in processione a Pagani. Questo culto ha radici antichissime e richiama il ruolo arcaico delle galline come animale «psicopom-po» (capace di accompa-gnare le anime nell’Aldilà)

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MODULO 1Geografi a della ricerca antropologica

Roberto De SimoneRoberto De Simone➜(Napoli 1933), musicista, compositore, regista, autore teatrale, ha diretto il Con-servatorio di Musica di San Pietro a Majel-la di Napoli. Tra le sue opere: La gatta Ce-nerentola (1977), Fiabe campane (1994), Il presepe popolare napoletano (1998 e 2004), Il convitato di pietra (1998), L’ope-ra buffa del giovedì santo (1999), La Can-tata dei pastori (2000), la riscrittura di Il

Cunto de li Cunti di Giambattista Basile (2002), Fondatore del gruppo La Nuova compagnia di canto popolare, ha svolto un lavoro di recupero e di reinterpretazione del patrimonio culturale e musicale della tradizione popolare campana, sia orale che scritta, attraverso una vera e propria ricer-ca «sul campo» durante le feste popolari, nei paesini dell’entroterra campano.

Il richiamo all’angoscia è chiaramente ravvisabile nel momento conclusivo della festa, intriso di poetica simbologia. Mentre la statua verso il tramonto rientra silen-ziosamente in Chiesa, i tammorrari danno vita alle loro «performances» improvvi-sate, eppur espressione di un’arte consolidata e raffi nata. La tammorra, con il suo ritmo incessante e quasi ossessivo, libera le energie compresse nell’animo e nella mente degli esecutori, mimando con il suo scandire fortemente i tempi, i battiti del cuore e il battere la terra danzando. E così i tammorrari vanno avanti instancabili per tutta la notte, fi no al mattino. È questo il momento in cui essi attendono la riapertura dei battenti del Santuario, per consegnare le tammorre a Maria come pegno di fede e richiesta di protezione di fronte all’incalzante fragilità della vita umana.

❱❱ 3. Sopravvivenza di culti del mondo antico: le feste del SoleIl culto del Sole è uno degli elementi antropologici più interessanti nella questione della sopravvivenza (ma anche della reinterpretazione) di antiche cerimonie. Il culto del Sole è nato tra il Medio Oriente e le coste dell’Africa mediterranea, più precisamente in Siria e in Egitto. In queste aree geografi che i suoi devoti si riunivano nei tem-pli dedicati al Sole, da cui a mezzanotte uscivano, procla-mando che la Vergine aveva partorito il Sole, che per questo veniva raffi gurato come un bambino. Nel mondo greco il Sole fu assimilato a Febo o Apollo, dio del Sole e della Poesia. Nel mondo romano l’astro celeste occupò un posto centrale nel Pantheon antico, sì che veniva chia-mato Sol invictus («Sole non vinto» o «Sole invincibile»).L’imperatore Costantino fece raffi gurare su una moneta il Sole, con una iscrizione che defi niva il Sol Invictus come un suo comes («compagno»). Nella stessa religione cristiana Gesù stesso è defi nito Sol oriens («Sole che sorge»). Il culto del Sole sopravvive in alcune feste ita-liane, come quelle in onore di san Giovanni Battista e di Santa Lucia.

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Unità 3Sopravvivenza di culti del mondo antico

❱ 3/1 La notte magica della festa di San GiovanniNotte magica, notte di paura e di speranza, notte di orgiastici sfrenamenti e di rituali puntuali: è questo e altro ancora la fatidica notte del 23 giugno che prepara alla festa del giorno dopo, dedicata a San Giovanni Battista. Con la festa del Battista si celebra il solstizio estivo, mentre il Natale corrisponde al solstizio invernale (singolare ac-coppiamento a livello cosmologico-calendariale delle due sacre fi gure, Cristo e il Battista, strettamente collegate fra loro dall’episodio sacramentale del Battesimo). Questo momento solstiziale, che si confi gura come critico, essendo di soglia e di passaggio in cui la vita sembra sospesa, ha affascinato l’uomo antico e le culture delle plebi diseredate. Ricorre perciò negli struggenti racconti della tradizione orale, ma fa anche da suggestiva cornice allo shakespeariano Sogno di una notte di mezza estate, ambientato proprio nella notte di San Giovanni, durante la quale Oberon, il re delle fate, compie liberamente i suoi incantesimi insieme al folletto Puck.Secondo la credenza popolare, il 24 giugno è il giorno più lungo dell’anno, dopo il qua-le la luce del giorno diminuisce progressivamente. E, a tale proposito, molti hanno in-terpretato la famosa espressione biblica proferita dal Battista «Cristo deve crescere, io invece diminuire» come una traslazione sul piano sacro-scritturale del ciclo calendaria-le, che prevede infatti il Natale-Cristo come il giorno in cui la luce comincia a crescere.Ma la notte del 23 non ha solo valenze sacre, bensì anche magico-demoniache, in virtù di un processo di capovolgimento tipico delle culture subalterne, per le quali il sabba è, come sostiene Carlo Ginzgurg, la pratica rituale alternativa alla cultura uf-fi ciale. Il distico, diffuso nel Sannio, «Sotto l’acqua e sotto ‘u viento/ sott’ ‘a noce ‘e Beneviento» riassume, infatti, la leggenda popolare medievale, la quale voleva che, nella spettrale notte di San Giovanni, Erodiade, la dea Diana, Salomè e il loro stuolo di streghe si incontrassero, volando sulle ali del vento, fi no al secolare noce di Bene-vento appunto per danzare il sabba.

Di qui − continua la leggenda − si recavano fi no a Roma, dove i fedeli assiepati dinanzi alla Basilica di San Giovanni in Laterano danzavano e bevevano (inscenando, dunque, una sorta di sabba legale e con valenza apo-tropaica), allontanando le streghe con schia-mazzi, ma soprattutto con aglio e biancospi-no. Quello stesso biancospino, che ricorre nell’arcaico mito di Carma, che, posseduta dal dio Giano, diventa, per ricompensa del-la verginità perduta, protettrice delle porte e dei cardini (come cardinale è la data del solstizio) e neutralizzatrice dei malefi ci ap-punto con il biancospino.E che non ci si debba meravigliare (o addirit-tura menar scandalo) di questa audace commi-stione fra il sacro e il profano, o addirittura l’erotico, è confermato, oltre che dal clima orgiastico-dionisiaco che permea i riti del 23

notte, anche da alcune strane ritualità popolari, diffuse nel Meridione, come ad esempio quella della magica abluzione che le fanciulle facevano del loro organo sessuale con la rugiada raccolta nella vigilia della festa.

Il fi ore del biancospino, secondo la credenza popolare, aveva il potere di allontanare le streghe

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Vigilia nella quale qualcuno raccoglie ancora (in alcune aree del Sannio, in Campania) il cardo, dal cui fi ore si traggono auspici − a seconda che esso secchi o no − riguardo al matrimonio futuro. Pratica questa, che fu esplicitamente proibita dalla Chiesa nel Sinodo Beneventano del 1723, in quanto in tal modo «le donnicciole venivano a patto con il demonio». Come proibito fu a Napoli nei secoli scorsi il rito del bagno, fatto quasi completamente nudi proprio in occasione della festa di San Giovanni a mare (maniera atipica per mimare il Battesimo amministrato dal Santo del deserto).Rito di protezione è invece quello che si pratica tuttora a Roccarainola (Na): la «cinghiatura» dei noci. Nella notte del 23 tutti i tronchi vengono cinti da rametti di salice o pioppo, per proteggerli da una caduta prematura delle noci. La genesi di questo rito viene collegata dagli antropologi Franco Manganelli e Domenico Capo-longo alla decapitazione del Battista avvenuta per capriccio di Salomè, su istigazione della madre Erodiade. E, per fi nire, ci potremmo spostare rapidamente in provincia di Salerno, a Roccaglo-riosa, dove si svolge una processione del Santo, pieno di ex voto in oro. Oppure a Sassano, dove, come riferisce Giuseppe Colitti (studioso di cultura orale), permane la credenza nel racconto di una donna, la quale, entrata per errore in Chiesa nella notte di San Giovanni, viene avvertita dalla comare, che la invita ad andar via, perché quella a cui assiste è la messa dei morti. Quindi la persona a cui si è legati da vincoli di comparatico (si ricordi che nei dialetti campani il sangiuanne è il compare) è l’unica che può salvare, essendo tra l’altro inter-mediaria tra la realtà del mondano e quella dell’Oltremondano. Nel nome di San Gio-vanni si affronta la fatica dell’Esistere qui con la sapienza proveniente da un Altrove.

❱ 3/2 Sole e ombra nelle feste per Santa LuciaLegate alla luce del Sole, ma anche all’oscu-rità dell’inverno sono le feste dedicate a Santa Lucia. Dante Alighieri le fu molto devoto, sì che la scelse nella Commedia come una delle «tre Donne benedette», che vollero il suo Viaggio nell’Aldilà, poiché la sua «vista» spirituale si era annebbiata. La Santa, nota come protettrice della vista, elemento simbolicamente collegato alla Luce e al Sole, secondo alcune leggende popolari, diffusesi circa 700 anni fa, era una vergine siracusana del III-IV secolo, la qua-le fu accecata dai carnefi ci o addirittura si cavò ella stessa gli occhi per mandarli su un vassoio a un suo importuno pretendente. Il suo martirio fu eseguito il 13 dicembre, che è anche la giornata della sua festa, solenne-mente celebrata in Campania e, in partico-lare, nella provincia di Salerno.

Nel calendario folklorico questa data, oltre ad annunciare come giorno più corto dell’an-no la fi ne dell’oscurità invernale, apre un periodo canonico, in quanto, soprattutto nell’Agro nocerino-sarnese, dal 13 dicembre, festeggiato con buon vino e i primi «mustacciuioli», fi no alla Vigilia di Natale si contano le calenne. Questi 12 giorni sin-

In Svezia, all’alba del 13 dicembre, festa di Santa Lucia. Migliaia di bam-bine si vestono di una veste bianca, una corona di candele in testa e into-nano un canto melodioso per illuminare il buio inverno svedese

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tetizzano sacralmente i 12 mesi che volgono al termine: una sorta di «morte» dei mesi che poi «rinascono» all’inizio dell’anno a nuova «vita». Come periodo di sintesi e di passaggio è perciò tempo di sospensione, di rischio, di divieti: per questo in molte città della Provincia è un giorno di astensione dal lavoro, soprattutto nei campi, ed è considerato sacro per le partorienti, che dovranno «dare alla luce» il loro fi glio. Una leggenda popolare vuole che Santa Lucia e Sant’Aniello, festeggiato il giorno dopo, siano fratello e sorella e che ella suggerisca sommessamente ai suoi devoti: «Fidatevi di me, ma di mio fratello no», e avverte che, se ella è indulgente, Sant’Aniel-lo punisce severamente quanti non avessero il dovuto rispetto per lui, facendo uscire lo «scartiello», cioè la gobba ai loro nascituri.La festa di Santa Lucia è molto sentita anche ad Alfano e ad Altavilla Silentina, dove si svolgono suggestive processioni, durante le quali sfi la la statua della Santa, la quale porta in mano un vassoio contenente gli occhi che le sono stati cavati. In queste città, a memoria dell’antica usanza dei processionanti scalzi recanti grandi ceste di cera, alcuni fedeli sfi lano reggendo candele accese, che rinviano alla luce e alla pro-tezione della vista. A Cannalonga, dove il culto della Martire risale a molti secoli fa (la Fiera omonima è attestata fi n dal 1300), la processione è caratterizzata dai prezio-si stendardi dell’Assunta e di San Turidio, dal suggestivo gioco coloristico dei fede-li della Congrega, recanti mozzetta rossa e camice bianco e, infi ne, dalle «cénte», che sono delle strutture alte terminanti a cupola e abbellite da rose di carta, le quali con il loro colore rosso rimandano al sangue versato dalla Santa.

❱❱ 4. Le feste liminari tra primavera ed estateVi sono dei momenti, canonici e simbolici, nell’arco del ciclo calendariale annuale, che sono intermedi e «liminari», nel senso che segnano un passaggio da una disposi-zione dello spirito (e del corpo) ad un’altra: i singoli e i gruppi stanno come sospesi, in attesa di un Evento Superiore, pronti a lasciarsi permeare da un qualcosa di Miste-rioso. Che contiene in sé tante valenze. Di cui spesso abbiamo smarrito lo spessore profondo. Questi momenti si verifi cano in genere in primavera, momento di cambia-mento della Natura e del Cosmo, e nel passaggio dalla primavera all’estate (che segna il ribollir dei sentimenti: aestus in latino signifi ca «calore» e «fremito»).

❱ 4/1 una festa «primavera del Mondo»: la Domenica delle PalmeUna festa «primaverile» per eccellenza (nel senso che segna un nuovo avvio della vita delle comunità e dei singoli) è la Domenica delle Palme, data pregnante che segna la fi ne della fase carnascialesco/quaresimale e apre alla Pasqua. Riepiloghiamo innanzitutto le informazioni necessarie, relative all’episodio scrittu-rale. Gesù entra nella Città Santa, accolto da ali di folla che ha disteso sul Suo cam-mino dei rami, i quali nel racconto di Giovanni, sono di palme, mentre in quello di Marco e Matteo sono di alberi generici (la tradizione li defi nì poi di olivi). Questo ricorrere ad alberi diversi per l’occasione ritorna nel folklore italiano, perché, oltre al più diffuso dono del ramo d’olivo, è attestato anche quello del ramoscello di alloro a Santa Sofi a d’Epiro (Cs) o della palma da dattero (nella Napoli dell’Ottocento). Ma, in secondo luogo, è interessante capire il simbolismo della palma. L’Evangelista Giovanni, per indicarla, usa il termine phoinix, con cui i Greci chiamavano anche l’uccello paradisiaco, la Fenice, che prodigiosamente risorgeva dalle sue ceneri. In tal senso, la palma, se da un lato allude al destino di Cristo, dall’altro, soprattutto se

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incenerita, è considerata nella cultura folklorica come apportatrice di pioggia,vale a dire di vita (in Basilicata dicono «Parma chiuvóse, gregna gravóse», cioè «Dome-nica delle Palme piovosa, covoni con grosse spighe»). Con questo viatico di simboli ci possiamo spostare nel profondo Sud della Penisola, in Sicilia, dove emergono almeno tre fi loni tematici. Un primo è costituito dall’anti-cipazione della ritualità pasquale. Infatti, a Montelepre (Pa), la domenica inizia una Sacra Rappresentazione della morte di Cristo che si protrae fi no a Pasqua, mentre a Casteltermini (Ag) una lunga «Via Crucis» precede una spettacolare processione in cui i fedeli recano rami di palme, anticipazione questa che si ritrova anche in alcuni centri del Foggiano, come Sant’Agata di Puglia. Un secondo fi lone rituale riproduce il momento evangelico dell’ingresso a Gerusa-lemme di Cristo, rappresentato da Confraternite. Ne abbiamo due fulgidi esempi a Gangi (Pa), dove i Confratelli, recando i bellissimi paramenti tradizionali, sfi lano in processione, accompagnati dai dodici Apostoli, fi no alla Chiesa Madre, e ad Enna, dove i Confrati si segnalano per i loro «sacchi» bianchi, le variopinte casacche o «pazienze» e le visiere a cappuccio. Ancor più originale è il terzo nucleo di feste, dove fanno la loro comparsa due inte-ressanti elementi: Giuda e l’asino. Il primo lo troviamo come protagonista solitario a Butera (Cl), dove fi n dalle prime ore del mattino esce dalla Chiesa della Madonne delle Grazie una statua del Cristo, seguita dagli Apostoli, che, vestiti con camici ce-lesti, avanzano a piedi nudi: tra essi vi è anche Giuda, che con un fusto di palme minaccia coloro che lo insultano e si astiene dalla comunione, che invece gli altri Apostoli ricevono. Suggestivo è infi ne il rituale che si svolge a Prizzi (Pa), dove accanto a Giuda, che con una lanterna va in cerca di Gesù, è in forte evidenza la cavalcatura del Cristo: un asino riccamente ornato. Stranamente è questo il simbolo più pregnante ed arcano, su cui in conclusione invitiamo a rifl ettere. L’asino che fi gura nelle feste della Dome-nica delle Palme è, come ha notato l’autorevole storico Franco Cardini, la summa di una serie di complessi signifi cati, che il Cristianesimo ha fuso e purifi cato: dall’asino rosso del mito di Iside che ha valenze ctonie e funeree all’asino (sacro a Dioniso) del mito del re Mida dotato di orecchie asinine. Richiamandosi ad episodi scritturali (come quello dell’asina del profeta Balaam, che per prima riconosce l’Angelo del Signore), il Medioevo cattolico e folklorico ha eliminato gli aspetti demoniaci dell’asino (trasferiti in Giuda) e ha fatto di esso l’ani-male che per eccellenza è legato sia alla terra (perciò è umile: da humus = «terra»), sia al Sotterraneo (visto che in molte leggende esso suona il tamburo, strumento del rapporto con l’Aldilà). In tal senso – non suoni blasfemo: lo dicevano i primi Cristia-ni – l’asino sacro prefi gura imperfettamente Cristo stesso, che muore umilmente, scende sottoterra, ma poi a Pasqua regalmente risorge.

❱ 4/2 La festa dei Gigli a nola / Mestieri e misteriAndare oltre: è la parola d’ordine di chi vuole capire il senso di una festa. Oltre le apparenze. Per intuire il misterioso intreccio che in essa vi è fra una storia miracolo-sa (livello mitico) e una serie di comportamenti messi in atto dai fedeli (livello ritua-le). In tal senso la festa dei gigli che si svolge a Nola (Na) la domenica dopo il 22 giugno, si pone come una delle più originali e complesse. Il fatto prodigioso consiste nel racconto della salvazione di alcuni Nolani, prigionie-ri dei barbari, operata da San Paolino. Ma se il livello «mitico» (in questo caso il

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Unità 3Sopravvivenza di culti del mondo antico

«mito» è la storia in cui il fedele crede) resta sedimentato nell’immaginario collettivo dei fedeli, quel che si impone agli occhi del visitatore come spettacolo unico e grandioso è la splendida scenografi a dei Gigli, che ha tre caratteristiche ritualiLa prima risiede nel ruolo che storicamen-te hanno svolto le corporazioni dei mestieri, dai contadini agli artigiani, come già nel sec. XV attestava lo storico Ambrogio Leone («Il giorno prima della festa di San Paolino si fa un giro per la città: prima vanno i contadini con falci, seguendo, come fosse il loro ves-sillo, una grandissima torcia a guisa di co-lonna accesa e di spighe di grano […]. Viene poi il Cero degli ortolani e poi altri Ceri degli artigiani. Accompagnano il Ve-scovo il conte ed il maestro del mercato, di

poi i primari cittadini e il rimanente popolo, tutti a piedi»). In tutta Europa tali corporazioni derivano da arcaiche società segrete, che curavano sia l’addestramento dei loro adepti sia l’organizzazione del rito-spettacolo. In tali spettacoli «la tematica preferita è la vita dei Santi, ma non in quanto imitazione del-la vita di Cristo: il Santo è piuttosto il protagonista di romantiche avventure in un viaggio ininterrotto di cui i luoghi deputati costituiscono le tappe […]. E in questi casi le avventure dei Santi protagonisti si riducono ad una dimensione borghese» (Carlo Molinari).Anche per la festa dei gigli l’antropologo Franco Manganelli ha ipotizzato che le corporazioni, che vanno incontro al Santo, altro non sono che «residui di antiche affi liazioni misteriche». Di esse oggi si son perse le tracce, che però ricompaiono sotto altre simboliche forme, come i movimenti orgiastici dei devoti. Essi sono evidenti nella «follia collettiva» che afferra tutti e che, come scrisse Adolfo Musco, uno storico nolano del ’900, fa pensare ai Saturnali pagani e alle feste menadi-che in onore di Dioniso. O di Adone/Attis, la cui amante era Cibele, in nome della quale si svolgevano nel periodo dell’equinozio di primavera (siamo, così alla seconda caratteristica peculiare dei gigli: l’elemento del ciclo stagionale) gli Hilaria o festa del riso: ebbene un’antica descrizione della festa racconta di un devoto-ballerino, che, dopo aver mimato la sua morte, si alza ridendo. Si tenga conto − per chiarire meglio l’impor-tanza del carattere «primaverile» di rinascita implicito nella Festa dei Gigli − che alcu-ne testimonianze ci informano che in passato i fedeli di San Paolino recavano, accanto ai gigli, anche mazzi di fi ori e cornucopie, che sono vasi a forma di cono, coronati di erbe e riempiti di frutti, simboleggianti l’abbondanza e la rinascita.Ed eccoci alla terza caratteristica: l’intreccio della Vita e della Morte. Come Cibele è la dea procreatrice del Tutto, amante di Attis morto di morte violenta, così San Paolino è l’eroe cristiano che riporta dalla «morte» della schiavitù alla «vita» degli affetti i Nolani prigionieri. E in suo onore si fa ballare a gara il Giglio, che si pone come simbolica ierofania, cioè come oggetto profano attraverso cui si manifesta il Sacro: in tal modo il Giglio indica una sorta di Ombelico della Terra, proiettato verso il Cielo, quasi a signifi care che il senso dell’esistere va oltre questo Mondo.

I gigli di Nola, enormi obelischi che sfi lano, portati a spalla, durante la festa di San Paolino

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passato e presente ❱ Il carro retaggio del ver sacrumpassato e presente ❱ Il carro retaggio del ver sacrum

Un carro addobbato per la carrese di San Pardo a Larino

Secondo quanto riferito dallo storico latino Strabone e da altri autori classici, le popolazioni sannite che abita-vano l’Italia centrale nell’età del bronzo, quando erano minacciate da pericoli o calamità naturali, solevano dedicare al dio Marte tutto ciò che sarebbe venuto alla

luce nella successiva primavera. I bambini nati in tale periodo venivano dunque allevati come sacrati (consa-crati) e, raggiunta la maggiore età, dovevano lasciare la loro tribù alla ricerca di nuove terre, guidati da un ani-male sacro che avrebbe indicato il luogo ove stabilirsi. Alcuni resti di bassorilievi rinvenuti a Larino (Larinum,

l’antica capitale dei Frentani), con fi gure di bovini orna-ti con una benda, l’infula, una striscia di lana bianca che cingeva la testa delle vittime sacrifi cali, sono la testimo-nianza della sacralità che circondava nel lontano passa-to questi animali domestici.

E proprio in alcuni centri dell’area anticamente abitata dai Sanniti si sono conservate delle ma-nifestazioni che, pur avendo assunto nel corso dei secoli un signifi cato religioso come feste in onore del santo patrono, conservano tracce di riti antichissimi quale appunto il ver sacrum.Nella cittadina molisana di Bojano si svolge ogni anno la festa sannita della «Primavera sacra», atto che probabilmente è all’origine della fonda-zione di Bojano. La rievocazione ripropone il rito che consisteva nella consacrazione dei grup-pi di giovani destinati a lasciare il villaggio al seguito di buoi sacri. Spostandoci nel Basso Molise a Larino (Cb) troviamo un’altra festa di tradizione arcaica, forse collegata al ciclo della natura e probabil-mente molto più antica del rito cristiano in onore del santo patrono che oggi la caratterizza, considerando che altre manifestazioni analoghe hanno luogo, tra la fi ne di aprile e gli inizi di

maggio nei vicini comuni di S. Martino in Pensilis, di Ururi e di Portocannone. La carrese di Larino si svolge il 25 (giorno di San Pardo, cui è dedicata), il 26 e il 27 maggio e vede sfi lare oltre cento carri trainati da buoi e addobbati a festa con dei fi ori di carta fatti a mano secondo una tecnica tradizionale.

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Unità 3Sopravvivenza di culti del mondo antico

Prove di verifi ca1. Rispondi alle seguenti domande utilizzando lo spazio a disposizione:

a) Qual è il nesso dell’incredibile fenomeno del volo delle formiche con i poemi omerici? ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................

b) Quali sono le origini storiche della festa dei serpari che si celebra a Cocullo in Abruzzo? ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................

c) Quali feste della religione cristiana sono messe in relazione con la luce e quindi con il rapporto Giorno/Notte, Sole/Tenebre, Estate/Inverno? ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................

d) Perché quella di San Giovanni è considerata una notte magica? ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................

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MODULO 1Geografi a della ricerca antropologica Prove di verifica

e) A quali feste pagane dell’antichità si possono collegare i gigli di Nola? ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................

f) Che cosa signifi ca il termine ierofania? ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................

2. Prova a indicare alcuni di tali signifi cati simbolici, riportando esempi tratti da vari ambiti: citazioni letterarie, mitologia, arte, modi di dire, immaginario popolare.

Gli animali, mitologici o realmente esistenti, fanno parte della nostra «memoria storica», della nostra «cultura». Assumono cioè signifi cati ben precisi anche se diversi in rapporto alle differenti tradizioni, religioni, razze. Qualche esempio? I poveri gatti, innanzitutto. Per inciso, nel Medio Evo il gatto era considerato una delle incarnazioni del demonio al punto tale che era suffi ciente possederne uno per essere accusati di stregoneria. Sempre in tema di animali con un signifi cato negativo non può manca re il serpente, la cui biblica pessima reputazione è arrivata intatta fi no ai giorni nostri.

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