shadowhunters. città di cenere · conosco i demoni e gli angeli che si affollano e si posano tra i...

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CASSANDRA CLARE

SHADOWHUNTERSCITTÀ DI CENERE(This Mortal Instruments. City Of

Ashes, 2008) A mio padre,che non è cattivo.Be’, solo un pochino, forse.Conosco le tue strade, dolce città,conosco i demoni e gli angeli che si

affollanoe si posano tra i tuoi rami come

uccelli.Ti conosco, fiume, quasi scorressi

nel mio cuore.Sono la tua figlia guerriera.Ci sono lettere fatte del tuo corpocome una fontana è fatta d’acqua.Ci sono lingue

delle quali sei l’abbozzoe quando le parliamola città compare.(ELKA CLOKE, Questa amara

lingua)prologo

FUMO E DIAMANTILa formidabile struttura di vetro e

acciaio su Front Street si ergeva dallefondamenta come un ago scintillante chetrafigge il cielo. Il Metropole, la piùcostosa delle nuove torri di DowntownManhattan, contava cinquanta-settepiani. L’ultimo ospitava l’appartamentopiù lussuoso: l’attico del Metropole, unautentico capolavoro di elegante designbianco e nero. Troppo nuovi per averegià raccolto polvere, i suoi nudipavimenti di marmo, luci-dissimi,riflettevano le stelle del cielo notturnoattraverso le enormi finestre a parete. Levetrate, perfettamente trasparenti,davano l’incredibile illusione che nulla

si frapponesse tra l’osservatore e lavista, che faceva venire le vertiginianche a chi non aveva pauradell’altezza.

Molto più in basso, scorreva ilnastro d’argento dell’East River - ornatodai braccialetti dei ponti luccicanti edisseminato di barche piccole comecacchine di mosca - che separava lascintillante isola di luce di Manhattan daquella di Brooklyn. Nelle notti chiare,più a sud, si poteva scorgere la Statuadella Libertà illuminata. Quella notte,però, c’era nebbia, e Liberty Island eranascosta da un candido banco di foschia.

Malgrado la vista spettacolare,l’uomo in piedi davanti alla finestra non

sembrava particolarmente colpito.Quando voltò le spalle alla vetrata eattraversò a grandi passi la stanzafacendo echeggiare i tacchi degli stivalisul pavimento di marmo, il suo visoaffilato, ascetico, era accigliato. «Nonsei ancora pronto?» chiese passandosiuna mano tra i capelli del colore delsale. «È quasi un’ora che siamo qui.»

Il ragazzo inginocchiato alzò losguardo su di lui, agitato e stizzito. «È

colpa del marmo. È più solido diquanto pensassi. È difficile disegnarci ilpentagramma.»

«E allora salta il pentagramma.» Davicino era più facile vedere che,nonostante i capelli bianchi, l’uomo non

era vecchio. Il suo viso era duro esevero, ma senza rughe, gli occhi eranochiari e fermi.

Il ragazzo deglutì a fatica e le nereali membranacee che gli spuntavanodalle scapole strette (aveva ritagliatodue fessure sul dietro del giubbino dijeans per farcele passare) sbatterononervosamente. «Il pentagramma è parteintegrante di qualsiasi rituale perevocare i demoni. Lo sapete, signore,senza di esso…»

«… non siamo protetti. Lo so,giovane Elias. Ma tu continua. Hoconosciuto stregoni capaci di evocare undemone, farci due chiacchiere e rispe-dirlo all’inferno nel tempo che ti ci è

voluto a disegnare metà di quella stellaa cinque punte.»

Senza replicare, il ragazzo partì dinuovo all’assalto del marmo, stavoltacon rinnovata urgenza. Il sudore gligocciolava dalla fronte. Si tirò indietro icapelli con una mano dalle dita unite dadelicate membrane simili a ragnatele.«Fatto» disse finalmente, sedendosi suitalloni con il respiro af-fannoso.

«Bene.» L’uomo sembravasoddisfatto. «Cominciamo.»

«I miei soldi…»«Te l’ho detto. Avrai i tuoi soldi

dopo che avrò parlato con Agramon, nonprima.»

Elias si alzò in piedi e si tolse il

giubbino, che continuava a schiacciarglifastidiosamente le ali; una volta liberate,queste si allargarono e si distesero,smuovendo l’aria nella stanza nonventilata. Avevano il colore di unachiazza di petrolio: nere, striate da uncangiante arcobaleno di tinte dacapogiro. L’uomo distolse lo sguardodal ragazzo, come disturbato dalla vistadelle ali, ma Elias non sembrò farcicaso. Cominciò a girare intorno alpentagramma che aveva disegnato, insenso antiorario e cantilenando in unalingua demoniaca simile a un crepitio difiamme.

All’improvviso, con il rumore che fal’aria quando fuoriesce da uno

pneumatico, il contorno delpentagramma si incendiò. Le dodici,enormi finestre rimandarono i riflessi didodici stelle a cinque punte in fiamme.

Qualcosa si muoveva all’interno delpentagramma, qualcosa di informe enero. Ora Elias cantilenava piùvelocemente, sollevando le manipalmate e tracciando nell’aria delicatefigure con le dita che si lasciavanodietro una scia di crepitante fuocoazzurro. Anche se non parlavafluentemente lo ctonio, la lingua deglistregoni, l’uomo decifrò le parolequanto bastava per capire la cantilenaripetuta da Elias: Agramon, io ti invoco.Lascia gli spazi tra i mondi, io ti

invoco.L’uomo si infilò una mano in tasca.

Le sue dita incontrarono qualcosa diduro, freddo e metallico. Sorrise.

Elias si era fermato. Adesso stavaritto davanti al pentagramma, la voceche si alzava e si abbassava in una neniaregolare, le fiamme gli crepitava-nointorno come lampi. A un tratto unpennacchio di fumo nero si levòall’interno del pentagramma e salì aspirale, espandendosi e solidificandosi.

Due occhi erano sospesi nell’ombracome gioielli impigliati in una ragnatela.

« Chi mi ha chiamato quiattraverso i mondi? » chiese Agramoncon una voce che ricordava un vetro che

va in frantumi. « Chi mi ha invocato? »Elias aveva smesso di cantilenare.

Stava immobile davanti alpentagramma… immobile a parte le ali,che sbattevano adagio. L’aria puzzava dibruciato e corrosione.

«Agramon» disse il ragazzo. «Sonolo stregone Elias. Sono colui che ti hainvocato.»

Per un istante regnò il silenzio. Poi ildemone rise, ammesso che il fumo possaridere. Un riso caustico come l’acido. «Stupido stregone» ansimò Agramon. «Stupido ragazzo. »

«Sei tu lo stupido, se pensi dipotermi minacciare» disse Elias, ma lavo-ce gli tremò, come le ali. «Sei

prigioniero di quel pentagramma,Agramon, finché non ti libero.»

« Davvero? » Il fumo avanzò,ricreandosi di volta in volta. Una spiraassunse la forma di una mano umana eaccarezzò il bordo del pentagrammaardente che la conteneva. Poi, d’impeto,il fumo superò ribollendo il marginedella stella e si riversò al di là comeun’onda che apre una breccia in unadiga. Le fiamme tremolarono e siestinsero mentre Elias indietreggiavaincespicando e lanciando alte grida.Cominciò a cantilenare freneticamente inctonio incantesimi di contenimento e dibando. Invano. La nera massa di fumoavanzava inesorabile e stava

cominciando a prendere forma: unaforma vaga, enorme, orribile, mentre gliocchi scintillanti si trasformavano, siarrotondavano, fino a diventareimmensi, grandi come piatti, ed e-manavano una luce spaventosa.

L’uomo guardò interessato, maimpassibile, Elias che ricominciava aurlare e si girava per fuggire. Nonraggiunse mai la porta. Agramon sispinse in avanti e la sua massa scura siabbatté sullo stregone come un flutto dinero bitume gorgogliante. Per un istanteElias lottò debolmente sotto il suoassalto… poi rimase immobile.

La forma nera arretrò, lasciando lostregone contorto sul pavimento di

marmo.«Spero proprio» disse l’uomo, che

aveva tirato fuori di tasca il freddooggetto metallico e ci giocherellavapigramente «che tu non gli abbia fattonulla che lo renda inservibile per i mieiscopi. Sai, ho bisogno del suo sangue.»

Agramon si girò, un pilastro nerocon micidiali occhi di diamante.Esaminarono l’uomo nel suo abitocostoso, il viso allungato, indifferente, imarchi neri che gli coprivano la pelle el’oggetto scintillante nella sua ma-no. «Hai pagato il bambino stregone perinvocarmi? E non gli hai detto di checosa ero capace? »

«Indovinato» rispose l’uomo.

Suo malgrado, Agramon parlò pienodi ammirazione. « Una mossa astu-ta. »

L’uomo fece un passo verso di lui.«Io sono molto astuto. E ora sono ancheil tuo padrone. Possiedo la CoppaMortale. Devi obbedirmi, o affrontare leconseguenze.»

Il demone rimase in silenzio per unistante. Poi scivolò a terrascimmiottando una riverenza… la cosapiù simile a un inchino che potesseriuscire a una creatura incorporea. «Sono al tuo servizio, mio signore… »

Finì la frase educatamente, in tonointerrogativo.

L’uomo sorrise. «Puoi chiamarmiValentine.»

parte primaUNA STAGIONE ALL’INFERNOMi credo all’inferno, dunque ci

sono.(ARTHUR RIMBAUD)capitolo 1

LA FRECCIA DIVALENTINE

«Sei ancora arrabbiato?»Alec, appoggiato alla parete

dell’ascensore, lanciò uno sguardo trucea Jace attraverso lo spazio angusto.«Non sono arrabbiato.»

«Oh, sì che lo sei, invece.» Jace feceun gesto accusatorio al fratellastro egridò, il braccio percorso da una fitta.Ogni parte del suo corpo era dolorante,dopo la botta che aveva preso quelpomeriggio per un volo di tre pianiconcluso sfondando del legno marcio eatterrando su un mucchio di ferraglia.Gli facevano male perfino le falangidelle dita contuse. Alec, che solo di

recente aveva abbandonato le stampelleche aveva dovuto usare dopo unoscontro con Abbadon, non sembravamolto più in forma di Jace.

Aveva gli abiti infangati e i capelliche ricadevano in ciocche unte, lisce eintrise di sudore. Un lungo taglio glideturpava una guancia.

«Non è vero» disse attraverso identi. «Solo perché avevi detto che idemoni draghi erano estinti…»

«Io avevo detto perlopiù estinti. »Alec gli puntò un dito contro. «

Perlopiù estinti» ripeté con vocetremante di rabbia «significa NONABBASTANZA ESTINTI.»

«Capisco» disse Jace. «Vuol dire

che farò cambiare la voce nel manualedi demonologia da “quasi estinti” a “nonabbastanza estinti per Alec perché lui imostri li preferisce davvero estinti”.Questo ti farà felice?»

«Ragazzi, ragazzi» disse Isabelle,che era stata occupata a esaminarsi ilviso nella parete a specchiodell’ascensore. «Non litigate.» Distolselo sguardo dallo specchio con un sorrisoallegro. «D’accordo, c’è stata un po’

più azione di quanto ci aspettassimo,ma io l’ho trovata uno sballo.»

Alec la guardò e scosse la testa.«Ma come fai a non sporcarti mai difango?»

La sorella scrollò le spalle con

filosofia. «Ho il cuore puro. Respinge lasporcizia.»

Jace sbuffò talmente forte cheIsabelle lo guardò irritata. Jace le agitòcontro le dita incrostate di fango. Alposto delle unghie aveva delle mezze-lune nere. «Sporco dentro e fuori.»

Isabelle stava per replicare, quandol’ascensore si fermò con uno stridio difreni. «Sarebbe ora di riparare questoaffare» disse aprendo con violenza laporta. Jace la seguì nell’ingresso,impaziente di togliersi armi e armatura edi farsi una doccia calda. Avevaconvinto i fratellastri ad accompagnarloa caccia, sebbene nessuno dei due fossedel tutto a proprio agio a uscire in quel

modo, dato che ora che non c’era piùHodge a dare istruzioni. Ma Jace avevacercato l’oblio attraverso ilcombattimento, lo spietato diversivodell’uccidere e la distrazione del ferire.E gli altri due, avendolo capito, avevanoaccolto la proposta e si erano trascinaticon lui nei tunnel sporchi e deserti dellametropolitana, finché avevano trovato ildemone drago e lo avevano ammazzato.Avevano agito tutti insieme, in perfettaarmonia, co-me sempre. Come unafamiglia.

Jace abbassò la cerniera e si tolse lagiacca, lanciandola su uno dei gancifissati al muro. Alec, che gli sedevaaccanto sulla panca di legno, si liberò

scalciando degli stivali incrostati dimelma. Canticchiava sottovoce, sto-nando, per far capire a Jace che non erapoi così seccato. Isabelle si sfilava leforcine e lasciava ricadere i suoi lunghicapelli neri. «Ho una fame!»

disse. «Vorrei che la mamma fossequi per cucinarci qualcosa.»

«Meglio di no» osservò Jacesfibbiandosi la cintura delle armi.«Stareb-be già strepitando per il fangosui tappeti.»

«Proprio così» disse una vocegelida, e Jace, le mani ancora sullacintura, si girò di scatto. MaryseLightwood era in piedi sulla soglia, abraccia conserte. Indossava un rigido

vestito da viaggio nero, e aveva icapelli, ne-ri come quelli di Isabelle,raccolti in una spessa treccia che lepenzolava a metà della schiena. I suoiocchi, di un azzurro glaciale,scivolarono sui tre come un riflettoreantiaereo…

«Mamma!» Isabelle, riacquistando ilcontrollo di sé, corse ad abbracciar-la.Alec si alzò e le raggiunse, cercando dinascondere che zoppicava ancora.

Jace rimase dov’era. Quando gliocchi di Maryse l’avevano sfiorato,aveva notato qualcosa che l’avevainchiodato sul posto. Eppure non avevadetto niente di così tremendo, no?Scherzavano in continuazione sulla sua

os-sessione per i tappeti antichi…«Dov’è papà?» chiese Isabelle,

staccandosi dalla madre. «E Max?»Maryse ebbe un’esitazione quasi

impercettibile, poi disse: «Max è nellasua stanza. Quanto a tuo padre,purtroppo è ancora ad Alicante. C’eranoalcuni affari che richiedevano la suapresenza.»

Alec, generalmente più sensibiledella sorella agli umori altrui, era esi-tante. «C’è qualche problema?»

«Potrei rivolgere la stessa domandaa te. » Il tono di sua madre era freddo.«Sbaglio, o zoppichi?»

«Io…»A mentire Alec era una frana.

Isabelle rispose al posto suo, in tonoconciliante:

«Abbiamo avuto una zuffa con undemone drago nei tunnel della metro.

Niente di che.»«E immagino che neanche il Demone

Superiore contro cui avete combattuto lascorsa settimana fosse niente di che,vero?»

Questo zittì perfino Isabelle. Lanciòun’occhiata a Jace, che ne avrebbe fattovolentieri a meno.

«Non era programmato.» Jacefaceva fatica a concentrarsi. Maryse nonlo aveva ancora salutato, non lo avevadegnato neppure di un ciao, e continuavaa guardarlo con occhi che sembravano

due pugnali azzurri. Jace sentiva unvuoto alla bocca dello stomaco checominciava a diffondersi. Maryse non loaveva mai guardato così, qualsiasi cosaavesse combinato. «È

stato un errore…»«Jace!» Max, il più piccolo dei

fratelli Lightwood, si infilò tra Maryse elo stipite della porta e si precipitò nellastanza, schivando la mano della madreprotesa verso di lui. «Sei tornato! Sietetornati tutti!» Si mise a girare in tondo,sorridendo ad Alec e a Isabelle con ariatrionfante. «Mi pareva di aver sentitol’ascensore!»

«E a me pareva di averti detto direstare nella tua stanza» disse Maryse.

«Non me lo ricordo» replicò ilbambino con una serietà che fecesorridere perfino Alec. Max era piccoloper la sua età, circa sette anni, ma avevauna placida gravità che, unita agliocchiali troppo grandi, gli conferivaun’aria più adulta. Alec allungò la manoe gli arruffò i capelli, ma il fratellocontinuava a guardare Jace con gli occhiche brillavano. Jace sentì il freddopugno serrato nello stomaco allentarsiun poco. Max lo aveva sempre veneratocome un eroe, ben più di quantovenerasse il fratello maggiore,probabilmente perché Jace accettavamolto di più la sua presenza. «Ho sentitoche avete combattuto contro un Demone

Superiore» disse. «Era be-stiale?»«Era… diverso» rispose

evasivamente Jace. «E Alicantecom’era?»

« Bestiale. Abbiamo visto dellecose fichissime. C’è un’armeriaimmensa.

E poi mi hanno portato in alcuni deiposti dove fabbricano le armi. Mi hannoanche fatto vedere un nuovo modo difare le spade angeliche in mo-do chedurino di più. E poi voglio provare aconvincere Hodge a spiegarmi…»

Jace non poté trattenersi: i suoiocchi guizzarono immediatamente versoMaryse con espressione incredula.Dunque Max non sapeva di Hodge?

Non glielo aveva ancora detto?Maryse notò il suo sguardo e le sue

labbra si fecero sottili come lame dicoltello. «Basta, Max.» Prese il figliopiù piccolo per il braccio.

Il bambino allungò la testa e alzò sudi lei uno sguardo pieno di stupore.

«Ma sto parlando con Jace…»«Lo vedo.» Maryse lo spinse

delicatamente verso Isabelle. «Alec,Isabelle, portate vostro fratello nella suastanza. Jace» quando pronunciò quelnome la sua voce lasciò trasparire unacerta tensione, come se un acidoinvisibile le prosciugasse le sillabe inbocca «datti una pulita e raggiungimi inbiblioteca appena puoi.»

«Non capisco» disse Alec spostandolo sguardo da sua madre a Jace eviceversa. «Che succede?»

Jace sentì il sudore freddocominciare a colargli lungo la schiena.«C’entra mio padre?»

Maryse sussultò due volte, come sele parole “mio padre” fossero state dueschiaffi distinti. «In biblioteca» disseattraverso i denti serrati. «Discuteremola faccenda là.»

Alec intervenne: «Quello che èsuccesso mentre eravate via non è colpadi Jace. C’eravamo dentro tutti. E Hodgeha detto…»

«Anche di Hodge discuteremo piùtardi.» Gli occhi di Maryse erano fissi

su Max, il tono severo.«Ma… mamma» protestò Isabelle.

«Se hai intenzione di punire Jace, de-vipunire anche noi. È una questione digiustizia. Abbiamo fatto tutti esattamentele stesse cose.»

«No» fece Maryse dopo un silenzioprotratto così a lungo che Jace pensavache non avrebbe aggiunto nulla. «Non èvero.»

«Regola numero uno dei cartonianimati giapponesi» disse Simon. Eraseduto con la schiena appoggiata a unmucchio di cuscini ai piedi del suo letto,un sacchetto di patatine in una mano e iltelecomando nell’altra. Portava unamaglietta nera con la scritta I

BLOGGED YOUR MOM e un paio dijeans con un buco su un ginocchio. «Maiavere a che fare con un monaco cieco.»

«Lo so» disse Clary prendendo unapatatina e intingendola nella ciotoladella salsa sul tavolino pieghevole traloro. «Per qualche ragione sonocombattenti molto più abili dei monaciche ci vedono.» Diede un’occhiata alloschermo. «Cosa fanno quei tipi,ballano?»

«Macché. Stanno cercando di farsifuori a vicenda. Questo tizio è nemicomortale dell’altro, ricordi? Gli haucciso il padre. Perché dovrebberoballare?»

Clary sgranocchiò la sua patatina e

fissò meditabonda lo schermo, dovevortici animati di nuvole rosa e gialleguizzavano tra le figure di due uominialati che fluttuavano uno attornoall’altro, ognuno stringendo una lanciascintillante. Ogni tanto uno dei dueparlava, ma visto che era tutto ingiapponese coi sottotitoli cinesi nonchiariva granché le cose. «Il tizio con ilcappello» disse Clary «era il cattivo?»

«No, il tizio con il cappello era ilpadre. Era l’imperatore mago, e quelloera il suo cappello del potere. Il cattivoera il tizio con la mano meccanicaparlante.»

Squillò il telefono. Simon posò ilsacchetto di patatine e fece per

rispondere. Clary lo trattenne per ilpolso. «Fermo. Lascialo suonare.»

«Potrebbe essere Luke. Magarichiama dall’ospedale.»

«Non è Luke» disse Clary apparendopiù sicura di quanto non fosse.

«Chiamerebbe il mio cellulare, noncasa tua.»

Simon la guardò per un lungo istanteprima di lasciarsi ricadere sul tappetoaccanto a lei. «Se lo dici tu.» Clarypercepì il dubbio nella sua voce, maanche la tacita assicurazione Voglio soloche tu sia felice. Non era certa di poteressere precisamente felice in quelmomento, con sua madre in ospedaleattaccata a tubi e macchinari ronzanti e

Luke accasciato sulla sedia di plasticaaccanto al letto di lei e ridotto a unozombi. Ora che era costan-tementepreoccupata per Jace, alzava la cornettadecine di volte per chiamare l’Istituto epoi la rimetteva giù senza averecomposto il numero. Se Jace volevaparlarle, poteva anche degnarsi dichiamare.

Forse era stato un errore portarlo atrovare Jocelyn. Era così sicura che,solo sentendo la voce di suo figlio, delsuo primogenito, sua madre si sarebbesvegliata! Ma non era andata così. Jaceera rimasto accanto al letto impettito eimbarazzato, il viso da angelo dipinto,gli occhi vacui, indifferenti. Alla fine

Clary aveva perso la pazienza e gliaveva gridato contro, al che lui avevagridato contro di lei e poi se n’eraandato furibondo. Luke lo avevaguardato allontanarsi con un interessequasi clinico sul volto esausto. «È statala prima volta che vi ho visticomportarvi come fratello e sorella.»

Clary non aveva risposto nulla. Chesenso aveva dirgli che moriva dallavoglia che Jace non fosse suo fratello?Ma non potevi strapparti il DNA, perquanto lo desiderassi. Per quantopotesse renderti felice.

Ma anche se non riusciva a esserefelice, pensò, almeno lì da Simon, nellasua stanza, si sentiva a proprio agio, a

casa. Lo conosceva da abbastanza tempoper ricordare quando lui aveva un letto aforma di camion dei pom-pieri e iLEGO impilati in un angolo della stanza.Adesso il letto era un fu-ton con unavivace trapunta a righe che gli avevaregalato la sorella e le pareti eranoricoperte da poster di band come i RockSolid Panda e gli Step-ping Razor.Nell’angolo dove una volta erano sparsii LEGO era stata si-stemata una batteria,e nell’altro angolo c’era un computer, loschermo fermo su un’immagine di Worldof Warcraft. Le era familiare quasi comela cameretta di casa sua… che nonesisteva più. Perciò, allo stato attuale,per Clary quella era la cosa più simile a

un posto tutto suo.«Ancora Chibi» disse Simon con

aria depressa. I personaggi sulloschermo si erano trasformati nelle loroversioni in miniatura alte due centimetrie mezzo e si inseguivano qua e làbrandendo pentole e padelle.

«Cambio canale» annunciòafferrando il telecomando. «Sono stufodi questi cartoni giapponesi. Noncapisco la trama e nessuno fa maisesso.»

«Ci mancherebbe altro» disse Claryprendendo un’altra patatina. «I cartonigiapponesi sono un sano spettacolo pertutta la famiglia.»

«Se sei in vena di spettacoli meno

sani, potresti provare i canali porno»osservò Simon.«Dammi qua!» Clary cercò di

strappare il telecomando a Simon, chepe-rò, ridacchiando, aveva già cambiatocanale.

Ma i suoi sorrisetti si interrupperobruscamente. Clary alzò lo sguardosorpresa vedendolo fissare il televisorecon espressione vacua. Trasmette-vanoun vecchio film in bianco e nero,Dracula. Lo aveva già visto con suamadre. Sullo schermo c’era Bela Lugosi,magro e con il volto cereo, avvolto nelsuo noto mantello dal colletto alto, lelabbra sollevate sui denti aguzzi. «Nonbevo mai… vino» disse col suo spiccato

accento ungherese.«Adoro le ragnatele di plastica»

commentò Clary cercando di assumereun tono leggero. «Si vede benissimo chesono finte.»

Ma Simon si era alzato in piedi.Lasciò cadere il telecomando sul letto eborbottò: «Torno subito.» Il suo voltoaveva il colore del cielo invernale pocoprima che piova. Clary lo guardò andarevia mordendosi il labbro.

Per la prima volta da quando suamadre era stata ricoverata in ospedale sirese conto che neanche Simon era troppofelice.

Mentre si asciugava i capelli conuna salvietta, Jace osservò corrucciato il

proprio riflesso nello specchio con unosguardo interrogativo. Una runa diGuarigione aveva curato ferite eacciacchi vari, ma non aveva eliminatole ombre sotto gli occhi e neanche lelinee dure agli angoli della bocca.

Aveva mal di testa e un leggerocapogiro. Sapeva che doveva metterequalcosa sotto i denti, ma si erasvegliato con la nausea e in ansia pervia dei suoi incubi, senza alcuna vogliadi mettersi a mangiare, e desideravasoltanto il sollievo dell’attività fisica, dibruciare i propri brutti sogni in fatica esudore.

Gettando da parte la salvietta, pensòcon vivo desiderio al tè nero e dolce che

Hodge preparava con i fiori notturnidella serra. Quel tè eliminava i morsidella fame e dava una rapida sferzata dienergia. Da quando Hodge era morto,Jace aveva provato a bollire in acqua lefoglie delle piante per cercare diottenere lo stesso effetto, ma l’unicorisultato era stato un liquido amaro chesapeva di cenere e lo faceva soffocare.

Andò a piedi nudi nella sua stanza esi mise dei jeans e una camicia pulita. Sitirò indietro i capelli biondi ancoraumidi con aria imbronciata. Eranotroppo lunghi, gli ricadevano sugliocchi, Maryse lo avrebbe sicuramenterimproverato. Non perdeva mail’occasione di farlo. Jace non era il loro

figlio naturale, ma i Lightwoodl’avevano sempre trattato come tale daquando l’avevano adottato, all’età didieci anni, dopo la morte di suo padre.

La morte presunta, ricordò Jace a sestesso, mentre la sensazione di vuotonelle viscere si rifaceva viva: nei giorniprecedenti si era sentito come un fuocofatuo, come se gli avessero strappato lebudella con un forcone e le avesserobuttate via, mentre un largo sorriso glirimaneva impresso sul volto. Spesso sichiedeva se qualcosa di ciò che avevacreduto riguardo a se stesso e allapropria vita fosse mai stato vero.Credeva di essere orfano… e non lo era.Credeva di essere figlio unico… e

aveva una sorella.Clary. Il dolore tornò, più forte. Lui

lo ricacciò giù. Gli cadde lo sguardo sulframmento di specchio rotto sulcassettone: rifletteva ancora rami verdie un tratto di cielo blu. Adesso, a Idris,il sole era appena tramontato, e il cieloera scuro come cobalto. Soffocando perla sensazione di vuoto, Jake si infilò infretta gli stivali e scese di sotto, inbiblioteca.

Mentre scendeva rumorosamente igradini di pietra si chiese che cosa maivolesse dirgli Maryse a quattr’occhi.Gli aveva dato l’impressione di esseresul punto di colpirlo. Non riusciva aricordare l’ultima volta che lei gli aveva

messo le mani addosso. I Lightwood nonerano inclini alle puni-zioni corporali…Tutt’altra storia rispetto all’educazioneimpartitagli da Valentine, che avevaescogitato ogni genere di dolorosicastighi per renderlo obbediente. Lapelle da Cacciatore di Jace sirimarginava sempre, coprendo quasi tuttii segni. Nei giorni e nelle settimanesuccessive alla morte di suo padre, Jacericordava di avere esaminato il propriocorpo in cerca di cicatrici, di qualcheuna traccia che lo legasse fisicamentealla propria memoria.

Raggiunta la biblioteca, bussò unavolta e aprì la porta. Maryse era sedutaaccanto al fuoco nella vecchia poltrona

di Hodge. Alla luce che si riversavadalle alte finestre Jace scorse alcunestriature di grigio nei suoi capelli.Aveva in mano un bicchiere di vinorosso; sul tavolo accanto a lei c’era unacaraffa di vetro molato.

«Maryse» disse Jace.Lei ebbe un leggero sussulto e

rovesciò un po’ di vino. «Jace. Non ti hosentito entrare.»

Lui non si mosse. «Ricordi lacanzone che cantavi a Isabelle e Alec,quando erano piccoli e avevano pauradel buio, per farli addormentare?»

Maryse sembrò presa allasprovvista. «Di cosa stai parlando?»

«Ti sentivo attraverso la parete»

continuò Jace. «Allora la stanza di Alecera accanto alla mia.»

Maryse rimase in silenzio.«Era in francese» disse Jace. «La

canzone.»«Non so perché tu debba ricordare

una cosa del genere.» Lo guardò co-mese l’avesse accusata di qualcosa.

«A me non la cantavi mai.»Ci fu un’esitazione appena

percettibile, quindi Maryse disse: «Oh,tu… tu non avevi mai paura del buio.»

«Qual è il bambino di dieci anni chenon ha mai paura del buio?»

Le sopracciglia di Maryseschizzarono in alto. «Siediti, Jonathan»disse.

«Subito.»Lui attraversò la stanza lentamente,

quel tanto che bastava per irritarla, e silasciò cadere su una delle alte sedieimbottite accanto alla scrivania.

«Preferirei che non mi chiamassicosì.»

«Perché no? È il tuo nome.» Loguardò con aria assorta. «Da quant’è chelo sai?»

«So che cosa?»«Non fare lo stupido, sai bene di

cosa parlo.» Maryse si rigirò ilbicchiere tra le dita. «Da quanto temposai che Valentine è tuo padre?»

Jace prese in considerazione escartò parecchie risposte. Di solito

riusciva ad averla vinta con Marysefacendola ridere. Era una delle pochepersone al mondo capace di farla ridere.«Più o meno da quanto lo sai tu.»

Maryse scosse lentamente la testa.«Non ci credo.»

Jace si raddrizzò sulla poltrona. Lemani appoggiate ai braccioli eranochiuse a pugno. Si accorse di un lievetremito alle dita e si chiese se l’avessemai avuto prima. Pensava di no. Le suemani erano sempre state salde come ilsuo cuore. «Non mi credi?»

Sentì lo scetticismo nella propriavoce e internamente sussultò. Certo chenon gli credeva. Era chiaro dal momentostesso in cui era arrivata a ca-sa.

«Non ha senso, Jace. Come potevinon sapere chi è tuo padre?»

«Lui mi disse che era MichaelWayland. Vivevamo nella casa dicampagna degli Wayland…»

«Bella pensata» disse Maryse. «E iltuo nome? Qual è il tuo vero no-me?»

«Lo sai, il mio vero nome.»«Jonathan Christopher. Sapevo che

era il nome del figlio di Valentine. Esapevo che anche Michael aveva un

figlio che si chiamava Jonathan. È unnome abbastanza comune tra iCacciatori… Non ho mai trovato stranoche l’avessero entrambi. Quanto alsecondo nome del figlio di Michael, nonho mai indagato. Ma adesso non posso

fare a meno di pormi delle domande.Qual era il secondo nome del figlio

di Michael Wayland? Da quanto tempoValentine aveva in mente il piano cheavrebbe messo in atto? Da quanto temposapeva che avrebbe ucciso JonathanWayland?» Si interruppe, gli occhi fissisu Jace. «Sai, tu non hai maiassomigliato a Michael» disse.

«Ma a volte i bambini nonassomigliano ai genitori. Non ci avevomai pensato prima, ma adesso in te vedoValentine. Il modo che hai di guardarmi.

Quell’aria di sfida. Non ti importaquello che dico, vero?»

Invece gliene importava eccome,pensò Jace. Ma fece in modo che lei non

se ne accorgesse. «In caso contrario,farebbe differenza?»

Maryse posò il bicchiere sul tavololì accanto. Era vuoto. «E rispondi al-ledomande con altre domande perspiazzarmi, proprio come fa Valentine.

Forse avrei dovuto accorgermene.»«Forse un corno! Sono ancora la

stessa identica persona che ero negliscorsi sette anni. In me non è cambiatoniente. Se non ti ricordavo Valentineprima, non vedo perché dovreiricordartelo adesso.»

Gli occhi di Maryse si posarono sudi lui per allontanarsene subito dopo,quasi non sopportasse di guardarlodritto in faccia. «Sono sicura che quando

parlavamo di Michael tu non potevipensare che parlassimo di tuo padre. Lecose che dicevamo di lui non avrebberomai potuto riguardare Valentine.»

«Dicevate che era una bravapersona.» La rabbia gli ribolliva dentro.

«Un Cacciatore coraggioso. Unpadre affettuoso. Mi pareva checorrispon-desse abbastanza alla realtà.»

«E le fotografie? Devi pur aver vistodelle foto di Michael Wayland ed essertireso conto che non era l’uomo chechiamavi papà.» Maryse si morse illabbro. «Aiutami a capire, Jace.»

«Tutte le foto andarono distruttedurante la Rivolta. È quello che voi miavete raccontato. Ora mi domando se

non fu Valentine a farle bruciare,affinché nessuno sapesse chi facevaparte del Circolo. Non ho mai possedutouna foto di mio padre» disse Jace,mentre si chiedeva quanto l’amarezzache provava apparisse all’esterno.

Maryse si portò una mano allatempia e la massaggiò come se avessemal di testa. «Non posso crederci» dissecome parlando tra sé. «È folle.»

«E allora non crederci. Credi a me»disse Jace sentendo aumentare il tremitoalle dita.

Maryse lasciò ricadere la mano.«Pensi che non lo voglia?» chiese. Perun attimo Jace sentì nella sua voceun’eco della Maryse che, quando lui

aveva dieci anni e di notte fissava ilsoffitto a occhi asciutti pensando a suopadre, entrava nella sua stanza, sisedeva accanto al letto e gli facevacompagnia finché, appena primadell’alba, non si addormentava.

«Non lo sapevo» ripeté Jace. «Equando mi ha chiesto di tornare con lui aIdris ho detto di no. Sono ancora qui.Questo non significa niente?»

Maryse si girò a guardare la caraffadi vetro come se pensasse di versarsidell’altro vino, poi sembrò scartarequell’idea. «Lo vorrei» disse. «Ma cisono parecchie ragioni per cui tuo padrepotrebbe desiderare che tu riman-gaall’Istituto… Quando c’è di mezzo

Valentine, non posso fidarmi di nessunoche ne abbia subito l’influenza.»

«Anche tu l’hai subita» disse Jace, ese ne pentì subito dopo, vedendol’espressione che le balenò sul volto.

« Io l’ho rinnegato» replicòMaryse. «E tu? Ne saresti capace?» Isuoi occhi azzurri avevano lo stessocolore di quelli di Alec, ma Alec non loaveva mai guardato così. «Dimmi che loodi, Jace. Dimmi che odi quell’uomo etutto ciò che rappresenta.»

Passò un momento, poi un altro, eJace, lo sguardo verso terra, si accorsedi avere serrato le mani cosìspasmodicamente che le nocche eranobianche e dure come una lisca di pesce.

«Non posso.»Maryse trattenne il respiro. « Perché

no? »«Perché non puoi fidarti di me? Ho

vissuto con te quasi metà della mia vita.Mi conosci bene, no?»

«Sembri così sincero, Jonathan. Losei sempre sembrato, anche quando dabambino scaricavi la colpa di qualchetua birichinata su Isabelle o Alec.

In vita mia ho incontrato una solapersona capace di sembrare sinceraquanto te.»

Jace sentì un sapore di rame inbocca. «Intendi mio padre.»

«C’erano solo due tipi di individuial mondo, per Valentine» disse Maryse.

«Quelli che stavano con il Circolo equelli che gli stavano contro.

Questi ultimi erano i nemici, mentrei primi erano armi nel suo arsenale.

L’ho visto cercare di trasformareognuno dei suoi amici, perfino suamoglie, in un’arma utile alla causa… Etu vuoi farmi credere che non ha fatto lostesso con suo figlio?» Scrollò la testa.«Lo conosco troppo bene per crederlo.»Per la prima volta la donna lo guardòpiù con tristezza che con rabbia. «Tu seiuna freccia scoccata dritta nel cuore delConclave, Jace. Sei la freccia diValentine. Che tu lo sappia o meno.»

Clary chiuse la porta della stanzasulla TV col volume a palla e andò a

cercare Simon. Lo trovò in cucina, chinosul lavello con l’acqua che scorreva.Aveva le mani strette sul piano di scolo.

«Simon?» La cucina era dipinta diun giallo vivace, allegro, le pareti i-storiate di disegni a gessetto e a matitafatti da Simon e Rebecca quando eranoalle elementari. Rebecca aveva un certotalento artistico, era chiaro, mentre lefigure disegnate da Simon sembravanotanti parchimetri con qualche ciuffo dicapelli.

Simon non alzò lo sguardo, ma,dall’irrigidirsi dei muscoli delle suespalle, Clary capì che l’aveva sentita. Siavvicinò al lavello e gli appoggiòdelicatamente una mano sulla schiena.

Sentì i duri rilievi della spina dorsaleattraverso la maglietta leggera e sichiese se fosse dimagrito. A guardarlonon avrebbe saputo dirlo, ma guardareSimon era come guardare in unospecchio… quando si vede qualcunotutti i santi giorni, non sempre si nota-noi piccoli cambiamenti del suo aspettoesteriore. «Tutto okay?»

Simon chiuse l’acqua con un bruscomovimento del polso. «Certo. Sto bene.»

Clary gli prese il mento tra due ditae gli girò il viso verso di sé. Nonostantel’aria fresca che entrava dalla finestradella cucina, Simon sudava, i capellicastani erano appiccicati alla fronte.«Non hai una buona cera. È

stato il film?»Nessuna risposta.«Mi dispiace. Non avrei dovuto

ridere, è solo…»«Non ti ricordi?» La voce del

ragazzo risuonò roca.«Io…» Clary si interruppe. A

ripensarci, quella notte sembravaun’inter-minabile nebbia di fughe,sangue e sudore, di ombre balenate neivani delle porte, di cadute nel vuoto.Rammentò le facce bianche dei vampiricome ritagli di carta contro l’oscurità, erammentò Jace che la teneva, gridandolecon voce roca nell’orecchio. «Non bene.È tutto confuso.»

Lo sguardo di Simon guizzò oltre lei

e tornò indietro. «Ti sembro diverso?»le chiese.

Clary alzò gli occhi su quelli di lui.Erano del colore del caffè nero… nonproprio neri, ma di un marrone intensocon un tocco di grigio o nocciola.

Simon sembrava diverso? Forse ilmodo in cui si comportava, dal giorno incui aveva ucciso Abbadon, il DemoneSuperiore, rivelava un po’ più disicurezza in se stesso; ma in lui c’eraanche una certa cautela, come se tenessegli occhi aperti in attesa di qualcosa.Clary aveva notato lo stessoatteggiamento anche in Jace. Forse erasolo la consapevolezza di esseremortali. «Sei sempre Simon.»

Il ragazzo socchiuse gli occhi comesollevato e, quando abbassò le ciglia,Clary vide quanto era spigoloso il suozigomo. Era davvero dimagrito, pensò, estava per dirlo, quando lui si chinò e labaciò.

Fu così sorpresa nel sentire la suabocca sulla propria che si irrigidì eafferrò il bordo del piano di scolo perreggersi. Ma non lo respinse, e Simon,sentendosi incoraggiato, le fecescivolare le mani dietro la testa e labaciò ancora più a fondo, aprendole lelabbra con le proprie. Aveva la boccamorbida, più di quella di Jace, e lamano che le cingeva il collo era calda egentile. Sapeva di sale.

Clary lasciò che gli occhi le sichiudessero e per un istante fluttuònell’oscurità e nel calore, il tocco delledita di lui tra i capelli. Quando losquillo del telefono penetrò stridulo nelsuo stordimento, lei fece un saltoall’indietro come se Simon l’avessespinta via, anche se non si era mosso. Sifissarono per un istante in preda allaconfusione più totale, come due personeche di punto in bianco si ritrovinotrasportate in uno strano paesaggio chenon ha nulla di familiare.

Simon fu il primo a distogliere losguardo, allungando la mano versol’apparecchio appeso alla pareteaccanto al portaspezie. «Pronto?» A

sentirlo sembrava normale, ma il suopetto si alzava e si abbassavavelocemente. Le porse la cornetta. «Èper te.»

Clary prese il telefono. Sentivaancora il cuore martellarle in gola, comeil frullare delle ali di un insettointrappolato sotto la sua pelle. È Lukeche chiama dall’ospedale. È successoqualcosa a mia madre.

Deglutì. «Luke? Sei tu?»«No. Sono Isabelle.»«Isabelle?» Clary alzò lo sguardo e

vide Simon che la osservava, chino sullavello. Il rossore sulle sue guance erasvanito. «Perché mi… voglio di-re, cheè successo?»

La voce dell’altra ragazza ebbe uninciampo, come se stesse piangendo.

«Jace è lì?»A quelle parole Clary allontanò la

cornetta per fissarla, poi se la riportòall’orecchio. «Jace? No. Perchédovrebbe essere qui?»

Per tutta risposta Isabelle emise unsospiro che echeggiò all’altro capo deltelefono come un rantolo. «Il fatto èche… è spanto. »

capitolo 2L’HUNTER’S MOONMaia non si era mai fidata dei bei

ragazzi ed è per questo che detestò Ja-ceWayland dal primo momento in cui posògli occhi su di lui.

Suo fratello gemello, Daniel, eranato con la pelle color miele e i grandiocchi scuri della madre, e si era rivelatoil tipo di persona che dà fuoco alle alidelle farfalle per guardarle bruciare emorire in volo. Aveva tormentato anchelei, all’inizio con inezie, cose da poco,pizzicandola dove i lividi non sisarebbero visti, o sostituendole loshampoo con la candeggina. Maia si eralamentata con i genitori, ma loro non leavevano mai creduto. Nessuno cheguardasse Daniel lo faceva;scambiavano la sua bellezza perinnocenza e mitezza. Quando in primasuperiore le aveva rotto un braccio, leiera scappata da casa, ma i suoi

l’avevano riportata indietro. In seconda,Daniel fu investito e ucciso sul colpo daun pirata della strada. In piedi davantial-la sua lapide, accanto ai genitori,Maia si era vergognata del travolgentesenso di sollievo che aveva provato.Dio l’avrebbe sicuramente punita,pensò, per il fatto che si era rallegratadella morte del fratello.

Il che successe l’anno seguente.Maia incontrò Jordan. Capelli nerilunghi, fianchi snelli in jeans consumati,magliette da rocker e ciglia come quelledi una ragazza. Non avrebbe mai pensatodi andargli a genio, dato che il suo tipoideale erano le ragazze ossute, pallide,con occhiali molto fashion. Ma

evidentemente le sue forme morbide glipiacevano. Le disse che era bella tra unbacio e l’altro. I primi mesi furono unsogno, gli ultimi un incubo. Divennepossessivo, la controllava. Quando eraarrabbiato con lei ringhiava e leassestava manrovesci che lasciavanosegni simili a pen-nellate di fard troppocariche. Quando provò a mollarlo, lui lediede uno spintone che la mandò lungadistesa nel giardinetto davanti a casaprima che facesse in tempo a correredentro e a chiudersi con violenza laporta al-le spalle.

In seguito, si era lasciatasorprendere a baciare un altro, giustoper fargli entrare in testa che era finita.

Non ricordava neanche più il nome delragazzo. Ricordava però quando eratornata a casa a piedi, quella notte. Lapioggia le velava i capelli di gocciolineminute, il fango le sporcava le gambedei jeans, mentre percorreva unascorciatoia attraverso il parco vicino acasa. Ricordava la sagoma scura che erasfrecciata da dietro la gio-stra dimetallo, il corpo di lupo bagnato chel’aveva sbattuta nella melma, il doloreselvaggio delle fauci che si serravanosulla sua gola. Aveva gridato e si eradibattuta, sentendo il sapore del propriosangue caldo in bocca, mentre il suocervello urlava: È impossibile.Impossibile. Non c’erano lupi, in New

Jersey, non in quel normalissimoquartiere di periferia, non nelventunesimo secolo.

Alle sue grida, nelle case vicine sierano accese delle luci, le finestre sierano illuminate una dopo l’altra comefiammiferi. Il lupo l’aveva lasciataandare, le fauci lorde di sangue e dibrandelli di carne.

Ventiquattro punti di sutura dopo,Maia era di nuovo nella sua stanza ro-sa, con la madre che le girava intorno inpreda all’ansia. Il dottore del prontosoccorso aveva detto che il morsosembrava quello di un grosso cane, peròMaia sapeva come stavano le cose.Prima che il lupo si girasse per

scappare, aveva sentito una voce calda,familiare, sussurrarle all’orecchio:

«Adesso sei mia. Sei mia persempre.»

Non aveva più rivisto Jordan… Luie i suoi genitori avevano impacchet-tatole loro cose e si erano trasferiti enessuno dei suoi amici sapeva o am-metteva di sapere dove. Maia non si erasorpresa più di tanto, quando, con lasuccessiva luna piena, erano cominciatii dolori: dolori laceranti che leguizzavano su e giù per le gambefacendola cadere a terra, piegandole laspina dorsale come un mago può piegareun cucchiaio. Quando i denti le eranoschizzati fuori dalle gengive ed erano

finiti rumorosamente sul pavimentocome tante caramelle cadute da unpacchetto, era svenuta. O aveva pensatosvenire. Si era svegliata a qualchechilometro da casa, nuda e sporca disangue, la cicatrice sul braccio chepulsava come un battito cardiaco. Quellanotte era saltata sul treno per Manhattan.Non era stata una decisione sofferta. Nelsuo quartiere di periferia era giàabbastanza problematico essere unamezzosangue. Dio solo sapeva cosaavrebbero fatto a un lupo mannaro.

Non era stato troppo difficile trovareun branco a cui unirsi. Ce n’eranoparecchi nella sola Manhattan. Lei erafinita nel branco di Downtown, i cui

membri dormivano nella vecchiastazione di polizia di Chinatown.

I capibranco cambiavano spesso. Ilprimo era stato Kito, poi era stata lavolta di Véronique e Gabriel, e adessodi Luke. Gabriel le piaceva, ma Lu-keera meglio. Aveva gentili occhi azzurri euno sguardo che ispirava fiducia. E poinon era troppo bello, perciò non loprese subito in antipatia. Si trovavaabbastanza a suo agio, con il suo branco:le piaceva dormire nella vecchiastazione di polizia, giocare a carte emangiare cinese nelle notti in cui la lunanon era piena, andare a caccia nel parcoquando lo era e, il giorno dopo, smaltirei postumi della sbornia della

trasformazione all’Hunter’s Moon, unodei migliori bar underground per lupimannari.

Servivano birra in stretti boccalisvasati, e nessuno ti chiedeva idocumenti per controllare che avessiventun anni. Essere un licantropo tifaceva crescere in fretta e se tispuntavano peli e zanne una volta almese eri autoriz-zato a bere al Moon,non importava quanti anni avessi damondano.

Ormai Maia non pensava quasi piùalla sua famiglia, ma quando il ragazzobiondo con il giaccone nero entròimpettito nel bar, si irrigidì tutta.

Non assomigliava a Daniel, non

esattamente… Daniel aveva i capellineri che si arricciavano sulla nuca e lapelle color miele, mentre questo ragazzoera pallido e biondo. Ma aveva lo stessocorpo snello, lo stesso modo dicamminare, come una pantera allaricerca di una preda, e la stessa totalefiducia nel proprio fascino. La sua manosi serrò intorno allo stelo del bicchiere elei dovette ricordare a se stessa: Èmorto. Daniel è morto.

All’ingresso del ragazzo, un’ondatadi mormorii serpeggiò nel locale, comela schiuma della scia che si apre apoppa di una barca. Il nuovo arrivato sicomportava come se non si accorgessedi niente, avvicinò a sé uno sgabello del

bar agganciandolo con il piede calzatonello stivale e si sedette appoggiando igomiti al bancone. Nel silenzio cheseguì i mormorii, Ma-ia lo sentìordinare un whisky. Tracannò metàbicchiere con un secco scatto del polso.Il liquore aveva lo stesso coloreambrato dei suoi capelli.

Quando posò di nuovo il bicchieresul bancone, Maia vide i grossi marchi aspirale sul polso e sul dorso della suamano.

Bat, il ragazzo seduto accanto a lei(una volta usciva con lui, ma adessoerano solo amici) borbottò sottovocequalcosa che suonava come “Nephilim”.

Dunque è così. Il ragazzo non era

affatto un lupo mannaro. Era unNephilim, un Cacciatore, unoShadowhunter o, per dirla in altreparole, un membro del corpo di poliziasegreta del mondo arcano. Facevanoosservare la Legge con l’aiutodell’Alleanza e non si poteva diventareuno di loro: bisognava esserci nati. Erail sangue a renderli quello che erano.Circola-vano un sacco di voci assaipoco lusinghiere sul loro conto: eranoarrogan-ti, orgogliosi, crudeli,guardavano dall’alto in basso edisprezzavano i Nascosti. C’eranopoche cose che un licantropo amavameno di un Cacciatore… a parte forseun vampiro.

Si diceva anche che i Cacciatoriuccidessero i demoni. Maia rammentavala prima volta che aveva sentito parlaredei demoni. Quando le avevano dettoche cosa facevano, le era venuto il maldi testa. Vampiri e lupi mannari eranosolo persone malate, questo lo capiva,ma credere a tutte quelle balle suparadiso e inferno, demoni e angeli,quando nessuno poteva dirle concertezza se Dio esisteva o no e dove siandava a finire dopo la morte…

No, non aveva senso. Eppure adessocredeva nei demoni (aveva visto fintroppo bene che cosa combinavano, perpoterlo negare), anche se avrebbedesiderato non farlo.

«Se ho ben capito» disse il ragazzoappoggiando il gomito sul bancone

«qui non servite Silver Bullet.Cos’è, vi ricorda il modo migliore perfare fuori un licantropo?» I suoi occhibrillarono, stretti e scintillanti.

Il barista, Freaky Pete, si limitò aguardare il ragazzo e a scrollare la testadisgustato. Non fosse stato unCacciatore, immaginò Maia, Pete loavrebbe scaraventato fuori dal Moon.Invece andò soltanto all’altro capo delbancone e si affaccendò a lucidare ibicchieri.

«In realtà» disse Bat, che proprionon riusciva a non immischiarsi negliaffari altrui «non la serviamo perché è

una birra veramente schifosa.»Il ragazzo spostò i suoi scintillanti

occhi socchiusi su Bat e fece un sorrisoentusiastico. Per lo più la gente nonsorrideva entusiasta quando Bat lafissava a quel modo: era alto quasi duemetri, con una grossa cicatrice che glideturpava metà della faccia, nel punto incui della polvere d’argento gli avevabruciato la pelle. Bat non era tra imembri del branco che vivevano nellastazione di polizia dormendo nellevecchie celle. Aveva un appartamentotutto suo, e perfino un lavoro. Era statoun buon boyfriend per Maia, finché nonl’aveva scaricata per una strega daicapelli rossi di nome Eve, che viveva a

Yonkers e gestiva una bottega dachiromante fuori dal suo ga-rage.

«E quindi tu hai smesso di bere?»chiese il ragazzo, chinandosi tantovicino a Bat da far sembrare la suadomanda un insulto. «Complimenti,perché sai com’è, il lupo perde ilpelo…»

«Devi proprio crederti divertente.»A questo punto il resto del branco siavvicinò a loro, pronto a dar manforte aBat casomai avesse deciso dimassacrare quell’odioso marmocchio.«Non è vero?»

«Bat» disse Maia, mentre sichiedeva se lei era l’unico membro delbranco lì nel bar a dubitare che Bat

fosse capace di massacrare il ragazzo.Non che dubitasse di Bat, ma negli occhidel ragazzo c’era qualcosa… «Lasciastare.»

Bat la ignorò. « Non è vero! »«Chi sono io per negare

l’evidenza?» Lo sguardo dellosconosciuto scivolò su Maia come se leifosse invisibile, quindi tornò su Bat.«Non credo che tu abbia voglia di dirmicosa ti è successo alla faccia.Sembra…» A questo punto si chinò inavanti e disse qualcosa a Bat così pianoche Maia non riuscì a sentire. Un istantedopo vide il suo amico sferrare un colpoche avrebbe dovuto frantumare lamandibola del ragazzo. Se questi fosse

rimasto dov’era. Ma stava già un buonmetro e mezzo più in là, ridendo, mentreil pugno di Bat colpiva il bicchiere cheera rimasto sul bancone, facendolovolare attraverso il bar e andare asbattere contro la parete opposta in unapioggia di frantumi di vetro.

Prima che Maia potesse batterciglio, Freaky Pete comparve dall’altrola-to del bancone, il grosso pugnoserrato intorno alla maglietta di Bat.«Basta» disse. «Bat, perché non ti fai ungiretto e calmi i bollenti spiriti?»

Bat si contorse sotto la sua presa.«Fare un giretto? Ma hai sentito…?»

«Ho sentito.» Pete parlava a bassavoce. «È un Cacciatore. Fila via,

moccioso.»Bat imprecò e si allontanò dal

barista. Camminò tutto impettito versol’uscita, le spalle irrigidite dalla rabbia.La porta si chiuse sbattendo dietro dilui.

Il ragazzo aveva smesso di sorrideree guardava Freaky Pete con una sorta dicupo risentimento, come se il barista gliavesse tolto un giocattolo con cui avevaintenzione di giocare. «Non eranecessario» disse. «So ca-varmela dasolo.»

Pete lo squadrò. «È del mio bar chemi preoccupo» disse infine. «Farestibene a filartela da qualche altra parte,Cacciatore, se non vuoi avere guai.»

«Ma non ho detto che voglio avereguai.» Il ragazzo si sedette di nuovo sulsuo sgabello. «E poi, non ho finito il miowhisky.»

Maia diede un’occhiata alla paretezuppa di liquore alle sue spalle. «A mepare di sì.»

Per un secondo lo sconosciutoassunse un’espressione vacua, poi neisuoi occhi si accese una curiosa scintilladi divertimento. In quel momentosomigliava talmente a Daniel che Maiaebbe voglia di indietreggiare.

Prima che il ragazzo avesse il tempodi replicare, Pete fece scivolare un altrobicchiere pieno di liquido ambrato sulbancone. «Ecco qua» disse. I suoi occhi

si spostarono su Maia, che parvescorgervi un lampo di ammo-nimento.

«Pete…» cominciò lei. Ma nonriuscì a finire. La porta del bar sispalancò. Bat comparve sulla soglia.Maia impiegò un momento per rendersiconto che aveva il davanti dellamaglietta e le maniche zuppe di sangue.

Scivolò via dallo sgabello e corseda lui. «Bat! Sei ferito?»

Il viso del suo amico era grigio, lacicatrice argentea spiccava sulla guanciacome un fil di ferro contorto. «Unattacco» disse. «C’è un cadavere nelvicolo. Un ragazzino morto. Sangue…dappertutto.» Scosse la testa, abbassò losguardo su di sé. «Questo non è sangue

mio. Sto bene.»«Un cadavere? Ma chi…»La risposta di Bat fu inghiottita dal

trambusto. I membri del branco ab-bandonarono i loro posti e corsero versola porta. Pete uscì da dietro il bancone esi fece strada a spinte attraverso lacalca. Solo il Cacciatore rimasedov’era, la testa china sul suo drink.

Attraverso alcune brecce nella follaintorno alla porta, Maia scorse l’asfaltogrigio del vicolo chiazzato di sangue.Era ancora fresco ed era colato tra lefessure del selciato come i viticci di unapianta vermiglia. «Ha la go-la tagliata»stava dicendo Pete a Bat, che avevaripreso colore. «Ma co-me…»

«C’era qualcuno nel vicolo.Qualcuno inginocchiato su di lui» disseBat.

Aveva la voce tesa. «Non sembravauna persona… ma un’ombra. Quando miha visto, è corso via. Il ragazzino eraancora vivo. Mi sono chinato su di lui,ma…» Scrollò le spalle. Fu unmovimento casuale, ma i muscoli delsuo collo spiccavano come spesse radiciavvolte intorno a un tronco d’albero. «Èmorto senza un lamento.»

«Vampiri» disse una donna formosain piedi accanto alla porta. Si chiamavaAmabel, parve di ricordare a Maia. «IFigli della Notte. Non può esserealtrimenti.»

Bat la guardò, poi si girò eattraversò tutto rigido il locale, direttoal bancone. Afferrò il Cacciatore per ilbavero del giaccone… o almeno allungòla mano per farlo, ma il ragazzo era giàin piedi e si girò con un movimentofluido. «Qual è il tuo problema, lupomannaro?»

La mano di Bat era ancora protesa.«Sei sordo, Nephilim?» urlò. «C’è unragazzino morto nel vicolo. Uno deinostri.»

«Vuoi dire un licantropo o qualchealtra specie di Nascosto?» Losconosciuto inarcò le sopraccigliachiare. «Faccio una gran confusione, convoialtri.»

Risuonò un ringhio sommesso… EraFreaky Pete, notò Maia con una certasorpresa. Era rientrato nel bar ed eracircondato dal resto del branco, gliocchi fissi sul Cacciatore. «Era solo unmarmocchio» disse Pete. «Si chiamavaJoseph.»

Il nome non le diceva niente, maMaia vide la mascella di Pete serrarsi esi sentì le farfalle nello stomaco. Ilbranco adesso era sul sentiero di guerra,e se il Cacciatore aveva un briciolo dibuonsenso doveva fare una precipi-tosamarcia indietro. Ma non ce l’aveva. Sene stava lì a guardarli con quegli occhidorati e quel sorriso ironico sul viso.«Un piccolo licantropo?»

domandò.«Era uno del branco» disse Pete.

«Aveva solo quindici anni.»«E cosa ti aspetti che io faccia

esattamente al riguardo?» chiese ilragazzo.

Pete lo fissava incredulo. «Sei unNephilim» disse. «Il Conclave ci deveprotezione, in casi come questo.»

Il ragazzo si guardò intorno nel bar,lentamente e con un’espressione cosìinsolente che il viso di Pete si fecepaonazzo.

«Qui non vedo niente da cuidovreste essere protetti» disse. «A partel’arredamento orribile e qualcheproblema di muffa. Ma di solito la si

può eliminare con la candeggina.»«Fuori dalla porta di questo bar c’è

un ragazzo morto» disse Bat, artico-lando le parole con cura. «Non crediche…?»

«Credo che sia un po’ troppo tardiperché possa avere bisogno diprotezione» disse il ragazzo «se è giàmorto.»

Pete continuava a fissarlo. Gli sierano appuntite le orecchie e, quandoparlò, la sua voce risuonò attutita daicanini che si stavano ispessendo.

«Devi stare attento, Nephilim»disse. «Devi stare molto attento.»

Il ragazzo lo guardò con occhi velati.«Dici?»

«Dunque non hai intenzione di alzareun dito?» chiese Bat. «È così?»

«Ho intenzione di finire il miodrink» disse il ragazzo dandoun’occhiata al bicchiere mezzo pienoancora sul bancone. «Sempre che tu melo per-metta.»

«Dunque è questo l’atteggiamentodel Conclave a una settimana dagliAccordi?» domandò Pete disgustato.«La morte dei Nascosti non significaniente per voi?»

Lo sconosciuto sorrise e Maia sentìun formicolio alla spina dorsale. Eratale e quale a Daniel un istante prima diallungare una mano e strappare le ali auna coccinella. «È proprio tipico di voi

Nascosti» disse il ragazzo «aspettareche il Conclave vi tolga le castagne dalfuoco. Come se potessimo esseredisturbati solo perché uno stupidomarmocchio ha deciso di riempi-re disangue il vostro vicolo…»

E usò una parola, una parola perindicare i lupi mannari che loro non u-savano mai, una parola terribilmentespiacevole, che alludeva a un rapportoindecente tra lupi e donne umane.

Prima che chiunque altro potessemuoversi, Bat si scagliò contro ilCacciatore… che però era sparito. Batinciampò e si girò di scatto, guardandosiattorno. Il branco sussultò.

Maia rimase a bocca aperta. Il

giovane Cacciatore era in piedi sulbancone a gambe larghe. Sembravadavvero un angelo vendicatore pronto adamministrare la giustizia divinadall’alto, com’era il destino dei suoisimili.

Poi allungò una mano e piegò le ditaverso di sé, rapidamente, un gesto cheMaia conosceva dai campi giochi, e chesignificava Venite a prendermi.. .

Il branco si scagliò contro di lui.Bat e Amabel si arrampicarono sul

bancone; il ragazzo roteò su se stessocosì velocemente che lo specchio dietroil bancone rimandò solo un riflessoindistinto. Maia lo vide tirare calci e idue si ritrovarono a terra, gemen-do in

una pioggia di vetri infranti. Sentì ilragazzo ridere, mentre qualcun altro siprotendeva verso l’alto e lo tirava giù.Lo vide sprofondare nella folla con unafacilità che suggeriva che lui l’avessefatto apposta. Poi lo perse di vista, videsolo un intreccio di braccia e gambe chesi agitavano.

Eppure le parve di udirlo riderementre balenava un bagliore metallico -la lama di un coltello - e si sentìtrattenere il fiato.

«Basta.»Era la voce di Luke, calma e

regolare come un battito cardiaco.Strano com’era inconfondibile la vocedel capobranco. Maia si girò e lo vide

in piedi all’ingresso del bar, una manoappoggiata al muro. Non sembravasemplicemente stanco, ma devastato,come se qualcosa lo lacerassedall’interno; nonostante ciò, la sua voceera tranquilla, quando ripeté: «Basta.Lasciate stare il ragazzo.»

Il branco si ritrasse e Bat rimasesolo accanto al Cacciatore,l’espressione di sfida, una mano ancoraserrata sul suo giaccone e l’altra chiusasul manico di un coltello a lama corta.Quanto al ragazzo, aveva il viso sporcodi sangue ma non sembrava affatto unoche avesse bisogno di essere salvato;sogghignava con un’aria pericolosa etagliente quanto i vetri rotti sparsi sul

pavimento. «Non è un ragazzo» disseBat. «È un Cacciatore.»

«Sono benvenuti, qui, i Cacciatori»disse Luke in tono neutro. «Sono nostrialleati.»

«Ha detto che non gli importava»replicò Bat furioso «di Joseph…»

«Lo so» disse Luke in tonotranquillo. I suoi occhi si spostarono sulragazzo biondo. «Sei venuto qui appostaper attaccare briga, Jace Wayland?»

Il ragazzo sorrise, protendendo illabbro spaccato dal quale gli corse sulmento un rivoletto di sangue. «Luke.»

Bat, sorpreso nel sentire pronunciaredal Cacciatore il nome di battesimo delcapobranco, mollò la presa. «Non

sapevo…»«Non c’è niente da sapere» disse

Luke, mentre la stanchezza che avevanegli occhi gli si insinuava nella voce.

Freaky Pete attaccò a parlare con unrombo profondo. «Ha detto che alConclave non importa nulla della mortedi un licantropo, anche se si tratta di unragazzino. Ed è passata appena unasettimana dagli Accordi, Luke.»

«Jace non parla a nome delConclave» osservò Luke. «E non c’ènulla che possa fare, anche volendo.Non è così?»

Guardò Jace, che era pallidissimo.«Come fai…»

«So cosa è successo» disse Luke.

«Con Maryse.»Jace si irrigidì e per un istante, sotto

l’espressione crudelmente divertita chericordava quella di Daniel, Maia scorsequalcos’altro, qualcosa di cupo eangoscioso che le rammentò più i propriocchi allo specchio che quelli delfratello. «Chi te l’ha detto? Clary?»

«No, non Clary.» Maia non avevamai sentito Luke pronunciare quel nomein passato, ma dal suo tono era chiaroche si trattava di qualcuno di specialesia per lui che per il giovane Cacciatore.«Sono il capobranco, Ja-ce. Vengo asapere le cose. Avanti, adesso. Andiamoa parlare nell’ufficio di Pete.»

Jace esitò un istante, quindi scrollò

le spalle. «Va bene» disse. «Ma mi seidebitore dello scotch che non hobevuto.»

«Era la mia ultima ipotesi» disseClary con aria sconfitta, afflosciandosisui gradini del Metropolitan Museum ofArt e guardando sconsolata lungo laFifth Avenue.

«Era buona.» Simon le si sedetteaccanto, le lunghe gambe allargatedavanti a sé. «Voglio dire, è un tipo cheama le armi e che uccide, era giustotentare con la più grande collezione diarmi di tutta la città. E comunque, sonosempre disponibile per fare una visitaanche alla sezione Armi e Ar-mature. Mifa venire idee per la mia campagna

militare.»Clary lo guardò stupita. «Fai ancora

i giochi di ruolo con Eric, Kirk e Matt?»«Certo. Perché non dovrei?»«Pensavo che per te il gioco avesse

perso il suo fascino, da quando…»Da quando la nostra vita reale ha

cominciato ad assomigliare a una delletue campagne militari. Con tanto dibuoni, cattivi, magia nera e oggetti in-cantati da trovare se volevi vincere.

Solo che nel gioco i buoni vincevanosempre, sconfiggevano i cattivi e se netornavano a casa con il tesoro, mentrenella vita reale loro avevano perso iltesoro. E volte Clary non aveva un’ideatanto chiara di chi fossero davvero i

buoni e i cattivi.Guardò Simon e fu assalita da

un’ondata di tristezza. Se lui avesserinunciato a giocare sarebbe stato colpasua. Com’era stata colpa sua tutto quelloche gli era capitato nelle settimaneprecedenti. Rammentò il viso cereo diSimon davanti al lavello, quella mattina,subito prima che lui la baciasse.

«Simon…» cominciò.«Adesso ho il ruolo di un chierico

mezzo troll che vuole vendicarsi degliOrchi che gli hanno ammazzato lafamiglia» disse lui in tono allegro. «È

fantastico.»Clary rise, e in quel preciso istante

il suo cellulare squillò. Lo tirò fuori di

tasca e lo aprì. Era Luke. «Nonl’abbiamo trovato» gli disse prima chepotesse salutarla.

«Voi no. Ma io sì.»Clary si drizzò a sedere. «Stai

scherzando. È lì? Posso parlargli?» VideSimon lanciarle un’occhiata penetrante eabbassò la voce. «Sta bene?»

«Più o meno.»«Che vuol dire più o meno?»«Ha attaccato briga con un branco di

lupi mannari. Ha un po’ di ferite e dicontusioni.»

Clary socchiuse gli occhi. Perché,oh, perché aveva attaccato briga con unbranco di lupi? Che cosa gli era preso?Ma in fondo era tipico di Jace.

Avrebbe litigato anche con uncamion, se ne avesse sentito l’impulso.

«Credo che dovresti venire qui»disse Luke. «Qualcuno deve parlargli, eio non ho molto successo.»

«Dove siete?» chiese Clary.Glielo disse: in un bar chiamato

Hunter’s Moon, in Hester Street. Clarysi chiese se non fosse camuffato da unincantesimo. Chiuse il telefono e sirivolse a Simon, che la fissava con lesopracciglia inarcate.

«Il figliol prodigo è tornato?»«Più o meno.» Clary si alzò in piedi

e si sgranchì le gambe stanche, cal-colando mentalmente quanto avrebberoimpiegato ad arrivare a Chinatown in

metropolitana o se valesse la pena diinvestire la piccola somma che Luke leaveva dato per prendere un taxi. Megliodi no, decise, se fossero rimastiimbottigliati nel traffico ci avrebberomesso più che in metro.

«… vengo con te?» sentì che Simondiceva, alzandosi. Era un gradino sottodi lei, perciò erano quasi alla stessaaltezza. «Che ne pensi?»

Lei aprì la bocca, poi la richiuse discatto. «Ehm…»

Simon assunse un’espressionerassegnata. «Non hai sentito una solaparola di quello che ho detto negli ultimidue minuti, vero?»

«No» ammise Clary. «Stavo

pensando a Jace. A quanto pare è inpessi-ma forma. Mi dispiace.»

Gli occhi bruni di Simon siincupirono. «Se ho ben capito staicorrendo a fasciargli le ferite?»

«Luke mi ha chiesto di raggiungerli»disse lei. «Speravo che mi accom-pagnassi.»

Simon diede un calcio al gradinosopra al suo con il piede calzato nellostivale. «Vengo, ma… a che scopo?Luke non può riportarlo all’Istituto senzail tuo aiuto?»

«Probabilmente sì. Ma crede cheforse Jace vorrà parlare con me, prima.»

«Pensavo che magari questa serapotevamo fare qualcosa insieme» disse

Simon. «Qualcosa di divertente. Vedereun film. Cenare a Downtown.»

Clary lo guardò. In sottofondo,sentiva borbottare l’acqua della fontanadel museo. Pensò alla cucina della casadi Simon, alle sue mani umide fra icapelli, ma sembrava tutto così lontano,anche se poteva vederlo, come… sipotrebbe ricordare la foto di unincidente senza ricordare l’incidente.

«È mio fratello» disse. «Devoandare.»

Simon sembrò troppo stanco persospirare. «Allora vengo con te.»

L’ufficio sul retro dell’Hunter’sMoon era in fondo a uno strettocorridoio coperto da uno strato di

segatura smossa qua e là da impronte dipiedi e macchiata da un liquido scuroche non sembrava birra. Tutto il postoodorava di fumo, di selvaggina e - Clarydovette ammetterlo, anche se nonl’avrebbe detto a Luke - di cane bagnato.

«Non ha certo un umore fantastico»annunciò Luke indugiando davanti a unaporta chiusa. «L’ho chiuso nell’ufficio diFreaky Pete dopo che aveva quasiucciso metà del branco a mani nude. Conme non ha voluto parlare, perciò» Lukescrollò le spalle «ho pensato a te.»Spostò lo sguardo dal viso sconcertatodi Clary a quello di Simon. «Che c’è?»

«Non posso credere che Jace siavenuto qui» disse Clary.

«E io non posso credere che tuconosca uno che si chiama Freaky Pete»

osservò Simon.«Conosco un sacco di persone»

disse Luke. «Non che Freaky Pete possadefinirsi propriamente una persona, machi sono io per giudicare?» Spalancò laporta dell’ufficio. Era una stanzaspoglia, senza finestre, con le paretitappezzate di gagliardetti sportivi. C’erauna scrivania ingombra di carte, consopra un piccolo televisore, e dietro, suuna sedia dalla pelle talmente logora dasembrare marmo venato, era sedutoJace.

Nell’istante in cui la porta si aprì,Jace afferrò una matita gialla posata

sulla scrivania e la lanciò. La matitavolò in aria, colpì la parete a uncentimetro dalla testa di Luke e vi siconficcò vibrando. Luke sgranò gliocchi.

Il Cacciatore sorrise debolmente.«Scusa, non mi sono reso conto che eritu.»

Clary si sentì stringere il cuore. Nonvedeva Jace da alcuni giorni, e inqualche modo sembrava diverso, nonsolo per via della faccia insanguinata edelle contusioni, chiaramente nuove dizecca… La pelle del viso pareva piùtesa, le ossa più sporgenti.

Luke indicò Simon e Clary con ungesto della mano. «Ci sono visite per

te.»Gli occhi di Jace si spostarono su di

loro. Erano inespressivi, come fosserodipinti. «Purtroppo» disse «avevo soloquell’unica matita.»

«Jace…» cominciò Luke.«Non lo voglio qui dentro.» Jace

indicò Simon con il mento.«È veramente ingiusto.» Clary era

indignata. Aveva dimenticato che Simonaveva salvato la vita ad Alec e forse atutti loro?

«Fuori, mondano» disse Jace,indicando la porta.

Simon fece un gesto con la mano.«Non c’è problema. Aspetterò incorridoio.» Uscì evitando di sbattersi la

porta alle spalle, anche se Clary erasicura che ne avrebbe avuto una granvoglia.

Si girò verso Jace. «Devi proprioessere così…» cominciò, ma si fermònel vedere la sua faccia. Sembravadenudata, stranamente vulnerabile.

«Sgradevole?» Jace finì la frase alposto suo. «Sì, ma solo nei giorni in cuimia madre adottiva mi sbatte fuori dicasa intimandomi di non rimet-terci piùpiede. Di solito sono straordinariamentecortese. Mettimi alla prova, nel giornopoi dell’anno mai. »

Luke aggrottò le sopracciglia. «ILightwood non sono tra le persone cheamo di più al mondo, ma non posso

credere che Maryse abbia fatto una cosadel genere.»

Jace sembrò sorpreso. «Li conosci, iLightwood?»

«Maryse e Robert Lightwood eranocon me nel Circolo» disse Luke.

«Sono rimasto stupito quando hosaputo che dirigevano l’Istituto qui aManhattan. A quanto pare, dopo laRivolta hanno fatto un patto con ilConclave assicurandosi un trattamentoindulgente, mentre Hodge… be’,sappiamo cosa gli è successo.» Rimaseun istante in silenzio. «Maryse haspiegato perché ti ha… esiliato?»

«Secondo lei io sapevo di nonessere figlio di Michael Wayland. E mi

ha accusato di essere stato per tutto iltempo complice di Valentine… e diaverlo aiutato a fuggire con la CoppaMortale.»

«E allora perché saresti qui?» chieseClary. «Perché non saresti scappato conlui?»

«Non l’ha detto, ma temo che pensiche io sia rimasto per fare la spia.

Una serpe in seno. Non che abbiausato la parola “seno”, ma l’idea eraquella.»

«Una spia di Valentine?» Lukesembrava costernato.

«Maryse sostiene che Valentinecontava sull’affetto che lei e Robert nu-trivano per me e che, per questo,

potessero bersi qualsiasi cosa dicessilo-ro. Così ha deciso di risolvere lafaccenda smettendo di nutrire affetto perme.»

«L’affetto non funziona così.» Lukescrollò la testa. «Non puoi chiuderlocome un rubinetto. Soprattutto se sei ungenitore.»

«Loro non sono davvero i mieigenitori.»

«Non è solo il sangue a fare ungenitore. Per sette anni i Lightwood sonostati i tuoi genitori a tutti gli effetti.Maryse è solo ferita.»

«Ferita?» Jace sembrò incredulo. «Lei sarebbe ferita?»

«Voleva bene a Valentine, ricorda»

disse Luke. «Come tutti noi. Lui l’haferita profondamente. E lei ha paura chesuo figlio faccia lo stesso. Si preoccupache tu possa avere mentito. Che lapersona che ha creduto tu fossi in tuttiquesti anni possa essere una maschera,un inganno. Devi rassicurar-la.»

L’espressione di Jace era un misto dicocciutaggine e stupore. «Maryse èun’adulta! Non dovrebbe avere bisognodi essere rassicurata da me.»

«Oh, avanti, Jace» disse Clary.«Non puoi aspettarti che tutti sicomportino in modo perfetto. Anche gliadulti fanno casino. Torna all’Istituto eparlale in maniera ragionevole. Siiuomo.»

«Non voglio essere uomo» ribattéJace. «Voglio essere un adolescenteangosciato che non riesce ad affrontare isuoi demoni interiori e preferisce rifarsiinsultando il prossimo.»

«Bene» disse Luke. «In tal caso staifacendo un lavoro fantastico.»

«Jace» si affrettò a dire Clary primache cominciassero a litigare sul serio«devi tornare all’Istituto. Pensa a Alec eIzzy, pensa a che effetto avrà tutto ciò sudi loro.»

«Maryse escogiterà qualcosa pertranquillizzarli. Magari dirà che sonoscappato.»

«Non funzionerà» obiettò Clary.«Isabelle sembrava stravolta al

telefono.»«Isabelle sembra sempre stravolta»

disse Jace, ma aveva l’aria contenta.Si appoggiò allo schienale della

sedia. I lividi sulla mascella e sullozigomo spiccavano sulla pelle comemarchi scuri e informi. «Non tornerò inun posto dove non si ha fiducia in me.Non ho più dieci anni. Sono in grado dibadare a me stesso.»

Luke non ne sembrava tantoconvinto. «Dove andrai? Dove vivrai?»

Gli occhi del ragazzo scintillarono.«Ho diciassette anni. Sono quasi unadulto. Qualsiasi Cacciatore adulto ha ildiritto di…»

«Qualsiasi adulto. Ma tu non lo sei.

Non puoi ricevere uno stipendio dalConclave perché sei troppo giovane. Einfatti i Lightwood sono obbligati dallaLegge a prendersi cura di te. In casocontrario, l’incarico sarà dato a qualcunaltro o…»

«O cosa?» Jace saltò su dalla sedia.«Andrò in un orfanotrofio a Idris?

Sarò affibbiato a una famiglia chenon ho mai visto? Posso rimediare unlavoro nel mondo dei mondani per unanno, vivere come uno di loro… »

«No, non puoi» disse Clary. «E iodovrei saperlo, Jace, io ero una di lo-ro.Sei troppo giovane per avere un verolavoro. E poi le tue capacità… be’, ingenere i killer professionisti sono più

grandi di te. E sono dei criminali.»«Io non sono un killer.»«Se vivessi nel mondo dei mondani»

disse Luke «è quello che saresti.»Jace si irrigidì, le sue labbra si

serrarono, e Clary comprese che leparole di Luke avevano colpito nelsegno. «Non capite» disse Jace conun’improvvisa disperazione nella voce.«Non posso tornare. Maryse vuole chedica che odio Valentine. E io non possofarlo.»

Sollevò il mento, la mandibolarigida, gli occhi puntati su Luke come sesi aspettasse dall’adulto una reazionebeffarda o perfino inorridita. Dopotutto,Luke aveva più motivi di chiunque altro

per odiare Valentine.«Lo so» disse Luke. «Anch’io gli

volevo bene, una volta.»Jace espirò, il suo fu quasi un moto

di sollievo, e a un tratto Clary pensò: Èper questo che è venuto qui, in questoposto. Non solo per attaccar briga, maper arrivare a Luke. Perché Lukeavrebbe capito. Non tutto quello cheJace faceva era folle e suicida,rammentò a se stessa. Lo sembravasoltanto.

«Non dovresti essere tenuto adichiarare che odi tuo padre» disseLuke.

«Neppure per rassicurare Maryse.Dovrebbe capirlo.»

Clary osservò attentamente Jacecercando di decifrarne il volto. Era co-me un libro scritto in una linguastraniera studiata da troppo poco tempo.

«Ha detto davvero che non volevache tu tornassi?» chiese Clary. «O haisolo immaginato che l’avesse detto ecosì te ne sei andato?»

«Mi ha detto che avrei fatto meglio atrovare un altro posto dove stare per unpo’» rispose Jace. «Non ha detto dove.»

«Le hai dato la possibilità di farlo?»chiese Luke. «Senti, Jace, puoi stare conme finché ne hai bisogno. Voglio che tulo sappia.»

Clary si sentì stringere lo stomaco. Ilpensiero di Jace nella stessa casa in cui

abitava lei, sempre vicino, la riempivadi un misto di esultanza e terrore.

«Grazie» disse Jace. La sua voce erauniforme, ma gli occhi, non c’era statoniente da fare, erano corsiimmediatamente a Clary, che vi scorselo stesso terribile miscuglio di emozioniche provava lei. Luke, pensò. A voltevorrei che non fossi così generoso. Ocosì cieco.

«Però credo» continuò Luke «chedovresti tornare all’Istituto almeno iltempo necessario per parlare conMaryse e scoprire cosa sta davverosuccedendo. Mi sembra che ci siadell’altro, oltre a quel che ti ha detto. Oa quello che tu vuoi sentire.»

Jace staccò lo sguardo da Clary. «Vabene» fece in tono brusco. «Ma a unacondizione: non voglio andarci da solo.»

«Io verrò con te» si affrettò a direClary.

«Lo so.» La voce di Jace erasommessa. «E io voglio che tu lo faccia.

Ma voglio che venga anche Luke.»Luke sembrò sorpreso. «Jace… vivo

qui da quindici anni e non ho mai messopiede all’Istituto. Nemmeno una volta.Non credo che Maryse nutra ancoradell’affetto per me…»

«Ti prego» disse Jace, e, malgradola voce piatta e la calma con cuiparlava, Clary poté percepire, comefosse qualcosa di tangibile, l’orgoglio

che aveva dovuto soffocare perpronunciare quelle due parole.

«Va bene.» Luke fece un cenno conla testa, il cenno di un capobrancoabituato a fare quello che doveva, chegli piacesse o meno. «Vuol dire cheverrò con te.»

Simon era appoggiato al muro delcorridoio fuori dall’ufficio di Pete ecercava di non compiangersi.

La giornata era cominciata bene.Insomma, piuttosto bene. Prima c’erastato quello spiacevole episodio delfilm Dracula in TV che gli aveva fattovenire la nausea, portando a galla tuttele emozioni e i desideri che avevacercato di reprimere e dimenticare. Poi,

in qualche modo, il malessere gli avevacalmato i nervi, e si era ritrovato abaciare Clary come voleva fare da tantianni. La gente diceva sempre che le cosenon sono mai come le abbiamoimmaginate. La gente si sbagliava.

E lei aveva restituito il bacio…Ma adesso era là dentro con Jace, e

Simon si sentiva annodare e contorcerelo stomaco come se avesse trangugiatouna scodella di vermi. Era un senso dinausea a cui si era abituato negli ultimitempi. Non era sempre stato così, anchedopo che si era reso conto di quello cheprovava per Clary. Non le aveva maifatto pressioni, non le aveva mai fattopesare i propri sentimenti. Era sempre

stato certo che un giorno si sarebberiscossa dai suoi sogni di principi deicartoni animati ed eroi del kung fu e sisarebbe accorta di ciò che era chiarocome il sole: che loro dueappartenevano l’uno all’altra. E se nonaveva mostrato interesse per lui, almenonon l’aveva mostrato per nessun altro.

Fino a Jace. Si rivide seduto suigradini della veranda della casa di Lukeintento a guardare Clary che gli spiegavachi era Jace e che cosa faceva, mentreJace si esaminava le unghie con aria disuperiorità. Simon non l’aveva quasisentita. Era stato troppo occupato aosservare come guardava il ragazzobiondo con gli strani tatuaggi e il bel

viso spigoloso. Troppo bello, avevapensato Simon, ma Clary evidentementenon era della stessa opinio-ne: loguardava come se fosse uno dei suoieroi dei cartoni animati che aveva presovita. Non l’aveva mai vista primaguardare qualcuno in quel modo e avevasempre pensato che, se mai l’avessefatto, avrebbe guardato lui. Ma non eraandata così, e questo faceva più male diquanto avesse mai immaginato.

Scoprire che Jace era il fratello diClary era stato come trovarsi davanti aun plotone di esecuzione e vedersioffrire la grazia all’ultimo momento. Dicolpo il mondo era sembratonuovamente pieno di possibilità.

Adesso non ne era più così sicuro.«Ciao.» Una figura stava avanzando

lungo il corridoio, una persona nonmolto alta che procedeva con cautela trale macchie di sangue. «Stai aspettandodi vedere Luke? È là dentro?»

«Non esattamente.» Simon siallontanò dalla porta. «Cioè, più omeno. È

là dentro con una persona di cuisono amico.»

La figura, che nel frattempo lo avevaraggiunto, si fermò e lo fissò. Simonvide che era una ragazza sui sedici annicon la pelle liscia di un bruno chiaro.Aveva capelli castani acconciati indecine di treccine e il viso a forma di

cuore. Il corpo era sodo e formoso, con ifianchi larghi e la vita sottile. «Chi, iltizio del bar? Il Cacciatore?»

Simon scrollò le spalle.«Be’, mi spiace dirtelo» disse la

ragazza «ma il tuo amico è un idiota.»«Non è mio amico» ribatté Simon.

«E non potrei essere più d’accordo conte, davvero.»

«Ma mi pareva che avessi detto…»«È sua sorella che sto aspettando»

disse Simon. «È la mia migliore amica.»«E adesso è là dentro con lui?» La

ragazza indicò la porta con il pollice.Aveva anelli a ogni dito, fascette di

bronzo e oro battuto dall’aspetto primi-tivo. Portava jeans consumati ma puliti e

quando girò la testa Simon vide lacicatrice che le correva lungo il collo,poco sopra la scollatura della maglietta.«Be’» disse con aria guardinga «io ne soqualcosa di fratelli idioti.

Suppongo che lei non ne abbiaalcuna colpa.»

«Già» fece Simon. «Ma forse èl’unica persona a cui lui darà ascolto.»

«Non mi ha dato l’idea del tipo cheascolta» gli disse la ragazza, che losorprese a guardarla con la codadell’occhio. Un’espressione divertita leguizzò sul viso. «Stai osservando la miacicatrice. È dove sono stata morsa.»

«Morsa? Vuoi dire che sei…?»«Una lupa mannara» disse la

ragazza. «Come tutti gli altri qui. Trannete e l’idiota. E la sorella dell’idiota.»

«Ma non sei sempre stata una lupamannara. Voglio dire, non sei nata così.»

«Come la maggior parte di noi»spiegò la ragazza. «È questo che ci dif-ferenzia dai tuoi amichetti Cacciatori.»

«Che cosa?»Lei sorrise di sfuggita. «Il fatto che

una volta eravamo umani.»Simon non replicò. Dopo un

momento la ragazza allungò la mano.«So-no Maia.»

«Simon.» Le strinse la mano. Eraasciutta e morbida. Maia alzò lo sguardosu di lui e lo fissò attraverso le cigliacastano chiaro, il colore dei toast

imburrati. «Come fai a sapere che Jace èun idiota?» domandò. «O

forse dovrei dire, come l’haiscoperto?»

Maia ritirò la mano. «Ha fatto apezzi il bar. Ha pestato il mio amicoBat. Ha perfino messo fuoricombattimento alcuni membri delbranco.»

«Stanno bene?» Simon eraallarmato. Jace non gli era sembratoturbato, ma conoscendolo non avevadubbi che fosse capace di uccidereparecchie persone in una sola mattina esubito dopo andarsi a comprare dellecialde.

«Hanno visto un dottore?»

«Uno stregone» disse la ragazza.«Quelli come noi non hanno molto a chefare con i dottori mondani.»

«I Nascosti?»Maia sollevò le sopracciglia. «Si

sono presi la briga di insegnarti il ger-go, vero?»

Simon si irritò. «Come fai a sapereche non sono uno di loro? O di voi?

Un Cacciatore o un Nascosto, o…»La ragazza scosse la testa facendo

sobbalzare le trecce. «È che salta agliocchi» disse con una lieve amarezza «latua umanità. »

L’intensità nella sua voce lo fecequasi rabbrividire. «Potrei bussare allaporta» suggerì, sentendosi a un tratto

impacciato. «Se vuoi parlare con Lu-ke.»

Lei scrollò le spalle. «Digli solo cheMagnus è arrivato e sta ispezionan-do lascena nel vicolo.» Simon doveva avereun’aria sorpresa, dato che lei aggiunse:«Magnus Bane. È uno stregone.»

Lo so, avrebbe voluto dire Simon,ma non lo fece. Tutta la conversazioneera già stata abbastanza strana. «Okay.»

Maia si girò per andarsene, ma, fattoun passo, indugiò con una mano sullostipite della porta. «Pensi che saràcapace di farlo ragionare?» chiese.

«Sua sorella?»«Se c’è una persona a cui darà

ascolto, è lei.»

«Che cosa tenera» osservò Maia.«Che voglia tanto bene a sua sorella.»

«Già» disse Simon. «Una veradelizia.»

capitolo 3L’INQUISITRICELa prima volta che Clary aveva visto

l’Istituto, le era sembrato simile a unachiesa in rovina, il tetto sfondato, ilnastro giallo della polizia a tenerechiusa la porta. Adesso non dovevasforzarsi di dissipare l’illusione.

Anche dall’altro lato della stradavedeva esattamente cos’era: un’impo-nente cattedrale gotica le cui guglietrafiggevano il cielo blu come coltelli.

Luke tacque. Dall’espressione del

suo viso, era chiaro che dentro di luiaveva luogo una tacita lotta. Mentresalivano i gradini, Jace si infilò unamano nella camicia come d’abitudine,ma quando la tirò fuori era vuota.

Rise senza alcuna allegria.«Dimenticavo. Quando me ne sonoandato Maryse si è presa le mie chiavi.»

«Si capisce.» Luke stava propriodavanti alle porte dell’Istituto. Toccòdelicatamente i simboli intagliati nellegno, subito sotto l’architrave. «Questeporte sono identiche a quelle della Saladel Consiglio a Idris. Non avrei maipensato di rivederle.»

Clary si sentì quasi in colpa ainterrompere il suo sogno a occhi aperti,

ma c’erano delle questioni pratiche dicui occuparsi. «Se non abbiamo lachiave…»

«Non dovrebbe essercene bisogno.Un Istituto dovrebbe essere aperto aqualsiasi Nephilim che non intenda faredel male a chi ci abita.»

«E se volessero farci del maleloro?» borbottò Jace.

L’angolo della bocca di Luke sicontrasse. «Non credo che facciadifferenza.»

«Il Conclave imbroglia sempre lecarte a modo suo.» La voce di Jacesuonò attutita, il labbro inferiore gli sistava gonfiando, la palpebra sinistrastava diventando viola.

Perché non si guarisce le ferite? , sichiese Clary. «Ti ha requisito anche lostilo?»

«Non ho preso niente quando sonoandato via» disse Jace. «Non volevonulla di ciò che avevo avuto daiLightwood.»

Luke lo guardò con una certapreoccupazione. «Ogni Cacciatore deveavere uno stilo.»

«Me ne procurerò un altro» disseJace posando la mano sulla portadell’Istituto. «In nome del Conclave, iochiedo di avere accesso a questo luogosacro. E in nome dell’Angelo Raziel,chiedo la tua benedizione sulla miamissione contro…»

Le porte si spalancarono. Al di là diesse, Clary vide l’interno dellacattedrale, l’oscurità piena di ombre piùscure illuminata qua e là da candelecollocate in alti candelabri di ferro.

«Be’, è comodo» disse Jace. «Lebenedizioni sono più facili da otteneredi quanto pensassi. Magari dovreichiederne una anche sulla mia missionecontro quelli che, senza rispettare latradizione, si vestono di bianco dopo ilLabour Day.»

«L’Angelo sa qual è la tua missione»osservò Luke. «Non c’è bisogno dipronunciare le parole ad alta voce,Jonathan.»

Per un momento Clary pensò di

vedere qualcosa balenare sul viso di Ja-ce: incertezza, sorpresa, forse perfinosollievo. Ma tutto ciò che disse fu:

«Non chiamarmi così. Non è il mionome.»

Attraversarono la cattedrale,superando i banchi vuoti e la luceproveniente dall’altare. Luke siguardava intorno con aria curiosa esembrò stupito quando l’ascensore,simile a una dorata gabbia per uccelli,arrivò per portarli di sopra. «Questadev’essere un’idea di Maryse» dissementre ci salivano. «Rispecchiatotalmente il suo gusto.»

«È qui da quando ci sono io» disseJace mentre la porta si chiudeva

rumorosamente alle loro spalle. Durantela breve salita, nessuno aprì bocca.

Clary giocherellava nervosamentecon la frangia della sciarpa. Si sentivaun po’ in colpa per aver detto a Simon diandare a casa e aspettare una suachiamata. Dalla postura delle sue spallementre si incamminava a grandi passiper Canal Street, aveva capito che eraseccato per essere stato liquidato inmodo un po’ spiccio. Eppure nonriusciva a immaginare che lui - unmondano - fosse presente mentre Lukeintercedeva per Jace presso MaryseLightwood. Avrebbe soltanto reso tuttopiù imbarazzante.

L’ascensore si fermò rumorosamente

e quando ne uscirono trovarono Churchad aspettarli nell’ingresso con un nastrorosso piuttosto malridotto intorno alcollo. Jace si chinò e strofinò il dorsodella mano sulla testa del gatto. «Dov’èMaryse?»

Church emise un suono gutturale,qualcosa a metà tra le fusa e il ringhio, esi avviò lungo il corridoio. Loseguirono, Jace in silenzio, Lukeguardandosi intorno con palesecuriosità. «Non avrei mai pensato divedere l’interno di questo posto.»

Clary chiese: «È come loimmaginavi?»

«Ho visitato gli Istituti di Londra eParigi, questo non è diverso. Però è in

qualche modo…»«In qualche modo cosa?» Jace era

parecchi passi più avanti.«Più freddo» disse Luke.Jace non commentò. Avevano

raggiunto la biblioteca. Church siaccucciò come per segnalare che nonaveva intenzione di andare oltre.Attraverso la spessa porta di legnogiungevano voci appena udibili, ma Jacela aprì senza bussare ed entrò con passodeciso.

Clary sentì un’esclamazione disorpresa. Per un istante le si strinse ilcuore al pensiero di Hodge, che avevapraticamente vissuto in quella stanza.Hodge, con la sua voce roca, e Hugin, il

corvo che era il suo compagnoinseparabile… e che, su comando delpadrone, le aveva quasi strappato gliocchi.

Ma non era Hodge, naturalmente.Dietro l’enorme scrivania ricavata daun’unica, massiccia lastra di rovere,poggiata sulle schiene di due angeliinginocchiati, sedeva una donna dimezza età con gli stessi capelli, nericome l’inchiostro, di Isabelle, e lacorporatura snella ed forte di Alec.Indossava un elegante tailleur nero,molto semplice, che contrastava con inumerosi anelli dai vivaci colori che lescintillavano alle dita.

Accanto a lei c’era un’altra figura:

uno snello adolescente dalla corporaturaesile, con i capelli ricci scuri e la pellecolor miele. Quando si girò a guardarli,Clary non poté trattenereun’esclamazione di meraviglia.«Raphael?»

Per un momento il ragazzo parvecolto alla sprovvista. Poi sorrise,scoprendo i denti bianchissimi eaffilati… non c’era da stupirsi, dato cheera un vampiro. « Dios» disse,rivolgendosi a Jace. «Che ti è successo,fratello?

Sembra che un branco di lupi abbiaprovato a farti a pezzi.»

«O sei un grande indovino» disseJace «o hai saputo che cosa è successo.»

Il sorriso di Raphael si trasformò inun ghigno. «Sai, mi giungono voci.»

La donna dietro la scrivania si alzò.«Jace» disse, con la voce piena di ansia.«È successo qualcosa? Perché seitornato così presto? Pensavo che sarestiandato a stare con…» Il suo sguardo looltrepassò e si posò su Luke e Clary. «Etu chi sei?»

«La sorella di Jace» rispose Clary.Gli occhi di Maryse si soffermarono

su di lei. «Già, lo vedo, assomigli aValentine.» Si girò verso Jace. «Haiportato tua sorella con te? E anche unmondano? Questo posto adesso non èsicuro per nessuno di voi. E tanto menoper un mondano… »

Con un lieve sorriso, Luke disse: «Ionon sono un mondano.»

L’espressione di Maryse passòlentamente dallo smarrimento allo shockmentre guardava Luke. Lo guardò sulserio per la prima volta. « Lucian! »

«Ciao, Maryse» disse Luke. «Ne èpassato di tempo.»

Il viso di Maryse era assolutamenteimmobile, e in quel momento sembròall’improvviso molto più vecchia, anchepiù vecchia di Luke. Si sedette concautela. «Lucian» ripeté, i palmi dellemani sulla scrivania. «LucianGraymark.»

Raphael, che aveva osservato lascena con lo sguardo vivace e curioso di

un uccello, si rivolse a Luke. «Tu seiquello che ha ucciso Gabriel.»

Chi era Gabriel? Clary fissò Luke,confusa. Lui scrollò lievemente lespalle. «L’ho fatto, sì, proprio come luiha ucciso il capobranco che lo avevapreceduto. È così che funziona fra ilicantropi.»

A quelle parole Mary se alzò losguardo. «Il capobranco?»

«Se adesso sei tu a comandare ilbranco, dobbiamo parlare» disseRaphael piegando garbatamente la testaverso di lui, seppure con una certadiffidenza negli occhi. «Anche se non inquesto momento, magari.»

«Manderò qualcun altro, a

discutere» disse Luke. «Sono successetante di quelle cose, ultimamente. Credoche io non sarei troppo diplomatico.»

«Già» fu tutto quello che disseRaphael. Si voltò di nuovo versoMaryse.

«Il nostro colloquio puòconsiderarsi concluso?»

Maryse faticò a rispondere. «Se diciche i Figli della Notte non c’entrano conqueste uccisioni, ti credo sulla parola.Sono tenuta a farlo, a meno che nonvengano alla luce altre prove.»

Raphael aggrottò la fronte. «Allaluce?» fece. «È un’espressione che nonmi piace.» Poi si girò, e Clary siaccorse con un sussulto di vedere

attraverso il contorno del suo corpo,come se lui fosse una fotografia daimargini sfocati. La sua mano sinistra eratrasparente e lasciava intravedere ilgrande mappamondo di metallo cheHodge teneva sempre accanto allascrivania. Clary si sentì emettere unlieve verso di sorpresa mentre la tra-sparenza si diffondeva dalle mani allebraccia… e poi dalle braccia al tronco,e in men che non si dica Raphael erasparito, come una figura cancella-ta daun disegno. Maryse fece un sospiro disollievo.

Clary rimase a bocca aperta. «Èmorto?»

«Chi, Raphael?» disse Jace.

«Difficile. Quella era solo una suaproiezio-ne. Non può entrarenell’Istituto con il suo corpo materiale.»

«Perché no?»«Perché questa è terra consacrata»

rispose Maryse. «E lui è un dannato.»I suoi occhi gelidi non persero nulla

della loro freddezza quando sispostarono su Luke. «Tu capobranco aManhattan?» chiese. «Immagino che nondovrei essere affatto sorpresa. A quantopare, questo è il tuo metodo, no?»

Luke ignorò l’amarezza del suo tono.«Raphael è stato qui per parlare delragazzo ucciso oggi?»

«Di quello. E anche di uno stregonemorto» disse Maryse. «L’hanno trovato

cadavere a Downtown due giorni fa.»«Ma perché Raphael è stato qui?»«Lo stregone era dissanguato» disse

Maryse. «Sembra che l’assassino delgiovane lupo mannaro sia stato interrottoprima di potergli succhiare il sangue, maovviamente i sospetti sono caduti suiFigli della Notte. Il vampiro è venutoqui per assicurarmi che i suoi nonavevano niente a che vedere con questastoria.»

«Gli credi?» chiese Jace.«Ora non ho intenzione di discutere

con te, Jace, di faccende che riguar-danoil Conclave… soprattutto non davanti aLucian Graymark.»

«Adesso mi chiamo solo Luke»

disse quello con aria tranquilla. «LukeGarroway.»

Maryse scrollò la testa. «Ti horiconosciuto a stento. Sembri unmondano.»

«L’intenzione è quella, sì.»«Pensavamo tutti che fossi morto.»«Speravate» precisò Luke sempre

con aria imperturbabile. «Speravate chefossi morto.»

Sembrò che Maryse avesse ingoiatoqualcosa di appuntito. «Potreste anchesedervi» disse infine, indicando le sediedavanti alla scrivania. «E adesso»continuò una volta che ebbero presoposto «forse potreste dirmi perché sietequi.»

«Jace» disse Luke senza preamboli«vuole un processo davanti al Conclave.E io sono disposto a garantire per lui.Ero a Renwick la notte in cui Valentinesi è rivelato. Mi sono battuto con lui e cisiamo quasi uccisi a vicenda. Possoconfermare che tutto quello che Jacedice corrisponde al ve-ro.»

«Non sono sicura» ribatté Maryse«di quanto valga la tua parola.»

«Per quanto io sia un licantropo»disse Luke «sono anche un Cacciatore.

Sono disposto a sottopormi allaprova della Spada, se sarà necessario.»

La prova della Spada? Questo nonfaceva presagire niente di buono.

Clary lanciò un’occhiata a Jace.

Esteriormente era calmo, le ditaintrecciate in grembo, ma era scosso daun tremito che tradiva la tensione, comese fosse a un pelo dall’esplodere. Jacecolse il suo sguardo e disse: «La Spadadell’Anima. Il secondo degli StrumentiMortali. Viene usata nei processi perstabilire se un Cacciatore mente.»

«Tu non sei un Cacciatore» disseMaryse a Luke, come se Jace non avesseparlato. «È da tempo, da molto tempoche non vivi secondo la Legge delConclave.»

«C’è stato un tempo in cui neanche tula seguivi» replicò Luke. Le guancedella donna si fecero paonazze.«Pensavo» continuò Luke «che ormai

avessi superato la tua inclinazione a nonfidarti mai di nessuno, Maryse.»

«Certe cose non si perdono mai»disse lei. La sua voce aveva una dol-cezza minacciosa. «Credi che fingersimorto sia stata la menzogna più grandeche Valentine ci ha propinato? Credi cheil fascino corrisponda alla sincerità? Iola pensavo così. Mi sbagliavo.» Si alzòe si appoggiò al tavolo con le manisottili. «Ci disse che si sarebbesacrificato per il Circolo e che siaspettava che lo facessimo anche noi. Enoi lo avremmo fatto, tutti. Io l’ho quasifatto.» I suoi occhi scivolarono su Jace eClary, quindi si fissarono su quelli diLuke. «Ti ricordi quando ci disse che la

Rivolta sarebbe stata poca cosa, unascaramuccia: tutta la potenza del Circolocontro pochi ambasciatori disarmati.Ero talmente sicura di una nostra rapidavittoria che quando andai ad Alicantelasciai Alec a casa nella culla. Chiesi aJocelyn di guardarmi i bambini, mentreero via. Lei rifiutò. Ora so perché.

Lei sapeva… e anche tu. E non ci haiavvertito.»

«Provai a mettervi in guardia suValentine» disse Luke. «Non mi desteascolto.»

«Non parlo di Valentine. Parlo dellaRivolta! Quando arrivammo, eravamo incinquanta contro cinquecentoNascosti…»

«Eri pronta a massacrarli quandopensavi che sarebbero stati solo cinqueuomini disarmati» disse Luke con calma.

Le mani di Maryse si serrarono sullascrivania. «Siamo stati noi a esseremassacrati» disse. «Nel bel mezzo dellacarneficina, ci siamo rivolti fidu-ciosi aValentine perché ci guidasse. Ma lui nonc’era. A quel punto il Conclave ha fattocircondare la Sala degli Accordi.Pensavamo che Valentine fosse statoucciso, eravamo pronti a dare le nostrevite, in un ultimo, disperato assalto. Poimi sono ricordata di Alec… se fossimorta, cosa sarebbe successo al miobambino?» La sua voce si ruppe. «Cosìdeposi le armi e mi consegnai al

Conclave.»«Hai fatto la cosa giusta, Maryse»

disse Luke.Si girò verso di lui, gli occhi

fiammeggianti. «Non trattarmi conquesta condiscendenza, lupo mannaro.Fosse stato per te…»

«Non gridargli contro!» Claryintervenne, quasi alzandosi in piedianche lei. «È solo colpa tua se haicreduto a Valentine…»

«E pensi che non lo sappia?» Nellavoce di Maryse si era insinuata unasfumatura aspra. «Oh, il Conclave ce lospiegò bene, quando ci interrogò…

Avevano la Spada dell’Anima esapevano quando mentivamo, ma non

riuscirono a farci parlare… niente riuscìa farci parlare, fino a che…»

«Fino a cosa?» Era stato Luke a farequella domanda. «Io non l’ho maisaputo. Mi sono sempre chiesto cosa viavessero detto per far sì che gli voltastele spalle.»

«La pura verità» disse Maryse, eapparve improvvisamente stanca. «CheValentine non era morto là nella Sala.Era fuggito… Ci aveva lasciato acrepare senza di lui. Era morto più tardi,ci dissero, bruciato vivo nella sua casa.L’Inquisitore ci mostrò le sue ossa, iresti carbonizzati dell’amuleto che erasolito portare. Naturalmente, era un’altramenzogna…» La sua voce si spense,

quindi Maryse riprese il controllo edisse in tono secco: «A quel punto stavacomunque andando tutto a pezzi. Allafine ci parlammo, noi del Circolo. Primadella battaglia, Valentine mi aveva presoda parte e mi aveva detto che, tra tutti imembri del Circolo, ero quella di cui sifidava di più, la sua collaboratrice piùstretta. Quando il Conclave ci interrogò,scoprii che aveva detto la stessa cosa atutti.»

«Non c’è niente di peggio di unadonna tradita» borbottò Luke, così pianoche solo Clary lo sentì.

«Non ha mentito solo al Conclave,ma a tutti noi. Si è servito della nostralealtà e del nostro affetto. Proprio come

ha fatto quando ti ha mandato da noi»disse Maryse guardando dritto in facciaJace. «E adesso è tornato.

E ha la Coppa Mortale. Lo progettada anni, senza sosta, tutto il piano.

Non posso permettermi di fidarmi dite, Jace. Mi dispiace.»

Jace non disse nulla. Il suo viso eraprivo di espressione, ma, via via cheMaryse parlava, si era fatto più pallido,coi recenti lividi che gli risaltavanosulla mascella e sulla guancia.

«E allora?» fece Luke. «Cosa tiaspetti che faccia? Dove dovrebbeandare?»

Gli occhi di Maryse si posarono perun attimo su Clary. «Perché non va da

sua sorella?» domandò. «La famiglia…»«È Isabelle, la sorella di Jace» la

interruppe Clary. «Alec e Max sono isuoi fratelli. Cosa gli dirai? Tiodieranno per sempre, se sbatti Jacefuori da casa vostra.»

Gli occhi di Maryse si posarono sudi lei. «E tu che ne sai?»

«Conosco Alec e Isabelle» risposeClary. Il pensiero di Valentine si fecevivo, importuno; lo respinse. «Ci vuolequalcosa più del sangue per fare unafamiglia. Valentine non è mio padre. ÈLuke mio padre. Proprio come Alec,Max e Isabelle sono la famiglia di Jace.Se provi a strapparlo dalla vostrafamiglia, lascerai una ferita che non si

rimarginerà più.»Luke la guardava con una sorta di

stupito rispetto. Gli occhi di Maryseebbero un guizzo di… incertezza?

«Clary» disse piano Jace. «Basta.»Aveva l’aria sconfitta. Clary si rivolse aMaryse.

«E la Spada?» chiese.Per un istante Maryse la guardò con

sincera perplessità. «La Spada?»«La Spada dell’Anima» disse Clary.

«Quella di cui vi servite per capire seun Cacciatore mente o meno. Poteteusarla su Jace.»

«Questa è una buona idea.» La vocedi Jace tradì una scintilla di anima-zione.

«Hai ragione, Clary ma non sai cosacomporta una decisione del genere»

disse Luke. «L’unica che può usarela spada è l’Inquisitrice.»

Jace si drizzò a sedere sulla sedia.«E allora invitatela. Chiamatel’Inquisitrice. Voglio farla finita conquesta storia.»

« No» disse Luke, mentre Marysestava osservando Jace.

«L’Inquisitrice» disse lei amalincuore «sta già arrivando…»

«Maryse.» La voce di Luke siincrinò. «Dimmi che non l’haiimmischia-ta in questa faccenda!»

«Non sono stata io! Pensi che ilConclave sarebbe rimasto a guardare

questa delirante storia di Dimenticati,Portali e finte morti senza interveni-re?Dopo quello che ha fatto Hodge? Ora,grazie a Valentine, siamo tutti sottoinchiesta» concluse, notandol’espressione cerea e sbalordita di Jace.

«L’Inquisitrice potrebbe mettereJace in prigione. Potrebbe privarlo deimarchi. Ho pensato che sarebbe statomeglio…»

«… che Jace se ne andasse primadel suo arrivo» disse Luke. «Non mistupisce che tu fossi così ansiosa dimandarlo via.»

«Chi è l’Inquisitrice?» chiese Clary.La parola evocava immagini dell’In-quisizione spagnola, torture, fruste e

ruote. «Che cosa fa?»«Indaga sui Cacciatori per conto del

Conclave» rispose Luke. «Si assicurache i Nephilim non infrangano la Legge.Dopo la Rivolta ha indagato su tutti imembri del Circolo.»

«È stata lei a maledire Hodge?»domandò Jace. «E a mandarvi qui?»

«Ha scelto il nostro esilio e la suapunizione. Non ha alcun affetto per noi.E odia tuo padre.»

«Non me ne andrò» disse Jace,sempre molto pallido. «Cosa farà severrà qui e non mi troverà? Penserà cheavete complottato per nascondermi.

Punirà voi.. . tu, Alex, Isabelle eMax.»

Maryse tacque.«Maryse, non fare la sciocca» disse

Luke. «Se manderai via Jace lei tibiasimerà ancora di più. Tenerlo qui epermettere che sia sottoposto alla provadalla Spada sarebbe un segno di buonafede.»

«Tenere qui Jace… non dirai sulserio, Luke!» esclamò Clary. Sapeva chericorrere alla Spada era stata una suaidea, ma cominciava a pentirsi di averlaproposta. «Dev’essere una donnaorribile.»

«Ma se Jace se ne va» obiettò Luke«non potrà più tornare. Non sarà mai piùun Cacciatore. Che ci piaccia o no,l’Inquisitrice è il braccio della Legge.

Se Jace vuole continuare a far parte delConclave, deve collaborare con lei. Haqualcosa dalla sua, qualcosa che imembri del Circolo non avevano dopola Rivolta.»

«E sarebbe?» chiese Maryse.Luke fece un debole sorriso.

«Diversamente da te» rispose «Jacedice la verità.»

Maryse respirò a fatica, poi sirivolse a Jace. «In definitiva deveessere una decisione tua» disse. «Sevuoi il processo, puoi rimanere qui finoall’arrivo dell’Inquisitrice.»

«Rimango» disse Jace. Nel suo tonoc’era una risolutezza priva di rabbia chesorprese Clary. Sembrava che guardasse

oltre Maryse con un lieve lampo negliocchi, come se vi si riflettesse il fuoco.In quel momento, Clary non poté fare ameno di pensare che Jace somigliavamolto a suo padre.

capitolo 4

IL CUCULO NEL NIDO«Succo d’arancia, melassa, uova, ma

scadute, e qualcosa che assomigliavagamente all’insalata.»

«Insalata?» Clary sbirciò nel frigo aldi sopra della spalla di Simon.

«Non direi, è mozzarella.»Simon rabbrividì e chiuse lo

sportello del frigo di Luke con un calcio.«E se ordinassimo una pizza?»«Già fatto» disse Luke entrando in

cucina con in mano il cordless. «Unapizza vegetariana grande e tre coche. Eho chiamato l’ospedale» aggiunseriattaccando. «Le condizioni di Jocelynsono invariate.»

«Ah» fece Clary, e si sedette al

tavolo di legno. Di solito Luke erapiuttosto ordinato, ma al momento iltavolo era sommerso dalla posta nonancora aperta e da pile di piatti sporchi.Alla spalliera di una sedia era appeso ilsuo montgomery verde.

Clary sapeva che doveva aiutarlo amettere in ordine, ma ultimamente non neaveva proprio la forza. La cucina diLuke era piccola e non brillava perpulizia. E anche come cuoco lui non eragranché, come dimostrava il fatto che sulportaspezie appeso sopra il vecchiocontatore del gas non c’erano spezie:Luke lo usava per metterci le scatole ditè e di caffè.

Simon le si sedette accanto, mentre

Luke toglieva i piatti sporchi dal tavoloe li ammucchiava nel lavello. «Tuttookay?» le chiese sottovoce.

«Sto bene» Clary riuscì adabbozzare un sorriso. «Non mi aspettavoche mia madre si svegliasse oggi,Simon. Ho come la sensazione chestia… aspettando qualcosa.»

«Sai di che si tratta?»«No. So solo che manca qualcosa.»

Alzò gli occhi su Luke, che era occupatoa strofinare vigorosamente i piatti nellavello. «O qualcuno.»

Simon la guardò con ariainterrogativa. «Sembra che la scenaall’Istituto sia stata piuttosto forte, perte.»

Clary rabbrividì. «La madre di Alece Isabelle è spaventosa.»

«Come hai detto che si chiama?»«May-ris» disse Clary, copiando la

pronuncia di Luke.«È un vecchio nome da Cacciatore.»

Luke si asciugò le mani con unostrofinaccio.

«E Jace ha deciso di rimanere là eaffrontare questa Inquisitrice? Non sen’è andato?» chiese Simon.

«È quello che deve fare se vorràavere una vita da Cacciatore» disse Lu-ke. «Ed essere questo, un Nephilim,significa tutto per lui. Conoscevo altriCacciatori così, a Idris. Se gli togliquesto…»

Risuonò il familiare squillo delcampanello. Luke gettò lo strofinacciosul piano di lavoro. «Torno subito.»

Appena fu uscito dalla cucina,Simon disse: «È davvero strano pensarea Luke come a uno che una volta eraCacciatore. Più strano ancora chepensarlo come lupo mannaro.»

«Davvero? E perché?»Simon fece spallucce. «Ho sentito

parlare dei lupi mannari. Bene o malesono qualcosa di noto. Una volta al meselui si trasforma in lupo, e con questo?Ma i Cacciatori… Loro sono una speciedi setta.»

«Non è vero.»«E invece sì. Cacciare è la loro vita.

E guardano tutti dall’alto in basso.Ci chiamano mondani. Come se loro

non fossero esseri umani. Non fannoamicizia con la gente normale, nonfrequentano gli stessi posti, non cono-scono le stesse barzellette, si credonosuperiori.» Simon sollevò una lungagamba magra e attorcigliò il bordosfrangiato del buco nel ginocchio deijeans. «Oggi ho conosciuto un altro lupomannaro.»

«Non dirmi che sei stato a gingillarticon Freaky Pete all’Hunter’s Mo-on.»Clary provava una sensazionesgradevole alla bocca dello stomaco, manon avrebbe saputo dire con precisioneda cosa derivava. Probabilmente dallo

stress in generale.«No. Era una ragazza» disse Simon.

«Più o meno della nostra età. Si chiamaMaia.»

«Maia?» Luke rientrò in cucina conil contenitore quadrato della pizza.

Lo depose sul tavolo e Clary allungòla mano per aprirlo. L’odore della pastadella pizza, della salsa di pomodoro edel formaggio le fece ricordare quantafame aveva. Staccò una fetta senzaaspettare che Luke le facesse scivolareun piatto sul tavolo. Luke si sedette conun sorriso, scuotendo la testa.

«Maia fa parte del branco, vero?»chiese Simon, prendendo a sua volta unafetta.

Luke annuì. «Certo. È una bravaragazza. L’ho fatta venire qualche volta abadare alla libreria, mentre eroall’ospedale. Si fa pagare in libri.»

Simon lo guardò al di sopra dellapizza. «Sei a corto di soldi?»

Luke scrollò le spalle. «Non ho maidato importanza ai soldi, e il brancogestisce i suoi.»

Clary disse: «Mia madre ha sempredetto che quando rimanevamo al verdevendeva un po’ delle azioni di miopadre. Ma dal momento che il tizio checredevo mio padre non lo era, e dubitoche Valentine avesse delle azioni…»

«Tua madre vendeva i suoi gioielli,uno alla volta» spiegò Luke. «Valentine

le aveva dato alcuni dei gioielli dellasua famiglia, pezzi che appartenevano aiMorgenstern da generazioni. Perfino ipiù piccoli avevano va-lutazionialtissime, alle aste.» Sospirò. «Ormaisono spariti… anche se Valentinepotrebbe averli recuperati dalle rovinedel vostro vecchio appartamento.»

«Be’, spero che questo le abbiaprocurato una certa soddisfazione» disseSimon. «Vendere così la roba diValentine.» Prese un altra fetta di pizza.

Era veramente sorprendente, pensòClary, quanto cibo erano capaci di in-gurgitare gli adolescenti maschi senzamettere su un grammo di peso o sentirsimale.

«Deve essere stato strano per te»disse a Luke. «Vedere MaryseLightwood così, dopo tanto tempo.»

«Non esattamente strano. Non è tantodiversa da com’era allora… In effetti, èsempre uguale a se stessa, anche se puòsembrare assurdo.»

Clary non lo trovava assurdo.L’aspetto di Maryse le ricordava laragazza snella e dai capelli neri dellafoto che le aveva dato Hodge, quella conil mento sollevato altezzosamente. «Chesentimenti pensi che nutra per te?»

gli chiese. «Pensi davvero chesperassero che tu fossi morto?»

Luke sorrise. «Sì, ma forse nonperché mi odiano. Solo che per loro

sarebbe stato più comodo e menoproblematico se fossi morto, non c’èdubbio. Che io sia vivo e per di più acapo del branco di Downtown non ècerto qualcosa che potessero augurarsi.Dopotutto, mantenere la pace tra iNascosti è il loro lavoro… Ed ecco chesalto fuori io, che sono legato a loro dauna lunga storia e che ho mille motiviper volermi vendicare. Temono che iosia una mina vagante.»

«E lo sei?» chiese Simon. Avevanofinito la pizza, così allungò la manosenza guardare e prese una delle crostemordicchiate da Clary. Sapeva cheodiava la crosta. «Una mina vagante,voglio dire.»

«Non c’è niente di imprevedibile inme. Sono poco interessante e di mezzaetà.»

«A parte il fatto che una volta almese ti trasformi in lupo e te ne vai ingiro ad ammazzare la gente» osservòClary.

«Potrebbe andar peggio» disse Luke.«Ci sono uomini della mia età checomprano macchine sportive e vanno aletto con giovani supermodelle.»

«Macché mezza età» osservò Simon.«Hai solo trentotto anni.»

«Grazie, Simon, lo apprezzo.» Lukeaprì il contenitore della pizza e, tro-vandolo vuoto, lo chiuse con un sospiro.«Anche se ti sei sbafato tutta la pizza.»

«Ne ho prese solo cinque fette»protestò Simon, spingendo indietro lasedia in modo da farla stare inequilibrio precario sulle due gambe didietro.

«Quante fette pensi che ci siano inuna pizza, scemo?» chiese Clary.

«Meno di cinque fette non è unpasto. È uno spuntino.» Simon rivolseuno sguardo apprensivo a Luke. «Questosignifica che ti trasformerai in lupo e mimangerai?»

«Certo che no.» Luke si alzò pergettare il contenitore della pizza nellapattumiera. «Mi dai l’idea di esserefibroso e difficile da digerire.»

«Però sono kosher» osservò Simon

allegramente.«Non mancherò di segnalarti ai

licantropi ebrei.» Luke appoggiò laschiena al lavello. «Ma per risponderealla tua domanda di poco fa, Clary, èstato strano vedere Maryse Lightwood,non tanto per lei stessa, quanto perl’ambiente. L’Istituto mi ha ricordatotroppo la Sala degli Accordi a Idris…Potevo sentire intorno a me la forzadelle rune del Libro Grigio, do-poquindici anni passati a cercare didimenticarle.»

«E ci sei riuscito, a dimenticarle?»chiese Clary.

«Ci sono cose che non sidimenticano mai. Le rune del Libro sono

ben più che illustrazioni. Diventanoparte di te. Della tua pelle. Non sismette mai di essere Cacciatori. È undono che hai nel sangue, e non puoi cam-biarlo più di quanto tu possa cambiare iltuo gruppo sanguigno.»

«Mi chiedevo» disse Clary «se nondevo avere anch’io dei marchi.»

Simon lasciò cadere la crosta dipizza che stava rosicchiando. «Staischerzando.»

«Per niente. Perché dovrei scherzaresu una cosa simile? E perché non dovreiavere i marchi? Sono una Cacciatrice.Tanto vale che cerchi di procurarmi tuttala protezione possibile.»

«Protezione da cosa?» domandò

Simon chinandosi in avanti e facendosbattere rumorosamente le gambe dellasedia sul pavimento. «Pensavo chequesta faccenda dei Cacciatori fossefinita. Pensavo che tu volessi vivere unavita normale.»

Luke parlò in tono moderato. «Nonsono sicuro che la vita normale esistadavvero.»

Clary abbassò lo sguardo sulbraccio, dove Jace aveva tracciatol’unico marchio che avesse mairicevuto. C’era ancora il disegno biancosimile a un merletto che aveva lasciatoun ricordo più forte di una cicatrice.«Certo, voglio tenermi lontana dallestranezze. Ma se le stranezze mi corrono

dietro? Se non avessi scelta?»«O forse non vuoi tenertene così

lontana» borbottò Simon. «Non finchéJace vi è coinvolto, in ogni caso.»

Luke si schiarì la gola. «Di solito,prima di ricevere i marchi, i Nephilimvengono sottoposti a vari livelli diaddestramento. Ti consiglierei di nonfarteli finché non avrai un certo grado diistruzione. Ma se vuoi farli,naturalmente decidi tu. Tuttavia, c’è unacosa che dovresti avere. Una cosa cheogni Cacciatore deve avere.»

«Un atteggiamento odioso earrogante?» chiese Simon, un po’polemico.

«Uno stilo» rispose Luke. «Ogni

Cacciatore dovrebbe avere uno stilo.»«E tu ne hai uno?» domandò Clary,

sorpresa.Senza rispondere, Luke uscì dalla

cucina. Pochi attimi dopo era di nuovolì, con in mano un fagotto di stoffa nera.Lo posò sul tavolo e lo svolse,rivelando un oggetto scintillante simile auna bacchetta magica di cristallopallido, opaco. Uno stilo.

«Bello» fece Clary«Mi fa piacere che la pensi così»

disse Luke «perché voglio che lo tengatu.»

«Io?» Lo guardò stupefatta. «Ma ètuo, no?»

Luke scosse la testa. «Era di tua

madre. Non voleva tenerlonell’appartamento, casomai tu l’avessitrovato, così mi chiese di conservarloper lei.»

Clary prese lo stilo. Era freddo altatto, ma lei sapeva che quando venivausato si scaldava fino a diventareincandescente. Era uno strano oggetto,non abbastanza lungo per essereun’arma, non abbastanza corto peressere uno strumento da disegno facileda maneggiare. Immaginò che abituarsi aquella cosa fosse solo una questione ditempo.

«Posso tenerlo?»«Certo. È un vecchio modello, si

capisce, di quasi vent’anni fa. Da allora

li avranno perfezionati. Comunque, èabbastanza affidabile.»

Simon la guardò mentre teneva lostilo come se fosse una bacchetta dadirettore d’orchestra, tracciandodelicatamente segni invisibili nell’aria.

«Mi ricorda quando mio nonno miregalò le sue vecchie mazze da golf.»

Clary si mise a ridere e abbassò lamano. «Già, solo che non le hai maiusate.»

«E spero che tu non debba mai usarenemmeno questo» disse Simon, edistolse svelto lo sguardo prima chel’amica potesse replicare.

Il fumo saliva dai marchi in nerespirali e lui sentì l’odore soffocante

della sua pelle che bruciava. Suo padregli stava sopra con lo stilo, la cuipunta risplendeva rossa come quella diun attizzatoio lasciato a lungo nelfuoco. “Chiudi gli occhi, Jonathan”disse il padre. “Il dolore è soltanto ciòche tu gli permetti di essere.” Ma lamano di Jace si piegò involontaria-mente su se stessa, come se la sua pellefremesse e si contorcesse perallontanarsi dallo stilo. Sentì il colposecco quando un osso della mano sispezzò, poi un altro…

Jace aprì gli occhi e sbatté lepalpebre nell’oscurità, mentre la voce disuo padre svaniva come fumo al vento.Sentì sulla lingua il sapore metallico del

dolore. Si era morso l’interno dellabbro. Si mise a sedere, sussul-tando.

Risuonò un altro colpo secco e Jaceabbassò senza volere lo sguardo sullamano. Non aveva nessun marchio. Sirese conto che il rumore veniva da fuori.Qualcuno stava bussando alla portadella stanza, anche se con qualcheesitazione.

Si buttò giù dal letto, rabbrividendoal contatto dei piedi nudi sul pavimento.Si era addormentato vestito e si guardòla camicia spiegazzata conun’espressione di disgusto. Dovevaavere ancora addosso l’odore di lupo.

Gli doleva tutto.Bussarono di nuovo. Jace attraversò

la stanza e aprì la porta. Spalancò gliocchi stupito. «Alec?»

Alec, le mani nelle tasche dei jeans,fece spallucce imbarazzato. «Scusami, èprestissimo. La mamma mi ha mandato achiamarti. Vuole vederti in biblioteca.»

«Che ore sono?»«Le cinque.»«Che cosa diavolo ci fai alzato a

quest’ora?»«Non sono mai andato a letto.»

Sembrava che dicesse la verità. Avevadelle ombre scure intorno agli occhiazzurri.

Jace si passò una mano tra i capelliarruffati. «Va bene. Aspetta un secondo,il tempo di cambiarmi la camicia.» Si

diresse all’armadio e frugò tra le pile diabiti ordinatamente ripiegate finché nontrovò una maglia blu a maniche lunghe.Si sfilò con cautela la camicia cheindossava… in alcuni punti eraappiccicata alla pelle dal sangue secco.

Alec distolse lo sguardo. «Che ti èsuccesso?» Aveva una strana tensionenella voce.

«Ho attaccato briga con un branco dilupi mannari.» Jace si fece scivolare lamaglia blu al di sopra della testa. Unavolta vestito, seguì Alec nel corridoio.«Hai qualcosa sul collo» osservò.

La mano di Alec guizzò alla gola.«Che cosa?»

«Sembra il segno di un morso» disse

Jace. «Ma che cosa hai fatto fuori tuttala notte?»

«Niente.» Rosso come un peperone,la mano ancora serrata sul collo, Alec siavvio lungo il corridoio, seguito daJace. «Ho fatto una passeggiata nelparco. Ho cercato di chiarirmi le idee.»

«E ti sei imbattuto in un vampiro?»«Cosa? No! Sono caduto.»«Sul collo?» Alec fece un verso di

insofferenza e Jace stabilì che eradecisamente meglio lasciar perdere.«Okay, non importa. E su che cosa avevibisogno di chiarirti le idee?»

«Su di te. Sui miei genitori» disseAlec. «Dopo che te ne sei andato,mamma è venuta a spiegarmi perché era

così arrabbiata. E mi ha ancheraccontato di Hodge. A proposito, grazieper non avermelo detto.»

«Mi dispiace.» Adesso toccò a Jacearrossire. «In un modo o nell’altro, nonsono riuscito a farlo.»

«Be’, non è un buon segno.» Alec sitolse finalmente la mano dal collo e sivoltò a guardare Jace con ariaaccusatoria. «Sembra quasi che tu na-sconda qualcosa. Qualcosa sul conto diValentine.»

Jace si fermò di colpo. «Pensidavvero che io abbia mentito, quando hodetto di non sapere che Valentine eramio padre?»

«No!» Alec sembrò allarmato, sia

dalla domanda sia dalla veemenza concui Jace l’aveva posta. «E nonm’importa nemmeno chi è tuo padre.Non m’interessa. Per me sei sempre lostesso.»

«Chiunque io sia?» Le parolevennero fuori gelide, prima che potessetrattenerle.

«Voglio dire che…» il tono di Alecsi stava addolcendo «a volte sei unpo’… brusco. Tutto quello che ti chiedoè di pensare prima di parlare. Quinessuno ti è nemico, Jace.»

«Be’, grazie del consiglio» disseJace. «Ora posso andarci da solo, inbiblioteca, so la strada.»

«Jace…»

Ma Jace si era già allontanato,lasciandosi alle spalle l’angoscia diAlec.

Odiava quando gli altri sipreoccupavano per lui. Gli daval’impressione che ci fosse davveroqualcosa di cui preoccuparsi.

La porta della biblioteca erasocchiusa. Senza darsi il pensiero dibussare, Jace entrò. Quella era semprestata una delle sue stanze preferite,all’Istituto. C’era qualcosa diconfortante in quella antiquatamescolanza di legno e guarnizioni diottone, con i libri rilegati in cuoio evelluto allineati lungo le pareti comevecchi amici in attesa del suo ritorno.

Ora, nel momento in cui la porta sispalancò, fu colpito da una folata di ariafredda. Il fuoco che di solito, in autunnoe in inverno, ardeva nell’enormecaminetto era ridotto a un mucchio dicenere. Le lampade erano spente.L’unica luce proveniva dalle strettefinestre a persiane e dal lucernario dellatorre, in al-to.

Suo malgrado, Jace pensò a Hodge.Se fosse stato lì, il fuoco avrebbecrepitato e le lampade a gas sarebberostate accese, gettando pozze di lucedorata sul parquet. Quanto a Hodge,sarebbe stato stravaccato in una poltronaaccanto al fuoco, con Hugo sulla spalla,un libro appoggiato al suo fianco…

Ma c’era qualcun altro, nellavecchia poltrona di Hodge. Una figuramagra, grigia, che si alzò srotolandosicon movimenti sinuosi come il cobra diun incantatore di serpenti e si girò versodi lui con un sorriso gelido.

Era una donna. Indossava un lungomantello grigio scuro di foggia antiquatache le ricadeva sulla punta degli stivali.Sotto, si intravedeva un aderente tailleurcolor ardesia con un colletto allacoreana, i cui bordi rigidi premevanosul collo. I capelli, di un biondo pallidoe scialbo, erano raccolti all’indietro dapettinini, gli occhi erano dure scheggegrigie. Jace poteva sentirli, come untocco di acqua fredda, mentre si

spostavano dai suoi jeans sporchi eschizzati di fango al suo viso tumefatto eai suoi occhi, dove si arrestarono.

Per un secondo qualcosa di ardenteguizzò nel suo sguardo, come il baglioredi una fiamma intrappolata sotto ilghiaccio. Poi scomparve. «Tu sei ilragazzo?»

Prima che Jace potesse rispondere,risuonò un’altra voce. Era quella diMaryse, che era entrata nella bibliotecadietro di lui. Jace si chiese perché nonl’avesse sentita avvicinarsi e si accorseche aveva delle pantofole al posto dellesolite scarpe coi tacchi. «Sì,Inquisitrice» disse. «Questo è JonathanMorgenstern.»

L’Inquisitrice si mosse verso Jacecome fumo grigio sospinto dal vento.

Si fermò davanti a lui e allungò unamano… bianca e dalle dita lunghe, chegli fece pensare a un ragno albino.«Guardami, ragazzo» disse, e subitodopo quelle dita lunghe erano sotto ilsuo mento, per fargli alzare la testa.

Era incredibilmente forte. «Michiamerai Inquisitrice. Non michiamerai in nessun altro modo.» Avevala pelle intorno agli occhi segnata da unintrico di sottili rughe simili a crepenella vernice secca. Due stretti solchi lecorrevano dalle estremità della bocca almento. «Intesi?»

Durante gran parte della sua vita, per

Jace l’Inquisitrice era stata una figuraremota e quasi mitica. La sua identità, eperfino molte delle sue mansioni, eranocircondate dal riserbo del Conclave.L’aveva sempre immagi-nata simile aiFratelli Silenti, con il loro poterediscreto e i loro misteri oc-culti. Nonaveva immaginato qualcuno di cosìdiretto… o di così ostile. I suoi occhisembravano volerlo tagliare, o volerrecidere la sua corazza di sicurezza eironia, denudandolo fino all’osso.

«Mi chiamo Jace» disse. «Nonragazzo. Jace Wayland.»

«Non hai il diritto di portare il nomedegli Wayland» ribatté lei. «Tu seiJonathan Morgenstern. Reclamare il

nome degli Wayland fa di te un bugiardo.Proprio come tuo padre.»

«Veramente» disse Jace «preferiscopensare di essere un bugiardo in unmodo tutto mio.»

«Capisco.» Un sorrisetto le incurvòla bocca pallida. Non era un bel sorriso.«Sei insofferente all’autorità, propriocome tuo padre. Come l’angelo di cuientrambi portate il nome.» Le sue ditagli afferrarono il mento con improvvisaferocia, le unghie affondaronodolorosamente nella carne.

«Lucifero fu ricompensato per la suaribellione quando Dio lo scagliò negliabissi dell’inferno.» Il suo fiato eraaspro come l’aceto. «Se sfiderai la mia

autorità, ti prometto che invidierai il suodestino.»

Lasciò Jace e fece un passo indietro.Il ragazzo sentì il lento gocciare delsangue nel punto in cui le unghie gliavevano trafitto il viso. Gli tremavano lemani dalla rabbia, ma si rifiutò dialzarne una per ripulirsi dal sangue.

«Imogen…» cominciò Maryse, ma sicorresse. «Inquisitrice Herondale.

Lui ha acconsentito a esseresottoposto alla prova dalla Spada.Potrai scoprire se dice la verità.»

«Su suo padre? Sì, lo so.» Il rigidocolletto dell’Inquisitrice Herondale leaffondò nella gola quando lei si girò aguardare la donna. «Sai, Maryse, il

Conclave non è contento di te. Tu eRobert siete i guardiani dell’Istituto.

Siete fortunati che il vostro stato diservizio nel corso degli anni sia statopiuttosto corretto. Scarsi problemi con idemoni, fino a poco fa, e nei giorniscorsi tutto è rimasto tranquillo. Nessunrapporto, nemmeno da Idris, perciò ilConclave si sente clemente. A volte cisiamo chiesti se avete davvero smessodi essere fedeli a Valentine. Sta di fattoche vi ha teso una trappola e voi ci siedecaduti. Si sperava che foste più accorti.»

«Non c’è stata nessuna trappola»intervenne Jace. «Mio padre sapeva chei Lightwood mi avrebbero allevato se miavessero creduto il figlio di Michael

Wayland. Tutto qui.»L’Inquisitrice lo fissò come se fosse

uno scarafaggio parlante. «Sai come fa ilcuculo, Jonathan Morgenstern?»

Jace si chiese se forse la carica diInquisitrice - non doveva essere unlavoro facile né piacevole - non avessefatto andare Imogen Herondale un po’fuori di testa. «Il cosa?»

«Il cuculo» disse lei. «Vedi, i cuculisono parassiti. Depongono le uova neinidi degli altri uccelli. Quando l’uovo sischiude, il piccolo cuculo spinge glialtri uccellini fuori dal nido. I poverigenitori si ammazzano di fatica neltentativo di trovare abbastanza cibo persfamare il grosso intruso che ha ucciso i

loro piccoli e ne ha preso il posto.»«Grosso?» disse Jace. «Mi hai dato

del ciccione?»«È solo un’analogia.»«Io non voglio la tua compassione,

Imogen» intervenne Maryse. «Mi ri-fiutodi credere che il Conclave punirà me omio marito per aver scelto di allevare ilfiglio di un amico morto.» Raddrizzò lespalle. «Non abbiamo mai nascosto ciòche stavamo facendo.»

«E io non ho mai fatto alcun male anessuno dei Lightwood» disse Jace.

«Ho lavorato duramente, e mi sonoaddestrato duramente. Di’ quello chevuoi su mio padre, ma ha fatto di me unCacciatore. Il mio posto qui me lo sono

guadagnato.»«Non difendere tuo padre al mio

cospetto» disse l’Inquisitrice. «Io lo co-noscevo. Era, ed è, il più spregevoledegli uomini.»

«Spregevole? Chi lo dice? E checosa significa?»

Le ciglia incolori le sfiorarono leguance, quando l’Inquisitrice socchiusegli occhi, lo sguardo indagatore. «Seidavvero arrogante» disse infine. «E

anche intollerante. Ti ha insegnatotuo padre a comportarti in questo mo-do?»

«Non con lui» rispose seccamenteJace.

«Allora lo stai scimmiottando.

Valentine era uno degli uomini più arro-ganti e irrispettosi che io abbia maiconosciuto. Suppongo che ti abbia tiratosu a sua immagine e somiglianza.»

«Sì» confermò Jace, incapace ditrattenersi «sono stato addestrato aessere una malvagia mente criminale findalla più tenera età. A strappare le alialle mosche, ad avvelenare le riserve diacqua del pianeta… è questo che facevoall’asilo. Immagino che sia stata unafortuna per tutti che mio padre abbiafinto di essere morto prima di arrivarealla parte della mia educazione cheriguardava gli stupri e i saccheggi,altrimenti nessuno sarebbe stato alsicuro.»

Maryse emise un verso molto similea un gemito di orrore. «Jace…»

Ma l’Inquisitrice la interruppe. «Eproprio come tuo padre, non sai con-trollarti» disse. «I Lightwood ti hannotenuto nella bambagia e hanno lasciatoche le tue qualità peggioriimperversassero. Avrai anche l’aspettodi un angelo, Jonathan Morgenstern, maio so benissimo cosa sei.»

«È solo un ragazzo» disse Maryse.Stava prendendo le sue difese? Jace lelanciò un’occhiata fugace, ma leiguardava altrove.

«Una volta anche Valentine era soloun ragazzo. Ora, prima che ci mettiamo afrugare nella tua testa per scoprire la

verità, ti suggerisco di raf-freddare ituoi bollenti spiriti. E io so dove puoifarlo nel migliore dei mo-di.»

Jace sbatté le palpebre. «Mi staimandando nella mia stanza?»

«Ti sto mandando nelle prigionidella Città Silente. Dopo una notte làdentro ho il sospetto che sarai molto piùmalleabile.»

Maryse rimase senza fiato.«Imogen… non puoi farlo!»

«Certo che posso.» I suoi occhiscintillavano come rasoi. «Hai nulla dadirmi, Jonathan?»

Jace non poteva far altro chestarsene lì a occhi sbarrati. La CittàSilente aveva un’infinità di livelli, e lui

aveva visto solo i primi due, dove eranoconservati gli archivi e dove i Fratellisedevano in consiglio. Le celle dellaprigione erano nella parte più bassadella Città, sotto i livelli del cimitero incui riposavano le spoglie di migliaia diCacciatori. Le celle erano riser-vate aimalviventi più pericolosi: vampiridivenuti criminali, stregoni che avevanoinfranto la Legge dell’Alleanza,Cacciatori che avevano versato ilsangue dei propri simili. Jace non eraniente di tutto ciò. Come poteval’Inquisitrice anche solo suggerire dimandarlo là?

«Molto saggio, Jonathan. Vedo chestai già imparando la lezione più

importante che la Città Silente dovràimpartirti.» Il sorriso dell’Inquisitricericordava quello di un teschiosogghignante. «Tenere la bocca chiusa.»

Clary stava aiutando Luke asparecchiare i resti della cena, quando ilcampanello suonò di nuovo. Si raddrizzòe il suo sguardo guizzò verso Luke.«Aspetti qualcuno?»

Luke aggrottò la fronte, asciugandosile mani con uno strofinaccio. «No.

Aspettate qui.» Clary lo videallungarsi per prendere qualcosa da unripiano mentre usciva dalla cucina.Qualcosa che scintillava.

«Hai visto quel coltello?» Simonfischiò e si alzò da tavola. «Aspetta

guai?»«Credo che aspetti sempre guai»

disse Clary «di questi tempi.» Fece ca-polino dalla porta della cucina e videLuke davanti alla porta d’ingressoaperta. Sentiva la sua voce, ma nondistingueva le parole. Però nonsembrava turbato.

La mano di Simon sulla sua spalla latirò indietro. «Vieni via dalla porta.

Sei pazza? E se là fuori ci fosse unodi quei demoni?»

«Allora Luke probabilmente avrebbebisogno del nostro aiuto.» Guardò lamano sulla propria spalla sorridendo.«Cos’è, fai l’iperprotettivo adesso?

Carino.»

«Clary!» Luke la chiamòdall’ingresso. «Vieni qui. Voglio farticonoscere una persona.»

Clary diede dei colpetti sulla manodi Simon e la scostò. «Torno subito.»

Luke era appoggiato allo stipitedella porta con le braccia conserte. Ilcoltello che aveva in mano erascomparso come per magia. Sui gradinic’e-ra una ragazza, una ragazza con letreccine e una giacca di velluto beige.

«Questa è Maia» disse Luke.«Giusto la persona di cui stavoparlando.»

La ragazza guardò Clary. Alla lucevivida della veranda, i suoi occhi eranodi uno strano verde ambrato. «Tu devi

essere Clary.»Lei ammise che era proprio così.«Dunque quel ragazzo, quel tipo coi

capelli biondi che ha fatto a pezzil’Hunter’s Moon, è tuo fratello?»

«Jace» disse seccamente Clary, cuinon andava a genio l’atteggiamentoinvadente della ragazza.

«Maia?» Era Simon, chesopraggiunse alle spalle di Clary con lemani infilate nelle tasche del giubbino dijeans.

«Già. E tu sei Simon, giusto? Con inomi sono una frana, ma di te miricordo.» La ragazza gli sorrise.

«Fantastico» disse Clary. «Adessosiamo tutti amici.»

Luke tossì e si raddrizzò. «Volevoche vi conosceste perché nelle pros-sime settimane Maia lavorerà nellalibreria» disse. «Se la vedi andare evenire non preoccuparti. Ha una copiadelle chiavi.»

«E terrò gli occhi bene aperti suqualsiasi stranezza» promise Maia.

«Demoni, vampiri, qualunque cosa.»«Grazie» disse Clary. «Adesso mi

sento veramente al sicuro.»Maia sbatté gli occhi. «Stai facendo

del sarcasmo?»«Siamo tutti un po’ tesi» disse

Simon. «Per quanto mi riguarda, sonolieto di sapere che qualcuno sarà neiparaggi e terrà d’occhio la mia ragazza

quando nessun altro sarà in casa.»Luke inarcò le sopracciglia, ma

rimase zitto. Clary disse: «Simon haragione. Scusami se sono stata brusca.»

«Non c’è problema.» Maia si mostròcomprensiva. «Ho saputo di tua madre.Mi dispiace.»

«Anche a me» disse Clary, quindi sigirò e tornò in cucina. Si sedette altavolo e si prese il viso tra le mani. Unattimo dopo Luke la seguì.

«Mi dispiace» disse. «Immagino chenon fossi dell’umore adatto a conoscerenessuno.»

Clary lo guardò attraverso le ditaallargate. «Dov’è Simon?»

«Sta parlando con Maia» rispose

Luke, e in effetti Clary sentiva le lorovoci, basse come bisbigli, all’altro capodella casa. «Pensavo solo che ti avrebbefatto bene avere un’amica.»

«Ho Simon.»Luke si spinse gli occhiali sul naso.

«Sbaglio, o l’ho sentito chiamarti la suaragazza?»

Clary scoppiò quasi a ridere allavista della sua espressione confusa. «Aquanto pare.»

«È una novità o è qualcosa chedovrei sapere e ho dimenticato?»

«Neanch’io ne sapevo niente.» Clarysi scostò le mani dal viso e le guardò.Pensò alla runa raffigurante un occhioaperto che ornava il dorso della mano

destra di tutti i Cacciatori. «La ragazzadi qualcuno» disse. «La sorella diqualcuno, la figlia di qualcuno. Tuttecose che non sapevo di essere… Eancora non so bene chi e che cosasono.»

«Non sempre questa è la domandagiusta» osservò Luke. Clary sentì laporta chiudersi sul lato opposto dellacasa e i passi di Simon che siavvicinavano alla cucina. Quando entrò,portò con sé l’odore della fredda arianotturna.

«Nessun problema se questa notte misistemo qui?» chiese. «È un po’

tardi per tornare a casa.»«Sai che sei sempre il benvenuto.»

Luke diede un’occhiata all’orologio.«Vado a farmi una dormita. Domani

devo alzarmi alle cinque per essere inospedale alle sei.»

«Perché alle sei?» chiese Simondopo che Luke ebbe lasciato la cucina.

«È l’inizio dell’orario di visita»rispose Clary. «Non devi dormire suldivano, Simon, se non ti va.»

«Non mi dispiace rimanere a farticompagnia» disse lui scostandosi icapelli dagli occhi con aria irrequieta.«Per niente.»

«Lo so. Volevo dire che non devidormire sul divano se non vuoi.»

«E allora dove…?» La sua voce sispense, gli occhi dietro le lenti si

spalancarono.«Nel letto matrimoniale» disse lei.

«Quello della stanza degli ospiti.»Simon si sfilò le mani dalle tasche.

Aveva le guance arrossate. Jace avrebbecercato di mostrarsi calmo; Simon nonci provò nemmeno. «Sei sicura?»

«Sono sicura.»Simon le si avvicinò attraverso la

cucina e, piegandosi, le diede un baciodelicato e goffo sulla bocca. Sorridendo,lei si alzò in piedi. «Basta cucine»disse. «Niente più cucine.» Eprendendolo saldamente per i polsi lotrascinò fuori di lì, verso la stanza degliospiti.

capitolo 5

I PECCATI DEI FIGLIL’oscurità delle prigioni della Città

Silente era più profonda di qualsiasialtra oscurità che Jace avesse maisperimentato. Non riusciva a vedersi lamano davanti al naso, non vedeva ilpavimento della cella e neppure ilsoffitto. Ciò che sapeva di quella celladerivava dall’unica occhiata che leaveva dato alla luce di una torcia,quando era stato portato laggiù da ungruppetto di Fratelli Silenti che gliavevano aperto il cancello a sbarre e loavevano fatto entrare come un criminalecomune.

In fondo, probabilmente, era proprioquello che pensavano fosse.

Sapeva che la cella aveva unpavimento di pietra lastricata, che tredelle pareti erano di roccia sbozzata e laquarta era costituita da fitte sbarre diferro le cui estremità eranoprofondamente conficcate nella pietra.Sapeva che in quelle sbarre eraincastonata una porta. Sapeva anche chelungo la parete est correva un’asta dimetallo, perché i Fratelli Silenti viavevano attaccato l’anello di un paio dimanette, fissando l’altro al suo polso.Poteva fare qualche passo avanti eindietro, sferragliando come il fantasmadi Marley, ma più lontano non potevaandare. Si era già scorticato a sangue ilpolso destro strattonando nervosamente

le manette. Almeno era mancino: unpuntino di luce in quelle tenebreimpenetrabili. Non che importassegranché, ma era rassicurante avere lamano con cui combatteva un po’ piùlibera.

Cominciò un’altra lenta passeggiatalungo la cella, strisciando le dita sulmuro mentre camminava. Era snervantenon sapere che ora era. A Idris suopadre gli aveva insegnato a capire l’oradall’angolazione del sole, dalla lun-ghezza delle ombre, dalla posizionedelle stelle nel cielo notturno. Ma lìdentro non c’erano stelle. In effetti,aveva cominciato a chiedersi sel’avrebbe mai rivisto, il cielo.

Jace si fermò. Ma cosa stavadicendo? Certo che avrebbe rivisto ilcielo.

Il Conclave non lo avrebbesicuramente ucciso. La pena di morteera riser-vata agli assassini. Eppurequella sensazione di paura non lolasciava, quel frullo sotto la gabbiatoracica, inquietante comeun’improvvisa fitta di dolore. Jace nonera incline ad avere attacchi di panico,anzi, Alec diceva che un po’ divigliaccheria costruttiva gli avrebbefatto bene. La paura non era una cosache lo avesse mai riguardato granché.

Pensò a Maryse che diceva: “Nonavevi mai paura del buio.”

Era vero. Questa ansia erainnaturale, non era affatto da lui. Dovevaessere provocata da qualcosa di piùdella semplice oscurità. Fece un altro,breve respiro. Doveva solo superare lanotte. Una notte. Ecco. Avanzò di unaltro passo, facendo tintinnare le manettein maniera lugubre.

Un suono lacerò l’aria facendolofermare di colpo. Era un gridolamentoso, un suono di terrore puro,folle. Sembrava continuare all’infinito,come una nota suonata da un violino, ediventare sempre più acuto, sottile estridulo, finché non fu bruscamenteinterrotto.

Jace imprecò. Gli fischiavano le

orecchie e si sentiva in bocca il saporedel terrore come metallo amaro. Chiavrebbe mai pensato che la paura avesseun sapore? Spinse la schiena contro laparete della cella, cercando di calmarsi.

Il grido tornò, questa volta più forte,e poi ce ne fu un altro, e un altro ancora.Qualcosa si schiantò sopra di lui. Jacesenza volere si piegò, prima di ricordareche si trovava parecchi livelli sottoterra. Sentì un altro schianto eun’immagine prese forma nella suamente: le porte del mausoleo spa-lancatecon forza, i cadaveri dei Cacciatorimorti da secoli che barcollava-no versola libertà, scheletri tenuti insieme datendini rinsecchiti che si trascinavano

sui pavimenti bianchi della Città Silentecon ossute dita scarni-ficate…

Basta! Ansimando per lo sforzo,Jace si obbligò a scacciare quellavisione. I morti non tornavano. E poierano cadaveri di Nephilim come lui,suoi fratelli e sorelle assassinati. Nonaveva niente da temere da loro. E alloraperché aveva tanta paura! Serrò lemani a pugno, affondando le unghie neipalmi. Questo panico era indegno di lui.L’avrebbe dominato. Schiacciato. Feceun profondo respiro, riempiendosi ipolmoni, e in quello stesso istanterisuonò un altro urlo, stavolta fortissimo.Il respiro gli uscì soffocato dal petto,mentre qualcosa si schiantava

sonoramente a due passi da lui, e videun improvviso lampo di luce, un ardentefiore di fuoco che gli trafisse gli occhi.

Fratello Geremia gli apparvevacillando, la mano destra stretta su unatorcia ancora accesa, il cappuccio colorpergamena scivolato indietro a mostrarelineamenti contorti in una grottescaespressione di terrore. La bocca, inprecedenza cucita, era spalancata in ungrido muto, con i fili insanguinati deipunti strappati che penzolavano dallabbro superiore. Aveva la tonacaschizzata di sangue, nero alla luce dellatorcia. Fece alcuni passi in avantibarcollando, le mani protese… poi,sotto lo sguardo incredulo di Jace,

cadde in avanti e piombò a faccia in giùsul pavimento. Jace sentì le ossa che sirompevano, quando il corpodell’archivista colpì terra e la torciasfrigolò, rotolando via dalla mano diGeremia verso il canaletto di scoloscavato nel pavimento di pietra pocofuori le sbarre della cella.

Jace si inginocchiò subito,allungandosi quanto glielo consentiva lacatena, le dita tese verso la torcia. Nonriusciva a toccarla. La luce si stavaestinguendo rapidamente, ma al suobagliore sempre più debole Jace vide ilviso di Geremia rivolto verso di lui conil sangue che continuava a colargli dallabocca aperta. I denti erano neri

moncherini.Jace si sentiva il petto schiacciato

da un peso opprimente. I Fratelli Silentinon aprivano mai bocca, non parlavanomai e neppure ridevano o urlavano. Maera quello il grido che aveva sentito,ormai ne era certo… Le urla di uominiche non avevano gridato per mezzosecolo: il suono di un terrore piùprofondo e potente dell’antica Runa delSilenzio. Ma cos’era successo? Edov’erano gli altri Fratelli?

Jace avrebbe voluto urlare perchiedere aiuto, ma il peso continuava aschiacciargli il petto, spingendolo giù,impedendogli di prendere sufficientearia. Fece un altro scatto in avanti verso

la torcia e sentì spezzarsi uno degliossicini del polso. Il dolore gli guizzò super il braccio, ma gli diede i duecentimetri in più che gli servivano.Afferrò il manico della torcia con lamano destra e si alzò. Mentre la fiammasi rianimava, sentì un altro rumore. Unrumore quasi viscoso, uno sgradevolestrascicare. Gli si rizzaro-no i peli sullanuca. Spinse la torcia in avanti, facendodanzare con mano tremante selvaggilampi di luce sulle pareti e rischiarandovividamente le ombre.

Non c’era niente.Invece di provare sollievo, sentì

crescere il terrore. Respirava a boccaaperta, affannosamente, ma si sentiva

come se fosse sott’acqua. La paura eraaccresciuta dal fatto che gli era cosìpoco familiare. Che cosa gli stavasuccedendo? Tutt’a un tratto eradiventato un codardo?

Diede un forte strattone alle manette,sperando che il dolore gli schiaris-se leidee. Macché. Sentì di nuovo il rumore,quel greve strascicare, adesso piùvicino. C’era anche un altro suono,dietro lo strascichio, un sussurrosommesso, costante. Un suono malvagio,come non l’aveva mai sentito.

Quasi fuori di sé per l’orrore,indietreggiò vacillando verso la parete esollevò la torcia con la mano che glitremava violentemente.

Per un istante, chiara come la lucedel sole, vide tutta la stanza: la cella, laporta a sbarre, le lastre di pietra e ilcorpo morto di Geremia rannicchia-tosul pavimento. C’era una porta subitodietro il cadavere. Si stava aprendolentamente. Qualcosa la varcò a fatica.Qualcosa di grande, scuro e informe.Occhi come ghiaccio ardente,profondamente infossati in pieghe scure,guardarono Jace con un’aria di rabbiosodivertimento. Poi la cosa si scagliò inavanti. Una nube di vapore turbinante sìalzò davanti agli occhi di Jace comeun’onda che spazza la superficie delmare. L’ultima cosa che vide fu lafiamma verde e azzurra della torcia che

tremolava prima di essere inghiottitadalle tenebre.

Baciare Simon era un piacere. Unpiacere dolce, come starsene stesi suun’amaca in un giorno d’estate con unlibro e un bicchiere di limonata fresca.Era il genere di cosa che potevicontinuare a fare senza sentirti annoiata,apprensiva, turbata o seccata danient’altro che la sbarra di metallo deldivano letto che ti si conficcava nellaschiena.

«Ahi» fece Clary, cercando invanodi strisciare lontano dalla sbarra.

«Ti ho fatto male?» Simon si sollevòsul fianco con aria preoccupata. O

forse era perché senza occhiali i

suoi occhi sembravano più grandi escuri.

«No, non tu… è il letto. È unostrumento di tortura.»

«Non ci avevo fatto caso» disseSimon con aria cupa agguantando uncuscino che era caduto sul pavimento einfilandolo sotto di loro.

«Immagino.» Clary rise,«Dov’eravamo rimasti?»

«Be’, il mio viso era più o menodov’è adesso, ma il tuo era molto piùvicino al mio. In ogni caso, è quello chericordo.»

«Che romantico.» Se lo tirò sopra, elui si tenne in equilibrio sui gomiti.

I loro corpi erano perfettamente

sovrapposti e Clary sentiva il battito delcuore di Simon attraverso le loromagliette. Quando si chinò a baciarla, lesue ciglia, di solito celate dietro gliocchiali, le sfiorarono la guancia. Claryemise un risolino incerto. «Non tisembra strano?» sussurrò.

«No. Credo che quando si immaginaspesso una cosa, e poi si realizza, è…»

«Ammosciante?»«No, no!» Simon si tirò indietro

fissandola con lo sguardo convinto deimiopi. «Non pensarlo neppure. È ilcontrario di ammosciante. È…»

Risatine soffocate le ribollivano inpetto. «Okay, forse non è il caso diapprofondire…»

Simon socchiuse gli occhi, la boccache si piegava in un sorriso. «Okay,avrei una gran voglia di risponderti perle rime, ma non riesco a pensare ad altroche…»

Clary gli sorrise. «Che a faresesso?»

«Smettila.» Lui le prese le maninelle sue, le bloccò sul copriletto e laguardò con aria seria. «Che ti amo.»

«Così non vuoi fare sesso?»Le lasciò le mani. «Non ho detto

questo.»Clary rise e gli spinse il petto con

tutte e due le mani. «Fammi alzare.»Simon sembrò allarmato. «Ciò che

intendevo dire è che non voglio fare

solo sesso…»«Non è per questo. Voglio mettermi

il pigiama. Non posso farlo sul serio conle calze ancora addosso.» Simon laguardò con tristezza mentre prendeva ilpigiama dal cassettone e si avviava inbagno. Mentre chiudeva la porta gli feceuna smorfia. «Torno subito.»

Qualunque fosse la risposta, si persenel fracasso della porta chiusa.

Clary si lavò i denti e poi fecescorrere l’acqua per un pezzo, mentre sifissava nello specchio dell’armadiettodei medicinali. Aveva i capelli arruffatie le guance rosse. Significava che eraradiosa?, si chiese. La gente inna-morata era radiosa, no? O forse valeva

solo per le donne incinte, non loricordava bene, ma certo avrebbedovuto apparire un po’ diversa.Dopotutto, questa era la prima sedutalunga di baci che avesse mai avuto… Edera stata bella, si disse, tranquilla,piacevole e rilassata.

Naturalmente, aveva baciato Jace lanotte del suo compleanno, e quello, dibacio, non era stato affatto tranquillo,piacevole e rilassato. Era stato comedare libero sfogo a una vena ricca diqualcosa di sconosciuto all’interno delsuo corpo, qualcosa di più caldo, dolcee amaro del sangue. Non pensare aJace, si disse con espressione feroce.Ma guardandosi allo specchio vide i

suoi occhi incupirsi e capì che il corporicordava anche se la mente non voleva.

Fece scorrere l’acqua fredda e se laspruzzò in faccia, quindi allungò la manoverso il pigiama. Fantastico, pensò,aveva preso il sotto ma non il sopra. Perquanto Simon potesse apprezzarlo, lesembrava un po’ presto per affrontare lanottata in topless. Quando tornò nellastanza scoprì che Simon si eraaddormentato nel centro del letto,stringendo il cuscino cilin-drico come sefosse un essere umano. Soffocò unarisata.

«Simon…» sussurrò - poi sentìl’acuto bip bip a due toni che segnalaval’arrivo di un messaggio sul cellulare

che stava sul comodino; Clary prese iltelefono e vide che l’SMS era diIsabelle.

Aprì il telefono e fece scorrererapidamente il testo sul display. Lo lessedue volte, giusto per essere sicura di nonavere le traveggole. Poi corse versol’armadio per prendere la giacca.

«Jonathan.»La voce aveva parlato nell’oscurità:

lenta, cupa, familiare come il suodolore. Jace sbatté le palpebre e aprì gliocchi nel buio. Rabbrividì. Eraraggomitolato sul gelido pavimento dilastre di pietra. Doveva essere svenuto.Sentì una fitta di rabbia contro lapropria debolezza, la propria fragi-lità.

Rotolò su un fianco con il polsostraziato che pulsava nell’anello dellemanette. «C’è qualcuno?»

«Spero proprio che tu riconosca tuopadre, Jonathan.» La voce era risuo-natadi nuovo e solo ora Jace la riconobbe: ilsuo tono di ferro vecchio, la sua assenzaquasi assoluta di espressione, la suauniformità. Cercò di mettersifaticosamente in piedi, ma gli stivalislittarono su una pozza non meglioidentificata e scivolò all’indietro,sbattendo con le spalle contro la parete.La catena sferragliò come un coro dicampanelle d’acciaio.

«Sei ferito?» Una luce divampòverso l’alto, accecando gli occhi di

Jace.Lui li sbatté per farne sgorgare

lacrime ardenti e vide Valentine in piedioltre le sbarre, accanto al cadavere diFratello Geremia. La stregalucescintillante che teneva in manoproiettava un intenso bagliore biancastronella stanza. Jace vide le macchie disangue vecchio sulle pareti… e sanguepiù recente, una piccola pozza, che siera versato dalla bocca aperta diGeremia. Si sentì stringere e contorcerelo stomaco e pensò all’informe sagomanera che aveva visto poco prima, con gliocchi come gioielli di fuoco.

«Quella cosa» disse con vocestrozzata. «Dov’è? Cos’ era?»

« Sì, sei ferito.» Valentine siavvicinò alle sbarre. «Chi ha ordinato dichiuderti qui dentro? È stato ilConclave? I Lightwood?»

«È stata l’Inquisitrice.» Jaceabbassò lo sguardo su di sé. C’era delsangue anche sulle gambe dei pantalonie sulla maglia. Non sapeva se fosse suo.Il sangue gocciolava lentamente da sottole manette.

Valentine lo guardò con ariapensierosa attraverso le sbarre. Era laprima volta da anni che Jace vedeva suopadre nella vera tenuta da battaglia deiCacciatori: i robusti abiti di cuoio cheproteggevano la pelle da quasi tutti i tipidi veleno demoniaco e al tempo stesso

consentivano una grande libertà dimovimento; i rinforzi rivestiti di elettroalle braccia e alle gambe, ognunosegnato da varie rune e simboli inbassorilievo. Una larga cinghia gliattraversava il petto e l’elsa della spadascintillava sopra la spalla. Poi Valentinesi accovacciò, in modo che i suoi gelidiocchi grigi fossero allo stesso livello diquelli di Jace, che fu sorpreso di nonscorgervi segni di rabbia.

«L’Inquisitrice e il Conclave sono lastessa cosa. E i Lightwood nonavrebbero mai dovuto lasciare chequesto accadesse. Io non avrei permessoa nessuno di trattarti così.»

Jace spinse di nuovo le spalle contro

il muro; si era allontanato dal padrequanto gli consentiva la catena. «Seivenuto quaggiù per uccidermi?»

« Ucciderti? E perché dovrei volertiuccidere?»

«Be’, perché hai ucciso Geremia? Enon disturbarti a rifilarmi la storiellache ti è capitato di passare di qua dopoche lui era morto spontaneamente.

Lo so che sei stato tu.»Per la prima volta Valentine abbassò

lo sguardo sul cadavere di FratelloGeremia. «L’ho ucciso io, come anchegli altri Fratelli Silenti. Avevanoqualcosa che mi serviva.»

«Che cosa? Il senso della decenza?»«Questa» rispose Valentine, e con un

rapido movimento sguainò la spada dalfodero che aveva sulla spalla.«Mellartach.»

Jace ricacciò indietro il gemito distupore che gli era salito alla gola. Lariconosceva senza ombra di dubbio: lagrande e massiccia spada d’argento conl’elsa decorata da due ali aperte era lastessa che aveva visto appesa sopra leStelle Parlanti, nella Sala del Consigliodei Fratelli Silenti. «Hai rubato laspada dei Fratelli Silenti?»

«Non è mai stata loro» disseValentine. «Appartiene ai Cacciatori.Questa è la spada con cui l’Angelocacciò Adamo ed Eva dal paradisoterrestre.

E pose a oriente del giardinodell’Eden i cherubini e una spadafiammeggiante rivolta in tutte ledirezioni» citò, lo sguardo chino sullalama.

Jace si leccò le labbra secche.«Cosa ne farai?»

«Te lo dirò» rispose Valentine«quando potrò fidarmi di te e tu tifiderai di me.»

« Fidarmi di te? Dopo che aRenwick te le sei filata attraverso ilPortale e l’hai distrutto perché nonpotessi seguirti? E dopo che hai provatoa uccidere Clary?»

«Non avrei mai fatto del male a tuasorella» disse Valentine con un lampo

negli occhi. «Non più di quanto ne avreifatto a te.»

«Non hai fatto altro che farmi delmale! Sono stati i Lightwood a pro-teggermi!»

«Non sono stato io a rinchiudertiqui. Non sono io a minacciarti e a nonfidarmi di te. Sono i Lightwood e i loroamici del Conclave.» Valentine rimaseun istante in silenzio. «Vederti così…vedere come ti hanno trattato, e il tuoatteggiamento stoico… sono fiero di te.»

A queste parole Jace guardò in altostupito, così in fretta che si sentì tra-volgere da un senso di vertigine. Lamano gli pulsava insistentemente.Ricacciò indietro il dolore finché il suo

respiro non si calmò. « Cosa? »«Ora mi rendo conto di ciò che ho

sbagliato, a Renwick» continuòValentine. «Ti immaginavo come ilragazzino che avevo lasciato a Idris,obbediente a ogni mio desiderio. Inveceho trovato un giovane uomo ostina-to,indipendente e coraggioso, e malgradociò ti ho trattato come se tu fossi ancoraun bambino. Non c’è da meravigliarsiche ti sia ribellato.»

«Ribellato? Io…» La gola di Jace sistrinse, troncando le parole che avrebbevoluto dire. Il cuore aveva cominciato amartellargli a tempo con le pulsazionidella mano.

Valentine proseguì. «Non ho mai

avuto modo di spiegarti il mio passato,di dirti perché ho fatto quello che hofatto.»

«Non c’è niente da spiegare. Haiucciso i miei nonni. Hai tenuto miamadre prigioniera. Hai ammazzato altriCacciatori per favorire le tue mi-re.»Ogni parola nella bocca di Jace sapevadi veleno.

«Tu conosci i fatti solo a metà,Jonathan. Quando eri bambino ti homentito, perché eri troppo piccolo percapire. Adesso sei abbastanza grandeper sapere la verità.»

«E allora dimmela. »Valentine allungò una mano

attraverso le sbarre della cella e la mise

su quella di Jace. Al tatto le sue ditarisultavano ruvide e callose esattamentecome quando Jace aveva dieci anni.

«Voglio fidarmi di te, Jonathan»disse. «Posso?»

Jace avrebbe desiderato rispondere,ma le parole non vollero saperne diuscire. Aveva l’impressione che glistessero stringendo lentamente unafascia di ferro intorno al petto,togliendogli il respiro centimetro dopocentimetro. «Vorrei…» sussurrò.

Un rumore risuonò sopra di loro. Unrumore come di una porta di metallo chesbatteva; poi Jace sentì dei passi, deisussurri che echeggiavano sui muri dipietra della Città. Valentine balzò in

piedi chiudendo la mano sulla strega-luce, finché non si ridusse a un pallidobagliore e lui stesso non fu cheun’ombra dai fievoli contorni. «Piùveloce di quanto pensassi» mormorò, eabbassò lo sguardo su Jonathanattraverso le sbarre.

Jace guardò oltre lui, ma, a parte ildebole chiarore della stregaluce, videsoltanto il buio. Pensò alla scura formaturbinante che aveva visto prima e cheaveva annientato qualsiasi luce davanti asé. «Cosa sta arrivando? Che cos’è?»chiese, strisciando in avanti sulleginocchia.

«Devo andare» disse Valentine. «Manon abbiamo finito, noi due.»

Jace appoggiò le mani sulle sbarre.«Liberami. Qualunque cosa sia, voglioessere in grado di combattere.»

«Ora liberarti non sarebbe affattouna gentilezza.» Valentine chiusecompletamente la mano sulla stregaluce,che si spense con un tremolio facendosprofondare la stanza nell’oscurità. Jacesi lanciò contro le sbarre della cella, lamano rotta che urlava la sua protesta e ilsuo dolore.

«No!» gridò. «Padre, ti prego. »«Quando vorrai trovarmi» disse

Valentine «mi troverai.» E poi ci fusoltanto il rumore dei suoi passi che siallontanavano svelti e il respiro rotto diJace che si accasciava contro le sbarre.

Sulla metropolitana diretta a UptownClary si rese conto che non riusciva astare seduta. Andò su e giù per il vagonesemivuoto con le cuffie dell’iPod che lependevano dal collo. Quando l’avevachiamata, Isabelle non aveva risposto altelefono, e ora un irrazionale senso diansia le rodeva le viscere.

Pensò a Jace all’Hunter’s Moon,coperto di sangue. Coi denti scoperti daun’ira rabbiosa, le era sembrato piùsimile a un lupo mannaro che a unCacciatore incaricato di proteggere gliumani e tenere a freno i Nascosti.

Si lanciò su per le scale dellafermata della metropolitana della 96thStreet, rallentando solo nell’avvicinarsi

all’angolo dove l’Istituto torreggia-vacome una grande ombra grigia. Facevamolto caldo nelle gallerie della metro.Ora, mentre risaliva il vialetto dicemento crepato che conduceva alportone dell’Istituto, sentiva sulla nucaun sudore freddo.

Allungò la mano verso la grandemaniglia di ferro del campanello chependeva dall’architrave, poi esitò.Dopotutto era una Cacciatrice, no?Aveva tanto diritto di stare nell’Istitutoquanto ne avevano i Lightwood. Con unimpeto di determinazione afferrò lamaniglia della porta, cercando diricordare le parole pronunciate da Jace.«In nome dell’Angelo…»

La porta si spalancò, aprendosi suun’oscurità punteggiata dalle fiammel-ledi decine di candele. Mentre avanzavafra i banchi, le fiamme tremolarono,come se ridessero di lei. Claryraggiunse l’ascensore e si chiuserumorosamente la porta di metallo allespalle, quindi premette con forza ilpulsante con il dito tremante. Costrinse ipropri nervi a distendersi… erapreoccupata per Jace, si chiese, o solodi vederlo? Il suo viso nello specchio,incorniciato dal bavero sollevato dellagiacca, appariva bianco e piccolo, gliocchi grandi e verde scuro, le labbrapallide e mordicchiate. Era tutt’altro chebella, pensò costernata, e respinse quel

pensiero. Cosa contava il suo aspetto? AJace non importava. A Jace non potevaimportare.

L’ascensore si fermò sferragliando eClary spinse la porta. Church la stavaaspettando nell’ingresso. La salutò conun miagolio scontento.

«Cosa c’è che non va, Church?» Lasua voce risuonò stranamente alta nellocale silenzioso. Si chiese senell’Istituto ci fosse qualcuno. Magariera sola. Quel pensiero la fecerabbrividire. «C’è nessuno?»

Il gatto persiano blu si girò e siavviò lungo il corridoio. Oltrepassaronola sala della musica e la biblioteca,entrambe vuote, poi Church svoltò a un

altro angolo e si accovacciò davanti auna porta chiusa. Bene. Eccoci qui,

sembrava dire la sua espressione.Prima che Clary potesse bussare, la

porta si aprì e sulla soglia comparveIsabelle, a piedi nudi con un paio dijeans e una morbida maglia viola. Allavista di Clary sussultò. «Mi era parso disentire qualcuno in corridoio, ma nonpensavo che fossi tu» disse. «Che ci faiqui?»

Clary la fissò. «Il tuo messaggio.Diceva che l’Inquisitrice ha mandatoJace in prigione. »

«Clary!» Isabelle guardò da unaparte e dall’altra del corridoio, poi simorse il labbro. «Non volevo dire che

dovevi precipitarti qui!»Clary era inorridita. «Isabelle! In

prigione!»«Sì, ma…» Con un sospiro

rassegnato, Isabelle si scostò, facendosegno a Clary di entrare nella sua stanza.«Senti, tanto vale che entri. Sciò» disseagitando la mano verso Church. «Vai afare la guardia all’ascensore.»

Church le rivolse uno sguardoinorridito, si stese sullo stomaco e siaddormentò.

« Gatti» mormorò Isabelle, e sbattéla porta.

«Ciao, Clary.» Alec era seduto sulletto sfatto di Isabelle con i piedi apenzoloni. «Qual buon vento ti porta fin

qui?»Clary si sedette sullo sgabello

imbottito davanti al disordinato ecaotico tavolino da toilette di Isabelle.«Isabelle mi ha mandato un messaggio.Mi ha detto cos’è successo a Jace.»

Fratello e sorella si scambiaronoun’occhiata eloquente. «Oh, avanti,Alec» disse Isabelle. «Ho pensato chedovevo dirglielo, ma non immaginavoche sarebbe venuta qui di corsa!»

Clary si sentì lo stomaco sottosopra.«Certo che sono venuta! Sta bene?

Perché mai l’Inquisitrice l’ha gettatoin prigione?»

«Non è esattamente in prigione. Ènella Città Silente» disse Alec rad-

drizzandosi a sedere e tirandosi ingrembo uno dei cuscini di Isabelle. Simise a giocherellare pigramente con lafrangia ornata di perline applicata aibordi.

«Nella Città Silente? E perché?»Alec esitò. «Ci sono delle celle

sotto la Città Silente. A volte ci tengonoi criminali prima di deportarli a Idris eprocessarli al cospetto del Consiglio.Gente che ha fatto cose veramentetremende. Assassini, vampiri rin-negati,Cacciatori che infrangono gli Accordi. Èlà che si trova Jace adesso.»

«Rinchiuso con una manica diassassini?» Clary si alzò in piedi,sdegna-ta. «Ragazzi, che vi succede?

Non vi vedo molto turbati.»Alec e Isabelle si scambiarono

un’altra occhiata. «È solo per una notte»disse Isabelle. «E non c’è nessun

altro con lui, laggiù. Ci siamoinformati.»

«Ma perché? Che cosa ha fattoJace?»

«Ha risposto male all’Inquisitrice.Per quanto ne so, il motivo è questo»

disse Alec.Isabelle si appollaiò sul bordo del

tavolino da toilette. «È incredibile.»«Allora l’Inquisitrice dev’essere

pazza» disse Clary.«Non lo è, in realtà» obiettò Alec.

«Se Jace fosse nel vostro esercito

mondano, credi che gli permetterebberodi rispondere male ai suoi superiori?Assolutamente no.»

«Be’, non durante una guerra. MaJace non è un soldato.»

«Ma noi siamo tutti soldati. Jace lo ètanto quanto noi. C’è una gerarchia dicomando e l’Inquisitrice è vicina allacima. Jace è vicino al fondo. Avrebbedovuto trattarla con più rispetto.»

«Se siete d’accordo che stia inprigione, perché mi avete fatto venirequi?

Solo per convincermi a darviragione? Mi sembra assurdo. Cosavolete che faccia?»

«Non abbiamo detto che deve stare

in prigione» disse brusca Isabelle.«Solo che non avrebbe dovuto

rispondere male a uno dei membri piùalti in grado del Conclave. E poi»aggiunse abbassando la voce «pensavoche forse potresti renderti utile.»

«Rendermi utile? E come?»«Come ho già detto» disse Alec

«sembra che Jace passi buona parte delsuo tempo a cercare di farsi ammazzare.Deve imparare a badare a se stesso, equesto comporta anche collaborare conl’Inquisitrice.»

«E pensate che io possa aiutarvi afarglielo fare?» chiese Clary con unasfumatura di incredulità nella voce.

«Non sono sicuro che si possa

convincere Jace a fare o non fare unaco-sa» disse Isabelle. «Ma almenopotresti ricordargli che ha qualcosa percui vivere.»

Alec abbassò lo sguardo sul cuscinoche aveva in mano e all’improvvisodiede un violento strappo alla frangia.Le perline caddero tintinnando sullacoperta come un piccolo scroscio dipioggia.

Isabelle aggrottò la fronte. «Alec,smettila.»

Clary avrebbe voluto dirle che eranoloro, e non lei, la famiglia di Jace, cheper lui le loro opinioni avevano piùpeso di quanto non ne avrebbe mai avutola sua. Ma continuava ad avere nella

testa le parole di Jace: Non ho maisentito di appartenere a nessun posto.Ma tu mi fai sentire come se ci fosse unposto per me. «Possiamo andare nellaCittà Silente e incontrarlo?»

«Gli dirai di collaborare conl’Inquisitrice?» domandò Alec.

Clary rifletté. «Prima voglio sentirecos’ha da dire.»

Alec fece cadere il cuscino con lafrangia strappata sul letto e si alzò, conla fronte aggrottata. Prima che potesseaprire bocca, si sentì bussare al-laporta. Isabelle si staccò dal tavolino datoilette e andò ad aprire.

Era un ragazzino, con i capelli neri egli occhi seminascosti dagli occhiali.

Indossava dei jeans e una felpa troppogrande, e aveva in mano un libretto.«Max» disse Isabelle alquanto sorpresa«pensavo che dormissi.»

«Ero nell’armeria» disse ilragazzino, che era il figlio minore deiLightwood. «C’erano dei rumori, nellabiblioteca. Forse qualcuno sta cercandodi contattare l’Istituto.» Spostò losguardo su Clary. «Chi è?»

«Clary» rispose Alec. «La sorella diJace.»

Max sgranò gli occhi. «Credevo cheJace fosse figlio unico.»

«È quello che pensavamo tutti» disseAlec prendendo la maglia che avevalasciato su una sedia e infilandosela con

foga. I capelli gli si sollevarono araggiera intorno alla testa come unsoffice alone scuro, crepitando per l’e-lettricità statica. Lui se li tirò indietrocon un gesto insofferente. «Sarà meglioche vada in biblioteca.»

«Vengo anch’io» disse Isabelleestraendo da un cassetto la sua frustaarrotolata e infilandosene l’impugnaturanella cintura. «Forse è successoqualcosa.»

«Dove sono i vostri genitori?»chiese Clary.

«Hanno ricevuto una chiamataqualche ora fa. Un elfo è statoassassinato a Central Park. L’Inquisitriceè andata con loro» spiegò Alec.

«E voi non li avete accompagnati?»«Non ce l’hanno chiesto.» Isabelle si

avvolse le due trecce scure sulla testa einfilò un piccolo pugnale di cristallonella crocchia. «Ti dispiace badare aMax? Torniamo subito.»

«Ma…» protestò Clary«Torniamo subito. » Isabelle

sfrecciò nel corridoio, seguita da Alec.Quando la porta si chiuse alle loro

spalle, Clary si sedette sul letto erivolse uno sguardo ansioso a Max. Nonaveva mai passato troppo tempo con ibambini (sua madre non le aveva maipermesso di fare la baby-sitter) e nonsapeva bene come parlare con loro oche cosa poteva divertirli, anche se un

po’ l’aiutava il fatto che quel ragazzinole ricordava Simon alla sua età, con lebraccia e le gambe ossute e gli occhialitroppo grandi per il suo viso.

Max la osservò a sua volta,rivolgendole uno sguardo indagatore,non timido, ma pensieroso e controllato.«Quanti anni hai?» chiese infine.

Clary fu colta di sorpresa. «Quantime ne dai?»

«Quattordici.»«Ne ho sedici, ma la gente pensa

sempre che ne ho di meno per via dellastatura.»

Max annuì. «Capita anche a me. Honove anni, ma me ne danno sempresette.»

«Per me ne dimostri nove» disseClary. «Che cos’hai, lì? Un libro?»

Max tirò fuori la mano da dietro laschiena. Teneva un tascabile largo epiatto, grande all’incirca come unarivista. Aveva una copertina a colorivivaci con una scritta in caratteri kanjisotto le parole inglesi. Clary si mise aridere. « Naruto» disse. «Allora tipiacciono i manga. Dove l’hai preso?»

«All’aeroporto. Mi piacciono lefigure, ma non capisco come si legge.»

«Dai qua.» L’aprì, mostrandogli lepagine. «Si legge all’incontrano, dadestra a sinistra invece che da sinistra adestra. Anche le pagine vanno gi-rate alcontrario, in senso antiorario. Sai cosa

significa?»«Certo» disse Max. Per un attimo

Clary temette di averlo irritato, ma luisembrava piuttosto contento quandoriprese il libretto e andò all’ultimapagina. «Questo è il numero nove»disse. «Forse prima di leggerlo dovreiprocurarmi gli altri otto.»

«Buona idea. Magari puoi chiedere aqualcuno di accompagnarti da Mi-dtownComics o al Pianeta Proibito.»

«Pianeta Proibito?» Max sembravaconfuso, ma prima che Clary potessespiegarsi, Isabelle fece irruzione nellastanza respirando affannosamente.

«Qualcuno ha cercato davvero dicontattare l’Istituto» disse prima che

Clary potesse fare domande. «Uno deiFratelli Silenti. È successo qualcosanella Città di Ossa.»

«Cosa intendi con qualcosa?»«Non lo so. Non avevo mai sentito

che i Fratelli Silenti avessero chiestoaiuto prima d’ora.» Isabelle erachiaramente in ansia. Si girò verso ilfratello. «Max, vai nella tua stanza erestaci, okay?»

Il ragazzino irrigidì la mascella. «Tue Alec uscite?»

«Sì.»«Andate nella Città Silente?»«Max…»«Voglio venire anch’io.»Isabelle fece segno di no. L’elsa del

pugnale scintillò come un puntoinfuocato dietro la sua testa.«Assolutamente no. Sei troppo piccolo.»

«Neanche tu hai diciotto anni!»Isabelle si girò verso Clary con

un’espressione a metà ansiosa e a metàdisperata. «Clary, vieni qui un attimo, tiprego. »

Clary si alzò stupita… e Isabelle laagguantò per un braccio e la trascinòfuori dalla stanza, richiudendosi la portaalle spalle. Si sentì un tonfo quando Maxci si gettò contro. «Accidenti» feceIsabelle, tenendo la maniglia «puoiprendermi lo stilo, per favore? È nellatasca…»

Clary tirò fuori alla svelta lo stilo

che Luke le aveva dato qualche oraprima. «Usa il mio.»

Con pochi rapidi movimenti,Isabelle intagliò una runa di Chiusurasulla porta. Clary sentiva le proteste diMax dall’altra parte, mentre Isabelle siscostava dalla porta con una smorfia e lerestituiva lo stilo. «Non sapevo cheavessi uno di questi arnesi.»

«Era di mia madre» disse Clary,rimproverandosi subito mentalmente. È

di mia madre. Sì, è di mia madre.«Uh.» Isabelle batté sulla porta con

il pugno. «Max, c’è qualche barretta dicioccolato nel cassetto, casomai tivenisse fame. Torneremo appenapossibile.»

Si sentì un altro urlo offeso da dietrola porta; con una scrollata di spalleIsabelle si girò e corse lungo ilcorridoio, con Clary al fianco. «Checosa diceva il messaggio?» chieseClary. «Solo che c’era un problema?»

«Che c’è stato un attacco.Nient’altro.»

Alec le aspettava fuori dellabiblioteca. Indossava un’armatura dicuoio nero da Cacciatore sopra i vestiti.Le braccia erano protette da lunghiguanti e sulla gola e sui polsi eranoimpressi dei marchi. Alcune spadeangeliche, ognuna col nome di un angelo,scintillavano alla cintura che gli cingevala vita. «Sei pronta?» domandò alla

sorella. «Max è sistemato?»«Sta bene.» Allungò le braccia.

«Fammi i marchi.»Mentre tracciava le rune sul dorso

delle mani di Isabelle e all’interno deisuoi polsi, Alec lanciò un’occhiata aClary. «Probabilmente dovrestiandartene a casa» le disse. «Meglio chetu non ti faccia trovare qui da sola,quando tornerà l’Inquisitrice.»

«Voglio venire con voi» disse Clary.Le parole le erano uscite di bocca primache potesse fermarle.

Isabelle ritirò una mano da Alec e cisoffiò sopra come se raffreddasse unatazza di tè troppo calda. «Sembri Max.»

«Max ha nove anni. Io ho la vostra

età.»«Ma non hai ricevuto nessun

addestramento» ribatté Alec. «Ci saraisolo d’intralcio.»

«No. Uno di voi è mai stato nellaCittà Silente?» chiese Clary. «Io sì. Socome entrare. So come orientarmi.»

Alec si raddrizzò e mise via lo stilo.«Non credo…»

Isabelle lo interruppe. «Non ha tutti itorti. Forse dovrebbe venire, se vuole.»

Alec sembrò spiazzato. «L’ultimavolta che abbiamo affrontato un demonesi è rannicchiata a terra e si è messa astrillare.» Vedendo lo sguardo acido diClary, le lanciò un’occhiata dispiaciuta.«Scusa, ma è la verità.»

«Io credo che abbia bisogno diun’occasione per imparare» disseIsabelle. «Sai cosa dice sempre Jace. Avolte non devi cercare il pericolo,perché è il pericolo a trovare te. »

«Non potete rinchiudermi comeavete fatto con Max» aggiunse Claryvedendo la determinazione di Alecindebolirsi. «Non sono una bambina. E

so dov’è la Città di Ossa. Possoarrivarci anche senza di voi.»

Alec distolse lo sguardo, scuotendola testa e borbottando qualcosa aproposito delle ragazze. Isabelle allungòuna mano verso Clary. «Dammi il tuostilo» disse. «È tempo di farti qualchemarchio.»

capitolo 6LA CITTÀ DI CENEREAlla fine Isabelle fece solo due

marchi a Clary, uno sul dorso diciascuna mano. Il primo raffiguraval’occhio aperto che ornava la mano diogni Cacciatore. Il secondoassomigliava a due falci incrociate;Isabelle disse che era una runa diProtezione. Entrambe le runebruciarono, appena lo stilo toccò lapelle, ma il dolore svanì a bordo deltaxi nero che portava Clary, Isabelle eAlec a Downtown. Quando raggiunserola 2nd Avenue e misero piede sulmarciapiedi, Clary si sentiva le mani ele braccia leggere come se indossasse

dei braccioli in una piscina.I tre attraversarono in silenzio l’arco

di ferro battuto che conduceva alCimitero Monumentale. L’ultima voltache Clary era stata in questo giardino siaffrettava dietro a Fratello Geremia.Adesso, per la prima volta, notò i nomiscolpiti sui muri: Youngblood,Fairchild, Thrushcross, Nightwine,

Ravenscar. Accanto, c’erano dellerune. Nella cultura dei Cacciatori, ognifamiglia aveva il proprio simbolo:quello degli Wayland era un martello dafabbro, quello dei Lightwood una torcia,quello di Valentine una stella.

Erba arruffata ricopriva i piedi dellastatua dell’Angelo in mezzo al giardino.

Aveva gli occhi chiusi, le mani sottilistrette intorno allo stelo di un calice dipietra che riproduceva la CoppaMortale. Il viso di pietra eraimpassibile, rigato di sporcizia esudiciume.

Clary disse: «L’ultima volta chesono stata qui, Fratello Geremia si èservito di una runa sulla statua peraprire la porta della Città.»

«Preferirei non usare una delle runedei Fratelli Silenti» disse Alec. Aveva ilviso cupo. «Avrebbero dovuto avvertirela nostra presenza prima chearrivassimo qui. Comincio apreoccuparmi.» Sfilò un pugnale dallacintura e ne passò la lama sul palmo

nudo. Il sangue sgorgò dal taglio pocoprofondo. Chiudendo la mano a pugnosulla coppa di pietra, vi fece goc-ciolaredentro il sangue. «Sangue di Nephilim»disse. «Dovrebbe funzionare comechiave.»

Le palpebre dell’Angelo di pietra siaprirono. Per un istante Clary si aspettòquasi di vedere dei veri occhi fissarladalle pieghe di pietra, ma vide solodell’altro granito. Un secondo più tardi,l’erba ai piedi dell’Angelo cominciò adividersi. Una linea curva nera cheondeggiava come il dorso di un serpentesi allontanò zigzagando dalla statua, eClary balzò svelta all’indietro mentre unbuco oscuro si apriva ai suoi piedi.

Ci guardò dentro. C’era una scalache si perdeva nell’ombra. L’ultimavolta che era stata lì, le tenebre eranorischiarate a intervalli da torce che il-luminavano i gradini. Adesso regnaval’oscurità più assoluta.

«C’è qualcosa che non va» disseClary. Né Isabelle né Alec sembravanopropensi a discutere. Clary sfilò di tascala stregaluce che le aveva dato Ja-ce ela sollevò sopra di sé. La luce si irradiòfra le sue dita. «Andiamo.»

Alec la precedette. «Vado io perprimo, tu vienimi dietro. Isabelle, chiu-di la fila.»

Mentre scendevano lentamente, glistivali bagnati di Clary scivolavano sui

gradini smussati dal tempo. Ai piedidella scala c’era una breve galleria chesi apriva su una vasta sala, un sorta difrutteto di pietra fatto di archi bianchi incui erano incastonate pietre dure. File disarcofagi si succedeva-no fino a sparirenell’oscurità. La stregaluce non eraabbastanza potente da illuminare tutta lasala.

Alec guardò cupo tra le file. «Nonavrei mai pensato di entrare nella CittàSilente» disse. «Neanche da morto.»

«Non me ne rattristerei troppo»disse Clary. «Fratello Geremia mi hadetto cosa fanno dei vostri morti. Libruciano e usano le ceneri per produrreil marmo della Città.» Il sangue e le

ossa degli Shadowhunter sono unapotente difesa contro il male. Anche damorti, i membri del Conclave servonola causa.

«Uhm» fece Isabelle. «È consideratoun onore. Dopotutto, anche voi mondanibruciate i vostri morti.»

Questo non rende la cosa menoraccapricciante, pensò Clary. L’odoredi cenere e fumo ristagnava pesantenell’aria, lo ricordava dall’ultima voltache era stata lì… Ma c’eraqualcos’altro, sotto quegli effluvi, unodore più forte, più intenso, come difrutta che sta marcendo.

Aggrottando la fronte nell’annusarlo,Alec sfilò una delle sue spade angeliche

dalla cintura. « Arathiel» sussurrò, e ilsuo scintillio si unì al bagliore dellastregaluce di Clary, rivelando ai treragazzi la seconda rampa di scale, chescendeva in un’oscurità ancora più fitta.La stregaluce pulsava nella mano diClary come una stella morente. Si chiesese si estinguessero mai, le stregaluci,come le torce elettriche esauriscono lebatterie. L’idea di essere immersi nelbuio pesto in quel luogo raccapricciantela riempiva di un terrore viscerale.

L’odore di frutta marcia si fece piùforte quando raggiunsero la fine dellascala e si ritrovarono in un’altra lungagalleria, che alla fine si immetteva in unpadiglione circondato da guglie di osso

intagliato… un padiglione che Claryricordava molto bene. Il pavimento eraintarsiato di stelle d’argento simili apreziosi coriandoli. Al centro delpadiglione c’era un tavolo nero.

Un liquido scuro formava una pozzasulla sua superficie levigata egocciolava in rivoletti sul pavimento.

Quando Clary si era trovata davantial Consiglio dei Fratelli, alla paretedietro il tavolo stava appesa una pesantespada d’argento. Adesso la Spada erasparita e nel punto in cui si trovavaprima la parete era macchiata da unospruzzo scarlatto.

«È sangue?» sussurrò Isabelle. Nonsembrava spaventata, solo stupita.

«Così pare.» Gli occhi di Alecesaminarono la stanza. Le ombre eranodense come vernice e sembravanoanimate. La sua presa sulla spadaangelica era salda.

«Cosa può essere successo?» chieseIsabelle. «I Fratelli Silenti… pensavoche fossero indistruttibili… »

La sua voce si spense quando Clarysi girò e la stregaluce nella sua ma-nocolse strane ombre tra le guglie. Una diesse aveva una forma più strana dellealtre. Desiderò che la stregaluce ardessepiù vivamente, e quella lo fece,proiettando un penetrante lampo di luce.

Conficcato su una delle guglie, comeun verme su un amo, c’era il corpo senza

vita di un Fratello Silente. Le mani,striate di sangue, penzolavano a pochicentimetri dal pavimento di marmo. Ilcollo sembrava spezzato. Il sangue si eraraccolto in una pozza sotto di lui,coagulato e nero al chiarore dellastregaluce.

Isabelle rimase senza fiato. «Alec.Hai visto…?»

«Sì.» La voce di Alec era cupa. «Eho visto anche di peggio. Ma è di Ja-ceche mi preoccupo.»

Isabelle avanzò e toccò il tavolo dibasalto nero, sfiorandone la superficiecon le dita. «Questo sangue è quasifresco. Qualunque cosa sia successa èstato non molto tempo fa.»

Alec si avvicinò al cadavereimpalato del Fratello. Dalla pozza disangue sul pavimento si dipartivano deisegni sbavati. «Impronte di piedi» disse.

Poi, con la mano piegata, fece segnoalle ragazze di seguirlo. Loro obbedi-rono, ma prima Isabelle si fermò unattimo a pulirsi le mani insanguinate suimorbidi schinieri di cuoio.

La pista delle impronte portava dalpadiglione a una stretta galleria chescompariva nel buio. Quando Alec sifermò per guardarsi intorno, Clary losuperò impaziente, lasciando che lastregaluce tracciasse un sentiero di lu-cebianco argentea davanti a loro. In fondoalla galleria vide una serie di porte a

due battenti. Erano socchiuse.Jace. In qualche modo Clary ne

avvertiva la presenza, lo sentiva vicino.Partì di corsa, gli stivali che

scalpicciavano sonoramente sulpavimento duro. Sentì Isabelle che lachiamava, poi fratello e sorella simisero a correre anche loro, seguendolaa ruota. Clary volò attraverso la porta infondo alla galleria e si ritrovò inun’ampia stanza rivestita di pietra edivisa in due da una serie di sbarremetalliche conficcate nel suolo. Al di làdi esse Clary riuscì a distinguere unasagoma accasciata. Poco fuori dellacella era ada-giato scompostamente ilcorpo afflosciato di un Fratello Silente.

Clary capì immediatamente che eramorto. Era il modo in cui era steso,come una bambola a cui avessero giratole articolazioni nel verso sbagliatofinché non si erano rotte. Gli abiti colorpergamena erano strappati. Il visodevastato, contorto in un’espressione diterrore, era ancora riconoscibile.

Era Fratello Geremia.Clary oltrepassò il corpo e si

avvicinò alla porta a sbarre della cella.Ap-parentemente non c’erano unaserratura, né una maniglia. Alle suespalle sentì Alec che la chiamava, ma lasua attenzione non era rivolta a lui: erarivolta alla porta. Si rese conto che nonc’era nessun mezzo visibile per a-prirla;

i Fratelli non trattavano ciò che eravisibile, ma piuttosto ciò che non lo era.Tenendo la stregaluce in una mano,cercò a tastoni con l’altra lo stilo di suamadre.

Al di là delle sbarre, si sentì unrumore. Una specie di ansimo, o disussurro attutito; non era sicura di cosafosse, ma ne riconobbe la fonte. Jace.

Colpì con violenza la porta dellacella con la punta dello stilo, cercandodi pensare alla runa di Apertura mentrevi appariva, nera e frastagliata, sulmetallo duro. Al tocco dello stilo,l’elettro sfrigolò. Apriti, ordinò allaporta, apriti, apriti, APRITI!

Un rumore come di stoffa strappata

attraversò la stanza. Clary sentì Isabellegridare, mentre la porta volavainteramente via dai cardini, schian-tandosi nella cella come un pontelevatoio che si abbassava. Sentì anchealtri rumori, metallo che veniva separatodal metallo, e un sonoro tintinnio similea una manciata di sassolini gettati aterra. Quando si abbassò per entrarenella cella, la porta caduta le vacillòsotto i piedi.

La stregaluce riempì la piccolastanza, illuminandola a giorno. Clary no-tò appena le file di manette - tutte dimetalli differenti: oro, argento, acciaio,ferro - che si scioglievano dalle sbarredella parete. Aveva lo sguardo fisso sul

corpo accasciato nell’angolo; nescorgeva i capelli chiari, la manoallungata, le manette sciolte gettate apoca distanza. Il suo polso era nudo einsanguinato, con la pelle deturpata dabrutti lividi.

Si inginocchiò, mettendo da parte lostilo, e lo capovolse delicatamente.

Era proprio Jace. Aveva un altrolivido sulla guancia, e il visopallidissimo, ma Clary scorse il rapidomovimento sotto le palpebre. Una venadella gola pulsava. Era vivo.

Il sollievo la travolse comeun’ondata di calore, allentando le strettecorde di tensione che l’avevano tenutainsieme fino ad allora. La stregaluce

cadde sul pavimento lì accanto, dovecontinuò a risplendere. Clary accarezzòi capelli di Jace, allontanandoli dallafronte con una tenerezza che le parveinsolita… Non aveva mai avuto fratellio sorelle, e neppure un cugi-no. Nonaveva mai avuto occasione di fasciareferite o baciare ginocchia sbucciate oprendersi cura sul serio di qualcuno.

Ma le piaceva sentire questo tipo ditenerezza per Jace, pensò. E nonintendeva ritirare la sua mano mentre luicontraeva le palpebre e si lamentava.Era suo fratello; perché non avrebbedovuto starle a cuore quel che glisuccedeva?

Gli occhi di Jace si aprirono. Le

pupille erano dilatate. Forse avevabattuto la testa. Il suo sguardo si fissò suquello di Clary con un’espressioneinebetita. « Clary» disse. «Che cosa cifai qui?»

«Sono venuta a cercarti» rispose lei,perché era la verità.

Uno spasmo attraversò la faccia diJace. «Sei veramente qui? Non so-no…non sono morto, vero?»

«No» rispose Clary, accarezzandogliuna guancia con la mano. «Sei svenuto,tutto qui. E probabilmente hai battuto latesta.»

Jace sollevò una mano e coprì quelladi Clary posata sulla sua guancia.

«Ne valeva la pena» disse a voce

così bassa che lei non fu sicura di aversentito bene.

«Che succede?» Era Alec, che sistava infilando nel vano della portaseguito da Isabelle. Clary ritirò la manodi scatto, poi si maledisse in silenzio.Non stava facendo niente di male.

Jace si mise seduto a fatica. Aveva ilviso grigiastro, la maglia macchiata disangue. Lo sguardo di Alec si fecepreoccupato. «Ma stai bene?» domandòinginocchiandosi. «Che cosa èsuccesso? Te lo ricordi?»

Jace sollevò la mano ferita. «Unadomanda alla volta, Alec. Ho giàl’impressione che mi si stia perspaccare la testa.»

«Chi ti ha fatto questo?» Isabellesembrava sconcertata e furiosa allostesso tempo.

«Nessuno. Me lo sono fatto da solocercando di togliermi le manette.»

Jace abbassò lo sguardo sul polso -sembrava quasi che si fosse strappato lapelle - e sussultò.

«Dammi qui» dissero all’unisonoClary e Alec, allungando una manoverso quella di Jace. I loro occhi siincontrarono, e Clary abbassò per primala sua. Alec prese il polso delfratellastro e tirò fuori lo stilo. Conpochi movimenti rapidi disegnò uniratze, una runa di Guarigione, sullapelle sanguinante sotto l’anello.

«Grazie» disse Jace, ritirando lamano. La parte ferita del polso stava giàcominciando a rimarginarsi. «FratelloGeremia…»

«È morto» terminò Clary.«Lo so.» Rifiutando l’aiuto che gli

offriva Alec, Jace si tirò in piediappoggiandosi alla parete. «È statoassassinato.»

«I Fratelli Silenti si sono uccisi avicenda?» chiese Isabelle. «Noncapisco… non capisco perché l’abbianofatto… »

«Non è così» disse Jace. «Qualcunoo qualcosa li ha uccisi.» Uno spasmo didolore gli contrasse il viso. «La miatesta…»

«Forse dovremmo andarcene» disseClary nervosa. «Prima che chi li hauccisi…»

«… torni per noi?» domandò Jace.Si guardò la maglia lorda di sangue e lamano contusa. «Credo che non sia piùqui. Ma forse lui potrebbe ancorariportarla indietro.»

«Chi potrebbe riportare indietrocosa?» chiese Alec, ma Jace nonrispose. Da grigio il suo viso eradiventato bianco come un cencio. Aleclo afferrò mentre cominciava a scivolarelungo il muro. «Jace…»

«Sto bene» protestò lui, ma la suamano stringeva forte la manica di Alec.«Posso stare in piedi.»

«A me sembra che sia il muro asostenerti. Non è quello che si dice“stare in piedi”.»

«Mi sto appoggiando» replicò Jace.«E appoggiarsi viene subito prima distare in piedi.»

«Smettetela, voi due» disse Isabelle,togliendo di mezzo una torcia spenta conun calcio. «Dobbiamo uscire di qui. Selà fuori c’è qualcosa di abbastanzamalvagio da uccidere i Fratelli Silenti,ci liquiderà in quattro e quattr’otto.»

«Izzy ha ragione. Dobbiamo filare.»Clary recuperò la stregaluce e si al-zò.«Jace… te la senti di camminare?»

«Lo aiuto io.» Alec si mise intornoalle spalle il braccio di Jace, che si

appoggiò pesantemente a lui.«Andiamo» disse Alec in tono gentile.«Ti rimetteremo in sesto quando saremofuori di qui.»

Si mossero adagio verso la sogliadella cella, dove Jace si fermò eabbassò lo sguardo sulla figura diFratello Geremia steso tutto storto sulpavimento di pietra. Isabelle siinginocchiò e abbassò il cappuccio dilana marrone per coprirgli la facciastravolta. Quando si raddrizzò, avevanotutti un’espressione seria e assorta.

«Non ho mai visto un FratelloSilente terrorizzato» disse Alec. «Nonpensavo che potessero avere paura.»

«Tutti hanno paura.» Il viso di Jace

era ancora pallidissimo e, anche se siteneva con cautela la mano ferita controil petto, Clary non pensava che fosse peril dolore fisico. Sembrava lontano, comese si fosse ritirato in se stesso, pernascondersi da qualcosa.

Tornarono sui propri passiattraverso i corridoi immersi nel buio esu per gli stretti gradini checonducevano al padiglione delle StelleParlanti.

Quando lo raggiunsero, Claryavvertì un forte odore di bruciato e disangue che non aveva sentito prima.Jace, appoggiato ad Alec, si guardòintorno con una sorta di orrore misto aconfusione sul volto. Clary vide che

osservava la parete opposta, macchiatada uno spesso strato di sangue, e disse:«Jace, non guardare.» Poi si sentìsciocca; era un cacciatore di demoni,dopotutto, aveva visto di peggio.

Jace scosse la testa. «C’è qualcosache non quadra…»

«Non c’è niente che quadra, inquesto posto.» Alec indicò con un cennodel capo la foresta di archi checonduceva fuori dal padiglione. «Quellaè la via più veloce per uscire di qui.Andiamo.»

Non parlarono granché durante ilpercorso a ritroso nella Città di Ossa.

Ogni ombra sembrava fluttuare,quasi che l’oscurità nascondesse

creature che non aspettavano altro chebalzare addosso a Clary. Isabellemormorò qualcosa sottovoce. Clary nondistinse le parole, ma sembrava un’altralingua, qualcosa di antico… latino,forse.

Quando raggiunsero le scale cheportavano fuori dalla Città, Clary emiseun muto sospiro di sollievo. Un tempo laCittà di Ossa poteva anche essere statabella, ma adesso era terrificante.Quando furono all’ultima rampa, la lucele trafisse gli occhi, facendola gridareper la sorpresa. In cima alle scaleintravedeva la statua dell’Angeloilluminata in controluce da un chiaroredorato, intenso come quello del giorno.

Girò lo sguardo sugli altri; sembravanoconfusi quanto lei.

«Il sole non dovrebbe essere ancorasorto, no?» mormorò Isabelle.

«Quanto tempo siamo rimastiquaggiù?»

Alec controllò l’orologio. «Non cosìa lungo. Jace borbottò qualcosa, troppopiano perché gli altri potessero sentirlo.Alec allungò l’orecchio.»

Cosa hai detto?«Stregaluce» disse Jace, questa

volta più forte.Isabelle corse su per la scala, con

Clary alle calcagna e Alec a brevedistanza, impegnato a trascinare Jace super i gradini. In cima alla scala Isabelle

si fermò di botto, come paralizzata.Clary la chiamò, ma lei non si mosse. Unattimo dopo le era accanto e toccò a leiguardarsi intorno stupefatta.

Il giardino era pieno di Cacciatori.Venti, forse trenta, in tenuta nera dacaccia, ricoperti di marchi tracciati ainchiostro, ognuno con una stregalucesfavillante in mano.

Davanti al gruppo c’era Maryse conl’armatura da Cacciatrice nera e unmantello con il cappuccio abbassato.Alle sue spalle erano schierate dozzinedi persone, uomini e donne che Clarynon aveva mai visto, ma che avevano imarchi dei Nephilim sulle braccia e sulviso. Uno di loro, un bell’uomo dalla

pelle d’ebano, si girò a guardare Clary eIsabelle, e, accanto a loro, Jace e Alec,che erano emersi dalla scala e se nestavano lì sbattendo gli occhi alla luceinattesa.

«Per l’Angelo» esclamò l’uomo.«Maryse… c’è già qualcuno là infondo.»

Maryse aprì la bocca di scatto in unmuto sussulto quando vide Isabelle.

Poi la richiuse, le labbra serrate inuna sottile linea bianca, come un tagliotracciato col gesso attraverso il viso.

«Lo so, Malik» disse. «Sono i mieifigli.»

capitolo 7

LA SPADA MORTALEUn mormorio sbigottito percorse la

folla. Chi portava il cappuccio lo tiròindietro e, dall’espressione di Jace,Alec e Isabelle, Clary capì checonoscevano molti dei Cacciatori nelgiardino.

«Per l’Angelo» lo sguardo incredulodi Maryse scivolò da Alec a Jace, sfioròappena Clary e tornò a sua figlia.Quando Maryse aveva parlato, Ja-ce siera allontanato da Alec e se ne stava unpo’ discosto dagli altri tre, con le maniin tasca, mentre Isabelle torcevanervosamente la frusta bianco-dorata trale mani. Alec, intanto, sembravaarmeggiare con il cellulare, anche se

Clary non riusciva a immaginare chipotesse chiamare. «Alec, Isabelle, cosaci fate qui? C’è stata una richiesta disoccorso dalla Città Silente…»

«L’abbiamo presa noi» disse Alec. Ilsuo sguardo si muoveva con ansia sullafolla radunata. Clary non poteva certobiasimarlo per il suo nervosismo. Era lapiù grande schiera di Cacciatori adulti -di Cacciatori in generale - che leiavesse mai visto. Continuava a farscivolare lo sguardo da un viso all’altro,notandone le differenze. Ma nonostantele differenze di età, razza e aspettocomplessivo, davano tutti la stessaimpressione di un’enorme forzatrattenuta. Lei si sentiva addosso i loro

occhi penetranti, che la studiavano, lavalutavano. Una di loro, una donna daicapelli argentei on-dulati, la fissava conuno sguardo intenso, quasi di sfida.Clary sbatté gli occhi e distolse losguardo. «Non eravate all’Istituto… enon potevamo contattare nessuno… cosìsiamo venuti noi.»

«Alec…»«Comunque non importa» disse

Alec. «Sono morti. I Fratelli Silenti.Sono tutti morti. Sono stati

assassinati.»Questa volta la folla raccolta non

emise alcun suono. Anzi, sembròimmobilizzarsi, come puòimmobilizzarsi un branco di leoni che ha

individu-ato una gazzella.« Morti? » ripeté Maryse. «Cosa

vuoi dire con morti?»«Credo che sia piuttosto chiaro cosa

vuol dire.» Una donna con una lungaveste grigia apparve all’improvviso alfianco di Clary. Alla luce tremolante, leivide che aveva un aspetto inquietante,tutto spigoli, con i capelli raccoltiall’indietro e occhi come neri buchiscavati nel viso. Aveva una grossastregaluce attaccata a una lunga catenad’argento avvolta intorno al-le dita piùossute che Clary avesse mai visto.«Sono tutti morti?» chiese rivolgendosia Alec. «Non avete trovato nessuno vivonella Città?»

Alec scosse la testa. «Per lo menonon li abbiamo visti, Inquisitrice.»

Dunque quella era l’Inquisitrice, sirese conto Clary. Sembrava senz’altrocapace di gettare degli adolescenti inuna cella sotterranea solo perché non leandava a genio il loro modo di fare.

«Non li avete visti» ripetél’Inquisitrice, gli occhi simili a perlinedure, scintillanti. Poi si rivolse aMaryse. «Potrebbero esserci deisuperstiti. Direi di mandare i tuoi nellaCittà per un controllo approfondito.»

Le labbra di Maryse si serrarono.Da quel poco che Clary sapeva di lei,capì che alla madre adottiva di Jace nonpiaceva sentirsi dire cosa doveva fare.

«Benissimo.»Si girò verso gli altri Cacciatori…

Clary cominciava a rendersi conto chenon erano tanti quanti aveva pensatoall’inizio. Erano più vicini alla venti-nache alla trentina, anche se lo shock dellaloro apparizione li aveva fatti sembrareuna folla brulicante.

Maryse parlò sottovoce a Malik, cheannuì. Poi ordinò ai Cacciatori diavviarsi verso l’entrata della Città diOssa. Mentre tutti scendevano le scale infila indiana, impugnando le stregaluci, losplendore nel giardino cominciò adaffievolirsi. L’ultima della fila era ladonna dai capelli argentei. A metà dellescale si fermò e si girò per guardarsi

indietro… i suoi occhi andarono dritti suClary. Erano pieni di un desideriotremendo, come se mo-risse dalla vogliadi dirle qualcosa. Dopo un istante, sicalò nuovamente il cappuccio sul viso escomparve nelle tenebre.

Maryse ruppe il silenzio. «Perchéqualcuno dovrebbe voler uccidere iFratelli Silenti? Non sono guerrieri, nonhanno marchi da battaglia…»

«Non essere ingenua, Maryse» dissel’Inquisitrice. «Non è stato un attaccocasuale. I Fratelli Silenti non sarannoguerrieri, ma sono dei guardiani, e anchemolto bravi nel loro lavoro. E non sonofacili da uccidere. Qualcuno volevaqualcosa che era custodito nella Città di

Ossa e, per averla, era disposto auccidere. È stata un’azionepremeditata.»

«Cos’è che ti rende così sicura?»«La chiamata che ci ha fatto

accorrere a Central Park. Il giovane elfomorto.»

«Non direi che siamo accorsi avuoto. Il giovane elfo era dissanguato,come gli altri. Questi delitti possonocausare problemi seri tra i Figli dellaNotte e gli altri Nascosti…»

«Era un diversivo» dissel’Inquisitrice per chiudere il discorso.«Lui voleva farci allontanaredall’Istituto affinché nessuno potesserispondere alla chiamata di soccorso dei

Fratelli. Ingegnoso, davvero. È statosempre in-gegnoso.»

«Lui chi?» Fu Isabelle a parlare, ilviso pallidissimo tra le due ali nere dicapelli. «Intendi…»

Nel sentire le parole pronunciatesubito dopo da Jace, Clary ebbe lasensazione di avere preso una scossa,come se avesse toccato un cavoelettrico. «Valentine» disse Jace. «Èstato lui a prendere la Spadadell’Anima, o Mortale che dir si voglia.Per questo ha ucciso i Fratelli Silenti.»

Un sorriso sottile increspòall’improvviso il viso dell’Inquisitrice,come se Jace avesse detto qualcosa chel’aveva mandata in brodo di giuggiole.

Alec sussultò e si girò a guardare ilfratellastro. « Valentine? Ma non ciavevi detto che era qui.»

«Nessuno me l’ha chiesto.»«Non può avere ucciso i Fratelli.

Erano fatti a pezzi. Nessun individuoavrebbe potuto fare una cosa simile dasolo.»

«Probabilmente ha chiesto aiuto aidemoni» disse l’Inquisitrice. «Lo ha giàfatto in passato. E grazie alla protezionedella Coppa di cui si è impa-dronito hapotuto convocare alcune creature moltopericolose. Più pericolose deiDivoratori» aggiunse arricciando lelabbra, e anche se nel dirlo nonguardava Clary, le parole risuonarono in

qualche modo come uno schiaffoverbale. La sua debole speranza chel’Inquisitrice non l’avesse notata oriconosciuta svanì. «O dei pateticiDimenticati.»

«Questo non lo so.» Jace erapallidissimo, con due chiazze rosse suglizigomi, come se avesse la febbre. «Maso che era Valentine. L’ho visto.

Quando è sceso nelle celle avevacon sé la Spada e mi ha stuzzicatoattraverso le sbarre. Era come un bruttofilm, con la differenza che lui non siattorcigliava i baffi.»

Clary lo guardò preoccupata.Parlava troppo velocemente, pensò, enon sembrava saldo sulle gambe.

L’Inquisitrice non parveaccorgersene. «Dunque Valentine ti hadetto tutto questo? Ti ha detto di avereucciso i Fratelli Silenti perché voleva laSpada Mortale?»

«Che cos’altro ti ha detto? Dov’eradiretto? Cosa progetta di fare con laCoppa e la Spada, i due StrumentiMortali?» chiese svelta Maryse.

Jace scosse la testa.L’Inquisitrice gli si avvicinò, la

veste che le ondeggiava intorno comefumo fluttuante. Gli occhi grigi e labocca grigia erano tesi in strette lineeorizzontali. «Non ti credo.»

Jace si limitò a guardarla. «Non miaspettavo che lo facessi.»

«E dubito che anche il Conclave ticrederà.»

Alec disse con veemenza: «Jace nonè un bugiardo…»

«Usa il cervello, Alexander» replicòl’Inquisitrice, senza staccare gli occhida Jace. «Metti da parte per un istante lalealtà verso il tuo amico. Cheprobabilità c’è che Valentine si siafermato a parlare della Spadadell’Anima davanti alla cella di suofiglio senza dire che cosa intendevafarne e neppure dove stava andando?»

« S’io credesse che mia rispostafosse» disse Jace in una lingua che Clarynon conosceva « a persona che maitornasse al mondo… »

«Dante.» L’Inquisitrice sembròironicamente divertita. «L’ Inferno. Tunon sei ancora all’inferno, JonathanMorgenstern, ma se insisti a mentire alConclave ti pentirai di non esserci.» Poitornò a rivolgersi agli altri. «E non visembra strano che la Spada dell’Animasia scomparsa proprio la notte prima delgiorno in cui Jonathan Morgesterndoveva essere sottoposto alla suaprova… e che sia stato proprio suopadre a prenderla?»

A queste parole Jace apparvescioccato e le sue labbra si dischiuseroleggermente per la sorpresa, come sequesto non gli fosse mai venuto in mente.«Mio padre non ha preso la spada per

me. L’ha presa per sé. Dubito perfinoche sappia della prova.»

«Però la cosa, in ogni caso, ti famolto comodo. E anche a lui. Non do-vrà preoccuparsi che divulghi i suoisegreti.»

«Già» disse Jace, «è terrorizzatodall’idea che io spifferi a tutti che, inrealtà, il suo sogno è sempre stato quellodi fare la ballerina.» L’Inquisitrice silimitò a guardarlo. «Non conosconessuno dei segreti di mio padre»

disse Jace, in modo meno brusco.«Non mi ha mai detto niente.»

L’Inquisitrice lo guardò con un’ariache sembrava annoiata. «Se tuo padrenon ha preso la Spada per proteggerti,

allora perché l’ha fatto? »«È uno Strumento Mortale» disse

Clary. «È potente. Come la Coppa.Valentine ama il potere.»«La Coppa sarebbe sufficiente»

disse l’Inquisitrice. «Può servirsene perfare un esercito. La Spada, invece, vieneusata nei processi. Non vedo co-mepotrebbe interessarlo.»

«Forse l’ha fatto per destabilizzareil Conclave» suggerì Maryse. «Perminare il nostro morale. Per dimostrareche non c’è nulla che possiamo teneresotto controllo.» Era un argomento moltopersuasivo, pensò Clary, ma la stessaMaryse non ne sembrava molto convinta.«Il fatto è che…»

Ma non riuscirono a sentire il resto,perché in quel momento Jace alzò lamano come per fare una domanda,assunse un’espressione spaventata ecrollò sull’erba. Alec gli si inginocchiòaccanto preoccupato, ma Jace loallontanò con un cenno della mano.«Lasciami stare. Sto bene.»

«Non stai bene.» Clary si avvicinòad Alec sull’erba e Jace la guardò conocchi dalle pupille grandi e scure,sebbene la notte fosse illuminata dallestregaluci. Clary gli esaminò il polso nelpunto in cui Alec aveva tracciato l’iratze. Il marchio era sparito, non erarimasta neppure una lieve cicatrice.

I suoi occhi incontrarono quelli di

Alec e lei vi vide riflessa la sua stessaansia. «C’è qualcosa che non va, in lui»disse. «Qualcosa di serio.»

«Probabilmente ha bisogno di unaruna di Guarigione.» L’Inquisitricesembrava notevolmente seccata con Jaceper il fatto che si era ferito in unasituazione tanto delicata. «Di un iratzeo…»

«È ciò che abbiamo fatto» disseAlec. «Ma non funziona. Credo che cisia sotto qualcosa di demoniaco.»

«Tipo il veleno demoniaco?»Maryse fece per avvicinarsi a Jace, mal’Inquisitrice la trattenne.

«Sta fingendo» disse inquieta.«Dovrebbe tornare subito nelle celle

della Città Silente.»A queste parole Alec si alzò in

piedi. «Non puoi dirlo… guardalo!»Fece un cenno verso Jace, che eraafflosciato a terra con gli occhi chiusi.«Non può nemmeno alzarsi. Ha bisognodi un dottore, ha bisogno di…»

«I Fratelli Silenti sono morti» dissel’Inquisitrice. «Suggerisci un ospedalemondano?»

«No.» La voce di Alec era tesa.«Potrebbe andare da Magnus.»

Isabelle emise un verso a metà trauno starnuto e un colpo di tosse.

Guardò da un’altra parte, quandol’Inquisitrice fissò Alec con espressionevacua. «Magnus?»

«È uno stregone» disse Alec. «Adire il vero, è il Sommo Stregone diBrooklyn.»

«Vuoi dire Magnus Bane» intervenneMaryse. «Ha una reputazione…»

«Mi ha guarito dopo che avevocombattuto contro un DemoneSuperiore» la interruppe Alec. «IFratelli Silenti erano impotenti, mentreMagnus…»

«È ridicolo» disse l’Inquisitrice.«Tu vuoi solo aiutare Jace a fuggire.»

«Non è abbastanza in forma perfuggire» protestò Isabelle. «Non lo ve-di?»

«Comunque Magnus glieloimpedirebbe» disse Alec lanciando

un’occhiata alla sorella per invitarla astare tranquilla. «Non ha alcun interessea mettere i bastoni tra le ruote alConclave.»

«E come potrebbe impedirglielo?»La voce dell’Inquisitrice trasudava unsarcasmo acido. «Jonathan è unCacciatore. Non siamo tanto facili datenere sotto chiave.»

«Forse dovresti chiederlo a lui»suggerì Alec.

Sul viso dell’Inquisitrice comparveil suo sorriso affilato come la lama di unrasoio. «Ma certo. Dov’è?»

Alec abbassò lo sguardo sul telefonoche teneva in mano, quindi lo riportòsulla sottile figura dell’Inquisitrice. «È

qui» disse. Alzò la voce.«Magnus! Magnus, vieni fuori!»Perfino le sopracciglia

dell’Inquisitrice si sollevarono quandoMagnus varcò a grandi passi il cancello.Il Sommo Stregone indossava pantalonidi pelle neri, una cintura con la fibbia aforma di M ornata di pietre preziose euna giubba militare prussiana color blucobalto aperta su una camicia bianca dimerletto. Sfavillava per i tanti strati diglitter di cui si era cosparso.

Posò per un attimo lo sguardo sulviso di Alec con aria divertita, e unpizzico di qualcos’altro, quindi lospostò su Jace, disteso sull’erba. «Èmorto?»

chiese. «Sembrerebbe.»«No» rispose seccamente Maryse.

«Non è morto.»«Avete controllato? Posso dargli un

calcio, se volete.» Magnus si mosseverso Jace.

«Fermo!» esclamò bruscal’Inquisitrice con un tono che ricordò aClary la sua maestra di terza elementarequando le intimava di smettere di scara-bocchiare sul banco con il pennarello.«Non è morto, è ferito gravemente»

aggiunse quasi con riluttanza. «C’èbisogno delle tue arti mediche. Jonathandeve essere abbastanza in forma pervenire interrogato.»

«Bene, ma vi costerà caro.»

«Pagherò io» disse Maryse.L’Inquisitrice non batté ciglio.

«Benissimo. Ma non può rimanereall’Istituto. Solo perché la Spada èscomparsa non significa chel’interrogatorio non debba avere luogocome stabilito. E nel frattempo ilragazzo deve essere tenuto sottosorveglianza. C’è il rischio che prendail volo.»

«E perché?» domandò Isabelle.«Parli come se avesse già tentato discappare dalla Città Silente…»

«Be’» disse l’Inquisitrice. «Ora nonè più nella sua cella, no?»

«Non è giusto! Poteva benissimoevitare di rimanere laggiù circondato da

morti!»«Non è giusto? Non è giusto? Ti

aspetti sul serio che io creda che tu e tuofratello siate venuti qui per rispondere auna richiesta di soccorso e non perchévolevate liberare Jonathan da quella checonsiderate chiaramente una reclusioneinutile? E ti aspetti che io creda che nonproverete ancora a liberarlo, se gli verràpermesso di stare all’Istituto? Pensi dipotermi prendere in giro come prendi ingiro i tuoi genitori, IsabelleLightwood?»

Isabelle divenne paonazza. Magnusintervenne prima che potesse replicare:

«Sentite, non è un problema. Possotenere Jace a casa mia senza difficoltà.»

L’Inquisitrice si rivolse a Alec. «Iltuo stregone si rende conto che JaceWayland è un testimone della massimaimportanza per il Conclave?»

«Non è il mio stregone.» La partesuperiore degli zigomi di Alec si coloròdi un rosso intenso.

«Ho già tenuto prigionieri per ilConclave in passato» disse Magnus. Lasfumatura scherzosa aveva abbandonatola sua voce. «Potrai facilmente scoprireche ho un curriculum eccellente, in talsenso. Il mio contratto è uno deimigliori.»

Era l’immaginazione di Clary odavvero gli occhi di Magnus avevanoindugiato su Marys e mentre

pronunciava quelle parole? Non ebbe iltempo di chiederselo. L’Inquisitrice feceun verso acuto, che poteva essere sia didivertimento che di disgusto, e disse:«Allora è deciso. Fammi sapere quandosarà abbastanza in forma per parlare,stregone. Ho ancora un sacco didomande da rivolgergli.»

«Certo» fece Magnus, ma Clary ebbel’impressione che non la stesseascoltando. Lo stregone percorseagilmente il prato e si mise in piediaccanto a Jace; era tanto alto quantomagro, e quando Clary alzò gii occhi perguardarlo, fu sorpresa di vedere quantestelle nascondeva il suo corpo.

«Può parlare?» chiese Magnus a

Clary, indicando Jace.Prima che Clary potesse rispondere,

gli occhi di Jace si aprirono lentamente.Guardò lo stregone con aria inebetita econfusa. «Che ci fai qui?»

Magnus gli sorrise, i denti chescintillavano come diamanti appuntiti, edisse:

«Salve, compagno di stanza.»parte secondaLE PORTE DELL’INFERNODinanzi a me non fuor cose createse non etterne, e io etterno duro:lasciate ogne speranza, voi

ch’intrate.(DANTE, Inferno, III, 7-9)capitolo 8

LA CORTE SEELIENel sogno, Clary era tornata

bambina e camminava sulla strettastriscia di spiaggia accanto allapasserella di assi di legno, a ConeyIsland. L’aria era impregnatadell’odore di hot dog e nocciolineabbrustolite e delle grida dei bambini.Il mare ondeggiava in lontananza conla sua superficie grigio-azzurraanimata dalla luce del sole.

Vedeva se stessa come da lontano,con indosso il suo pigiama troppogrande. Gli orli dei pantalonistrusciavano sulla spiaggia. La sabbiabagnata le penetrava in modofastidioso tra le dita dei piedi e i

capelli le ricadevano pesantementesulla nuca. Non c’erano nuvole e ilcielo era azzurro e sereno, ma Claryrabbrividiva camminando lungo labattigia verso una figura che scorgevasolo vagamente in lontananza.

Mentre si avvicinava,all’improvviso la figura divennechiara, come se Clary avesse messo afuoco l’immagine attraverso l’obiettivodi una macchina fotografica. Era suamadre, inginocchiata tra le rovine di uncastello di sabbia costruito a metà.Aveva lo stesso vestito bianco cheValentine le aveva fatto indossare aRenwick. In mano aveva un contortopezzo di legno portato dal mare e

schiarito dalla lunga esposizione alsale e al vento.

«Sei venuta ad aiutarmi!» chiesesua madre alzando la testa. Jocelynaveva i capelli sciolti che svolazzavanoliberi al vento, facendola sembrare piùgiovane di quanto non fosse. «C’è tantoda fare e così poco tempo.»

Clary inghiottì a fatica il groppoche aveva in gola. «Mamma… mi seimancata, mamma.»

Jocelyn sorrise. «Anche tu mi seimancata, tesoro. Ma non me ne sonoandata, sai. Sto solo dormendo.»

«E allora come farò a svegliarti?»Clary piangeva, ma sua madreguardava il mare con espressione

turbata. Il cielo, al tramonto, avevaassunto un color grigio ferro ed eranoapparse nuvole nere che sembravanomassi.

«Vieni qui» fece Jocelyn, e quandoClary le si avvicinò disse: «Allunga ilbraccio.»

Clary obbedì. Jocelyn le passò ilpezzo di legno sulla pelle. Il suo toccola punse come la bruciatura di unostilo, lasciando la medesima linea ne-ra. La runa tracciata da Jocelyn avevauna forma che Clary non aveva maivisto prima, ma le fece un effettocalmante. «Che cosa fa?»

«Dovrebbe proteggerti.» La madrelasciò Clary.

«Da che cosa?»Jocelyn non rispose, limitandosi a

lasciar vagare lo sguardo sul mare.Clary si girò e vide che si era

ritirato, lasciando nella sua sciacumuli salmastri di rifiuti, mucchi dialghe e pesci che si dibattevanodisperatamente. L’acqua si eraammassata in un’enorme onda che silevava come il fianco di una montagna,come una valanga pronta a precipitare.Le grida dei bambini sulla passerella sierano trasformate in urla di terrore.Mentre guardava inorridita, Clary videche la parete dell’onda era trasparentecome un velo e attraverso di essascorse cose che si muovevano

sott’acqua, grandi cose scure e informiche premevano contro la superficie delmare.

Sollevò le mani…E si svegliò ansimando, il cuore che

le martellava contro il torace. Era nelsuo letto, nella stanza degli ospiti diLuke, e la luce pomeridiana filtra-vaattraverso le tende. Aveva i capellisudati e appiccicati al collo e il braccioche le bruciava e le doleva. Quando sitirò su a sedere e accese la luce delcomodino, notò senza sorprendersi ilmarchio nero tracciato sul suo braccio.

Quando andò in cucina, vide cheLuke le aveva lasciato la colazione: unabrioche danese alla crema in una scatola

di cartone unta di burro. Aveva lasciatoanche un biglietto attaccato alfrigorifero. Andato in ospedale.

Clary mangiò la brioche mentreandava a un appuntamento con Simon,che avrebbe dovuto trovarsi alle cinqueall’angolo di Bedford Street, accantoalla fermata della metro F. Ma Simonnon c’era. Clary sentì una lieve fitta diansia, prima di ricordarsi del negozio didischi usati all’angolo con la 6thAvenue. Infatti Simon stava frugando trai CD nel reparto nuovi arrivi. Indossavauna giacca di velluto color ruggine conuno strappo nella manica e una magliettaazzurra con la scritta IT’S BIG. Nelvedere Clary, sorrise. «Eric pensa che

dovremmo cambiare il nome dellanostra band in Mojo Pie» disse a mo’ disaluto.

«Adesso qual è? L’ho dimenticato.»«Champagne Enema» rispose Simon

scegliendo un CD di Yo La Tengo.«Cambiatelo» disse Clary. «A

proposito, guarda che so cosa significala scritta sulla tua maglietta.»

«Non è vero.» Simon si avviò versol’ingresso del negozio per pagare il CD.«Tu sei una brava ragazza.»

Fuori il vento era freddo e pungente.Clary si tirò la sciarpa a righe sul mento.«Quando non ti ho visto alla fermatadella F mi sono preoccupata.»

Simon si calcò sulla testa il

cappellino di lana facendo una smorfiacome se la luce del sole gli ferisse gliocchi. «Scusa, mi sono ricordato chevolevo questo CD e ho pensato…»

«Non c’è problema.» Clary liquidòil discorso con un gesto della mano.

«È colpa mia. In questi giorni mifaccio prendere fin troppo facilmentedal panico.»

«Be’, dopo quello che hai passato,non posso biasimarti.» Simon aveva untono contrito. «Non riesco ancora acredere a quello che è successo nellaCittà Silente. Non posso credere che tufossi là. »

«Nemmeno Luke. Si è spaventato amorte.»

«Sfido io!» Stavano attraversandoMcCarren Park. L’erba sotto i loro pieditendeva al marrone invernale e l’aria erapervasa di luce dorata. I cani sciolti dalguinzaglio correvano tra gli alberi. Lamia vita è in subbuglio e il mondorimane uguale, pensò Clary. «Haiparlato con Jace dopo quello che èsuccesso?» chiese Simon, cercando dimantenere un tono di voce naturale.

«No, ma ho chiamato qualche voltaIsabelle e Alec. Pare che stia bene.»

«Ha chiesto di vederti? È per questoche andiamo là?»

«Non ha bisogno di chiederlo.»Clary cercò di non far trapelarel’irritazione dalla voce mentre

imboccavano la strada verso casa diMagnus. Era fiancheggiata da bassimagazzini trasformati in loft e studi perpersone con inclinazioni artistiche e unbel conto in banca. La maggior partedelle auto parcheggiate lungo il bassomarciapiede erano costose.

Mentre si avvicinavano al palazzo diMagnus, Clary vide raddrizzarsi unafigura allampanata che fino a quelmomento era rimasta seduta nellaveranda. Alec. Portava una lunga giaccanera fatta del robusto materiale che iCacciatori amavano usare per le lorotenute. Aveva le mani e la gola segnatidalle rune e, dal leggero scintillio che locircondava, era chiaro che aveva fatto

un incantesimo per poter diventareinvisibile.

«Non sapevo che avresti portato ilmondano.» I suoi occhi azzurriguizzarono imbarazzati su Simon.

«È questo che mi piace di voi» disseSimon. «Mi fate sempre sentire ilbenvenuto.»

«Oh, avanti, Alec» sbottò Clary«qual è il problema? Come se Simonnon fosse già stato qui.»

Alec emise un sospiro teatrale,scrollò le spalle e li precedette su per lescale. Aprì la porta dell’appartamentodi Magnus con una chiavetta d’argentoche subito dopo infilò nel taschino dellagiacca, come cercando di non farsi

vedere dai suoi compagni.Alla luce del giorno l’appartamento

appariva simile a un nightclub vuotodurante l’orario di chiusura: scuro,sporco e inaspettatamente piccolo. Lepareti erano nude, spruzzate di verniceglitter, il parquet su cui una settimanaprima avevano ballato le fate eradeformato e lustro per l’età.

«Ciao ciao.» Magnus andò loroincontro con passo maestoso. Indossavauna vestaglia di seta verde lunga fino aterra, aperta su una maglia a reteargentata e jeans neri. All’orecchiosinistro gli brillava una pietra rossascintillante. «Alec, mio caro. Clary. E ilragazzo-topo.» Fece un inchino a Simon,

che sembrò seccato. «A cosa devo ilpiacere?»

«Siamo venuti a trovare Jace»rispose Clary. «Sta bene?»

«Non lo so» disse Magnus. «Disolito se ne sta disteso e immobile sulpavimento.»

«Che cosa…?» cominciò a direAlec, poi si interruppe alle risate diMagnus. «Non è divertente.»

«È talmente facile prenderti in giro.Ma sì, il vostro amico sta bene. Be’, aparte il fatto che continua a rassettare lacasa e a mettere in ordine tutte le miecose. Così adesso non trovo più niente.È ossessivo.»

«A Jace piace che tutto sia ordine»

disse Clary, pensando alla sua stanzamonacale all’Istituto.

«Be’, a me no» Magnus guardavacon la coda dell’occhio Alec che fissavanel vuoto con aria accigliata. «Jace è làdentro, se volete vederlo.» Indicò unaporta in fondo alla stanza.

“Là dentro” si rivelò una stanzetta dimedia grandezza sorprendentementeaccogliente, con le pareti maculate,tende di velluto tirate alle finestre ealcune poltrone disseminate come grossiiceberg colorati in un mare di ruvidamoquette beige. Su un divano rosashocking era stato allestito un lettoimprovvisato, con lenzuola e coperte. Lepesanti tende non facevano filtra-re la

luce; l’unica fonte di illuminazione erauno schermo televisivo tremolante cheemanava un intenso splendore puravendo la spina staccata.

«Che cosa danno?» chiese Magnus.« Cosa non mettersi» risuonò una

familiare voce strascicata provenienteda una figura stravaccata su una dellepoltrone. Jace si sporse in avanti e perun istante Clary pensò che si sarebbealzato per salutarli. Invece scrollò latesta verso lo schermo. «Pantaloni cachia vita alta? Ma chi se li mette?»

Si girò e lanciò uno sguardo truce aMagnus. «Hai poteri soprannaturaliquasi illimitati» disse «e li usi solo perguardare le repliche. Che spreco.»

«E poi, con MySky puoi ottenerepraticamente lo stesso risultato» osservòSimon.

«Il mio metodo è più economico.»Magnus schioccò le dita e la stanza fuimprovvisamente inondata di luce. Jace,accasciato nella poltrona, alzò unbraccio per coprirsi il viso. «E questopotete farlo senza magia?»

«Veramente» disse Simon «sì. Seguardassi la pubblicità lo sapresti.»

Clary sentì che l’atmosfera nellastanza si stava guastando. «Basta» disse.Guardò Jace, che sbatteva gli occhi,seccato per la luce. «Dobbiamo parlare.Tutti quanti. Su che cosa faremoadesso.»

«Io stavo per vedere ProjectRunaway» disse Jace. «Comincia trapoco.»

«Neanche per sogno» disse Magnus.Schioccò le dita e la TV si spense,emettendo un piccolo sbuffo di fumoquando l’immagine svanì. «Deviaffrontare la realtà.»

«Da quando in qua ti interessarisolvere i miei problemi?»

«Mi interessa riavere il mioappartamento. Sono stanco delle tueconti-nue pulizie.» Lo stregone schioccòdi nuovo le dita con fare minaccioso.

«Alzati.»«O sarai il prossimo ad andare in

fumo» commentò Simon in sollucche-ro.

«Non c’era bisogno di spiegare ilmio gesto» disse Magnus. «Era sottin-teso.»

«Bene.» Jace si alzò dalla poltrona.Era scalzo e aveva una striscia di pelledi un colore argenteo violaceo intorno alpolso, dove le ferite stavano ancoraguarendo. Sembrava stanco, ma non piùsofferente. «Se volete fare una tavolarotonda, facciamola pure.»

«Mi piacciono le tavole rotonde»disse Magnus in tono vivace. «Stannomolto meglio di quelle quadrate.»

Nel salotto Magnus fece apparireper magia un’enorme tavolo rotondocircondato da cinque sedie di legnodall’alto schienale. «Però…» commentò

Clary, sedendosi su una di esse. Eraincredibilmente comoda. «Come si fa acreare qualcosa dal nulla, così?»

«Non si può» disse Magnus. «Tuttoviene da qualche posto. Queste cose, peresempio, vengono da un negozio dimobili finto antichi sulla 5th Avenue.Queste invece…» a un tratto sulla tavolacomparvero cinque tazze di plastica daicui coperchi bucati saliva lentamente delfumo «vengono da Dean&DeLuca aBroadway.»

«Sa tanto di furto, no?» Simonavvicinò a sé una tazza. «Oh, caffè!»

Guardò Magnus. «Ma li hai pagati?»«Certo» rispose Magnus mentre Jace

e Alec ridacchiavano. «Faccio apparire

per magia dei biglietti da un dollaro nelregistratore di cassa.»

«Davvero?»«No.» Lo stregone fece saltare il

coperchio dal suo caffè. «Ma puoi farfinta che l’abbia fatto, se ti fa staremeglio. Dunque, qual è il primo puntoall’ordine del giorno?»

Clary mise le mani intorno alla suatazza di caffè. Sarà stato anche rubato,ma era caldo e ricco di caffeina. E poi,poteva sempre passare da De-an&DeLuca e far cadere un dollaro nelvaso delle mance. «Tanto percominciare, potremmo cercare di capirecosa sta succedendo» disse, soffian-dosulla schiuma. «Jace, hai detto che ciò

che è accaduto nella Città Silente è statoopera di Valentine?»

Jace abbassò lo sguardo sul suocaffè. «Sì.»

Alec gli mise una mano sul braccio.«Ma cosa ha fatto? L’hai visto?»

«Ero nella cella» rispose Jace convoce spenta. «Ho sentito urlare i FratelliSilenti. Poi Valentine è sceso di sottocon… con qualcosa. Non so che cosafosse. Come del fumo con gli occhiscintillanti. Si è avvicinato alle sbarre emi ha detto…»

«Ti ha detto cosa?» La mano di Alecscivolò lungo il braccio di Jace fi-noalla spalla. Magnus si schiarì la voce.Alec lasciò cadere la mano arros-sendo,

mentre Simon sogghignò nel suo caffèancora intatto.

«Mellartach» disse Jace. «Voleva laSpada dell’Anima e ha ucciso i FratelliSilenti per impadronirsene.»

Magnus era accigliato. «Alec, lascorsa notte, quando i Fratelli Silenti vihanno chiesto aiuto, dov’era ilConclave? Perché nessuno eraall’Istituto?»

Alec sembrò sorpreso di essereinterrogato. «Ieri notte è statoassassinato un Nascosto a Central Park.Un giovane elfo. Il corpo eradissanguato.»

«Scommetto che l’Inquisitrice miaccusa anche di questo» disse Jace. «Il

mio regno del terrore continua.»Magnus si alzò e andò alla finestra.

Scostò la tenda, lasciando entrareabbastanza luce per far stagliare il suoprofilo da falco. «Sangue» disse quasitra sé. «Due notti fa ho fatto un sogno.Ho visto una città con torri di ossa estrade attraversate da fiumi di sangue.»

Simon spostò lo sguardo su Jace.«Sta sempre alla finestra a borbottarequalcosa sul sangue e cose simili?»

«No» disse Jace «a volte lo faseduto sul divano.»

Alec scoccò loro un’occhiatasevera. «Magnus, qual è il problema?»

«Il sangue» ripeté lo stregone. «Nonpuò essere una coincidenza.» Sembrava

guardare giù in strada. Il tramontocalava velocemente sopra la silhouettedella città in lontananza: il cielo avevastriature color alluminio e oro rosato.«Questa settimana sono stati uccisialcuni Nascosti. Uno stregone, ucciso inun grattacielo vicino al South StreetSeaport, aveva il collo e i polsi tagliatie il corpo dissanguato. E qualche giornofa, all’Hunter’s Moon, è stato ucciso unlupo mannaro. Anche in quel caso con lagola tagliata.»

«Fa pensare ai vampiri» osservòSimon, a un tratto pallidissimo.

«Non credo» disse Jace. «Almeno,Raphael ha sostenuto che non eraassolutamente opera dei Figli della

Notte. È stato categorico.»«Già, quello è proprio un tipo

affidabile» borbottò Simon.«In questo caso penso che dicesse la

verità» osservò Magnus tirando dinuovo la tenda. Il suo viso eraspigoloso, in ombra. Mentre tornava altavolo, Clary vide che teneva in mano unpesante libro rilegato in tessuto verde.Non le parve che lo avesse qualchemomento prima. «C’era una fortepresenza demoniaca in entrambi i luoghi.Credo che sia qualcun altro il re-sponsabile di queste morti. Non Raphaele la sua tribù, ma Valentine.»

Gli occhi di Clary si spostarono suJace. La sua bocca era una linea sottile,

ma lei si limitò a chiedere: «Come fai adirlo?»

«L’Inquisitrice pensava chel’assassinio dell’elfo fosse undiversivo»

spiegò svelta Clary. «Per poterdepredare la Città Silente senzapreoccuparsi del Conclave.»

«Ci sono modi più facili per crearediversivi» ribatté Jace «ed è imprudenteinimicarsi il Popolo Fatato. Valentinenon avrebbe ucciso un membro del clandelle fate se non avesse avuto un buonmotivo.»

«Ce l’aveva, un buon motivo» disseMagnus. «C’era qualcosa che voleva dalgiovane elfo, come pure dallo stregone e

dal lupo mannaro.»«E sarebbe?» chiese Alec.«Il loro sangue» rispose Magnus

aprendo il libro verde. Le sottili paginedi pergamena erano ricoperte di lettereche brillavano come fuoco. «Ah»

disse «ecco qui.» Alzò lo sguardo,tamburellando sulla pagina conun’unghia aguzza. Alec si chinò persbirciare. «Tu non sei in grado dileggerlo»

lo avvertì Magnus. «È scritto in unalingua demoniaca. Il purgatico.»

«Ma riconosco il disegno. ÈMellartach. L’ho già visto in qualchelibro.»

Alec indicò l’illustrazione di una

spada d’argento che Clary trovòfamiliare… Era quella di cui avevanotato l’assenza sulla parete della CittàSilente.

«Il Rituale della TrasformazioneInfernale» disse Magnus. «Ecco cosa stacercando di fare Valentine.»

«Il cosa di cosa?» chiese Claryaggrottando la fronte.

«Ogni oggetto magico ha unallineamento» spiegò Magnus.«L’allineamento della Spada dell’Animaè angelico… Come le spade che usatevoi Cacciatori, ma mille volte di più,perché il suo potere non derivasemplicemente dall’invocazione di unnome angelico. Deriva direttamente

dall’Angelo. Quello che Valentine vuolefare è rovesciarne l’allineamento…

e farne un oggetto di poteredemoniaco anziché angelico.»

«Da legale buono a legalemalvagio!» esclamò Simon compiaciuto.

«Sta citando Dungeons andDragons» disse Clary. «Ignoratelo.»

«L’uso di Mellartach come Spadadell’Angelo sarebbe limitato» disseMagnus. «Ma se il suo poteredemoniaco fosse pari al potere angelicoche possedeva prima, be’, sarebbemolto più efficace. Il potere sui demoni,tanto per cominciare. Valentine nonavrebbe solo la protezione limitataofferta dalla Coppa Mortale, ma anche

la facoltà di chiamare a sé i demoni e dicostringerli a eseguire i suoi ordini.»

«Un esercito di demoni?» disseAlec.

«Questo tizio ha il pallino deglieserciti» osservò Simon.

«Perfino il potere di portarli a Idris,volendo» concluse Magnus.

«Non capisco perché dovrebbeandarci» disse Simon. «Non è là chestanno tutti i Cacciatori di demoni?Annienterebbero i suoi amichetti demoniin men che non si dica, o no?»

«I demoni vengono da altredimensioni» disse Jace. «Non sappiamoquanti sono. Il loro numero potrebbeessere infinito. Le protezioni ne possono

respingere molti, ma se arrivano tuttiinsieme…»

Infinito, pensò Clary. Si ricordò ilDemone Superiore, Abbadon, e cercò diimmaginarne centinaia. O migliaia. Sisentì la pelle fredda e nuda.

«Non ci arrivo» fece Alec. «Cosa haa che fare il rituale con i Nascostimorti?»

«Per eseguire il Rituale dellaTrasformazione bisogna arroventare laSpada finché non è incandescente,quindi raffreddarla quattro volte, ognunanel sangue di un giovane Nascosto. Unavolta nel sangue di un figlio di Lilith,una nel sangue di un figlio della luna,una nel sangue di un figlio della notte e

una nel sangue di un figlio delle fate»spiegò Magnus.

«Oh, mio Dio» disse Clary. «Perciònon ha finito di uccidere? Ne mancaancora uno?»

«Due. Con il giovane lupo mannaronon gli è andata bene. È stato interrottoprima di poter prendere tutto il sanguenecessario.» Magnus chiuse il librofacendo volare la polvere dalle pagine.«Qualunque sia il fine ultimo diValentine, è più che a metà dell’opera diTrasformazione della Spada.

Probabilmente può già trarne uncerto potere. Magari sta chiamando idemoni…»

«Ma se lo stesse facendo,

dovrebbero esserci rapporti didisordini, di un eccesso di attivitàdemoniaca» disse Jace. «E invecel’Inquisitrice ha detto esattamente ilcontrario… che è tutto tranquillo.»

«E così potrebbe essere» disseMagnus «se Valentine stesse chiamandotutti i demoni. »

I presenti si scambiarono rapideocchiate. Prima che a qualcuno venissein mente qualcosa da dire, un suonoacuto attraversò la stanza facendotrasalire Clary. Il caffè bollente le siversò sul polso, facendola restare senzafiato per il dolore.

«È mia madre» disse Aleccontrollando il telefono. «Torno subito.»

An-dò alla finestra a testa china,parlando a voce troppo bassa perché glialtri potessero sentirlo.

«Fa’ vedere» disse Simon prendendola mano di Clary. Sul polso, nel punto incui il liquido bollente l’aveva bruciata,c’era una chiazza rosso vi-vo.

«È okay» fece la ragazza. «Niente digrave.»

Simon sollevò la mano e baciò laferita. «Adesso la bua non c’è più.»

Clary emise un verso sbigottito.Simon non aveva mai fatto niente disimile, prima. Insomma, era il genere dicose che fanno quelli che stannoinsieme, no? Ritraendo il polso, Claryguardò oltre il tavolo e vide Jace che li

osservava, gli occhi doratifiammeggianti. «Sei una Cacciatrice»disse.

«Sai come trattare le ferite.» Fecescivolare il suo stilo sul tavolo verso dilei. «Usalo.»

«No» fece Clary, e glielo rimandò.Jace sbatté con violenza la mano

sullo stilo. «Clary…»«Ha detto che non vuole» disse

Simon. «Ah-ah.»«Ah-ah?» Jace assunse un’aria

incredula. «Sarebbe questo il tuo mododi rispondere per le rime?»

Alec chiuse il telefono e si avvicinòal tavolo con un’espressione confusa.«Che succede?»

«Sembriamo i personaggi di unasoap opera» osservò Magnus. «È tuttomolto noioso.»

Alec si scostò un ciocca di capellidagli occhi con un movimento del ca-po.«Ho detto a mia madre dellaTrasformazione Infernale.»

«Lasciami indovinare» disse Jace.«Non ti ha creduto. Anzi, ha dato a me lacolpa di tutto.»

Alec aggrottò la fronte. «Nonesattamente. Ha detto che avrebbesollevato la questione davanti alConclave, ma che in questo momentonon ha molta influenza sull’Inquisitrice.Ho l’impressione che lei abbiaestromesso la mamma e abbia preso il

suo posto. Era piuttosto arrabbiata.» Ilcellulare squillò di nuovo. «Scusate. ÈIsabelle. Un secondo.» Tornò allafinestra col telefono in mano.

Jace lanciò un’occhiata a Magnus.«Credo che tu abbia ragione sul lupomannaro all’Hunter’s Moon. Il tizio cheha trovato il suo corpo ha detto chec’era qualcun altro nel vicolo. Qualcunoche è scappato.»

Magnus annuì. «Mi viene da pensareche Valentine sia stato interrotto nel belmezzo di ciò stava facendo per prendereil sangue, qualunque cosa fosse.Probabilmente ci proverà di nuovo, conun altro giovane licantropo.»

«Devo avvertire Luke» disse Clary,

facendo per alzarsi dalla sedia.«Aspetta.» Alec era tornato, con il

telefono in mano e un’espressione stranasul viso.

«Che cosa voleva Isabelle?» chieseJace.

Alec esitò. «Dice che la Reginadella Corte Seelie ci ha chiestoudienza.»

«Come no» disse Magnus. «EMadonna mi vuole come ballerino per ilsuo prossimo tour mondiale.»

Alec sembrò perplesso. «Chi èMadonna?»

«E chi è la Regina della CorteSeelie?»

«È la Regina delle Fate» disse

Magnus. «Be’, quella locale.»Jace si prese la testa tra le mani.

«Di’ di no a Isabelle.»«Ma lei la trova una buona idea»

protestò Alec.«Allora dille di no due volte. »Alec aggrottò la fronte. «Questo

cosa dovrebbe significare?»«Oh, soltanto che alcune delle idee

di Isabelle sono la fine del mondo ealtre delle fesserie totali. Ricordiquando le è venuto il ghiribizzo di usarele gallerie abbandonate della metro perspostarsi sotto la città? Certi topigiganti…»

«Ti prego» fece Simon «preferireiche non toccaste questo tasto.»

«Stavolta è diverso» disse Alec.«Vuole che andiamo alla Corte Seelie.»

«Hai ragione, è diverso» replicòJace. «Questa è la peggiore idea cheabbia mai avuto.»

«Lei conosce un cavaliere dellaCorte» spiegò Alec. «Le ha detto che laRegina di Seelie è interessata aincontrarci. Isabelle ha sentito per casola mia conversazione con la mamma… eha pensato che se spieghiamo la nostrateoria su Valentine e la Spadadell’Anima alla Regina, la Corte Seeliepotrebbe darci manforte. E forse sialleerebbe persino con noi contro dilui.»

«È sicuro andarci?» chiese Clary.

«Certo che non è sicuro» disse Jace,come se fosse la domanda più stupidache avesse mai sentito.

Lei gli lanciò un’occhiata truce. «Ionon so niente della Corte Seelie. Aivampiri e ai lupi mannari ci arrivo. Cisono abbastanza film su di loro. Ma lefate sono roba da bambini. A otto annimi sono travestita da fata perHalloween. Mia madre mi aveva fatto uncappello a forma di ranuncolo.»

«Me lo ricordo.» Simon si eraappoggiato allo schienale della sediacon le braccia conserte. «Io ero vestitoda Transformer. Più precisamente, daDecepticon.»

«Possiamo tornare al punto?» chiese

Magnus.«Okay» disse Alec. «Isabelle pensa,

e io sono d’accordo con lei, che non siauna buona idea ignorare il PopoloFatato. Se vogliono parlarci, che ma-lec’è? E poi, se la Corte Seelie stessedalla nostra parte, il Conclave dovrebbeascoltare quello che abbiamo da dire.»

Jace rise senza alcuna allegria. «IlPopolo Fatato non aiuta gli umani. »

«I Cacciatori non sono umani» disseClary. «Non esattamente.»

«Ai loro occhi non siamo moltomeglio» disse Jace.

«Peggio dei vampiri non possonoessere» borbottò Simon. «E con loro tela sei cavata bene.»

Jace lo guardò come se fosse unamuffa trovata sotto il lavello. « Me lasono cavata bene? Se ben capisco, conquesto intendi dire che abbiamo salvatola pelle?»

«Be’…»«Le fate» continuò Jace come se

Simon non avesse parlato «sono il frut-to dell’unione di demoni e angeli, con labellezza degli angeli e la cattiveria deidemoni. Se invadi il loro territorio, ivampiri possono attaccarti, ma una fatapuò costringerti a ballare fino a fartimorire con le gambe ridotte amoncherini, può indurti con l’inganno auna nuotata di mezzanotte e trasci-nartiurlante sott’acqua finché non ti

esplodono i polmoni, può riempirti gliocchi di polvere fatata finché non te listrappi…»

«Jace!» scattò Clary,interrompendolo a metà della tirata.«Sta’ zitto. Ge-sù. Basta.»

«Senti, è facile essere più astuti diun lupo mannaro o di un vampiro»

disse Jace. «Non sono più furbi dichiunque altro. Ma le fate vivonocentinaia di anni e sono astute comeserpi. Non possono mentire, ma adoranogiocare a dire la verità in manieracreativa. Scopriranno ciò che vuoi piùdi ogni altra cosa al mondo e te looffriranno… nascondendoci dentroun’insidia che ti farà rimpiangere di

averlo mai desiderato.» Sospirò. «Nonsono molto disposte ad aiutare la gente.Piuttosto a farle del male fingendo diaiutarla.»

«E non credi che siamo abbastanzain gamba per capire la differenza?»

chiese Simon.«Non credo che tu sia abbastanza in

gamba da non farti trasformare in untopo.»

Simon gli lanciò un’occhiataassassina. «Non vedo che importanzaabbia quello che pensi che dovremmofare» disse. «Tanto non puoi venire connoi. Non puoi andare da nessuna parte.»

Jace si alzò, rovesciando conviolenza la sedia. «Non porterai Clary

alla Corte Seelie senza di me. E conquesto il discorso è chiuso!»

Clary lo fissò a bocca aperta. Erapaonazzo di rabbia, i denti digrignati, levene del collo in rilievo. E cercava dievitare il suo sguardo.

«Posso badare io a Clary» suggerìAlec. C’era del risentimento nella suavoce… Se fosse perché Jace avevadubitato delle sue capacità o per un altromotivo, Clary non avrebbe saputo dirlo.

«No, Alec» fece Jace, gli occhi fissiin quelli del fratellastro. «Non puoi.»

Alec deglutì. «Noi andiamo» dissecon un tono dimesso, quasi scusan-dosi.«Jace… è una richiesta della CorteSeelie… sarebbe sciocco ignorarla.

E poi, probabilmente Isabelle gli hagià detto che ci saremmo andati.»

«Non te lo lascerò fare neanchemorto, Alec» disse Jace in tonominaccioso. «Ti metterò KO, se sarànecessario.»

«Quantunque la prospettiva siainteressante» disse Magnus rimboccan-dosi le lunghe maniche di seta «cisarebbe un altro modo.»

«E quale? È una direttiva delConclave. Non posso scantonare comese niente fosse.»

«Ma io sì.» Magnus sghignazzò.«Non mettere mai in dubbio le miecapacità di scantonare, Cacciatore,perché possono raggiungere livelli

memo-rabili, epici direi. Sul miocontratto con l’Inquisitrice ho gettato unapposi-to incantesimo che mi consentedi lasciarti andare per breve tempo, selo desidero, purché un altro Nephilimprenda il tuo posto.»

«E dove lo troviamo un altro… ah»disse Alec in tono mite. «Vuoi dire me?»

Le sopracciglia di Jace schizzaronoin su. «Oh, non dirmi che adesso nonardi più dal desiderio di andare allaCorte Seelie?»

Alec avvampò. «Forse è meglio seci vai tu. Sei il figlio di Valentine e sonosicuro che la Regina vuole vedere te,non me. E poi, sei un tipo affascinante.»

Jace gli lanciò un’occhiata truce.

«Magari non in questo momento» sicorresse Alec. «Ma di solito lo sei.

E le fate sono molto sensibili alfascino.»

«Inoltre, se rimani qui, ti lascio tuttala prima serie di Gilligan’s Island inDVD» suggerì Magnus.

«Nessuno potrebbe rifiutare unaproposta del genere» disse Jace. Evitavaancora di guardare Clary.

«Isabelle vi aspetta al parco, alTurtle Pond» disse Alec. «Conoscel’entrata segreta della Corte.»

«E un’ultima cosa» aggiunse Magnusdando dei colpetti a Jace con il di-toingioiellato. «Cerca di non fartiammazzare alla Corte Seelie. Se muori,

avrò un sacco di spiegazioni da dare.»A quelle parole Jace fece un largo

sorriso. Era un sorriso inquietante, piùsimile al bagliore di una spada sguainatache a un lampo di divertimento.

«Sai» disse «ho la sensazione che titoccherà farlo comunque, che io vengaucciso oppure no.»

Fitte formazioni di muschi e altrepiante circondavano il margine delTurtle Pond come un bordo di merlettoverde. La superficie dell’acqua eraimmobile, a eccezione delle scielasciate dalle anatre che vi navigavano odelle increspature provocate dal guizzoargenteo della coda di un pesce.

Un piccolo gazebo di legno si

protendeva sull’acqua. Lì era sedutaIsabelle, lo sguardo fisso sul lago.Sembrava la principessa di una favola incima a una torre in attesa che qualcunovenisse a salvarla.

Non che il tradizionalecomportamento delle principesse siaddicesse a Isabelle. Con la frusta, glistivali e i coltelli avrebbe fatto a fettechiunque avesse provato a rinchiuderlain una torre: lei avrebbe costruito unpiano inclinato con le macerie eriguadagnato spensieratamente la libertà,mante-nendo per tutto il tempoun’acconciatura fantastica. Questo larendeva una persona difficile da farsipiacere, ma Clary ci stava provando.

«Izzy» disse Jace mentre siavvicinavano al laghetto, e lei saltò supiro-ettando su se stessa. Aveva unsorriso abbagliante.

«Jace!» Gli si precipitò incontro e loabbracciò. Quello sì che era il mo-do incui dovrebbero comportarsi le sorelle,pensò Clary. Non tutto rigido, strambo ebizzarro, ma lieto e affettuoso.Guardando Isabelle abbracciare Jace,cercò di costringere i propri lineamentiad assumere un’espressione…

lieta e affettuosa.«Ti senti bene?» chiese Simon un po’

preoccupato. «Hai gli occhi storti.»«Sto bene.» Clary rinunciò al

tentativo.

«Sei sicura? Sembravi come…contorta. »

«Sarà stato qualcosa che homangiato.»

Isabelle scivolò verso di loro,seguita da Jace. Indossava un paio distivali, un vestito lungo nero e unsoprabito a coda di rondine ancora piùlungo, di un morbido velluto verde, ilcolore del muschio. «Non posso credereche tu ci sia riuscito!» esclamò. «Comeavete fatto a convincere Magnus alasciarlo venire?»

«Dandogli Alec in cambio» disseClary.

Isabelle sembrò leggermenteallarmata. «Non per sempre?»

«No» rispose Jace. «Solo per pocheore. A meno che io non torni più»

aggiunse con aria pensierosa. «Nelqual caso forse potrà tenersi Alec.Consideralo un leasing.»

Isabelle sembrava dubbiosa.«Mamma e papà non saranno contenti, selo scopriranno.»

«Di sapere che avete liberato unpotenziale criminale dando in cambiotuo fratello a uno stregone che sembra unSonic the Hedgehog versione gay e siveste come l’Accalappiabambini nelfilm Chitty Chitty Bang Bang?» chieseSimon. «No, probabilmente no.»

Jace lo guardò con aria pensierosa.«Hai qualche buona ragione per essere

qui? Non sono tanto sicuro chedovremmo portarti alla Corte Seelie.Odiano i mondani.»

Simon alzò gli occhi al cielo. «No,per favore, basta.»

«No cosa?» domandò Clary.«Ogni volta che lo irrito, si ritira

nella sua casetta sull’albero e mettefuori un cartello con scritto VIETATOL’INGRESSO AI MONDANI.» Simonpuntò il dito su Jace. «Permettimi diricordarti che l’ultima volta che volevilasciarmi a casa ho salvato la vita a tuttivoi.»

«Certo» disse Jace. «Una volta…»«Le corti delle fate sono pericolose»

intervenne Isabelle. «Neanche la tua

abilità con l’arco ti sarà d’aiuto. Non èquel tipo di pericolo.»

«So badare a me stesso» ribattéSimon.

Si era levato un vento pungente cheagitò le foglie quasi secche sulla ghiaiaai loro piedi, e fece rabbrividire Simon,che si infilò le mani nelle taschefoderate di lana della giacca.

«Non devi venire per forza» disseClary.

Simon la guardò, un’occhiata ferma,misurata. Clary lo rivide a casa di Luke,quando l’aveva chiamata la mia ragazzasenza il minimo dubbio o esitazione. DiSimon si poteva dire tutto, tranne chenon sapesse cosa voleva. «Sì che devo»

replicò.Jace fece un sommesso verso di

insofferenza. «Allora direi che siamopronti. Non aspettarti nessun trattamentospeciale, mondano.»

«Considera il lato positivo» disseSimon. «Se esigono un sacrificio umano,puoi sempre offrire me, anche perchénon credo che tu abbia i re-quisitiadatti.»

Jace si animò. «Fa sempre piacerequando qualcuno si offre volontario perfarsi mettere al muro per primo.»

«Avanti» fece Isabelle. «La porta staper aprirsi.»

Clary si guardò intorno. Il sole eracalato ed era sorta la luna, uno spic-chio

bianco latte che proiettava il suo riflessosul laghetto. In realtà era in ombra da unlato, e faceva pensare a un occhio con lapalpebra calata. Il vento notturnoscuoteva i rami degli alberi,sbatacchiandoli fra loro con un rumoredi ossa cave.

«Dov’è che andiamo?» chiese Clary.«Dov’è la porta?»

Il sorriso di Isabelle era come unsegreto sussurrato. «Seguimi.»

Scese verso il bordo dell’acqualasciando impronte profonde con glistivali nel fango molle. Clary la seguì,felice di indossare dei jeans e non lagonna, quando vide Isabelle che si tiravail soprabito e il vestito sopra le

ginocchia, lasciando le snelle gambebianche scoperte al di sopra deglistivali. Aveva la pelle coperta di marchicome sbaffi di fumo nero.

Simon, dietro di lei, scivolò nelfango e imprecò; Jace si mosseautomaticamente per sostenerlo mentregli altri si voltavano. Simon tirò via ilbraccio. «Non ho bisogno del tuo aiuto.»

«Smettetela» Isabelle finì con unpiede nell’acqua bassa in riva allaghetto. «Tutti e due. Anzi, tutti e tre. Senon restiamo uniti nella Corte Seelie,siamo spacciati.»

«Ma io non ho…» cominciò a direClary.

«Forse tu non hai… ma il modo in

cui lasci che si comportino quei du-e…»Isabelle indicò i ragazzi con un gestosprezzante della mano.

«Non posso mica dirgli cosa fare!»«Perché no?» domandò l’altra.

«Francamente, Clary, se non cominci ausare un pizzico della tua innatasuperiorità femminile, non so propriocosa farò con te.» Si girò verso illaghetto, quindi roteò di nuovo su sestessa.

«Ah, prima che mi dimentichi»aggiunse in tono severo «per amordell’Angelo, non mangiate e non beveteniente mentre siamo sottoterra.

Nessuno di voi, okay?»«Sottoterra?» chiese Simon con aria

preoccupata. «Nessuno aveva parlato diandare sottoterra.»

Isabelle sollevò le mani e sguazzònell’acqua. Il soprabito di velluto verdele si gonfiò intorno come un’enormeninfea. «Avanti. Abbiamo tempo solofinché la luna rimane immobile.»

La luna cosa? Clary avanzò nellaghetto scuotendo la testa. L’acqua erabassa e limpida; alla luce delle stelle,scorse nere sagome di pesciolinipassarle veloci accanto alle caviglie.Strinse i denti e avanzò a fatica. Facevaun freddo cane.

Alle sue spalle, Jace si mossenell’acqua con grazia controllata, incre-spando appena la superficie. Simon,

dietro di lui, sguazzava tra un proflu-viodi imprecazioni. Raggiunto il centro dellaghetto, Isabelle si fermò, immersanell’acqua fino al petto, e allungò lamano verso Clary. «Ferma.»

Clary si fermò. Proprio davanti a lei,il riflesso della luna scintillò sull’acquacome un vassoio d’argento. Una parte dilei sapeva che le cose non funzionavanocosì; via via che ci si avvicinava, laluna doveva ritrarsi.

E invece eccola lì, librata sullasuperficie dell’acqua come se fosseancora-ta sul posto.

«Jace, vai tu per primo» disseIsabelle facendogli cenno di andare.

Jace passò accanto a Clary odorando

di cuoio umido e bruciaticcio. Lei lovide girarsi sorridendo, poi fare unpasso indietro nel riflesso della lu-na…e sparire.

«Fantastico» fece Simon con ariainfelice. «Davvero divertente.»

Clary si girò a guardarlo. Eraimmerso nell’acqua solo fino ai fianchi,ma tremava, le mani strette ai gomiti. Glisorrise e fece un passo indietro,sentendo una sferzata di freddo ancorapiù intenso, quando avanzò nel riflessoargenteo luccicante. Per un istantevacillò, come se avesse persol’appoggio sul piolo più alto di unascala… poi cadde all’indietronell’oscurità mentre la luna la

inghiottiva.Colpì la terra battuta, inciampò e si

sentì sostenere per il braccio da unamano. Era Jace. «Attenta» disse, e lalasciò.

Clary era fradicia, rivoli di acquafredda le scorrevano giù per la schiena,i capelli bagnati e appiccicati al viso. Ivestiti zuppi sembravano pesare unatonnellata.

Si trovavano in un corridoio scavatonella terra e illuminato da un muschioche luccicava debolmente. A una delledue estremità, un intrico di tralcipenzolanti formava una tenda e lunghiviticci pelosi pendevano dal soffittocome serpenti morti. Radici d’albero, si

rese conto Clary. Erano sottoterra. Equaggiù faceva freddo, abbastanzafreddo da farle uscire sbuffi dinebbiolina gelida quando espirava.

«Freddo?» anche Jace era bagnatofradicio, i capelli chiari quasi incolorinei punti in cui erano incollati alleguance e alla fronte. L’acqua gli colavadai jeans e dalla giacca bagnata erendeva trasparente la camicia biancache indossava. Attraverso di essa Claryvide le linee scure dei suoi marchipermanenti e la lieve cicatrice sullaspalla.

Distolse svelta lo sguardo. Legoccioline sulle ciglia le offuscavano lavista come lacrime. «Sto bene.»

«Non sembra.» Jace le si avvicinò eperfino attraverso gli abiti bagnati Clarypercepì il suo calore che le scongelavala pelle intirizzita.

Con la coda dell’occhio scorseun’ombra scura sfrecciarle accanto ecolpire il suolo con un tonfo. Era Simon,anche lui gocciolante. Si mise inginocchio e si guardò freneticamenteintorno. «I miei occhiali…»

«Li ho io.» Clary era abituata arecuperare gli occhiali di Simon, quandogiocava a pallone. Gli finivano spessosotto i piedi, dove venivano inevita-bilmente calpestati. «Eccoli.»

Simon se li infilò, grattando via laterra dalle lenti. «Grazie.»

Clary sentiva che Jace li fissava,sentiva il suo sguardo come un pesosulle spalle. Si chiese se capitasse lostesso a Simon, che si stava alzandotutto imbronciato proprio mentreIsabelle piombava dall’alto e atterravacon grazia sui piedi. L’acqua le colavadai lunghi capelli grondanti e rendevaancora più pesante il suo soprabito divelluto, ma lei non sembrava quasi farcicaso. «Wow, che sballo!»

«È il colmo» fece Jace. «Quest’annoper Natale ti regalerò un diziona-rio.»

«Perché?» domandò Isabelle.«Così potrai cercarci la parola

“sballo”. Non sono sicuro che tu sappiacosa significa.»

Isabelle spinse in avanti la lunga epesante massa dei capelli zuppi e lastrizzò come se fosse un panno dabucato. «Accipicchia, che docciafredda.»

«Sono già abbastanza fradicio,casomai non l’avessi notato.» Jace siguardò intorno. «E adesso? Da che partesi va?»

«Da nessuna parte» disse Isabelle.«Aspettiamo qui che ci vengano aprendere.»

Clary non fu particolarmenteentusiasta della cosa. «Ma come fanno asapere che siamo qui? C’è uncampanello da suonare o qualcosa delgenere?»

«La Corte sa tutto quello chesuccede sul suo territorio. La nostrapresenza non passerà inosservata.»

Simon la guardò sospettoso.«Comunque sia, come fai a sapere tuttequeste cose sulle fate e sulla CorteSeelie?»

Isabelle, con sorpresa di tutti,arrossì. Un attimo dopo, la tenda ditralci si aprì e una fata maschio laoltrepassò, scostando dal volto i lunghicapelli. Clary aveva visto alcuni membridel Popolo Fatato alla festa di Magnused era rimasta colpita sia dalla loroalgida bellezza, sia da un che di so-prannaturale e sfrenato che licaratterizzava quando ballavano e

bevevano.Questo individuo non faceva

eccezione: i capelli gli ricadevano inciocche color blu notte intorno al visofreddo, appuntito, attraente; gli occhierano verdi come muschio e su uno deglizigomi c’era una voglia, o un tatuaggio,a forma di foglia. Portava un’armaturabruno-argentea come la corteccia dicerti alberi, d’inverno, che quando simuoveva risplendeva di una moltitudinedi colori: nero peltro, verde muschio,grigio cenere, azzurro cielo.

Isabelle lanciò un grido e gli si gettòtra le braccia. «Meliorn!»

«Ah» fece Simon, calmo e non senzaironia « ecco come fa a sapere tante

cose.»La fata maschio, Meliorn, abbassò lo

sguardo sulla ragazza con aria grave,quindi la staccò da sé e la allontanò condelicatezza. «Non è il momento delleaffettuosità» disse. «La Regina dellaCorte Seelie ha chiesto un’udienza con itre Nephilim del gruppo. Voleteseguirmi?»

Clary mise una mano sulla spalla diSimon con aria protettiva. «E il nostroamico?»

Meliorn rimase impassibile. «Imondani non sono ammessi alla Corte.»

«Avrei preferito che me l’avesserodetto prima» commentò Simon senzarivolgersi a nessuno in particolare. «Se

ho ben capito, mi toccherà aspettare quifinché non cominceranno a spuntarmi deitralci?»

Meliorn rimase soprappensiero.«Potrebbe essere molto spassoso.»

«Simon non è un mondano come glialtri. Di lui ci si può fidare» disse Jacecon gran sorpresa di tutti, soprattutto diSimon. Clary capiva che Simon erastupito dal fatto che Jace lo fissavasenza fare la minima battuta.

«Ha combattuto molte battaglie connoi.»

«Vale a dire una» borbottò Simon.«Due, se contiamo quella a cui hopartecipato come topo.»

«Non entreremo nella Corte Seelie

senza Simon» disse Clary, la manoancora sulla sua spalla. «È stata la tuaRegina a chiederci questa udienza,rammenti? Non siamo venuti qui dinostra iniziativa.»

Negli occhi di Meliorn apparve unguizzo divertito. «Come volete» disse.«Che non si dica che la Corte Seelie nonrispetta i desideri dei suoi ospiti.»Ruotò facendo perno su un piede calzatoin uno stivale impeccabile e li guidòlungo il corridoio senza voltarsi acontrollare se gli andassero dietro.Isabelle gli corse accanto, lasciando cheJace, Clary e Simon li se-guissero insilenzio.

«Siete autorizzati a uscire con i

membri del Popolo Fatato?» chieseinfine Clary. «I tuoi… i Lightwoodapproverebbero che Isabelle e comesi-chiama…»

«Meliorn» intervenne Simon.«… Meliorn escano insieme?»«Non sono tanto sicuro che escano»

disse Jace, caricando l’ultima parola dipesante ironia. «Immagino che per lo piùstiano in casa. O, meglio, sottoterra.»

«A quanto pare disapprovi.» Simonscostò una radice. Erano passati da uncorridoio dalle pareti terrose a uno tuttorivestito di pietre levigate, con soloqualche rara radice che sbucava dalsoffitto. Il pavimento era di una sostanzadura lucida, che non era marmo, ma una

pietra venata di linee di un materialescintillante simile a gioielli polverizzati.

«Non esattamente» disse Jace abassa voce. «Le fate sono note perché sidivertono a gingillarsi coi mortaliquando capita, ma finiscono sempre perabbandonarli, di solito piuttostomalconci.»

Le sue parole fecero correre unbrivido per la schiena a Clary. Inquell’istante, Isabelle rise, e Clary capìperché Jace aveva abbassato il tono: lepareti rimandavano verso di loro lavoce di Isabelle amplificata edecheggiante, come se le sue risaterimbalzassero sulle pietre.

«Sei talmente buffo!» Il tacco dello

stivale si incastrò tra due pietre eIsabelle inciampò. Meliorn la afferrò ela raddrizzò senza cambiareespressione.

«Non capisco come facciate voiumani a camminare con scarpe così al-te.»

«Il mio motto è…» disse Isabellecon un sorriso sensuale «”mai meno didiciotto centimetri”.»

Meliorn la fissò impassibile.«Sto parlando dei tacchi» precisò

lei. «È un gioco di parole, sai? Unabattuta su…»

«Andiamo» fece il cavaliere dellefate. «La Regina starà diventandoimpaziente.» Si avviò lungo il corridoio

senza degnare Isabelle di una secondaocchiata.

«Dimenticavo» mormorò Isabellementre veniva raggiunta dagli altri. «IlPopolo Fatato non ha il sensodell’umorismo.»

Simon guardò Jace, aprì la boccacome per chiedergli qualcosa, poisembrò ripensarci. La richiuse di scattoproprio mentre il corridoio sfocia-va inun’ampia sala col pavimento di terrabattuta e le pareti ornate di alte colonnedi pietra avviluppate da tralci e fiorivivaci in un’esplosione di colori. Tra lecolonne erano appesi leggeri teli colorazzurro cielo. La sala era piena di luce,anche se Clary non vedeva torce, e

l’effetto complessivo era quello di unpadiglione estivo immerso nel chiaroredel sole, piuttosto che di un localesotterraneo di terra e di pietra.

La prima impressione di Clary fu ditrovarsi all’esterno, la seconda che lasala fosse piena di gente. Risuonava unastrana musica, rotta da note a-grodolci,una sorta di equivalente sonoro delmiele mescolato al succo di limone, ec’erano fate che danzavano in circolo alsuono della musica, i piedi chesembravano sfiorare appena ilpavimento. I loro capelli - di coloreazzurro, nero, castano, scarlatto, doratometallico e bianco ghiaccio -

ondeggiavano come bandiere.

Ora capiva perché una bella donnaveniva definita una fata: maschi efemmine erano magnifiche, coi bei voltipallidi, le ali lilla, dorate e azzurre…Come aveva potuto credere a Jace,quando diceva che le avrebbero fatto delmale? La musica che all’inizio le avevacolpito i timpani adesso le sembravasolo dolce. Sentì l’impulso di agitare icapelli e di muovere i piedi nella danza.La musica le diceva che, se l’avessefatto, anche lei sarebbe stata tantoleggera da sfiorare leggiadra ilpavimento. Fece un passo avanti…

E fu tirata indietro per un braccio.Jace la fulminò con lo sguardo, gli occhidorati e lucenti come quelli di un gatto.

«Se danzi con loro» disse a bassa voce«danzerai fino a morire.»

Clary lo fissò sbattendo gli occhi. Sisentiva come se l’avessero strappata daun sogno, stordita e insonnolita. Quandoparlò, farfugliò. «Cooosa?»

Jace fece un verso di impazienza.Aveva lo stilo in mano. Le afferrò ilpolso e le tracciò rapidamente unmarchio doloroso sulla pelle, sulla parteinterna del braccio. «E adesso guarda.»

Clary guardò… e si raggelò. I visiche le erano sembrati così belli lo eranoancora, ma dietro di essi si nascondevaqualcosa di volpino, quasi feri-no. Unaragazza con le ali rosa e azzurre fece uncenno, e Clary vide che le sue dita erano

fatte di ramoscelli, con germogli difoglie non ancora dischiuse. Aveva gliocchi tutti neri, senza iridi e pupille. Ilragazzo che le ballava accanto aveva lapelle verde veleno e corna attorcigliateche gli spuntavano dalle tempie. Mentreroteava nella danza, gli si aprì la giaccae al posto del petto Clary scorse unagabbia toracica vuota. Tra le costolenude erano intrecciati nastri, forse perdargli un’aria più festosa. Le venne ilvoltastomaco.

« Vieni. » Jace la spinse e Claryavanzò incespicando. Quando riacquistòl’equilibrio si guardò intorno ansiosacercando Simon. Era più avanti, e vi-deche Isabelle lo teneva saldamente.

Questa volta non le dispiacque.Dubitava che Simon ce l’avrebbe fattaad attraversare il salone da solo.

Aggirando il cerchio dei danzatori,andarono verso l’estremità oppostadella sala e oltrepassarono una tenda diseta azzurra. Fu un sollievo uscire di lì epercorrere un altro corridoio, questavolta intagliato in un materiale marronechiaro come il gheriglio di una noce.Isabelle lasciò Simon, che si fermò dicolpo. Avvicinandosi, Clary capìperché: Isabelle gli aveva legato unasciarpa sugli occhi. Quando Clary loraggiunse, stava armeggiando con ilnodo. «Lascia fare a me» disse, e ilragazzo rimase immobile mentre lei

glielo scioglieva e porgeva di nuovo lasciarpa a Isabelle con un cenno diringraziamento.

Simon si tirò indietro i capelli. Dovela sciarpa li aveva stretti erano umidi.«Forte quella musica» osservò. «Un po’country un po’ rock and roll.»

Meliorn, che si era fermato adaspettarli, aggrottò la fronte. «A te non èpiaciuta?»

«Mi è piaciuta anche troppo»rispose Clary. «Cos’era, una specie ditest?

O uno scherzo?»Meliorn fece spallucce. «Sono

abituato a vedere gli umani turbati dainostri incantesimi di fate; per i Nephilim

è diverso. Pensavo che avessi delleprotezioni.»

«Le ha» disse Jace, incrociando losguardo verde giada di Meliorn.

Quest’ultimo si limitò ad alzare lespalle e riprese a camminare. Perqualche istante Simon procedette insilenzio accanto a Clary, quindi chiese:«Allora, che cosa mi sono perso? Donneche ballavano nude?»

Clary ripensò alle costole apertedella fata maschio e rabbrividì. «Nientedi tanto piacevole.»

«Ci sono vari modi per farpartecipare un umano alle feste dellefate» intervenne Isabelle, che era stata asentire. «Se ti danno un pegno da

conservare, che so, una foglia o un fiore,e tu lo tieni durante la notte, al mattinostarai bene. Oppure, se seiaccompagnata da un membro del PopoloFatato…» Lanciò un’occhiata a Meliorn,ma quello aveva già raggiunto unacortina frondosa inserita nella parete esi era fermato là.

«Queste sono le stanze dellaRegina» disse. «È venuta dalla suaCorte settentrionale per occuparsi dellamorte del giovane elfo. Se dev’esserciuna guerra, vuole essere lei adichiararla.»

Da vicino, Clary vide che la cortinaera fatta di tralci fittamente intrecciati edisseminati di germogli simili a

goccioline d’ambra. Meliorn li scostò eintrodusse i quattro nella cameradall’altra parte.

Jace si chinò e passò per primo,seguito da Clary. Varcata la soglia, lei siraddrizzò e si guardò intorno concuriosità.

La stanza era semplice, con le paretirivestite di stoffa chiara. Fuochi fa-tuibrillavano dentro vasi di vetro. Su unbasso divano era adagiata una splendidadonna, circondata da quelli chedovevano essere i suoi cortigiani: uneterogeneo assortimento di fate, daipiccoli folletti a creature che avevanol’aspetto di bellissime ragazze umanedai capelli lunghi… a parte gli occhi

neri senza pupille.«Mia Regina» disse Meliorn

eseguendo un profondo inchino. «Ti hoportato i Nephilim.»

La Regina si raddrizzò. Aveva lunghicapelli rossi che sembravano flut-tuarleintorno come foglie d’autunno al vento.Gli occhi erano di un azzurro trasparentecome il vetro, lo sguardo tagliente comeun rasoio. «Tre di loro sono Nephilim»disse. «L’altro è un mondano.»

Meliorn sembrò farsi piccolopiccolo, ma la Regina non lo degnò diun’occhiata. Aveva lo sguardo fisso suiCacciatori. Clary ne avvertiva il peso,come un tocco. Nonostante la sualeggiadria, non c’era nulla di fragile

nella Regina. Era altrettanto luminosa edifficile da guardare di un solesplendente.

«Le nostre scuse, mia signora.» Jacefece un passo avanti, mettendosi tra lei ei suoi compagni. Aveva cambiato tono divoce: ora nel suo modo di parlare c’erauna sfumatura nuova, cauta e gentile.«Siamo responsabili del mondano. Glidobbiamo protezione. Per questo loteniamo con noi.»

La Regina inclinò la testa di latocome un uccello curioso. Adesso tutta lasua attenzione era rivolta a Jace. «Undebito di sangue?» mormorò.

«Verso un mondano?»«Mi ha salvato la vita» spiegò Jace.

Clary sentì Simon irrigidirsi al suofianco per la sorpresa. Desiderò che nonla lasciasse trapelare. Le fate nonsapevano mentire, aveva detto Jace, eneppure Jace stava mentendo… Simongli aveva davvero salvato la vita. Perònon era per quello che l’avevano portatocon loro. Clary cominciò a capire cosaintendeva Jace con “dire la verità inmaniera creativa”. «Ti prego, miasignora. Speravamo che avresti capito,dato che abbiamo saputo che sei gentilequanto bella, e in tal caso, be’» concluseJace «la tua gentilezza deve esseredavvero sconfinata.»

La Regina sorrise compiaciuta e sipiegò in avanti. I capelli lucenti le ri-

caddero sul viso, oscurandolo. «Seiaffascinante come tuo padre, JonathanMorgenstern» disse, e fece un gestoverso i cuscini sparsi sul pavimento.

«Vieni, siedi accanto a me. Mangiaqualcosa. Bevi. Riposati. Si parlameglio con le labbra bagnate.»

Per un istante Jace sembrò confuso.Esitò. Meliorn si chinò su di lui e parlòin tono mellifluo. «Sarebbe imprudenterifiutare la generosità della Regina dellaCorte Seelie.»

Gli occhi di Isabelle guizzaronoverso di lui. Poi scrollò le spalle. «Se-derci soltanto non potrà nuocerci.»

Meliorn li condusse verso unamucchio di cuscini di seta, vicino al

divano della Regina. Clary si sedetteguardinga, aspettando quasi di trovarciuna grossa radice acuminata in attesa ditrafiggerle il sedere. Sembrava il generedi cose che la Regina poteva trovaredivertente. Ma non successe niente. Icuscini erano morbidissimi. Siaccomodò con gli altri intorno a lei.

Una pixie dalla pelle bluastra siavvicinò, reggendo un vassoio conquattro tazze d’argento. Ognuno di loroprese una tazza piena di un liquidoambrato. Vi galleggiavano dei petalirosa.

Simon posò la tazza accanto a sé.«Non ne vuoi?» chiese la pixie.«L’ultimo intruglio delle fate che ho

bevuto non mi ha fatto molto bene»mormorò Simon.Clary quasi non lo sentì. La bevanda

aveva un profumo che dava alla testa,inebriante, più intenso e delizioso dellerose. Prese un petalo e lo schiacciò tra ilpollice e l’indice, facendo sprigionareun profumo ancora più intenso.

Jace la toccò con un gomito. «Nonbere neanche una goccia» dissesottovoce.

«Ma…»«Non bere e basta.»Clary posò la tazza, come aveva

fatto Simon. Le sue dita erano macchiatedi rosa.

«Dunque» disse la Regina. «Meliorn

mi ha detto che sostenete di sapere chiha ucciso il figlio del nostro popolo nelparco, la scorsa notte. Ma francamentemi sembra che qui non ci sia nessunmistero. Un giovane elfo dissanguato…Cos’è, mi portate il nome di unvampiro? Ma tutti i vampiri so-nocolpevoli di aver infranto la Legge eandrebbero puniti di conseguenza.

Malgrado l’apparenza, noi fate nonandiamo tanto per il sottile.»

«Oh, insomma» disse Isabelle. «Nonsono stati i vampiri.»

Jace la fulminò con lo sguardo.«Quello che Isabelle intende dire è chesiamo quasi certi che l’assassino siaqualcun altro. Che forse sta cercando di

gettare i sospetti sui vampiri per restarenell’ombra.»

«Ne avete la prova?»Il tono di voce di Jace era calmo, ma

la spalla che sfiorava Clary era rigidaper la tensione. «La scorsa notte sonostati massacrati anche i Fratelli Silenti, enessuno di loro è stato dissanguato.»

«E questo che cosa ha a che fare conil nostro piccolo? I Nephilim morti sonouna tragedia per i Nephilim, non pernoi.»

Clary sentì una fitta acuta alla manosinistra. Abbassando lo sguardo, vi-dela piccola sagoma di un follettosfrecciare tra i cuscini. Una goccia rossadi sangue le era spuntata sul dito. Se lo

mise in bocca con una smorfia. I follettierano carini, ma avevano un morsodoloroso.

«Inoltre, è stata rubata la Spadadell’Anima» disse Jace. «Sai che cos’èMellartach?»

«La spada che fa dire la verità aiCacciatori» rispose la regina con cupaironia. «Noi fate non abbiamo bisognodi un oggetto simile.»

«È stata rubata da ValentineMorgenstern» disse Jace. «Ha ucciso iFratelli Silenti per impadronirsene, enoi pensiamo che abbia ucciso anche ilvostro ragazzo. Aveva bisogno delsangue di un figlio del Popolo Fatato permettere in atto la Trasformazione della

Spada. Per farne uno strumentoutilizzabile.»

«E non si fermerà» aggiunseIsabelle. «Ha bisogno di altro sangue.»

Le sopracciglia già arcuate dellaRegina si alzarono ancora di più. «Altrosangue del Popolo Fatato?»

«No» rispose Jace, lanciando aIsabelle un’occhiata che Clary non riuscìa decifrare. «Sangue di Nascosto. Gliserve il sangue di un lupo mannaro e diun vampiro…»

Gli occhi della Regina brillarono diluce riflessa. «Non mi pare che ciriguardi.»

«Ha ucciso uno dei vostri» disseIsabelle. «Non vuoi vendicarti?»

Lo sguardo della Regina la sfioròcome l’ala di una falena. «Non subito.

Noi siamo un popolo paziente,perché abbiamo tutto il tempo delmondo.

Valentine Morgenstern è un nostrovecchio nemico… ma abbiamo nemiciancora più vecchi. Siamo disposti adaspettare e a stare a guardare.»

«Sta evocando i demoni» disse Jace.«Sta creando un esercito…»

«Demoni» ripeté la Regina in tonolieve, mentre alle sue spalle i cortigianichiacchieravano. «Dei demoni vioccupate voi, non è vero, Cacciatori?Non è forse per questo che avete autoritàsu tutti noi? Perché siete quelli che

uccidono i demoni, giusto?»«Io non sono qui per darti ordini in

nome del Conclave. Siamo venuti su tuarichiesta. E pensavamo che, se avessisaputo la verità, ci avresti aiutato.»

«È questo che pensavate?» LaRegina si sporse in avanti sulla sedia, ilunghi capelli fluttuanti, animati.«Ricorda, Cacciatore, tra noi c’è chimal sopporta l’autorità del Conclave.Può anche darsi che siamo stanchi dicombattere per le vostre guerre.»

«Ma non è solo la nostra guerra»disse Jace. «Valentine odia i Nascostipiù che i demoni. Se ci sconfigge, iprossimi che perseguiterà sarete voi.»

Gli occhi della Regina si

conficcarono nei suoi.«E quando lo farà» continuò Jace

«rammenta che era stato un Cacciatoread avvertirti di cosa stava persuccedere.»

Calò il silenzio. Anche la Corte erapiombata nel silenzio. Tutti avevano gliocchi fissi sulla loro Signora. Alla fine,la Regina si appoggiò ai cuscini e bevveun sorso da un calice d’argento.«Mettermi in guardia da tuo padre»disse. «Ritenevo voi mortali capacialmeno di affetto filiale, ma, a quantopare, tu non senti la minima devozionenei confronti del tuo genitore.»

Jace non disse nulla. Una volta tantosembrava a corto di parole.

La Regina continuò in tonomellifluo: «O forse questa vostra ostilitàè solo una messinscena. L’amore rendebugiardi quelli della tua razza.»

«Noi non amiamo nostro padre»disse Clary, mentre Jace manteneva unsilenzio inquietante. «Lo odiamo.»

« Davvero? » La Regina sembravaquasi annoiata.

«Sai come sono i vincoli familiari,Regina» disse Jace, ritrovando la vo-ce.«Si avvinghiano più strettamente deitralci. E a volte, come i tralci, siavvinghiano tanto da ucciderti.»

Le ciglia della Regina tremolarono.«Tradireste vostro padre per il bene delConclave?»

«E se anche fosse, Regina?»La Regina rise, un suono limpido e

gelido come ghiaccioli. «Chi avrebbemai pensato» disse «che i piccoliesperimenti di Valentine gli si sarebberoritorti contro?»

Clary guardò Jace, ma dalla suaespressione capì che non aveva idea dicosa intendesse dire la Regina.

Fu Isabelle a parlare. «Esperimenti? »

La Regina non la guardò neppure. Isuoi occhi, di un azzurro luminoso,erano fissi su Jace. «Il Popolo Fatato samantenere i segreti. I nostri e quellidegli altri. La prossima volta che lovedi, Jonathan, chiedi a tuo padre quale

sangue scorre nelle tue vene.»«Non mi ero proposto di chiedergli

alcunché, la prossima volta che lovedrò» disse Jace. «Ma se tu lodesideri, lo farò.»

Le labbra della Regina si piegaronoin un sorriso. «Credo che tu sia unbugiardo. Ma molto affascinante.Abbastanza affascinante perché io tifaccia questo giuramento: rivolgi ladomanda a tuo padre e ti prometto tuttol’aiuto che potrò darti, se maicombatterai contro Valentine.»

Jace sorrise. «La tua generosità èstraordinaria quanto la tua bellezza,Signora.»

Clary fece un verso soffocato, ma la

Regina sembrò contenta.«Be’, credo che abbiamo finito»

aggiunse Jace alzandosi dai cuscini. Inprecedenza aveva posato la sua bevandaintatta accanto a quella di Isabelle. Tuttilo imitarono. Isabelle stava già parlandocon Meliorn in un angolo, accanto allacortina di tralci. Lui aveva un’ariavagamente insofferente.

«Un momento.» La Regina si alzò.«Uno di voi deve rimanere.»

Jace si fermò a metà strada verso laporta e si voltò a guardarla. «Cosa vuoidire?»

Lei allungò una mano a indicareClary. «Una volta che il nostro cibo o lenostre bevande oltrepassano le labbra di

un mortale, quel mortale è nostro.Lo sai, Cacciatore.»Clary era stordita. «Ma io non ho

bevuto niente!» Si girò verso Jace.«Sta mentendo.»«Le fate non mentono» disse lui

mentre la confusione e l’ansia crescentesi rincorrevano sul suo viso. Si rivolsedi nuovo alla Regina. «Temo che tisbagli, Signora.»

«Guardale le dita e dimmi se non leha leccate per pulirle.»

Ora Simon e Isabelle eranotutt’occhi. Clary abbassò lo sguardosulla propria mano. «Sì, ma dal sangue»disse. «Un folletto mi ha morso il di-to… sanguinava…» Ricordò il sapore

dolce del sangue mescolato al succo cheaveva sul dito. In preda al panico, simosse verso la cortina di tralci ma sisentì sospingere di nuovo nella stanza damani invisibili. Si rivolse a Ja-ce,affranta. «È vero.»

Jace era paonazzo. «Immagino cheavrei dovuto aspettarmi un similetrucco» disse alla Regina abbandonandoil tono accattivante di poco prima.

«Perché lo fai? Cosa vuoi da noi?»La voce della Regina era morbida e

suadente. «Forse sono solo curiosa»rispose. «Non mi capita spesso di

avere sottomano dei giovani Cacciatori.Come noi, voi fate risalire il vostro

lignaggio al cielo; e questo mi intriga

molto.»«Ma diversamente da voi» ribatté

Jace «in noi nulla ha originedall’inferno.»

«Siete mortali, invecchiate, morite»disse la Regina in tono sprezzante.

«Se questo non è l’inferno, dimmi, tiprego, che cos’è?»

«Se vuoi soltanto studiare unCacciatore, non ti servirò granché»intervenne Clary. Le doleva la mano nelpunto in cui il folletto l’aveva morsa ecercava di reprimere l’impulso a urlareo a scoppiare in lacrime. «Non so nientedei Cacciatori. E non ho avuto alcunaddestramento. Non sono la personagiusta da prendere.» Di mira, aggiunse

in silenzio.Per la prima volta la Regina la

guardò in faccia. Clary ebbe voglia difarsi piccola piccola. «In verità,Clarissa Morgenstern, tu sei proprio lapersona giusta.» I suoi occhi brillarononel vedere la confusione della ragazza.

«Grazie ai cambiamenti che tuopadre ha operato in te, tu non sei comegli altri Cacciatori. I tuoi doni sonodifferenti.»

«I miei doni?» Clary erasconcertata.

«Il tuo è il dono delle parole che nonpossono essere pronunciate» le spiegòla Regina «e quello di tuo fratello è ildono dell’Angelo. Tuo padre se li

assicurò quando tuo fratello era unbambino e tu non eri ancora nata.»

«Mio padre non mi ha mai datoniente» disse Clary. «Neppure un no-me.»

Jace sembrava assente, come lasorella. «Voi del Popolo Fatato nonmentite» osservò «ma a voi si puòmentire. Credo che tu sia stata vittima diun inganno o di uno scherzo, miasignora. Non c’è niente di speciale in meo in mia sorella.»

«Sei bravo a minimizzare il tuofascino» disse la Regina con una risata.

«Eppure, tu sai che voi nonappartenete al novero dei normaliragazzi umani, Jonathan…» Lasciò

scivolare lo sguardo da Clary a Jace,poi a Isabelle, che chiuse di scatto labocca che aveva spalancato, e di nuovoa Jace.

«Possibile che non lo sappiate?»«Io so che non lascerò mia sorella

qui nella Corte» disse Jace. «E dalmomento che non c’è nulla che tu possaimparare da lei o da me, perché non cifai il favore di liberarla?» Adesso che tisei divertita? dicevano i suoi occhi,sebbene la sua voce fosse garbata efredda come acqua.

Il sorriso della Regina era largo eterribile. «E se ti dicessi che potrebbeessere liberata da un bacio?»

«Vuoi che Jace ti baci?» domandò

Clary, perplessa.La Regina scoppiò in un’allegra

risata, subito imitata dai cortigiani. Larisata era un miscuglio bizzarro einumano di schiamazzi e squittii, comele grida di un animale che soffre.

«Nonostante il suo fascino» le dissela Regina «quel bacio non ti libere-rebbe.»

I quattro si scambiarono delleocchiate stupite. «Potrei baciare ioMeliorn» suggerì Isabelle.

«Non lui. E nessun altro della miaCorte.»

Meliorn si allontanò da Isabelle, cheguardò i suoi compagni e alzò le mani.«Okay, non bacerò nessuno di voi»

disse recisamente.«Non sarà necessario» disse Simon.

«Se non serve che un bacio…»Si mosse verso Clary, che rimase

paralizzata dalla sorpresa. Quando laprese per i gomiti, lei dovette reprimerel’impulso di spingerlo via. L’aveva giàbaciato, ma sarebbe stato imbarazzantefarlo in questa situazione, anche se perlei baciarlo fosse stata la cosa piùnaturale del mondo, il che non era.Eppure era la risposta logica, no? Nonpoté fare a meno di gettare una rapidaocchiata a Jace al di sopra della spalla elo vide accigliarsi.

«No» disse la Regina con una vocesimile a cristallo tintinnante. «Non è

neanche questo che voglio.»Isabelle alzò gli occhi al cielo. «Oh,

per amor dell’Angelo. Sentite, se nonc’è altro modo per uscirne, bacerò ioSimon. L’ho già fatto, e non è stato cosìmale.»

«Grazie» disse Simon. «È moltolusinghiero.»

«Ahimè» fece la Regina della CorteSeelie. La sua espressione era resamaligna da una specie di piacerecrudele. Clary si chiese se fosse nontanto il bacio che desiderava, quantosemplicemente il vederli tutti sulle spineper l’imbarazzo. «Temo che non vadabene neanche quello.»

«Be’, io non ho alcuna intenzione di

baciare il mondano» disse Jace.«Piuttosto rimango a marcire

quaggiù.»«Per sempre?» chiese Simon. «Per

sempre è un tempo terribilmente lungo.»Jace inarcò le sopracciglia. «Lo

sapevo. Hai voglia di baciarmi, non èvero?»

Simon alzò le mani esasperato.«Certo che no. Ma se…»

«Credo che sia vero quello che sidice» osservò Jace. «Che non ci sonoveri uomini in trincea.»

« Atei, idiota» replicò Simonfurioso. «Non ci sono atei in trincea.»

«Tutto questo è molto divertente»disse la Regina in tono gelido

piegandosi in avanti. «Ma il bacio chelibererà la ragazza è quello che leidesidera di più.» Il piacere crudele sulsuo volto e nella sua voce si eraaccentuato, e le sue parole trafissero leorecchie di Clary come aghi. «Soloquesto, e niente di più.»

Fu come se Simon fosse statoschiaffeggiato dalle sue parole. Claryavrebbe voluto allungare una manoverso di lui, ma rimase immobile dov’e-ra, troppo atterrita per muoversi.

«Perché lo fai?» chiese Jace.«Ma come, pensavo di farti un

favore.»Jace avvampò, ma rimase zitto.

Evitò di guardare Clary.

Simon disse: «È assurdo. Sonofratello e sorella.»

La regina scrollò delicatamente lespalle. «Non sempre il desiderio è di-minuito dal disgusto. E neppure puòessere elargito a chi più lo merita. E

siccome le mie parole vincolano lamia magia, siate certi che, se nondesidera il suo bacio, non sarà libera.»

Simon disse qualcosa in tono iroso,ma Clary non lo sentì: le ronzavano leorecchie, come se avesse uno sciame diapi furiose intrappolato nella testa.Simon si girò con aria furibonda e disse:« Non devi farlo, Clary, è un trucco…»

«Non un trucco» lo corresse Jace.«Una prova.»

«Be’, non so tu, Simon» disseIsabelle con voce tesa. «Ma io vorrei faruscire Clary di qui.»

«Vuoi dire che baceresti tuo fratelloAlec solo perché te lo chiede la Reginadella Corte Seelie?» domandò Simon.

«Certo che lo farei» Isabellesembrava irritata «se l’alternativa fosserimanere bloccati per sempre nellaCorte. E comunque, che importa? È soloun bacio.»

«È vero.» Era Jace. Clary lo vide, aimargini sfocati del suo campo visivo,muoversi verso di lei, metterle una manosulla spalla e girarle la faccia verso dilui. «È solo un bacio» disse, e malgradoil tono aspro, le sue mani erano

inspiegabilmente delicate. Lasciò che lagirasse e lo guardò. I suoi occhi eranoscurissimi, forse perché laggiù nellaCorte c’era così poca luce, forse perqualcos’altro. Vedeva il proprio riflessoin ognuna delle sue pupille dilatate, unaminuscola immagine di sé nei suoiocchi. Jace disse:

«Puoi chiudere gli occhi e pensare ainumeri primi, se vuoi.»

«Non sono mai stata troppo brava inmatematica» disse Clary, ma chiuse lepalpebre. Sentiva i vestiti appesantitidall’acqua freddi e pungenti sulla pellee l’aria dolciastra e nauseante dellacaverna, ancora più fredda, e il pesodelle mani di Jace - le uniche cose calde

- sulle spalle. Poi lui la ba-ciò.Sentì il tocco delle labbra di Jace,

all’inizio leggero, e le sue che siaprivano automaticamente sotto lapressione. Quasi contro la sua volontà,si sentì diventare molle e flessuosa eallungarsi verso l’alto per intrecciarglile braccia intorno al collo come ungirasole si volta verso la luce. Lebraccia di Jace la circondarono, le suemani si unirono tra i capelli di lei, e ilbacio smise di essere delicato e divenneardente, in un solo istante, come un’escache divampa in una fiammata. Clarysentì un suono simile a un sospirocorrere per la Corte, tutt’intorno a loro,un’ondata di rumore, ma non significava

niente, si perdeva nel flusso del suosangue nelle vene, nel vertigi-noso sensodi assenza di peso nel suo corpo.

Le mani di Jace si allontanarono daisuoi capelli, le scivolarono lungo laschiena; sentì la pressione dei suoipalmi sulle scapole… poi il ragazzo siscostò, staccandosi delicatamente,ritraendo le mani dal suo collo efacendo un passo indietro. Per un istanteClary pensò di cadere; le sembrava chele fosse stato strappato qualcosa difondamentale, un braccio o una gamba, efissò Jace in preda a una vacuasorpresa… Che cosa provava? Nonprovava nulla? Il tal caso, non pensavadi poterlo sopportare.

Jace le restituì lo sguardo, e nelloscorgere l’espressione del suo visoClary rivide i suoi occhi a Renwick,quando aveva guardato il Portale che loseparava dalla sua casa frantumarsiirreparabilmente in mille pezzi. Jacesostenne il suo sguardo per una frazionedi secondo, poi lo distolse, coi muscolidella gola che si contraevano. Aveva lemani chiuse a pugno lungo i fianchi. «Èstato abbastanza bello?» gridò girando ilviso verso la Regina e i cortigiani allesue spalle. «Ti sei divertita?»

La Regina si era portata una manoalla bocca, coprendo a metà un sorriso.«Sì, ci siamo divertiti» disse. «Ma nontanto, credo, quanto voi due.»

«Suppongo» disse Jace «che leemozioni dei mortali vi divertano perchénon ne possedete di vostre.»

A quelle parole il sorriso scivolòvia dalla bocca della Regina.

«Calma, Jace» disse Isabelle. Sirivolse a Clary. «Puoi andartene adesso?Sei libera?»

Clary andò verso l’uscita e non fusorpresa di non trovarsi la strada sbar-rata da alcuna forza ostile. Rimase lì,con le mani fra i tralci, e si girò versoSimon, che la fissava come se nonl’avesse mai vista prima.

«Dovremmo andare» disse Clary.«Prima che sia troppo tardi.»

«È già troppo tardi» ribatté Simon.

Meliorn li condusse fuori dallaCorte Seelie e li depositò di nuovo nelparco, tutto senza aprire bocca. A Claryparve che la rigidità della sua schienalasciasse trapelare disapprovazione.Dopo che furono sguazzati fuori dallaghetto, si girò senza neanche salutareIsabelle e scomparve nuovamente nelriflesso vacillante della luna.

Isabelle lo guardò andare via tuttaimbronciata. «Quanto è antipatico, certevolte…»

Jace fece una specie di risatasoffocata e si tirò su il colletto dellagiacca bagnata. Tremavano tutti. La nottefredda sapeva di terra, piante e moder-nità… A Clary sembrava quasi di sentire

nell’aria odore di ferro. L’anello dellacittà intorno al parco scintillava di luciviolente, blu elettrico, verde ghiaccio,rosso vivo, mentre l’acqua del laghettosciabordava piano contro le rive terrose.Il riflesso della luna si era spostatoall’estremità opposta dello specchiod’acqua e tremava come se avesse pauradi loro.

«Sarà meglio tornare.» Isabelle siavvolse più strettamente nel soprabitoancora bagnato. «Prima che moriamocongelati.»

«Ci vorrà un’eternità per tornare aBrooklyn» disse Clary. «Forsedovremmo prendere un taxi.»

«O magari potremmo andare

all’Istituto» suggerì Isabelle. Vedendol’espressione di Jace, si affrettò a dire:«Tanto non c’è nessuno… sono tutti al-laCittà di Ossa a cercare indizi. Ci vorràun secondo per fare una capatina,prendere i tuoi vestiti e mettersiqualcosa di asciutto. E poi, l’Istituto èpur sempre casa tua, Jace.»

«Va bene» disse Jace, con evidentesorpresa di Isabelle. «Devo comunquerecuperare qualcosa nella mia stanza.»

Clary esitò. «Non so. Potreiprendere un taxi insieme a Simon.»Forse, se avessero passato un po’ ditempo insieme, avrebbe potutospiegargli che cosa era successo allaCorte Seelie e che non era come

pensava.Jace stava esaminando il suo

orologio per vedere che l’acqua nonl’avesse danneggiato. Ora la guardò, lesopracciglia sollevate. «È piuttostodifficile, visto che se n’è andato.»

«Se n’è cosa?» Clary girò sui tacchie guardò. Simon era sparito; c’eranosolo loro tre in riva al laghetto. Corse super un tratto della collina e gridò il suonome. Lo vide in lontananza checamminava a grandi passi con ariarisoluta sul sentiero di cemento checonduceva fuori dal parco, sulla 5thAvenue. Lo chiamò di nuovo, ma lui nonsi voltò.

capitolo 9

E LA MORTE NON AVRÀ PIÙDOMINIO

Isabelle aveva detto la verità:l’Istituto era completamente deserto. O

meglio, quasi completamente. Alloro arrivo, trovarono Maxaddormentato sul divano rossodell’ingresso. Aveva gli occhialileggermente sbilenchi ed era chiaro chenon aveva avuto la minima intenzione diaddormentarsi: sul pavimento c’era unlibro aperto che doveva essergli caduto,e i piedi nelle scarpe da ginnasticapenzolavano dal bordo del divano inmaniera piuttosto scomoda.

Il cuore di Clary corse subito a lui.Le ricordava Simon a nove o dieci anni,

quando non faceva che sbattere lepalpebre ed era tutto occhiali eorecchie.

«Max è come un gatto. È capace didormire ovunque.» Jace allungò lamano, gli tolse gli occhiali e li posò suun basso tavolino intarsiato lì accanto.Aveva un’espressione che Clary non gliaveva mai visto… un’intensaespressione tenera e protettiva che lasorprese.

«Oh, lascia stare la sua roba… lasporcherai solo di fango» disse Isabellecon aria seccata sbottonandosi ilsoprabito bagnato. Il vestito aderiva alsuo busto snello e l’acqua aveva scuritola spessa cintura di cuoio. Lo scintillio

della frusta arrotolata era appenavisibile nel punto in cui il manicosporgeva dalla cintura. Era accigliata.«Sento che mi sta venendo ilraffreddore. Vado a fare una docciacalda.»

Jace la guardò sparire lungo ilcorridoio con una sorta di ammirazioneri-luttante. «A volte mi ricorda la poesia“Isabelle, Isabelle non si preoccupava.Isabelle non correva e non gridava…”.»

«A te viene mai voglia di gridare?»gli chiese Clary.

«Qualche volta.» Jace si tolse lagiacca bagnata e la appese al gancioaccanto a quello di Isabelle. «Ma quantoalla doccia calda ha ragione. Potrei

decisamente farmene una.»«Io non ho niente per cambiarmi»

disse Clary, a un tratto desiderosa diqualche momento tutto per sé. Le dita leprudevano dalla voglia di fare il numerodi Simon sul cellulare per scoprire seera tutto okay. «Ti aspetto qui.»

«Non fare la sciocca. Ti presto unamaglietta.» Aveva i pantaloni zuppi eabbassati sulle ossa del bacino, chelasciavano vedere una striscia di pellechiara tatuata tra la stoffa jeans e ilbordo della camicia.

Clary distolse lo sguardo. «Noncredo…»

«Vieni.» Il tono di Jace era fermo.«Comunque, c’è qualcosa che voglio

mostrarti.»Clary controllò di nascosto lo

schermo del cellulare mentre seguivaJace in corridoio verso la sua stanza.Simon non aveva provato a chiamarla.

Sembrò che del ghiaccio le sicristallizzasse nel petto. Fino a duesettimane prima, per anni, lei e Simonnon avevano mai litigato. Adesso eracome se lui ce l’avesse sempre con lei.

La stanza di Jace era esattamentecome la ricordava: immacolata e nudacome la cella di un monaco. Nonconteneva nulla di rivelatore sul suooccupante: niente manifesti alle pareti,niente libri ammucchiati sul comodino.Perfino il piumino sul letto era di un

bianco disadorno.Jace andò alla cassettiera e tirò fuori

una maglia a maniche lunghe blu.La gettò a Clary. «Questa si è

ristretta nel lavaggio» disse.«Probabilmente ti starà grande, ma…»Fece spallucce. «Vado a farmi la doccia.Chiama se hai bisogno di qualcosa.»

Clary annuì, tenendo la maglia comese fosse uno scudo. Sembrò che Ja-cestesse per dire qualcosa, maevidentemente ci ripensò; con un’altraalzata di spalle scomparve nel bagno,chiudendo la porta dietro di sé.

Clary si lasciò cadere sul lettostringendo al petto la maglia e tirò fuoridi tasca il telefono. Fece il numero di

Simon. Dopo quattro squilli scattò lasegreteria. «Salve, avete chiamatoSimon. O sono lontano dal telefono o visto evitando. Lasciate un messaggioe…»

«Cosa fai?»Jace stava sulla porta aperta del

bagno. L’acqua scorreva rumorosamentenella doccia alle sue spalle e la stanza sistava riempiendo di vapore. Era scalzoe a petto nudo, i jeans bagnati bassi suifianchi che rivelavano due profonderientranze sopra le ossa del bacino,come se qualcuno vi avesse premuto ledita.

Clary chiuse di scatto il telefono e lolasciò cadere sul letto. «Niente.

Controllavo l’ora.»«C’è un orologio accanto al letto»

osservò Jace. «Telefonavi al mondano,vero?»

«Si chiama Simon. » Claryappallottolò la maglia di Jace tra ipugni. «E

non devi fare sempre lo stronzo conlui. Ti ha aiutato più di una volta.»

Jace aveva le palpebre pesanti, gliocchi pensierosi. Il bagno era pieno divapore, che gli arricciava ancor di più icapelli. Disse: «E adesso ti senti incolpa perché è scappato via. Nondovresti darti la pena di chiamarlo. Tista evitando.»

Clary non si preoccupò di

nascondere la rabbia. «E tu lo sai,perché tu e lui siete amiconi, no?»

«Lo so perché ho visto la sua facciaprima che se ne andasse» disse Jace.

«E tu no. Non lo guardavi. Ma iosì.»

Clary si scostò i capelli ancorabagnati dagli occhi. Là dove i vestitiade-rivano alla pelle si sentivapizzicare, aveva il sospetto di puzzarecome il fondo di uno stagno e nonriusciva a togliersi dalla mentel’espressione di Simon quando l’avevaguardata alla Corte Seelie… come se laodiasse. «È

colpa tua» disse a un tratto, mentrela rabbia le stringeva il cuore in una

morsa. «Non avresti dovuto baciarmicosì.»

Jace, che era appoggiato alla cornicedella porta, si raddrizzò. «E come avreidovuto baciarti? C’è un altro modo incui ti piace?»

«No.» Le mani le tremavano ingrembo. Erano fredde, bianche,raggrinzite dall’acqua. Intrecciò le ditaper mettere fine al tremito. «È che nonvoglio essere baciata da te.»

«Mi è sembrato che nessuno dei dueavesse voce in capitolo.»

«È questo che non capisco!» Claryesplose. «Perché mi ha fatto baciare date? La Regina, voglio dire. Perchécostringerci a fare… quello? Quale

piacere può averne tratto?»«Hai sentito che cosa ha detto.

Pensava di farmi un favore.»«Non è vero.»«È vero. Quante volte devo dirtelo?

Il Popolo Fatato non mente.»Clary pensò a ciò che aveva detto

Jace a casa di Magnus. Scopriranno ciòche vuoi più di ogni altra cosa almondo e te lo offriranno…nascondendoci dentro un’insidia che tifarà rimpiangere di averlo maidesiderato.

«Allora si sbagliava.»«Non si sbagliava.» Il tono di Jace

era amaro. «Ha visto come ti guarda-voe come tu guardavi me, e come Simon

guardava te, e ci ha suonato co-me glistrumenti che siamo per lei.»

«Io non ti guardo» sussurrò Clary.«Che cosa?»«Ho detto: Io non ti guardo. »

Allentò le mani che aveva tenuto aggan-ciate in grembo. Nei punti in cui le ditaerano state avvinghiate c’erano dei segnirossi. «O almeno ci provo.»

Gli occhi di Jace erano socchiusi,attraverso le ciglia si intravedeva soloun bagliore d’oro, e Clary ricordò laprima volta che l’aveva visto e come leaveva ricordato un leone, dorato eimplacabile. «Perché no?»

«Tu che pensi?» Le parole leuscirono quasi prive di suono, un

semplice sussurro.«Allora perché?» Gli tremava la

voce. «Perché tutta la storia con Simon,perché tenermi lontano, non permettermidi starti vicino…»

«Perché è impossibile» risposeClary, e nonostante gli sforzi percontrol-larsi, l’ultima parola suonòcome un lamento. «Lo sai come lo soio!»

«Perché sei mia sorella?» disseJace.

Clary annuì senza parlare.«Già» disse Jace. «Per questo hai

deciso che il tuo vecchio amico Simonpuò essere un’utile distrazione?»

«Non è così. Io voglio bene a

Simon.»«Come a Luke. Come a tua madre.»«No.» La voce di Clary era fredda e

pungente come un ghiacciolo. «Nondirmi cosa sento.»

Un piccolo muscolo si contrasse allato della bocca di Jace. «Non ti credo.»

Clary si alzò. Non poteva incrociareil suo sguardo, perciò si concentrò sullapiccola cicatrice a forma di stella cheaveva sulla spalla, ricordo di unavecchia ferita. Questa vita di cicatrici emorte, aveva detto una volta Hodge. Tunon ne fai parte. «Jace» disse. «Perchémi fai questo?»

«Perché mi stai mentendo. E staimentendo a te stessa.» Gli occhi di Ja-ce

fiammeggiavano e, anche se aveva lemani infilate in tasca, Clary vedeva cheerano chiuse a pugno.

Qualcosa dentro di lei si incrinò e sispezzò e le parole si riversarono fuori. «Che cosa vuoi che ti dica? La verità?La verità è che voglio bene a Simoncome dovrei voler bene a te e vorrei chefosse lui mio fratello, e non tu, ma nonposso farci niente, e neanche tu! O haiun idea migliore, visto che sei cosìdannatamente in gamba?»

Jace trattenne il fiato, e Clary si reseconto che non lui si aspettava - mai e poimai - che lei potesse dire quello cheaveva appena detto. Era evidente anchedall’espressione del suo viso.

Clary cercò di recuperare ilcontrollo di sé. «Jace, mi dispiace, nonvolevo…»

«No, non ti dispiace. Nondispiacerti.» Avanzò verso di lei, quasiin-ciampando nei propri piedi… Jace,che non incespicava mai, non inciam-pava mai in niente, non faceva mai unmovimento sgraziato. Le sue mani sialzarono e le presero il viso; Clary sentìil calore della punta delle sue dita apochi millimetri dalla pelle; sapeva cheavrebbe dovuto scostarsi, ma rimase lìimmobile, lo sguardo alzato su di lui.«Tu non capisci» disse Ja-ce. Glitremava la voce. «Non ho mai provatocerti sentimenti per nessuno.

Non credevo di esserne capace.Pensavo… il modo in cui sonocresciuto…

mio padre…»«Amare vuol dire distruggere» disse

Clary stordita. «Me lo ricordo.»«Pensavo che quella parte del mio

cuore fosse infranta» continuò Jace, ementre parlava aveva un’espressionecome di sorpresa per essersi sentito direquelle parole, del mio cuore. «Persempre. Ma tu…»

«Jace. Basta.» Clary sollevò lamano e la mise su quella di Jace, chiu-dendogli le dita tra le proprie. «Èinutile.»

«Non è vero.» C’era una punta di

disperazione nella sua voce. «Se tutti edue proviamo la stessa cosa…»

«I nostri sentimenti non contano. Nonpossiamo farci niente.» Sentì la propriavoce come se fosse un’estranea aparlare: remota, infelice. «Dovedovremmo andare per stare insieme?Come vivremmo?»

«Potremmo tenerlo segreto.»«Lo scoprirebbero. Io non voglio

mentire alla mia famiglia, e tu?»La risposta del ragazzo fu amara.

«Quale famiglia? I Lightwood mi odianocomunque.»

«Non è vero. E non potrei mai dirloa Luke. E mia madre, se si sveglia, cosale diremmo? Questo, anche se fosse ciò

che vogliamo, farebbe stare male tuttiquelli a cui teniamo…»

« Stare male? » Jace lasciò ricaderele mani dal suo viso come se lo avessespinto via. Sembrava sbalordito.«Quello che proviamo… quello cheprovo… ti fa stare male?»

Nel vedere la sua espressione, Clarytrattenne il fiato. «Forse» disse in unsussurro. «Non lo so.»

«Allora avresti dovuto dirlo subito.»«Jace…»Ma lui si era allontanato da lei,

l’espressione chiusa e impenetrabile co-me un muro. Era difficile credere chel’avesse mai guardata in un altro mo-do.«Mi dispiace di averne parlato, allora.»

La sua voce era rigida, formale.«Non ti bacerò più. Puoi contarci.»Il cuore di Clary fece una capriola

lenta, inutile, mentre Jace si scostava dalei, prendeva un asciugamano da soprala cassettiera e si avviava nuovamenteverso il bagno. «Ma… Jace, che cosafai?»

«Vado a finire la mia doccia. E se mihai fatto rimanere senza acqua caldasarò molto seccato.» Entrò in bagno e sichiuse la porta alle spalle con un calcio.

Clary crollò sul letto come unamarionetta a cui avessero tagliato i fili ealzò lo sguardo al soffitto. Erainespressivo come la faccia di Jaceprima di voltarle le spalle. Rotolando su

un fianco, si rese conto di essere stesasulla maglia blu di lui: aveva il suoodore, un misto di sapone, fumo esangue dal sapore di rame. Siraggomitolò intorno ad essa come unavolta, quando era molto piccola, siraggomitolava intorno alla sua copertapreferita, poi chiuse gli occhi.

Nel sogno, abbassava lo sguardosull’acqua scintillante distesa ai suoipiedi come uno specchio sconfinato cherifletteva il cielo notturno. E come unospecchio era solido e duro, e potevacamminarci sopra. Camminò an-nusando l’aria notturna e l’odore dellacittà che scintillava in lontananzacome un castello di fate avvolto dalle

luci… e là dove camminava, crepesimili a ragnatele si irradiavano dallesue orme e schegge di ghiaccioschizzavano su come spruzzi d’acqua.

Il cielo cominciò a rischiararsi.Era illuminato da punti infuocati similia capocchie di fiammiferi che cadevanogiù, una pioggia di carboni ardenti dalcielo. Clary si acquattò, alzando lebraccia. Uno precipitò proprio davantia lei, ma quando toccò terra divenne unragazzo: era Jace, tutto vestito di oroardente, con i suoi occhi dorati e icapelli dorati, e dalla schiena glispuntavano ali bianco-dorate piùgrandi e più fitte di piume che quelle diqualsiasi altro uccello.

Sorrise come un gatto e indicò unpunto dietro di lei, e quando si girò,Clary vide un ragazzo dai capelli neri -Simon! - con lo stesso aspetto disempre… a parte le ali, che spuntavanoanche dalla sua schiena, con piumenere come la notte, ognuna con le puntesporche di sangue.

Clary si svegliò boccheggiando, lemani strette sulla maglia di Jace. Erabuio nella stanza, l’unica luce provenivadalla finestrella accanto al letto. Si misea sedere. Si sentiva la testa pesante e ledoleva la nuca. Esaminò lentamente lastanza e sussultò quando vide un puntoluminoso come un occhio di gatto nelbuio.

Jace sedeva in una poltrona accantoal letto. Portava i jeans e un maglionegrigio e aveva i capelli quasi asciutti.Aveva in mano qualcosa che mandavabagliori metallici. Un’arma? Clary nonriusciva a immaginare da cosa Jacepotesse stare in guardia, lì all’Istituto.

«Hai dormito bene?»Lei annuì. Si sentiva la bocca

impastata. «Perché non mi haisvegliato?»

«Pensavo che avessi bisogno diriposo. E poi dormivi come un ghiro.

Hai perfino sbavato» aggiunse «sullamia maglia.»

La mano di Clary volò alla bocca.«Scusa.»

«Non capita spesso di vederequalcuno che sbava» osservò Jace.«Soprattutto con un abbandono cosìtotale. La bocca spalancata e tutto.»

«Oh, stai zitto.» Cercò a tastoni sulcopriletto finché non individuò iltelefono e lo controllò di nuovo, anchese sapeva cosa avrebbe visto. Nessunachiamata. «Sono le tre del mattino»osservò costernata. «Pensi che Simonstia bene?»

«Penso che è un tipo bislacco» disseJace. «Ma questo ha poco a che fare conl’ora.»

Clary si ficcò il telefono nella tascadei jeans. «Vado a cambiarmi.»

Il bagno bianco di Jace non era più

grande di quello di Isabelle, madecisamente più ordinato. Non c’era unagrande varietà, tra le stanze dell’Istituto,pensò Clary chiudendosi la porta allespalle, ma almeno c’era la privacy. Sisfilò la maglietta bagnata e la appese alportasciugamani, si spruzzò dell’acquasul viso e si passò un pettine tra i ricciribelli.

La maglia di Jace le andavadecisamente troppo grande, ma eramorbida sulla pelle. Si arrotolò lemaniche e tornò nella stanza, dove trovòJace seduto esattamente dov’era prima,lo sguardo accigliato sull’oggettoluminoso che aveva tra le mani. Clary sisporse oltre la spalliera della poltrona.

«Che cos’è?»Invece di rispondere, Jace girò

l’oggetto per farglielo vedere bene. Eraun frammento di specchio frastagliato,ma invece di riflettere il suo viso, avevaun’immagine di erba verde, cieloazzurro e rami d’albero neri e spogli.

«Non sapevo che l’avessi tenuto»osservò Clary. «Il pezzo di Portale.»

«Per questo volevo venire qui»disse Jace. «Per prenderlo.» Nella suavoce c’era un misto di desiderio eriluttanza. «Continuo a pensare chemagari vedrò mio padre in un riflesso. Ecapirò cosa sta macchinando.»

«Ma non credo che sia laggiù. Saràda qualche parte qui in città, non credi?»

Jace scrollò la testa. «Magnus l’hacercato e non è di questo avviso.»

«Magnus l’ha cercato? Non losapevo. E come…»

«Magnus non è diventato SommoStregone per niente. Il suo potere siestende attraverso la città e oltre. Puòsentire cosa accade qua fuori, entro certilimiti.»

Clary sbuffò. «Avverte interferenzenella Forza?»

Jace si girò nella poltrona e laguardò aggrottando la fronte. «Non stoscherzando. Dopo l’uccisione dellostregone ha cominciato a investigare.

Quando ero ospite da lui, mi hachiesto qualcosa di mio padre, per

facili-targli la ricerca. Gli ho datol’anello dei Morgenstern. Ha detto chemi avrebbe fatto sapere se avesseavvertito la presenza di Valentine incittà. Ma finora non l’ha fatto.»

«Forse voleva solo il tuo anello»disse Clary. «Una cosa è certa: porta unsacco di gioielli.»

«Può anche tenerselo.» La mano diJace si serrò sul frammento di vetro;Clary notò allarmata il sangue chestillava sui bordi frastagliati nei puntiche gli penetravano nella pelle. «Per menon ha alcun valore.»

«Ehi» disse Clary piegandosi atogliergli il vetro di mano. «Vaccipiano.» Fece scivolare il frammento di

Portale nella tasca della giacca appesaalla parete. I bordi di vetro erano scuritidal sangue, i palmi di Jace incisi dalinee rosse. «Forse è il caso che tiriportiamo da Magnus» disse il piùgentilmente possibile. «Alec è là da unpezzo e…»

«Chissà perché, ma dubito che glidispiaccia» disse Jace, ma poi si alzòpiuttosto docilmente e allungò la manoverso lo stilo, che era vicino alla parete.Mentre tracciava una runa guaritrice suldorso della mano destra sanguinante,disse: «C’è qualcosa che volevochiederti.»

«Sarebbe?»«Quando mi hai tirato fuori dalla

cella, nella Città Silente… come haifatto? Come hai aperto la porta?»

«Oh, mi sono servita di una normaleruna di Apertura e…»

Fu interrotta da un squillo acuto estridulo e si portò la mano alla tasca,prima di rendersi conto che quel suonoera ben più forte di quello del suocellulare. Si guardò intorno confusa.

«È il campanello dell’Istituto» disseJace, afferrando la giacca. «Vieni.»

Stavano dirigendosi versol’ingresso, quando Isabelle si precipitòfuori dalla sua stanza con indosso unaccappatoio di cotone, una mascherinaper dormire di seta rosa tirata sullafronte e un’espressione mezzo intontita.

«Sono le tre del mattino!» esclamòin un tono che insinuava che era colpa diJace, o magari di Clary. «Chi suona ilcampanello alle tre del mattino?»

«Forse è l’Inquisitrice» disse Clarysentendo improvvisamente freddo.

«Lei può entrare senza suonare»osservò Jace. «Come tutti i Cacciatori.

L’Istituto è chiuso solo ai mondani eai Nascosti.»

Clary sentì una stretta al cuore.«Simon! Deve essere lui!»

«Oh, per l’amor del cielo» feceIsabelle con uno sbadiglio «ci sta sve-gliando a questa ora assurda solo perdimostrarti il suo amore o roba delgenere? Non poteva chiamare? Gli

uomini mondani sono dei veri idioti.»Raggiunsero l’ingresso, che era

vuoto. Max doveva essersene andato aletto da solo. Isabelle attraversò lastanza a grandi passi e spinse uninterruttore sulla parete opposta. Daqualche parte, all’interno dellacattedrale, si sentì rimbombare un tunf.«Ecco» disse Isabelle. «L’ascensore staarrivando.»

«Non posso credere che Simon nonabbia avuto la decenza e il buon sensodi ubriacarsi e svenire in qualche canaledi scolo» disse Jace. «Devo dire chesono piuttosto deluso del nostroamichetto.»

Clary lo sentì a malapena. Una

crescente sensazione di paura le rese ilsangue lento e denso. Ricordò il suosogno: gli angeli, il ghiaccio, Simon conle ali insanguinate. Rabbrividì.

Isabelle le rivolse uno sguardosolidale. «Fa davvero freddo quidentro»

osservò. Si allungò e prese unospolverino di velluto blu da uno degliat-taccapanni. «Tieni» disse. «Mettilo.»

Clary si infilò lo spolverino e se lostrinse addosso. Era troppo lungo, macaldo. Aveva anche un cappucciobordato di raso che lei si tolse per potervedere le porte dell’ascensore che siaprivano.

Si aprirono su una scatola vuota, le

cui pareti a specchio riflettevano la suafaccia pallida e allarmata. Senzafermarsi a pensare, Clary ci entrò.

Isabelle la guardò confusa. «Chefai?»

«C’è Simon laggiù» disse Clary. «Loso.»

«Ma…»A un tratto, Jace le fu accanto e tenne

le porte aperte per Isabelle. «Vieni,Izzy» disse. Con un sospiro teatrale,Isabelle li seguì.

Mentre scendevano in silenzio,Isabelle appuntò un’ultima, lunga cioccadi capelli e Clary cercò di incrociare losguardo di Jace, che però non laricambiò. Stava osservandosi con la

coda dell’occhio nello specchiodell’ascensore, canticchiando pianocome faceva spesso quando era nervoso.

Clary ricordò il lieve tremore delsuo tocco, quando l’aveva abbracciataal-la Corte Seelie. Pensòall’espressione di Simon… e poi aquando era scappato via per allontanarsida lei, svanendo fra le ombre al marginedel parco. Si sentiva un groppo di pauranel petto senza sapere esattamenteperché.

Le porte dell’ascensore si aprironosulla navata centrale della cattedrale,illuminata dalla luce tremolante dellecandele. Nella fretta di uscire, Clarysuperò Jace e percorse quasi correndo

lo stretto corridoio tra i banchi.Inciampò nell’orlo dello spolverinotroppo lungo e lo raccolse impaziente,quindi si precipitò verso l’ampio portaled’ingresso. I battenti erano sbarratiall’interno da catenacci di bronzo grossiquanto le braccia di Clary. Mentre lei siallungava verso quello più in alto, ilcampanello risuonò di nuovo nellachiesa. Clary sentì Isabelle sussurrarequalcosa a Jace, poi, mentre faceva levasul catenaccio tirandolo indietro, siritrovò sulla mano quella di Jace, chel’aiutò ad aprire le pesanti porte.

L’aria della notte scivolò dentro,facendo oscillare le fiamme dellecandele. Sapeva di città: di sale e gas di

scarico, di cemento freddo eimmondizia, e, al di sotto di quegli odorifamiliari, un sentore penetrante di rame,come quello un penny nuovo di zecca.

Dapprima Clary pensò che i gradinifossero deserti. Poi sbatté gli occhi evide Raphael, la testa di ricci neriscompigliata dalla brezza notturna, lacamicia bianca aperta sul collo chelasciava intravedere la cicatricenell’incavo della gola. Teneva tra lebraccia un corpo. Fu tutto quello cheClary scorse mentre lo fissavasconcertata: un corpo. Qualcuno mortostecchito, le braccia e le gambe chepenzolavano come corde molli, la testariversa all’indietro, la gola dilaniata.

Sentì la mano di Jace stringersi intornoal suo braccio come una morsa, e soloallora guardò più attentamente e vide lanota giacca di velluto con lo strapponella manica sopra la maglietta blu,macchiata e sporca di sangue. E gridò.

Il grido non produsse alcun suono.Clary si sentì cedere le ginocchia, esarebbe finita a terra se Jace nonl’avesse sorretta. «Non guardare» ledisse all’orecchio. «Per l’amor di Dio,non guardare,» Ma lei non poteva nonguardare il sangue che imbrattava icapelli castani di Simon, la sua golasquarciata, le ferite lungo i polsipenzolanti. Puntini neri le annebbiaronola vista mentre respirava a fatica.

Fu Isabelle ad afferrare uno deicandelabri vuoti accanto alla porta e arivolgerlo contro Raphael come fosseun’alabarda a tre punte.

« Che cosa hai fatto a Simon? » Inquel momento, con la voce limpida eimperiosa, era tale e quale alla madre.

« El no es muerto» disse Raphael intono piatto e privo di emozione, edepose Simon a terra, quasi ai piedi diClary, con una delicatezza sorprendente.Si era dimenticata quanto era forte. Eramagro e snello ma aveva la forzamostruosa di un vampiro.

Alla luce delle candele che siriversava dalla porta, Clary vide che lamaglietta di Simon era zuppa di sangue.

«Hai detto…»«Non è morto» fece Jace, tenendola

più stretta. «Non è morto.»Clary si staccò da lui con un

violento strattone e si inginocchiò sulcemento. Non provò alcun disagio atoccare la pelle insanguinata di Simonquando gli infilò le mani sotto la testa,portandosela in grembo. Provavasoltanto lo spaventoso orrore infantileche ricordava di aver provato a cinqueanni, quando aveva rotto la preziosalampada liberty di sua madre.

Non è niente, disse una voce in unangolino del suo cervello, rimetteremoinsieme i pezzi.

«Simon» sussurrò toccandogli il

viso. Non aveva più gli occhiali.«Simon, sono io.»

«Non può sentirti» disse Raphael.«Sta morendo.»

La testa di Clary si alzò di scatto.«Ma hai detto…»

«Ho detto che non è morto» precisòRaphael. «Ma tra pochi minuti, forse unadecina, il suo cuore cesserà di battere. Ègià del tutto incosciente.»

Le braccia di Clary si strinserosenza volere intorno a Simon.«Dobbiamo portarlo all’ospedale… ochiamare Magnus.»

«Non possono aiutarlo» disse ancoraRaphael. «Voi non capite.»

«No» fece Jace, la voce morbida

come seta trapunta di aghi. «Non ca-piamo. E faresti meglio a spiegarti.Altrimenti devo supporre che sei solo unfarabutto succhiasangue e strapparti ilcuore. Come avrei dovuto fare l’ultimavolta che ci siamo visti.»

Raphael gli sorrise senza allegria.«Hai giurato di non farmi del male,Cacciatore. L’hai dimenticato?»

«Io invece non ho giurato niente»disse Isabelle brandendo il candelabro.

Raphael la ignorò. Continuava aguardare Jace. «Mi sono ricordato diquella notte in cui avete fatto irruzionenell’hotel Dumort in cerca del vostroamico. Per questo, quando l’ho trovatolì, l’ho portato qui» indicò Simon con un

cenno «invece di lasciare che gli altrigli succhiassero il sangue fino aucciderlo. Vedete, è entrato nell’hotelsenza permesso, e perciò per noi era unapreda lecita. Ma sapendo che era deivostri l’ho tenuto in vita. Non ho alcunaintenzione di iniziare una guerra con iNephilim.»

« È entrato nell’hotel? » domandòClary incredula. «Simon non può averfatto una cosa così stupida e folle.»

«Eppure l’ha fatto» disse Raphaelcon un sorriso appena accennato«perché aveva paura di diventare uno dinoi e voleva sapere se il processo erareversibile. Ricorderete che mi hamorso quando era diventato un topo e

siete venuti a riprenderlo.»«Molto intraprendente da parte sua»

osservò Jace. «Lo apprezzo.»«Sarà» disse Raphael. «In ogni caso,

quella volta gli è andato un po’ del miosangue in bocca. Come sapete, è cosìche ci passiamo l’un l’altro i poteri.Attraverso il sangue.»

Attraverso il sangue. Clary ricordòimprovvisamente quando Simon erascappato davanti al film Dracula in TVe quando aveva fatto una smorfia per laluce del sole, al McCarren Park. «Si eraconvinto che stava diventando uno divoi» disse. «È andato all’hotel pervedere se era vero.»

«Già» fece Raphael. «Peccato che,

se fosse rimasto tranquillo, col tempoprobabilmente gli effetti del mio sanguesarebbero scomparsi. Adesso invece…»Fece un cenno eloquente verso il corpofloscio di Simon.

«Adesso cosa?» chiese Isabelle conuna sfumatura aspra nella voce. «Adessomorirà?»

«E rinascerà. E sarà un vampiro.»Il candelabro si inclinò in avanti,

mentre Isabelle sgranava gli occhi.«Che cosa?»Jace afferrò l’arma improvvisata

prima che colpisse il pavimento.Quando si rivolse a Raphael, i suoiocchi erano inespressivi. «Staimentendo.»

«Aspetta e vedrai» disse Raphael.«Morirà e rinascerà sotto le forme di unFiglio della Notte. È anche per questoche sono venuto. Simon è uno dei miei,adesso.» Non c’era niente nella suavoce, né dolore né piacere, ma Clarynon poté fare a meno di chiedersi chegioia nascosta potesse provare perquell’asso nella manica capitato tanto aproposito.

«Non c’è niente da fare? Nessunmodo per rendere il processoreversibile?» domandò Isabelle con unfilo di panico nella voce. Clary pensòfred-damente che era strano come queidue, Jace e Isabelle, che non amavanocerto Simon quanto lo amava lei, fossero

gli unici a parlare. Ma forse parlavanoal posto suo perché lei non riusciva aspiccicare parola.

«Potreste tagliargli la testa ebruciare il suo cuore nel fuoco, madubito che ve la sentiate.»

«No!» Le braccia di Clary sistrinsero intorno a Simon. «Non osarefargli del male.»

«Non ne ho alcun bisogno» disseRaphael.

«Non parlavo con te.» Clary nonalzò lo sguardo. «Non pensarcinemmeno, Jace. Non pensarcinemmeno.»

Calò il silenzio. Clary sentì Isabelleprendere fiato… Quanto a Raphael,

naturalmente, non respirava. Jace esitòun istante, quindi disse: «Clary, co-savorrebbe Simon? È questo che vorrebbeper sé?»

Clary sollevò la testa di scatto. Jaceaveva lo sguardo abbassato su di lei, ilcandelabro a tre bracci ancora in mano,e a un tratto, nel quadro mentale diClary, balenò l’immagine di Jace cheteneva giù Simon e gli conficcava lepunte del candelabro nel petto, facendosprizzare il sangue come una fontana. «Stai lontano da noi! » gridòall’improvviso, così forte che vide inlontananza le figure che camminavanosul viale, davanti alla cattedrale, girarsie guardarsi alle spalle, come spaventate

dal rumore.Jace divenne bianco fino alla radice

dei capelli, così bianco che i suoi occhispalancati sembravano dischi dorati,inumani e stranamente fuori posto.Disse: «Clary, non penserai…»

All’improvviso Simon rantolò,inarcandosi tra le braccia di Clary, chegridò di nuovo e gli si aggrappò,tirandolo a sé. Il ragazzo aveva gli occhispalancati, ciechi e terrorizzati. Allungòla mano verso l’alto. Clary non sapevase cercasse di toccarle il viso o digraffiarla, non riconoscendola.

«Sono io» gli disse, spingendoglidelicatamente la mano sul petto e in-trecciando le proprie dita alle sue.

«Simon, sono io. Sono Clary.» Le loromani erano bagnate del sangue delragazzo e delle lacrime che eranoscivolate dal viso di Clary senza che leise accorgesse. «Simon, ti amo» disse.

Le mani di Simon si strinsero allesue. Espirò - un suono aspro, rantolan-te- e poi non inspirò più.

Ti amo. Ti amo. Ti amo. MentreSimon si afflosciava tra le sue braccia, aClary sembrò di sentirsi echeggiarenelle orecchie le ultime parole che gliaveva rivolto. A un tratto Isabelle le fuaccanto e le disse qualcosa all’orecchio,ma Clary non poteva udirla. Erasopraffatta da un fragore di acqua chescorreva impetuosa, come una

mareggiata in arrivo. Guardò Isabelle,che cercava vanamente di staccarle condelicatezza le mani da quelle di Simon.Si stupì. Non le pareva di tenerlo cosìsaldamente.

Isabelle rinunciò, si alzò e si rivolsefuriosa a Raphael. Gridava. A metàdella sua tirata, l’udito di Clary ripresea funzionare, come una radio che si èfinalmente sintonizzata su una stazione.«…e adesso cosa dovremmo fa-re?»gridava Isabelle.

«Seppellirlo» rispose Raphael.Il candelabro in mano a Jace

dondolò di nuovo verso l’alto. «Non èdivertente.»

«E non deve esserlo» disse il

vampiro imperterrito. «È così cheveniamo creati. Veniamo dissanguati esepolti. Poi usciamo dalla tomba a furiadi scavare. È allora che nasce unvampiro.»

Isabelle emise un lieve verso didisgusto. «Non credo che ne sareicapace.»

«Alcuni infatti non ci riescono»disse Raphael. «Se non c’è nessunopronto ad aiutarli a venir fuori,rimangono così, intrappolati sottoterraco-me topi.»

Un suono proruppe dalla gola diClary. Un singhiozzo crudo come ungrido. «Non voglio metterlo sottoterra.»

«Allora rimarrà così» fece Raphael,

impietoso. «Morto, ma non del tutto. Enon si sveglierà mai.»

Stavano tutti a fissarla dall’alto.Isabelle e Jace trattenevano il respiro, inattesa della sua risposta. Raphael liguardava senza alcuna curiosità, quasiannoiato.

«Non sei entrato nell’Istituto perchénon puoi, giusto?» chiese Clary.

«Perché è terra consacrata e tu sei unsacrilego.»

«Non è esattamente…» cominciòJace, ma Raphael lo interruppe con ungesto.

«Devo avvertirvi» disse il giovanevampiro «che non c’è molto tempo.

Più aspettiamo a metterlo sottoterra,

meno probabilità avrà di uscirne.»Clary abbassò lo sguardo su Simon.

Non fosse stato per le lunghe ferite sullapelle nuda, poteva sembrare chedormisse. «Va bene, seppelliamolo»

disse. «Ma voglio che sia fatto in uncimitero ebraico. E voglio essere là,quando si sveglierà.»

Gli occhi di Raphael scintillarono.«Non sarà piacevole.»

«Non c’è nulla di piacevole, in tuttoquesto.» Clary irrigidì la mascella.

«Sbrighiamoci. Abbiamo solo pocheore prima dell’alba.»

capitolo 10

UN BEL POSTICINOAPPARTATO

Il cimitero era alla periferia diQueens, dove i condomini cedevano ilpasso a case vittoriane dall’aspettolindo dipinte in rosa, bianco o azzurro.

Le strade erano larghe e quasideserte, il viale che portava al cimiteroera illuminato da un unico lampione.Grazie agli stili, si introdusserofacilmente attraverso il cancello chiusoe trovarono un punto abbastanzanascosto perché Raphael potessemettersi a scavare. Era in cima a unacollinetta ri-parata dalla stradasottostante da una folta striscia di alberi.Clary, Jace e Isabelle erano protetti da

un incantesimo, ma non c’era modo dinascondere Raphael né il corpo diSimon, quindi la copertura fornita daglialberi capi-tava a proposito.

Il versante della collinetta che nondava sulla strada era ricoperto da stratidi lapidi, sopra molte delle quali eratracciata una stella di Davide.

Splendevano bianche e lisce comelatte alla luce della luna. In lontananzac’era un laghetto, la superficie ondulatada increspature lucenti. Un buon posto,pensò Clary. Un bel posto per venire edeporre fiori sulla tomba di qualcuno,per sedersi un po’ e pensare alla suavita, a cosa significava per te. Nonaltrettanto buono per venirci la notte

celati dalle tenebre per seppellire unamico in una tomba di terra pocoprofonda senza neanche il beneficio diuna bara o di un servizio funebre.

«Ha sofferto?» chiese Clary aRaphael.

Lui alzò gli occhi dallo scavo,appoggiandosi al manico della palacome il becchino dell’ Amleto. «Checosa?»

«Simon. Ha sofferto? I vampiri glihanno fatto male?»

«No. Quella per dissanguamento nonè poi una morte così brutta» disse pianoRaphael con la sua voce musicale. «Ilmorso ti droga. È piacevole, comeaddormentarsi.»

Clary fu travolta da un’ondata divertigini e per un istante pensò disvenire.

«Clary.» La voce di Jace la riscossedal torpore. «Vieni. Non devi stare aguardare.»

Le porse la mano. Guardando oltrelui, Clary vide Isabelle in piedi con lafrusta in mano. Avevano avvolto in unacoperta il corpo di Simon, che oragiaceva in terra ai suoi piedi, come seIsabelle facesse la guardia al cadavere.Non al cadavere, si disse furiosa Clary.A lui. A Simon.

«Voglio essere qui quando sisveglia.»

«Lo so. Torneremo subito.» Visto

che Clary non si muoveva, Jace la preseper il braccio, che non opposeresistenza, e la trascinò via dalla radura,lungo il fianco dell’altura. Qui, proprioal di sopra della prima fila di tombe,c’erano dei massi; Jace si sedette su unodi essi, alzando la zip della giacca.Faceva molto freddo, là fuori. Per laprima volta in quella stagione Claryvide il proprio fiato quando espirò.

Si sedette sul masso accanto a Jace efissò il laghetto sottostante. Sentiva ibattiti ritmici della vanga di Raphael sulterreno e del terriccio rimosso checadeva al suolo. Raphael non era umano,lavorava svelto. Non ci avrebbe messomolto a scavare una tomba. E Simon non

era tanto grosso; la fossa non avrebbedovuto essere troppo profonda.

Una fitta di dolore le trafissel’addome. Si piegò in avanti, le maniallargate sullo stomaco. «Mi sentomale.»

«Lo so. È per questo che ti hoportato qui. Sembravi sul punto divomitare sui piedi di Raphael.»

Clary fece un lieve verso lamentoso.«Magari gli avresti cancellato quel

sorrisetto dalla faccia» osservò Jace conaria pensierosa. «C’è da considerareanche questo.»

«Zitto.» Il dolore si era placato.Rovesciò la testa all’indietro guardandola luna, un cerchio scheggiato di una

lucentezza argentea che fluttuava in uncielo di stelle. «È colpa mia.»

«Non è colpa tua.»«Hai ragione. È colpa nostra. »Jace si girò verso di lei. La tensione

delle sue spalle rivelava chiaramenteche era esasperato. «Come ti viene inmente?»

Clary lo guardò in silenzio per unmomento. Doveva tagliarsi i capelli.

Gli si arricciavano come tralcitroppo lunghi, in viticci a spiralebianco-dorati alla luce della luna. Lecicatrici sul viso e sul collo sembravanoincise con inchiostro metallico. Erabello, pensò con tristezza, bello, e in luinon c’era niente, non un’espressione,

non l’inclinazione degli zigomi o laforma della mascella o la curva dellelabbra che rivelasse una sia pur minimasomiglianza con lei o con sua madre. Adire il vero non assomigliava neanche aValentine.

«Cosa c’è?» chiese Jace. «Perché miguardi così?»

Avrebbe voluto gettarsi tra le suebraccia e singhiozzare e al tempo stessoprenderlo a pugni. Invece disse: «Se nonfosse per quello che è successo allacorte delle fate, Simon sarebbe ancoravivo.»

Jace abbassò una mano e strappòcon furia una zolla di erba dal terreno.

Aveva ancora la terra attaccata alle

radici. La gettò via. «Siamo stati co-stretti a fare quello che abbiamo fatto.Non l’abbiamo fatto né per divertirci néper ferirlo. E poi» aggiunse con l’ombradi un sorriso «sei mia sorella.»

«Non dirlo così…»«Che cosa, “sorella”?» Jace scrollò

la testa. «Quando ero piccolo scopriiche se ripetevi all’infinito e abbastanzavelocemente una parola qualsiasi,perdeva ogni significato. Stavo a lettosveglio e mi dicevo di continuo…

zucchero, specchio, sussurro, buio.Sorella» disse piano. «Tu sei miasorella.»

«Non importa quante volte lo ripeti,sarà sempre vero.»

«E non importa cosa non mi lascidire, anche quello sarà sempre vero.»

« Jace! » Un’altra voce chiamò ilsuo nome. Era Alec, leggermenteansimante per la corsa. In una manoaveva un sacchetto di plastica nero.Dietro di lui avanzava Magnus,incredibilmente alto, magro e torvo, inun lungo soprabito di pelle chesvolazzava al vento come l’ala di unpipistrello. Alec si fermò davanti a Jacee gli porse il sacchetto. «Ho portato ilsangue» disse. «Come hai chiesto.»

Jace aprì la parte superiore delsacchetto, ci sbirciò dentro e arricciò ilnaso. «Non sono sicuro di voler saperedove l’hai preso.»

«In una macelleria di Greenpoint»disse Magnus, raggiungendoli. «Dis-sanguano la carne per renderla halal. Èsangue animale.»

«Il sangue è sangue» disse Jace, e sialzò. Poi abbassò lo sguardo su Clary edesitò. «Quando Raphael ha detto che nonsarebbe stato piacevole, non mentiva.Puoi rimanere qui. Manderò Isabellequaggiù ad aspettare con te.»

Clary inclinò la testa all’indietro perguardarlo. La luce lunare le proiettaval’ombra dei rami sul viso. «Hai maiassistito alla nascita di un vampiro?»

«No, ma io…»«Dunque non sai esattamente com’è,

no?» Si alzò, e il mantello azzurro di

Isabelle le ricadde intorno in pieghefruscianti. «Voglio esserci. Devoesserci.»

Vedeva solo in parte il viso di Jacenell’ombra, ma le parve che fossequasi… impressionato. «So che è inutiledirti che c’è qualcosa che non puoi fare»disse. «Andiamo.»

Jace e Clary tornarono nella radura,precedendo di poco Magnus e Alec, chesembravano immersi in una discussione.Raphael stava pressando un rettangolodi terreno. Il corpo di Simon era sparito.Isabelle era seduta a terra, la frustaarrotolata in un cerchio dorato accantoalle caviglie. Tremava.

«Che freddo» disse Clary,

stringendosi nello spolverino diIsabelle. Almeno il velluto era caldo.Cercò di ignorare il fatto che l’orlo eramacchiato del sangue di Simon. «È comese durante la notte fosse arrivatol’inverno.»

«Rallegrati che non sia davveroinverno» disse Raphael appoggiando lavanga al tronco di un albero vicino. «Ilsuolo ghiaccia come ferro, in inverno. Avolte è impossibile scavare e l’uccellinodeve aspettare mesi, morendo di famesottoterra, prima di poter sbucare fuori.»

«È così che li chiamate? Uccellini?»chiese Clary. La parola le sembravainadatta, in ogni caso troppo familiare.La faceva pensare agli anatroccoli.

«Sì» disse Raphael. «Come i piccolivolatili appena nati o appena usciti dalnido.» A quel punto scorse Magnus, eper una frazione di secondo sembròsorpreso, quindi cancellò con cura ogniespressione dai suoi lineamenti.«Sommo Stregone. Non mi aspettavo divederti qui.»

«Ero curioso» disse Magnus, gliocchi da gatto che scintillavano. «Nonho mai visto nascere un Figlio dellaNotte.»

Raphael gettò un’occhiata a Jace,che se ne stava pigramente appoggiato altronco di un albero. «Avete amicizieincredibilmente illustri, Cacciatore.»

«Stai di nuovo parlando di te?»

chiese Jace, spianando la terra smossacon la punta dello stivale. «Mi sembriun po’ spocchioso.»

«Forse intendeva me» disse Alec.Tutti lo guardarono sorpresi. Alecfaceva raramente battute. Sorrisenervoso. «Scusate, è la tensione.»

«Non ce n’è bisogno» disse Magnus,allungando una mano verso la spalla diAlec. Questo si mise svelto fuori tiro, ela mano ricadde sul fianco dellostregone.

«Allora, che si fa adesso?» domandòClary, abbracciandosi per stare piùcalda. Sembrava che il gelo fossepenetrato in ogni poro della sua pelle.

Faceva decisamente troppo freddo

per essere fine estate.Raphael, notando il suo gesto,

sorrise impercettibilmente. «Fa semprefreddo quando nasce un vampiro» disse.«L’uccellino trae forza dalle cose viveche lo circondano, prendendo da lorol’energia per nascere.»

Clary lo fulminò con uno sguardopieno di risentimento. «Non mi pare chetu senta freddo.»

«Io non sono vivo.» Raphaelindietreggiò leggermente dall’orlo dellatomba (Clary si costrinse a considerarlauna tomba, perché in fondo era questoche era) e fece cenno agli altri diimitarlo. «Fate spazio» disse.

«Simon non potrà venire fuori se gli

state tutti sopra.»Indietreggiarono alla svelta. Clary si

sentì stringere il gomito da Isabelle, equando si girò vide che l’altra ragazzaera bianca come un cencio. «Cosa c’èche non va?»

«Tutto» disse Isabelle. «Clary, forseavremmo dovuto lasciarlo andare…»

«Lasciarlo morire, vuoi dire.» Claryliberò con forza il braccio dalla suastretta. «È così che la pensi, si capisce.Pensi che chiunque non sia esattamentecome te farebbe comunque meglio amorire.»

Il viso di Isabelle era il ritrattodell’infelicità. «Non è…»

Un suono attraversò la radura, un

suono diverso da tutti quelli che Clarymai aveva sentito fino ad allora… unaspecie di ritmo martellante che venivadal profondo della terra, come se a untratto il battito cardiaco del mondo fossediventato udibile.

Che succede? pensò. Dopodiché ilterreno si gonfiò e si sollevò sotto di lei.Cadde in ginocchio. La tombaondeggiava come la superficie di un ma-re mosso. Sulla sua superficiecomparvero delle increspature.All’improvviso si spalancò, facendovolare zolle di terra. Ne sorse unamontagnola simile a un formicaio. Inmezzo c’era una mano, le dita aperte,che artiglia-va la terra.

« Simon! » Clary cercò di lanciarsiin avanti, ma Raphael la tirò indietro.

«Lasciami andare!» Clary cercò didivincolarsi, ma Raphael aveva unastretta d’acciaio. «Non vedi che habisogno di aiuto?»

«Dovrebbe farlo da solo» disse ilvampiro senza allentare la presa. «È

meglio in questo modo.»«È il tuo modo! Non il mio!» Clary

si liberò dalla morsa e corse verso latomba appena scavata proprio mentreessa si sollevava verso l’alto, sca-gliandola a terra. Una forma ingobbitacercava di uscirne, le dita come artiglisudici conficcati in profondità nel suolo.Le sue braccia nude erano coperte di

nere strisce di terra e di sangue. Siliberò con uno strappo dalla tomba chelo risucchiava, strisciò per un paio dimetri e crollò al suolo.

«Simon» sussurrò Clary. Perchénaturalmente era Simon, Simon, non uncadavere. Si alzò a fatica e corse versodi lui, con le scarpe da ginnastica cheaffondavano nella terra smossa.

«Clary!» gridò Jace. «Cosa staifacendo?»

Clary inciampò, la gamba lesprofondò nella terra e le si storse lacaviglia. Cadde in ginocchio accanto aSimon, che giaceva immobile come sefosse davvero morto. Aveva i capellisporchi e aggrovigliati, pieni di gru-mi

di terra, la maglietta strappata sul fiancolasciava intravedere la pelle sporca disangue. «Simon» disse, e allungò lamano verso la sua spalla.

«Simon, stai…»Il corpo del ragazzo si tese sotto le

sue dita, ogni muscolo si irrigidì, lapelle dura come il ferro.

«… bene?» terminò.Simon girò la testa e Clary vide i

suoi occhi. Erano inespressivi, senzavita. Con un grido acuto rotolò e le saltòaddosso, rapido come un serpente cheattacca. La travolse e la sbatté con laschiena a terra. «Simon!» gridò lei, malui non sembrò sentirla. Aveva il visocontorto, irriconoscibile, mentre

incombeva su di lei, le labbra ritratte, eClary vide i canini acuminati, le zanne,scintillare alla luce della luna comebianchi chiodi d’osso. In preda a unimprovviso terrore gli sferrò un calcio,ma Simon la agguantò per le spalle e laspinse di nuovo giù. Aveva le maniinsanguinate, le unghie spezzate, ma eraincredibilmente forte, perfino più fortedei suoi muscoli da Cacciatrice. Quandosi piegò su di lei, le ossa delle spalle diClary stridettero dolorosamente…

Poi qualcuno lo tirò e lo scagliò viacome se non pesasse più di un sasso-lino. Clary balzò in piedi senza fiato eincrociò lo sguardo torvo di Raphael.«Te l’avevo detto di stargli lontana»

disse lui, e si girò per inginocchiar-siaccanto a Simon, che era atterrato pocodistante e stava raggomitolato a terra,contorcendosi.

Clary risucchiò l’aria. Sembrò unsinghiozzo. «Non mi riconosce.»

«Ti riconosce. Ma non glieneimporta niente.» Raphael guardò Jace aldi sopra della spalla. «Sta morendo difame. Ha bisogno di sangue.»

Jace, che era rimasto pallido eimmobile sull’orlo della tomba, avanzòe porse il sacchetto di plastica insilenzio, come un’offerta. Raphaell’afferrò e lo strappò. Ne cadde fuori uncerto numero di involucri trasparentipieni di liquido rosso. Ne afferrò uno

borbottando e lo lacerò con le unghieacuminate, schizzandosi di sangue lacamicia bianca sporca di terra.

Come avvertendo l’odore delsangue, Simon si raddrizzò ed emise unlamento pietoso. Si contorceva ancora;le mani dalle unghie spezzate eranoconficcate a terra e gli occhi rovesciatilasciavano vedere il bianco. Raphaelallungò l’involucro pieno di sangue,lasciando cadere qualche goccia diliquido scarlatto sul viso di Simon erigandogli di rosso la pelle bianca.

«Ecco» disse, come cantilenando.«Bevi, piccolo uccellino. Bevi.»

E Simon, che era vegetariano daquando aveva dieci anni, che non

beveva latte che non fosse biologico,che sveniva alla vista degli aghi…Simon afferrò il sacchetto dalla manobruna di Raphael e lo strappò coi denti.Ingoiò il liquido in poche sorsate e gettòvia l’involucro con un altro lamento;Raphael, che era pronto con il secondo,glielo ficcò in mano. «Non bere troppovelocemente» lo avvertì. «Ti sentiraimale.» Simon, naturalmente, lo ignorò;era riuscito ad aprire il secondosacchetto senza bisogno di aiuto e neinghiottiva avidamente il contenuto. Ilsangue gli scorreva dagli angoli dellabocca, lungo la gola, spruzzandogli lemani di grosse gocce vermi-glie. Avevagli occhi chiusi.

Raphael si girò a guardare Clary,che si sentiva fissata anche da Jace edagli altri, tutti con identiche espressionidi orrore e disgusto. «La prossima voltache si nutrirà» disse calmo Raphael«non sarà così pasticcione.»

Pasticcione. Clary distolse losguardo e si allontanò incespicandodalla radura. Sentì Jace che la chiamavama lo ignorò e, una volta raggiunti glialberi, cominciò a correre. Era a metàdella collinetta, quando il dolorel’assalì. Cadde in ginocchio soffocando,mentre tutto ciò che aveva nello stomacole tornava su in un fiotto doloroso.Quando si riprese, strisciò per qualchemetro ma crollò di nuovo a terra.

Sapeva che probabilmente stava soprauna tomba, ma non gliele importava.Posò il viso ardente sulla terra fredda epensò per la prima volta che, tuttosommato, forse i morti non erano cosìsfortunati.

capitolo 11

FUMO E ACCIAIOL’unità di terapia intensiva del Beth

Israel Hospital ricordava sempre aClary certe foto dell’Antartide cheaveva visto: era fredda e trasmetteva unsenso di estraneità, e tutto era bianco,grigio o azzurrino. Le pareti della stanzadi sua madre erano bianche, i tubi cheserpeggiavano intorno alla sua testa e lefile di strumenti che ronzavano intornoal letto grigie, la coperta tirata sul pettoazzurrina. Il suo viso era bianco. L’unicamacchia di colore nella stanza erano icapelli rossi di Jocelyn chefiammeggiavano sulla distesa nivea delcuscino come una bandiera vivace efuori posto piantata al Polo Sud.

Clary si chiese come faceva Luke apagare quella stanza privata, da dovevenivano i soldi e come se li eraprocurati. Gliel’avrebbe chiesto quandofosse tornato dal brutto baretto del terzopiano, dove era andato a prendere uncaffè al distributore automatico. Quelcaffè sembrava catrame e ne avevaanche il sapore, ma Luke parevadipendente da quella roba.

Le gambe metalliche della sediaaccanto al letto stridettero sul pavimentoquando Clary vi si sedette lentamente,lisciandosi la gonna sulle gambe.

Ogni volta che andava a trovare suamadre in ospedale si sentiva nervosa econ la bocca secca, come se stesse per

mettersi nei pasticci per qualche motivo.Forse perché le uniche volte che avevavisto il viso di Jocelyn co-sì, spento einanimato, era quando stava peresplodere per la rabbia.

«Mamma» disse. Allungò il braccioe prese la mano sinistra di Jocelyn.

La sua pelle, sempre ruvida escrepolata, macchiata di tintura etrementina, al tatto ricordava lacorteccia di un albero. Clary ripiegò ledita intorno a quelle della madre,sentendosi salire un groppo in gola.«Mamma, io…» Si schiarì la voce.«Luke dice che puoi sentirmi. Non so sesia vero o no. In ogni caso, sono venutaperché ho bisogno di parlarti. Va bene se

non mi ri-sponderai. Vedi, si tratta di…»Deglutì e guardò verso la finestra, chelasciava apparire una striscia di cieloazzurro al di sopra del muro di mattonidi fronte all’ospedale. «… di Simon. Gliè successa una cosa. E la colpa è mia.»

Ora che non guardava in faccia suamadre, la storia le uscì di getto, dalprincipio alla fine: come avevaincontrato Jace e gli altri Cacciatori, laricerca della Coppa Mortale, iltradimento di Hodge e la battaglia aRenwick, la scoperta che Valentine erapadre suo e di Jace. Non tralasciò gliavvenimenti più recenti: la visitanotturna alla Città di Ossa, l’odiodell’Inquisitrice per Jace e la donna dai

capelli argentei. Quindi raccontò a suamadre della Corte Seelie, del prezzorichiesto dalla Regina e di cosa erasuccesso a Simon. Sentiva le lacrimebruciarle la gola mentre parlava, ma eraun sollievo farlo, sfogarsi con qualcuno,anche se quel qualcuno, probabilmente,non poteva sentirla.

«Perciò, tutto sommato» disse allafine «ho fatto davvero un gran casino.

Ricordo che una volta hai detto chesi cresce quando, guardandosi indietro,si cominciano a vedere cose che sivorrebbe poter cambiare. Immagino chequesto significhi che adesso sonocresciuta. È solo che… che…» Pensavoche tu ci saresti stata, quando sarebbe

successo. Si sentì soffocare per lelacrime, proprio mentre qualcuno allesue spalle si schiariva la voce.

Clary si girò e vide Luke sulla portacon una tazza di plastica in mano.

Sotto le luci fluorescentidell’ospedale notò quanto era stanco.Aveva un po’ di grigio tra i capelli e lacamicia di flanella azzurra eraspiegazzata.

«Da quanto tempo sei lì?»«Non molto» disse Luke. «Ti ho

portato del caffè.» Allungò la tazza, malei rifiutò con un cenno.

«Odio questa roba. Sa di piedi.»A quelle parole Luke sorrise. «Come

fai a sapere di che cosa sanno i piedi?»

«Lo so e basta.» Si piegò in avanti e,prima di alzarsi, baciò la guancia freddadi Jocelyn. «Ciao, mamma.»

Il pick-up blu di Luke si trovava nelparcheggio sotto l’ospedale. Luke parlòsoltanto dopo che si furono immessinella FDR Highway.

«Ho sentito quello che hai detto inospedale.»

« Mi era parso che stessiorigliando.» Clary parlò senza rabbia.Non c’era niente di quanto aveva detto asua madre che Luke non potesse sapere.

«Non hai colpa di quello che èsuccesso a Simon.»

Clary sentì le parole, ma sembraronorimbalzarle addosso come se fosse

circondata da un muro invisibile. Comeil muro che Hodge le aveva costruitoattorno quando l’aveva denunciata aValentine. Era intorpidita, co-me sefosse imprigionata nel ghiaccio.

«Mi hai sentito, Clary?»«È carino quello che hai detto, ma

non è vero. Tutto quello che è successo aSimon è stato colpa mia.»

«Perché era arrabbiato con tequando è tornato all’hotel Dumort? Nonè tornato all’albergo perché eraarrabbiato con te, Clary. Ho già sentitodi si-tuazioni del genere. Li chiamano“oscuri”, quelli che sono trasformati ametà. Si sarebbe comunque sentitospinto verso l’hotel da un impulso che

non poteva controllare.»«Perché aveva dentro di sé il sangue

di Raphael. Ma questo non sarebbe maisuccesso se non fosse stato per me, senon lo avessi portato a quella festa…»

«Pensavi che il posto fosse sicuro.Non lo stavi esponendo ad alcunpericolo a cui non avevi esposto testessa. Non puoi torturarti così» disseLu-ke, svoltando per il ponte diBrooklyn. L’acqua scivolava sotto diloro in onde di un grigio argenteo. «Èinutile.»

Clary sprofondò ancora di più nelsedile, stringendo le dita intorno allemaniche della maglia verde con ilcappuccio. I bordi erano consumati e i

fili le solleticavano la guancia.«Senti» continuò Luke. «Da quando

lo conosco, c’è sempre stato un posto incui Simon voleva stare, e si è semprefatto in quattro per arrivarci erimanerci.»

«Sarebbe?»«Ovunque fossi tu» rispose Luke.

«Ricordi quando a dieci anni cadesti daquell’albero, alla fattoria, e ti rompestiil braccio? Ricordi come lui con-vinsegli infermieri a farlo salire con tesull’ambulanza che ti portòall’ospedale? Scalciò e urlò finché noncedettero.»

«Tu ti mettesti a ridere» disse Claryal ricordo «e mia madre ti diede un

pugno sulla spalla.»«Era difficile non ridere. Una

determinazione come quella, in unragazzino di dieci anni, è un verospettacolo. Sembrava un pit bull.»

«Sempre che i pit bull portino gliocchiali e siano allergici all’ambrosia.»

«Quel genere di lealtà non haprezzo» disse Luke, più seriamente.

«Lo so. Non farmi sentire peggio.»«Clary, ti sto dicendo che è stato lui

a decidere. Quello di cui ti stai in-colpando è di essere quello che sei. Equesto non è colpa di nessuno e di nullache tu possa cambiare. Gli hai detto laverità e lui si è comportato come megliocredeva. Tutti dobbiamo fare delle

scelte e nessuno ha il diritto dinegarcele, nemmeno per amore.»

«Ma è proprio questo il punto» disseClary. «Quando ami qualcuno, non haiscelta.» Pensò a come le si era stretto ilcuore quando Isabelle l’aveva chiamataper dirle che Jace era scomparso. Erauscita di casa senza esitare, senzapensarci un attimo. «L’amore ti negaogni scelta.»

«Allora è meglio il contrario:l’assenza di amore.» Luke guidò il pick-up verso Flatbush Avenue. Clary nonribatté; si limitò a guardare dalfinestrino. La zona subito dopo il pontenon era tra le più belle di Brooklyn; lastrada era fiancheggiata da brutti edifici

di uffici e da carrozzerie. Di solitoClary detestava quel posto, ma adesso siadattava al suo stato d’animo.

«Hai notizie di…?» cominciò Luke,decidendo evidentemente che era ora dicambiare argomento.

«Simon? Sì, lo sai.»«Veramente stavo per dire Jace.»«Oh.» Jace l’aveva chiamata al

cellulare parecchie volte e avevalasciato dei messaggi. Clary non avevarisposto e neppure richiamato. Nonparlargli era la sua penitenza per ciò cheera successo a Simon. Era la peggiorepunizione che potesse infliggersi. «No.»

La voce di Luke era prudentementeneutra. «Dovresti farlo. Giusto per

vedere se sta bene. Mi sa che stapassando un brutto momento,considerato…»

Clary si agitò sul sedile. «Pensavoche avessi chiamato Magnus. Ti hosentito parlare con lui di Valentine e ditutta la faccenda della Trasformazionedella Spada dell’Anima. Sono sicurache lui potrebbe dirti se Jace sta bene ono.»

«Magnus può rassicurarmi sullasalute fisica di Jace. Quanto alla suasalute mentale…»

«Scordatelo. Non lo chiamerò.»Clary sentì la freddezza nella propriavoce e ne fu quasi scioccata. «Adessodevo stare accanto a Simon. Neanche la

sua, di salute mentale, va alla grande.»Luke sospirò. «Se ha problemi ad

accettare la sua condizione, forsedovrebbe…»

«Certo che ha problemi!» Clarylanciò uno sguardo accusatore a Luke,che però era concentrato sul traffico enon se ne accorse. «Nessuno più di tepuò capire che effetto fa…»

«Svegliarsi un giorno e rendersiconto di essere un mostro?» Luke nonsembrava amareggiato, solo stanco.«Hai ragione, lo capisco. E se mai vorràparlarmi, sarò felice di dirgli tutto, alriguardo. Ce la farà, anche se ora èconvinto del contrario.»

Clary aggrottò la fronte. Il sole stava

tramontando proprio dietro di loro,facendo scintillare come oro lospecchietto retrovisore. Le si irritaronogli occhi per la luce intensa. «Non è lastessa cosa» disse. «Almeno tu seicresciuto sapendo che i lupi mannarisono reali. Prima di poter dire aqualcuno che è un vampiro, bisognainnanzitutto convincerlo che i vampiriesistono. »

Sembrò che Luke stesse per direqualcosa, poi cambiò idea. «Hairagione.» Adesso erano a Williamsburge percorrevano la Kent Avenue semide-serta, fiancheggiata da alti magazzini.«Ah, gli ho portato una cosa. È nel vanoportaoggetti. Giusto nel caso in cui…»

Clary fece scattare l’apertura delvano portaoggetti e aggrottò lesopracciglia. Ne estrasse un opuscoloripiegato, di quelli impilati negliappositi scomparti delle sale d’aspettodegli ospedali. « Come fare coming outcon i propri genitori» lesse ad altavoce. «LUKE. Non essere ridicolo.Simon non è gay, è un vampiro.»

«Lo so, ma l’opuscolo parla di comerivelare ai propri genitori verità dif-ficili su se stessi che forse loro nonvogliono affrontare. Magari potrebbeadattare uno dei discorsi o limitarsi aseguire i consigli in generale…»

«Luke!» Clary parlò in tono talmentebrusco che Luke inchiodò con un gran

stridore di freni. Erano proprio davantia casa sua. Alla loro sinistra l’acquadell’East River mandava cupi bagliori,il cielo era striato di fuliggi-ne e ombre.Un’altra ombra, più scura, eraaccovacciata sulla veranda.

Luke socchiuse gli occhi. Nellaforma di lupo, le aveva detto, aveva unavista perfetta, ma in quella umanarimaneva miope. «È…»

«Simon. Sì.» Clary ne riconoscevala sagoma. «Meglio che vada aparlargli.»

«Certo. Io ho, ehm, qualchecommissione da sbrigare. Dellecompere da fare.»

«Che compere?»

La mandò via con un cenno dellamano. «Un po’ di spesa. Sarò di ritornotra mezz’ora. Ma non state fuori. Entratein casa e chiudetevi a chiave.»

«Non c’è bisogno che tu me lodica.»

Clary guardò il pick-up allontanarsiveloce, quindi si girò verso la casa.

Il cuore le martellava. Aveva parlatoalcune volte con Simon al telefono, manon lo aveva visto da quando lo avevanoportato, stordito e macchiato di sangue,a casa di Luke, nella scura alba di quellaorribile mattina, per dargli una pulitaprima di accompagnarlo a casa. Clarypensava che sarebbe dovuto andareall’Istituto, ma naturalmente era

impossibile. Simon non avrebbe piùrivisto l’interno di una chiesa o di unasinagoga.

Lo aveva guardato risalire il vialettoverso la porta di casa sua, le spalleingobbite come se camminasse contro unvento impetuoso. Quando la luce dellaveranda s’era accesa automaticamente,lui era indietreggiato, e Clary avevacapito che Simon l’aveva fatto perchél’aveva presa per luce del sole.

E aveva cominciato a piangere, sulsedile posteriore del pick-up, con lelacrime che le colavano sullo stranomarchio nero sull’avambraccio.

«Clary» le aveva sussurrato Jace, eaveva allungato la mano per prendere la

sua, ma lei si era ritratta proprio comeSimon si era ritratto dalla luce.

Non voleva toccarlo. Non loavrebbe più toccato. Era la suapenitenza, il prezzo che avrebbe pagatoper quello che aveva fatto a Simon.

Adesso, mentre saliva i gradini dellaveranda di Luke, aveva la bocca secca ela gola gonfia per la pressione dellelacrime. Si disse di non piangere.Piangendo l’avrebbe solo fatto sentirepeggio, Simon era seduto all’ombra,nell’angolo della veranda, e laguardava.

Clary vedeva scintillare i suoi occhinell’oscurità. Si chiese se anche primaavessero quel tipo di luce; non lo

ricordava. «Simon?»Lui si alzò con un unico movimento

aggraziato che le mandò un brivido super la schiena. Se c’era una cosa cheSimon non aveva mai avuto era unasimile grazia nei movimenti. Ma c’eraqualcos’altro in lui, qualcosa didiverso…

«Mi dispiace di averti spaventato.»Parlava con cautela, quasi in tonoformale, come se fossero due estranei.

«Va tutto bene, è solo che… Daquant’è che sei qui?»

«Da non molto. Posso muovermisolo dopo il tramonto, sai? Ieri hosporto per caso la mano due centimetrifuori dalla finestra e mi sono quasi

carbonizzato le dita. Per fortunaguarisco in fretta.»

Clary cercò le chiavi, aprì la porta,la spalancò. Una luce fioca si riversòsulla veranda. «Luke ha detto chedovremmo stare dentro.»

«Perché le creature cattive» disseSimon superandola «spuntano solo albuio.»

Il salotto era soffuso di una caldaluce gialla. Clary chiuse la porta alleloro spalle e diede alcune mandate. Lospolverino blu di Isabelle era ancoraappeso a un gancio accanto alla porta dicasa. Avrebbe voluto portarlo a unlavasecco per vedere se potevanotogliere le macchie di sangue, ma non ne

aveva avuto l’occasione. Lo fissò per unmomento, per farsi coraggio prima diguardare Simon.

Simon stava in mezzo alla stanza conle mani ficcate nelle tasche della giacca.Portava dei jeans e una logora magliettacon la scritta I LOVE

NEW YORK che era appartenuta alpadre. Tutto in lui le era familiare,eppure sembrava un estraneo. «I tuoiocchiali» disse Clary rendendosi contosolo ora di che cosa le era sembratostrano, sulla veranda. «Non li porti.»

«Hai mai visto un vampiro con gliocchiali?»

«Be’, no, ma…»«Non ne ho più bisogno. A quanto

pare avere una vista perfetta fa parte delgioco.» Si lasciò cadere sul divano eClary lo raggiunse, sedendoglisi accantoma non troppo. Da vicino vide quantoera pallida e diafana la sua pelle, con iltracciato azzurro delle vene subito sottola superficie. Senza lenti, i suoi occhierano grandi e scuri e le sue ciglia similia tratti di inchiostro nero. «Naturalmentemi toccherà portarli ancora, in casa,altrimenti mia madre darà di matto.Oppure dovrò dirle che porto le lenti acontatto.»

«Dovrai dirglielo e basta» disseClary con più fermezza di quantasentisse di avere. «Non puoi nasconderela tua… la tua condizione per sempre.»

«Posso provarci.» Simon si passòuna mano tra i capelli neri, la boccacontratta. «Clary, cosa devo fare? Miamadre continua a portarmi roba damangiare e io devo buttarla dallafinestra… Non sono uscito per duegiorni, ma non so quanto a lungo potròfingere di avere l’influenza. Alla fine miporterà dal dottore e allora cosasuccederà? Non ho battito cardiaco. Ledi-rà che sono morto. »

«Oppure ti descriverà come unmiracolo medico» disse Clary.

«Non è divertente.»«Lo so, provavo a…»«Continuo a pensare al sangue»

disse Simon. «Me lo sogno. Mi sveglio

pensandoci. Tra non molto ci scriverò sudelle poesie.»

«Non hai quelle bottiglie di sangueche ti ha dato Magnus? Non le staifinendo, vero?»

«Ce le ho. Sono nel mio minifrigo.Ma ne restano tre.» La sua voce erafievole per la tensione. «E quandorimarrò a secco?»

«Non succederà. Te ne procureremodelle altre» disse Clary, mostrando-sipiù sicura di quanto non fosse.Immaginava che avrebbe sempre potutorivolgersi al locale fornitore di sanguedi agnello di Magnus, un amico, ma tuttala faccenda le dava la nausea. «Senti,Simon, Luke pensa che dovresti dirlo a

tua madre. Non puoi nasconderglielo persempre.»

«Posso provarci, dannazione.»«Pensa a Luke» fece Clary in tono

disperato. «Puoi ancora fare una vitanormale.»

«E noi due? Lo vuoi un ragazzovampiro?» Rise amaramente. «Perchéprevedo molti picnic romantici nelnostro futuro. Tu che bevi una piña co-lada. Io che bevo il sangue di unavergine.»

«Consideralo un handicap» loincalzò Clary. «Devi solo imparare acon-viverci. Ci sono un sacco dipersone che lo fanno.»

«Non sono sicuro di essere una

persona. Non più.»«Lo sei per me» disse Clary. «In

ogni caso, lo stato umano è sopravvalu-tato.»

«Almeno Jace non potrà piùchiamarmi mondano. Che cos’hai lì?»chiese Simon, notando l’opuscoloancora arrotolato nella mano suasinistra.

«Oh, questo?» Clary lo sollevò. «Come fare coming out con i proprigenitori. »

Simon fece tanto d’occhi. «C’èqualcosa che devi dirmi?»

«Non è per me. È per te.» Glieloporse.

«Non devo fare coming out con mia

madre» disse Simon. «Già mi crede gayperché non mi interessa lo sport e non hoancora avuto una sfilza di ragazze. Nonche lei sappia, comunque.»

«Ma devi confessare di essere unvampiro» osservò Clary. «Luke pensavache magari, sai, potresti servirti di unodei discorsi suggeriti nell’opuscolo,soltanto usando le parole “mortovivente” al posto di…»

«Ho capito, ho capito.» Simon aprìl’opuscolo. «Ecco, farò un po’ di praticacon te.» Si schiarì la gola. «”Mamma.Ho qualcosa da dirti. Sono un mortovivente. Ora, so che potresti avere deipreconcetti sui morti viventi.

So che potresti non sentirti a tuo agio

all’idea che sono un morto vivente.Ma sono qui per dirti che i morti

viventi sono esattamente come me ete.”»

Rimase un attimo in silenzio. «Be’,okay, forse più come me che come te.»

«SIMON.»«Va bene, va bene.» Continuò. «”La

prima cosa che devi capire è che sono lastessa persona di sempre. Essere unmorto vivente non è la cosa piùimportante di me. È solo una parte diquello che sono. La seconda cosa chedovresti sapere è che non è una scelta.Sono nato così.”» Simon le lanciòun’occhiata di traverso al di sopradell’opuscolo. «Pardon, rinato così.»

Clary sospirò. «Non ci proviseriamente. »

«Per lo meno posso dire che miavete seppellito in un cimitero ebraico»

disse Simon, mettendo da partel’opuscolo. «Forse dovrei andare pergradi.

Dirlo prima a mia sorella.»«Se vuoi, ti starò vicina. Magari

potrò aiutarle a capire.»Alzò lo sguardo su di lei, sorpreso, e

Clary vide le crepe nella sua armatura diamara ironia, e la paura che c’era sotto.«Lo faresti?»

«Io…» cominciò Clary, ma fuinterrotta da un assordante stridore dipneumatici e da un rumore di vetri rotti.

Balzò in piedi e corse verso la finestracon Simon a fianco. Tirò la tenda eguardò fuori.

Il pick-up di Luke si era fermato sulprato, il motore che continuava a girare,e sul vialetto erano disegnate scurestrisce di gomma bruciata. Una delleluci anteriori era accesa, l’altra erafracassata, c’era una macchia scura sullagriglia del radiatore… e una sagomaingobbita, bianca e immobile sotto leruote anteriori. La bile salì alla gola diClary. Luke aveva investito qualcuno?Ma no… Cacciò via impazientel’incantesimo come se togliesse viadello sporco da una finestra. La cosasotto le ruote di Luke non era umana. Era

liscia, bianca, quasi larvale, e sicontorceva come un verme fissato a unasse con uno spillo.

La portiera del guidatore si spalancòe ne balzò fuori Luke. Ignorando lacreatura bloccata sotto le ruote, si lanciòattraverso il prato verso la veranda.Seguendolo con lo sguardo, Clary videuna sagoma scura stesa scompostamentelà nell’ombra. Questa era umana,piccola, con i capelli chiari raccolti intrecce…

«È la ragazza lupa mannara. Maia.»Simon sembrava stupefatto. «Che cosa èsuccesso?»

«Non lo so.» Clary prese lo stilodalla cima di uno scaffale. Scesero

rumorosamente i gradini e corsero versole ombre dove Luke era accovacciatocon le mani sulle spalle di Maia. Lasollevò e la appoggiò delicatamente alfianco della veranda. Da vicino, Claryvide che aveva la maglietta strappata suldavanti e una spalla ferita, dalla qualesgorgava lento il sangue.

Simon si fermò di colpo. Clary,andandogli quasi addosso, sussultò perla sorpresa e gli lanciò un’occhiatainquieta, prima di capire. Il sangue.Simon ne aveva paura, aveva paura diguardarlo.

«Sta bene» disse Luke, mentre Maiaruotava la testa e gemeva. Leschiaffeggiò piano la guancia, e gli occhi

della ragazza tremolarono e si aprirono.«Maia. Maia, puoi sentirmi?»

Lei sbatté gli occhi e annuì, stordita.«Luke?» sussurrò. «Che è successo?»Sussultò. «La mia spalla…»

«Vieni. Meglio che ti porti in casa.»Luke la sollevò tra le braccia, e Claryricordò di averlo trovato sempreincredibilmente forte, per essere unapersona che lavorava in libreria. Se lospiegava con tutto quello spostare cassepesanti di qua e di là. Adesso sapevacome stavano le cose.

«Clary. Simon. Venite.»Tornarono dentro, dove Luke depose

Maia sul malandato divano di vellutogrigio. Mandò Simon a prendere di

corsa una coperta e Clary in cucina aprendere un asciugamano bagnato.Quando tornò, Clary trovò Maiaappoggiata a uno dei cuscini, accaldata efebbricitante. Parlava svelta enervosamente con Luke: «Stavoattraversando il prato, quando… hofiutato qualcosa. Qualcosa di marcio,come immondizia. Mi sono girata e miha colpito…»

«Che cosa ti ha colpito?» domandòClary, porgendo l’asciugamano a Luke.

Maia aggrottò la fronte. «Non l’hovisto. Mi ha sbattuta a terra, poi… hocercato di allontanarlo a calci, ma eratroppo veloce…»

«Io l’ho visto» disse Luke, la voce

piatta. «Mi stavo avvicinando a casa e tiho scorto mentre attraversavi il prato…e poi l’ho visto, che ti seguivanell’ombra alle tue spalle. Ho provatoad avvertirti gridando dal finestrino, manon mi hai sentito. Poi ti ha sbattuto aterra.»

« Che cosa la seguiva?» chieseClary.

«Un demone Drevak» rispose Lukecon voce cupa. «Sono ciechi. Seguonol’odore. Sono salito con la macchina sulprato e l’ho schiacciato.»

Clary guardò fuori dalla finestraverso il pick-up. La cosa che sicontorceva sotto le ruote,incredibilmente, era sparita… Quando

morivano, i demoni tornavano semprenella loro dimensione originaria.«Perché avrebbe attaccato Maia?» Unpensiero le balenò in testa e le feceabbassare la voce:

«Pensi che c’entri Valentine? È allaricerca di sangue di lupo mannaro per ilsuo incantesimo? L’ultima volta era statointerrotto…»

«Non credo» disse Luke con suagrande sorpresa. «I demoni Drevak nonsucchiano il sangue e non possono certoprovocare il tipo di mutilazioni cheavete visto nella Città Silente. Per lo piùsono spie e messaggeri. Credo che Maiagli sia semplicemente capitata tra ipiedi.» Si chinò a guardare la ragazza,

che si lamentava piano, a occhi chiusi.«Te la senti di tirarti su la manica, inmodo che possa esaminarti la spalla?»

La ragazza si morse il labbro eannuì, quindi allungò una mano per arro-tolarsi la manica. Il sangue si eraseccato e aveva formato una crosta sulbraccio. Clary trattenne il respiro nelvedere che il taglio rosso frastagliatoera contornato da quelli che sembravanosottili aghi neri che sporgevanobizzarramente dalla pelle.

Maia abbassò lo sguardo sul braccioin preda a un evidente orrore. «Che cosasono questi?»

«I demoni Drevak non hanno denti;in bocca hanno spine velenose» disse

Luke. «Alcune si sono spezzate e sonorimaste nella pelle.»

Maia aveva cominciato a battere identi. «Veleno? Morirò?»

«No, se lavoriamo alla svelta» larassicurò Luke. «Dovrò estrarle, però, equesto ti farà male. Pensi di poterlosopportare?»

Il viso di Maia era contorto in unasmorfia di dolore. Riuscì ad annuire.

«Basta che… me le togli.»«Togliere cosa?» chiese Simon,

entrando nella stanza con una copertaarrotolata. Quando vide il braccio diMaia, lasciò cadere la coperta e fecesenza volere un passo indietro. «Checosa sono quelli?»

«La vista del sangue ti fa stare male,mondano?» chiese Maia con unsorrisetto storto. Poi rimase senza fiato.«Oh. Fa male…»

«Lo so» disse Luke, avvolgendoledelicatamente l’asciugamano intornoalla parte inferiore del braccio. Si sfilòdalla cintura un coltello dalla lamaaffilata. Maia gli diede un’occhiata estrinse forte gli occhi.

«Fai quello che devi» disse a bassavoce. «Ma… non voglio che gli altristiano a guardare.»

«Capisco.» Luke si rivolse a Simone Clary. «Andate in cucina, tutti e due. Echiamate l’Istituto. Spiegate che cosa èsuccesso e fate mandare qualcuno. Non

possono mandare uno dei Fratelli,perciò sarebbe preferibi-le qualcunocon una formazione medica, o unostregone.» Simon e Clary lo fissarono,paralizzati alla vista del coltello e delbraccio di Maia che stava diventandolentamente violaceo. «Andate!» disseLuke in tono più brusco, e questa volta idue se ne andarono.

capitolo 12L’OSTILITÀ DEI SOGNISimon guardò Clary che si

appoggiava al frigorifero mordendosi illabbro, come faceva a volte quando eraturbata. Spesso dimenticava quantofosse piccola, di costituzione esile efragile, ma in occasioni come questa -

occasioni in cui aveva voglia diprenderla tra le braccia - era frenato dalpensiero che stringerla con troppoimpeto potesse farle male, soprattuttoadesso che non aveva più idea dellapropria forza.

Jace, lo sapeva, non aveva la stessasensazione. Simon era stato a guardarlocon un senso di malessere allo stomaco,incapace di distogliere lo sguardo,quando aveva preso Clary tra le bracciae l’aveva baciata con un tale slancio cheaveva temuto che uno dei due o entrambipotessero andare in frantumi. L’avevastretta come se volesse annientarla in sestesso, come se potessero fondersi inun’unica persona.

Naturalmente Clary era forte, piùforte di quanto sembrava. Era unaCacciatrice, con tutto ciò che neconseguiva. Ma questo non importava;quello che c’era stato tra loro due eraancora flebile come la fiammatremolante di una candela, delicato comeun guscio d’uovo… e lui sapeva che, sefosse andato in pezzi, se in qualchemodo l’avesse lasciato rompere eandare distrutto, sarebbe andato in pezzianche qualcosa dentro di lui, qualcosache non si sarebbe più potuto aggiustare.

«Simon.» La voce di lei lo riportòcon i piedi per terra. «Simon, mi staiascoltando?»

«Che cosa? Sì, naturalmente.» Simon

si appoggiò al lavello cercando dimostrarsi attento. Il rubinettogocciolava, il che per un attimo lodistrasse di nuovo… Appena prima dicadere ogni goccia d’acqua sembravaluccicare, simile a una lacrima eperfetta. La vista dei vampiri era unacosa strana, pensò. La sua attenzionecontinuava a essere attratta dalle cosepiù comuni

- lo scintillio dell’acqua, l’erba checresceva tra le fessure dei marciapiedi,la lucentezza iridata della benzinasull’asfalto - come se non le avesse maiviste prima.

«Simon!» ripeté Clary, esasperata.Simon si rese conto che gli stava

porgendo qualcosa di rosa e metallico.Il suo nuovo cellulare. «Ho detto chevoglio che chiami Jace.»

Questo lo fece riscuotere di colpo. «Io chiamare Jace? Ma se mi odia.»

«Non è vero» disse Clary, anche seSimon lesse nel suo sguardo che cicredeva solo a metà. «In ogni caso, ionon intendo parlargli. Ti prego.»

«E va bene.» Le prese il telefono dimano e fece scorrere i numeri sulloschermo finché non trovò quello di Jace.«Cosa vuoi che gli dica?»

«Digli solo quello che è successo.Saprà cosa fare.»

Jace rispose al terzo squillo.Sembrava senza fiato. «Clary» disse,

lasciando Simon di stucco prima che sirendesse conto che, ovviamente, il nomedi Clary doveva essergli comparso sulcellulare. «Clary, va tutto be-ne?»

Simon esitò. La voce di Jace avevaun tono che non aveva mai sentito prima,una preoccupazione ansiosa priva disarcasmo o di difesa. Era così cheparlava a Clary quando erano soli? Lelanciò un’occhiata; lo stava guardandocon gli occhi verdi spalancati,mordendosi inconsapevolmente l’unghiadell’indice destro.

«Clary» ripeté Jace. «Pensavo chemi evitassi…»

Un lampo di irritazione attraversòSimon. Sei suo fratello, avrebbe voluto

gridare attraverso il telefono, tutto qui.Non è tua. Non hai alcun diritto diessere così… così…

Col cuore spezzato. Ecco le parolegiuste. Anche se non aveva mai pensatoche Jace avesse un cuore che potessespezzarsi.

«E hai ragione» disse infine, la vocegelida. «Lo sta ancora facendo. So-noSimon.»

Ci fu un silenzio così lungo cheSimon si chiese se Jace non avesseattaccato.

«Pronto?»«Sono qui.» La voce di Jace era

crepitante e gelida come le foglieautunnali, tutta la sua vulnerabilità era

sparita. «Se mi stai chiamando solo perfare due chiacchiere, mondano, devisentirti più solo di quanto pensassi.»

«Credimi, se fosse stato per me nonti avrei chiamato. Lo faccio per Clary.»

«Sta bene?» La voce di Jacecontinuava a essere gelida, ma con unanuova sfumatura… foglie autunnaliricoperte di un velo lucente di ghiaccioduro. «Se le è successo qualcosa…»

«Non le è successo niente.» Simon sisforzava di non lasciar trapelare larabbia dalla voce. Il più brevementepossibile fece a Jace un resoconto degliavvenimenti della notte e dellecondizioni di Maia. Jace aspettò che fi-nisse, quindi diede seccamente una serie

di brevi istruzioni. Simon stette a sentireinebetito e si sorprese a fare di sì con latesta prima di rendersi conto che Jacenon poteva vederlo. Cominciò a parlaree si accorse che tutto taceva, all’altrocapo del telefono. Jace aveva attaccato.Senza una parola, chiuse l’apparecchio elo porse a Clary. «Sta arrivando.»

Lei si accasciò contro il lavello.«Adesso?»

«Adesso. Insieme a Magnus e Alec.»«Magnus?» fece Clary con aria

stupita, e poi: «Oh, ma certo, Jace stavada Magnus. Pensavo che fosseall’Istituto, ma naturalmente non poteva.I-o…»

Fu interrotta da un grido acuto dal

salotto. Spalancò gli occhi. Simon sisentì rizzare i capelli sulla nuca comefino spinato. «Va tutto bene» disse nelmodo più tranquillizzante che poteva.«Luke non farebbe mai del male aMaia.»

«Glielo sta facendo. Non ha scelta»disse Clary. Scuoteva la testa. «In questigiorni è sempre così. Non c’è maiscelta.» Maia gridò di nuovo, e Clary siaggrappò al bordo del piano di lavorocome se soffrisse anche lei.

« Odio tutto questo!» esplose.«Essere sempre spaventata, sempreinseguita, chiedersi sempre chi sarà ilprossimo a essere ferito. Quanto mipiacerebbe tornare a com’erano le cose

un tempo!»«Ma non puoi. Nessuno di noi può»

disse Simon. «Almeno, tu puoi ancorauscire alla luce del giorno.»

Clary si girò verso di lui, le labbrasocchiuse, gli occhi spalancati e scuri.

«Simon, io non volevo…»«Lo so che non volevi.» Simon

indietreggiò con l’impressione che glifosse rimasto incastrato qualcosa ingola. «Vado a vedere come va di là.»

Per un istante pensò che forse Clarylo avrebbe seguito, ma lei lasciò che laporta della cucina si richiudesse tra lorosenza fiatare.

Nel salotto c’erano tutte le luciaccese. Maia giaceva sul divano, grigia

in viso, con la coperta tirata sul petto. Siteneva contro il braccio destro untampone di stoffa inzuppato di sangue.Aveva gli occhi chiusi.

«Dov’è Luke?» domandò Simon, poisussultò, chiedendosi se il suo tono nonfosse troppo brusco, troppo severo.Maia aveva un aspetto orribile, gli occhiinfossati in cavità grigie, la boccaserrata per il dolore. Sbatté gli occhi e liaprì, fissandoli su di lui.

«Simon» sussurrò. «Luke è andato aspostare la macchina dal prato. Sipreoccupava dei vicini.»

Simon guardò verso la finestra. Videle luci sfiorare con un movimentocircolare la casa mentre Luke faceva

svoltare l’auto nel vialetto. «E tu co-mestai?» le chiese. «Ti ha tolto quegliaffari dal braccio?»

La ragazza annuì fiaccamente. «Sonosolo tanto stanca» mormorò attraverso lelabbra screpolate. «E… assetata.»

«Ti porto un po’ d’acqua.» C’eranouna caraffa e una pila di bicchieri sullacredenza accanto al tavolo della sala dapranzo. Simon riempì un bicchiere diliquido tiepido e glielo portò. Le manigli tremavano leggermente, e quandoMaia gli prese il bicchiere, un po’d’acqua si versò. La ragazza stavaalzando la testa, sul punto di direqualcosa, Grazie, probabilmente,quando le loro dita si sfiorarono e lei si

ritrasse così bruscamente che ilbicchiere volò via. Colpì il bordo deltavolino da caffè e andò in frantumi,schizzando acqua sul pavimento di legnolucido.

«Maia? Tutto bene?»La ragazza si allontanò da lui, le

spalle premute contro la spalliera deldivano, le labbra arricciate. I suoi occhierano diventati di un giallo luminoso. Unprofondo ringhio le uscì dalla gola, ilsuono di un cane braccato.

«Maia?» ripeté Simon, sgomento.« Vampiro» ringhiò lei.Simon si sentì spingere la testa

all’indietro, come se fosse statoschiaffeggiato. «Maia…»

«Pensavo che fossi umano. Ma seiun mostro. Una sanguisuga.»

«Sono umano… voglio dire, eroumano. Mi sono trasformato. Qualchegiorno fa.» La mente gli fluttuava; sisentiva stordito e in preda alla nausea.«Proprio come te…»

«Non osare neppure paragonarti ame!» Maia si era faticosamente messa asedere, gli spaventosi occhi gialliancora fissi su di lui, che lo studiavanocon disgusto. «Io sono ancora umana,ancora viva… Tu sei una cosa morta chesi nutre di sangue.»

«Sangue animale… »«Solo perché non puoi procurartene

di umano, altrimenti i Cacciatori ti

brucerebbero vivo…»«Maia» disse Simon, e nella sua

bocca il nome risuonò con un tono tra ilfurioso e il supplice. Fece un passoverso di lei e la mano della ragazzascattò, le unghie spuntarono come artigli,a un tratto incredibilmente lunghe. Gligraffiarono la guancia e lo fecerobarcollare all’indietro e portare unamano al viso. Il sangue gli rigò laguancia e gli colò in bocca. Lui ne sentìil sapore salato e avvertì un brontolioallo stomaco.

Adesso Maia era accovacciata sulbracciolo del divano, le ginocchiasollevate, le dita artigliate chelasciavano profonde impronte nel

velluto grigio. Un sordo ringhio leusciva dalla gola e le orecchie lungheerano appiattite sulla testa. Quandoscoprì i denti, avevano i bordifrastagliati e aguzzi… non simili ad aghisottili, come i suoi, ma canini robusti,dalle punte bianche. Il tamponeinsanguinato che aveva sul braccio eracaduto e, nei punti in cui erano penetratele spine, Simon vide le punture e loscintillio del sangue che sgorgava, siversava…

Un acuto dolore al labbro inferioregli disse che gli erano spuntate le zanne.Una parte di lui voleva lottare con lei,scaraventarla giù, forarle la pelle coidenti e ingoiarne il sangue caldo. Per il

resto si sentiva come se stesse urlando.Fece un passo indietro e poi un altro, lemani tese come per tenerla a bada.

Maia si protese per balzare in avantiproprio mentre la porta della cucina sispalancava e Clary faceva irruzionenella stanza. Balzò sul tavolino da caffè,dove atterrò leggera come un gatto.Aveva qualcosa in mano, che quandoalzò il braccio balenò di una vivida lucebianco-argentea. Simon vide che era unpugnale dalla curva elegante comeun’ala d’uccello, che sfrecciò accanto aicapelli di Maia, a pochi millimetri dalsuo viso, e affondò fino all’impugnaturanel velluto grigio. Maia provò adallontanarsi e rimase senza fiato; la lama

aveva attraversato la manica,inchiodandola al divano.

Clary ritrasse il pugnale con unostrattone. Era uno di quelli di Luke. Nelmomento in cui aveva socchiuso la portadella cucina e aveva dato un’occhiata aquello che stava succedendo in salotto,si era precipitata verso l’assortimento diarmi personali che Luke teneva nel suoufficio. Maia poteva anche essereindebolita e sofferente, ma le erasembrata abbastanza infuriata dauccidere, e Clary non aveva dubbi sullesue capacità.

«Cosa diavolo vi prende?» si sentìdire Clary, come da lontano, e l’acciaiodella sua voce la stupì. «Lupi mannari,

vampiri… siete tutti e due Nascosti…»«I lupi mannari non fanno del male

alla gente o ai loro simili. I vampirisono assassini. Giusto l’altro giorno,uno di loro ha ucciso un ragazzinoall’Hunter’s Moon…»

«Non è stato un vampiro.» Claryvide Maia impallidire di fronte al tonosicuro della sua voce. «E se la smettestedi darvi la colpa a vicenda di ogni cosabrutta che accade nel Mondo Invisibile,forse i Nephilim comincereb-bero aprendervi sul serio e farebbero davveroqualcosa per voi.» Si rivolse a Simon. Ibrutti tagli sulla sua guancia si stavanogià rimarginando, ridotti ormai a strie diun rosso argenteo. «Stai bene?»

«Sì.» La sua voce era appenapercepibile. Clary vide il dolore neisuoi occhi e per un istante lottò control’impulso di rivolgere a Maia un’infinitàdi insulti osceni. «Sto bene.»

Clary si girò nuovamente verso lagiovane lupa mannara. «Sei fortunatache non è fanatico quanto te, altrimentiandrei a lamentarmi col Conclave e fareipagare un conto molto salato a tutto ilbranco per il tuo comportamento.»

Maia andò su tutte le furie. «Noncapisci. I vampiri sono quello che sonoperché sono contaminati da energiedemoniache…»

«Come i licantropi!» esclamò Clary.«Non saprò granché, ma questo lo so.»

«Ed è proprio questo il punto. Leenergie demoniache ci cambiano, cirendono diversi… chiamala malattia ocome ti pare, ma i demoni che creano ivampiri e i demoni che creano i lupimannari derivano da specie che erano inguerra tra loro. Si odiavano, perciòabbiamo nel sangue l’odio re-ciproco.Non possiamo farne a meno. È perquesto che un lupo mannaro e unvampiro non potranno mai essereamici.» Guardò Simon. I suoi occhibrillavano di rabbia e di qualcos’altro.«Tra poco comincerai anche tu aodiarmi» disse. «E odierai anche Luke.Non potrai farci niente.»

«Odiare Luke?» Simon era color

cenere, ma prima che Clary potesserassicurarlo, la porta di casa si aprì dischianto. Clary si girò a guardare,aspettandosi di vedere Luke, ma non eralui. Era Jace. Era tutto vestito di nero,con due spade angeliche infilate nellacintura che gli cingeva i fianchi stretti.Alec e Magnus erano subito dietro dilui, Magnus in un lungo mantelloscintillante che sembrava decorato diframmenti di vetro frantu-mato.

Gli occhi dorati di Jace si fissaronoimmediatamente su Clary con laprecisione di un laser. Se la ragazzapensava che potesse apparire contrito,preoccupato o perfino vergognoso, dopotutto quello che era successo, si

sbagliava. Sembrava soltantoarrabbiato. «Che cosa credi di fare?» ledomandò con un fastidio esagerato estudiato.

Clary abbassò lo sguardo su di sé.Era ancora appollaiata sul tavolino dacaffè con il coltello in mano. Soffocòl’impulso di nasconderlo dietro laschiena. «Abbiamo avuto un incidente.Me ne sono occupata io.»

«Ma va’.» La voce di Jace trasudavasarcasmo. «Ma lo sai almeno come siusa un coltello, Clarissa? Senzasforacchiare te stessa o qualche spettato-re innocente?»

«Non ho ferito nessuno» sibilò Clarytra i denti.

«L’ha conficcato nel divano» disseMaia in tono fiacco, gli occhi che le sichiudevano. Aveva le guance ancoraarrossate per la febbre e la rabbia, maper il resto il suo viso era pallido inmaniera allarmante.

Simon la guardò preoccupato.«Credo che stia peggiorando.»

Magnus si schiarì la gola. Visto cheSimon non si muoveva, disse: «Fuori daipiedi, mondano» in un tono di immensofastidio. Attraversò a grandi passi lastanza verso il divano su cui era stesaMaia gettandosi il mantello dietro lespalle. «Se ho ben capito, sei tu che haibisogno delle mie cure?»

chiese, abbassando lo sguardo su di

lei attraverso le ciglia incrostate diglitter.

Maia lo guardò con gli occhi persinel vuoto.

«Sono Magnus Bane» continuò lui intono tranquillizzante, allungando le maniornate di anelli. Scintille azzurreavevano cominciato a danzare tra diesse come una bioluminescenza chedanza nell’acqua. «Sono lo stregone cheè qui per curarti. Non ti hanno detto chestavo arrivando?»

«So chi sei, ma…» Maia sembravainebetita. «Sembri così… così…risplendente. »

Alec fece un verso che assomigliavamolto a una risata soffocata da un colpo

di tosse, mentre le mani sottili diMagnus intrecciavano una cortinaazzurra di magia intorno alla lupamannara.

Jace non rideva. «Dov’è Luke?»chiese.

«Fuori» rispose Simon. «Stavaspostando il pick-up dal prato.»

Jace e Alec si scambiarono unarapida occhiata.

«Buffo» fece Jace. Ma non sembravadivertito. «Non l’ho visto quandoabbiamo salito la scala.»

Una sottile spira di panico sidischiuse come una foglia nel petto diClary. «Hai visto il suo pick-up?»

«L’ho visto io» disse Alec. «Era nel

vialetto. A luci spente.»A queste parole perfino Magnus, che

si stava occupando di Maia, alzò losguardo. Attraverso la rete diincantesimi che aveva intrecciatointorno a sé e alla ragazza i suoilineamenti apparivano sfocati eindistinti, come se li guardasse dasott’acqua. «Non mi piace» disse, lavoce sorda e lontana.

«Non dopo l’attacco di un Drevak.Si spostano in branchi.»

La mano di Jace era già protesaverso una delle spade angeliche. «Vadoa cercarlo. Alec, tu rimani qui, proteggila casa.»

Clary saltò giù dal tavolino. «Vengo

con te.»«No.» Jace si avviò verso la porta

di casa, senza guardarsi alle spalle percontrollare se lo seguiva.

Clary si lanciò velocissima e siinfilò tra lui e la porta. « Fermo. »

Per un istante pensò che Jaceavrebbe continuato ad avanzare anche acosto di passarle attraverso, ma lui sifermò a pochi centimetri da lei, cosìvicino che quando parlò Clary sentì ilsuo alito sul viso. «Ti sbatterò a terrase sarà necessario, Clarissa.»

«Smettila di chiamarmi così.»«Clary» disse allora Jace sottovoce,

e il suono del suo nome sulle sue labbraera così intimo che le corse un brivido

lungo la schiena. L’oro dei suoi occhi siera fatto duro, metallico. Si chiese perun momento se potesse davvero balzarleaddosso, che effetto le avrebbe fatto sel’avesse colpita, l’avesse atterrata o leavesse afferrato i polsi. Per Jacecombattere era come per gli altri faresesso. Il pensiero di lui che la toccava aquel modo le fece salire un flussoardente di sangue alle guance.

Parlò cercando di nasconderel’esitazione piena d’angoscia nella suavo-ce. «È mio zio, non il tuo…»

Sul viso di Jace balenòun’espressione di ironia selvaggia.«Qualsiasi zio tuo è anche mio, carasorella… E comunque lui non ha legami

di sangue con nessuno dei due.»«Jace…»«E poi non ho il tempo di farti i

marchi» aggiunse, gli occhi dorati che lascrutavano pigri «e tu hai solo quelpugnale. Non sarà di grande aiuto sedobbiamo vedercela coi demoni.»

Clary conficcò il pugnale nel muroaccanto alla porta e fu premiatadall’espressione di sorpresa sul viso diJace. «E con questo? Tu hai due spadeangeliche; dammene una.»

«Oh, per l’amor del…» Era Simon,le mani infilate nelle tasche, gli occhiche ardevano come carboni neri sul visobianco. «Vado io. »

Clary disse: «Simon, non…»

«Almeno non perdo il mio tempostandomene qui a vedervi flirtare mentrenon sappiamo cos’è successo a Luke.»Le fece cenno di spostarsi dalla porta.

Le labbra di Jace si assottigliarono.«Andiamo tutti. » Con gran sorpresa diClary, tirò fuori una spada angelica dallacintura e gliela porse. «Prendi.»

«Come si chiama?» chiese lei,scostandosi dalla porta.

«Nakir.»Clary aveva lasciato la giacca in

cucina, e quando mise piede sullaveranda buia l’aria fredda che soffiavadall’East River le penetrò attraverso lamaglietta sottile. «Luke?» chiamò. «Luke? »

Il pick-up era fermo sul vialetto conuna delle portiere aperte. La lucinainterna era accesa ed emanava unbagliore fioco. Jace aggrottò la fronte.

«Le chiavi sono nel cruscotto. L’autoè in folle.»

Simon chiuse la porta di casa alleloro spalle. «Come fai a saperlo?»

«Lo sento.» Jace guardò Simonmeditabondo. «E lo sentiresti anche tu seci provassi, succhiasangue.» Balzò giùdalla scala e una lieve risatina fluttuòdietro di lui, portata dal vento.

«Mi sa che “mondano” mi piacevapiù di “succhiasangue”» borbottòSimon.

«Con Jace non c’è verso di

scegliersi un soprannome menooffensivo.»

Clary si frugò nella tasca dei jeansfinché le sue dita non incontrarono lapietra fredda e liscia. Sollevò la manocon la stregaluce, il cui chiarore siirradiava tra le dita come quello di unsole in miniatura. «Andiamo.»

Jace aveva ragione; il pick-up era infolle. Clary, con un tuffo al cuore, sentìl’odore dei gas di scarico. Luke nonavrebbe mai lasciato la portieradell’auto aperta e le chiavi nel cruscottoa quel modo, a meno che non fossesuccesso qualcosa.

Ora Jace girò intorno al veicolo,accigliato. «Avvicina quella stregaluce.»

Si inginocchiò nell’erba, sfiorandolacon le dita. Da una tasca interna dellagiacca estrasse un oggetto che Claryriconobbe: un pezzo di metallo lisciotutto inciso di rune delicate. Un sensore.Jace lo passò sull’erba e quelloprodusse una serie di sonori rumorisecchi, come un contatore Gei-gerimpazzito. «Forti tracce di attivitàdemoniaca.»

«Non potrebbero essere statelasciate dal demone che ha attaccatoMa-ia?» chiese Simon.

«I livelli sono troppo alti. Stanottequi c’è stato più di un demone.» Jace sialzò in piedi, con aria seria. «Forse èmeglio che voi due torniate dentro.

Mandate Alec qui fuori. Ha giàavuto a che fare con questo genere di co-se.»

«Jace…» Clary divenne nuovamentefuribonda. Si interruppe quandoqualcosa attirò il suo sguardo. Unmovimento guizzante, al di là dellastrada, lungo l’argine di cementocosparso di sassi dell’East River. C’eraqualcosa in quel movimento: una stranaangolatura, qualcosa di troppo rapido, ditroppo allungato per essere umano…

Clary stese un braccio per indicare.«Guardate! Accanto all’acqua!»

Jace seguì il suo sguardo e rimasesenza fiato. Un attimo dopo correvaseguito dagli altri due sull’asfalto di

Kent Street e poi sull’erba stentata checosteggiava la banchina del fiume. Lastregaluce oscillava nella mano di Clarymentre correva, illuminando a casopezzi di riva: una macchia di er-bacce,del cemento rotto che sporgeva e la fecequasi inciampare, un mucchio diimmondizia e vetri rotti… poi, quando sifurono avvicinati tanto da vederechiaramente l’acqua che sciabordava, lafigura afflosciata di un uo-mo.

Era Luke… Clary lo capì all’istante,anche se le due sagome scure curve su dilui le nascondevano il suo viso. Erasupino, così vicino all’acqua che per unistante si chiese in preda al panico se lecreature piegate su di lui non lo

tenessero giù cercando di annegarlo. Poisi ritrassero, sibilando attraversobocche perfettamente circolari e prive dilabbra, e Clary vide la testa di Lukepoggiata sulla riva ghiaiosa.

«Demoni Raum» sussurrò Jace.Simon aveva gli occhi sbarrati.

«Sono gli stessi che hanno attaccato Ma-ia?»

«No. Questi sono molto peggio.»Jace fece segno a Simon e a Clary dimettersi alle sue spalle. «Voi due, stateindietro.» Alzò la spada angelica.

« Israfiel! » gridò, e ci fuun’improvvisa esplosione di lucequando la lama divampò. Jace balzò inavanti brandendo l’arma contro il più

vicino dei demoni. Alla luce della spadaangelica, l’orrido aspetto del demonedivenne visibile: bianco come unostraccio, un buco nero al posto dellabocca, occhi sporgenti, da rospo, ebraccia che terminavano con tentacoli alposto delle mani. Di questi si servì perandare all’attacco, agitandoli verso Jacecon incredibile rapidità.

Ma Jace fu più svelto. Ci fu un suonosgradevole, una specie di zac,

quando Israfiel tranciò il polso deldemone. La sua appendice tentacolatavolò in aria, atterrando ai piedi di Clary,dove continuò a contorcersi. Era bianco-grigia, coronata da ventose rossosangue. All’interno di ogni ventosa c’era

un grappolo di minuscoli denti aguzzicome aghi.

Simon ebbe un conato di vomito.Clary fu lì lì per imitarlo. Sferrò uncalcio al grumo di tentacoli che sidibatteva mandandolo a rotolare tra l’er-ba. Quando alzò lo sguardo, vide cheJace aveva atterrato il demone ferito eche stavano ruzzolando insieme sui sassilungo il margine del fiume. Il baglioredella spada angelica tracciava elegantiarchi luminosi che si in-frangevanosull’acqua mentre Jace si dimenava e sicontorceva per evitare i restantitentacoli della creatura… per nonparlare del sangue nero che schizzavadal polso reciso. Clary esitò (doveva

andare da Luke o correre in aiuto aJace?) e in quell’attimo di esitazionesentì Simon gridare: «Clary, attenta!» equando si girò, vide il secondo demonescagliarsi dritto su di lei.

Non ebbe il tempo di sfilare laspada angelica dalla cintura e neppuredi ricordare e gridare il suo nome.Allungò le braccia e il demone la colpì,facendola cadere all’indietro. Andò aterra con un grido, battendodolorosamente la spalla sul terrenoirregolare. I tentacoli scivolosi leraschiarono la pelle. Uno le circondò ilbraccio, stringendolo dolorosamente,l’altro scattò in avanti, avvolgendole lagola.

Clary si portò freneticamente le manial collo cercando si tirare via dallatrachea quell’arto elastico e sferzante.Le dolevano già i polmoni. Scalciò e sidimenò…

A un tratto la pressione svanì; lacreatura si era allontanata da lei. Claryinspirò sibilando e si mise in ginocchio.Il demone era mezzo accovacciato e lafissava coi suoi neri occhi privi dipupille. Si preparava ad attaccare dinuovo? Clary afferrò la spada, esclamò:« Nakir» e una lancia di luce le sprizzòfra le dita. Non aveva mai impugnatouna lama angelica prima di allora. L’elsale tremava e vibrava in mano; sembravaviva. « NAKIR! » gridò più forte

alzandosi malferma, la lama allungata epuntata contro il demone Raum.

Con sua grande sorpresa, il demoneschizzò all’indietro agitando i tentacoli,quasi avesse (ma non era possibile!)paura di lei. Clay vide Simon che lecorreva incontro con in mano quel chesembrava un tubo d’acciaio; dietro dilui, Jace si stava mettendo in ginocchio.Clary non vedeva il demone con cuiaveva combattuto; forse l’aveva ucciso.Quanto al secondo demone Raum, avevala bocca aperta ed emetteva un suonostridulo, afflit-to, come un gufomostruoso. Di colpo si girò e, coitentacoli che si dibattevano, si precipitòverso la riva e saltò nel fiume. Un fiotto

d’acqua nerastra schizzò in alto, poi lacreatura scomparve, svanendo sotto lasuperficie senza lasciare neppure unascia di bollicine a rivelarne laposizione.

Jace le fu accanto proprio mentrescompariva. Era curvo, ansimante,macchiato del sangue nero del demone.«Che cosa… è successo?» domandòrespirando a fatica.

«Non lo so» confessò Clary. «Mi èvenuto addosso… ho cercato di re-spingerlo ma era troppo veloce… e poidi colpo se n’è andato. Come se avessevisto qualcosa che lo ha spaventato.»

«Stai bene?» Era Simon, che le sifermò davanti con una scivolata, senza

ansimare (non respirava più, si disseClary) ma in preda all’ansia, stringendoin mano un grosso tubo.

«Dove l’hai preso?» domandò Jace.«L’ho staccato da un palo del

telefono.» Nel ricordarlo sembròsorpreso.

«Immagino che si sia capaci di tutto,quando l’adrenalina è alle stelle.»

«O quando si ha la forza sacrilegadei dannati» disse Jace.

«Oh, state zitti, tutti e due» fecebrusca Clary, guadagnandosi unosguardo da martire di Simon eun’occhiata beffarda di Jace. Li superò esi diresse in riva al fiume. «O vi sietedimenticati di Luke?»

Luke era ancora privo di sensi, marespirava. Era pallido come era statapallida Maia, e aveva la manicastrappata all’altezza della spalla.Quando Clary staccò con grande cauteladalla pelle la stoffa irrigidita dal sangue,vide che sulla spalla, nel punto in cuiera stato afferrato da un tentacolo, avevauna serie di ferite rotonde. Da ognunacolava un miscuglio di sangue e fluidonerastro. Clary trattenne il fiato.«Dobbiamo portarlo dentro.»

Quando Simon e Jace trasportaronoLuke sui gradini della veranda,trovarono Magnus ad aspettarli. Dopoaverla curata, lo stregone aveva messoMaia a letto nella stanza di Luke, perciò

deposero quest’ultimo sul divanodov’era stata stesa lei e lo affidaronoalle cure di Magnus.

«Si riprenderà?» chiese Clarygironzolando intorno al divano mentreMagnus faceva apparire del fuocoazzurro che gli scintillò tra le mani.

«Starà bene. Il veleno di Raum è unafaccenda un po’ più complicata di unapuntura di Drevak, ma posso sistemarlasenza problemi.» Magnus le fece segnodi allontanarsi. «Sempre che tu non torniqui e mi lasci lavorare.»

Controvoglia, Clary si lasciòsprofondare in una poltrona. Jace e Alecerano accanto alla finestra, le testeaccostate. Jace gesticolava. Clary

immaginò che stesse spiegando ad Alecche cos’era successo con i demoni.

Simon, che pareva a disagio, stavaappoggiato alla parete accanto alla portadella cucina. Sembrava perso nei suoipensieri. Non volendo osservare il visogrigio, inerte, e gli occhi infossati diLuke, Clary posò lo sguardo su Simon,valutando per quali aspetti le apparissefamiliare e, allo stesso tempo,profondamente estraneo. Senza gliocchiali i suoi occhi sembravano piùgrandi e più scuri, più neri che castani.La pelle era pallida e liscia co-memarmo bianco, solcata da vene evidentiin corrispondenza delle tempie e deglizigomi, molto aguzzi. Perfino i capelli

sembravano più scuri, in netto contrastocon il bianco della pelle. Si ricordòquando aveva osservato la follanell’albergo di Raphael, chiedendosiperché non ci fossero vampiri brutti onon attraenti. Forse c’era una regola chevietava di vampirizzare individuifisicamente ripugnanti, aveva pensato,ma adesso si domandava se ilvampirismo in sé non avesse proprietàtrasformatrici: spianare la pellemacchiata, conferire colore e lucentezzaagli occhi e ai capelli. Forse era unvantaggio evolutivo della specie. Unbell’aspetto poteva aiutare i vampiri adattirare le loro prede.

Si rese conto che anche Simon la

fissava, gli occhi scuri spalancati. Ri-scuotendosi dalle sue fantasticherie, sigirò e vide Magnus che si stava alzandoin piedi. La luce azzurra era scomparsa.Gli occhi di Luke erano ancora chiusi,ma non aveva più quel brutto coloritogrigiastro e il suo respiro si era fattoprofondo e regolare.

«Sta bene!» esclamò Clary, e Alec,Jace e Simon corsero a dareun’occhiata. Simon fece scivolare lamano in quella di Clary, che strinse leproprie dita sulle sue, felice diquell’incoraggiamento.

«È ancora vivo?» chiese Simon,mentre Magnus si lasciava cadere sulbracciolo della sedia più vicina. Era

esausto, teso e bluastro. «Ne seisicuro?»

«Sì, ne sono sicuro» disse Magnus.«Sono il Sommo Stregone di Brooklyn,so quello che faccio.» I suoi occhi sispostarono su Jace, che aveva appenadetto qualcosa ad Alec a voce troppobassa perché gli altri potessero sentire.«Il che mi rammenta» continuò Magnusin tono gelido (Clary non l’aveva maisentito così gelido prima d’allora) «chenon ho ben capito come mai mi chiamateogni volta che uno di voi ha anche soloun’unghia incarnita da curare. ComeSommo Stregone, il mio tempo èprezioso. C’è un infinità di stregonimeno importanti che sarebbero felici di

lavorare per voi a un prezzo molto piùmodico.»

Clary lo guardò sbattendo gli occhiper la sorpresa. «Vuoi farci pagare?

Ma Luke è un amico!»Magnus tirò fuori una sottile

sigaretta azzurra dalla tasca dellacamicia.

«Non un mio amico» disse. «Io l’hoincontrato soltanto nei rari casi in cui tuamadre se l’è portato dietro, quandoveniva a farti curare la memoria.»

Passò la mano sulla punta dellasigaretta, che si accese con una fiammamulticolore. «Pensavate che vi aiutassiper il mio buon cuore? O si dà il casoche io sia l’unico stregone che

conoscete?»Jace era a stato a sentire questo

discorsetto reprimendo la rabbia, checonferiva uno scintillio dorato ai suoiocchi color ambra. «No» disse. «Ma sidà il caso che tu sia l’ unico stregoneche conosciamo che sta con un nostroamico.»

Per un istante tutti lo fissarono…Alec in preda a puro orrore, Magnus auna rabbia stupita, Clary e Simon allasorpresa. Fu Alec a parlare per primo,la voce tremante. «Perché dici una cosadel genere?»

Jace sembrava confuso. «E cioè?»«Che io sto… che noi… non è vero»

disse Alec, la voce che saliva e

scendeva di parecchie ottave mentrecercava di controllarla.

Jace lo guardò con fermezza. «Nonho detto che sta con te» disse «ma èbuffo che tu abbia capito esattamentecosa intendevo, non ti pare?»

«Non stiamo insieme» ripeté Alec.«Ah, no?» disse Magnus. «Dunque

sei amico di tutti a quel modo, eh?»« Magnus. » Alec gli rivolse uno

sguardo implorante. Ma a quanto pare lostregone ne aveva abbastanza. Incrociòle braccia sul petto e si mise comodo,osservando la scena che si svolgevadavanti a lui con gli occhi ridotti afessure.

Alec si girò verso Jace. «Tu non…»

cominciò. «Voglio dire, come hai potutosolo pensare…»

Jace scuoteva la testa sconcertato.«Quello che non capisco è perché ti daitanto da fare a tenermi nascosta la tuarelazione con Magnus quando non sareicerto contrario se tu me ne parlassi. »

Se intendeva dire delle parolerassicuranti, non ci riuscì. Alec diventòdi un colore grigio pallido e rimasemuto. Jace disse a Magnus: «Aiutami aconvincerlo che non m’importa,davvero.»

«Oh» disse Magnus con calma«credo che su questo ti creda.»

«Allora non…»Il viso di Jace era sinceramente

confuso e per un attimo Clary videl’espressione di Magnus e capì che eratentato di rispondere. Mossa daun’improvvisa pietà per Alec, tirò via lamano da quella di Simon e disse:

«Jace, basta. Lascia perdere.»«Lascia perdere cosa?» chiese Luke.

Clary girò su se stessa e vide che stavaseduto sul divano, piuttosto in forma, aparte una lieve smorfia di dolore.

«Luke!» Clary si precipitò accantoal divano, pensò di abbracciarlo, videcome si teneva la spalla e rinunciò. «Tiricordi che cosa è successo?»

«Non proprio.» Luke si passò unamano sul viso. «L’ultima cosa chericordo è di essere andato al pick-up.

Qualcosa mi ha colpito alla spalla e miha tirato da una parte. Ricordo un doloreincredibile… In ogni caso, devo esseresvenuto. Poi mi sono ritrovato a sentirecinque persone che urlavano. Di che sitratta?»

«Di niente» dissero in coro Clary,Simon, Alec, Magnus e Jace, in unosbalorditivo unisono che probabilmentenon si sarebbe più ripetuto.

Sebbene fosse sfinito, lesopracciglia di Luke si sollevarono, ma“Capisco” fu tutto quello che disse.

Visto che Maia stava ancoradormendo nella sua stanza, Lukeannunciò che sarebbe stato benone suldivano. Clary propose di cedergli il suo

letto, ma lui rifiutò. Rinunciando ainsistere, Clary si avviò lungo ilcorridoio per andare a prenderelenzuola e coperte nell’armadio dellabiancheria. Stava tirando giù unatrapunta da un alto ripiano, quandoavvertì una presenza al-le sue spalle. Sigirò e lasciò cadere la coperta ai suoipiedi in un soffice mucchio.

Era Jace. «Mi spiace di avertispaventata.»

«Non c’è problema.» Clary si chinòa raccogliere la coperta.

«In realtà non mi dispiace» disse lui.«È l’emozione più intensa che ti ho vistomanifestare da parecchi giorni.»

«Sono parecchi giorni che non ti

vedo.»«E di chi è la colpa? Io ti ho

chiamata. Tu non rispondi al telefono. Enon potevo certo venirti a trovare,

dato che ero in prigione, casomail’avessi dimenticato.»

«Non una vera prigione.» Clarycercò di sembrare disinvolta mentre siraddrizzava. «C’era Magnus a tenerticompagnia. E Laguna Beach. »

Jace mandò bruscamente a quelpaese l’intero cast di Laguna Beach.

Clary sospirò. «Sbaglio o deviandare via con Magnus?»

La bocca di Jace si contrasse eClary vide qualcosa spezzarsi nei suoiocchi, un lampo di dolore. «Non vedi

l’ora di sbarazzarti di me?»«No.» Clary raccolse la coperta e se

la strinse addosso, poi, incapace diincrociare lo sguardo di Jace, abbassògli occhi sulle sue mani. Le belle di-taaffusolate erano coperte di cicatrici.Sull’indice destro, nel punto in cuiaveva portato l’anello dei Morgenstern,era ancora visibile una striscia di pellepiù chiara. Il desiderio di toccarlo eratalmente intenso che ebbe l’impulso dilasciare la coperta e gridare. «No,voglio dire, no, non è così. Non ti odio,Jace.»

«Neanch’io ti odio.»Alzò lo sguardo su di lui, sollevata.

«Sono contenta di sentirlo.»

«Vorrei poterti odiare» disse Jace.La sua voce era disinvolta, la boccapiegata in un sorrisetto noncurante, gliocchi erano devastati dall’infelicità.

«Vorrei odiarti. Ci provo, a odiarti.Sarebbe tutto più facile, se ti odiassi. Avolte penso di odiarti con tutto mestesso, poi ti vedo e…»

Le mani di Clary si eranointorpidite, tanto forte era la stretta sullacoperta. «E cosa?»

«Tu che dici?» Jace scosse la testa.«Perché dovrei dirti quello che provo,quando tu non mi dici mai niente? Ècome sbattere la testa contro il muro,solo che se sbattessi la testa contro ilmuro potrei sempre smettere.»

Le labbra di Clary tremavano cosìforte che le riuscì difficile parlare.

«Credi che sia facile per me?»domandò. «Credi…?»

«Clary?» Era Simon, che era entratonel corridoio con quella sua nuovagrazia silenziosa, spaventandola al puntoda farle cadere un’altra volta la coperta.Clary si girò da una parte, ma nonabbastanza in fretta da nascondergli lasua espressione, né la lucentezzarivelatrice dei suoi occhi. «Capisco»disse Simon dopo una lunga pausa.«Scusate per l’interruzione.»

Scomparve di nuovo in salotto,lasciando Clary a seguirlo con losguardo attraverso un velo tremulo di

lacrime.« Dannazione. » Se la prese con

Jace. «Qual è il tuo problema?» dissecon più violenza di quanta nonintendesse. «Perché devi rovinaretutto?» Lo spinse via alla svelta con lacoperta e sfrecciò fuori dalla stanzaappresso a Simon.

Lui era già fuori dalla porta di casa.Clary lo raggiunse sulla veranda,chiudendosi la porta alle spalle.«Simon! Dove vai?»

Simon si girò quasi con riluttanza.«A casa. È tardi… e non voglio farmicogliere qui dal sorgere del sole.»

Dal momento che il sole non sarebbesorto ancora per parecchie ore, a Clary

quella parve una debole scusa. «Sai chesei libero di rimanere a dormire qui,durante il giorno, se vuoi evitare tuamadre. Puoi andare nella mia stanza…»

«Non credo che sia una buona idea.»«Perché no? Non capisco perché te

ne vai.»Le sorrise. Era un sorriso triste, che

nascondeva qualcos’altro. «Sai qual è lasensazione più brutta che riesco aimmaginare?»

Clary lo guardò sbattendo gli occhi.«No.»

«Non potermi fidare della personache amo più di qualsiasi altra cosa almondo.»

Clary gli mise la mano sulla manica.

Simon non si ritrasse, ma non reagìneppure al suo tocco. «Vuoi dire…?»

«Sì» disse lui, sapendo cosa stavaper chiedergli. «Voglio dire di te.»

«Ma tu puoi fidarti di me.»«Una volta lo pensavo. Ma ho la

sensazione che tu preferisca struggertiper qualcuno con cui non potrai maistare piuttosto che provare a stare conqualcuno con cui potresti.»

Era inutile fingere. «Dammi solo unpo’ tempo. Ho solo bisogno di un po’ ditempo per superare… per superare tuttoquesto.»

«Non vorrai dirmi che mi sbaglio,vero?» chiese Simon. Alla fioca lucedella veranda i suoi occhi erano

grandissimi e scuri. «Non questa volta.»«Non questa volta. Mi dispiace.»«Non devi.» Simon voltò le spalle a

lei e alla sua mano tesa e si avviò versoi gradini della veranda. «Almeno è laverità.»

Per quello che vale. Clary si ficcòle mani in tasca, guardandoloallontanarsi da lei finché non fuinghiottito dall’oscurità.

Alla fine, Magnus e Jace deciseroche non se ne sarebbero andati; Magnusvoleva passare qualche altra ora a casadi Luke per assicurarsi che lui e Maia siriprendessero completamente. Dopopochi minuti di conversazione stentatacon un Magnus annoiato, mentre Jace,

seduto al pianoforte di Luke e immersonello studio di alcuni spartiti, laignorava, Clary decise di andare a lettopresto.

Ma il sonno non si decideva avenire. Attraverso le pareti sentiva Jaceche suonava delicatamente, ma non eraquello a tenerla sveglia. Pensava aSimon, che stava andando in una casache non sentiva più sua, alladisperazione della voce di Jace mentrele diceva Vorrei odiarti, e a Magnus,che non gli aveva detto la verità, ossiache Alec voleva tenerlo all’oscuro dellaloro relazione perché era ancorainnamorato di lui. Pensò allasoddisfazione che avrebbe procurato a

Magnus pronunciare quelle parole adalta voce, confessare la verità, e al fattoche non le aveva pronunciate, lasciandoche Alec continuasse a mentire e afingere, perché era quello che Alecvoleva, e Magnus teneva abbastanza alui da concederglielo. Forse, tuttosommato, quello che aveva detto laRegina della Corte Seelie era vero:l’amore rende bugiardi.

capitolo 13

UNA SCHIERA DIANGELI RIBELLI

Gaspard de la nuit di Ravel èformato da movimenti distinti. Jace era abuon punto del primo, quando si alzòdallo sgabello del piano, andò in cucina,prese il telefono di Luke e fece unachiamata. Poi tornò al piano e aGaspard.

Era a metà del terzo movimento,quando vide una luce scivolare sulprato, davanti alla casa. Un attimo dopola luce si spense, facendolo ripiomba-renel buio, ma a quel punto Jace era già inpiedi e prendeva la giacca.

Si chiuse la porta di casa alle spallesenza fare rumore e scese i gradini a due

a due. Sul prato, accanto al vialetto,c’era una moto con il motore acceso.Aveva uno strano aspetto: tutt’intorno altelaio si attorcigliavano tubi simili avene fibrose, e l’unico faro, ora fioco,ricordava un occhio scintillante. In uncerto senso, sembrava viva quanto ilragazzo che vi era appoggiato eguardava Jace con occhi curiosi.Portava un giubbotto di cuoio. I capelliscuri gli si arricciavano sul colletto e gliricadevano sugli occhi socchiusi.Sogghignava, scoprendo i bianchi dentiacuminati. Naturalmente, pensò Jace, néil ragazzo né la moto erano davverovivi; andavano entrambi a energiademoniaca, erano alimentati dalla notte.

«Raphael» fece Jace a mo’ di saluto.«Ecco» disse il vampiro «l’ho

portata, come mi avevi chiesto.»«Lo vedo.»«Però mi domando perché dovresti

volere una cosa come una motodemoniaca. Tanto per cominciare, questemoto hanno la piena approvazionedell’Alleanza, e poi si dice che tu neabbia già una.»

«È vero» ammise Jace, girandointorno alla moto per esaminarla da tuttele angolazioni. «Ma è sul tettodell’Istituto e al momento non sono ingrado di recuperarla.»

Raphael ridacchiò piano. «A quantopare siamo tutt’e due indesiderabili,

all’Istituto.»«Voi succhiasangue siete ancora

sulla lista nera?»Raphael si piegò di lato e sputò per

terra. «Ci accusano di alcuni assassi-nii» disse arrabbiato. «Della morte delgiovane lupo mannaro, dell’elfo eperfino dello stregone, anche se ho giàspiegato loro che non beviamo sangue distregone: è amaro e può operare stranicambiamenti in chi lo ingeri-sce.»

«L’hai detto a Maryse?»«Maryse.» Gli occhi di Raphael

brillarono. «Non ho potuto parlarle,anche se avrei voluto farlo. Adesso tuttele decisioni vengono presedall’Inquisitrice, tutte le domande e le

richieste passano attraverso di lei. È unabrutta situazione, amico, brutta.»

«A me lo dici?» disse Jace. «Ecomunque non siamo amici. Hoacconsentito a non riferire al Conclavecosa è successo a Simon solo perché miserviva il tuo aiuto. Non perché tu mipiaccia.»

Raphael sogghignò, i denti un lampobianco nel buio. «A me tu piaci.»

Inclinò la testa di lato. «È strano»rifletté. «Pensavo che avresti avuto unatteggiamento diverso, ora che seicaduto in disgrazia con il Conclave. Chenon sei più il loro figlio prediletto.Pensavo che ti avessero tolto un po’della tua arroganza. Ma sei esattamente

come prima.»«Credo nella coerenza» disse Jace.

«Allora, mi lasci prendere la moto o no?Ho solo poche ore, prima del sorgeredel sole.»

«Se ho ben capito, non mi darai unpassaggio a casa?» Raphael si allontanòcon grazia dalla moto; mentre simuoveva, Jace notò lo scintillio dellacatena d’oro che portava al collo.

«No.» Jace salì sulla moto. «Mapuoi dormire qui in cantina, se tipreoccupa il sorgere del sole.»

«Mmm.» Raphael sembròpensieroso. Era qualche centimetro piùbasso di Jace, e pur sembrando piùgiovane, aveva occhi molto più vecchi.

«Così adesso siamo pari per Simon,Cacciatore?»

Jace diede gas alla moto, avviandosiverso il fiume. «Non saremo mai pari,succhiasangue, ma è pur sempre uninizio.»

Jace non guidava una moto daquando il tempo era cambiato e fu presoalla sprovvista dal vento gelido che sialzava dal fiume, penetrandogli nellagiacca leggera e nel tessuto dei jeanscon aghi di gelo dalla punta ghiaccia-ta.Rabbrividì, felice di essersi almenomesso i guanti di pelle.

Sebbene il sole fosse appenatramontato, il mondo appariva giàsbiadito.

Il fiume era color acciaio, il cielogrigio tortora, l’orizzonte una spessalinea nera dipinta in lontananza. Le lucitremolavano e scintillavano lungo lecampate dei ponti di Williamsburg eManhattan. L’aria sapeva di neve,sebbene mancassero ancora mesiall’inverno.

L’ultima volta che aveva volato sulfiume, Clary era con lui, le sue braccialo cingevano e le sue piccole mani eranostrette sulla stoffa della sua giacca. Nonaveva avuto freddo, allora. Fece unabrusca virata e sentì la moto sbandare dilato; pensò di aver visto la propriaombra lanciarsi sull’acqua, follementeinclinata da una parte. Mentre si

raddrizzava, la vi-de: una nave con nerefiancate di metallo, senza insegne equasi priva di luci, la prua una strettalama che fendeva l’acqua. Gli ricordòuno squalo, agile, svelto e micidiale.

Frenò e scivolò giù con cautela,senza far rumore, come una foglia cattu-rata da un’onda. Non gli sembrava discendere, ma piuttosto aveval’impressione che la nave si sollevasseper andargli incontro, galleggiando suuna corrente montante. Le ruoteatterrarono sul ponte e Jace si fermò inscivolata. Non c’era bisogno dispegnere il motore; saltò giù dalla motoe il suo rombo si ridusse a un ringhio,poi a un fremito, poi al silenzio. Quando

lui si girò a guardarla, sembrava quasiche lo fissasse torva, come un caneimbronciato a cui è stato ordinato dirimanere dov’è.

Le sorrise. «Tornerò a prenderti.Prima devo controllare questa barca.»

C’era un sacco di cose dacontrollare. Jace si trovava su un ampioponte, con l’acqua alla sua sinistra.Tutto era nero: il ponte, il parapetto,perfino i finestrini della cabina lunga estretta. La barca era più grande diquanto si era aspettato: lungaprobabilmente quanto un campo dacalcio o forse più.

Non assomigliava a nessunaimbarcazione che gli fosse capitato di

vedere (troppo grande per essere unoyacht, troppo piccola per essere untransa-tlantico), e poi non aveva maivisto una nave interamente dipinta dinero.

Si chiese dove l’avesse pescata suopadre.

Jace iniziò un lento giro intorno alponte. Ora il cielo era sgombro dinuvole e le stelle splendevano,incredibilmente luminose. Ai suoi lativedeva la città illuminata, come se sitrovasse in un corridoio vuoto fatto diluce. I suoi stivali producevano tonfisordi sul ponte. A un tratto si chiese seValentine fosse lì. Jace era stato di radoin un luogo dall’aria tanto abbandonata.

Si fermò un istante a prua e fecevagare lo sguardo sul fiume, che tagliavaManhattan e Long Island come unacicatrice. L’acqua era agitata e sisollevava in alte onde dalle cresteargentee. Soffiava un vento forte ecostante, il tipo di vento che soffia solosull’acqua. Allargò le braccia e lasciòche gli afferrasse la giacca e la facessesventolare come due ali, gli sferzas-se ilviso con i capelli e gli pungesse gliocchi fino alle lacrime.

Accanto alla tenuta di Idris c’era unlago. Suo padre gli aveva insegnato anavigarci, gli aveva insegnato illinguaggio del vento, dell’acqua e delgalleggiamento. Tutti gli uomini

dovrebbero saper navigare, aveva detto.Era una delle poche volte che si era

espresso in quel modo, dicendo tutti gliuomini invece di tutti i Cacciatori.Probabilmente era un modo perricordare a Jace che, qualunque cosafosse diventato, avrebbe sempre fattoparte del genere umano.

Dando le spalle alla prua con gliocchi che gli bruciavano, Jace vide unaporta incassata nella parete della cabina,tra due finestrini oscurati. Attraversòalla svelta il ponte e cercò la maniglia.La porta era chiusa a chiave.

Con lo stilo incise nel metallo unaserie di rune di Apertura e la porta sispalancò, coi cardini che stridevano in

segno di protesta e spargevano rossescaglie di ruggine. Jack si curvò sotto ilbasso vano della porta e si ritrovò suuna scala di metallo fiocamenteilluminata. L’aria sapeva di ruggine eabbandono. Fece un altro passo avanti ela porta si richiuse con fragore alle suespalle con un’eco metallica.

Imprecò, cercando tastoni la pietrarunica di stregaluce nella tasca. Sentì iguanti indurirsi e le dita irrigidite dalgelo. Lì dentro faceva più freddo che sulponte. L’aria era come ghiaccio. Tiròfuori la mano dalla tasca, tremando, nonsolo per la temperatura. I capelli sullanuca gli formicolava-no, i suoi nervierano tesi come corde di violino. C’era

qualcosa che non andava.Sollevò la pietra runica, che

risplendette facendogli lacrimare ancoradi più gli occhi. Attraverso la nebbiavide la snella figura di una ragazza rittadavanti a lui, le mani giunte sul petto, icapelli una macchia di rosso contro ilmetallo nero tutt’intorno.

La mano gli tremò, spargendosaltellanti dardi di stregaluce, come seuna schiera di lucciole si fosse levata involo dall’oscurità. « Clary? »

Lei lo fissava, il viso bianco, lelabbra tremanti. Le domande gli moriro-no in gola… che cosa ci faceva là?Com’era finita sulla nave? Fu afferratoda uno spasmo di terrore, peggiore di

qualsiasi paura mai provata per sestesso. C’era qualcosa che non quadravain lei, in Clary. Jace fece un passoavanti, proprio mentre la ragazzascostava le mani dal petto e le tendevaverso di lui. Erano appiccicose disangue, che le copriva il vestito biancocome una pettorina rossa.

Clary si piegò in avanti e Jace laafferrò con un braccio. Quando glicadde addosso con tutto il peso, luilasciò quasi andare la stregaluce.Sentiva il battito del suo cuore, il toccodei suoi capelli soffici contro il mento,così familiare. Però, aveva un odorediverso. L’odore che Jace associava aClary, un misto di sapone floreale e

cotone pulito, era scomparso; ora leisapeva solo di sangue e metallo. La testadella ragazza si inclinò all’indietro, isuoi occhi si rovesciarono, scoprendo ilbianco. Il battito selvaggio del suo cuorerallentò e si fermò…

«No!» La scrollò, così forte che latesta gli cadde contro il braccio.

«Clary! Svegliati!» La scrollò dinuovo, e stavolta le sue cigliatremolarono; il sollievo lo pervase comeun improvviso sudore freddo, poi gliocchi di Clary si aprirono, ma non eranopiù verdi; erano di un bianco opaco eluccicante, erano bianchi e accecanticome fari su una strada buia, bianchicome il rumore fragoroso nella sua

mente. Ho già visto quegli occhi, pensòlui, poi l’oscurità lo investì comeun’onda, portandosi dietro il silenzio.

C’erano fori e puntini di lucescintillante sullo sfondo oscuro. Jacechiuse gli occhi cercando di calmare ilproprio respiro. Si sentiva in bocca unsapore di rame, come di sangue, e capìche era steso su una fredda superficiemetallica e che il gelo gli stavapenetrando attraverso i vestiti e la pelle.

Contò mentalmente all’indietro, apartire da cento, finché il respiro nonrallentò. Poi riaprì gli occhi.

Regnava ancora il buio, ma si eratramutato in un familiare cielo notturnodisseminato di stelle. Jace era in

coperta, steso supino all’ombra delponte di Brooklyn che incombeva sullaprua come una montagna di pietra emetallo. Gemette e si sollevò suigomiti… poi si immobilizzò, quando siaccorse di un’altra ombra, questachiaramente umana, china su di lui. «Hairicevuto una brutta botta in testa» dissela voce che ossessionava i suoi sogni.«Come ti senti?»

Jace si mise a sedere e se ne pentìimmediatamente non appena sentì lostomaco sottosopra. Se avesse mangiatoqualcosa nelle dieci ore precedenti, disicuro lo avrebbe vomitato. Stando cosìle cose, invece, l’acre sapore della bilegli inondò la bocca. «Mi sento da

schifo.»Valentine sorrise. Era seduto su un

mucchio di scatole vuote appiattite,vestito di tutto punto in abito grigio ecravatta, quasi fosse seduto dietrol’elegante scrivania di mogano nellatenuta degli Wayland, a Idris. «Houn’altra domanda da rivolgerti: come haifatto a trovarmi?»

«Ho estorto l’informazione con latortura al tuo demone Raum» risposeJace. «Sei stato tu a insegnarmi dovehanno il cuore. L’ho minacciato e haparlato… Be’, non sono molto svegli,però è riuscito a dirmi che era venuto dauna nave sul fiume. Ho alzato lo sguardoe ho visto l’ombra della tua barca

sull’acqua. Mi ha detto che avevi fattocomparire anche quella, ma questol’avevo già capito.»

«Vedo.» Valentine sembrònascondere un sorriso. «La prossimavolta, prima di venire, dovresti almenoannunciarmi la tua visita. Ti eviterà unospiacevole scontro con le mie guardie.»

«Guardie?» Jace si appoggiò alfreddo parapetto di metallo e aspiròdelle profonde boccate di aria pulita efredda. «Vuoi dire i demoni, vero? Haiusato la Spada per convocarli.»

«Non lo nego» disse Valentine. «Lebestie di Luke hanno distrutto il mioesercito di Dimenticati e non ho avuto néil tempo né la voglia di crearne un altro.

Adesso che ho la Spada Mortale, non hopiù bisogno di loro. Ho ben altro.»

Jace pensò a Clary insanguinata emorente tra le sue braccia. Si portò unamano alla fronte. Era fredda per ilcontatto con il parapetto di metallo.

«Quella cosa sulla scala» disse.«Non era Clary, vero?»

«Clary?» Valentine sembròmoderatamente sorpreso. «È quello chehai visto?»

«Sì, perché?» Jace si sforzò dimantenere la voce piatta, indifferente.Era abituato ai segreti, propri o altrui,ma i suoi sentimenti per Clary eranoqualcosa che credeva di potersopportare solo a patto di non stare a

pensarci troppo su.Ma questo era Valentine. Lui

considerava ogni cosa attentamente, ana-lizzando in che modo potesse volgerla aproprio vantaggio. In questo gliricordava la Regina della Corte Seelie:fredda, minacciosa, calcolatrice.

«Quello che hai incontrato sullascala» disse Valentine «era Agramon, ilDemone della Paura. Agramon assumela forma di ciò che più ti terrorizza.

Quando ha finito di nutrirsi del tuoterrore, ti uccide, ammesso che a quelpunto tu sia ancora vivo. La maggiorparte degli uomini e delle donnemuoiono prima, di paura. Meriti le miecongratulazioni per avere resistito tanto

a lungo.»«Agramon?» Jace era stupefatto. «È

un Demone Superiore. Come hai fatto ametterti in contatto con uno come lui?»

«Ho pagato uno stregone giovane epresuntuoso per invocarlo al posto mio.Pensava che, se il demone fosse rimastoall’interno del pentagramma, avrebbepotuto controllarlo. Sfortunatamente perlui, la sua paura più grande era che, unavolta invocato, il demone potessespezzare le difese del pentagramma eattaccarlo, il che è esattamente quelloche è successo quando Agramon si èmaterializzato.»

«Allora è così che è morto» disseJace.

«Di chi parli?»«Dello stregone» rispose Jace. «Si

chiamava Elias, aveva sedici anni. Tu losapevi, vero? Il Rituale dellaTrasformazione Infernale…»

Valentine rise. «Ti sei dato da fare,eh? Allora sai anche perché ho mandatoquei demoni a casa di Lucian, vero?»

«Volevi Maia. Perché è una giovanelupa mannara. Ti serviva il suo sangue.»

«Ho mandato i demoni Drevak aspiare cosa succedeva da Lucian conl’ordine di riferirmelo» disse Valentine.«Lucian ne ha ucciso uno, ma l’altro miha rivelato la presenza di una piccolalicantropa, e allora…»

«Hai mandato i demoni Raum a

prenderla.» A un tratto Jace si sentìstanchissimo. «Perché Luke le vuolebene e quindi tu volevi ferirlo.» Rimasein silenzio per un istante, poi disse intono misurato: «Il che è piuttostomeschino, perfino per te.»

Per un momento una scintilla di iraaccese gli occhi di Valentine, che poirovesciò la testa e scoppiò a ridere.«Ammiro la tua cocciutaggine. È cosìsimile alla mia.» Quindi si alzò in piedie gli porse una mano. «Avanti, fai ungiro del ponte con me. C’è qualcosa chevoglio mostrarti.»

Jace voleva respingere la mano tesa,ma, considerato il dolore alla testa, nonera sicuro di potersi alzare da solo.

Inoltre era meglio non far arrabbia-recosì presto suo padre; per quantoValentine potesse apprezzare il suo ca-rattere indipendente, non aveva maiavuto troppa pazienza con i compor-tamenti ribelli.

La sua mano era fredda e asciutta, lapresa stranamente rassicurante.

Quando Jace fu in piedi, Valentine lolasciò ed estrasse di tasca uno stilo.

«Lasciami eliminare quelle ferite»disse allungando la mano verso il figlio.

Jace si ritrasse… dopo un attimo diesitazione, che non sfuggì a Valentine.«Non voglio il tuo aiuto.»

Valentine mise via lo stilo. «Comepreferisci.» Si mise a camminare, e

Jace, dopo un istante, gli andò dietro,accelerando il passo per raggiungerlo.Conosceva suo padre abbastanza beneper sapere che non si sarebbe mai giratoper vedere se lo seguiva, l’avrebbe datosemplicemente per scontato e poiavrebbe cominciato a parlare.

Non si sbagliava. Quando loraggiunse, Valentine stava già parlando.

Aveva le mani mollemente giuntedietro la schiena e si muoveva con unagrazia disinvolta, spontanea, insolita inun uomo grosso e dalle spalle larghe.Camminava piegato in avanti, come seavanzasse a grandi falcate contro unvento impetuoso.

«… se ben ricordo» stava dicendo

Valentine «dovresti conoscere bene ilParadiso perduto di Milton.»

«Me l’avrai fatto leggere dieci oquindici volte» osservò Jace. «È meglioregnare all’inferno che servire inparadiso e via di questo passo.»

« Non serviam» disse Valentine.«”Non servirò”. È ciò che Luciferoscrisse sul proprio vessillo quando siscagliò contro l’autorità insieme alla suaschiera di angeli ribelli.»

«Dove vuoi arrivare? A dirmi chestai dalla parte del diavolo?»

«Alcuni dicono che anche Miltonstesse dalla parte del diavolo. Il suoSatana è una figura certamente piùinteressante del suo Dio.» Avevano

quasi raggiunto la prua della nave.Valentine si fermò e si appoggiò alparapetto.

Jace lo raggiunse. Avevanooltrepassato i ponti sull’East River epuntavano verso il mare aperto, traStaten Island e Manhattan. Le luci deldistretto finanziario di Downtownscintillavano sull’acqua come unastregaluce. Il cielo era cosparso dipolvere di brillanti e il fiumenascondeva i propri segreti sotto unaliscia coltre nera, qua e là infranta da unbalenio argenteo, forse la coda di unpesce… o di una sirena. La mia città,pensò Jace giusto per provare, ma quelleparole gli fecero venire in mente

Alicante e le sue torri di cristallo, non igrattacieli di Manhattan.

Dopo un momento, Valentine disse:«Perché sei qui, Jonathan? Dopo avertivisto nella Città di Ossa, mi sonochiesto se il tuo odio per me eradavvero implacabile. Avevo quasirinunciato a te.»

Il suo tono era uniforme, come quasisempre, ma aveva qualcosa di…

non di vulnerabile, ma quantomenopervaso da una sorta di sinceracuriosità, come se si fosse reso contoche il figlio era capace di sorprenderlo.

Jace spinse lo sguardo sull’acqua.«La Regina della Corte Seelie volevache ti facessi una domanda. Mi ha detto

di chiederti quale sangue scorre nellemie vene.»

La sorpresa passò sul viso diValentine come una mano che spianiqualsiasi espressione. «Hai parlato conla Regina?»

Jace rimase in silenzio.«È tipico del Popolo Fatato. Tutto

quello che dicono ha più di unsignificato. Se te lo richiede, dille chenelle tue vene scorre il sanguedell’Angelo.»

«È nelle vene di tutti gliShadowhunter» disse Jace, deluso.Aveva sperato in una risposta migliore.«Non mentiresti alla Regina della CorteSeelie, vero?»

Il tono di Valentine fu brusco. «No.E tu non saresti venuto solo per farmiquesta ridicola domanda. Qual è la veraragione per cui sei qui, Jonathan?»

«Dovevo parlare con qualcuno.»Non era bravo come suo padre acontrollare la voce. Poteva percepirvi ildolore, come una ferita sanguinanteappena sotto la superficie. «ILightwood… per loro sono solo unproblema.

Ormai anche Luke deve odiarmi.L’Inquisitrice mi vuole morto. Ho fattoqualcosa che ha ferito Alec e non soneanche bene cosa.»

«E tua sorella?» chiese Valentine.«Che mi dici di Clarissa?»

Perché devi rovinare tutto?«Neanche lei è contenta di me.» Jaceesitò.

«Ricordo quello che hai detto nellaCittà di Ossa. Che non hai mai avutooccasione di raccontarmi la verità. Nonmi fido di te» aggiunse. «Voglio che tu losappia. Ma pensavo di darti l’occasionedi spiegarmi perché. »

«Devi chiedermi più di un perché,Jonathan.» Nella voce di suo padrerisuonò una nota che stupì Jace, una fieraumiltà che sembrò temprare l’orgogliodi Valentine come il fuoco può temprarel’acciaio. «Ce ne sono talmente tanti, diperché. »

«Perché hai ucciso i Fratelli Silenti?

Perché hai preso la Spada Mortale?Cosa hai in mente? Perché la Coppa

Mortale non ti è bastata?» Jace si bloccòprima di poter fare altre domande.Perché mi hai lasciato una secondavoltai Perché mi hai detto che non eropiù tuo figlio e poi sei venuto aprendermi?

«Sai quello che voglio. Il Conclaveè irrimediabilmente corrotto e vadistrutto e rifondato. Idris va liberatadall’influenza delle razze degenerate ela terra privata della minacciademoniaca.»

«Già, a proposito di minacciademoniaca.» Jace si guardò intorno,quasi si aspettasse di vedere l’ombra

nera di Agramon incombere su di lui.«Pensavo che odiassi i demoni. Adessoli usi come servi: i Divoratori, i demoniDrevak, Agramon… sono alle tuedipendenze. Guardie, maggiordomo…

cuoco personale, per quanto ne so.»Valentine tamburellò sul parapetto.

«Non sono amico dei demoni» disse.«Sono un Nephilim, a prescindere

dalla mia convinzione che l’Alleanza siainutile e la Legge fraudolenta. Per essereun patriota, un individuo non de-veessere necessariamente d’accordo con ilsuo governo, no? Un vero patriota puòdissentire e dire che ama il suo paesepiù che la propria posizione nella scalasociale. Sono stato denigrato per la mia

scelta, costretto a nascondermi, banditoda Idris. Ma sono, e rimarrò sempre, unNephilim. Non potrei cambiare il sangueche ho nelle vene neppure se lovolessi… e non voglio.»

Io sì. Jace pensò a Clary. Abbassòdi nuovo lo sguardo sull’acqua scura,sapendo che non era vero. Rinunciare acacciare, a uccidere, allaconsapevolezza della propriaincredibile velocità e delle proprie dotiinfallibili: impossibile. Era unguerriero. Non poteva essere altro.

«E tu?» chiese Valentine. Jacedistolse svelto lo sguardo, temendo cheil padre potesse leggergli in faccia.Erano stati insieme, loro due soli, per

co-sì tanti anni. Una volta conosceva ilviso di suo padre meglio del proprio.

Valentine era l’unica persona a cuinon avrebbe mai saputo nascondere isuoi sentimenti. O quantomeno la prima.A volte aveva l’impressione che ancheClary potesse guardare attraverso di luicome fosse di vetro.

«Neanch’io» disse. «Non posso.»«Sarai per sempre un Cacciatore?»«Sì. In fondo, è quello che hai fatto

di me.»«Bene» fece Valentine. «È quello

che volevo sentire.» Si appoggiò alparapetto, lo sguardo al cielo stellato.Aveva una spruzzata di grigio nei capellibianchi; Jace non l’aveva mai notata

prima. «Questa è una guerra»disse suo padre. «L’unica questione

è: da che parte la combatterai?»«Credevo che fossimo tutti dalla

stessa parte. Credevo che fossimo noicontro il mondo demoniaco.»

«Magari fosse così. Ma non capisciche, se sentissi che il Conclave hadavvero a cuore ciò che più conviene aquesto mondo, se pensassi che staagendo al meglio… per l’Angelo,perché dovrei combatterlo? Che ragioneavrei?»

Il potere, pensò Jace, ma rimasezitto. Non era più sicuro di che cosa di-re, e ancor meno di che cosa credere.

«Se il Conclave va avanti così»

disse Valentine «i demoni ne vedrannola debolezza e attaccheranno. E ilConclave, distratto dai suoi continui ten-tativi di accattivarsi le razze degenerate,non sarà più in grado di respinger-li. Idemoni lo attaccheranno, lodistruggeranno e faranno piazza pulita.»

Le razze degenerate. Quelle parolegli suonavano sgradevolmente familiari;gli rammentavano l’infanzia, e inmaniera non del tutto negativa.

Quando pensava a suo padre e aIdris, gli si presentava sempre lo stessoricordo sfocato di un sole ardente cheinondava i prati verdi davanti alla lorotenuta in campagna, e una figura grande,scura e dalle spalle larghe che si

chinava per sollevarlo dall’erba eportarlo in casa. Doveva essere moltopiccolo allora, e non l’aveva maidimenticato, non aveva dimenticatocome odorava l’erba - verde, brillante,appena tagliata - o come il soletrasformava i capelli di suo padre in unalone soffice, e neppure la sensazione diessere portato in braccio. Di essere alsicuro.

«Luke» disse Jace con una certadifficoltà. «Luke non è un degenera-to…»

«Lucian è diverso. Una volta era unCacciatore.» Il tono di Valentine erapiatto e definitivo. «Qui non si tratta disingoli Nascosti, Jonathan. Si tratta della

sopravvivenza di ogni creatura viventesulla terra. L’Angelo ha scelto iNephilim per una ragione. Siamo imigliori di questo mondo, e siamodestinati a salvarlo. Siamo la cosa piùvicina agli dei che esista sulla Terra…

E dobbiamo usare il nostro potereper salvarla dalla distruzione, aqualunque costo.»

Jace appoggiò i gomiti sul parapetto.Faceva freddo: il vento gelido penetravaattraverso i vestiti e lui si sentiva lepunte delle dita intorpidite.

Nella sua mente, però, vedevacolline verdi e acqua azzurra e le pietrecolor miele della tenuta degli Wayland.

«Nell’Antico Testamento» disse

«quando indusse Adamo ed Eva apeccare, Satana disse loro: “Saretecome dei”. E per questa ragione furonocacciati dal paradiso terrestre.»

Ci fu un breve silenzio, quindirisuonò la risata di Valentine. «Vedi, èper questo che ho bisogno di te,Jonathan. Tu mi impedisci di peccare diorgoglio.»

«Ci sono tanti generi di peccato.»Jace si raddrizzò e si girò peraffrontarlo. «Non hai risposto alla miadomanda sui demoni, padre. Come puoigiustificare il fatto di invocarli, diaccordarti con loro? Progetti di mandar-li contro il Conclave?»

«Certo» rispose Valentine senza

esitare, senza riflettere neanche unsecondo se fosse saggio rivelare i suoipiani a qualcuno che poteva rivelarli aisuoi nemici. Nulla poteva turbare Jacepiù della consapevolezza di quanto suopadre fosse sicuro del successo. «IlConclave non cederà alla ragione, masolo alla forza. Ho provato a formare unesercito di Dimenticati; con la Coppa,potrei creare un esercito di nuoviShadowhunters, ma im-piegherei deglianni. Tuttavia io non ho a disposizioneanni. Noi, la razza umana, non abbiamo adisposizione anni. Con la Spada possoevocare un esercito di demoniobbedienti. Saranno strumenti al mioservizio, esegui-ranno ciecamente i miei

ordini. Non avranno scelta. E quandoavrò finito, comanderò che sidistruggano, e lo faranno.» La sua vocenon tradiva alcuna emozione.

Jace stringeva il parapetto con unatale forza, che cominciarono a doler-glile dita. «Non puoi trucidare ogniCacciatore che ti si opponga. Èassassinio.»

«Non sarà necessario. Quando imembri del Conclave vedranno lapotenza schierata contro di loro, siarrenderanno. Non sono dei suicidi. Epoi, tra loro c’è chi mi sostiene.» Nonc’era arroganza nel suo tono, solo unacalma certezza. «Si faranno avantiquando verrà il momento.»

«Penso che tu sottovaluti ilConclave.» Jace provò a rendere fermala propria voce. «Non credo che ti rendaconto di quanto ti odiano.»

«L’odio non è niente, se va a scapitodella sopravvivenza.» La mano diValentine si spostò sulla cintura, dovel’elsa della Spada luccicavadebolmente. «Ma non devi credermisulla parola. Ti avevo detto che volevomostrarti una cosa. Eccola.»

Sguainò la Spada e la porse a Jace.Jace aveva già visto Mellartach nellaCittà di Ossa, appesa alla parete delpadiglione delle Stelle Parlanti. E avevascorto l’elsa spuntare dal fodero, al disopra della spalla di Valentine, ma non

l’aveva mai esaminata da vicino. LaSpada dell’Anima, la Spada Mortale oSpada dell’Angelo. Era di un argentoscuro, pesante, che scintillava di unfioco splendore. La luce sembravamuoversi sopra e attraverso di essa,quasi fosse fatta di acqua. Nell’elsafioriva una fiammeggiante rosa di luce.

Il ragazzo parlò con la bocca secca.«È bellissima.»

«Voglio che la impugni.» Valentineporse la Spada al figlio nel modo in cuigli aveva sempre insegnato, dalla partedell’elsa. Alla luce delle stelle, la lamasembrò emanare un cupo bagliore.

Jace esitò. «Non…»«Prendila.» Gliela premette in mano.

Nel momento in cui le dita di Jace sichiusero intorno all’impugnatura, unalancia di luce guizzò fuori dall’elsa e siriversò nella lama. Jace lanciò unarapida occhiata al padre, ma Valentineera impassibile.

Un oscuro dolore si diffuse per ilbraccio di Jace, su fino al petto. Non chela Spada fosse pesante. È che sembravavolerlo spingere verso il basso,trascinarlo attraverso la nave, attraversol’acqua verde del mare, persinoattraverso la fragile crosta terrestre.Ebbe l’impressione che qualcosa glistrappasse il fiato dai polmoni.Rovesciò la testa in alto e si guardòintorno…

E vide che la notte era cambiata. Incielo era stato gettato un luccicantereticolo di sottili fili dorati e le stellesplendevano attraverso di esso,luminose come capocchie di chiodipiantati nelle tenebre. Jace vide la curvadel mondo, mentre questo scivolava viada lui e, per un momento, fu colpitodalla bellezza dello spettacolo. Poi ilcielo notturno sembrò infrangersi comeun vetro e, attraverso mille frammenti, siriversò un’orda di figure scure, gibbosee contorte, deformi e senza volto,lanciando un muto grido che si incise afuoco nella sua mente. Un vento gelidolo sferzò, mentre cavalli a sei zampe glisfrecciavano accanto e i loro zoccoli

facevano volare scintille insanguinatedal ponte della nave. Gli esseri che licavalcavano erano indescrivibili. Soprala sua testa volteggiavano creature senzaocchi e dalle ali coriacee che gridavanoe lasciavano colare un umore verdevelenoso.

Jace si curvò sul parapetto in predaa incontrollabili conati di vomito, laSpada ancora stretta in pugno. Sotto dilui, l’acqua pullulava di demoni, comeuno spezzatino venefico. Vide creaturecoperte di spine con occhi sanguinolentigrandi come piatti lottare mentrevenivano trascinate sott’acqua daribollenti masse di viscidi tentacoli neri.Una sirena, presa nella morsa di un

ragno d’acqua a dieci zampe, urlòdisperatamente quando quello le affondòle zanne nella coda che si dibatteva, gliocchi rossi scintillanti come gocce disangue.

La Spada cadde di mano a Jace esbatté rumorosamente sul ponte. Dicolpo il rumore e lo spettacoloscomparvero e la notte si fecesilenziosa. Il ragazzo si aggrappòspasmodicamente al parapettoguardando incredulo il mare sotto di lui.Era vuoto, la superficie increspata dalvento.

«Che cos’era?» sussurrò. Si sentivala gola rasposa, come se l’avesseroraschiata con della carta vetrata. Jace

guardò furibondo il padre, che si erachinato a recuperare la Spadadell’Angelo dal ponte dove l’avevalasciata cadere. «Sono quelli i demoniche hai già evocato?»

«No.» Valentine rinfoderòMellartach. «Quelli sono i demoni chesono stati attirati ai margini del nostromondo dalla Spada. Ho portato qui lana-ve perché in questo luogo leprotezioni sono deboli. Quello che haivisto è il mio esercito, in attesa al di làdelle protezioni… in attesa che io lochiami a combattere al mio fianco.» Ilsuo sguardo era serio. «Pensi ancora cheil Conclave non capitolerà?»

Jace chiuse gli occhi e disse: «Non

tutti… non i Lightwood…»«Potresti convincerli tu. Se starai

dalla mia parte, giuro che non sarà fattoloro alcun male.»

L’oscurità dietro gli occhi di Jacecominciò a tingersi di rosso. Gli eranovenute in mente le ceneri della vecchiacasa di Valentine, le ossa annerite deinonni che non aveva mai conosciuto. Evide altri visi. Quello di Alec.

Quello di Max. Quello di Clary.«Li ho già feriti abbastanza»

sussurrò. «Non deve accaderenient’altro a nessuno di loro. Niente.»

«Certo. Capisco.» E Jace si reseconto, con suo grande stupore, cheValentine capiva davvero, che in qualche

modo vedeva quello che nessun altrosembrava capire. «Tu pensi che siacolpa tua, per tutto il male che ha colpitoi tuoi amici, la tua famiglia.»

« È colpa mia.»«Hai ragione. È così.» A queste

parole Jace alzò lo sguardo nel piùassoluto sbigottimento. Nella sorpresadi vedersi dare ragione, lottavano in e-guale misura l’orrore e il sollievo.

«Davvero?»«Non l’hai fatto intenzionalmente,

chiaro. Ma noi due siamo uguali. Av-veleniamo e distruggiamo tutto ciò cheamiamo. E c’è una ragione.»

«Quale?»Valentine alzò gli occhi al cielo.

«Siamo destinati a un fine superiore, ioe te. Le distrazioni del mondo sono soloquesto, distrazioni appunto. Sepermettiamo che ci allontanino dallanostra strada, veniamo regolarmentepuniti.»

«E la nostra punizione viene inflittaanche a tutti quelli a cui teniamo?

Mi sembra un po’ troppo severo, neiloro confronti.»

«Il destino non è mai giusto. Tu seistato travolto da una corrente molto piùforte di te, Jonathan: opponiti a essa efarai annegare non solo te stesso, maanche chi cercherà di aiutarti. Fattitrascinare, e sopravviverai.»

«Clary…»

«Nessun male sarà fatto a tuasorella, se ti unirai a me. Andrò fino aiconfini della terra per proteggerla. Laporterò a Idris, dove non potrà acca-derle nulla. Te lo prometto.»

«Alec. Isabelle. Max…»«Anche i figli dei Lightwood

godranno della mia protezione.»Jace sussurrò: «Luke…»Valentine esitò, poi disse: «Tutti i

tuoi amici saranno protetti. Perché nonriesci a credermi, Jonathan? Questo èl’unico modo in cui puoi salvarli.

Te lo giuro.»Jace non riusciva a parlare. Dentro

di lui il freddo dell’autunno lottavacontro il ricordo dell’estate.

«Hai preso la tua decisione?» chieseValentine. Jace non lo vedeva, mapercepì il tono definitivo delladomanda. Suo padre sembravaimpaziente.

Aprì gli occhi. La luce delle stelle fuun’esplosione bianca contro le sue iridi;per un istante non vide nient’altro. Edisse: «Sì, padre. Ho preso la miadecisione.»

parte terzaIL GIORNO DELL’IRAIl giorno dell’ira, di incendi mai

spenti,Veggente e Sibilla annunciano, senti,che ridurrà in cenere il mondo e i

viventi.

(ABRAHAM COLES)capitolo 14

SENZA PAURAQuando Clary si svegliò, vide la

luce riversarsi dalle finestre e sentì undolore acuto alla guancia sinistra.Rotolando su un fianco, vide che si eraaddormentata sul blocco da disegno eche un angolo le si era conficcato nellapelle. Aveva anche lasciato cadere lapenna sul piumone e sulla stoffa sispandeva una macchia nera. Si mise asedere con un gemito, si strofinò laguancia con aria afflitta e andò a farsiuna doccia.

Nel bagno c’erano tracce evidentidelle operazioni della notte appenatrascorsa: abiti insanguinati ficcati nelcestino dei rifiuti e una macchia di

sangue secco nel lavandino.Rabbrividendo, Clary si infilò nelladoccia con un flacone di bagnoschiumaal pompelmo, decisa a strofinare via lesensazioni di disagio che persistevano inlei.

Poi, avvolta in uno degli accappatoidi Luke e con un asciugamano intorno aicapelli bagnati, aprì la porta del bagno etrovò Magnus appostato lì davanti, con isuoi capelli cosparsi di glitterschiacciati da un lato e un asciugamanostretto in una mano. «Perché le femminec’impiegano tanto a fare la doccia?»chiese. «Ragazze mortali, Cacciatrici,stregoni donna…

siete tutte uguali. Mi sono fatto

vecchio a forza di aspettare qui fuori.»Clary si fece da parte per lasciarlo

passare. «Quanti anni hai, a proposito?»chiese incuriosita.

Magnus le fece l’occhiolino. «Erogià nato quando il Mar Morto era soloun lago che si sentiva poco bene.»

Clary alzò gli occhi al cielo.Magnus la scacciò con un gesto. «E

adesso muovi il sederino. Devoassolutamente entrare lì dentro. Ho icapelli che sono un disastro. »

«Non usare tutto il miobagnoschiuma, mi costa un occhio» glidisse Clary, quindi andò in cucina, dovefrugò qua e là in cerca dei filtri e accesela macchina del caffè. Il gorgoglio

familiare del percolatore e l’odore delcaffè attutirono la sua sensazione didisagio. Finché al mondo c’era il caffè,le cose non potevano andare poi tantomale.

Tornò nella sua camera per vestirsi.Dieci minuti più tardi, in jeans e magliaa righe blu e verdi, era già in salotto escuoteva Luke per svegliarlo.

Lui si mise a sedere con un lamento,i capelli arruffati e la faccia stropic-ciata dal sonno.

«Come ti senti?» chiese Claryporgendogli una tazza sbreccata piena dicaffè fumante.

«Meglio, adesso.» Luke abbassò losguardo sulla stoffa lacerata della

camicia; i bordi dello strappo eranomacchiati di sangue. «Dov’è Maia?»

«Dorme nella tua stanza, ricordi?Gliel’hai ceduta.» Clary si appollaiò sulbracciolo del divano.

Luke si strofinò gli occhi pesti. «Nonricordo tanto bene la scorsa notte»

ammise. «Ricordo che sono andatoal pick-up e non molto altro.»

«C’erano altri demoni nascosti fuori.Ti hanno assalito. Ce ne siamo oc-cupatiio e Jace.»

«Altri demoni Drevak?»«No.» Clary rispose di malavoglia.

«Jace li ha chiamati Raum.»«Demoni Raum?» Luke si raddrizzò

a sedere. «È roba seria. I Drevak sono

seccatori pericolosi, ma i Raum…»«Non c’è problema» gli disse Clary.

«Ce ne siamo liberati.»«Ve ne siete liberati o è stato Jace?

Clary, non voglio che tu…»«Non è come pensi, sul serio.» Clary

scosse la testa. «Vedi…»«Ma non c’era Magnus? Perché non

è venuto con voi?» Luke si interruppe,chiaramente turbato.

«Stavo curando te, ecco perché»disse lo stregone entrando nel salottocircondato da un forte odore dipompelmo. Aveva i capelli avvolti in unasciugamano e indossava una tuta diraso azzurra a strisce argentee. «Chefine ha fatto la gratitudine?»

« Certo che ti sono grato.»Sembrava che Luke fosse arrabbiato ecercasse al tempo stesso di non ridere.«È solo che se fosse successo qualcosaa Clary…»

«Se fossi andato con loro, sarestimorto» disse Magnus lasciandosi caderesu una poltrona. «E dopo Clary sarebbestata molto peggio. Lei e Jace se la sonocavata egregiamente da soli, con idemoni, non è vero?» Si girò versoClary.

La ragazza era sulle spine. «Vedi, èsolo che…»

«È solo che cosa?» Era Maia,ancora con i vestiti che indossava lanotte prima e, sopra, una larga camicia

di flanella di Luke. Attraversò la stanzacon andatura rigida e si sedette concautela su una poltrona. «È odore dicaffè quello che sento?» chiesesperanzosa, arricciando il naso.

Accidenti, pensò Clary, non eragiusto che una lupa mannara fosse cosìcarina e tutta curve; avrebbe dovutoessere tozza e irsuta, magari con i peliche le spuntavano dalle orecchie. Sonoacida, aggiunse tra sé. Ed è esattamenteper questo che non ho amiche e passotutto il mio tempo con Simon.

Dovrei controllarmi. Si alzò. «Nevuoi un po’?»

«Certo.» Maia annuì. «Latte ezucchero!» gridò, mentre Clary usciva

dalla stanza. Ma quando questa tornòdalla cucina con una tazza fumante inmano, la giovane lupa mannara eraaccigliata. «Non ricordo bene che cosa èsuccesso ieri notte» disse «ma se nonsbaglio c’è qualcosa che riguardaSimon, qualcosa che mi turba…»

«Sfido io, hai tentato di ucciderlo»disse Clary riprendendo il suo posto sulbracciolo del divano. «Sarà per questo.»

Maia impallidì, lo sguardoabbassato sul caffè. «Me n’erodimenticata.

Adesso è un vampiro.» Alzò gliocchi su Clary. «Non volevo fargli delmale. Era solo…»

«Sì?» Clary sollevò le sopracciglia.

«Solo cosa?»Il viso di Maia si tinse lentamente di

un rosso acceso. Posò il caffè sul tavololì accanto.

«Forse dovresti coricarti» leconsigliò Magnus. «Io lo trovo di grandeaiuto quando sono assalito dalladeprimente consapevolezza di qualcosadi terribile.»

A un tratto gli occhi di Maia siriempirono di lacrime. Clary guardòspaventata Magnus, che le parvealtrettanto impressionato, e poi Luke. «Fa’

qualcosa» gli sibilò sottovoce.Magnus sarà anche stato uno stregonecapace di guarire ferite mortali con un

lampo di fuoco azzurro, ma quanto atrattare ragazze adolescenti in lacrime,tra lui e Luke non c’era storia.

Luke scalciò per liberarsi dallacoperta e alzarsi, ma prima che potessemettersi in piedi la porta d’ingresso sispalancò rumorosamente ed entrò Jace,seguito da Alec, che teneva una scatolabianca. Magnus si tolse sveltol’asciugamano dalla testa e lo lasciòcadere dietro la poltrona. Senza gel eglitter, i suoi capelli erano scuri e lisci egli arrivavano a metà schiena.

Come sempre, lo sguardo di Clarycorse immediatamente a Jace, era piùforte di lei, ma nessuno parve farci caso.Jace era teso, stanco e tirato, gli occhi

cerchiati di grigio. La sfioraronoinespressivi e si posarono su Maia, chestava ancora piangendo in silenzio e nondoveva averli sentiti entrare.

«Tutti di buonumore, a quanto vedo»osservò Jace.

Maia si strofinò gli occhi. «Merda»mormorò. «Detesto piangere davanti aiCacciatori.»

«Allora vai a piangere in un’altrastanza» disse Jace, la voce priva diqualsiasi calore. «Possiamo farevolentieri a meno di sentirti frignarementre parliamo, o no?»

«Jace…» cominciò Luke in tonoammonitore, ma Maia si era già alzataed era uscita a grandi passi dalla porta

della cucina.Clary si rivolse a Jace. «Parlare?

Ma non stavamo parlando.»«Però dobbiamo farlo» disse Jace,

lasciandosi cadere sullo sgabello delpianoforte e stendendo le sue lunghegambe. «Magnus deve darmi una la-vatadi capo, vero, Magnus?»

«Sì» rispose lo stregonedistogliendo gli occhi da Alec giusto iltempo necessario per guardarlo male.«Dove diavolo sei stato? Pensavo diaverti detto chiaro e tondo che dovevirimanere a casa.»

« Io pensavo che non avesse scelta»osservò Clary. «Che fosse costretto astare dove stai tu. Sai, per via della

magia.»«Di norma è così» disse Magnus

inquieto «ma ieri notte, dopo tutto illavoro che ho avuto, la mia magia si è…esaurita.»

«Esaurita?»«Già.» Magnus sembrava più

arrabbiato che mai. «Neppure il SommoStregone di Brooklyn dispone di risorseinesauribili. Sono un essere umano.Be’» si corresse «semiumano,quantomeno.»

«Ma dovevi pur esserti accorto chele tue risorse erano esaurite» disse Lukein tono conciliante «no?»

«Sì, e ho fatto giurare a quellacarogna di rimanere in casa.» Magnus

fulminò Jace con lo sguardo. «Adesso soquanto valgono i tanto decantatigiuramenti dei Cacciatori.»

«Dovevi farmi giurare nel modogiusto» disse Jace imperturbabile. «So-lo un giuramento sull’Angelo ha unqualche valore.»

«È vero» confermò Alec. Era laprima cosa che diceva da quando avevamesso piede in casa.

«Certo che è vero.» Jace prese latazza di caffè di Maia e bevve un sorso.

Fece una smorfia. «Zucchero.»«In ogni caso, dove sei stato tutta la

notte?» chiese Magnus con voce aspra.«Con Alec?»

«Non riuscivo a dormire, così sono

andato a fare una passeggiata» risposeJace. «Quando sono tornato, mi sonoimbattuto in questa anima in pena checiondolava sulla veranda.» Indicò Alec.

Magnus si animò. «Sei stato là tuttala notte?» chiese ad Alec.

«No» rispose questi. «Sono andato acasa e sono tornato. Mi sono cambiato,non vedi?»

Guardarono tutti. Alec portava unamaglia scura e dei jeans, che eraesattamente quello che indossava ilgiorno prima. Clary decise diconcedergli il beneficio del dubbio.«Che cosa c’è nella scatola?» chiese.

«Ah, sì» Alec la guardò come sel’avesse dimenticata. «Ci sono delle

ciambelle.» Aprì la scatola e la posò sultavolino da caffè. «Qualcuno ne vuoleuna?»

A quanto pare tutti volevano unaciambella. Jace ne prese due. Dopoavere mandato giù la torta alla cremaportatagli da Clary, Luke sembravapiuttosto rinfrancato, e si mise a sederesul divano. «C’è una cosa che noncapisco» disse.

«Solo una? Allora sei messo moltomeglio di noi» ribatté Jace.

«Non vedendomi rientrare in casa,voi due siete venuti a cercarmi» disseLuke, spostando lo sguardo da Clary aJace.

«Noi tre» fece Clary. «È venuto

anche Simon.»Luke sembrò dispiaciuto. «Bene. Voi

tre. C’erano due demoni, ma Clary diceche non ne avete ucciso neanche uno.Allora cosa è successo?»

«Io avrei ucciso il mio, ma èscappato» disse Jace. «Altrimenti…»

«Ma perché lo avrebbe fatto?»chiese Alec. «Loro erano due, voi tre, sisentivano forse in inferiorità numerica?»

«Senza offesa per gli interessati, mafra i tre l’unico dall’aria pericolosa èJace» disse Magnus. «Una Cacciatricenon addestrata e un vampiroterrorizzato…»

«Forse sono stata io» intervenneClary. «Forse l’ho fatto scappare per lo

spavento.»Magnus sbatté gli occhi. «Ma ho

appena detto…»«Non dico che l’ho fatto scappare

perché metto paura» disse Clary.«Credo che il motivo sia questo.»

Sollevò la mano e la girò, in modo dafar vedere il marchio sulla parte internadel braccio.

Calò un’improvvisa calma. Jace laguardò fissa, poi distolse lo sguardo;Alec sbatté gli occhi e Luke sembròsbalordito. «Non ho mai visto quelmarchio prima d’ora» disse infine. «Evoialtri?»

«No» fece Magnus. «Ma non mipiace.»

«Non sono sicura di cosa sia o dicosa significhi» disse Clary abbassandoil braccio. «Ma non viene dal LibroGrigio.»

«Tutte le rune vengono dal LibroGrigio.» La voce di Jace era ferma.

«Non questa. L’ho vista in sogno.»«In sogno?» Jace sembrava furioso,

come se lo stesse insultandopersonalmente. «A che gioco staigiocando, Clary?»

«Non sto giocando a nessun gioco.Ricordi quando eravamo alla CorteSeelie…»

Fu come se l’avesse colpito. Primache lui potesse aprire bocca, leicontinuò:

«… e la Regina ci disse cheeravamo esperimenti? Che Valentineaveva fatto… anzi ci aveva fattoqualcosa per renderci diversi, speciali?Ha detto che il mio era il dono delleparole che non possono esserepronunciate e il tuo il donodell’Angelo.»

«Stupidaggini da fate.»«Le fate non mentono, Jace. Le

parole che non possono esserepronunciate… cioè le rune. Ognuna haun significato diverso, ma sono fatte peressere disegnate, non dette ad altavoce.» Proseguì, ignorando lo sguardoscettico di lui. «Ricordi quando michiedesti come avevo fatto a entrare

nella tua cella nella Città Silente? Tirisposi che avevo semplicemente usatouna normale runa di Apertura…»

«Tutto qui?» Alec sembrò sorpreso.«Io arrivai subito dopo di te e sembravache qualcuno avesse divelto la porta daicardini.»

«E la mia runa non si limitò adaprire la porta» disse Clary. «Aprìanche tutto quello che c’era nella cella.Spezzò le manette di Jace.» Ripresefiato.

«Penso che la Regina volesse direche posso disegnare rune molto piùpotenti di quelle normali. E magaricrearne di nuove.»

Jace scosse il capo. «Nessuno può

creare nuove rune…»«Magari lei può, Jace.» Alec

sembrava pensieroso. «È vero, nessunodi noi ha mai visto il marchio che ha sulbraccio.»

«Alec ha ragione» disse Luke.«Clary, perché non vai a prendere ilblocco da disegno?»

Lei lo guardò con una certa sorpresa.Gli occhi grigio-azzurri di Luke eranostanchi, un po’ infossati, ma avevano lastessa fermezza di quando Clary avevasei anni e lui le aveva promesso che, sesi fosse arrampicata sul castello di tubinello spazio giochi del Prospect Park,l’avrebbe sempre trovato lì sotto prontoa prenderla, se fosse caduta. E così era

accaduto.«Okay» disse lei. «Torno subito.»Per arrivare alla stanza degli ospiti

Clary doveva passare per la cucina,dove trovò Maia seduta con aria infelicesu uno sgabello vicino al piano dilavoro. «Clary» disse saltando giù dallosgabello. «Posso parlarti un secondo?»

«Sto andando nella mia stanza aprendere una cosa…»

«Senti, mi dispiace per quello che èsuccesso con Simon. Ero fuori di me.»

«Ah, sì? E che mi dici di tutti queidiscorsi sul fatto che i lupi mannari sonodestinati a odiare i vampiri?»

Maia sbuffò esasperata. «È così,ma… immagino di non dover bruciare le

tappe.»«Non spiegarlo a me, spiegalo a

Simon.»Maia diventò di nuovo paonazza, le

guance di un rosso acceso. «Dubito chevoglia parlarmi.»

«Non è detto. È piuttosto incline alperdono.»

La lupa mannara la guardò piùattentamente. «Non per ficcare il naso,ma voi due state insieme?»

Clary sentì che adesso toccava a leicoprirsi di rossore e ringraziò le suelentiggini che lo nascondevano almenoun po’. «Perché vuoi saperlo?»

Maia fece spallucce. «La primavolta che lo incontrai mi parlò di te co-

me della sua migliore amica, ma la voltadopo ti chiamò “la mia ragazza”.

Mi chiedevo se è una cosa aintermittenza.»

«Una specie. All’inizio eravamosolo amici. È una lunga storia.»

«Capisco.» Il rossore di Maia erasvanito e le era ricomparso sul viso ilsogghigno da tipa tosta. «Be’, seifortunata, tutto qui. Anche se adesso è unvampiro. Essendo una Cacciatrice, deviessere piuttosto abituata a ogni genere distramberia, perciò scommetto che lacosa non ti turbi più di tanto.»

«Mi turba eccome» disse Clary piùbruscamente di quanto volesse. «Io nonsono Jace.»

Il sogghigno si allargò. «Nessuno loè. E ho la sensazione che lo sappiaanche lui.»

«E questo cosa dovrebbesignificare?»

«Oh, sai, Jace mi ricorda un miovecchio ragazzo. Ci sono tizi che tiguardano come se volessero fare sesso.Jace ti guarda come se aveste già fattosesso e fosse stato magnifico e adessofoste solo amici… anche se tu vorrestidi più. Fa impazzire le ragazze. Capiscicosa intendo?»

Sì, pensò Clary. «No» disse.«Immagino, visto che sei sua sorella.

Dovrai credermi sulla parola.»«Ora devo andare.» Clary aveva

quasi oltrepassato la porta della cucina,quando le venne in mente qualcosa e sigirò. «Che cosa gli è successo?»

Maia sbatté gli occhi. «Che cosa èsuccesso a chi?»

«Al tuo vecchio ragazzo. Quello acui ti fa pensare Jace.»

«Oh. È stato lui a farmi diventareuna lupa mannara.»

«Ecco, ho preso tutto» disse Clarytornando in salotto con il blocco dadisegno in una mano e una scatola dimatite Prismacolor nell’altra. Scostò unasedia dal tavolo da pranzo poco usato(Luke mangiava sempre in cucina o nelsuo ufficio, perciò il tavolo era semprecoperto di carte e vecchi conti) e si

sedette con il blocco davanti a sé. Lesembrava di sostenere un esame allascuola d’arte, tipo Disegnate una mela.«Cosa volete che faccia?»

«Tu che pensi?» Jace era ancoraseduto sullo sgabello del pianoforte, lespalle ingobbite; sembrava non avessechiuso occhio tutta la notte. Alec eradietro di lui, appoggiato al piano,probabilmente perché era il posto piùlontano da Magnus.

«Jace, basta.» Luke stava sedutodiritto, ma sembrava che gli costasse uncerto sforzo. «Hai detto di essere capacedi disegnare nuove rune, Clary?»

«Ho detto che lo penso.»«Be’, mi piacerebbe che ci

provassi.»«Adesso?»Luke fece un lieve sorriso. «A meno

che tu non abbia in mentequalcos’altro.»

Clary aprì il blocco a una paginanuova e abbassò lo sguardo su di esso.

Mai foglio di carta le era sembratocosì vuoto. Sentiva che nella stanza nonvolava una mosca, tutti la guardavano:Magnus con la sua curiosità vecchiostile, moderata, Alec troppo preso daipropri problemi per curarsi dei suoi,Luke con un’espressione speranzosa eJace con un distacco gelido, spaventoso.Clary ricordò quando le disse cheavrebbe voluto odiarla e si chiese se ci

sarebbe riuscito, prima o poi.Abbassò la matita. «Non posso farlo

così, a comando, senza un’idea.»«Che genere di idea?» chiese Luke.«Voglio dire, non so neanche quali

rune esistano già. Ho bisogno di sapereun significato, una parola, prima di poterdisegnare una runa corri-spondente.»

«È piuttosto difficile per noiricordarle tutte…» cominciò Alec, maJace, con sorpresa di Clary, lointerruppe.

«Che ne diresti» suggerì con calma«di Antipaura?»

«Antipaura?» gli fece eco Clary.«Ci sono rune che danno coraggio»

disse Jace. «Ma non ce n’è mai stata una

per eliminare la paura. Ma se tu, comedici, puoi crearne di nuove…»

Si guardò intorno, e vide leespressioni stupite di Alec e Luke.«Sentite, mi sono appena ricordato chenon ne esiste una così, tutto qui. E misembra abbastanza innocua.»

Clary guardò Luke, che scrollò lespalle e disse: «Va bene.»

Clary prese una matita dalla scatolae ne appoggiò la punta sulla carta.

Pensò a forme, linee, ghirigori,pensò ai segni del Libro Grigio, antichie perfetti, espressioni di un linguaggiotroppo impeccabile per essere pro-nunciato. Una voce sommessa le risuonòin testa: Chi sei tu per pretendere di

parlare il linguaggio del cielo?La matita si mosse, anche se Clary

era quasi sicura che non fosse opera sua.Scivolò sulla carta, descrivendoun’unica linea. Lei si sentì balzare ilcuore in petto. Pensò alla madre sedutacon aria sognante davanti alle sue tele,intenta a dare vita alla propria visionedel mondo in inchiostro e colori a olio.Pensò: Chi sono? Sono la figlia diJocelyn Fray. La matita si mosse dinuovo, e questa volta Clary rimase senzafiato; si sorprese a sussurrare la parolasottovoce: «Antipaura. Antipaura.» Lamatita tracciò un occhielloall’incontrano, ma adesso era Clary aguidarla. Quando ebbe finito, la mise giù

e osservò per un istante, stupita, ilrisultato.

Una volta completata, la runaAntipaura risultò essere uno schema dilinee disposte a vortici e spirali: unaruna ardita e aerodinamica comeun’aquila. Clary strappò la pagina e lasollevò, in modo da farla vedere aglialtri. «Ecco» disse, e fu ricompensatadall’espressione stupefatta di Luke(dunque prima non le aveva creduto) edagli occhi di Jace, appena più apertidel solito.

«Fantastico» commentò Alec.Jace si alzò in piedi e attraversò la

stanza, togliendole di mano il foglio dicarta. «Ma funziona?»

Clary si domandò se lo chiedesse sulserio o facesse solo l’antipatico.

«Che vuoi dire?»«Voglio dire, come facciamo a

sapere che funziona? Per ora è solo undisegno… non si può togliere la paura aun foglio di carta, non ce l’ha aprescindere. Dobbiamo provarla su unodi noi, prima di essere certi che siaun’autentica runa.»

«Non sono sicuro che sia una buonaidea» disse Luke.

«È un’idea fantastica.» Jace lasciòcadere il foglio sul tavolo e cominciò asfilarsi la giacca. «Ho uno stilo di cuipossiamo servirci. Chi vuole farmi?»

«Che deplorevole scelta di parole»

borbottò Magnus.Luke si alzò. «No» disse. «Jace, ti

comporti già come se non avessi maisentito la parola “paura”. Non vedocome potremo percepire la differenza,se funziona su di te.»

Alec parve soffocare una risata. Jacesi limitò a fare un sorriso teso, pocoamichevole. «Certo che ho già sentito laparola “paura”. Solo che preferiscocredere che non abbia niente a che farecon me.»

«È proprio questo il problema»disse Luke.

«Be’, e se la provassi su di te?»chiese Clary, ma Luke scosse la testa.

«Non si possono marcare i Nascosti,

Clary, almeno non con effetti con-creti.La malattia demoniaca che provoca lalicantropia impedisce ai marchi di fareeffetto.»

«Allora…»«Provala su di me» disse

inaspettatamente Alec. «Potrebbetornarmi utile, un po’ di mancanza dipaura.» Si sfilò la giacca, la gettò sullosgabello del pianoforte e attraversò lastanza per mettersi di fronte a Jace.«Ecco.

Fammi il marchio sul braccio.»Jace lanciò un’occhiata a Clary. «A

meno che non preferisca farlo tu…»La ragazza fece di no con la testa.

«No, tu sei più bravo di me ad appli-

care i marchi.»Jace scrollò le spalle. «Rimboccati

la manica, Alec.»Alec obbedì. Sulla parte superiore

del braccio aveva già un marchiopermanente, un’elegante spirale di lineeintesa a conferirgli un equilibrioperfetto. Si sporsero tutti in avanti,perfino Magnus, mentre Jace tracciava icontorni della runa Antipaura sulbraccio di Alec, poco sotto il marchiogià esistente. Alec sussultò, mentre lostilo seguiva il suo percorso sulla pelle,bruciandola. Quando ebbe terminato,Jace si infilò di nuovo lo stilo in tasca erimase un istante ad ammirare la suaopera. «Be’, almeno è bello» annunciò.

«Che poi funzioni o meno…»Alec toccò il nuovo marchio con la

punta delle dita, quindi alzò gli occhi, esi accorse che tutti i presenti nella stanzalo stavano fissando.

«Allora?» chiese Clary.«Allora cosa?» Alec si tirò giù la

manica, coprendo il marchio.«Allora… come ti senti? Diverso?»Alec parve riflettere. «Non

proprio.»Jace alzò le mani. «Dunque non

funziona.»«Non è detto» fece Luke. «Forse ora

non c’è nulla in grado di attivarla.Magari qui non c’è niente di cui

Alec abbia paura.»

Magnus guardò Alec e sollevò lesopracciglia. « Buu» fece.

Jace sogghignò. «Avanti, haisicuramente una fobia o due. Che cosa tifa paura?»

Alec ci pensò su un momento. «Iragni» rispose.

Clary chiese a Luke: «Hai un ragnoda qualche parte?»

Luke sembrò esasperato. «Perchédovrei avere un ragno? Ho forse l’ariadi qualcuno che colleziona ragni?»

«Senza offesa» disse Jace «ma direiproprio di sì.»

«Sai» il tono di Alec era acido«forse è un esperimento stupido.»

«E il buio?» suggerì Clary.

«Potremmo chiuderti in cantina.»«Do la caccia ai demoni» disse Alec

con infinita pazienza. «Ovvio che nonho paura del buio. »

«Be’, avresti potuto averla.»«Ma non ce l’ho.»Lo squillo del campanello impedì a

Clary di ribattere. Diede un’occhiata aLuke, stupita. «Simon?»

«Impossibile. È giorno.»«Oh, giusto.» Se n’era di nuovo

dimenticata. «Vuoi che vada io?»«No.» Luke si alzò emettendo

soltanto un breve grugnito di dolore.«Sto bene. Probabilmente è qualcunoche si chiede perché la libreria èchiusa.»

Attraversò la stanza e aprì la porta.Gli si irrigidirono le spalle per lasorpresa; Clary sentì il suono aspro erabbioso di una ben nota voce femminilee, un istante dopo, Isabelle e MaryseLightwood superarono Luke edentrarono a grandi passi nella stanza,seguite dalla figura grigia e minacciosadell’Inquisitrice. Alle loro spalle c’eraun uomo alto e robusto, con i capelliscuri, la pelle olivastra e una folta barbanera. Clary lo riconobbe dalla vecchiafoto che Hodge le aveva mostrato, anchese era stata scattata molti anni prima: eraRobert Lightwood, il padre di Alec eIsabelle.

La testa di Magnus si sollevò di

scattò. Jace impallidì, ma non mostrònessun’altra emozione. E Alec… Alecspostò lo sguardo dalla sorella allamadre e al padre, e poi fissò Magnus, gliocchi azzurro chiaro scuriti da una fermadeterminazione. Fece un passo in avanti,mettendosi tra i genitori e tutti gli altri.

Maryse, vedendo il figlio maggiorenel bel mezzo del salotto di Luke, per unattimo non reagì, poi fece tanto d’occhi.«Alec, cosa diamine ci fai qui? Pensavodi averti detto chiaro e tondo che…»

«Madre.» Nell’interrompereMaryse, Alec parlò con voce ferma eimplacabile, ma non scortese. «Padre.C’è una cosa che devo dirvi.» Rivolseloro un sorriso. «Mi vedo con

qualcuno.»Robert Lightwood guardò il figlio

con una certa esasperazione. «Alec, nonmi pare questo il momento…»

«Invece lo è. È importante. Sapete,non mi vedo con una persona qualsiasi.»Le parole sembravano uscire dalla suabocca come un fiume in piena, mentre igenitori continuavano a guardarloconfusi. Isabelle e Magnus lo fissavanocon espressioni quasi altrettantosbalordite. «Mi vedo con qualcuno cheappartiene al Mondo Invisibile. Ineffetti, si tratta di uno stre…»

Le dita di Magnus si mossero sveltecome un lampo di luce nella suadirezione. Un lieve luccichio comparve

nell’aria intorno ad Alec… che rovesciògli occhi e cadde a terra come un alberoabbattuto.

«Alec!» Maryse si portò le mani allabocca. Isabelle, che era la più vicina alfratello, si accovacciò accanto a lui. MaAlec aveva già cominciato a muoversi,le sue palpebre tremolarono e sischiusero. «Co… cosa… perché sonosul pavimento?»

«Bella domanda.» Isabelle guardò ilfratello in cagnesco. «Che cosasignificava?»

«Che cosa significava cosa?» Alecsi mise a sedere tenendosi la testa.

Un’espressione allarmata gliattraversò il viso. «Aspetta… ho detto

qualcosa? Prima di svenire, intendo.»Jace sbuffò. «Ti ricordi che ci

chiedevamo se quella roba creata daClary funzionasse o meno?» domandò.«Funziona eccome.»

Alec sembrava pietrificatodall’orrore. «Cosa ho detto?»

«Hai detto che ti vedevi conqualcuno» gli rispose il padre. «Ma nonhai spiegato perché fosse tantoimportante.»

«Non lo è» disse Alec. «Voglio dire,non mi vedo con nessuno. E non èimportante. E non lo sarebbe neanche semi vedessi con qualcuno, il che non è.»

Magnus lo guardò come se fosse unidiota. «Alec è stato in preda al delirio.

Un effetto secondario di qualche tossinademoniaca. È stato un po’ iellato, ma siriprenderà presto.»

«Tossine demoniache?» la voce diMaryse si era fatta stridula. «Nessuno hariferito di un attacco demoniacoall’Istituto. Che cosa succede qui,Lucian? Questa è casa tua, no? Saiperfettamente che, in caso di attaccodemoniaco, devi riferirlo…»

«Anche Luke è stato assalito» disseClary. «È svenuto.»

«Molto comodo. A quanto pare, tuttisono stati privi di sensi o in preda aldelirio» disse l’Inquisitrice. La sua voceaffilata come un coltello tagliò la stanza,mettendo tutti a tacere. «Nascosto, sai

perfettamente che Jonathan Morgensternnon dovrebbe essere in casa tua.Dovrebbe essere rinchiuso sotto lasorveglianza dello stregone.»

«Ho un nome, sai» disse Magnus.«Non che questo» aggiunse, apparen-temente pentito di averla interrotta«conti qualcosa. Anzi, fa’ come se nonl’avessi detto.»

«Conosco il tuo nome, MagnusBane» disse l’Inquisitrice. «Hai giàman-cato una volta al tuo dovere, nonavrai un’altra occasione.»

«Mancato al mio dovere?» Magnussi accigliò. «Solo perché ho portato ilragazzo qui? Il contratto che ho firmatonon faceva cenno al fatto che non potessi

portarlo con me a mia discrezione.»«Non è questa la tua mancanza»

disse l’Inquisitrice. «Permettergli divedere suo padre ieri notte, questa loè.»

Calò un silenzio stupito. Alec si alzòdal pavimento cercando con gli occhiquelli di Jace… Ma Jace evitò il suosguardo. Il suo viso era una maschera.

«È ridicolo» disse Luke. Clary loaveva visto raramente così arrabbiato.

«Jace non sa neanche dov’èValentine. Smettetela di perseguitarlo.»

«Perseguitare è il mio compito,Nascosto» ribatté l’Inquisitrice. «Il miolavoro.» Si rivolse a Jace. «Ora di’ laverità, ragazzo, e sarà tutto molto più

semplice.»Jace assunse un’espressione fiera.

«Non ho nulla da dirvi.»«Se sei innocente, perché non ti

discolpi? Dicci dove sei stato davveroieri notte. Parlaci della nave diValentine.»

Clary lo fissò. Sono andato a fareuna passeggiata, aveva detto. Maquesto non significava nulla. Magari eraandato davvero a fare una passeggiata.Ma lei aveva il cuore e lo stomaco insubbuglio. Sai qual è la sensazione piùbrutta che puoi avere? aveva dettoSimon. Non fidarti della persona cheami più di qualsiasi altra cosa almondo.

Visto che Jace taceva, RobertLightwood parlò nella sua profondavoce di basso: «Imogen? Stai dicendoche Valentine era…»

«Su una nave in mezzo all’EastRiver» disse l’Inquisitrice.«Esattamente.»

«Ecco perché non sono riuscito atrovarlo» disse Magnus come tra sé e sé.«Tutta quell’acqua ha ostacolato la miamagia.»

«Cosa ci faceva Valentine in mezzoal fiume?» chiese Luke, sconcertato.

«Chiedilo a Jonathan» risposel’Inquisitrice. «Ha preso in prestito unamoto dal capoclan dei vampiri dellacittà per volare sulla barca. Non è co-sì,

Jonathan?»Jace rimase in silenzio. Aveva

un’espressione indecifrabile. Mal’Inquisitrice sembrava famelica, quasiche si nutrisse della suspense cheregnava nella stanza.

«Infila la mano nella tasca dellagiacca» disse. «Tira fuori l’oggetto cheti porti dietro dall’ultima volta che hailasciato l’Istituto.»

Lentamente, Jace fece quanto gli erastato chiesto. Mentre sfilava la ma-no ditasca, Clary riconobbe l’oggetto grigio-azzurro luccicante che reggeva. Ilframmento di specchio del Portale.

«Dammelo.» L’Inquisitrice glielostrappò di mano. Jace fece una smorfia:

il bordo di vetro lo aveva tagliato, e ilsangue gli zampillò sul palmo.

Mary se fece un verso sommesso, manon si mosse. «Sapevo che sarestitornato all’Istituto a prenderlo» dissel’Inquisitrice gongolando. «Sapevo cheil tuo sentimentalismo ti avrebbeimpedito di lasciarlo lì.»

«Ma che cos’è?» Robert Lightwoodsembrava sconcertato.

«Un pezzo dello specchio chefungeva da Portale» risposel’Inquisitrice.

«Quando è andato distrutto, haconservato l’immagine della sua ultimade-stinazione.» Si rigirò il frammento divetro tra le lunghe dita da ragno. «In

questo caso, la casa di campagna degliWayland.»

Gli occhi di Jace seguirono ilmovimento dello specchio. Nelframmento che Clary vedeva sembravaintrappolato un pezzo di cielo azzurro.Si chiese se a Idris piovesse mai.

Con un gesto improvviso e violentoche contrastava con il suo tono calmo,l’Inquisitrice gettò a terra il pezzo dispecchio, che si frantumò all’istante inminuscole schegge. Clary sentì Jacetrattenere il fiato, ma il ragazzo non simosse.

L’Inquisitrice si infilò un paio diguanti grigi e si inginocchiò tra iframmenti di specchio, quindi se li fece

scorrere tra le dita finché non trovòquello che cercava… Un foglio di carta.Si alzò tenendolo in modo che tutti nellastanza vedessero la spessa runa che viera tracciata con inchiostro ne-ro. «Hotracciato su questo foglio una runa spia el’ho infilato tra lo specchio e il suosupporto. Poi l’ho rimesso nella stanzadel ragazzo. Non rimanerci male per nonaverlo notato» disse a Jace. «IlConclave ha messo nel sacco teste benpiù vecchie e sagge della tua.»

«Mi hai spiato» disse Jace, e adessola sua voce era pervasa di rabbia. «È

questo che fa il Conclave, invaderela privacy dei Cacciatori suoi membri?»

«Fai attenzione a quello che dici.

Non sei l’unico ad avere infranto laLegge.» Lo sguardo gelidodell’Inquisitrice scivolò per la stanza esi posò su Isabelle. «Liberandoti dallaCittà Silente, sbarazzandoti del controllodello stregone, i tuoi amici hanno fattoaltrettanto.»

«Jace non è nostro amico» disseIsabelle. «È nostro fratello.»

«Fossi in te, starei attenta a quel chedici, Isabelle Lightwood» l’ammonìl’Inquisitrice. «Potresti essereconsiderata sua complice.»

«Complice?» Tra la sorpresa di tutti,era stato Robert Lightwood a parlare.«Isabelle cercava solo di impedirti didistruggere la nostra famiglia. Per

l’amor di Dio, Imogen, sono solo deiragazzi…»

«Ragazzi?» L’Inquisitrice girò il suosguardo gelido verso Robert. «Propriocome lo eravate voi quando il Circolotramava per distruggere il Conclave?Proprio come lo era mio figlioquando…» Si bloccò con una specie dirantolo, come riprendendo a forza ilcontrollo di sé.

«Dunque si tratta di Stephen, alla finfine» disse Luke con una vaga pietànella voce. «Imogen…»

Il viso dell’Inquisitrice eradeformato da una smorfia. «Qui non sitratta di Stephen! Si tratta della Legge!»

Maryse si torceva le mani,

tormentandosi le dita sottili. «E di Jace»aggiunse. «Cosa gli succederà?»

«Domani tornerà con me a Idris»rispose l’Inquisitrice. «Vi siete giocati ildiritto di saperne di più.»

«Come puoi riportarlo in quelposto?» domandò Clary. « Quandotornerà?»

«Clary, no» disse Jace. Le paroleavevano un tono implorante, ma lei nonsi arrese.

«Qui il problema non è Jace. ÈValentine!»

«Lascia perdere, Clary!» urlò Jace.«Per il tuo bene, lascia perdere!»

Clary non poté fare a meno discostarsi da lui… Non le aveva mai

gridato contro in quel modo, neanchequando l’aveva trascinato nella stanzad’ospedale della madre. Vide la suaespressione mentre prendeva atto delproprio movimento e desiderò poterlocancellare, in qualche modo.

Prima che potesse dire altro, lamano di Luke si posò sulla sua spalla.Le parlò con lo stesso tono grave cheaveva la notte in cui le raccontò la storiadella sua vita. «Se Jace è andato da suopadre sapendo che razza di padre èValentine, è perché noi abbiamo traditolui, non il contrario.»

«Risparmiaci i tuoi sofismi, Lucian»disse l’Inquisitrice. «Ti sei rincreti-nitocome un mondano.»

«Ha ragione lei.» Alec era sedutosull’orlo del divano, le bracciaincrociate e la mascella rigida. «Jace ciha mentito. Non ci sono scusanti, perquesto.»

Jace rimase a bocca aperta. Avevacontato sulla lealtà di Alec, e Clary nonlo aveva accusato. Perfino Isabellefissava il fratello sconvolta. «Alec, macome puoi dire una cosa del genere?»

«La Legge è Legge, Izzy» disse Alecsenza guardare la sorella. «Non c’èniente da fare.»

A quelle parole, Isabelle sbottò in unlamento di rabbia e stupore e corse fuoridalla porta d’ingresso, lasciandoselaspalancata alle spalle. Maryse fece per

seguirla, ma Robert la trattenne,dicendole qualcosa sottovoce.

Magnus si alzò in piedi. «È giunto ilmomento che anch’io tolga le tende»annunciò. Clary notò che evitava diguardare Alec. «Mi piacerebbe di-reche è stato bello incontrarvi, ma non ècosì. È stato piuttosto imbarazzante, efrancamente la prossima volta cherivedrò anche uno solo di voi saràsempre troppo presto.»

Alec fissò gli occhi a terra, mentreMagnus usciva a grandi falcate dalsalotto e poi dalla porta di casa. Chequesta volta si chiuse fragorosamentealle sue spalle.

«Fuori due» fece Jace con ironia

grave. «Chi sarà il prossimo?»«Adesso basta» disse l’Inquisitrice.

«Dammi le mani, Jonathan Morger-nstern.»

Jace allungò le mani, e l’Inquisitriceestrasse uno stilo da una tasca nascosta ecominciò a tracciargli un marchiointorno ai polsi. Quando Jace si ritrasse,questi erano incrociati uno sull’altro etenuti insieme da una specie di anelloinfuocato.

Clary gridò. «Che cosa fai? Loferirai…»

«Sto bene, sorellina.» Jace parlò conuna certa calma, ma Clary notò che eraincapace di guardarla. «Le fiamme nonmi bruceranno, se non provo a

liberarmi.»«Quanto a te» aggiunse l’Inquisitrice

rivolgendosi a Clary, con grandesorpresa della ragazza, dato che fino aquel momento Imogen sembrava quasinon averne notato l’esistenza «seiabbastanza fortunata da essere stataallevata da Jocelyn ed essere sfuggitaall’influenza nociva di tuo padre.

Malgrado ciò, ti terrò d’occhio.»La presa di Luke si strinse sulla

spalla di Clary. «È una minaccia?»«Il Conclave non fa minacce, Lucian

Graymark. Il Conclave fa promes-se e lemantiene.» L’Inquisitrice sembravaquasi allegra. Era l’unica nella stanza adare questa impressione. Tutti gli altri

avevano un’espressione traumatizzata, aparte Jace, che aveva i denti scoperti inun ringhio di cui Clary dubitava sirendesse conto. Pareva un leone ingabbia.

«Vieni, Jonathan» dissel’Inquisitrice. «Cammina davanti a me.Se fai anche solo una mossa perscappare, ti ficco una lama nellaschiena.»

Jace dovette armeggiare per aprirela maniglia della porta d’ingresso con lemani legate. Clary strinse i denti perimpedirsi di piangere, poi la porta siaprì e Jace sparì insiemeall’Inquisitrice. I Lightwood li seguironoin una fila muta, Alec sempre con lo

sguardo a terra. La porta si chiuse dietrodi loro e Clary e Luke rimasero soli nelsalotto, condividendo un silenzioincredulo.

capitolo 15

IL MORSO DELSERPENTE

«Luke» cominciò Clary nell’istantein cui la porta si richiuse dietro iLightwood. «Cosa faremo… ?»

Luke si premeva le mani ai lati dellatesta, come per impedirle di spac-carsi ametà. «Caffè» dichiarò. «Devo bere uncaffè.»

«Ma te l’ho già portato.»Luke lasciò ricadere le mani e

sospirò. «Devo berne ancora.»Clary lo seguì in cucina, dove Luke

si versò dell’altro caffè, quindi sisedette al tavolo e si passò le mani tra icapelli. «Va male» disse. «Molto ma-le.»

«Credi?» Clary non riusciva aimmaginare di bere del caffè in quelmomento. Aveva già i nervi tesi comecorde di violino. «Che cosa succederàse lo portano a Idris?»

«Ci sarà un processo davanti alConclave. Probabilmente lo giudiche-ranno colpevole. E verrà punito. Ègiovane, perciò può darsi che si limite-ranno a privarlo dei marchi, senzamaledirlo.»

«Che vuol dire?»Luke non incrociò il suo sguardo.

«Significa che se gli toglieranno imarchi, lo destituiranno da Cacciatore elo cacceranno dal Conclave. Diventeràun mondano.»

«Ma in questo modo lo uccideranno.Davvero. Preferirà morire.»

«Pensi che non lo sappia?» Lukeaveva finito il suo caffè e fissò cupo latazza prima di metterla giù. «Ma questo,per il Conclave, non farà alcunadifferenza. Non potendo mettere le manisu Valentine, puniranno il figlio al suoposto.»

«E io? Sono sua figlia.»«Ma non appartieni al loro mondo.

Jace sì. Comunque, ti suggerisco distartene nascosta anche tu per un po’. Mipiacerebbe poter andare alla fattoria…»

«Non possiamo lasciare Jace nelleloro mani!» Clary era sgomenta. «Io nonvado da nessuna parte.»

«Certo che no.» Luke liquidò la suaprotesta con un gesto. «Ho detto che mipiacerebbe, non che voglio farlo. E poi,si capisce, c’è il problema di che cosafarà Imogen adesso che sa dov’èValentine. Potremmo ritrovarci nel belmezzo di una guerra.»

«Non mi importa se vuole uccidereValentine. Si accomodi pure. Voglio soloriavere Jace.»

«Potrebbe non essere così facile»disse Luke «considerato che in questocaso ha fatto davvero ciò di cui èaccusato.»

Clary era indignata. «Cosa? Crediche abbia ucciso i Fratelli Silenti?

Credi…»

«No. Non credo che abbia ucciso iFratelli Silenti. Credo che abbia fattoesattamente ciò che Imogen gli ha vistofare: è andato da suo padre.»

Rammentando qualcosa, Clarychiese: «Cosa intendevi quando haidetto che siamo stati noi a tradirlo e nonviceversa? Vuoi dire che non gliene faiuna colpa?»

«Sì e no.» Luke aveva un’aria strana.«È stata una stupidaggine. Non bisognafidarsi di Valentine. Ma dopo che iLightwood gli hanno voltato le spalle,cosa si aspettavano che facesse? Èancora un ragazzo, ha ancora bisognodei genitori. Se loro non lo vorranno,andrà a cercare qualcun altro.»

«Pensavo che magari…» disse Clary«si sarebbe rivolto a te. »

Luke parve indicibilmente triste. «Lopensavo anch’io, Clary. Lo pensavoanch’io.»

Maia sentiva i deboli suoni dellevoci provenienti dalla cucina. Avevanosmesso di gridare in salotto. Era ilmomento di andarsene. Ripiegò ilbiglietto che aveva scarabocchiato infretta, lo lasciò sul letto di Luke eattraversò la stanza diretta alla finestrache aveva precedentemente forzato.

Vi si riversava l’aria fredda diquelle prime giornate d’autunno in cui ilcielo è incredibilmente azzurro elontano. L’aria era leggermente

impregnata dell’odore di fumo.Corse al davanzale e guardò giù.

Prima della Trasformazione, quello perlei sarebbe stato un salto preoccupante,ma adesso, pronta a saltare, ci pensòappena un istante, per via della spallaferita. Atterrò accovacciata sul cementocrepato del giardino, sul retro della casadi Luke. Raddrizzandosi, si voltò aguardare, ma nessuno aprì una porta néle gridò di tornare indietro.

Soffocò un’incontrollabile fitta didelusione. Del resto, quando era dentrola casa, non le avevano rivolto molteattenzioni, pensò arrampicandosi sullarecinzione di filo metallico che separavail giardino dal vicolo, dunque perché

avrebbero dovuto accorgersi che se nestava andando? Lei era chiaramente ditroppo. Lo era sempre stata. L’unico traloro che l’aveva trattata come secontasse qualcosa era Simon.

Il pensiero di Simon la fecetrasalire, mentre saltava oltre larecinzione e trotterellava lungo il vicoloverso Kent Avenue. Aveva detto a Clarydi non ricordare la notte precedente, manon era vero. Ricordava l’espressionedi Simon quando si era ritratta da lui…Come se l’avesse impressa sotto lepalpebre. La cosa più strana era che inquel momento le era sembrato ancoraumano, più umano di quasi tutti quelliche aveva conosciuto.

Attraversò la strada per non passaredi nuovo davanti alla casa di Luke.

La strada era quasi deserta, gliabitanti di Brooklyn dormivano fino atardi, la domenica mattina. Si avviòverso la fermata della metropolitana diBedford Avenue continuando a pensare aSimon. Aveva un vuoto alla bocca dellostomaco che le doleva, quando pensavaa lui. Era la prima persona di cui si eradecisa a fidarsi da anni e poi le avevareso impossibile farlo.

Ma se fidarsi di lui è impossibile,perché ora stai andando a trovarlo?

risuonò il sussurro nei recessi dellasua mente, che le parlava sempre con lavoce di Daniel. Zitto, gli disse in tono

deciso. Anche se non possiamo essereamici, gli devo almeno delle scuse.

Qualcuno rise. Il suono rimbalzòsull’alto muro della fabbrica alla suasinistra. Maia ruotò su se stessa, il cuorestretto per la paura, ma la strada alle suespalle era deserta. Sul lungofiume c’erauna vecchia coi suoi cani, ma Maiadubitava che fosse a portata di voce.

In ogni caso, accelerò il passo.Poteva camminare, e a maggior ragionecorrere più svelta di buona parte degliumani. Anche nelle sue condizioniattuali, con il braccio che le dolevacome se le avessero colpito la spallacon una mazza, non aveva nulla datemere da un rapinatore o da uno stu-

pratore. Una notte poco dopo il suoarrivo in città due adolescenti armati dicoltello avevano provato a violentarlamentre attraversava Central Park, e soloBat le aveva impedito di ucciderlientrambi.

E allora perché era in preda alpanico?

Si guardò alle spalle. La vecchia nonc’era più; Kent Avenue era vuota.

Davanti a lei si levava il vecchiozuccherificio abbandonato Domino.Afferrata da un improvviso impulso adallontanarsi dalla strada, si infilò in unvicolo laterale.

Si ritrovò in uno spazio angusto tradue edifici, pieno di immondizia,

bottiglie gettate via, topi che correvanoqua e là. I tetti sopra di lei quasi sitoccavano, impedendo al sole dipenetrare e dandole l’impressione diessersi cacciata in un tunnel. Nei muri dimattoni erano incastrate finestre piccolee sporche, molte delle quali rotte davandali. Attraverso di esse, Maia vide ilpavimento della fabbrica abbandonata efile su file di forni, bollitori e tinimetallici. L’aria odorava di zuccherobruciato. Si appoggiò a un murocercando di placare il martellare delcuore. Era quasi riuscita a calmarsi,quando una voce assurdamente familiarele parlò dall’ombra:

«Maia?»

Girò su se stessa. Lui era all’entratadel vicolo, i capelli in controluceformavano un alone luminoso intorno alsuo bel viso. Gli occhi scuri orlati dilunghe ciglia la guardavano curiosi.Indossava dei jeans e, nonostante l’ariagelida, una maglietta a maniche corte.Sembrava che avesse ancora quindicianni.

« Daniel» sussurrò Maia.Lui si mosse verso di lei con passi

perfettamente silenziosi. «Ne è passatodi tempo, sorellina.»

Maia aveva voglia di scappare, masi sentiva le gambe come due borsedell’acqua calda. Si premette contro ilmuro, quasi che lui potesse inghiot-tirla.

«Ma… tu sei morto. »«E tu non hai pianto al mio funerale,

vero, Maia? Niente lacrime per il tuofratellone…»

«Eri un mostro…» mormorò laragazza. «Hai tentato di uccidermi…»

«Non con sufficiente impegno.»C’era qualcosa di lungo e acuminatonella sua mano, qualcosa che scintillavacome un fuoco argenteo nell’oscurità.Maia non era sicura di cosa fosse, avevala vista offuscata dal terrore.

Mentre Daniel le veniva incontro, leiscivolò a terra, le gambe ormai incapacidi reggerla.

Daniel le si inginocchiò accanto.Ora Maia vedeva che cosa aveva in

mano: un frammento di vetro frastagliatostaccato da una delle finestre rotte. Ilterrore montò e la investì come un’onda,ma non era la paura dell’ar-ma in manoal ragazzo ad annientarla, bensì il vuotonei suoi occhi. Per quanto guardassedentro e attraverso di essi, scorgevasolo tenebre. «Ricordi» le disse«quando minacciai di tagliarti la linguaprima di lasciarti spifferare la verità sulmio conto a mamma e a papà?»

Paralizzata dalla paura, Maia potevasoltanto fissarlo. Sentiva già il vetrotrafiggerle la pelle, il sapore soffocantedel sangue riempirle la bocca, edesiderò essere morta, già morta,qualsiasi cosa era meglio di quello

spavento, di quell’orrore…«Basta così, Agramon…» Una voce

maschile lacerò la nebbia nella suatesta. Non era la voce di Daniel… Eradolce, raffinata, innegabilmenteumana… Ma a chi apparteneva?

« Come desideri, Lord Valentine. »Daniel espirò, un sommesso sospiro didelusione, poi il suo viso cominciò acancellarsi e a sgretolarsi. In un attimoera scomparso, e con lui il senso diterrore paralizzante, schiacciante, cheaveva minacciato di farla moriresoffocata. Maia inalò disperatamentel’aria.

«Bene. Respira.» Di nuovo la vocemaschile, ora irritata. «Insomma,

Agramon, ancora qualche secondo esarebbe morta.»

Maia alzò lo sguardo. L’uomo,Valentine, era ritto su di lei, altissimo,tutto vestito di nero, neri anche i guantiche aveva alle mani e gli stivali dallaspessa suola che aveva ai piedi. Adessosi servì della punta di uno stivale percostringerla ad alzare il mento. Quandoparlò, la sua voce era gelida,noncurante. «Quanti anni hai?»

Il viso che la fissava dall’alto erastretto, spigoloso, privo di qualsiasicolore, gli occhi neri e i capelli talmentebianchi da farlo apparire una fotografiaal negativo. Sulla parte sinistra dellagola, subito sopra il colletto del

soprabito, aveva un segno a spirale.«Tu saresti Valentine?» sussurrò

Maia. «Ma pensavo che tu…»Lo stivale si abbassò sulla sua mano,

facendole guizzare una fitta di dolore super il braccio. Maia gridò.

«Ti ho fatto una domanda» disseValentine. «Quanti anni hai?»

«Quanti anni ho?» Il dolore allamano, mescolato al fetore acredell’immondizia tutt’intorno, le facevarivoltare lo stomaco. «Vaffanculo.»

Una barra di luce sembrò balzare trale dita di Valentine: lui gliela calò sulviso così in fretta che la ragazza nonebbe il tempo di scattare all’indietro.Una striscia ardente di dolore le bruciò

la guancia; si portò una mano al viso esentì il sangue renderle le ditascivolose.

«Dunque…» disse Valentine, con lastessa voce chiara e raffinata.

«Quanti anni hai?»«Quindici. Ho quindici anni.»Maia intuì, più che vedere, il sorriso

dell’uomo. « Perfetto. »Una volta di ritorno all’Istituto,

l’Inquisitrice separò Jace dai Lightwoode lo condusse di sopra, nella salaaddestramento. Scorgendosi negli altispecchi disposti lungo le pareti, Jace siirrigidì per la sorpresa. Erano giorni chenon si guardava, e quella appena passataera stata una nottataccia.

Aveva gli occhi contornati da ombrenere, la maglietta macchiata di sanguesecco e di sudicio fango dell’East River.Il viso era scavato e teso.

«Ti rimiri?» La vocedell’Inquisitrice penetrò nella suafantasie. «Non sarai così carino quandoil Conclave avrà finito con te.»

«Sembri ossessionata dal mioaspetto.» Jace distolse lo sguardo dallospecchio con un certo sollievo. «E setutto dipendesse dal fatto che sei attrattada me?»

«Non essere disgustoso.»L’Inquisitrice aveva tirato fuori quattrosottili barre metalliche dalla sacca cheportava appesa alla cintura. Spade

angeliche. «Potresti essere mio figlio.»«Stephen.» Jace ricordò quello che

Luke aveva detto poco prima. «È co-sìche si chiama, giusto?»

L’Inquisitrice si girò e lo affrontò.Le spade che stringeva vibravano d’i-ra.« Non pronunciare mai il suo nome. »

Per un istante, Jace si chiese se leiavrebbe mai potuto provare a ucciderlo.Non aprì bocca, mentre l’Inquisitriceriprendeva il controllo di sé. Senzaguardarlo, indicò un punto con una dellespade. «Mettiti in mezzo alla sala, perfavore.»

Jace obbedì. Pur cercando di nonguardare gli specchi, vedeva il proprioriflesso, e quello dell’Inquisitrice, con

la coda dell’occhio: gli specchi sirimandavano le immagini a vicenda,dando vita a un numero infinito di In-quisitrici che minacciavano un numeroinfinito di Jace.

Il ragazzo abbassò lo sguardo sullemani legate. Sebbene i polsi e le spallefossero passati da un lieve dolore a unasofferenza intensa, lacerante, nonsussultò quando l’Inquisitrice guardòuna delle spade, la chiamò Jo-phiel e laconficcò nel lucido parquet ai propripiedi. Jace aspettò, ma non accaddenulla.

« Bum? » disse alla fine. «Dovevasuccedere qualcosa?»

«Zitto.» Il tono dell’Inquisitrice era

categorico. «E resta dove sei.»Jace obbedì, guardandola con

crescente curiosità mentre estraeva dalfianco un’altra spada, la chiamavaHarahel e procedeva a infilare anchequella tra le assi del pavimento.

Quando fu la volta della terza spada,Sandalphon, Jace si rese conto di cosastava facendo. La prima era stata infilatanel pavimento a sud, rispetto a lui,quella dopo a est e la terza a nord.L’Inquisitrice stava segnando i punticardinali. Cercò di ricordare cosapotesse significare, ma invano. Erachiaramente un rituale del Conclave, cheesulava da tutto ciò che gli era statoinsegnato. Quando l’Inquisitrice prese la

quarta spada, Taharial, Jace aveva ipalmi sudati e irritati nei punti in cuisfregavano l’uno contro l’altro.

L’Inquisitrice si raddrizzò con ariasoddisfatta di sé. «Ecco.»

«Ecco cosa?» chiese Jace, ma leialzò una mano.

«Non ancora, Jonathan. Non hoancora finito.» Si spostò accanto allaspada più a sud e ci si inginocchiòdavanti. Con un rapido movimento tiròfuori uno stilo e tracciò una runa scurasul pavimento, appena sotto la la-ma.Quando si rialzò, nella stanza echeggiòuno scampanio dolce, penetrante edelicato. La luce si riversò dalle quattrospade angeliche, talmente accecante che

Jace distolse il viso e socchiuse gliocchi. Quando, un attimo dopo, li riaprì,vide che si trovava in una gabbia le cuipareti sembravano intessute di filamentidi luce. Non erano ferme, ma vibravanosimili a cor-tine di pioggia illuminata.

Ora l’Inquisitrice gli appariva quasisfocata, dietro la parete scintillante.

Quando la chiamò, perfino la suavoce sembrò tremula e sorda, come separlasse sott’acqua. «Che cos’è questo?Che cosa hai fatto?»

Lei rise.Infuriato, Jace fece un passo avanti e

poi un altro; le sue spalle sfiorarono laparete scintillante. Come se avessetoccato un recinto elettrificato, fu

attraversato con la violenza di unabastonata da una scossa pulsante che glitagliò le gambe. Ruzzolò goffamente sulpavimento, incapace di servirsi dellemani per attutire la caduta.

L’Inquisitrice rise di nuovo. «Seprovi ad attraversare la parete,riceverai altre scosse. Il Conclavechiama questa particolare punizioneConfigurazione Malachi. Queste paretinon possono essere infrante finché lespade angeliche rimangono dove sono.Io non lo farei» aggiunse quando Jace, inginocchio, fece un movimento verso laspada più vicina. «Tocca la spada emorirai.»

«Ma tu puoi toccarle» disse Jace,

incapace di tenere l’odio fuori dalla suavoce.

«Posso, ma non voglio farlo.»«Ma… il cibo? L’acqua?»«Tutto a suo tempo, Jonathan.»Jace si alzò. Attraverso la parete

tremolante, la vide girarsi come perandarsene.

«Ma le mie mani…» Abbassò losguardo sui polsi legati. Il metalloardente gli penetrava nella carne comeun acido. Il sangue sgorgava intorno allemanette di fuoco.

«Avresti dovuto pensarci prima diandare da Valentine.»

«Non stai facendo in modo che iotema la vendetta del Consiglio. Peggio

di te non potrà essere.»«Oh, non andrai davanti al

Consiglio» disse l’Inquisitrice. Nellasua voce c’era una calma imperturbabileche a Jace non piacque affatto.

«Che cosa significa che non andròdavanti al Consiglio? Sbaglio o avevidetto che domani mi avresti portato aIdris?»

«No. Sto pensando di restituirti a tuopadre.»

Per poco lo shock provocato daqueste parole non gli tagliò di nuovo legambe. « Mio padre? »

«Tuo padre. Sto pensando discambiarti con gli Strumenti Mortali.»

Jace la fissò. «Stai scherzando.»

«Neanche per sogno. È più semplicedi un processo. Naturalmente saraibandito dal Conclave» aggiunse, comeper un ripensamento. «Ma suppongo chete l’aspettassi.»

Jace fece di no con la testa. «Tu nonhai capito con chi hai a che fare.

Spero che te ne renda conto.»Un’espressione di fastidio balenò

sul volto dell’Inquisitrice. «Credevo cheavessimo liquidato la questione della tuapresunta innocenza, Jonathan.»

«Non parlavo di me. Parlavo di miopadre.»

Per la prima volta da quando laconosceva, Imogen sembrò confusa.

«Non capisco cosa vuoi dire.»

«Mio padre non scambierà mai gliStrumenti Mortali con me.» Le parole diJace erano amare, ma non il tono. Erarealistico. «Lascerebbe che tu miuccidessi davanti a lui pur di non cedertila Spada o la Coppa.»

L’Inquisitrice scosse la testa. «Noncapisci» disse con una sfumatura dirisentimento nella voce. «I figli noncapiscono mai l’amore di un genitore…

Al mondo non c’è nulla di simile.Nessun amore è così travolgente. Nessunpadre, neppure Valentine,sacrificherebbe suo figlio per un pezzodi metallo, per quanto potente esso sia.»

«Non lo conosci. Ti riderà in facciae ti offrirà dei soldi per spedire il mio

corpo a Idris.»«Non dire assurdità…»«Hai ragione» disse Jace. «A

pensarci bene, probabilmente faràpagare a te le spese di spedizione.»

«Vedo che sei sempre il figlio di tuopadre. Tu non vuoi che lui perda gliStrumenti Mortali… significherebbe unaperdita di potere anche per te.

Non vuoi vivere la tua vita come ilfiglio disonorato di un criminale, quindidirai qualsiasi cosa pur di farmicambiare idea. Ma non ci riuscirai.»

«Senti.» Nonostante il cuore chemartellava, Jace cercò di parlare concalma: lei doveva credergli. «So che miodi. So che mi credi un bugiardo come

mio padre. Ma ora sto dicendo la verità.Mio padre crede ciecamente in ciò chefa. Tu pensi che lui sia malvagio. Luiinvece pensa di essere nel giusto. Pensadi compiere l’opera di Dio. Nonrinuncerà a tutto questo per me. Se mistavi seguendo quando sono andato dalui, devi avere sentito cos’ha detto…»

«Ti ho visto parlare con lui» dissel’Inquisitrice. «Ma non ho sentitonulla.»

Jace imprecò sottovoce. «Ascolta,sono pronto a giurare su tutto quello chevuoi per dimostrarti che non stomentendo. Si sta servendo della Spada edella Coppa per invocare i demoni econtrollarli. Più tempo perdi con me,

più sarà in grado di creare un suoesercito. Quanto ti renderai conto chenon accetterà lo scambio, non avrai piùalcuna possibilità di sconfiggerlo…»

L’Inquisitrice distolse lo sguardocon un lamento di disgusto. «Sono stancadelle tue menzogne.»

Vedendola dargli le spalle eavanzare a grandi passi verso la porta,Jace trattenne il fiato incredulo.

«Ti prego!» gridò.L’Inquisitrice si fermò davanti alla

porta e si voltò a guardarlo. Jacedistingueva soltanto le ombre spigolosedel suo viso, il mento appuntito e lescure cavità delle orbite. I suoi abitigrigi si fondevano con l’oscurità,

facendola apparire un teschio fluttuanteprivo di corpo. «Non credere» disse

«che restituirti a tuo padre sia quelloche voglio fare. Valentine meritaqualcosa di meglio.»

«Cosa merita?»«Di tenere tra le braccia il cadavere

di suo figlio. Di vedere suo figlio mortoe sapere che non c’è nessuna magia,nessun incantesimo, nessun patto conl’inferno in grado di restituirglielo…»L’Inquisitrice si interruppe.

«Dovrebbe sapere che cosasignifica» aggiunse in un sussurro, espinse la porta, grattando con le mani sullegno. L’uscio si chiuse alle sue spallecon uno scatto, lasciando Jace, i polsi in

fiamme, con lo sguardo turbato.Clary attaccò il telefono con aria

accigliata. «Non risponde.»«Chi stai chiamando?» Luke era alla

quinta tazza di caffè e Clary cominciavaa preoccuparsi per lui. Esistevasicuramente una cosa come l’av-velenamento da caffeina, no? Nonsembrava prossimo a un colpo apoplet-tico o qualcosa del genere, ma tornandoal tavolo, Clary, per ogni evenien-za,tolse furtivamente la spina delpercolatore. «Simon?»

«No. Mi fa strano svegliarlo duranteil giorno, anche se ha detto che non lodisturba, purché non veda la luce delsole.»

«Allora…»«Chiamavo Isabelle. Per sapere cosa

succede a Jace.»«Non risponde?»«No.» Lo stomaco di Clary brontolò.

Andò al frigorifero, prese uno yogurtalla pesca e lo mangiò macchinalmente,senza sentirne il sapore. Era a metàvasetto quando si ricordò qualcosa.«Maia. Dovremmo controllare se èokay.» Mise giù lo yogurt. «Vado io.»

«No, io sono il suo capobranco. Sifida di me. Posso calmarla, se èsconvolta» disse Luke. «Torno subito.»

«Non dirlo» lo pregò Clary. «È unacosa che odio!»

Luke fece un sorriso storto e

imboccò il corridoio. Nel giro di pochiminuti fu di ritorno con un’espressioneinquieta. «È andata.»

«Andata? Andata come?»«Voglio dire che se l’è filata alla

chetichella. Ha lasciato questo.» Gettòsul tavolo un pezzo di carta ripiegato.Clary lo prese e lesse con la fronteaggrottata le frasi che vi eranoscarabocchiate.

Scusa per tutto. Vado a mettere unapezza. Grazie per quello che hai fatto.Maia.

«Vado a mettere una pezza? Chesignifica?»

Luke sospirò. «Speravo che losapessi tu.»

«Sei preoccupato?»«I demoni Raum sono cani da

riporto» disse Luke. «Trovano lepersone e le consegnano a chiunque liabbia invocati. Quel demone potrebbeessere ancora sulle sue tracce.»

«Oh» fece Clary sottovoce. «Be’,suppongo che volesse dire che andavada Simon.»

Luke sembrò sorpreso. «Sa doveabita?»

«Non lo so» ammise Clary. «Percerti versi sembrano intimi. Forse sì.»

Si frugò in tasca e tirò fuori iltelefono. «Lo chiamo.»

«Pensavo che ti facesse uno stranoeffetto.»

«Non quanto tutto il resto che stasuccedendo.» Clary fece scorrere larubrica in cerca del numero di Simon. Iltelefono squillò tre volte prima che ilragazzo rispondesse con l’aria intontita.

«Pronto?»«Sono io.» Parlando, Clary voltò le

spalle a Luke, più per abitudine che peril desiderio di non fargli sentire laconversazione.

«Sai che adesso vivo di notte» disseSimon con un mugugno. Lei lo sentìrivoltarsi nel letto. «Questo significa chedormo tutto il giorno.»

«Sei a casa?»«Sì, dove altro vuoi che sia?» La sua

voce si fece più acuta, mentre il sonno

svaniva. «Che c’è, Clary, qualcosa nonva?»

«Maia è scappata. Ha lasciato unbiglietto… per dire che forse sarebbevenuta a casa tua.»

Simon sembrò perplesso. «Be’, nonl’ha fatto. O se vuole farlo non è ancoraarrivata.»

«C’è qualcuno in casa oltre a te?»«No, mia madre è al lavoro e

Rebecca a scuola. Perché, pensidavvero che si farà viva qui?»

«Be’, se lo fa, chiamaci…»Simon la interruppe. «Clary.» Il tono

era ansioso. «Aspetta un secondo.Credo che qualcuno stia cercando di

entrare con la forza in casa mia.»

Nella prigione il tempo passava, eJace guardava la terribile pioggiaargentea che cadeva intorno a lui con uninteresse distaccato. Avevanocominciato a intorpidirglisi le dita etemeva che fosse un brutto segno, manon se ne curava più di tanto. Si chiesese i Lightwood sapessero che era lassùo se chiunque fosse entrato nella salaaddestramento sarebbe rimasto stupito,nel trovarlo chiuso lì dentro. Ma no,l’Inquisitrice non era così sba-data.Sicuramente aveva detto che la sala erainaccessibile, per poter di-sporre delprigioniero come le sembrava piùopportuno. Pensò di dover esserefurioso, o magari impaurito, ma non

riusciva a curarsi neanche di questo.Niente sembrava più reale: né ilConclave, né l’Alleanza, né la Legge, eneppure suo padre.

Un sommesso rumore di passi loavvertì della presenza di qualcun altronella sala. Jace era steso sulla schiena efissava il soffitto. Ora si mise a sedere efece correre lo sguardo nel locale. Al dilà della cortina di pioggia lucente scorseuna sagoma scura. Dev’esserel’Inquisitrice, pensò. Tornata a farsiancora beffe di lui. Si tenne forte… poi,con un sussulto, vide i capelli scuri e ilvolto familiare.

Forse, dopotutto, c’era ancoraqualcosa di cui si curava. «Alec?»

«Sono io.» Alec si inginocchiòdall’altro lato della parete scintillante.

Era come guardare qualcunoattraverso l’acqua limpida increspatadalla corrente. Adesso Jace lo vedevachiaramente, ma di tanto in tanto i suoitratti sembravano ondeggiare edissolversi, mentre la pioggia luminosascintillava tremolando.

Bastava a far venire il mal di mare,pensò Jace.

«Che cos’è questa roba, in nomedell’Angelo?» Alec allungò una manoverso la parete.

«Fermo.» Jace tese la mano, poi laritirò in fretta prima di sfiorare laparete. «Potrebbe darti una bella scossa,

e anche ucciderti, se proverai ad at-traversarla.»

Alec ritrasse la mano con un fischiosommesso. «L’Inquisitrice fa sul serio.»

«Eh, già. Sono o non sono unpericoloso criminale? Come, non losapevi?» Jace sentì il tono acido dellapropria voce e, mentre Alecindietreggiava, per un istante fu invasoda una gioia meschina.

«Non ti ha chiamato esattamente“criminale”…»

«No, sono solo un ragazzo moooltocattivo. Combino ogni tipo di caro-gnate. Prendo a calci i gattini. Facciogestacci volgari alle suore.»

«Non scherzare, questa è una

faccenda seria.» Gli occhi di Alec eranocupi. «Che cosa diavolo pensavi di fare,andando da Valentine? Voglio di-re, sulserio, che cosa ti passava per la testa?»

A Jace venne in mente un’infinità dibattute pungenti, ma scoprì di nonvolerne fare neanche una. Era troppostanco. «È mio padre, in fondo.»

Alec sembrò contare fino a dieci perconservare la calma. «Jace…»

«E se fosse stato il tuo, di padre?Che cosa avresti fatto?»

«Il mio? Mio padre non farebbe maile cose che Valentine…»

Jace alzò la testa di scatto. «Ma tuopadre le ha fatte! Era nel Circolo con ilmio! E anche tua madre! I nostri genitori

erano uguali. L’unica differenza è che ituoi sono stati catturati e puniti, il miono!»

Il viso di Alec si irrigidì, ma silimitò a dire: «L’ unica differenza?»

Jace abbassò lo sguardo. Le manetteardenti non erano fatte per essere tenutecosì a lungo. Sotto, la pelle erapunteggiata di gocce di sangue.

«Volevo solo dire» continuò Alec«che non capisco come tu potessi avervoglia di vederlo, non tanto dopo quelloche ha fatto in generale, ma dopo quelloche ha fatto a te. »

Jace rimase in silenzio.«Tutti quegli anni» disse Alec. «Ti

ha lasciato credere che fosse morto.

Forse tu non ricordi com’erano lecose, quando avevi dieci anni, ma io sì.

Nessuna persona che ti ama puòfare… una cosa simile.»

Sottili rivoli di sangue scorrevanosulle mani di Jace come uno spago rossoche si dipanava. «Valentine mi ha detto»disse con calma «che se lo appoggiavocontro il Conclave, se lo facevo, sisarebbe assicurato che non venisse fattodel male a nessuno a cui tenevo. Né a te,né a Isabelle, né a Max. E neppure aituoi genitori. Ha detto…»

«Non sarebbe stato fatto del male anessuno?» gli fece eco Alec in tonoderisorio. «Vuoi dire che non gliavrebbe fatto del male personalmente.

Bello.»«Ho visto cosa è capace di fare,

Alec. Il tipo di forza demoniaca che puòinvocare. Se guiderà il suo esercito didemoni contro il Conclave, ci sarà unaguerra. E la gente si fa male, in guerra.Muore, in guerra.» Esitò. «Se tu avessila possibilità di salvare tutti quelli cheami…»

«Ma che genere di possibilità è? Eche valore può avere la parola diValentine?»

«Se giura sull’Angelo che farà unacosa, la farà.»

« Se tu lo appoggi contro ilConclave.»

Jace annuì.

«Si deve essere incavolato da mattiquando hai rifiutato» osservò Alec.

Jace alzò lo sguardo dai polsisanguinanti e lo fissò. «Che cosa?»

«Ho detto…»«Lo so cosa hai detto. Cosa ti fa

pensare che io abbia rifiutato?»«Be’, l’hai fatto… non è vero?»Molto lentamente, Jace annuì.«Ti conosco» disse Alec con una

sicurezza sconfinata, e si alzò. «Hairaccontato all’Inquisitrice di Valentine edei suoi piani, vero? E lei se n’èfregata!»

«Non direi che se n’è fregata.Diciamo piuttosto che non mi ha creduto.

Ha un piano con cui pensa di

sconfiggere Valentine. L’unico problemaè che il suo piano fa schifo.»

Alec annuì. «Su questo miaggiornerai più tardi. Prima le coseimportanti: dobbiamo capire come fartiuscire di qui.»

« Che cosa? » L’incredulità diededelle lievi vertigini a Jace. «Pensavoche volessi farmi filare in prigione senzapassare dal Via e incassare i due-centodollari. “La Legge è Legge, Isabelle.”Cos’è, ti divertivi solo a fare losputasentenze?»

Alec cadde dalle nuvole. «Non puoiaver creduto che dicessi sul serio.

Volevo solo che l’Inquisitrice sifidasse di me, in modo che ora non stia

tutto il tempo a controllarmi come fa conIzzy e Max. Sa che loro sono dalla tuaparte.»

«E tu? Tu sei dalla mia parte?» Jacesentì il tono rude della propria domandae fu quasi sopraffatto dall’idea di quantofosse importante la risposta.

«Io sono con te» disse Jace.«Sempre. Che bisogno hai dichiedermelo?

Io rispetto la Legge, ma quello che tiha fatto l’Inquisitrice non ha niente a chevedere con la Legge. Non so esattamentecosa bolle in pentola, ma l’odio che leinutre per te è personale. Non ha niente ache vedere con il Conclave.»

«Io la provoco» disse Jace. «È più

forte di me. I burocrati malvagi mi ir-ritano.»

Alec scosse la testa. «Non è neancheper questo. È un odio antico. Lo sento.»

Jace stava per replicare, quando lecampane della cattedrale si misero asuonare. Lì, vicino al tetto, i rintocchiecheggiavano forte. Alzò lo sguardo…quasi aspettandosi di vedere Hugovolteggiare fra le travi di legno in cerchilenti, pensosi. Al corvo era semprepiaciuto starsene lassù, fra le travi e learcate di pietra. Un tempo Jace pensavache all’uccello piacesse conficcare gliartigli nel legno morbido; ora si reseconto che le travi gli fornivano un ottimopunto di osservazione.

Un’idea cominciò a prendere formain un angolino della sua mente, vaga eoscura. Ad alta voce disse soltanto:«Luke ha accennato al fatto chel’Inquisitrice aveva un figlio di nomeStephen. E che stava cercando di vendi-carne la morte. Quando le ho chiesto dilui, è andata in paranoia. Forse questopotrebbe spiegare perché mi odia tanto.»

Le campane avevano smesso disuonare. Alec disse: «Forse. Potreichiedere ai miei genitori, ma dubito cheme lo direbbero.»

«No, non chiederlo a loro. Chiediloa Luke.»

«Stai dicendo che mi tocca rifaretutta la strada fino a Brooklyn? Senti,

uscire di qui sarà quasi impossibile…»«Usa il telefono di Isabelle. Scrivi

un sms a Clary. Dille di chiedere aLuke.»

«Okay.» Alec rimase un istante insilenzio. «Vuoi che le dica qualcos’altroda parte tua? A Clary, dico, non aIsabelle.»

«No» rispose Jace. «Non ho nienteda dirle.»

«Simon!» Clary si girò verso Lukestringendo il telefono. «Dice chequalcuno sta cercando di entrare con laforza in casa sua.»

«Digli di andarsene da lì.»«Non posso andarmene da qui»

ribatté Simon inquieto. «A meno di non

voler prendere fuoco.»«È giorno» spiegò Clary a Luke, ma

vide che aveva già capito il problema esi stava frugando nelle tasche. Le chiavidella macchina. Le alzò e gliele fecevedere.

«Di’ a Simon che stiamo arrivando.E che si chiuda in una stanza finché nonsiamo lì.»

«Hai sentito? Chiuditi in unastanza.»

«Ho sentito.» La voce di Simonsembrava tesa; Clary sentì qualcosa chestrusciava, poi un tonfo pesante.

«Simon!»«Sto bene. Sto solo ammucchiando

roba davanti alla porta.»

«Che tipo di roba?» Ora Clary erasulla veranda e tremava nella maglialeggera. Luke, dietro di lei, stavachiudendo la porta a chiave.

«Una scrivania» rispose Simon conuna certa soddisfazione. «E il letto.»

«Il letto?» Clary montò sul pick-upaccanto a Luke e trafficò per allac-ciarsila cintura con una mano sola, mentreLuke lasciava a tutta birra il vialetto epercorreva a razzo Kent Avenue.Allungò la mano e la agganciò al suoposto. «Come hai fatto a sollevare illetto?»

«Dimentichi la superforza deivampiri.»

«Chiedigli cosa sente» disse Luke.

Sfrecciavano sull’asfalto, il che avrebbepotuto essere fantastico se il lungofiumedi Brooklyn fosse stato in condizionimigliori. Ogni volta che prendevano unabuca Clary rimaneva senza fiato.

«Che cosa senti?» chiese trattenendoil respiro.

«Ho sentito la porta d’ingressospalancarsi con un gran fracasso.Devono averla aperta con un calcio. PoiYossarian è corso come un lampo nellamia stanza e si è nascosto sotto il letto.Quindi c’è sicuramente qualcuno incasa.»

«E ora?»«Ora non sento niente.»«Meglio così, no?» Clary si rivolse

a Luke. «Dice che ora non sente niente.Forse se ne sono andati.»

«Forse.» Luke sembrava dubbioso.Adesso erano sulla strada a scorrimentorapido diretti al quartiere di Simon.«Comunque tienilo al telefono.»

«E adesso cosa fai, Simon?»«Niente. Ho spinto tutto quello che

c’è nella stanza contro la porta. Ora stoprovando a far uscire Yossarian dadietro la bocchetta del riscaldamento.»

«Lascialo dov’è.»«Sarà molto difficile spiegare tutto

questo a mia madre» disse Simon,dopodiché la comunicazione siinterruppe. Ci fu un clic e poinient’altro.

CHIAMATA TERMINATA, balenòsul display digitale.

«No. NO!» Clary schiacciò il tastodi richiamata con dita tremanti.

Simon rispose subito. «Scusa.Yossarian mi ha graffiato e m’è caduto iltelefono.»

Clary si sentì bruciare la gola per ilsollievo. «Non c’è problema, basta chetu stia bene e…»

Attraverso l’apparecchio risuonò unfragore simile a un’ondata che cancellòla voce di Simon. Clary allontanò iltelefono dall’orecchio. Il displaysegnalava ancora CHIAMATA INCORSO.

« Simon! » gridò nel telefono.

«Simon, mi senti?»Il fragore cessò. Si sentì qualcosa

andare in frantumi e un urlo acuto, di-sumano… Poi il rumore di qualcosa dipesante che cadeva a terra.

«Simon?» sussurrò Clary.Ci fu un clic, quindi le risuonò

nell’orecchio una voce strascicata edivertita: «Clarissa. Avrei dovutosaperlo che c’eri tu all’altro capo deltelefono.»

Clary strinse forte gli occhisentendosi lo stomaco sotto i piedi,come se stesse sulle montagne russedopo aver affrontato la prima discesa.«Valentine.»

«Padre, vorrai dire» disse lui con

aria sinceramente seccata. «Deplorol’abitudine moderna di chiamare i proprigenitori per nome.»

«In realtà i modi con cui vorreichiamarti sono dannatamente più oscenidel tuo nome» ribatté Clary brusca.«Dov’è Simon?»

«Vuoi dire il ragazzo vampiro? Unacompagnia discutibile per unaCacciatrice di buona famiglia, noncredi? D’ora in avanti mi aspetto diavere voce in capitolo nella scelta deituoi amici.»

« Che cosa hai fatto a Simon? »«Niente» rispose Valentine divertito.

«Per ora.»E attaccò.

Quando Alec tornò nella salaaddestramento, Jace era disteso a terra esognava file di ragazze che ballavanonel tentativo di scordare il dolore aipolsi. Non funzionava.

«Che cosa fai?» chiese Alec,inginocchiandosi quanto più possibilevicino alla parete scintillante dellaprigione. Jace provò a ricordarsi che,quando Alec faceva quel tipo didomande, le faceva sul serio, e che unavolta la trovava una cosa più simpaticache irritante. Invano.

«Pensavo di starmene un po’ stesosul pavimento a contorcermi dal dolore»grugnì. «Mi rilassa.»

«Davvero? Oh… fai del sarcasmo,

buon segno, no?» disse Alec. «Se puoisederti, ti consiglio di farlo. Proverò afarti scivolare qualcosa attraverso laparete.»

Jace si mise seduto talmente in frettache gli girò la testa. «Alec, no…»

Ma Alec si era già mosso e spingevaqualcosa verso di lui con tutte e due lemani, come se facesse rotolare una pallaverso un bambino. Una piccola sferarossa attraversò la cortina scintillante erotolò fino a Jace, andandogli a sbatteredelicatamente sul ginocchio.

«Una mela.» La raccolse conqualche difficoltà. «Proprio quel che civoleva.»

«Ho pensato che magari avevi

fame.»«E ce l’ho.» Jace diede un morso

alla mela; il succo gli colò sulle mani esfrigolò nelle fiamme azzurre che gliammanettavano i polsi. «Hai mandato ilmessaggio a Clary?»

«No. Isabelle non vuole farmientrare nella sua stanza. Lancia oggetticontro la porta e urla. Ha detto che seentravo si sarebbe buttata dalla finestra.E ne sarebbe pure capace.»

«Probabile.»«Ho la sensazione» disse Alec con

un sorriso «che non mi abbia perdo-natodi averti tradito, per come la vede lei.»

«Brava ragazza» disse Jacericonoscente.

«Ma io non ti ho tradito, stupido.»«È il pensiero che conta.»«Bene, perché ti ho portato anche

qualcos’altro. Non so se funzionerà, mavale la pena di tentare.» Fece scivolareun piccolo oggetto metallico attraversola parete. Era un dischetto argenteogrande più o meno quanto un quarto didollaro. Jace mise da parte la mela e loraccolse con aria curiosa.

«Che cos’è?»«L’ho preso dalla scrivania in

biblioteca. In passato ho visto i mieiusarlo per distruggere ogni tipo diaggeggio. Credo sia una runa diSblocco. Vale la pena provare…»

Si interruppe, mentre Jace si portava

il dischetto ai polsi, tenendologoffamente tra due dita. Nel momento incui toccò la striscia di fiamma azzurra,le manette tremolarono e scomparvero.

«Grazie.» Jace si strofinò i polsi,ognuno circondato da una riga di pelleirritata e sanguinante. Ricominciava asentirsi la punta delle dita. «Non è unalima nascosta nella torta di compleanno,ma impedirà alle mie mani di staccarsi.»

Alec lo guardò. Le linee vacillantidella cortina di pioggia rendevano il suoviso allungato, preoccupato… e forse loera davvero. «Sai, quando prima hoparlato con Isabelle mi è venuta in menteuna cosa. Le ho detto che non potevabuttarsi dalla finestra… e di non

provarci, o si sarebbe sfra-cellata.»Jace annuì. «Mi sembra un buon

consiglio da fratello maggiore.»«Ma poi ho cominciato a chiedermi

se fosse vero anche nel tuo caso…voglio dire, ti ho visto fare cose che

equivalevano praticamente a volare.Ti ho visto cadere dal terzo piano e

atterrare come un gatto, saltare da terrasu un tetto e…»

«Sentire enumerare le mie imprese èsicuramente gratificante, ma non capiscoche cosa intendi dire, Alec.»

«Voglio dire che questa prigione haquattro pareti, non cinque.»

Jace lo fissò. «Allora Hodge nonmentiva quando diceva che si usa la

geometria nella vita di tutti i giorni. Già,hai ragione, Alec, questa gabbia haquattro pareti. Ora, se l’Inquisitrice neavesse erette solo due, potrei…»

«JACE» disse Alec, perdendo lapazienza. «Voglio dire che la gabbia nonha tetto. Non c’è niente tra te e ilsoffitto.»

Jace rovesciò la testa. Le travisembravano ondeggiare in alto, sopra dilui, perse nell’ombra. «Sei pazzo.»

«Può darsi» disse Alec. «O puòdarsi che io sappia semplicemente dico-sa sei capace.» Scrollò le spalle.«Potresti provare, almeno.»

Jace fissò Alec… il suo viso aperto,sincero e gli occhi azzurri dallo sguardo

fermo. È pazzo, pensò. Era vero,nell’ardore della battaglia aveva fattocose sorprendenti, come tutti loro, delresto. Sangue di Cacciatore, anni diaddestramento… ma non poteva fare unsalto di nove metri.

Come fai a sapere che non puoi,disse una voce sommessa nella sua testa,finché non ci provi?

La voce di Clary. Pensò a lei e allesue rune, alla Città Silente e alle manetteche gli erano saltate via dal polso comese si fossero spezzate sotto un’enormepressione. Lui e Clary avevano lo stessosangue. Se Clary poteva fare coseritenute impossibili…

Si alzò in piedi quasi di malavoglia

e si guardò intorno, valutandolentamente la stanza. Vedeva ancora glialti specchi e la moltitudine di armiappese alle pareti, le lame chescintillavano debolmente attraverso lacortina di fuoco argenteo che locircondava. Si curvò e recuperò da terrala me-la mangiata a metà e la guardò unmomento soprappensiero… poi allungòil braccio all’indietro e la lanciò inavanti più forte che poté. La mela volòin aria, colpì una lucente parete argenteaed esplose in una corona di fiamme di uncolore azzurro liquido.

Jace sentì Alec restare senza fiato.Dunque l’Inquisitrice non avevaesagerato. Se avesse colpito troppo forte

una delle pareti della prigione, sarebbemorto.

Alec si alzò, di colpo tremante.«Jace, non so…»

«Zitto, Alec. E non guardarmi così.Non mi è d’aiuto.»

Qualunque fosse la risposta di Alec,Jace non la sentì. Stava girandolentamente su se stesso, gli occhiconcentrati sulle travi. Le rune che gliper-mettevano di vedere alla perfezioneda lontano entrarono in azione, mettendomeglio a fuoco le travi: ne scorgeva ibordi scheggiati, i cerchi con-centrici e inodi, le macchie nere dell’età. Ma eranosolide. Sostenevano il tetto dell’Istitutoda centinaia di anni. Potevano ben

sostenere un ragazzo.Piegò le dita, facendo dei respiri

profondi, lenti, controllati, proprio comegli aveva insegnato suo padre. Con gliocchi della mente si vide saltare, li-brarsi in aria, afferrare una trave conagilità, dondolarsi e montarci sopra.

Era leggero, si disse, leggero comeuna freccia che avanza facilmentenell’aria, veloce e inarrestabile.Sarebbe stato facile, si disse. Facile.

«Sono la freccia di Valentine»sussurrò. «Che lui lo sappia o meno.»

E saltò.capitolo 16

IL SANGUE DEINASCOSTI

Clary pigiò il tasto di richiamata perrifare il numero di Simon, ma il telefonoandava direttamente alla casella vocale.Calde lacrime le rigarono le guance egettò il telefono sul cruscotto.«Accidenti…»

«Ci siamo quasi» disse Luke. Eranousciti dalla strada a scorrimento velocee non se n’era neanche accorta. Sifermarono davanti alla casa di Simon,una villetta unifamiliare di legno con lafacciata dipinta di un rosso vivace.Clary scese dall’auto e si mise a correreper il vialetto prima ancora che Luketirasse il freno a mano. Gridò il suo

nome mentre si precipitava su per gliscalini e bussava freneticamente allaporta d’ingresso.

«Simon!» gridò. « Simon! »«Clary, basta.» Luke la raggiunse

sulla veranda. «I vicini…»«’fanculo i vicini.» Armeggiò con il

portachiavi che aveva alla cintura, trovòla chiave giusta e la infilò nellaserratura. Spalancò la porta e avanzòcircospetta nell’ingresso, con Luke allecalcagna. Sbirciarono attraverso laprima porta a sinistra, che dava sullacucina. Tutto sembrava tale e quale acom’era sempre stato, dal piano dilavoro meticolosamente pulito alle ca-lamite sul frigorifero. C’era il lavello,

dove solo pochi giorni prima avevabaciato Simon. I raggi del sole siriversavano dalle finestre, riempiendo lastanza di pallida luce gialla. Lucecapace di ridurre in cenere Simon.

La sua camera era l’ultima in fondoal corridoio. La porta era socchiusa, madalla fessura Clary scorse soltanto fittetenebre.

Si sfilò di tasca lo stilo e lo impugnòsaldamente. Sapeva che non era una verae propria arma, ma sentirlo in mano larassicurava. Dentro, la stanza era buia,le finestre nascoste da tende nere,l’unica luce proveniva dall’orologiodigitale sul comodino. Luke stavaallungando un braccio oltre di lei per

premere l’interruttore, quando qualcosa- qualcosa che sibilava, sputava eringhiava come un demone - gli siscagliò addosso dall’oscurità.

Clary urlò, mentre Luke la afferravaper le spalle e la spingeva bruscamenteda parte. Inciampò e mancò poco checadesse; quando si raddrizzò, si girò evide un Luke dall’aria sbalordita chereggeva un gatto bianco che miagolava esi dibatteva, il pelo ritto. Sembrava unapalla di ovatta con gli artigli.

«Yossarian!» esclamò Clary.Luke lasciò andare la bestiola.

Yossarian gli schizzò immediatamentetra le gambe e scomparve nel corridoio.

«Stupido gatto» disse Clary.

«Non è colpa sua. Io non piaccio aigatti.» Luke allungò la mano versol’interruttore e lo premette. Clary rimasesenza fiato. La stanza era in un ordineperfetto, non c’era nulla fuori posto,neppure il tappeto era di traverso.Perfino il copriletto era ripiegatoordinatamente.

«È un incantesimo dicamuffamento?»

«Probabilmente no. Probabilmente èsolo un po’ di magia.» Luke si mise alcentro della stanza guardandosi intornocon aria pensosa. Mentre andava ascostare una delle tende, Clary videqualcosa luccicare nel tappeto ai suoipiedi.

«Luke, aspetta.» Gli si avvicinò e siinginocchiò per recuperare l’oggetto.Era il cellulare di Simon, piegato edeformato, l’antenna strappata. Lo aprìcon il cuore che le martellava.Nonostante la crepa che attraversava loschermo per il lungo, era ancora visibileun messaggio di testo: Adesso li ho tutti.

Clary si lasciò cadere sul lettoinebetita. Come attraverso una nebbia,sentì Luke toglierle il telefono di mano.Poi lo sentì restare senza fiato nelleggere il messaggio.

«Che cosa vuol dire “adesso li hotutti”?» gli chiese.

Luke posò il telefono sulla scrivaniae si passò una mano sul viso. «Te-mo

che significhi che adesso ha Simon e,c’è da supporre, anche Maia. Significache ha tutto il necessario per il Ritualedella Trasformazione.»

Clary lo fissò. «Vuoi dire che Simonnon gli serve solo per arrivare a me… ea te?»

«Sono sicuro che Valentine loconsidera un piacevole effettosecondario.

Ma non è il suo fine principale. Ilsuo fine principale è trasformare laSpada dell’Angelo. E per questo gliserve…»

«Il sangue di bambini di Nascosti.Ma Maia e Simon non sono bambini.

Sono adolescenti.»

«Quando quell’incantesimo è statocreato, l’incantesimo per volgere laSpada dell’Anima alle tenebre, la parola“adolescente” non era stata neancheinventata. Nella società dei Cacciatori siè adulti a diciotto anni. Prima, si èconsiderati bambini. Per gli scopi diValentine, Maia e Simon sono bambini.Ha già il sangue di un figlio del PopoloFatato e di un figlio di stregone. Gliservono soltanto un lupo mannaro e unvampiro.»

Clary si sentì come se le avesserotolto l’aria dai polmoni. «Allora perchéce ne siamo stati con le mani in mano?Perché non abbiamo pensato diproteggerli in qualche modo?»

«Finora Valentine ha fatto quello chegli tornava più comodo. Ha scelto le suevittime solo perché gli si presentavanosu un piatto d’argento. Lo stregone erafacile da trovare: Valentine non hadovuto far altro che assu-merlo colpretesto di invocare un demone.Individuare le fate nel parco èabbastanza facile, se sai dove cercare. El’Hunter’s Moon è esattamente il postodove andare se vuoi trovare un lupomannaro. Esporsi a questo pericolo e aqueste difficoltà supplementari solo percolpire noi quando nulla è cambiato…»

«Jace» disse Clary.«Che c’entra con Jace?»«Credo che sia a Jace che vuole

farla pagare. La scorsa notte Jace deveavere combinato qualcosa sulla barca,qualcosa che ha fatto incavolareValentine. Incavolare al punto daabbandonare qualsiasi progettoprecedente e idearne uno nuovo.»

Luke sembrava confuso. «Che cosa tifa pensare che questo cambiamen-to diValentine abbia a che fare con tuofratello?»

«Perché» rispose Clary condolorosa certezza «solo Jace può farincavolare a tal punto qualcuno.»

«Isabelle!» Alec tempestò di colpila porta della sorella. «Isabelle, apri-mi,lo so che sei lì dentro.»

La porta si socchiuse. Alec provò a

sbirciarci dentro, ma dall’altra parte nonvide nessuno. «Non vuole parlarti»disse una voce ben nota.

Alec abbassò lo sguardo e vide dueocchi grigi che lo fissavano da dietro unpaio di occhiali storti. «Max. Avanti,fratellino, fammi entrare.»

«Neanch’io voglio parlarti.» Maxfece il gesto di spingere la porta per ri-chiuderla, ma Alec, svelto come lafrusta di Isabelle, infilò il piede nellafessura.

«Non costringermi a sbatterti a terra,Max.»

«Non lo farai.» Il bambino riprese aspingere con tutte le sue forze.

«No, ma potrei andare a chiamare i

nostri genitori e ho la netta sensazioneche Isabelle non voglia assolutamenteche io lo faccia, vero, Izzy?»

chiese alzando la voce in modo chela sorella lo sentisse.

«Oh, per l’amor del cielo.» Isabelleera molto irritata. «Va bene, Max, falloentrare.»

Max si scostò, Alec spinse la portaed entrò, lasciandola semiaperta alle suespalle. Isabelle era seduta nel vano dellafinestra accanto al letto, la frusta dorataarrotolata attorno al braccio sinistro.Indossava la tenuta da caccia: gli spessipantaloni neri e la maglia aderente con ilmotivo quasi invisibile di rune argentee.Aveva gli stivali affibbiati alle

ginocchia e i capelli neri mossi dalvento che entrava dalla finestra aperta.Gli lanciò un’occhiata assassina e per unistante gli apparve tale e quale a Hugo,il corvo nero di Hodge.

«Che diavolo fai? Stai cercando diucciderti?» chiese Alec attraversandofurioso la stanza diretto verso la sorella.

La frusta si allungò sinuosa e siarrotolò intorno alle sue caviglie. Alecsi bloccò, sapendo che a Isabellebastava un semplice scatto del polso permandarlo a gambe all’aria e farloatterrare legato come un salame sulpavimento di legno. «Non ti avvicinaredi un solo centimetro, AlexanderLightwood» disse nel suo tono più

furibondo. «Non mi sento moltocomprensiva nei tuoi confronti, in questomomento.»

«Isabelle…»«Come hai potuto rivoltarti a quel

modo contro Jace? Dopo tutto quello cheha passato? Avete anche giurato divegliare l’uno sull’altro…»

«A patto di non infrangere la Legge»le ricordò.

«La Legge!» saltò su Isabelle,disgustata. «C’è una legge più alta delConclave, Alec. La legge della famiglia.Jace è la tua famiglia.»

«La legge della famiglia? Non ne homai sentito parlare» disse Alec irritato.Sapeva che doveva difendersi, ma non

era facile dimenticarsi di una vitatrascorsa a correggere i fratelli minoriquando sbagliavano. «Sarà perché l’haiappena inventata?»

Isabelle fece schioccare la frusta.Alec si sentì mancare la terra sotto ipiedi e si girò per attutire l’impattodella caduta con le mani. Atterrò, rotolòsulla schiena e alzò gli occhi,ritrovandosi Isabelle che incombeva sudi lui. Max era al suo fianco. «Cosa nefacciamo, Maxwell?» chiese Isabelle.

«Lo lasciamo legato qui finché inostri genitori non lo trovano?»

Alec ne aveva avuto abbastanza.Sfilò una lama dal fodero vicino alpolso, la girò e tagliò la frusta che gli

avvolgeva le caviglie. Il cavo di elettrosi recise di colpo e Alec balzò in piedi,mentre Isabelle ritraeva il braccio con ilcavo che le sibilava intorno.

Una risatina sommessa stemperò latensione. «Va bene, va bene, l’avetetorturato abbastanza. Sono qui.»

Isabelle sgranò gli occhi. «Jace!»«In persona.» Jace si infilò nella

stanza richiudendosi la porta alle spalle.«Non c’è bisogno che litighiate…»

Fece una smorfia, quando Max gli sigettò addosso gridando il suo nome,«Ehi, vacci piano» disse, sciogliendo-sidall’abbraccio del ragazzino.«Attualmente non sono al meglio dellaforma.»

«Lo vedo» disse Isabelleesaminandolo con ansia. Jace aveva ipolsi insanguinati, i capelli biondiappiccicati al collo e alla fronte e lafaccia e le mani macchiate di sporcizia.«L’Inquisitrice ti ha fatto male?»

«Non troppo.» Gli occhi di Jaceincrociarono quelli di Alec dall’altraparte della stanza. «Mi ha soltantorinchiuso nella galleria delle armi. Alecmi ha aiutato a scappare.»

La frusta si afflosciò come un fioretra le mani di Isabelle. «Alec…davvero?»

«Sì.» Alec si tolse la polvere delpavimento dai vestiti con voluta osten-tazione. Non poté trattenersi

dall’aggiungere: «Beccati questa.»«Be’, avresti dovuto dirlo. »«E tu avresti dovuto fidarti un po’ di

me…»«Basta, non c’è tempo per

bisticciare» disse Jace. «Isabelle, chetipo di armi hai qui dentro? E bende,bende ne hai?»

«Bende?» Isabelle mise giù la frustae tirò fuori il suo stilo da un cassetto.«Posso sistemarti con un iratze… »

Jace alzò i polsi. «Un iratzeandrebbe bene per le mie ammaccature,ma non guarirebbe queste. Sonobruciature provocate da rune.» Alla luceviva della stanza di Isabelle avevano unaspetto ancora peggiore… qua e là le

cicatrici circolari erano nere escrepolate e ne colava sangue e unfluido chiaro. Jace abbassò le mani,mentre Isabelle impallidiva. «E avròanche bisogno di armi, prima di…»

«Innanzitutto, le bende. Poi le armi.»Isabelle posò la frusta sul cassettone espinse Jace nel bagno con un cestinopieno di pomate, tamponi di garza ebende. Alec li osservò dalla portasemiaperta; Jace era appoggiato allavandino, mentre sua sorella adottivagli puliva i polsi e glieli avvolgevanella garza bianca. «Okay, adesso toglitila maglietta.»

«Lo sapevo che in qualche modo tene saresti approfittata.» Jace si tolse la

giacca e si sfilò la maglietta dalla testacon una smorfia. La pelle di un coloredorato pallido era tesa sui muscoli duri.Marchi tracciati con inchiostro nero siavvolgevano intorno alle braccia esili.Un mondano avrebbe anche potutopensare che le cicatrici bianche che glipunteggiavano la pelle, residui divecchie rune, lo rendessero menoperfetto, ma non Alec. Tutti loroavevano quelle cicatrici: erano segnionorifici, non difetti.

Vedendo Alec che lo guardava dallaporta semiaperta, Jace disse: «Alec,vuoi prendere il telefono?»

«È sul cassettone.» Isabelle non alzòlo sguardo. Lei e Jace parlavano a bassa

voce, Alec non poteva sentirli, maimmaginava che lo facessero per nonspaventare Max.

Alec guardò. «Sul cassettone nonc’è. »

Isabelle, tracciando un iratze sullaschiena di Jace, imprecò seccata.

«Oh, accidenti. L’ho lasciato incucina. Merda. Non voglio andarlo acercare, rischio di imbatterminell’Inquisitrice.»

«Ci vado io» si offrì Max. «A menon bada, sono troppo piccolo.»

«Già.» Isabelle sembrava restia. «Acosa vi serve il telefono, Alec?»

«Ci serve e basta» disse Alecimpaziente. «Izzy…»

«Se devi scrivere a Magnus “6 1skianto”, ti ammazzo.»

«Chi è Magnus?» chiese Max.«Uno stregone» rispose Alec.«Uno stregone sexy, molto sexy»

disse Isabelle a Max, ignorando losguardo furibondo del fratello.

«Ma gli stregoni sono cattivi»protestò il bambino con aria perplessa.

«Esatto» fece Isabelle.«Non capisco» disse Max. «Vabbè,

vado a prendere il telefono. Tornosubito.»

Scivolò fuori dalla porta, mentreJace si rimetteva giacca e maglietta etornava nella stanza, dove cominciò acercare armi tra le pile di cose di

Isabelle sparse sul pavimento. Isabellelo seguiva, scuotendo la testa. «E

adesso qual è il tuo piano? Andiamovia tutti? L’Inquisitrice darà fuori dimatto, quando scoprirà che te la seifilata.»

«Sì, ma non tanto quanto vedendosirespingere da Valentine.» Jace de-scrisse a grandi linee il pianodell’Inquisitrice. «Lui non accetterà mai.

Questo è l’unico problema.»«L’ unico problema?!» Isabelle era

talmente furiosa che balbettava quasi,cosa che non le accadeva da quandoaveva sei anni. «Lei non può farlo!

Non può cederti come se nientefosse a uno psicopatico! Sei un membro

del Conclave! Sei nostro fratello!»«L’Inquisitrice non la pensa così.»«Non m’importa quello che pensa. È

una stronza odiosa e bisogna fer-marla.»«Quando scoprirà che il suo piano è

andato a monte, potrebbe anche essereridotta al silenzio» osservò Jace. «Manon rimarrò qui per scoprirlo.

Voglio andarmene.»«Non sarà così facile» fece Alec.

«L’Inquisitrice ha blindato questo postomeglio di un pentagramma. Sai che cisono delle guardie, di sotto? Haconvocato mezzo Conclave.»

«Deve avere un’alta considerazionedi me» disse Jace buttando da parte unmucchio di riviste.

«Forse non si sbaglia.» Isabelle loguardò pensierosa. «Hai fatto davveroun salto di nove metri per uscire da unaConfigurazione Malachi? È vero,Alec?»

«Sì» confermò il fratello. «Non homai visto niente di simile.»

«E io non ho mai visto niente disimile a questo. » Jace prese da terra unpugnale lungo venticinque centimetri.Sulla punta acuminata era infilzato unodei reggiseni rosa di Isabelle, che lo tiròvia, imbronciata.

«Non è questo il punto. Come haifatto? Lo sai?»

«Ho saltato.» Jace tirò fuori da sottoil letto due dischi rotanti, taglienti come

rasoi. Erano coperti di peli grigi diChurch. Ci soffiò sopra, spargen-doli datutte le parti. « Chakram. Fantastico.Soprattutto se incontrerò dei demoni congravi allergie ai gatti.»

Isabelle lo frustò con il reggiseno.«Non mi stai rispondendo!»

«Perché non so che dire, Izzy.» Jacesi rimise in piedi. «Forse la Reginadella Corte Seelie aveva ragione. Forseho dei poteri di cui ignoro l’esistenzaperché non li ho mai provati. Clary li hasicuramente.»

Isabelle corrugò la fronte.«Davvero?»

Alec spalancò improvvisamente gliocchi. «Jace… quella tua moto da

vampiro è sempre sul tetto?»«Può darsi. Ma è giorno, perciò è

inservibile.»«E poi» osservò Isabelle «in tre non

ci stiamo.»Jace si fece scivolare i chakram

nella cintura insieme al pugnale lungoventicinque centimetri. Parecchie spadeangeliche finirono nelle tasche dellagiacca. «Non importa. Tanto voi nonvenite con me.»

Isabelle farfugliò. «Che vuol direche non…?» Fu interrotta da Max, diritorno tutto affannato, con in mano ilmalandato cellulare rosa della sorella.«Max, sei un eroe.» Gli prese iltelefono, lanciando un’occhiataccia a

Jace. «Sono da te tra un minuto. Intanto,chi chiamiamo? Clary?»

«La chiamo io…» cominciò Alec.«No.» Isabelle gli allontanò la mano

con un colpetto. «Le sto più simpaticaio.» Stava già facendo il numero. Tenevaaccostato il telefono all’orecchio, confuori la lingua. «Clary? Sono Isabelle.Io… Cosa?! » Il colore le defluì dalviso come se glielo avessero strofinatovia, lasciandola terrea e con gli occhisbarrati. «Com’è possibile? Maperché…»

«Com’è possibile cosa?» In due saltiJace le fu accanto. «Isabelle, cos’èsuccesso? Clary è…»

Isabelle allontanò il telefono

dall’orecchio, le nocche bianche.«Valentine. Ha rapito Simon e Maia. Liuserà per compiere il Rituale.»

Con un movimento fluido Jaceallungò il braccio e le strappò iltelefono di mano. Se lo portòall’orecchio. «Venite all’Istituto, ma nonentrate. A-spettatemi giù. Ci vediamofuori.» Chiuse di scatto il telefono e loporse ad Alec. «Chiama Magnus. Digliche ci vediamo a Brooklyn, sullungofiume.

Scelga lui il posto, purché siadeserto. Avremo bisogno del suo aiutoper arrivare alla nave di Valentine.»

«Avremo?» Isabelle si rianimòvisibilmente.

«Magnus, Luke e io» chiarì Jace.«Voi due rimarrete qui e vi occuperetedell’Inquisitrice. Quando Valentine nonle consegnerà quanto pattuito, toccherà avoi convincerla a mandargli contro tuttele forze del Conclave.»

«Non capisco» disse Alec. «Tantoper cominciare, come pensi di uscire diqui?»

Jace sorrise. «Guarda» disse, e saltòsul davanzale di Isabelle, che lanciò unurlo. Ma Jace stava già sgusciando fuoridalla finestra. Rimase per un attimo inequilibro sulla parte esterna deldavanzale… e poi scomparve.

Alec corse alla finestra e guardòfuori terrorizzato, ma non c’era niente da

vedere: solo il cortile dell’Istituto,molto più sotto, marrone e vuoto, e lostretto sentiero che conduceva alla portad’ingresso. Sulla 96th Street non c’eranopedoni vocianti né macchine cheavessero accostato alla vista di un corpoche precipitava. Era come se Jace fossesvanito nel nulla.

Fu svegliato dal rumore dell’acqua.Era un rumore ripetitivo, acqua chesciabordava contro qualcosa di solido,in continuazione, come se lui fosse stesoin fondo a una piscina che si svuotasse esi riempisse rapidamente. Si sentiva inbocca sapore di metallo e ne percepival’odore tutt’intorno. Era consapevole diun dolore persistente, assillante, alla

mano sinistra. Con un gemito, Simonaprì gli occhi.

Giaceva su un pavimento metallicoduro e bitorzoluto di un brutto coloregrigio-verde. Le pareti erano dellostesso metallo e colore. C’era un unicooblò, a una parete, in alto, dalla qualeentrava un lieve chiarore. Simon erastato disteso con la mano in una pozza diluce e quindi aveva le dita rosse ericoperte di vesciche. Con un altrogemito, rotolò via dalla luce e si sedette.

E si rese conto di non essere solo.Nonostante la fitta ombra, ci vedevabene al buio. Dall’altra parte dellastanza, le mani legate e incatenate a ungrosso tubo del riscaldamento, c’era

Maia. Aveva i vestiti strappati e ungrosso livido sulla guancia sinistra.Simon vide che da un lato della testa leerano state strappate le trecce e aveva icapelli macchiati di sangue. Nell’istantein cui si mise a sedere, la ragazza lofissò e scoppiò immediatamente inlacrime. «Pensavo» disse tra i singhiozzi«che fossi… morto.»

«Ma io sono morto» ribatté Simon.Si stava fissando la mano. Mentre laguardava, le vesciche sbiadirono, ildolore diminuì, la pelle riacquistò ilconsueto pallore.

«Lo so, ma intendevo… mortodavvero.» Maia si ripulì la faccia con lemani legate. Simon cercò di muoversi

verso di lei, ma qualcosa lo trattenne.Intorno alla caviglia aveva delle manettefissate a una robusta catena conficcatanel pavimento. Evidentemente Valentinenon voleva correre rischi.

«Non piangere» disse, ma se nepentì subito. Non si poteva certosostenere che la situazione nongiustificasse le lacrime. «Sto bene.»

«Per ora» fece Maia strofinandosicon la manica il viso bagnato.

«Quell’uomo, quello coi capellibianchi, si chiama Valentine?»

«L’hai visto?» chiese Simon. «Io nonho visto niente. Solo la porta di ca-sache si spalancava e una forma grande egrossa che mi si scagliava contro come

un treno merci.»«È quel Valentine, vero? Quello di

cui parlano tutti. Quello che ha dato ilvia alla Rivolta.»

«È il padre di Jace e Clary» disseSimon. «Questo è quanto so sul suoconto.»

«La sua voce mi era familiare. Èuguale a quella di Jace.» Per un istanteparve rattristata. «Non c’è da stupirsiche sia un tale fico.»

Simon non poté che concordare.«Perciò tu non…» La voce di Maia

si spense. Ci riprovò. «Sentì, lo so che tisembrerà strano, ma quando Valentine èvenuto a prenderti, c’era forse con luiqualcuno che hai riconosciuto, qualcuno

che è morto? Come un fantasma?»Simon scosse la testa, perplesso.

«No. Perché?»Maia esitò. «Ho visto mio fratello. Il

fantasma di mio fratello. Penso cheValentine mi abbia provocato delleallucinazioni.»

«Be’, su di me non ha fatto niente delgenere. Stavo parlando con Clary altelefono. Ricordo di averlo lasciatocadere quando quella cosa mi è venutaaddosso…» Scrollò le spalle. «È tutto.»

«Con Clary?» Maia sembrò sfioratada un filo di speranza. «Allora forsescopriranno dove siamo. Forse verrannoa cercarci.»

«Forse» ripeté Simon. «Ma dove

siamo?»«Su una nave. Ero ancora cosciente,

quando Valentine mi ha portato qui.È un grosso affare massiccio di

metallo nero. È senza luci e pieno di…co-se. Una mi è saltata addosso e hocominciato a gridare. È stato allora cheValentine mi ha afferrato per la testa eme l’ha sbattuta contro la parete.

Sono rimasta svenuta per un po’.»«Cose? Che intendi con cose?»«Demoni» rispose Maia

rabbrividendo. «Qui ne ha per tutti igusti.

Grandi, piccoli, volanti… Eseguonotutti i suoi ordini.»

«Ma Valentine è un Cacciatore. E da

quello che so, lui odia i demoni.»«Be’, a quanto pare loro non lo

sanno» disse Maia. «Quello che noncapisco è che cosa vuole da noi. So cheodia i Nascosti, ma questo mi sembra unimpegno eccessivo solo per ammazzarnedue.» Aveva cominciato a tremare, lemandibole le battevano come i “dentichiacchierini” che si trovano nei negozidi curiosità. «Probabilmente vuolequalcosa dai Cacciatori. O da Luke.»

Io lo so cosa vuole, pensò Simon,ma era inutile dirglielo; era giàabbastanza sconvolta. Si fece scivolaredi dosso la giacca. «Tieni» disse, egliela gettò attraverso la stanza.

Armeggiando con le manette, Maia

riuscì ad avvolgersela goffamenteintorno alle spalle. Gli offrì un sorrisodebole ma pieno di riconoscenza.

«Grazie. Ma tu non hai freddo?»Simon scosse la testa. La bruciatura

alla mano era ormai completamentesparita. «Non sento il freddo. Non più.»

Lei aprì la bocca, poi la richiuse.Dietro i suoi occhi era in corso unabattaglia. «Scusami. Per come ho reagitoieri.» Rimase in silenzio, quasitrattenendo il fiato. «I vampiri mispaventano a morte» sussurrò infine.«Appena arrivata in città, frequentavouna compagnia… Bat e altri due ragazzi,Steve e Georg. Una volta, in un parco, cisiamo imbattuti in un gruppetto di

vampiri che succhiavano sacche disangue sotto un ponte… Ci fu unoscontro, e la cosa che mi è rimasta piùimpressa è che uno dei vampiri preseGeorg come se niente fosse, lo sollevòsu e lo squarciò in due…» La sua vocesalì, le mani si sollevarono alla bocca.Tremava. «In due» sussurrò.

«Tutte le viscere caddero fuori. Epoi tutti cominciarono a mangiarlo.»

Simon si sentì assalire da una sordafitta di disgusto. Fu quasi contento che lastoria gli facesse venire la nausea,piuttosto che qualcos’altro. Tipol’appetito. «Io non farei mai una cosadel genere» disse. «Mi piacciono i lupimannari. Mi piace Luke…»

«Lo so.» La bocca di Maia sicontrasse. «È solo che quando ti hoincontrato sembravi così umano. Miricordavi quello che ero prima.»

«Maia» disse Simon. «Tu sei ancoraumana.»

«No, non lo sono.»«Lo sei nelle cose che contano.

Proprio come me.»Maia cercò di sorridere. Simon

capiva che lei non gli credeva, ma gliriusciva difficile biasimarla. Neanchelui, del resto, era sicuro di credere a sestesso.

Il cielo si era fatto plumbeo, gravidodi nubi gonfie. L’Istituto incombevanella luce grigia, enorme come il fianco

di una montagna. Il tetto spiovente diardesia scintillava come argentoappannato. A Clary parve di vederedelle figure incappucciate muoversiaccanto alla porta d’ingresso, ma non neera sicura. Era difficile distinguerequalcosa con chiarezza, guardando daifinestrini sudici del pick-up, a più di unisolato di distanza.

«Da quant’è che siamo qui?» chieseper la quarta o la quinta volta.

«Da cinque minuti in più rispettoall’ultima volta che me l’hai chiesto»

rispose Luke. Era appoggiato alloschienale del sedile, la testa reclinataall’indietro, l’aria sfatta. La barba cortae ispida che gli ricopriva le mascel-le e

le guance era brizzolata, gli occhi eranocerchiati di nero. Tutte quelle notti inospedale, l’attacco del demone, e oraquesto, pensò Clary, a un trattopreoccupata. Capiva perché lui e suamadre si fossero tenuti alla larga tanto alungo da quella vita. Le sarebbe piaciutofare altrettanto. «Vuoi entrare?»

«No. Jace ha detto di aspettarefuori.» Clary sbirciò di nuovo dalfinestrino. Adesso era sicura di vederedelle figure davanti all’ingresso.Quando una di esse si girò, le parve discorgere un lampo di capelli biondi…

«Guarda.» Ora Luke era seduto bendiritto e apriva svelto il finestrino.

Clary guardò. Le sembrava tutto

come prima. «Vuoi dire la genteall’entrata?»

«No. Le guardie erano già lì. Guardasul tetto.» Glielo indicò.

Clary premette il viso contro ilfinestrino. Il tetto di ardesia dellacattedrale era un tripudio di torrette eguglie, archi e angeli scolpiti. Stava perdire irritata che non notava altro chequalche doccione fatiscente, quandocolse un movimento fulmineo. C’eraqualcuno sul tetto. Una figura sottile,scura, che si muoveva svelta tra letorrette sfrecciando da una sporgenzaall’altra, e ora si buttava a pancia sottoper scendere adagio dal tettoincredibilmente ripido… qualcuno dai

capelli chiari che luccicavano comeottone nella luce plumbea…

Jace.Prima di capire cosa stesse facendo,

Clary si ritrovò fuori dal pick-up e siprecipitò verso la chiesa, mentre Luke legridava dietro. L’enorme edifi-ciosembrava ondeggiare sopra la sua testa,alto decine di metri come una ripidascogliera di pietra. Ora Jace erasull’orlo del tetto e guardava giù, eClary pensò: Non può essere, non lofarebbe, lui non lo farebbe, non Jace,

poi Jace saltò nel vuoto, tranquillocome se saltasse da una veranda. Clarylanciò un urlo nel vederlo piombare giùcome un sasso…

… e poi atterrare leggiadramente inpiedi proprio davanti a lei. Lo fissò abocca aperta mentre si raddrizzava dallaposizione accucciata e le sorrideva. «Seti dicessi che morivo dalla voglia di fareun salto da te, diresti che la mia battuta ètroppo banale?»

«Come… come hai… come haifatto?» sussurrò Clary sentendosi sulpunto di vomitare. Vedeva Luke fuori dalpick-up, le mani unite dietro la testa e losguardo fisso oltre lei. Si girò e scorsele due guardie all’entrata correre versodi loro. Una era Malik, l’altra la donnadai capelli argentei.

«Merda.» Jace la prese per mano ese la trascinò dietro. Corsero verso il

pick-up e si buttarono dentro accanto aLuke, che diede gas e partì a razzo conla portiera del passeggero ancora aperta.Jace allungò il braccio davanti a Clary ela chiuse con uno strattone. Il veicologirò intorno ai due Cacciatori… Claryvide che Malik stava per lanciare unaspecie di coltello. Mi-rava a unagomma. Sentì Jace imprecare, mentre sifrugava nella giacca in cerca diun’arma… Malik sollevò il braccio,facendo scintillare la lama…

ma la donna dai capelli argentei loattaccò alle spalle afferrandogli ilbraccio. Lui cercò di scrollarsela didosso, mentre Clary si rigirava sulsedile senza fiato, poi il pick-up

sfrecciò intorno all’angolo e scomparvenel traffico di York Avenue, mentredietro di loro l’Istituto rimpicciolivasempre più.

Maia era scivolata in un sonnoagitato contro il tubo del riscaldamento,la giacca di Simon avvolta intorno allespalle. Simon guardava la luce chepenetrava dall’oblò muoversi per lastanza, cercando invano di calcolare cheora fosse. Di solito la controllava sulcellulare, ma era sparito. Gli era cadutoquando Valentine aveva fatto irruzionenella sua stanza.

Ma adesso aveva preoccupazionipiù serie. Aveva la bocca secca erasposa, la gola dolorante. Aveva una

sete che era come tutta la sete e la fa-meche avesse mai provato, mescolate aformare una sorta di raffinata tortura. Enon poteva che peggiorare.

Era di sangue che aveva bisogno.Pensò al sangue nel frigorifero accantoal suo letto, a casa, e le vene glibruciarono come fili d’argento bollenteche correvano sotto la pelle.

«Simon?» Era Maia, che stavasollevando stordita la testa. Era stataappoggiata al tubo bitorzoluto, che leaveva lasciato sulla guancia piccoleimpronte bianche. Mentre la guardava, ilbianco trascolorò in rosa con ilriaffluire del sangue alla guancia.

Sangue. Simon si passò la lingua

secca sulle labbra. «Sì?»«Quanto ho dormito?»«Tre ore. Forse quattro. Ormai deve

essere pomeriggio.»«Oh. Grazie per aver fatto la

guardia.»In realtà Simon non l’aveva fatta. Si

sentì vagamente vergognoso nel di-re:«Naturalmente. Non c’è problema.»

«Simon…»«Sì?»«Spero che tu capisca che cosa

intendo quando dico che mi spiace chetu sia qui e anche che sono contenta.»

Simon sentì la faccia creparsi in unsorriso. Il labbro inferiore secco sispaccò e lui avvertì in bocca il sapore

del sangue. Gli brontolò lo stomaco.«Grazie.»Maia si chinò verso di lui e la

giacca le scivolò dalle spalle. Aveva gliocchi di un grigio ambrato checambiavano sfumatura quando simuoveva.

«Arrivi a toccarmi?» chieseallungando la mano.

Simon allungò il braccio. Lo tese piùche poté, facendo tintinnare la catenache gli fissava la caviglia a terra. Maiasorrise quando le punte delle loro dita sisfiorarono…

«Davvero commovente.» Simonritirò bruscamente la mano, spalancan-do gli occhi. La voce che aveva parlato

dall’ombra era fredda, raffinata evagamente straniera, ma Simon nonseppe collocarla con precisione. Maialasciò cadere la mano e si girò. Ilcolorito le defluì dal viso quando fissòl’uomo sulla soglia. Era entrato talmentepiano che nessuno dei due l’avevasentito. «I figli della Luna e della Notteche vanno finalmente d’amore ed’accordo.»

«Valentine» mormorò Maia.Simon rimase in silenzio. Non

riusciva a staccargli gli occhi di dosso.Dunque era questo il padre di Clary

e Jace. Con il suo baschetto di capellibianchi e gli ardenti occhi scuri nonassomigliava granché a nessuno dei due,

sebbene ci fosse qualcosa di Clary nellastruttura ossea spigolosa del volto enella forma degli occhi e qualcosa diJace nell’insolenza indolente con cui simuoveva. Era un uomo grosso, con lespalle larghe e una corporatura robustache non assomigliava a quella dinessuno dei suoi figli. Avanzò nellastanza rivestita di metallo verde a passifelpati, come un gatto, sebbene fosseappesantito da quelle che sembravanoarmi sufficienti a e-quipaggiare un interoplotone. Intorno al petto aveva spessecinghie di cuoio nero con fibbieargentate che gli fissavano alla schienauna spada d’argento dalla larga elsa.Un’altra robusta cinghia gli circondava

la vita: vi era infilato un assortimento,degno di un macellaio, di coltelli,pugnali e lame scintillanti simili agrandi aghi.

«Alzati» disse a Simon. «Tieni laschiena contro la parete.»

Simon alzò il mento. Vide che Maialo guardava, pallida e spaventata, e sisentì invadere da un violento impulsoprotettivo. Avrebbe impedito a Valentinedi farle del male, fosse stata l’ultimacosa che faceva. «E così tu sei il padredi Clary» disse. «Senza offesa, ma oracapisco perché ti odia.»

Il viso di Valentine era impassibile,quasi immobile. Le sue labbra simossero appena quando disse:

«Perché?»«Perché» rispose Simon «sei

chiaramente uno psicopatico.»Adesso Valentine sorrideva. Era un

sorriso che non muoveva nessun’altraparte del viso, oltre alle labbra, e anchequelle si contrassero solo lievemente.Poi alzò il pugno. Era serrato: per unmomento Simon pensò che lo avrebbecolpito. Ma Valentine non gli sferrò unpugno. Invece aprì le dita, rivelando alcentro del palmo un mucchietto di unasostanza luccicante simile a glitter.Girandosi verso Maia inclinò la testa esoffiò la polvere verso di lei, nellagrottesca parodia di chi lancia un bacio.La polvere le si depositò sopra come

uno sciame di api scintillanti.Maia gridò. Ansimando e

dibattendosi selvaggiamente, si muovevada una parte e dall’altra come se potessesgusciare via dalla polvere, mentre lasua voce saliva in un gridosinghiozzante.

«Che cosa le hai fatto?» urlò Simonbalzando in piedi. Corse controValentine, ma la catena fissata allagamba lo trattenne bruscamente. « Checo-sa hai fatto? »

Il sottile sorriso di Valentine siallargò. «Polvere d’argento» rispose.

«Brucia i licantropi.»Maia aveva smesso di contorcersi e

si era raggomitolata in posizione fe-tale

sul pavimento, piangendo piano. Ilsangue le scorreva da brutti graffi rossisulle mani e sulle braccia. Simon si sentìdi nuovo lo stomaco sottosopra ericadde contro la parete, nauseato da sestesso e da tutto. «Bastardo» disse,mentre Valentine spazzolava viapigramente i residui di polvere dalledita. «È solo una ragazza, non ti avrebbefatto alcun male, è incatena-ta, per…»

Si sentì soffocare, la gola in fiamme.Valentine rise. «Per l’amor di Dio?»

chiese. «È questo che stavi per di-re?»Simon tacque. Valentine allungò una

mano al di sopra della spalla ed estrassedal fodero la pesante Spada d’argento.La luce giocò lungo la lama come acqua

che scivola lungo una parete d’argento,come un raggio di sole riflesso. Simondistolse il viso con gli occhi che glibruciavano.

«La Spada dell’Angelo ti brucia,proprio come il nome di Dio ti soffoca»

disse Valentine, la voce gelida etagliente come cristallo. «Dicono chequelli che muoiono trafitti dalla suapunta raggiungano le porte del paradiso.Nel qual caso, morto vivente, ti stofacendo un favore.» Abbassò la la-ma,in modo da toccare con la punta la goladi Simon. Gli occhi di Valentineavevano il colore dell’acqua sporca e inessi non c’era nulla: nessuna rabbia,nessuna compassione, e neppure odio.

Erano vuoti come una tomba appenascavata. «Ultime parole?»

Simon sapeva cosa avrebbe dovutodire. Shema Israel, Adonai elohenu,Adonai ehad. Ascolta, Israele, ilSignore è il nostro Dio, il Signore èUno.

Cercò di pronunciare le parole, maaveva la gola in fiamme. « Clary»sussurrò invece.

Un’espressione seccata attraversò ilviso di Valentine, come se il suono delnome della figlia in bocca a un vampirolo irritasse. Con un rapido guizzo delpolso sollevò la spada e con un unicomovimento fluido squarciò la gola aSimon.

Capitolo 17A ORIENTE DELL’EDEN«Ma come hai fatto?» chiese Clary

mentre il pick-up correva verso Uptowncon Luke al volante.

«Vuoi dire come ho fatto a salire sultetto?» Jace era reclinato sul sedile, gliocchi semichiusi. Aveva delle bendebianche legate ai polsi e macchie disangue secco sull’attaccatura deicapelli. «Per prima cosa mi sono ar-rampicato fuori dalla finestra di Isabellee su per il muro. Ci sono parecchidoccioni ornamentali che fornisconobuoni appigli. Fra l’altro, vorrei farnotare che la mia moto non è più dovel’ho lasciata. Scommetto che

l’Inquisitrice l’ha presa per farsi un giroa Hoboken.»

« Volevo dire» ribatté Clary «comehai fatto a saltare dal tetto dellacattedrale e a non morire?»

«Non lo so.» Alzando le mani perstrofinarsi gli occhi, Jace le sfiorò unbraccio. «Tu come hai fatto a crearequella runa?»

«Non lo so neanch’io» sussurrò. «LaRegina della Corte Seelie avevaragione, vero? Valentine… lui ci ha fattosul serio qualcosa.» Lanciò un’occhiataa Luke, che fingeva di essere tuttoconcentrato a svoltare a sinistra.

«Non è vero?»«Ora non è il momento di parlarne»

rispose Luke. «Jace, avevi in mente unameta particolare o volevi soloallontanarti dall’Istituto?»

«Valentine ha portato Maia e Simonsulla barca per compiere il Rituale.

Vorrà eseguirlo al più presto.» Jacetirò una delle bende che aveva al polso.«Devo andare là e fermarlo.»

«No» disse bruscamente Luke.«Okay, dobbiamo andare là e

fermarlo.»«Jace, non voglio che torni su quella

nave. È troppo pericoloso.»«Hai visto che cosa ho appena fatto»

disse Jace «e sei preoccupato per me?»«Sì, sono preoccupato per te.»«Non c’è tempo per questo. Una

volta uccisi i vostri amici, mio padreriunirà un esercito di demoni che nonpotete neanche immaginare. Dopo,

sarà inarrestabile.»«Allora il Conclave…»«L’Inquisitrice non farà nulla» disse

Jace. «Ha impedito l’accesso deiLightwood al Conclave. Non ha volutochiamare rinforzi, neanche quando le hodetto che cosa ha in mente Valentine. Èossessionata dal suo stupido piano.»

«Quale piano?» domandò Clary.La voce di Jace era amara. «Voleva

cedermi a Valentine in cambio degliStrumenti Mortali. Le ho detto che luinon avrebbe mai accettato, ma non mi hacreduto.» Rise, una risata stridula, a

scatti. «Isabelle e Alec le diran-no checosa sta succedendo a Simon e Maia.Ma non sono troppo ottimista.

Non mi crede, riguardo a Valentine,e non butterà all’aria il suo preziosopiano solo per salvare un paio diNascosti.»

«Comunque non possiamo staresemplicemente ad aspettare loro notizie»disse Clary. «Dobbiamo raggiungereimmediatamente la nave. Luke, se tupotessi portarci là…»

«Mi dispiace darti questa bruttanotizia, ma per arrivare a una barca ciserve un’altra barca» annunciò Luke.«Credo che neanche Jace sia in grado dicamminare sulle acque.»

In quel momento il telefono di Clarysquillò. Era un messaggio di Isabelle.Clary si accigliò. «È un indirizzo. Sullungofiume.»

Jace guardò al di sopra della suaspalla. «È dove dobbiamo incontrareMagnus.» Lesse l’indirizzo a Luke, cheeseguì una brusca inversione a U e sidiresse a sud. «Magnus ci trasporteràsull’acqua» spiegò Jace. «La nave èprotetta da incantesimi difensivi. Io cisono salito perché mio padre voleva chelo facessi. Ma questa volta avremobisogno di Magnus per affrontare leprotezioni.»

«Non mi piace.» Luke tamburellò sulvolante. «Dovrei andare io e voi due

dovreste rimanere con Magnus.»Gli occhi di Jace balenarono. «No,

devo andarci io.»«Perché?» chiese Clary.«Perché Valentine si serve di un

demone della paura» spiegò Jace. «Ècosì che è riuscito a uccidere i

Fratelli Silenti. E ad ammazzare lostregone, il lupo mannaro nel vicolofuori dall’Hunter’s Moon eprobabilmente anche il piccolo elfo nelparco. Ed è per questo che i Fratelliavevano quelle espressioni sul viso.Quelle espressioni terrorizzate. Sonoletteralmente morti di paura.»

«Ma il sangue…»«Li ha dissanguati dopo. E nel

vicolo è stato interrotto da un licantropo.Per questo non ha avuto abbastanza

tempo per procurarsi il sangue che gliserviva. Ed è per questo che ha ancorabisogno di Maia.» Jace si passò la manotra i capelli. «Nessuno può resistere a undemone della paura. Ti entra nella testae ti distrugge la mente.»

«Agramon» disse Luke. Era rimastoin silenzio, lo sguardo fisso sulparabrezza. Aveva il viso grigio e tirato.

«Sì, è così che l’ha chiamatoValentine.»

«Non è un demone della paura. È ildemone della paura. Il Demone delTerrore. Com’è riuscito Valentine aindurre Agramon a eseguire i suoi

ordini? Perfino uno stregone avrebbedifficoltà ad assoggettare un DemoneSuperiore, e fuori dal pentagrammapoi…» Luke rimase senza fiato. «È co-sìche è morto il giovane stregone, no?Evocando Agramon?»

Jace fece di sì con la testa, e glispiegò come Valentine aveva ingannatoElias. «La Coppa Mortale» terminò «glipermette di controllare Agramon.

A quanto pare dà un certo potere suidemoni. Non come la Spada, però.»

«Adesso sono ancora menopropenso a lasciarti andare» disse Luke.«È

un Demone Superiore, Jace. Civorrebbero tanti Cacciatori quanti gli

abitanti di questa città per affrontarlo.»«Lo so che è un Demone Superiore.

Ma la sua arma è la paura. Se Clary è ingrado di tracciarmi una runa Antipaura,posso sconfiggerlo. O almeno provarci.»

«No!» protestò Clary. «Non voglioche la tua sicurezza dipenda dalla miastupida runa. E se non funziona?»

«Ha già funzionato» disse Jacementre uscivano dal ponte e sidirigevano a Brooklyn. Stavanopercorrendo la stretta Van Buren Street,tra alte fabbriche in mattoni le cuifinestre e porte, serrate da assi elucchetti, non lasciavano trapelare nulladi quanto si trovava al loro interno. Infondo alla strada, il lungofiume

scintillava tra gli edifici.«E se questa volta mi sbaglio?»Jace girò la testa verso di lei e per

un istante i loro occhi si incontrarono.Quelli di Jace avevano il colore

dorato della luce del sole in lontananza.«Non succederà» disse.«Sei sicura che sia questo

l’indirizzo?» chiese Luke frenandogradual-mente il pick-up. «Magnus nonc’è.»

Clary si guardò intorno. Si eranofermati davanti a una grande fabbricache sembrava essere stata distrutta da unterribile incendio. I muri di mattonistavano ancora in piedi, ma spuntavanoqua e là travature metalliche incurvate e

bruciacchiate. In lontananza Claryvedeva il distretto finanziario di LowerManhattan e la prominenza nera diGovernors Island, al largo.

«Verrà» disse. «Se ha detto ad Alecche sarebbe venuto, verrà.»

Scesero dal pick-up. Sebbene lastrada fosse fiancheggiata da altrefabbriche, il posto era tranquillo, tantopiù che era domenica. Non c’eraun’anima, in giro, e neppure i rumoritipici dei quartieri commerciali - camionin retromarcia, uomini che urlano - cheClary associava alle zone dei magazzini.Al loro posto c’erano silenzio, unagelida brezza che spirava dal fiume e legrida dei gabbiani. Clary si mise il

cappuccio, tirò su la zip della giacca erabbrividì.

Luke chiuse la portiera del pick-up ela cerniera della sua giacca di flanella.In silenzio, porse a Clary un paio diguanti di lana. Lei se li infilò e mosse ledita. Le stavano così grandi che lesembrava di indossare delle zampe. Siguardò intorno. «Un momento… dov’èJace?»

Luke glielo indicò. Era inginocchiatosulla riva, una sagoma scura dai capellibiondi, unica macchia di colore contro ilcielo grigio-azzurro e il fiume scuro.

«Pensi che voglia stare da solo?» glichiese.

«In questa situazione, stare da soli è

un lusso che nessuno di noi puòpermettersi. Vieni.» Luke si avviò agrandi passi lungo il vialetto d’accesso,seguito da Clary. La fabbrica si spingevaquasi fino all’acqua ed era fiancheggiatada una spiaggia ghiaiosa. Basse ondelambivano i sassi cosparsi di alghe.C’erano delle pietre disposterozzamente intorno a una buca nera doveuna volta aveva bruciato un fuoco. Ilposto era disseminato di lattinearrugginite e bottiglie. Jace stava sullariva, senza giacca. Mentre Clary loosservava, lanciò in acqua un oggettopiccolo e bianco, che colpì la superficiesollevando qualche schizzo escomparve.

«Che cosa fai?» gli chiese.Jace rivolse loro il viso sferzato dai

capelli biondi mossi dal vento.«Mando un messaggio.»Al di sopra della sua spalla, a Clary

parve di vedere un viticcio scintillante,come un pezzo di alga animato,emergere dall’acqua grigia del fiumestringendo qualcosa di bianco. Un attimodopo svanì, e Clary rimase lì sbattendogli occhi.

«Un messaggio a chi?»Jace aggrottò la fronte. «A nessuno.»

Girò le spalle all’acqua e attraversò laspiaggia di ciottoli diretto al punto in cuiaveva steso la giacca. Vi erano posatetre lunghe spade. Quando si voltò, Clary

vide anche dei dischetti taglienti infilatinella sua cintura.

Jace passò le dita sulle tre lame…erano piatte, tra il bianco e il grigio, inattesa di essere nominate. «Non sonoriuscito a passare in armeria, perciòabbiamo solo queste armi adisposizione. Tanto vale prepararsicome meglio possiamo, mentreaspettiamo Magnus.» Sollevò la primalama. « Abrariel. » Non appena vennenominata, la spada angelica scintillò ecambiò colore. Jace la porse a Luke.

«Io sono già a posto» disse questi, eaprì la giacca per mostrare il kindjal, ilpugnale a doppio taglio che portavainfilato nella cintura.

Jace porse Abrariel a Clary, cheprese l’arma in silenzio. La sentivacalda tra le mani, come se al suo internovibrasse una vita segreta.

« Camael» disse Jace alla spadasuccessiva, facendola tremare erisplendere. « Telantes» disse alla terza.

«Usate mai il nome Raziel?» chieseClary mentre Jace si infilava le spadenella cintura e si rimetteva la giacca,alzandosi in piedi.

«Mai» rispose Luke. «Non si fa.» Ilsuo sguardo scrutava la strada allespalle di Clary in cerca di Magnus. Leipercepiva la sua ansia, ma, prima chepotesse dire qualcos’altro, le squillò iltelefono. Lo aprì e lo porse a Ja-ce

senza dire una parola. Lui lesse ilmessaggio inarcando le sopracciglia.

«Pare che l’Inquisitrice abbia datotempo a Valentine fino al tramonto perdecidere se tiene di più a me o agliStrumenti Mortali» disse. «Lei e Marysehanno discusso per ore, per questo nonsi è ancora accorta che me la sonofilata.»

Restituì il cellulare a Clary. Le lorodita si sfiorarono, nonostante lo spessoguanto di lana che le ricopriva la pelle,e Clary ritrasse la mano.

Vide un’ombra passare suilineamenti di Jace, che però non dissenulla. Invece si rivolse a Luke e chiesein tono sorprendentemente brusco: «Il

figlio dell’Inquisitrice è morto? È perquesto che lei è così?»

Luke sospirò e si ficcò le mani nelletasche della giacca. «Come l’haicapito?»

«Dal modo in cui reagisce quandoqualcuno pronuncia il suo nome. So-nostate le sole volte in cui l’ho vistamanifestare dei sentimenti umani.»

Luke fece un sospiro. Si era spintosu gli occhiali e aveva gli occhisocchiusi per ripararli dal ventopungente che soffiava dal fiume.«L’Inquisitrice è così com’è per molteragioni. Stephen è solo una di queste.»

«Strano» disse Jace. «Non ha l’ariadi una a cui piacciono molto i ragazzi.»

«Non quelli degli altri» spiegò Luke.«Ma con il suo era diverso. Stephen eraun ragazzo d’oro per lei. Anzi, lo era pertutti… per tutti quelli che loconoscevano. Era una di quelle personeche sono brave in tutto, sempre carinosenza essere lezioso, bello senzaattirarsi l’antipatia di nessuno. Be’,forse noi lo trovavamo un po’antipatico.»

«Veniva a scuola con voi?» chieseClary. «E con mia madre… e Valentine?Per questo lo conosci?»

«Gli Herondale avevano il compitodi dirigere l’Istituto di Londra e Stephenandava a scuola là. Lo frequentaisoprattutto dopo che ci fummo

diplomati, quando si era trasferito dinuovo ad Alicante. E ci fu un periodo incui lo vedevo molto spesso.» Gli occhidi Luke erano diventati assenti, dellostesso grigio-azzurro del fiume. «Dopoche si era sposato.»

«Dunque era nel Circolo?» chieseClary.

«Non allora» disse Luke. «Entrò nelCircolo dopo che io… be’, dopo quelloche mi successe. Valentine avevabisogno di un secondo, nel comando, escelse Stephen. Imogen, che erafedelissima al Conclave, divenneisterica, supplicò il figlio di ripensarci,ma lui non le diede retta. Non volevaneanche parlarle, né a lei né a suo padre.

Era completamente asser-vito aValentine. Lo seguiva ovunque comeun’ombra.» Luke rimase un istante insilenzio. «Fatto sta che Valentinepensava che la moglie di Stephen,Amatis, non fosse adatta a lui, a uno cheera destinato a diventare il secondo nelcomando del Circolo. Aveva legamifamiliari… indesiderabili.» Il dolorenella voce di Luke sorprese Clary.Teneva così tanto a quelle persone?«Valentine costrinse Stephen adivorziare da Amatis e a risposar-si…La seconda moglie era una ragazzamolto giovane, di diciotto anni, Céline.Anche lei era completamente in balia diValentine, faceva tutto quello che le

diceva, per bizzarro che fosse. PoiStephen rimase ucciso duranteun’incursione del Circolo in un covo divampiri. Quando lo seppe, Céline sisuicidò. Al tempo era incinta di ottomesi. E morì anche il padre di Stephen,di crepacuore. Perciò tutta la famiglia diImogen scomparve.

Non poté neppure seppellire leceneri della nuora e del nipote nellaCittà di Ossa, perché Céline s’erasuicidata. Fu sepolta presso un incrocio,nei pressi di Alicante. Imogensopravvisse ma… divenne di ghiaccio.Quando il vecchio Inquisitore fu uccisodurante la Rivolta, le fu offerta la suacarica.

Tornò a Idris da Londra… Da quantone so, non ha mai più parlato di Stephen.Questo però spiega perché odia tantoValentine.»

«Perché mio padre avvelena tuttoquello che tocca?» chiese amaramenteJace.

«Perché tuo padre,indipendentemente da tutte le sue colpe,ha ancora un figlio, e lei no. E perché leilo incolpa della morte di Stephen.»

«E ha ragione» disse Jace. «È statacolpa sua.»

«Non proprio» ribatté Luke. «Luioffrì a Stephen la possibilità discegliere. E lui scelse. Valentine si èmacchiato di molte colpe, ma non ha mai

costretto nessuno a entrare nel Circolocon il ricatto o la minaccia. Volevaseguaci convinti. La responsabilità dellescelte di Stephen è tutta sua.»

«Libero arbitrio» disse Clary.«Non c’è nulla di libero, in tutto

questo» protestò Jace. «Valentine…»«Ti ha offerto una possibilità, no?»

domandò Luke. «Quando sei andato dalui. Voleva che tu rimanessi, vero? Cherimanessi e ti unissi a lui?»

«Sì.» Jace spinse lo sguardo versoGovernors Island. «È così.» Claryvedeva il fiume riflesso nei suoi occhi:erano del colore dell’acciaio, come sel’acqua grigia ne avesse sommersol’oro.

«E tu hai detto di no» disse Luke.Jace lanciò un’occhiata di fuoco.

«Vorrei tutti voi che la piantaste di in-dovinarlo. Mi fate sentire prevedibile.»

Luke distolse lo sguardo come pernascondere un sorriso e per un po’

rimase in silenzio. «Arrivaqualcuno.»

In effetti stava arrivando un tipomolto alto con la chioma nera mossa dalvento. «Magnus» disse Clary. «Masembra… diverso.»

Mentre si avvicinava, Clary vide chei capelli, di solito irrigiditi in una crestae cosparsi di glitter come una sfera dadiscoteca, erano pettinati ordinatamenteai lati delle orecchie come fogli di seta

nera. I pantaloni di cuoio arcobalenoerano stati rimpiazzati da un sobriovestito nero vecchio stile e da unaredingote nera con scintillanti bottonid’argento. I suoi occhi da gattomandavano bagliori ambrati e verdi.«Sembrate sorpresi di vedermi» disse.

Jace diede un’occhiata all’orologio.«Ci chiedevamo se saresti venuto.»

«Ho detto che sarei venuto, perciòl’ho fatto. Mi serviva solo un po’ ditempo per prepararmi. Qui non si trattadi fare giochetti col cilindro daprestigiatore, Cacciatore. Ci vorrà dellamagia seria.» Si rivolse a Luke.

«Come va il braccio?»«Bene, grazie.» Luke sapeva essere

educato.«È tuo il pick-up parcheggiato

accanto alla fabbrica, vero?» Magnus loindicò. «È terribilmente macho, per unlibraio.»

«Oh, non saprei» buttò lì Luke. «Contutto quel trasportare pesanti casse dilibri, arrampicarsi sugli scaffali, metterevolumi in ordine alfabetico…»

Magnus si mise a ridere. «Tidispiace aprirmi il pick-up? Voglio dire,potrei farlo da solo» mosse le dita «mami sembra scortese.»

«Certo» disse Luke facendospallucce e avviandosi con Magnusverso la fabbrica. Quando Claryaccennò a seguirli, però, Jace la prese

per il braccio. «Aspetta. Voglio parlartiun secondo.»

Clary guardò Magnus e Luke che siavviavano al pick-up. Formavano unastrana coppia, l’alto stregone con lalunga redingote nera e l’uomo, più bassoe tarchiato, in jeans e giacca di flanella,ma erano entrambi Nascosti, entrambiintrappolati nello stesso spazio tral’universo mondano e il so-prannaturale.

«Clary» fece Jace. «Terra chiamaClary. Dove sei?»

Clary tornò a guardarlo. Ora il solestava tramontando sull’acqua dietro dilui, lasciandogli il viso in ombra etrasformando i suoi capelli in un alonedorato. «Scusami.»

«Non c’è problema.» Le toccò ilviso, delicatamente, con il dorso dellamano. «A volte sparisci completamentenella tua testa. Mi piacerebbe potertiseguire.»

Lo fai, avrebbe voluto dire Clary.Sei continuamente nella mia testa.Invece disse: «Cosa volevi dirmi?»

Jace abbassò la mano. «Voglio chetracci su di me la runa di Antipaura.

Prima che ritorni Luke.»«Perché prima che ritorni?»«Perché direbbe che è una cattiva

idea. Ma è l’unica possibilità cheabbiamo di sconfiggere Agramon. Lukenon l’ha… incontrato, non sa che effettofa. Ma io sì.»

Clary scrutò il suo viso. «E cheeffetto ti ha fatto?»

Gli occhi di Jace erano indecifrabili.«Vedi tutto quello di cui hai più paura almondo.»

«Non so nemmeno che cos’è.»«Fidati. È meglio così.» Jace

abbassò lo sguardo. «Hai con te lostilo?»

«Sì, ce l’ho.» Clary si sfilò il guantodi lana dalla mano destra e si frugò intasca. Quando la tirò fuori, tremavaleggermente. «Dove vuoi il marchio?»

«Più è vicino al cuore, più èefficace.» Si girò di spalle e si tolse lagiacca, lasciandola cadere a terra. Sisollevò la maglietta e scoprì la schiena.

«Sulla scapola dovrebbe andarebene.»

Clary gli posò una mano sullaschiena per tenersi in equilibrio. Lapelle era di un ambrato più chiaro diquella delle mani e del viso, e liscia,dove non era coperta di cicatrici. Leipassò la punta dello stilo sulla scapola esentì Jace sussultare, i muscoli che sitendevano. «Non premere così forte…»

«Scusa.» Allentò la pressione,lasciando fluire la runa dalla mente albraccio e allo stilo. La linea nera cheprodusse sembrava una bruciatura, unariga di cenere. «Ecco. Ho finito.»

Jace si girò abbassandosi di nuovola maglietta. «Grazie.» Il sole adesso

ardeva al di là dell’orizzonte, inondandoil cielo di sangue e rose, trasformando ilmargine del fiume in oro liquido,attutendo la bruttezza dello squallidoscenario urbano intorno a loro. «E tu?»

«E io cosa?»Jace si avvicinò di un passo.

«Rimboccati le maniche. Ti faccio imarchi.»

«Oh, giusto.» Come le avevachiesto, Clary si rimboccò le maniche egli porse le braccia nude.

Il contatto dello stilo sulla sua pellefu come il lieve tocco di un ago, chegraffiava senza pungere. Clary guardò lelinee nere comparire con una specie dirapimento. Il marchio che aveva

ricevuto in sogno era ancora visibile,solo leggermente scolorito ai bordi.

« “Ma il Signore gli disse: “Peròchiunque ucciderà Caino subirà lavendetta sette volte!”. Il Signoreimpose a Caino un segno, perché non locolpisse chiunque l’avesse incontrato.”»

Clary si girò, riabbassandosi lemaniche. Magnus li stava guardando, laredingote nera che sembrava fluttuargliintorno, mossa dal vento che veniva dalfiume. Un lieve sorriso gli aleggiavaintorno alle labbra.

«Sai citare la Bibbia?» chiese Jace,chinandosi per recuperare la giacca.

«Sono nato in un secolo

profondamente religioso, ragazzo mio»disse Magnus. «Ho sempre pensato chequello di Caino sia il primo marchio do-cumentato. Senza dubbio lo ha protetto.»

«Ma non era certo un angelo»obiettò Clary. «Non ha ucciso suofratello?»

«E noi non stiamo pensando diuccidere nostro padre?» disse Jace.

«È diverso» fece Clary, ma non ebbemodo di approfondire in che cosa fossediverso, perché in quel momento il pick-up di Luke si fermò sulla spiaggia,schizzando ghiaia dalle gomme. Luke sisporse dal finestrino.

«Okay» disse a Magnus. «Forza,andiamo.»

«Andiamo in macchina sulla nave?»domandò Clary, sconcertata.«Pensavo…»

«Quale nave?» Magnus ridacchiò,mentre montava nell’abitacolo accanto aLuke. Indicò dietro di sé con il pollice.«Voi due, salite dietro.»

Jace salì e si chinò per aiutare Clary.Appoggiandosi alla ruota di scorta,questa vide che sul pavimento di metalloera stato disegnato un pentagramma neroinscritto in un cerchio. I lati delpentagramma erano decorati con simbolipieni di ghirigori. Non erano esattamentele rune a cui era abituata… Guardarleera come cercare di capire uno che parlauna lingua simile ma non uguale alla

nostra.Luke si sporse dal finestrino e si

girò verso di loro. «Questa faccenda nonmi va a genio» disse, la voce smorzatadal vento. «Clary, tu rimarrai sul pick-upcon Magnus. Io e Jace saliremo sullanave. Intesi?»

Clary annuì e si strinse in un angolodel pianale. Jace le sedeva accanto,puntellandosi con i piedi. «Saràinteressante.»

«Cosa…?» cominciò Clary, ma ilpick-up si rimise in moto, e le gommeche stridevano sulla ghiaia soffocaronole sue parole. Il veicolo avanzò a scattinell’acqua bassa, sulla riva, poi sispinse verso il centro del fiume, e Clary

fu sbalzata contro il finestrino posterioredell’abitacolo… Luke voleva forseannegarli tutti quanti? Si girò e vide chel’abitacolo era pieno di fantastichecolonne di luce azzurra cheserpeggiavano e si contorcevano.

Sembrava che il pick-up sobbalzassesu qualcosa di bitorzoluto, come seprocedesse sopra un tronco. Poicominciarono a muoversi piùagevolmen-te, quasi scivolando.

Clary si mise sulle ginocchia eguardò oltre la fiancata, già piuttostosicura di quanto avrebbe visto.

Si muovevano sull’acqua scura, conle gomme che sfioravano appena lasuperficie del fiume, diffondendo

minuscole increspature insieme allapioggia di scintille azzurre create daMagnus. A un tratto calò una gran quiete,a parte il debole rombo del motore e ilverso degli uccelli marini sopra le loroteste. Clary guardò Jace, che sorrideva.«Questo sì che impressionerà sul serioValentine.»

«Non lo so» disse Clary. «C’è genteche usa boomerang-pipistrello e scala imuri; noi abbiamo solo un gommone.»

«Se la cosa non vi va a genio,Nephilim» la voce di Magnus giunsedebolmente dall’abitacolo «siete liberidi verificare se sapete camminaresull’acqua.»

«Credo che dovremmo entrare»

disse Isabelle, l’orecchio premutocontro la porta della biblioteca. Fecesegno ad Alec di avvicinarsi. «Riesci asentire qualcosa?»

Alec si curvò accanto alla sorella,attento a non farsi cadere di mano ilcellulare. Magnus aveva detto cheavrebbe telefonato, se avesse avutonotizie o fosse successo qualcosa.Finora non si era fatto vivo. «No.»

«Già. Ora hanno smesso di urlarsicontro.» Gli occhi scuri di Isabellebrillarono. «Aspettano Valentine.»

Alec si allontanò dalla porta epercorse a grandi passi il corridoio finoal-la finestra più vicina. Fuori, il cieloaveva il colore del carbone cosparso di

cenere rubino. «È il tramonto.»Isabelle allungò la mano verso la

maniglia della porta. «Andiamo.»«Isabelle, aspetta…»«Non voglio lasciarle la possibilità

di mentirci su quello che dirà Valentine.O su cosa succederà. E poi, vogliovederlo, il padre di Jace. Tu no?»

Alec tornò accanto alla porta dellabiblioteca. «Sì, ma non è una buonaidea, perché…»

Isabelle abbassò la maniglia. Laporta si spalancò. Lanciandogli unosguardo arguto al di sopra della spalla,Isabelle vi si infilò; imprecandosottovoce, Alec la seguì.

Sua madre e l’Inquisitrice erano in

piedi ai lati opposti dell’enormescrivania come pugili che sifronteggiano sul ring. Maryse aveva leguance di un rosso acceso e i capelliscompigliati. Isabelle lanciò ad Alecun’occhiata, come per dire: Forse nondovevamo entrare. Mamma è infuriata.

D’altra parte, se Maryse sembravaarrabbiata, l’Inquisitrice eradecisamente fuori di sé. Quando la portadella biblioteca di aprì, ruotò su sestessa, la bocca contorta in una bruttasmorfia. «Cosa ci fate qui voi due?»gridò.

«Imogen» disse Maryse.«Maryse!» L’Inquisitrice alzò la

voce. «Ne ho avuto abbastanza di te e di

quei delinquenti dei tuoi figli…»« Imogen» ripeté Maryse. C’era

qualcosa nella sua voce… un’urgenza…che fece sì che perfino l’Inquisitrice

si girasse a guardare.L’aria accanto al mappamondo di

ottone che si reggeva da solo tremolavacome acqua. Cominciò a materializzarsiuna forma, come fosse della pittura nerastesa su una tela bianca, che prese lesembianze di un uomo dalle larghespalle squadrate. L’immagineondeggiava troppo perché Alec potessedistinguere qualcosa più del fatto chel’uomo era alto e con folti capellibianchi tagliati corti.

«Valentine.» Alec ebbe

l’impressione che l’Inquisitrice fossestata presa alla sprovvista, anche sedoveva certamente aspettarlo.

Ora l’aria accanto al mappamondotremolava più forte. Isabelle rimasesenza fiato quando un uomo ne uscìcome se emergesse da strati di acqua.

Il padre di Jace era un uomoformidabile, alto più di un metro eottanta, con un largo torace e bracciavigorose e robuste solcate da muscolifibrosi.

Il viso era quasi triangolare, e siappuntiva in un mento duro, aguzzo.Avrebbe potuto essere consideratoattraente, pensò Alec, ma eraincredibilmente diverso da Jace, senza

lo sguardo dorato del figlio. Al di sopradella sua spalla sinistra si vedeva l’elsadi una spada… la Spada Mortale. Nonaveva bisogno di essere armato, vistoche non era materialmente presente,perciò doveva averla indossata perirritare l’Inquisitrice.

«Imogen» disse Valentine, gli occhiscuri che la sfioravano conun’espressione di compiaciutodivertimento. È Jace sputato, conquell’espressione, pensò Alec. «EMaryse, la mia Maryse… Quantotempo.»

Maryse, inghiottendo a fatica, dissecon una certa difficoltà: «Non sono latua Maryse, Valentine.»

«E questi devono essere i tuoi figli»continuò Valentine, come se non avesseparlato. I suoi occhi si posarono suIsabelle e Alec. Un lieve brividoattraversò Alec, come se qualcosa gliavesse pizzicato i nervi. Le parole delpadre di Jace erano assolutamentenormali, perfino garbate, ma in quellosguardo vacuo e predatorio c’eraqualcosa che gli faceva venire voglia dimettersi davanti alla sorella eproteggerla dalla vista di Valentine. «Tiassomigliano come due gocce d’acqua.»

«Lascia i miei figli fuori da questafaccenda, Valentine» disse Maryse,sforzandosi di mantenere la voce ferma.

«Be’, mi sembra un’ingiustizia bella

e buona» disse Valentine «consideratoche tu non hai lasciato fuori il mio, difiglio.» Poi si rivolse all’Inquisitrice.«Ho ricevuto il tuo messaggio. Non èche tu ti sia sforzata granché, no?»

L’Inquisitrice era rimasta immobile;adesso sbatté lentamente gli occhi, comeuna lucertola. «Spero che i termini dellamia offerta fossero suffi-cientementechiari.»

«Mio figlio in cambio degliStrumenti Mortali. È così, giusto?Altrimenti lo ucciderai.»

« Ucciderlo? » gli fece eco Isabelle.«MAMMA!»

«Isabelle» fece Maryse con ariatesa. «Sta’ zitta.»

L’Inquisitrice lanciò a Isabelle eAlec un’occhiata assassina attraverso lepalpebre socchiuse. «Hai capitoperfettamente i termini, Morgenstern.»

«Allora la mia risposta è no.»« No! » Era come se l’Inquisitrice

avesse fatto un passo avanti su unterreno solido e questo le fosse cedutosotto i piedi. «Non puoi ingannarmi,Valentine. Farò esattamente quanto hominacciato.»

«Oh, non ne dubito, Imogen. Seisempre stata una donna particolarmenterisoluta e spietata. Riconosco questequalità in te, perché le posseggoanch’io.»

«Io non sono affatto come te. Io

seguo la Legge…»«Anche quando ti ordina di uccidere

un ragazzo ancora adolescente solo perpunire suo padre? Qui non si tratta dellaLegge, Imogen. Il fatto è che tu mi odi emi accusi della morte di tuo figlio, equesta è la tua maniera diricompensarmi. Comunque non cambianiente. Non rinuncerò agli StrumentiMortali, neppure per Jonathan.»

L’Inquisitrice si limitò a fissarlo.«Ma è tuo figlio. Il tuo bambino. »

«I figli fanno le loro scelte» disseValentine. «Tu non l’hai mai capito.

Ho offerto a Jonathan la salvezza sefosse rimasto con me; lui l’ha rifiutatasdegnosamente ed è tornato da te, e tu ti

vendicherai su di lui come gli ho dettoche avresti fatto. Sei terribilmenteprevedibile, Imogen» concluse.

L’Inquisitrice non sembrò far casoall’insulto. «Il Conclave deciderà dimetterlo a morte, se tu non mi darai gliStrumenti Mortali» disse come in predaa un incubo. «Non potrò impedirglielo.»

«Ne sono consapevole» disseValentine. «Ma non posso farci niente.Ho offerto a Jace una possibilità. E luil’ha rifiutata.»

«Bastardo!» gridò all’improvvisoIsabelle, e fece per lanciarsi in avanti.

Alec le agguantò il braccio e latrascinò indietro, tenendola ferma. «Èuno stronzo» sibilò, poi alzò la voce e

gridò a Valentine: «Sei uno…»« Isabelle! » Alec coprì la bocca

della sorella con la mano, mentreValentine li degnava appena di unsorriso divertito.

«Tu… gli hai offerto…»L’Inquisitrice cominciò a sembrare adAlec un robot i cui circuiti stesseroandando in tilt. «… e lui ha rifiutato?»Scosse la testa. «Ma è la tua spia… latua arma…»

«È questo che pensavi?» chieseValentine con una sorpresa apparente-mente sincera. «Non mi interessa spiarei segreti del Conclave. L’unica co-sa chemi interessa è la sua distruzione, e perraggiungere questo scopo ho nel mio

arsenale armi molto più potenti che unragazzo.»

«Ma…»«Credi quello che vuoi» disse

Valentine con una scrollata di spalle.«Tu non sei niente, Imogen Herondale.Sei la donna di paglia di un regime il cuipotere sarà distrutto fra breve e la cuiautorità è finita. Non puoi offrir-mi nullache possa minimamente interessarmi.»

« Valentine! » L’Inquisitrice si gettòin avanti, quasi potesse fermarlo, ac-chiapparlo, ma le sue mani loattraversarono come se avesse cercatodi afferrare l’acqua. Con un’espressionedi sommo disgusto, Valentine fece unpasso indietro e sparì.

Il cielo era lambito dalle ultimelingue di un fuoco che andava affievo-lendosi, l’acqua aveva assunto il coloredel ferro. Clary si avvolse piùstrettamente nella giacca e rabbrividì.

«Hai freddo?» Jace era rimasto infondo al pianale, lo sguardo fisso sullascia che il pick-up si lasciava dietro:due strisce di schiuma bianca chefendevano l’acqua. Adesso si avvicinò alei e le scivolò accanto, la schienacontro il finestrino posterioredell’abitacolo, quasi completamenteanneb-biato dal fumo azzurrino.

«Tu no?»«No.» Jace scosse la testa e si sfilò

la giacca, porgendogliela. Clary se la

mise, crogiolandosi nella morbidezzadella pelle. Era comoda come possonoesserlo gli indumenti troppo larghi. «Turimarrai sul pick-up come ti ha dettoLuke, okay?»

«Ho scelta?»«Non nel senso letterale, no.»Clary si sfilò un guanto e allungò la

mano verso di lui. Jace la prese e lastrinse forte. Clary abbassò lo sguardosulle loro dita intrecciate, le sue co-sìpiccole, con le punte squadrate, quelledi lui lunghe e sottili. «Troverai Simonper me. So che lo farai.»

«Clary.» Lei vedeva l’acqua intornoa loro riflessa negli occhi di Jace.

«Lui potrebbe… voglio dire,

potrebbe essere…»«No.» Il tono di Clary non lasciava

adito a dubbi. «Sarà okay. Deve.»Jace espirò. Aveva le iridi

increspate di acqua azzurra… comelacrime, pensò Clary, ma non eranolacrime, solo riflessi. «C’è una cosa chevoglio chiederti» disse Jace. «Avevopaura di farlo, prima. Ma adesso nontemo più niente.» Le posò la mano sullaguancia, il palmo sulla pelle gelata, eClary scoprì che anche la propria pauraera sparita, come se Jace fosse stato ingrado di trasmetterle il potere della runaAntipaura con un semplice tocco.Sollevò il mento, le labbra socchiuse inattesa… la bocca di Jace sfiorò

lievemente la sua, così lievemente dasembrare il tocco leggero di una piuma,il ricordo di un bacio… e poi Jace siritrasse, riaprendo gli occhi. Clary viscorse il muro nero che si levava anascondere il loro incredibile oro:l’ombra di una nave.

Jace la lasciò con un’esclamazione ebalzò in piedi. Clary si tirò sugoffamente, sbilanciata dalla giaccapesante. Dai finestrini dell’abitacolovolavano scintille azzurre e, alla loroluce, vide che la fiancata della nave eradi metallo nero, che da un lato scendevauna scala stretta e che intorno alla partesuperiore correva un parapetto di ferro,su cui erano appollaiate figure simili a

grandi uccelli dalla forma sgraziata.Ondate di freddo sembravanodiffondersi dalla barca come aria gelidada un iceberg. Quando Jace le gridòqualcosa, il fiato gli venne fuori innuvolette bianche, le parole soffocatedall’improvviso rombo dei motori dellagrande nave.

Lei lo guardò corrugando la fronte.«Che cosa? Che cosa hai detto?»

Jace allungò la mano verso Clary ela fece scivolare sotto la giacca, sfio-randole la pelle nuda con la punta delledita. Clary lanciò un gridolino. Ja-ce lesfilò dalla cintura la spada angelica chele aveva dato prima e gliela premette inmano. «Ho detto» e la lasciò andare «di

tirare fuori Abrariel, perché stannoarrivando.»

«Chi sta arrivando?»«I demoni.» Indicò in alto. All’inizio

Clary non vide nulla. Poi notò gli enormie goffi uccelli che aveva scorto pocoprima. Saltavano giù dal parapetto unodopo l’altro, cadendo come sassi lungola fiancata della nave, per poistabilizzarsi e puntare dritti sul pick-upche galleggiava sulle onde.

Mentre si avvicinavano, Clary videche non erano affatto uccelli ma orribi-liesseri volanti simili a pterodattili, conlarghe ali coriacee e teste ossutetriangolari. Le bocche erano piene difitti denti da squalo disposti su varie file

e gli artigli scintillavano come rasoi.Jace si arrampicò sul tetto

dell’abitacolo con in mano Telantes chesfa-villava. Quando la prima dellecreature volanti li raggiunse, lui feceguizzare la spada. Questa colpì ildemone, tagliandogli via la calottacranica come fosse la parte superiore diun uovo. La creatura crollò di lato conun grido acuto, le ali in preda a spasmi.Quando cadde in mare, l’acqua ribollì.

Il secondo demone colpì il cofanodel pick-up, scavandovi lunghi solchicon gli artigli. Poi si scagliò contro ilparabrezza, riducendo il vetro a unaragnatela. Clary chiamò Luke, maun’altra creatura scese in picchiata su di

lei, piombando come una freccia dalcielo color acciaio. Si rimboccò lamanica della giacca di Jace e distese ilbraccio per mostrare la runa difen-siva.Il demone cacciò uno acuto skreek comeaveva fatto l’altro, sbattendo le aliall’indietro… Ma ormai si eraavvicinato troppo, era a portata di ma-no. Mentre gli conficcava Abrariel nelpetto, Clary vide che non aveva occhi,ma solo due rientranze ai lati del cranio.Il mostro esplose, lasciandosi dietro unascia di fumo nero.

«Brava» fece Jace. Era saltato giùdall’abitacolo del pick-up per far fuoriun’altra delle creature volanti cheurlavano come ossessi. Adesso aveva

sguainato un pugnale, l’elsa resa viscidadal sangue nero.

«Che cosa diavolo sono questiesseri?» chiese Clary senza fiato,brandendo Abrariel in un ampio arco etrafiggendo il petto di un demonevolante, che gracchiò e cercò di colpirlacon un’ala. Così da vicino, Clary vi-deche le ali avevano terminavano inprotuberanze ossee affilate come la-me.Una di esse raggiunse la manica dellagiacca di Jace e la tranciò.

«La mia giacca» disse Jaceinfuriato, e diede una pugnalata allacreatura mentre cercava di rialzarsi involo, trafiggendole il dorso. Il demonestrillò e sparì. « Adoravo quella

giacca.»Clary lo fissò, quindi girò su se

stessa, mentre lo stridore lacerante delmetallo le feriva le orecchie: duedemoni volanti avevano conficcato gliartigli nel tetto dell’abitacolo e lostavano strappando via dal telaio. L’ariaera piena del rumore lacerante delmetallo squarciato. Luke saltò sul cofanoe mulinò il kindjal contro le creature.Una cadde da un fianco del veicolo,scomparendo prima di toccare l’acqua,l’altra guizzò in aria con il tettodell’abitacolo tra gli artigli e tornò involo verso la nave con un ululato ditrionfo.

Il cielo si stava oscurando. Clary

accorse e sbirciò nell’abitacolo. Magnusera accasciato sul sedile, il viso pallido.Non c’era abbastanza luce per capire seera ferito. «Magnus!» gridò. «Ti hannoferito?»

«No.» Lo stregone si misefaticosamente a sedere, poi si accasciòsul sedile. «Sono solo… prosciugato.Gli incantesimi difensivi sulla nave sonoforti. Toglierli, allontanarli è…difficile.» La sua voce si spense. «Ma senon lo faccio, chiunque metta piede sullanave, oltre a Valentine, morirà.»

«Forse dovresti venire con noi»disse Luke.

«Non posso agire sugli incantesimise sono a bordo. Devo farlo da qui. È

così che funziona.» Il sorrisetto diMagnus sembrò doloroso. «E poi nonsono bravo a combattere. Il mio talento èriposto altrove.»

Continuando a sporgersinell’abitacolo, Clary cominciò a dire:«Ma… e se abbiamo bisogno…?»

« Clary!» gridò Luke, ma era troppotardi. Nessuno di loro aveva scorto lacreatura volante aggrappata alla fiancatadel pick-up. Ora si lanciò in al-tovolando di traverso, gli artigliprofondamente conficcati nella schienadella giacca indossata dalla ragazza, unamacchia indistinta di ali scure e fetididenti frastagliati. Con un terribile urlo ditrionfo si levò in aria con Clary che

penzolava impotente dagli artigli.« Clary! » gridò di nuovo Luke, poi

corse verso il cassone del pick-up e làsi fermò, lo sguardo disperatamenterivolto verso l’alto, alla sagoma alatache rimpiccioliva col suo caricociondolante.

«Non la ucciderà» disse Jace,raggiungendolo. «È venuto a prenderlaper portarla da Valentine.»

Nel suo tono c’era qualcosa che fecegelare il sangue nelle vene a Luke.

Si girò a guardare il ragazzo al suofianco. «Ma…»

Non finì. Jace era già saltato giù conun unico movimento fluido. Si tuffònell’acqua sudicia del fiume e si diresse

verso la barca battendo forte i piedi elevando alti schizzi.

Luke si girò verso Magnus, il cuiviso pallido era appena visibileattraverso il parabrezza crepato, unamacchia bianca nel buio. Luke alzò unamano e gli parve di vederlo annuire inrisposta.

Infilato di nuovo il kindjal nelfodero, si tuffò nel fiume per seguireJace.

Alec lasciò Isabelle, aspettandosiche si mettesse a gridare non appenaavesse scostato la mano dalla bocca dilei. Non lo fece. Gli rimase accanto eosservò l’Inquisitrice dritta in piedi, unpoco ondeggiante, il viso di un bianco-

grigio terreo.«Imogen» disse Maryse. La sua voce

non lasciava trapelare alcun sentimento,nessuna traccia di rabbia.

L’Inquisitrice non sembrò sentirla.La sua espressione non cambiò quandosi lasciò cadere nella vecchia poltronadi Hodge. «Mio Dio» disse, lo sguardofisso sulla scrivania. «Che cosa hofatto?»

Maryse lanciò un’occhiata aIsabelle. «Vai a chiamare tuo padre.»

Isabelle, spaventata come Alec nonl’aveva mai vista, annuì e scivolò fuoridalla biblioteca.

Maryse attraversò la stanzadirigendosi verso l’Inquisitrice e

abbassò lo sguardo su di lei. «Che cosahai fatto, Imogen? Hai consegnato lavittoria a Valentine su un piattod’argento. Ecco che cosa hai fatto.»

«No» sussurrò l’Inquisitrice.«Sapevi esattamente che cosa aveva

in mente Valentine, quando hai im-prigionato Jace. Ti sei rifiutata dicoinvolgere il Conclave, perché tiavrebbe messo i bastoni tra le ruote.Volevi far soffrire Valentine come luiaveva fatto soffrire te, dimostrargli diavere il potere di uccidere suo figliocome lui aveva ucciso il tuo. Voleviumiliarlo.»

«Sì…»«Ma Valentine non sarà mai

umiliato. Se solo me l’avessi chiesto, tel’avrei detto. Non hai mai avuto alcunainfluenza su di lui. Ha solo finto diprendere in considerazione la tua offertaper essere certo che non avremmo avutoil tempo di chiamare rinforzi da Idris. Eadesso è troppo tardi.»

L’Inquisitrice alzò gli occhifuribonda. I capelli si erano sciolti dallacrocchia e le pendevano in cioccheflosce intorno al viso. Era l’espressionepiù umana che Alec le avesse mai visto,ma non ne trasse alcun piacere. Leparole di sua madre lo avevano gelato:troppo tardi. «No, Maryse» disseImogen. «Possiamo ancora…»

«Ancora cosa?» la voce di Maryse

si incrinò. «Convocare il Conclave?Non abbiamo i giorni, le ore che

occorrerebbero per riunire tutti. Sevogliamo affrontare Valentine… e Diosa che non abbiamo scelta…»

«Dobbiamo farlo adesso» lainterruppe una voce profonda. Alec sigirò.

Dietro di lui, lo sguardo torvo, cupo,c’era Robert Lightwood.

Alec fissò suo padre. Erano passatianni dall’ultima volta che l’aveva vistoin tenuta da caccia; il suo tempo erastato assorbito dalle mansioniamministrative, dalla gestione delConclave e ai problemi con i Nascosti.

Nel vederlo in quei pesanti abiti

corazzati scuri, lo spadone fissato sullaschiena da cinghie, Alec si ricordòvagamente di quando era bambino, diquando suo padre era l’uomo piùgrande, più forte e più terribile chepotesse immaginare. Ed era ancoraterribile. Non lo vedeva da quando siera messo in quella situazioneimbarazzante, a casa di Luke. Ora cercòdi incrociare il suo sguardo, ma Robertfissava Maryse.

«Il Conclave è pronto» disse. «Lebarche aspettano al dock.»

L’Inquisitrice si portò nervosamentele mani al viso. «È inutile. Non siamoabbastanza… non potremo mai…»

Malik la ignorò. Invece guardò Mary

se. «Dobbiamo sbrigarci» disse, e nelsuo tono c’era un rispetto che non c’eraquando si era rivolto a Imogen.

«Ma il Conclave…» cominciòl’Inquisitrice «dovrebbe essereinformato.»

Maryse spinse il telefono sullascrivania verso di lei, con forza.«Diglie-lo tu. Di’ loro che cosa haifatto. È compito tuo, adesso.»

L’Inquisitrice non replicò, si limitò afissare il telefono portandosi una manoalla bocca.

Prima che Alec potesse cominciare asentirsi dispiaciuto per lei, la porta siriaprì ed entrò Isabelle in tenuta daCacciatrice, la lunga frusta color oro e

argento in una mano e un naginata dallalama di legno nell’altra. Guardò ilfratello con aria accigliata. «Vai aprepararti. Salpiamo subito alla voltadella nave di Valentine.»

Alec non poté trattenersi: l’angolodella bocca gli si curvò verso l’alto.

Isabelle era talmente determinata.«È per me?» chiese Alec, indicando ilnaginata.

Isabelle allontanò bruscamentel’arma. «Va’ a prendere il tuo!»

Certe cose non cambiano mai. Alecsi diresse verso la porta, ma fu fermatoda una mano sulla spalla. Alzò losguardo, sorpreso.

Era suo padre. Guardava Alec

dall’alto e, sebbene non sorridesse,aveva un’espressione orgogliosa sulviso segnato, stanco. «Se ti serve unaspada, Alexander, la mia guisarma ènell’ingresso. Mi farebbe piacere che lau-sassi.»

Alec deglutì e fece sì con la testa,ma prima di poter ringraziare suo padre,sentì Isabelle dire dietro di lui:

«Tieni, mamma.» Si girò e vide lasorella che porgeva il naginata allamadre, che lo prese e lo roteò condestrezza.

«Grazie, Isabelle» fece Maryse, econ un movimento veloce come quellidella figlia abbassò la lama in modo dapuntarla direttamente al cuore

dell’Inquisitrice.Imogen Herondale guardò Maryse

con gli occhi inespressivi e distrutti diuna statua in rovina. «Hai intenzione diuccidermi, Maryse?»

Maryse sibilò attraverso i denti.«Non ci penso nemmeno. Abbiamobisogno di tutti i Cacciatori in città, esubito, perciò anche di te. Alzati,Imogen, e preparati alla battaglia. D’orain poi, gli ordini qui li darò io. » Feceun sorriso sardonico. «E la prima checosa che farai sarà liberare mio figlio daquella maledetta ConfigurazioneMalachi.»

È magnifica, pensò Alec conorgoglio, sentendola parlare così, una

vera guerriera Shadowhunter, ardentedi giusta furia in ogni sua fibra.

Gli dispiaceva guastare quelmomento… ma tra non molto avrebberocomunque scoperto da soli che Jace sen’era andato. Meglio che qualcunoattenuasse lo shock.

Si schiarì la gola. «In realtà, c’èqualcosa che probabilmente dovrestesapere…»

capitolo 18OSCURITÀ TRASPARENTEClary aveva sempre odiato le

montagne russe, odiava sentirsisgusciare via lo stomaco da sotto i piediquando il vagoncino piombava giù.Essere strappata dal pick-up e trascinata

in aria come un topo tra le grinfie diun’aquila era dieci volte peggio. Quandoi suoi piedi si staccarono dal pick-up eil suo corpo si librò in aria,incredibilmente veloce, gridò asquarcia-gola. Gridò e si dibatté, finchénon guardò giù, e vide quanto era giàalta sull’acqua, e si rese conto di cosasarebbe successo se il demone l’avesselasciata andare.

Si immobilizzò. Sotto di lei, il pick-up sembrava cullato dalle onde. La cittàle ruotava intorno, muri sfocati di lucescintillante. Avrebbe potuto esserebello, se lei non fosse stata cosìterrorizzata. Il demone virò e si tuffògiù, e di colpo, invece di salire, Clary si

ritrovò a scendere. Vide mentalmente lacreatura che la lasciava cadere nel vuotoper decine e decine di metri finché nonsi sfracellava sull’acqua gelida e nera, echiuse gli occhi…

Ma precipitare nelle tenebre ciecheera peggio. Li riaprì e vide il ponte ne-ro della nave alzarsi verso di lei comeuna mano in procinto di scaraventar-lifuori dal cielo. Gridò per la secondavolta mentre cadevano verso il ponte…poi attraverso un quadrato scuroritagliato nella sua superficie. Adessoerano dentro la nave.

La creatura volante rallentò la suadiscesa. Stavano calando verso la partecentrale dell’imbarcazione, circondata

da ponti di metallo muniti di parapetti.Clary scorse dei macchinari scuri, inapparenza fuori uso, nonché attrezzaturee arnesi abbandonati qua e là. Se primac’erano state delle luci elettriche,adesso non funzionavano più, sebbenequell’area della nave fosse soffusa di untenue bagliore. Qualunque cosa avessealimentato la nave in precedenza, oraera tutto diverso. Valentine la alimentavacon qualcos’altro.

Qualcosa che aveva risucchiato ilcalore direttamente dall’atmosfera. Ariagelida sferzò il viso di Clary, mentre ildemone raggiungeva il fondo della navee si infilava in un lungo corridoioscarsamente illuminato. Non le badava

granché. Quando svoltò a un angolo, conil ginocchio Clary urtò contro un tubo, esentì un’onda di dolore su per la gamba.Gridò e sentì il riso sibilante dellacreatura sopra di sé. Poi il demone lalasciò e Clary si ritrovò a cadere. Sigirò in aria, nel tentativo di atterraresulle mani e sulle ginocchia. Funzionòquasi. Quando colpì il pavimento,rimase frastornata dall’impatto e rotolòdi lato, stordita.

Era stesa su una superficie metallicadura, in penombra. In passato quelladoveva essere stata la stiva, perché lepareti erano lisce e senza porte, e inalto, sopra di lei, c’era un’aperturaquadrata, unica fonte di luce del locale.

Le pareva di avere un’unica, grossacontusione al posto del corpo.

«Clary?» Una voce sussurrata. Lei sigirò sul fianco con una smorfia.

Un’ombra le si inginocchiò accanto.Mentre i suoi occhi si abituavanoall’oscurità, vide la piccola figurapiegata, i capelli intrecciati, gli occhicastani scuri. Maia. «Clary, sei tu?»

Clary si sollevò a sedere, ignorandoil dolore acuto alla schiena. «Maia.

Maia, oh, mio Dio.» Fissò laragazza, poi girò freneticamente losguardo nella stanza. Era vuota, a parteloro due.

«Maia, lui dov’è? Dov’è Simon?»Maia si morse il labbro. Aveva i

polsi insanguinati, vide Clary, il visorigato di lacrime secche. «Clary, midispiace tanto» disse la lupa mannaracon voce sommessa e rauca. «Simon èmorto.»

Zuppo e mezzo congelato, Jacecrollò sul ponte della nave grondandoacqua dai capelli e dai vestiti. Alzò losguardo al cielo notturno pieno dinuvole respirando affannosamente. Nonera stata un’impresa da pocoarrampicarsi sulla traballante scala diferro, malamente imbullonata allafiancata della nave, con le maniscivolose e i vestiti fradici che lotiravano giù.

Non fosse stato per la runa

Antipaura, rifletté, probabilmenteavrebbe temuto che uno dei demonivolanti potesse ghermirlo dalla scalacome fa un uccello che becca un insettoda un rampicante. Fortunatamente, dopoaver catturato Clary, i demoni avevanofatto ritorno alla nave. Jace non potevaimmaginare perché, ma aveva rinunciatoda un pezzo a capire i motividell’operato di suo padre.

Sopra di lui comparve una testa chesi stagliava contro il cielo. Era Luke,che aveva raggiunto la cima della scala.Si inerpicò faticosamente sul parapetto esi fece cadere dall’altro lato. Abbassòlo sguardo su Jace. «Tutto a posto?»

«Sto bene.» Jace si alzò in piedi.

Tremava. Sulla barca faceva freddo, piùfreddo che in acqua, e lui era senzagiacca. L’aveva data a Clary.

Si guardò intorno. «Da qualche partec’è una porta che conduce all’internodella nave. L’ho vista la volta scorsa.Dobbiamo solo fare il giro del pontefinché non la troviamo.»

Luke fece per avviarsi.«Vado io per primo» aggiunse Jace,

superandolo. Luke gli lanciò un’occhiataperplessa, sembrò sul punto di direqualcosa, infine gli si mise al fiancomentre si avvicinavano alla partebombata della nave, dove Jace era statocon Valentine la notte prima. Sentiva losciabordio oleoso dell’acqua contro la

prua, molto più sotto.«Tuo padre» disse Luke «cosa ti ha

detto quando l’hai visto? Cosa ti hapromesso?»

«Oh, sai, il solito. Una fornitura dibiglietti per le partite dei Knicks vitanatural durante.» Jace parlava in tonodisinvolto, ma il ricordo lo trafiggevapiù del freddo. «Ha detto che se avessilasciato il Conclave e fossi tornato aIdris con lui, avrebbe fatto in modo chenessun male venisse fatto né a me né atutti quelli a cui tengo.»

«Pensi…» Luke esitò. «Pensi chefarebbe del male a Clary per vendicarsidi te?»

Superarono la prua e Jace ebbe una

fugace visione della Statua della Libertàin lontananza, risplendente di luce. «No.Penso che l’abbia presa per farci saliresulla nave, così, per avere un asso nellamanica. Tutto qui.»

«Non sono sicuro che gli serva unoggetto di scambio.» Luke parlò a bassavoce, sguainando il kindjal. Jace si giròper seguire il suo sguardo e per unmomento non poté fare altro che starsenelì a occhi sbarrati.

Sul lato occidentale della nave c’eraun buco nero, una specie di quadratoritagliato nel metallo dalle cuiprofondità si riversava una scura nube dimostri. Jace riandò con la menteall’ultima volta che era stato là, con la

Spada Mortale in mano, a fissareinorridito il cielo sopra di lui e il maresotto di lui che si trasformavano inribollenti masse di incubi. Solo cheadesso ce li aveva di fronte. Unacacofonia di demoni: i Raum biancosporco che li avevano attaccati a casa diLuke; i demoni Oni, coi loro corpi verdi,le grandi bocche e le corna; i Kuri, nerie furtivi, demoni-ragno con le ottobraccia terminanti in chele oltre allezanne velenose che spuntavano dalleorbite…

Jace non riusciva a contarli tutti.Cercò a tastoni Camael e la sfilò dallacintura, rischiarando il ponte con il suosfolgorio bianco. Alla sua vista i demoni

sibilarono, ma nessuno di loroindietreggiò. La runa Antipaura sullascapola di Jace cominciò a bruciare. Sichiese quanti demoni sarebbe riuscito auccidere prima che si consumasseardendo.

«Fermo! Fermo! » la mano di Lukelo afferrò per la maglietta e lo tiròindietro. «Sono troppi, Jace. Sepotessimo tornare alla scala…»

«Impossibile.» Jace si liberò dallastretta e gliela indicò. «Ci bloccano lastrada su entrambi i lati.»

Era vero. Una falange di demoniMoloch, vomitando fiamme dalle orbitevuote, bloccava loro la ritirata. Dallabocca di Luke uscì un fiume di

imprecazioni rabbiose. «Allora salta inmare. Io li trattengo.»

«Salta tu» disse Jace. «Io qui stobenone.»

Luke rovesciò la testa. Gli si eranoappuntite le orecchie e, quando gridòcontro Jace, le sue labbra si ritiraronosui canini, divenuti improvvisamenteaguzzi. «Tu…» Si interruppe quando undemone Moloch gli saltò addosso congli artigli distesi. Jace gli trafisse connoncuranza la schiena mentre glipassava accanto, e quello barcollòaddosso a Luke, urlando. Luke loagguantò con le mani artigliate e loscaraventò al di là del parapetto. «Haiusato la runa Antipaura, vero?» chiese

Luke girandosi verso di lui con occhiche mandavano bagliori ambrati.

Risuonò un tonfo lontano.«Non ti sbagli» ammise Jace.«Cristo. Te la sei tracciata da solo?»«No, è stata Clary.» La spada

angelica fendette l’aria con un fuococandido; due demoni Drevak caddero aterra. Ce n’erano altre dozzine làdavanti, avanzavano barcollando versodi loro protendendo le mani dalleestremità munite di aghi. «È brava, sai.»

« Ragazzini» disse Luke, come sefosse la parola più oscena che sapesse,e si gettò sull’orda che si avvicinava.

«Morto?» Clary fissò Maia come seavesse parlato in bulgaro. «Non può

essere morto.»Maia non disse nulla, si limitò a

guardarla con occhi tristi, cupi.«Lo saprei.» Clary si premette la

mano serrata a pugno sul petto. «Losaprei qui. »

«Lo pensavo anch’io» disse Maia.«Una volta. Ma non si può sapere.

Non si può mai sapere.»Clary si mise faticosamente in piedi.

La giacca di Jace le penzolava dallespalle, il dietro quasi a brandelli. Se lascrollò via con impazienza e la lasciòcadere sul pavimento. Era rovinata dauna dozzina di segni di artigli affilaticome rasoi. Jace sarà seccato perchégli ho distrutto la giacca,

pensò. Dovrei comprargliene unanuova. Dovrei…

Emise un lungo singulto. «Checosa… gli è successo?»

Maia era ancora inginocchiata sulpavimento. «Valentine ci ha catturati tuttie due. Ci ha incatenati insieme in unastanza. Poi è venuto con un’ar-ma… unaspada, lunghissima e luminosa, come serisplendesse. Mi ha gettato addossodella polvere d’argento in modo che nonpotessi lottare contro di lui e poi… hatagliato la gola a Simon.» La sua vocedivenne un sussurro. «Gli ha aperto ipolsi e ha versato il suo sangue in alcuneciotole. Qual-cuna delle sue creaturedemoniache è entrata e lo ha aiutato. Poi

ha lasciato Simon steso là, come ungiocattolo a cui avesse strappatol’imbottitura e non gli servisse più. Hourlato… ma sapevo che era morto. Poiuno dei demoni mi ha preso in braccio emi ha portato quaggiù.»

Clary si premette il dorso dellamano sulla bocca, lo premette ancora eancora finché non sentì il sapore salatodel sangue. Il sapore aspro del sanguesembrò penetrare attraverso la nebbiache le offuscava il cervello.

«Dobbiamo andarcene di qui.»«Senza offesa, ma mi pare chiaro…»

Maia si alzò in piedi con una smorfia«che non c’è modo di uscire di qui.Neppure per un Cacciatore. Forse, se tu

fossi…»«Se io fossi cosa?» chiese Clary,

misurando il quadrato della cella. «Ja-ce? Be’, non lo sono.» Diede un calcioalla parete. Echeggiò sordamente.

Si infilò la mano in tasca e neestrasse lo stilo. «Ma ho anch’io le miebrave doti.»

Spinse la punta dello stilo contro laparete e cominciò a disegnare. Le lineesembravano fluire fuori da lei, nere ebruciacchiate, ardenti come la suarabbia furiosa. Sbatté ripetutamente lostilo contro la parete e le linee neresgusciarono fuori dalla sua punta comefiamme. Quando si ritrasse, ansimando,vide Maia che la fissava stupefatta.

«Ragazza» disse «che cosa haifatto?»

Clary non ne era sicura. Sembravache avesse gettato un secchio di acidosulla parete. Il metallo tutt’intorno allaruna si era curvato e sciolto come ungelato in una giornata di sole. Fece unpasso indietro e stette a guardarecircospetta mentre nella parete si aprivaun buco grande come un cane di grossataglia. Al di là di esso Clary vide deglispuntoni d’acciaio e altre visceremetalliche della nave. I bordi del bucosfrigolavano ma avevano smesso diallargarsi. Maia fece un passo avanti,scostando il braccio di Clary.

«Aspetta.» Clary divenne

improvvisamente nervosa. «Il metallofuso…

potrebbe produrre, che so, unresiduo tossico o qualcosa del genere.»

Maia sbuffò. «Vengo dal NewJersey. Sono nata tra i residui tossici.»Si avvicinò decisa al buco e ci sbirciòdentro. «C’è una passerella di metallo,dall’altra parte» annunciò. «Senti… iomi ci infilo.» Si girò e fece passare ipiedi attraverso il buco, poi le gambe,scivolando lentamente all’indietro.

Fece strisciare il corpo dentro ilvarco con una serie di smorfie, poi sibloccò. «Ahi! Ho le spalle incastrate.Mi dai una spinta?» Allungò le mani.

Clary le prese e spinse. Il viso di

Maia divenne bianco, poi rosso… e lalupa mannara si sbloccò di colpo, comeun tappo di champagne fatto saltare dallabottiglia. Ruzzolò dentro con un grido.Ci fu uno schianto e Clary infilòansiosamente la testa nel buco. «Staibene?»

Maia era stesa su una strettapasserella di metallo, qualche metro piùsotto. Si mise supina e si tirò su a sederecon una smorfia. «La mia caviglia…

ma passerà» aggiunse, vedendo lafaccia di Clary. «Noi guariamo in fretta,sai.»

«Lo so. Okay, ora tocca a me.»Quando Clary si piegò e si preparò ascivolare nel buco appresso a Maia, lo

stilo le si conficcò fastidiosamente nellostomaco. Il salto fino alla passerella laspaventava un po’, ma non quanto l’ideadi aspettare nella stiva che qualcuno,chiunque esso fosse, venisse aprenderle. Si mise a pancia sotto,facendo scivolare i piedi nel buco…

E poi qualcosa l’afferrò per lamaglietta e la sollevò. Lo stilo si sfilòdalla cintura e cadde a terra tintinnando.Clary sussultò per la paura e il doloreimprovviso, il collo della maglietta lestrinse la gola, soffocandola. Un attimodopo, cadde pesantemente al suolo,urtando le ginocchia sul metallo con unclangore sordo. Senza fiato, rotolò sullaschiena e guardò su, sapendo già cosa

avrebbe visto.Valentine era sopra di lei. In una

mano teneva una spada angelica cheemanava un’intensa luce bianca. L’altramano, che le aveva agguantato lamaglietta, era chiusa a pugno. Il visoscavato, pallido, era atteggiato a unsogghigno sprezzante. «Sei sempre figliadi tua madre, Clarissa. Che cosa haicombinato, adesso?»

Clary si mise dolorosamente inginocchio. Aveva la bocca piena delsangue salato uscito dal labbro spaccato.Mentre guardava Valentine, la rabbiache la faceva fremere le sbocciò in pettocome un fiore velenoso.

Quest’uomo, suo padre, aveva

ucciso Simon e l’aveva lasciato mortosul pavimento come immondizia gettatavia. Clary credeva di avere odiato dellepersone, nella sua vita. Si era sbagliata.Questo era odio.

«La lupa mannara» continuòValentine aggrottando le ciglia «dov’è?»

Clary si piegò in avanti e gli sputò laboccata di sangue sulle scarpe. Conun’acuta esclamazione di disgusto esorpresa Valentine fece un passoindietro, sollevando la spada che avevain mano e per un momento Clary vi-de lafuria incontrollata nei suoi occhi e pensòche l’avrebbe fatto davvero, chel’avrebbe davvero uccisa lì sul posto,accucciata ai suoi piedi, per avergli

sputato sulle scarpe.Lentamente, Valentine abbassò la

spada. Senza una parola oltrepassò lafiglia e guardò nel buco che avevaaperto nella parete. Lentamente Clary sigirò e i suoi occhi scrutarono ilpavimento, finché non lo vide. Lo stilodi sua madre. Allungò la mano perprenderlo, trattenendo il fiato…

Valentine si girò e se ne accorse.Con un solo passo attraversò la stanza eallontanò lo stilo con un calcio; l’arneserotolò sul pavimento metallico e caddenel buco nella parete. Clary socchiusegli occhi… perdere lo stilo fu comeperdere di nuovo sua madre.

«I demoni troveranno la tua amica

Nascosta» disse Valentine con la suavoce fredda, tranquilla, facendoscivolare nuovamente la spada angelicanel fodero appeso alla vita. «Non puòfuggire da nessuna parte. Nessuno di voipuò scappare da nessuna parte. E adessoalzati, Clarissa.»

Clary si alzò adagio. Aveva tutto ilcorpo dolorante per i colpi presi. Unmomento dopo rimase senza fiato per lasorpresa, quando Valentine l’afferrò perle spalle e la girò, in modo che gli dessela schiena. Fischiò: un suono acuto,aspro, sgradevole. L’aria sopra di lei siagitò e Clary sentì lo sbattereminaccioso di ali coriacee. Cercò didivincolarsi con un lamento, ma

Valentine era troppo forte. Le ali licircondarono entrambi, e poi siritrovarono a volare insieme, conValentine che la teneva tra le bracciacome se fosse davvero suo padre.

Jace aveva pensato che a quel puntolui e Luke dovessero essere bell’e morti.Non era certo che non lo fossero. Ilponte della nave era scivoloso disangue. Jace era ricoperto di sudiciume.Aveva i capelli flosci e appiccico-si dipus, gli occhi che gli bruciavano per ilsangue e il sudore. Un profondo tagliogli solcava la parte superiore delbraccio destro e lui non aveva il tempodi incidere nella pelle una runa diGuarigione. Ogni volta che alzava il

braccio, un dolore lancinante gliattraversava il fianco.

Erano riusciti ad appostarsi in unarientranza nella parete metallica dellanave e da quel rifugio combattevanocontro i demoni che avanzavano o-scillando verso di loro. Jace avevausato tutti e due i suoi chakram e non glirimanevano che l’ultima spada angelicae il pugnale che aveva preso a Isabelle.Non era granché… non avrebbe potutoaffrontare neanche pochi demoni, armatocosì miseramente, e adesso ne avevadavanti un’orda. Avrebbe dovuto esserespaventato, lo sapeva, ma non provavaquasi nulla…

solo disgusto per i demoni, che non

appartenevano a questo mondo, e rabbiaper Valentine, che ce li aveva chiamati.Freddamente, si disse che la mancanzadi paura non era una cosa del tuttopositiva. Non aveva neanche paura diquanto sangue stava perdendo dalbraccio.

Un demone-ragno gli corse incontrostridendo e spruzzando veleno giallo.Jace si scostò, ma non abbastanza allasvelta da impedire che qualche goccia diveleno gli schizzasse la camicia. Illiquido mangiò la stoffa sibilando; Jacesentì la trafittura quando gli bruciò lapelle come una decina di minuscoli aghisurriscaldati.

Il demone-ragno schioccò la lingua

soddisfatto e spruzzò un altro getto diveleno. Jace si scansò e il veleno colpìil demone Oni, che gli si stavaavvicinando di fianco; questo urlò daldolore e si scagliò scompostamenteverso il demone-ragno con gli artiglisfoderati. Le due creature si avvin-ghiarono e rotolarono sul ponte.

I demoni intorno balzarono via dalveleno versato, che formava una bar-riera tra loro e il Cacciatore. Jaceapprofittò della pausa momentanea pergirarsi verso Luke. Era quasiirriconoscibile. Le orecchie gli si eranoal-lungate in punte aguzze, da lupo; lelabbra si erano ritirate scoprendo i dentied erano atteggiate a un rictus fisso, le

mani artigliate erano nere di pusdemoniaco.

«Dobbiamo raggiungere i parapetti.»La voce di Luke era quasi un ringhio. «Elasciare la nave. Non possiamoucciderli tutti. Forse Magnus…»

«Non credo che ce la stiamocavando tanto male.» Jace roteò laspada angelica… e fu una cattiva idea:aveva la mano bagnata di sangue e quasiperse la presa sull’elsa. «Tuttosommato.»

Luke fece un verso che poteva essereun ringhio o una risata, o unacombinazione delle due. Poi qualcosa digrande e informe cadde dal cielosbattendoli entrambi a terra.

Jace colpì il suolo con violenza e laspada angelica gli volò via di mano.

Cadde sul ponte e schizzò sullasuperficie di metallo e oltre il bordodella nave, scomparendo. Jace imprecòe si alzò barcollando.

La creatura che era atterrata su diloro era un demone Oni. Era stranamentegrosso, per la sua razza… nonchéstranamente furbo, visto che avevapensato bene di arrampicarsi sul tetto epiombare loro addosso dall’alto.

Adesso era seduto sopra Luke e lostraziava con le zanne acuminate che glispuntavano dalla fronte. Luke sidifendeva alla meglio con gli artigli, maera già zuppo di sangue; il suo kindjal

era sul ponte, a una trentina di centimetrida lui. Luke fece per prenderlo e l’Onigli afferrò una gamba con una manogrande quanto una vanga e se la fecericadere con forza sul ginocchio comeun ramo d’albero. Jace sentì l’ossospezzarsi con uno schianto secco mentreLuke gridava.

Il Cacciatore si tuffò verso ilkindjal, lo afferrò e si alzò in piedi, lan-ciandolo con violenza verso la nuca deldemone Oni. Vi penetrò con forzasufficiente a decapitare la creatura, chesi curvò in avanti, mentre dal mon-conedel collo gli sgorgava un fiotto di sanguenero. Un momento più tardi erascomparsa. Il kindjal ricadde con un

tonfo sul ponte accanto a Luke.Jace corse da lui e si inginocchiò.

«La tua gamba…»«È rotta.» Luke si mise seduto a

fatica. Aveva il viso contorto dal dolore.«Ma voi guarite presto.»Luke si guardò intorno, l’espressione

cupa. L’Oni sarà stato anche morto, magli altri demoni avevano imparato lalezione e si stavano affollando sul tetto.Alla luce fioca della luna Jace nonavrebbe saputo dire quanti fossero…Decine? Centinaia? Da un certo numeroin poi non aveva più importanza.

Luke chiuse la mano intorno all’elsadel kindjal. «Non abbastanza presto.»

Jace sfilò il pugnale di Isabelle dalla

cintura. Era la sua ultima arma e a untratto gli parve pateticamente piccola.Fu trafitto da un’acuta emozione… nonera paura, a quella non era ancoraarrivato, ma era dolore. Vide Alec eIsabelle come se gli stessero di frontesorridendogli e poi vide Clary con lebraccia aperte come per dargli ilbenvenuto a casa.

Si alzò in piedi mentre le creaturepiombavano giù dal tetto comeun’ondata, una marea d’ombra cheoscurò la luna. Si mosse per cercare dicoprire Luke, ma invano; i demoni liavevano già circondati. Uno gli siimpennò davanti. Era uno scheletro altocirca un metro e ottanta che ghignava

con i denti rotti. Dalle ossa marce glipendevano brandelli di bandiere ri-tualitibetane dai colori sgargianti. Nellamano ossuta stringeva una spada katana,cosa strana, dato che per lo più i demoninon erano armati. La la-ma, nella qualeerano incise rune demoniache, era piùlunga del braccio di Jace, ricurva,acuminata e letale.

Jace lanciò il pugnale. Questo colpìl’ossuta gabbia toracica del demone e virimase conficcato. Il mostro sembrò amalapena accorgersene; continuò amuoversi, inesorabile come la morte.L’aria intorno a lui puzzava di morte ecimiteri. Sollevò la katana nella manoartigliata…

Un’ombra grigia lacerò l’oscuritàdavanti a Jace, un’ombra che avanzavacon un’andatura turbinante, precisa emicidiale. Il fendente della katanaprodusse il lacerante clangore delmetallo sul metallo; la sagoma scuraricacciò la katana contro il demone,trafiggendolo al contempo dal basso inalto con l’altra mano, tanto rapidamenteche l’occhio di Jace riuscì a seguirla astento. Il mostro cadde all’indietro e ilsuo cranio andò in frantumi per poidissolversi nel nulla. Intorno a sé Jacesentì le grida di demoni che ulu-lavanodi dolore e sorpresa. Piroettando su sestesso, vide dozzine di forme

- forme umane - arrampicarsi sui

parapetti, balzare a terra e correre adare battaglia alla massa di creature chesi trascinavano carponi, strisciavano,sibilavano e volavano sul ponte.Portavano spade di luce e indossavanogli abiti scuri, robusti dei…

« Cacciatori? » disse Jace, talmentestupito che parlò ad alta voce.

«E chi altri?» Un sorriso balenònelle tenebre.

«Malik? Sei tu?»Malik piegò la testa. «Scusami per

prima. Eseguivo degli ordini.»Jace stava per dirgli che avergli

appena salvato la vita compensava am-piamente il suo precedente divieto dilasciare l’Istituto, quando un gruppo di

demoni Raum si scagliò contro di lorofendendo l’aria con i tentacoli.

Malik roteò e corse ad affrontarlicon un grido, la spada angelica che gliardeva come una stella tra le mani. Jacestava per seguirlo, quando una mano loafferrò per il braccio e lo tirò da unaparte.

Era un Cacciatore tutto vestito dinero, il cappuccio calato a nasconderglila faccia. «Vieni con me.»

La mano gli tirava insistentemente lamanica.

«Devo raggiungere Luke. È ferito.»Jace ritirò violentemente il braccio.

« Lasciami. »«Oh, per l’amor dell’Angelo…» La

figura lo lasciò e alzò la mano per tirareindietro il cappuccio del lungo mantello,rivelando un viso stretto e bianco eocchi grigi che brillavano come scagliedi diamanti. «Adesso farai quanto ti sidice, Jonathan?»

Era l’Inquisitrice.Nonostante la velocità vorticosa a

cui volavano attraverso l’aria, Claryavrebbe preso a calci Valentine, seavesse potuto. Ma lui la teneva come seavesse delle bande di ferro al postodelle braccia. I piedi le penzolavanoliberi, ma, per quanto si divincolasse,non sembrava in grado di combinareniente.

Quando il demone virò e cambiò

improvvisamente direzione, Clary lanciòun urlo. Valentine rise. Poi siritrovarono a sfrecciare in uno strettotunnel di metallo che portava a unastanza molto più vasta. Invece di la-sciarli cadere senza tanti riguardi, ildemone volante li depose delicatamentea terra.

Con grande sorpresa di Clary,Valentine la lasciò. Si staccò da lui e sitrascinò incespicando in mezzo allastanza, guardandosi freneticamenteintorno. Era uno spazio ampio, che untempo doveva essere stato la salamacchine. I macchinari erano ancoraallineati lungo le pareti, lasciando unampio spazio centrale. Il pavimento era

di spesso metallo scuro, chiazzato qua elà di macchie nere. In mezzo a quellospazio vuoto c’erano quattro bacinelleabbastanza grandi da lavarci un cane. Laparte interna delle prime due eramacchiata di rosso ruggine scuro. Laterza era piena di un liquido rosso cupo.La quarta era vuota.

Dietro alle bacinelle c’era unacassapanca. Era coperta da una stoffascura. Avvicinandosi, Clary vide chesulla stoffa era adagiata una spadad’argento che emanava una lucenerastra, una sorta di non-luce:un’oscurità luminosa.

Clary ruotò su stessa e fissòValentine, che la guardava

tranquillamente.«Come hai potuto farlo?» domandò.

«Come hai potuto uccidere Simon?Era solo un ragazzo, un… essere

umano…»«Non era umano» rispose Valentine

con la sua voce melliflua. «Eradiventato un mostro. Tu non te neaccorgevi, Clarissa, perché aveva unviso amico.»

«Non era un mostro.» Clary siavvicinò un altro po’ alla Spada. Eraenorme, pesante. Si chiese se sarebbestata in grado di sollevarla… e anche inquel caso, avrebbe saputo brandirla?«Era sempre Simon.»

«Non credere che non capisca la tua

situazione» disse Valentine. Stava rittoimmobile, nell’unico fascio di luce chescendeva dalla botola del soffitto.«Anch’io l’ho vissuta, quando Lucian èstato morso.»

«Me l’ha raccontato» gli dissebruscamente. «Gli hai dato un pugnale egli hai suggerito di uccidersi.»

«Quello è stato un errore.»«Almeno lo ammetti…»«Avrei dovuto ucciderlo con le mie

mani. Così avrei dimostrato di tenere alui.»

Clary scosse la testa. «Ma non l’haifatto. Non hai mai tenuto a nessuno, tu.Nemmeno a mia madre. Nemmeno aJace. Erano solo cose che ti

appartenevano.»«Ma non è questo l’amore, Clarissa?

Possesso? “Il mio diletto è per me e ioper lui” recita il Cantico dei cantici. »

«No. E non starmi a citare la Bibbia.Non credo che tu possa capirla.»

Adesso era molto vicina allacassapanca, l’elsa della spada a portatadi mano. Aveva le dita bagnate di sudoree se le asciugò di nascosto sui jeans.

«Le cose non stanno così. Non è chequalcuno, semplicemente, ti appartiene,è che tu gli doni te stesso. Dubito che tuabbia mai donato qualcosa a qualcuno.Tranne forse degli incubi.»

«Donare te stesso?» Il sorriso sottilenon vacillò. «Come tu hai donato te

stessa a Jonathan?»La mano di Clary, che si stava

sollevando verso la Spada, si chiuse discatto a pugno. Lei la portò di nuovo alpetto. « Che cosa? »

«Pensi che non abbia visto il modoin cui vi guardate? Il modo in cuipronuncia il tuo nome? Puoi anchecredere che io non abbia sentimenti, maciò non significa che non sia capace divederli negli altri.»

Il tono di Valentine era gelido, ogniparola una scheggia di ghiaccio che letrafiggeva le orecchie. «Immagino chedobbiamo incolpare solo noi stessi, tuamadre e io; tenuti separati così a lungo,non avete mai sviluppa-to la repulsione

reciproca che sarebbe più naturale trafratelli.»

«Non so di cosa parli.» Le battevanoi denti.

«Credo di spiegarmi abbastanzabene.» Valentine si era allontanato dallaluce. Nell’oscurità, il suo viso eraappena abbozzato. «Ho visto Jonathandopo che aveva affrontato il demonedella paura, sai. Gli è apparso sotto letue sembianze. Questo mi ha svelatoquanto avevo bisogno di sapere. La piùgrande paura nella vita di Jonathan èl’amore che prova per sua sorella.»

«Non faccio quanto mi si dice» disseJace. «Ma potrei fare quello che vuoi, seme lo chiedi in modo carino.»

L’Inquisitrice sembrò voler alzaregli occhi al cielo, ma aveva dimenticatocome si faceva. «Devo parlarti.»

Jace la fissò. « Adesso? »Gli mise una mano sul braccio.

«Adesso.»«Sei pazza.» Jace spinse lo sguardo

lungo la nave. Sembrava un quadrodell’inferno di Bosch. Le tenebrepullulavano di demoni: si trascinavano,urlavano, emettevano strida e sferravanocolpi con gli artigli e con i denti. INephilim saettavano di qua e di là, learmi risplendenti nel buio. Jace vedevagià che gli Shadowhunters non eranoabbastanza. Neanche lontana-mente.«Non se ne parla… siamo nel bel mezzo

di una battaglia…»La presa ossuta dell’Inquisitrice era

sorprendentemente forte. « Adesso. »Lo spinse, costringendolo a fare un

passo indietro, troppo stupito per farequalcos’altro, e poi un altro, finché nonsi ritrovarono nella rientranza di unaparete. Poi lo lasciò, si frugò nellepieghe del mantello scuro e tirò fuoridue spade angeliche. Ne sussurrò i nomi,oltre a parecchie parole che Jace nonconosceva, e le fece volare sul ponte,una su ciascun lato del ragazzo. Siconficcarono a terra, sprigionando unacortina di luce bianco-azzurra che isolòJace e l’Inquisitrice dal resto della nave.

«Mi stai imprigionando di nuovo?»

chiese Jace fissandola incredulo.«Questa non è una Configurazione

Malachi. Puoi uscirne quando vuoi.»Le sue mani sottili si stringevano

spasmodicamente. «Jonathan…»«Vuoi dire Jace.» Attraverso la

parete di luce bianca non vedeva più labattaglia, ma ne sentiva i rumori, legrida e gli urli. Se girava la testascorgeva solo una piccola porzione dimare che scintillava luminosa come lasuperficie di uno specchio cosparso didiamanti. C’era una dozzina di navilaggiù, gli agili trimarani usati sui laghidi Idris. Barche dei Cacciatori.

«Che cosa ci fai qui, Inquisitrice?Perché sei venuta?»

«Avevi ragione tu» disse lei. «SuValentine. Non ha voluto fare loscambio.»

«Ti ha detto di lasciarmi morire.»Jace si sentì a un tratto stordito.

«Appena ha rifiutato, naturalmente,ho convocato il Conclave e l’ho portatoqui. Io… io devo delle scuse a te e allatua famiglia.»

«Ricevuto» disse Jace. Odiava lescuse. «Alec e Isabelle? Sono qui?

Non saranno puniti per avermiaiutato?»

«Sono qui… e no, non sarannopuniti.» Continuava a fissarlo con occhiindagatori. «Non capisco Valentine. Cheun padre getti via la vita di suo figlio,

del suo unico figlio maschio…»«Già» fece Jace. Gli doleva la testa

e avrebbe voluto che stesse zitta o cheun demone li attaccasse. «È un mistero,è vero.»

«A meno che…»Ora la guardò sorpreso. «A meno

che cosa?»Gli tamburellò con il dito sulla

spalla. «Questa quando te la sei fatta?»Jace abbassò lo sguardo e vide che

il veleno del demone-ragno gli avevabucato la maglietta, lasciandogli a nudobuona parte della spalla. «La maglietta?Da Macy’s. Ai saldi invernali.»

«La cicatrice. Questa cicatrice qui,sulla spalla.»

«Oh, quella.» Jace si meravigliòdell’intensità del suo sguardo. «Nonsaprei. Qualcosa che è successo quandoero molto piccolo, ha detto mio padre.Un incidente. Perché?»

Il fiato sibilò attraverso i dentidell’Inquisitrice. «Non può essere»mormorò. « Tu non puoi essere…»

«Non posso essere cosa?»C’era una nota di incertezza nella

voce di Imogen. «Per tutti quegli anni,mentre crescevi… hai pensatoveramente di essere figlio di MichaelWayland…?»

Jace fu attraversato da una furiaviolenta, resa ancora più dolorosa dallalieve fitta di delusione che

l’accompagnava. «Per l’Angelo» disserabbioso

«mi hai trascinato qui nel bel mezzodella battaglia solo per ricominciare afarmi le stesse dannate domande? Nonmi hai creduto la prima volta e continuia non credermi adesso. E non micrederai mai, malgrado tutto quello cheè successo, anche se ciò che ti ho dettoè la verità. » Puntò il dito verso ciò chestava accadendo oltre la parete di luce.«Dovrei essere là fuori a combattere.Perché mi tieni qui? Perché quando saràtutto finito, sempre che qualcuno di noisopravviva, tu possa andare al Conclavee dire che non ho voluto lottare al tuofianco contro mio padre? Bella prova.»

L’Inquisitrice era diventata ancorapiù pallida di quanto Jace ritenessepossibile. «Jonathan, non è quelloche…»

« Mi chiamo Jace! » gridò.L’Inquisitrice indietreggiò, la boccasemiaperta, come sul punto di direqualcos’altro. Jace non voleva sentirla.Avanzò sbattendola quasi da parte esferrò un calcio a una delle spadeangeliche conficcate nel ponte. Quella sirovesciò e la parete di luce svanì.

Al di là di essa regnava il caos.Sagome scure sfrecciavano da una parteall’altra del ponte, i demoni siarrampicavano sui corpi ammucchiati,l’aria era piena di fumo e di grida.

Cercò di distinguere nella mischiaqualcuno che conosceva. Dov’era Alec?E Isabelle?

«Jace!» L’Inquisitrice gli corseappresso, il viso teso per la paura.«Jace, non hai un’arma, prendialmeno…»

Si interruppe nel vedere un demonespuntare dalle tenebre davanti a Jacecome un iceberg, a pochi metri dallaprua di una nave. Quella notte Jace nonne aveva ancora visti di simili: aveva ilviso raggrinzito e le mani svelte di unoscimmione, ma la lunga coda uncinata diuno scorpione. Gli occhi erano roteanti egialli. Gli sibilava contro attraverso identi spezzati e aguzzi come aghi. Prima

che Jace potesse scansarsi, la sua codascattò in avanti con la rapidità di uncobra all’attacco. Vide l’ago sulla puntaguiz-zargli verso il viso…

E per la seconda volta, quella notte,un’ombra passò tra lui e la morte.

Sguainando un coltello dalla lungalama, l’Inquisitrice gli si gettò davanti,appena in tempo perché l’aculeo discorpione le si conficcasse nel petto.

Lei gridò, ma rimase in piedi. Lacoda del demone si ritrasse con unguizzo, pronta a colpire ancora… ma ilcoltello aveva già lasciato la manodell’Inquisitrice e volava dritto e sicuro.Le rune incise sulla sua lamascintillarono quando recise la gola del

demone. Con un sibilo, come aria chefuoriesca da un palloncino bucato, ilmostro si piegò su se stesso contorcendola coda, e sparì.

L’Inquisitrice si accasciò sul ponte.Jace le si inginocchiò accanto e le miseuna mano sulla spalla, facendolarotolare sulla schiena. Il sangue leinondava il davanti della camicettagrigia. Aveva il viso flaccido e giallo eper un istante Jace pensò che fosse giàmorta.

«Inquisitrice?» Non riusciva achiamarla per nome, neanche adesso.

Imogen sbatté gli occhi e li aprì. Ilbianco si stava già appannando. Congrande sforzo gli fece segno di

avvicinarsi. Jace si piegò su di lei,abbastanza vicino per sentirsi sussurrareall’orecchio con l’ultimo respiro…

«Che cosa?» disse Jace, sconcertato.«Che cosa significa?»

Non ci fu risposta. L’Inquisitrice siera di nuovo afflosciata sul ponte, gliocchi spalancati e fissi, la bocca piegatain quello che sembrava quasi un sorriso.

Jace si sedette sui talloni, stordito econ lo sguardo fisso. Era morta.

Morta a causa sua.Qualcosa lo afferrò per la maglietta

e lo sollevò in piedi. Jace si portò unamano alla cintura, rendendosiimprovvisamente conto che non avevapiù armi, e roteò su se stesso, trovandosi

di fronte due familiari occhi azzurri chefissavano i suoi del tutto increduli.

«Sei vivo» disse Alec… Due breviparole, che però nascondevano unsentimento profondo. Il sollievo sul suoviso era evidente, come la suastanchezza. Nonostante l’aria gelida, ilsudore gli incollava i capelli neri al-leguance e alla fronte. Aveva i vestiti e lapelle striati di sangue e un lungo strapponella manica della giacca corazzata,come se fosse stata squarciata daqualcosa di dentellato e tagliente.Stringeva una guisarma insanguinatanella mano destra e il colletto di Jacenell’altra.

«Così pare» ammise Jace. «Ma non

lo rimarrò a lungo, se non mi daiun’arma.»

Alec diede una rapida occhiata ingiro e lo lasciò, quindi si sfilò una spadaangelica dalla cintura e gliela porse.«Tieni. Si chiama Samandiriel.»

Jace aveva appena preso la spada,che un demone Drevak di media tagliacorse verso di loro emettendo urlaimperiose. Jace sollevò Samandiriel, maAlec aveva già liquidato la creatura conun affondo della sua guisarma.

«Bell’arma» disse Jace, ma Alecguardava oltre lui, la grigia figuraafflosciata sul ponte.

«È l’Inquisitrice? È…»«È morta» disse Jace.

La mascella di Alec si irrigidì. «Cheliberazione. Com’è successo?»

Jace stava per rispondere, ma fuinterrotto da un grido: «Alec! Jace! »

Era Isabelle, che correva verso diloro attraverso il fetore e il fumo.Indossava una giacca scura aderentemacchiata di sangue giallastro. Aveva ipolsi e le caviglie circondate da catenedorate e ornate di rune, e la frustaarrotolata intorno al corpo come un cavodi elettro.

Allargò le braccia. «Jace,pensavamo…»

«No.» Jace indietreggiò,sottraendosi al contatto. «Sono zuppo disangue, Isabelle. Non farlo.

Un’espressione ferità le attraversò ilviso.» Ma ti abbiamo cercato tutti…mamma e papà, loro…

« Isabelle! » gridò Jace, ma eratroppo tardi: un massiccio demone-ragno si impennò dietro di lei e schizzòveleno giallo dalle zanne. Quando illiquido la colpì, Isabelle urlò, ma la suafrusta guizzò con velocità abbagliante,tranciando il demone, che cadde con untonfo sul ponte, tagliato in due metà, escomparve.

Jace si lanciò verso Isabelle propriomentre lei si afflosciava in avanti.

Quando l’afferrò, cullandolagoffamente, la frusta le scivolò di mano.Jace vide quanto veleno l’aveva

raggiunta: era schizzato quasi tutto sullagiacca, ma una parte le aveva colpito lagola e, nei punti in cui era andato asegno, la pelle bruciava e sfrigolava.Isabelle gemeva in maniera appenapercettibile… lei che non mostrava maiil dolore.

«Dalla a me.» Era Alec, che lasciòcadere l’arma e corse ad assistere lasorella. La prese dalle braccia di Jace ela depose delicatamente sul ponte.

Le si inginocchiò accanto, quindi,con lo stilo in mano, alzò lo sguardo suJace. «Tieni a bada chiunque arrivimentre la guarisco.»

Jace non riusciva a staccare gliocchi da Isabelle. Il sangue le sgorgava

dal collo colandole sulla giacca einzuppandole i capelli. «Dobbiamoportarla via dalla barca» disse con voceroca. «Se resta qui…»

«Morirà?» Alec passava la puntadello stilo sulla gola della sorella il piùdelicatamente possibile. «Moriremotutti. Sono troppi. Ci stanno massa-crando. L’Inquisitrice se l’è meritato, ditirare le cuoia… è tutta colpa sua.»

«Un demone Scorpios ha tentato diuccidermi. L’Inquisitrice si è messa inmezzo» disse Jace, chiedendosi perchédifendesse una persona che odiava. «Miha salvato la vita.»

« Davvero? » Lo stupore eraevidente nella voce di Alec. «Perché?»

«Immagino avesse deciso che nevaleva la pena.»

«Ma ha sempre…» Alec siinterruppe e la sua espressione si feceallarmata. «Jace, dietro di te… sono indue…»

Jace piroettò su se stesso. Duedemoni si stavano avvicinando: unDivoratore, col corpo da coccodrillo, identi seghettati e la coda da scorpionepiegata in avanti sopra la schiena, e unDrevak, la pallida pelle biancastra dalarva che luccicava alla luce della luna.Jace sentì Alec, alle sue spalle,sussultare inquieto, poi Samandiriel sistaccò dalla sua mano, ritagliando unatraiettoria argentea nell’aria. Recise la

coda del Divoratore, proprio sotto lasacca pendula del veleno, all’estremitàdel lungo pungiglione.

Il Divoratore urlò. Il Drevak si giròconfuso… e si beccò in piena faccia lasacca del veleno, che si spaccò,inondandolo. Il Drevak emise un lungogrido di stupore e si afflosciò, la testacorrosa fino all’osso. Sangue e velenoschizzarono sul ponte mentre svaniva. IlDivoratore, con il sangue che sgorgavadalla coda mozza, si trascinò qualchepasso più in là e scomparve a sua volta.

Jace si chinò e prese con cautelaSamandiriel. Il ponte di metallosfrigolava ancora nel punto in cui ilveleno del Divoratore lo aveva

inondato, formandovi una sventagliata diforellini simile a un merletto.

«Jace.» Alec si era alzato e tenevaper un braccio la sorella, pallidissimama dritta in piedi. «Dobbiamo portareIsabelle via di qui.»

«Bene» disse Jace. «Pensaci tu. Iovado a occuparmi di quello. »

«Di cosa?» chiese Alec, perplesso.«Di quello» ripeté Jace, e lo indicò.

Qualcosa veniva verso di loro tra ilfumo e le fiamme, qualcosa di enorme,gibboso e massiccio. Cinque volte epassa le dimensioni di ogni altrodemone sulla nave, aveva il corpo co-razzato munito di numerosi arti, ognunodei quali terminava con un artiglio

cosparso di aculei. Aveva i piedi daelefante, grossi e piatti, e la testa di unazanzara gigante. Notò Jace avvicinarsi,gli enormi occhi da insetto e laproboscide pendula color rosso sangue.

Alec rimase senza fiato. «Chediavolo è?»

Jace ci pensò per un attimo.«Qualcosa di grosso» disse infine.«Molto grosso.»

«Jace…»Jace si girò e guardò Alec, e poi

Isabelle. Qualcosa dentro di sé gli disseche quella poteva essere l’ultima voltache li vedeva, eppure non aveva paura,non per se stesso. Avrebbe voluto direqualcosa, magari che li amava, che loro

due contavano per lui molto più di milleStrumenti Mortali e del potere chepotevano procurare. Ma le parole nonvollero venire.

«Alec» si sentì dire. «Porta Isabellealla scala, adesso, o moriremo tutti.»

Alec incrociò il suo sguardo e losostenne per un momento. Poi annuì espinse la sorella che continuava aprotestare verso il parapetto. L’aiutò amontarci sopra e a scavalcarlo e, conimmenso sollievo, Jace vide la sua testascura scomparire via via che scendevala scala. E adesso tu, Alec,

pensò. Va’.Ma Alec non andò. Isabelle,

nascosta alla vista, lanciò un grido

acuto, mentre il fratello saltava giù dalparapetto e atterrava sul ponte dellanave.

La guisarma giaceva nel punto in cuil’aveva lasciata cadere; lei l’afferrò e simosse per mettersi al fianco di Jace eaffrontare il demone che si avvicinava.

Ma non fece molta strada. Mentre siscagliava su Jace, all’improvviso ildemone scartò e si lanciò verso Aleccon la proboscide che ondeggiavafamelica avanti e indietro. Jace piroettòper coprire Alec, ma il ponte di metallosu cui si trovava, deteriorato dal veleno,cedette sotto di lui. Un piede gli rimaseincastrato e Jace cadde pesantemente aterra.

Alec fece appena in tempo a gridareil nome di Jace che il demone gli fuaddosso. Lo trafisse con la guisarma,ficcandogliela profondamente nellacarne. La creatura si rovesciò indietrolanciando un grido stranamente umano,mentre dalla ferita sgorgava un fiotto disangue nero. Alec indietreggiò,allungando la mano verso un’altra arma,proprio mentre l’artiglio del demonefendeva l’aria, atterrandolo sul ponte.Poi la proboscide lo avviluppò.

Da qualche parte, Isabelle gridava.Jace cercò disperatamente di estrarre ilpiede dal ponte; alla fine si liberò,ferendosi con i bordi metallici taglienti,e barcollando si rimise in equilibrio.

Sollevò Samandiriel. La luce balenòdalla spada angelica vivida come unastella cadente. Il demone indietreggiòemettendo un sibilo sommesso.

Allentò la presa su Alec e per unistante Jace pensò che lo avrebbelasciato.

Poi all’improvviso il mostro spinseindietro la testa con sorprendentevelocità e scaraventò via Alec con unaforza immensa. Alec colpì violentementeil ponte viscido di sangue, scivolò… ecadde con un unico grido rauco oltre ilbordo della nave.

Isabelle gridava il nome di Alec; lesue grida erano come chiodi che siconficcavano nelle orecchie di Jace.

Samandiriel ardeva ancora nella suamano. La sua luce illuminava il demoneche avanzava lentamente, lo sguardoluccicante da insetto predatore, ma luiriusciva a vedere solo Alec: Alec checadeva oltre la fiancata della nave, Alecche annegava nella nera acquasottostante. Gli sembrò di sentire inbocca il sapore dell’acqua di mare, oforse era sangue. Il demone gli era quasiaddosso; Jace sollevò la mano chereggeva Samandiriel e la lanciò… ildemone urlò, un acuto latra-to didolore… poi il ponte cedette con unfracasso di metallo che si sgretolava eJace sprofondò nelle tenebre.

capitolo 19

DIES IRAE«Ti sbagli» disse Clary, ma senza

troppa convinzione. «Non sai niente dime o di Jace. Stai solo provando a…»

«A cosa? Sto provando araggiungerti, Clarissa. A farti capire.»L’unico sentimento che Clary percepivanella voce di Valentine era un lievedivertimento.

«Ci stai prendendo in giro. Pensi dipoterti servire di me per fare del ma-le aJace, per questo ti stai prendendo giocodi noi. Non sei nemmeno arrabbiato»aggiunse. «Un vero padre lo sarebbe.»

«Io sono un vero padre. Lo stessosangue che scorre nelle mie vene scorreanche nelle tue.»

«Tu non sei mio padre. Luke lo è»disse Clary stancamente. «Ne abbiamogià parlato…»

«Vedi Luke come un padre solo pervia della sua relazione con tuamadre…»

«La loro relazione?» Clary riseforte. «Luke e mia madre sono amici.»

Per un momento fu certa di vedereun’espressione sorpresa attraversargli ilviso. Ma tutto ciò che Valentine disse fu:«Ah, davvero?» E poi: «Pensi sul serioche abbia passato la vita, Lucian, vogliodire, a tacere, a nascondersi, a fuggire, amantenere lealmente un segreto anche senon lo capiva appieno, solo peramicizia? Per l’età che hai, conosci

molto poco le persone, Clary, e tantomeno gli uomini.»

«Puoi fare tutte le insinuazioni chevuoi su Luke. Non cambierà niente.

Ti sbagli sul suo conto, propriocome ti sbagli sul conto di Jace. Deviaf-fibbiare motivazioni indegne a tuttoquello che fa la gente perché tu capiscisolo questo linguaggio.»

«È questo che Lucian sarebbe seamasse tua madre? Indegno?» domandòValentine. «Che cosa c’è di tanto bruttonell’amore, Clarissa? O nel profondo dite stessa senti che il tuo caro Lucian nonè veramente umano né veramente capacedi sentimenti come noi li intendiamo…»

«Luke è umano come lo sono io»

sbottò Clary. «Tu sei solo un fanatico.»«Oh, no» disse Valentine. «Sono

tutto fuorché un fanatico.» Le si avvicinòun po’ e Clary si spostò davanti allaSpada, coprendogliene la vista.

«Mi giudichi così perché guardi mee il mio operato attraverso la lente dellatua interpretazione mondana delle cose. Imondani creano distinzioni tra loro,distinzioni che a qualsiasi Cacciatoreappaiono ridicole. Le loro distinzionisono basate sulla razza, la religione,l’identità nazionale e su una dozzina dialtri criteri a piacere. Criteri che aimondani sembrano logici, perché,sebbene non possano vedere, capire oriconoscere i mondi dei demoni, sepolta

da qualche parte nei loro ricordi arcaicic’è la consapevolezza che tra coloro checircolano sulla terra ci sono dei diversi.Che non le appartengono, che portanosolo rovina e distruzione. Dal momentoche i mondani non riescono a vedere laminaccia dei demoni, devono attribuirlaad altri della loro stessa specie.Sovrappongono la faccia del loronemico a quella del loro vicino,garantendo in tal modo generazioni diinfelicità.»

Fece un altro passo verso di lei maClary si ritrasse istintivamente; adessoera schiacciata contro la cassapanca. «Ionon sono così» continuò Valentine.«Vedo come stanno veramente le cose. I

mondani, invece, le vedono comeattraverso un vetro, in maniera offuscata,mentre i Cacciatori… noi guardiamo infaccia la realtà. Conosciamo la veritàdel male e sappiamo che, sebbenecircoli tra noi, non è parte di noi. A ciòche non appartiene al nostro mondo nondeve essere permesso di allignarvi, dicrescere come un fiore velenoso e diestinguere ogni vita.»

Clary aveva pensato di prendere laSpada e attaccare Valentine, ma le sueparole la colpirono. La sua voce eracosì dolce, così persuasiva… E i-noltrelei non pensava certo che ai demoni sidovesse concedere di stare sulla terra edi ridurla in cenere, come avevano fatto

con tanti altri mondi…Sembrava quasi logico, quello che

diceva, ma…«Luke non è un demone» disse.«A me sembra, Clarissa» ribatté

Valentine «che tu abbia ben poca espe-rienza di ciò che è o non è un demone.Hai conosciuto alcuni Nascosti che tisono sembrati abbastanza gentili ed èattraverso la lente della loro gentilezzache vedi il mondo. Invece i demoni, aituoi occhi, sono creature spa-ventoseche saltano fuori dall’ombra perattaccare e distruggere. E creature delgenere esistono. Ma ci sono anchedemoni incredibilmente astuti e ri-servati, demoni che circolano tra gli

umani senza essere riconosciuti, indi-sturbati. Eppure io li ho visti compierecose talmente tremende da far sembraremammolette i loro colleghi più bestiali.Una volta, a Londra, conobbi un demoneche si spacciava per un potentefinanziere. Non era mai solo, perciò miera difficile avvicinarmi abbastanza perucciderlo, anche se sapevo cos’era. Sifaceva portare dai suoi servi animali ebambini… qualsiasi cosa fosse piccolae inerme…»

«Smettila.» Clary si tappò leorecchie con le mani. «Non vogliosentire.»

Ma la voce di Valentine continuò aparlare monotona, inesorabile, attutita

ma percepibile. «Li mangiava adagio,nel corso di molti giorni. Aveva i suoitrucchetti, le sue maniere per tenerli invita, nonostante le peggiori se-vizie. Seriesci a immaginare un bambino checerca di strisciare verso di te con metàdel corpo strappata via…»

« Smettila! » Clary si tolse le manidalle orecchie. «Ora basta, basta! »

«I demoni si nutrono di morte,dolore e follia» proseguì Valentine.

«Quando io uccido, è perché devo.Tu sei cresciuta in un paradiso falsa-mente bello, figlia mia, circondato dafragili pareti di vetro. Tua madre hacreato il mondo nel quale voleva viveree ti ci ha allevata, ma non ti ha mai detto

che era un’illusione. E nel frattempo idemoni aspettavano, con le lo-ro armi disangue e terrore, di infrangere il vetro eliberarti dalla menzogna.»

«Sei stato tu a infrangere le pareti»sussurrò Clary. « Tu a trascinarmi intutto questo. Solo tu.»

«E il vetro che ti ha tagliato, ildolore che hai sentito, il sangue? Miaccusi anche di quello? Non sono statoio a metterti in prigione.»

«Smettila. Smetti di parlare e basta.»La testa di Clary ronzava. Avrebbevoluto gridargli: Hai rapito mia madre,hai scatenato tutto questo, è colpa tua!Ma aveva cominciato a capire che cosaintendeva Luke quando diceva che era

impossibile discutere con Valentine. Inun modo o nell’altro le aveva resoimpossibile dissentire da lui senza averel’impressione di stare dalla parte deidemoni che tagliavano a metà i bambinicon un morso. Si chiese come avesseresistito Jace, a vivere tutti quegli anniall’ombra di una personalità cosìesigente, prevaricatrice. Cominciava acapire da dove veniva l’arroganza diJace, la sua arroganza unita al semprevigile controllo delle sue emozioni.

Clary aveva il bordo dellacassapanca alle sue spalle conficcatonelle gambe. Sentiva il freddo emanatodalla Spada, le faceva rizzare i capellisulla nuca. «Cos’è che vuoi da me?»

chiese a Valentine.«Che cosa ti fa pensare che io voglia

qualcosa da te?»«Altrimenti non staresti qui a

parlarmi. Mi avresti dato una botta intesta e adesso aspetteresti il passosuccessivo… qualunque esso sia.»

«Il passo successivo» precisòValentine «prevede che i tuoi amiciCacciatori ti rintraccino e io dica loroche, se vogliono riaverti viva, dovrannodarmi in cambio la lupa mannara. Hoancora bisogno del suo sangue.»

«Non baratteranno mai Maia conme!»

«È qui che ti sbagli» ribattéValentine. «Loro sanno qual è il valore

di un Nascosto paragonato a quello diuna giovane Cacciatrice. Faranno loscambio. È il Conclave a imporlo.»

«Il Conclave? Vuoi dire che… èprevisto dalla Legge?»

«Codificato nella sua stessaesistenza» rispose Valentine. «Adessocapisci? Non siamo così differenti, io eil Conclave, io e Jonathan, e perfino io ete, Clarissa. Abbiamo solo lievidivergenze di idee sul metodo.» Sorrisee fece un passo avanti per coprire ladistanza che li separava.

Muovendosi più svelta di quanto sisarebbe creduta capace di fare, Claryallungò una mano dietro di sé e afferròla Spada dell’Anima. Era pesante come

si aspettava che fosse, tanto pesante cheperse quasi l’equilibrio.

Stendendo un braccio perrecuperarlo sollevò l’arma e puntò lalama dritta contro Valentine.

La caduta di Jace terminòbruscamente quando lui colpì una durasuperficie metallica talmente forte dabattere i denti. Tossì, sentendosi ilsangue in bocca, e si alzò barcollando,dolorante.

Si trovava su una nuda passerella dimetallo di un colore verde smorto.

L’interno della nave era cavo, ungrande locale echeggiante dalle scurepareti metalliche bombate versol’esterno. Alzando lo sguardo, Luke vide

una piccola chiazza di cielo stellatoattraverso il buco fumante nello scafo,molto più in alto.

La pancia della nave era un labirintodi passerelle e scale che sembravanonon condurre da nessuna parte e siintrecciavano l’una sull’altra come lespire di un serpente gigantesco. Facevaun freddo glaciale. Jace vedeva ilproprio fiato fuoriuscire in nuvolettebianche, quando espirava. C’erapochissima luce. Socchiuse gli occhinell’ombra, quindi si frugò in tasca perrecuperare la pietra runica di stregaluce.

Il suo bagliore bianco illuminòl’oscurità. La passerella era lunga, eall’estremità opposta c’era una scala che

conduceva a un livello inferiore. MentreJace la percorreva, qualcosa brillò aisuoi piedi.

Si piegò. Era uno stilo. Non potéfare a meno di guardarsi intorno, quasiaspettandosi che qualcuno simaterializzasse dall’ombra; comediavolo aveva fatto lo stilo di unCacciatore a finire lì? Lo raccolse concautela. Tutti gli stili avevano una speciedi aura, di impronta spettrale dellapersonalità del loro proprietario. Questaprovocò a Jace un guizzo di dolorosaconsapevolezza. Clary.

A un tratto il silenzio fu rotto da unarisata sommessa. Jace si girò infilandolo stilo nella cintura. Al bagliore della

stregaluce distinse una scura sagomaritta all’estremità della passerella. Lafaccia era nascosta nell’oscurità.

«Chi è là?» gridò.Non ebbe risposta, ma solo la

sensazione che qualcuno ridesse di lui.La mano gli andò automaticamente allacintura, ma quando era caduto avevaperso la spada angelica. Era disarmato.

Ma che cosa gli aveva sempreinsegnato suo padre? Se usata in manieracorretta, quasi ogni cosa può diventareun’arma. Si mosse adagio verso lafigura, prendendo nota dei vari dettagliintorno a sé: uno spuntone da afferrareall’occorrenza e dal quale lanciarsi inavanti scalciando, un pezzo di metallo

abbandonato da lanciare contro unavversario, trafiggendogli la schiena.Questi pensieri gli attraversarono latesta in una frazione di secondo, l’unicafrazione di secondo prima che la figurain fondo alla passerella si girasse, icapelli bianchi che scintillavano albagliore della stregaluce, e che Jace loriconoscesse.

Si fermò di colpo. «Padre? Sei tu?»La prima cosa di cui Alec si rese

conto fu il freddo glaciale. La seconda,che non riusciva a respirare. Cercò diinalare aria e il suo corpo fu scosso dauno spasmo. Si raddrizzò a sedere edespulse l’acqua sporca del fiume daipolmoni in un fiotto amaro che lo fece

soffocare e lo lasciò senza fiato.Finalmente respirò, anche se gli

sembrava di avere i polmoni in fiamme.Si guardò intorno ansimando. Era

seduto su una piattaforma di metalloondulato… anzi no, era il cassone di unfurgone, di un pick-up che galleggiava inmezzo al fiume. I capelli e gli abiti diAlec grondavano acqua fredda.

E di fronte a lui era seduto MagnusBane e lo guardava con occhi da gattocolor ambra che balenavano al buio.

Alec cominciò a battere i denti.«Che cosa… cosa è successo?»

«Hai provato a bere l’acquadell’East River» disse Magnus, e fucome se Alec si accorgesse solo allora

che i suoi vestiti erano zuppi,appiccicati al corpo come una secondapelle scura. «E io ti ho tirato fuori.»

Alec si sentiva scoppiare la testa.Cercò tastoni lo stilo nella cintura, maera sparito. Provò a passare in rassegnaquanto era accaduto: la nave infe-statadai demoni, Isabelle che cadeva e Jaceche la afferrava, il lago di sangue sotto ipiedi, il demone che li assaliva…

«Isabelle! Si stava calando giùquando sono caduto…»

«Sta bene. È riuscita a raggiungereuna barca. L’ho vista.» Magnus allungòuna mano verso la testa di Alec. «Tu,d’altro canto, potresti avere unacommozione cerebrale.»

«Devo tornare in battaglia.» Alec glispinse via la mano. «Tu sei unostregone: non puoi, che so, trasportarmiin volo alla nave o qualcosa del genere?E visto che ci sei, sistemarmi lacommozione?»

Magnus, la mano ancora protesa, silasciò ricadere contro la fiancata delpianale. Alla luce delle stelle i suoiocchi erano schegge verdi e dorate, du-re e lisce come gioielli.

«Scusa» disse Alec, rendendosiconto dell’impressione che aveva dato,anche se continuava a pensare cheMagnus doveva capire che per luiraggiungere la nave era vitale. «So chenon sei obbligato ad aiutarci… è un

favore…»«Smettila. Io non ti faccio favori,

Alec. Io faccio delle cose per teperché… be’, perché pensi che lefaccia?»

Qualcosa montò alla gola di Alec,bloccando la sua risposta. Era semprecosì quando si trovava con Magnus. Eracome se ci fosse una bolla di dolore orammarico che viveva nel suo cuore, equando voleva dire qualcosa, qualunquecosa, che sembrasse significativo osincero, la bolla montava e soffocava lesue parole. «Devo tornare alla nave»disse infine.

Magnus sembrava troppo stancoperfino per arrabbiarsi. «Ti aiuterei»

disse. «Ma non posso. Eliminare gliincantesimi difensivi dalla nave è statogià abbastanza duro - è una magia moltoforte, demoniaca - e come se nonbastasse quando sei caduto ho dovutofare un incantesimo al pick-up per nonfarlo affondare nel momento in cui ioavessi perso i sensi. E io perderò isensi, Alec. È solo questione di tempo.»Si passò una mano sugli occhi. «Nonvolevo che annegassi. L’incantesimodovrebbe durare abbastanza dapermetterti di riportare il pick-up aterra.»

«Io… non me n’ero reso conto.»Alec osservò Magnus, che aveva trecen-to anni ma gli era sempre apparso senza

tempo, come se avesse smesso diinvecchiare a diciannove. Adessoprofondi solchi gli incidevano la pelleintorno agli occhi e alla bocca. I capelligli pendevano flosci sulla fronte e laschiena era ingobbita non per il solitoatteggiamento noncurante, ma perautentica sfinitezza.

Alec stese le mani. Erano pallidealla luce della luna, raggrinzitedall’acqua e disseminate da decine dicicatrici argentee. Magnus abbassò losguardo su di esse e poi lo spostònuovamente su Alec, gli occhi offuscatidalla confusione.

«Prendi le mie mani» disse Alec. «Eprendi anche la mia forza. Usane quanta

ne vuoi per… per tenerti su.»Magnus non si mosse. «Pensavo che

tu dovessi tornare alla nave.»«Devo combattere» precisò Alec.

«Ma è quello che fai anche tu, no? Tupartecipi alla battaglia quanto iCacciatori sulla nave… e so che puoiassor-bire un po’ della mia forza, hosentito che gli stregoni lo fanno… perciòte la offro. Prendila. È tua.»

Valentine sorrise. Portava l’armaturanera e guanti rinforzati che luccicavanocome carapaci di neri insetti. «Figliomio.»

«Non chiamarmi così» ribatté Jace,e poi, sentendo che cominciavano atremargli le mani: «Dov’è Clary?»

Valentine continuava a sorridere.«Mi ha sfidato. Ho dovuto darle unalezione.»

« Che cosa le hai fatto? »«Niente.» Valentine si avvicinò a

Jace, abbastanza da toccarlo se avessedeciso di stendere la mano. Non lo fece.«Niente da cui non possa ripren-dersi.»

Jace serrò la mano a pugno in modoche il padre non si accorgesse chetremava. «Voglio vederla.»

«Davvero? Con tutto quello che stasuccedendo?» Valentine alzò lo sguardocome se potesse vedere, attraverso loscafo della nave, la carneficina cheaveva luogo sul ponte. «Pensavo chevolessi combattere con gli altri tuoi

amici Cacciatori. Purtroppo i loro sforzisono vani.»

«Questo non puoi saperlo.»«Lo so. Per ciascuno di loro posso

convocare mille demoni. Neanche ilmigliore dei Nephilim può resistere difronte a questa differenza numerica.

Come nel caso» aggiunse Valentine«della povera Imogen.»

«Come lo…»«Vedo tutto quello che succede sulla

mia nave.» Gli occhi di Valentine sisocchiusero. «Lo sai che è colpa tua se èmorta, vero?»

Jace rimase senza fiato. Sentiva ilcuore che gli martellava come sevolesse strapparglisi dal petto.

«Se non fosse stato per te, nessunodi loro sarebbe venuto qui. Pensavano divenire a salvarti, sai. Se si fosse trattatosolo dei due Nascosti, non si sarebberomai presi la briga.»

Jace se n’era quasi dimenticato.«Simon e Maia…»

«Oh, sono morti. Tutti e due.» Il tonodi Valentine era indifferente, perfinoamabile. «In quanti devono morire, Jace,prima che tu veda la verità?»

A Jace sembrava di avere la testapiena di fumo vorticante. Aveva undolore lancinante alla spalla. «Abbiamogià fatto questo discorso. Ti sbagli,padre. Potrai anche avere ragione suidemoni, potrai anche avere ragione sul

Conclave, ma non è questo il modo…»«Volevo dire» riprese Valentine

«quando vedrai che sei esattamente co-me me?»

Nonostante il freddo, Jace avevacominciato a sudare. «Cosa?»

«Io e te siamo uguali. Come mi haidetto una volta, tu sei quello che io ti hofatto diventare, e io ti ho fatto a miaimmagine e somiglianza. Hai la miaarroganza. Hai il mio coraggio. E haiquella qualità che fa sì che gli altridiano la loro vita per te senza esitare.»

Qualcosa risuonava con insistenzanei recessi della mente di Jace.Qualcosa che lui avrebbe dovuto sapere,o aveva dimenticato… la spalla gli

bruciava… «Non voglio che la gente diala vita per me» gridò.

«No. Tu vuoi. Ti piace sapere cheAlec e Isabelle morirebbero per te. E

anche tua sorella. L’Inquisitrice èmorta per te, non è vero, Jonathan? Eripresente e hai lasciato che lei…»

«No!»«Tu sei esattamente come me… non

c’è da stupirsene, non credi? Siamopadre e figlio, perché non dovremmoassomigliarci?»

« No! » La mano di Jace guizzò eafferrò uno spuntone di metallo contorto.Si ruppe con uno schianto sonoro e glirimase in mano; nel punto in cui si eraspezzato, il bordo era seghettato e

terribilmente acuminato. «Non sonocome te!» gridò, e conficcò lo spuntonedritto nel petto del padre.

Valentine spalancò la bocca.Indietreggiò barcollando con l’estremitàdello spuntone che gli sporgeva dalpetto. Per un istante Jace non poté farealtro che stare a guardare, pensando: Miero sbagliato… è proprio lui.. . PoiValentine sembrò crollare su se stesso, ilcorpo che si sgretolava come sabbia. Sitrasformò in cenere e si dispersenell’aria gelida, riempiendo l’aria diodore di bruciato.

Jace si mise una mano sulla spalla.Nel punto in cui la runa Antipaura si eraconsumata bruciando, la pelle era calda

al tatto. Fu sopraffatto da un gran sensodi debolezza. «Agramon» sussurrò, ecadde in ginocchio sulla passerella.

Jace passò soltanto pochi minutiinginocchiato a terra in attesa che ilbattito impazzito rallentasse, ma gliparvero un’eternità. Quando finalmentesi alzò, aveva le gambe irrigidite dalfreddo e la punta delle dita blu. L’ariacontinuava a puzzare di bruciato,sebbene non ci fosse traccia diAgramon.

Senza mollare il suo spuntonemetallico, Jace si diresse verso la scalaa pioli in fondo alla passerella. Losforzo di scenderla tenendosi con unamano sola gli schiarì le idee. Si lasciò

cadere dall’ultimo piolo e si ritrovò suuna seconda stretta passerella checorreva sul lato di una vasta sala dimetallo. C’erano decine di altrepasserelle, collegate a più livelli allepareti, e un assortimento di tubi emacchinari. Dai tubi provenivano colpiviolenti, e di quando in quando uno diessi emetteva un getto di vapore,sebbene nell’aria permanesse un freddopungente.

Ti sei messo su proprio un belposticino, padre, pensò Jace. I disadorniinterni industriali della nave mal siaccordavano con il Valentine che luiconosceva, meticoloso perfino sul tipodi cristallo di cui dovevano essere fatte

le sue caraffe. Jace si guardò attorno.Era un labirinto, laggiù; non c’e-ra versodi capire in quale direzione andare. Sigirò per scendere anche la scalasuccessiva e notò una macchia rossoscuro sul pavimento di metallo.

Sangue. Ci strofinò sopra la puntadello stivale. Era ancora umido,leggermente appiccicoso. Sangue fresco.Il battito gli accelerò. Mentre avanzavasulla passerella notò un’altra chiazza disangue, e poi un’altra un po’

più in là, come la pista di briciole dipane delle favole.

Jace seguì il sangue facendoecheggiare sonoramente gli stivali sullapasserella di metallo. La disposizione

degli schizzi di sangue era particolare,non come se ci fosse stata una lotta, mapiuttosto come se qualcuno fosse statotrasportato, sanguinante, lungo lapasserella…

Raggiunse una porta. Era fatta dimetallo nero, punteggiata qua e là daammaccature e scheggiature argentee.Intorno al pomello c’era un’improntainsanguinata. Stringendo più forte lospuntone dentellato, Jace spinse la portae la aprì.

Un’ondata di aria ancora più freddalo colpì e lo fece rimanere senza fiato.La stanza era vuota, fatta eccezione perun tubo di metallo che correva lungo unaparete e quel che sembrava un fagotto di

tela da sacco nell’angolo. Una lucefievole entrava da un oblò, in alto sullaparete. Mentre Jace avanzava guardingo,la luce colpì il fagotto informenell’angolo e lui si re-se conto che nonsi trattava di rifiuti, ma di un corpo.

Il cuore cominciò a battergliviolentemente, come una porta apertadurante una tempesta di vento.

Il pavimento metallico eraappiccicoso di sangue. Gli stivali se nestaccavano con uno sgradevole risucchiomentre Jace attraversava la stanza e sicurvava accanto alla figura gettatanell’angolo. Era un ragazzo dai capellicastani con indosso dei jeans e unamaglietta azzurra zuppa di sangue.

Jace prese il corpo per la spalla e losollevò. Quello si rovesciò, floscio emolle, gli occhi castani fissi all’insùincapaci di vedere. A Jace si bloccò ilfiato in gola. Era Simon. Era biancocome un cencio. Aveva un bruttosquarcio alla base della gola edentrambi i polsi tagliati, solcati da dueferite aperte con i bordi irregolari.

Jace crollò in ginocchio continuandoa tenere Simon per la spalla. Pensòdisperatamente a Clary, al suo dolorequando lo avrebbe scoperto, al modo incui aveva stretto le sue mani nelleproprie, a quanta forza c’era in quellepiccole dita. Trova Simon. So che lofarai.

E l’aveva fatto. Ma era troppo tardi.Quando Jace aveva dieci anni, suo

padre gli aveva spiegato tutti i modi peruccidere i vampiri. Impalarli. Tagliareloro le teste e incendiarle, come bizzarrelanterne di zucca. Lasciarli bruciare eridurre in cenere dal sole.

Oppure dissanguarli. Avevanobisogno di sangue per vivere, ne eranoalimentati, come le auto dalla benzina.Guardando la ferita frastagliata nellagola di Simon, non era difficile capireche cosa aveva fatto Valentine.

Jace allungò la mano per chiuderegli occhi a Simon. Se Clary dovevavederlo morto, meglio che non lovedesse così. Abbassò la mano verso il

colletto della maglietta per sollevarlo inmodo da coprire lo squarcio.

Simon si mosse. Le sue palpebretremolarono e si aprirono, gli occhi sirovesciarono mostrando il bianco. Poilui emise un fievole suono gutturale, lelabbra ritratte a mostrare le punte dellezanne da vampiro. Il respiro risuonònella gola recisa.

La nausea montò in fondo alla goladi Jace, la sua mano si strinse sulcolletto della maglietta. Non era morto.Ma, Dio, il dolore doveva essereincredibile. Non poteva guarirlo, nonpoteva rigenerarlo, non senza…

Non senza sangue. Jace lasciò lamaglietta di Simon e si rimboccò la

manica destra con i denti. Servendosidell’estremità dentellata dello spuntonerotto, si praticò un profondo taglio sulpolso nel senso della lunghez-za. Ilsangue sgorgò sulla superficie dellapelle. Jace lasciò cadere lo spuntone,che rotolò tintinnando sul pavimento dimetallo, e sentì nell’aria l’odore acuto,come di rame, del proprio sangue.

Abbassò lo sguardo su Simon, chenon si era mosso. Adesso il sangue gliscorreva lungo la mano, il polso glibruciava. Lo protese sul viso delragazzo a terra, lasciando che il sanguegli gocciolasse dalle dita e si versassesulla bocca di Simon. Nessuna reazione.Simon non si muoveva. Jace si avvicinò;

adesso era in ginocchio sopra di lui, ilfiato che formava sbuffi bianchinell’aria gelida. Si curvò, premette ilpolso sanguinante contro la bocca diSimon. «Bevi il mio sangue, idiota»sussurrò. « Bevilo. »

Per un attimo non successe niente.Poi gli occhi di Simon tremolarono e sischiusero. Jace sentì un’intensa fitta alpolso, una specie di strappo, una fortepressione… poi la mano destra di Simonsi alzò di scatto e gli agguantò il bracciosubito sopra il gomito. La schiena diSimon si inarcò sul pavimento, lapressione sul polso di Jace aumentòmentre le zanne si conficcavano più afondo. Il dolore gli guizzò su per il

braccio. «Okay» disse Ja-ce. «Okay,basta.»

Simon aprì gli occhi. Il bianco non sivedeva più, le iridi marrone scuromisero a fuoco Jace. Aveva un po’ dicolore sulle guance, un rossore intenso,come se avesse la febbre. Le labbraerano leggermente socchiuse, le zannebianche macchiate di sangue.

«Simon?» fece Jace.Simon si alzò. Si mosse con

incredibile velocità, spingendo di latoJace e rotolandogli sopra. Jace sbatté latesta sul pavimento di metallo e si sentìronzare le orecchie mentre i denti diSimon gli affondarono nel collo. Cercòdi divincolarsi, ma le braccia dell’altro

ragazzo erano come sbarre di ferro e loinchiodavano a terra, le dita conficcatenelle spalle.

Simon però non gli stava facendomale, non proprio: il dolore inizial-mente acuto si ridusse a una sorta didebole bruciatura, gradita come potevaesserlo la bruciatura di uno stilo. Unsonnolento senso di pace si insinuò nellevene di Jace, che sentì i muscolirilassarsi; le mani, che un attimo primaprovavano a spingere via Simon, ora lostringevano a sé. Percepiva il battito delproprio cuore, lo sentiva rallentare,mentre i colpi si attutivano edecheggiavano più sommessamente.Un’oscurità scintillante gli scivolò agli

angoli degli occhi, bella e strana. Jacechiuse gli occhi…

Il dolore gli trafisse il collo. Luiansimò e spalancò gli occhi: Simon glisedeva sopra, fissandolo con sguardostupito, la mano sulla bocca. Le sueferite erano scomparse, ma il sanguefresco gli macchiava il davanti dellamaglietta.

Jace avvertiva di nuovo il doloredelle spalle contuse, del taglio sulpolso, della gola trafitta. Non si sentivapiù pulsare il cuore, ma sapeva che glibatteva violentemente nel petto.

Simon si tolse la mano dalla bocca.Le zanne erano scomparse. «Avreipotuto ucciderti» confessò. Aveva un

tono di supplica nella voce.«Te l’avrei lasciato fare» disse Jace.Simon abbassò lo sguardo su di lui,

poi emise un verso dal profondo dellagola. Rotolò via e atterrò sul pavimentocon le ginocchia. Jace scorgeva lo scurodisegno delle sue vene attraverso lapelle sottile della gola, linee ramificateazzurrine e violacee. Vene piene disangue.

Il mio sangue. Jace si alzò a sedere.Cercò a tastoni lo stilo. Passarselo sulbraccio fu come trascinare un tubo dipiombo attraverso un campo da calcio.Quando terminò l’ iratze, appoggiò latesta alla parete dietro di sé respirandoaffannosamente, mentre il dolore lo

abbandonava via via che la runaguaritrice faceva effetto. Il mio sanguenelle sue vene.

«Mi dispiace» disse Simon. «Midispiace tanto.»

Grazie alla runa, la testa di Jacecominciò a schiarirsi e i colpi violentinel petto rallentarono. Lui si alzò inpiedi, con cautela, aspettandosiun’ondata di vertigini, ma si sentiva soloun po’ debole e stanco. Simon eraancora in ginocchio e si guardava lemani. Jace allungò un braccio, lo afferròper la maglietta e lo sollevò. «Nonscusarti» disse, lasciandolo andare. «E

adesso muoviamoci. Valentine haClary e non ci resta molto tempo.»

Nell’attimo in cui le sue dita sichiusero intorno all’elsa di Mellartach,Clary sentì un dardo ardente sfrecciarlesu per il braccio. Valentine la guardavacon un’espressione di moderatointeresse mentre lei rimaneva senza fiatoper il dolore e le si intorpidivano ledita. Strinse disperatamente la spada,che però le scivolò dalle dita e cadderumorosamente a terra ai suoi piedi.

Vide a malapena Valentine muoversi.Un attimo dopo se lo ritrovò di frontecon la Spada in pugno. Clary avevadelle fitte alla mano. Abbassò losguardo e si accorse che lungo il palmosi stava formando una piaga rossa ebruciante.

«Credevi davvero» disse Valentinecon una sfumatura di disgusto nella voce«che ti avrei lasciato avvicinare aun’arma di cui pensavo tu potessiservirti?» Scosse la testa. «Non haicapito neanche una parola di quello cheho detto, vero? A quanto pare dei mieidue figli solo uno sembra in grado dicapire la verità.»

Clary chiuse la mano ferita a pugno,salutando il dolore quasi con gioia.

«Se alludi a Jace, anche lui ti odia.»Valentine brandì la Spada,

portandone la punta all’altezza dellaclavicola di Clary. «Ora basta» disse.

La punta della Spada era acuminata;quando Clary respirò le punse la gola e

un rivoletto di sangue le colò sul petto.Il tocco di Mellartach sembrò riversarledel gelo nelle vene, mandandoleframmenti di ghiaccio pungenteattraverso le braccia e le gambe,facendole intorpidire le mani.

«Sei stata rovinata dall’educazioneche hai ricevuto» disse Valentine.

«Tua madre è sempre stata unadonna cocciuta. All’inizio era una delleco-se che amavo in lei. Pensavo chesarebbe rimasta fedele ai suoi ideali.»

Strano, pensò Clary con una sorta diorrore distaccato, come la prima voltache l’aveva visto, a Renwick, suo padreavesse fatto sfoggio del suo notevolecarisma a beneficio di Jace. Adesso non

se ne curava, e senza la sua patinasuperficiale di fascino, Valentinesembrava… vuoto. Come una statuacava, gli occhi ritagliati a mostrare solol’oscurità al suo interno.

«Dimmi, Clarissa… tua madre ti hamai parlato di me?»

«Mi ha detto che mio padre eramorto.» Non dire altro, si ammonì, maera sicura che lui le avrebbe letto negliocchi il resto della frase. E vorrei cheavesse detto la verità.

«E non ti ha mai detto che eridiversa? Speciale?»

Clary deglutì e la punta della lamaaffondò un po’ di più. Altro sangue legocciolò sul petto. «Non mi ha mai detto

che ero una Shadowhunter.»«Sai perché» chiese Valentine

percorrendo con lo sguardo la Spadafino a lei «tua madre mi ha lasciato?»

Le lacrime bruciavano la gola diClary. Lei emise un suono soffocato.

«Vuoi dire che è stato per una solaragione?»

«Mi ha detto» continuò Valentinecome se lei non avesse parlato «cheavevo trasformato il suo primo figlio inun mostro. E che mi lasciava prima chefacessi lo stesso con la seconda. Con te.Ma era troppo tardi. »

Il gelo in gola e negli arti era cosìintenso che Clary ormai non tremavaneanche più. Era come se la Spada la

stesse trasformando in ghiaccio.«Non può averlo detto» sussurrò.

«Jace non è un mostro. E nemmeno io.»La botola sopra di loro si spalancò e

due sagome scure si lasciarono caderedall’apertura, atterrando proprio dietroa Valentine. La prima, notò Clary conuna viva sensazione di sollievo, eraJace, che fendette l’aria co-me unafreccia scoccata da un arco, sicuro diquale fosse il suo bersaglio.

Atterrò con una leggerezza priva diincertezze. In una mano stringeva unospuntone di acciaio macchiato di sangue,la cui estremità spezzata si eratrasformata in una punta micidiale.

La seconda figura atterrò accanto a

Jace, se non con la stessa grazia, con lastessa leggerezza. Clary scorse ilcontorno di un ragazzo snello con icapelli scuri e pensò: Alec. Fu soloquando lui si raddrizzò e lei riconobbeil viso familiare che si rese conto di chiera.

Dimenticò la Spada, il freddo, lagola dolorante, dimenticò tutto. « Simon!»

Simon la guardò attraverso la stanza.I loro occhi si incontrarono solo per unattimo e Clary sperò che potesseleggerle in viso il sollievo assoluto etravolgente. Le lacrime incombentiarrivarono e le rigarono le guance.

Non si mosse per asciugarle.

Valentine voltò la testa per guardarsialle spalle e la sua bocca si curvò nellaprima espressione di sorpresa sincerache Clary avesse mai visto sul suo volto.Si girò per affrontare Jace e Simon.

Nell’istante in cui la punta dellaSpada lasciò la gola di Clary, il gelodefluì da lei, trascinando con sé tutta lasua forza. Si accasciò sulle ginocchiatremando in maniera incontrollabile.Quando alzò le mani per asciugarsi lelacrime dal viso, vide che aveva lepunte delle dita bianche per un inizio dicongelamento.

Jace la fissò inorridito, quindiguardò il padre. «Che cosa le hai fatto?»

«Niente» rispose Valentine,

riacquistando il controllo di sé. «Perora.»

Con sorpresa di Clary, Jaceimpallidì, come se le parole del padrelo avessero colpito.

«Sono io che dovrei chiederti checosa hai fatto, Jonathan» continuòValentine e, sebbene parlasse al figlio,teneva gli occhi puntati su Simon.

«Perché è ancora vivo? I mortiviventi possono rigenerarsi, ma non senon hanno abbastanza sangue in corpo.»

«Parli di me?» chiese Simon. Claryfece tanto d’occhi. Simon sembravadiverso. Non sembrava un ragazzino chefaceva lo strafottente con un adulto, maqualcuno che sentiva di poter affrontare

Valentine Morgenstern da pari a pari.Qualcuno che era degno di affrontarloda pari da pari. «Ah, giusto, mi hailasciato come morto. Be’, diciamoancora più morto.»

«Zitto.» Jace gli lanciò un’occhiataassassina; i suoi occhi erano scurissimi.«Lascia che sia io a rispondere.» Sirivolse al padre. «Ho fatto bere a Simonil mio sangue. Per non lasciarlo morire.»

Il viso già severo di Valentineassunse dei lineamenti ancora più duri,come se le ossa spingessero attraversola pelle. «Hai fatto bere il tuo sangue aun vampiro di tua spontanea volontà?»

Jace sembrò esitare un momento…lanciò un’occhiata a Simon, che fissava

Valentine con un’espressione di intensoodio. Poi rispose con cautela:

«Sì.»«Tu non hai idea di che cosa hai

fatto, Jonathan» disse Valentine con unavoce terribile. «Nessuna idea.»

«Ho salvato una vita» ribatté ilfiglio. «Una vita che tu avevi provato adistruggere. Questo è quello che so.»

«Non una vita umana» ribattéValentine. «Hai resuscitato un mostroche non farà che uccidere per nutrirsiancora. Quelli della sua razza sonosempre affamati…»

«Anche adesso ho fame» disseSimon, e sorrise scoprendo le zanne cheerano scivolate fuori dalle loro guaine.

Scintillarono bianche e appuntite controil labbro inferiore. «Non midispiacerebbe un altro po’ di sangue. Iltuo probabilmente mi farebbe strozzare,si capisce, velenoso pezzo di…»

Valentine si mise a ridere. «Vorreiproprio vederti provare a farlo, mortovivente. Quando la Spada dell’Anima ticolpirà, morirai bruciato.»

Clary vide gli occhi di Jace posarsisulla Spada e quindi su di lei. Conte-nevano una tacita domanda. Dissesvelta: «La Spada non è statatrasformata. Non del tutto. Non ha presoil sangue di Maia, perciò non haterminato la cerimonia…»

Valentine si girò verso di lei, la

Spada in pugno, e Clary lo videsorridere. La lama sembrò guizzare nellasua mano, e poi qualcosa la colpì… fucome essere travolta da un’onda, spintagiù e poi sollevata contro la propriavolontà e lanciata in aria. Ruzzolò sulpavimento senza potersi fermare finchénon colpì brutalmente la paratia. Siraggomitolò a terra, ansimando perl’affanno e il dolore.

Simon si lanciò di corsa verso di lei.Valentine brandì la Spada dell’Anima,facendo sollevare una cortina di purofuoco ardente il cui calore lo travolse elo fece indietreggiare barcollando.

Clary si sforzò di alzarsi sui gomiti.Aveva la bocca piena di sangue. Intorno

a lei il mondo vacillava e si chiesequanto forte avesse battuto la testa e sestesse per svenire. Si augurò di rimanerecosciente.

Il fuoco si era ritirato, ma Simon eraancora accovacciato sul pavimento.

Valentine lanciò una rapida occhiataa lui e poi a Jace. «Se adesso uccidi ilmorto vivente, sei ancora in tempo adisfare quello che hai fatto.»

«No» sussurrò Jace.«Basta che usi l’arma che tieni in

mano e gliela conficchi nel cuore.» Lavoce di Valentine era dolce. «Unsemplice gesto. Nulla che tu non abbiagià fatto.»

Jace incrociò gli occhi del padre con

sguardo tranquillo. «Ho visto Agramon.Aveva le tue sembianze.»

« Hai visto Agramon?» La Spadadell’Anima scintillò mentre Valentineavanzava alla volta del figlio. «E seisopravvissuto?»

«L’ho ucciso.»«Hai ucciso il Demone della Paura,

ma ti rifiuti di uccidere un vampiro, eperfino su mio ordine?»

Jace rimaneva immobile e fissavaValentine senza espressione. «È unvampiro, è vero. Ma si chiama Simon.»

Valentine si fermò davanti al figlio.La Spada dell’Anima ardeva di unaviolenta luce nera. Per un istanteterribile Clary si chiese se intendesse

tra-figgere Jace sul posto e se Jaceintendesse lasciarglielo fare. «Alloradevo arguire» disse Valentine «che nonhai cambiato idea? Quello che mi haidetto la prima volta che sei venuto quiera la tua ultima parola, o ti penti diavermi disobbedito?»

Jace scosse adagio la testa. Unamano stringeva ancora lo spuntone rotto,ma l’altra, la destra, era alla vita esfilava qualcosa dalla cintura. I suoiocchi, però, non si staccavano daValentine, e Clary non poteva dire sequesto vedesse o meno cosa stavafacendo. Sperava di no.

«Sì» disse Jace «mi pento di avertidisobbedito.»

No! pensò Clary, con un tuffo alcuore. Stava mollando, pensava chefosse l’unico modo per salvare lei eSimon?

Il viso di Valentine si addolcì.«Jonathan…»

«Soprattutto» continuò Jace «perchéconto di rifarlo. Proprio adesso.»

La sua mano si mosse veloce comeun lampo di luce e qualcosa sfrecciò inaria verso Clary e cadde a pochicentimetri da lei, tintinnando e rotolandosul metallo. Clary spalancò gli occhi.

Era lo stilo di sua madre.Valentine scoppiò a ridere. «Uno

stilo? Jace, è uno scherzo? O haifinalmente…?»

Clary non sentì il resto della frase; siissò in piedi ansimando per il doloreche le trafiggeva la testa. Lelacrimavano gli occhi, aveva la vista an-nebbiata; allungò la mano tremante versolo stilo… e quando le sue dita lotoccarono, si sentì in testa una voce,chiara come se sua madre fosse lìaccanto. Prendi lo stilo, Clary. Usalo.Sai cosa fare.

Le sue dita si chiuserospasmodicamente intorno al cilindretto.Lei si mi-se a sedere, ignorandol’ondata di dolore che le attraversò latesta e le scese lungo la spina dorsale.Era una Cacciatrice, e il dolore eraqualcosa con cui doveva convivere.

Sentì vagamente Valentine che lachiamava per nome, sentì i suoi passiavvicinarsi… e si gettò contro laparatia, spingendo lo stilo in avanti contale forza che, quando la sua punta toccòil metallo, le parve di sentire losfrigolio di qualcosa che bruciava.

Cominciò a disegnare. Comesuccedeva sempre quando lo faceva, ilmondo si allontanò e rimasero solo lei,lo stilo e il metallo su cui disegnava. Siricordò di quando era fuori della celladi Jace sussurrando tra sé e sé: Apritiapriti, apriti, e capì che avevaimpiegato tutte le sue forze per creare laruna che ne aveva spezzato i vincoli. Ecapì anche che la forza che aveva messo

in quella runa non equivaleva a undecimo né a un centesimo della forzache stava mettendo in questa. Si sentì lemani bruciare e gridò, mentre facevascorrere lo stilo sulla parete di metallo,lasciandosi dietro una spessa lineasimile a una cicatrice. Apriti.

Tutta la sua frustrazione, tutta la suadelusione, tutta la sua rabbia passaronodalle sue dita allo stilo e alla runa.Apriti. Tutto il suo amore, tutto il suosollievo nel vedere Simon vivo, tutta lasua speranza che potessero ancorasopravvivere. Apriti!

La mano le cadde in grembocontinuando a stringere lo stilo. Per unistante regnò un silenzio assoluto, mentre

tutti - Jace, Valentine, perfino Simon -fissavano insieme a lei la runa cheardeva sulla paratia della nave.

Fu Simon a parlare, rivolto a Jace:«Che cosa dice?»

Ma fu Valentine a rispondere, senzastaccare gli occhi dalla parete. Avevasul viso un’espressione… non era affattol’espressione che Clary si aspettava,un’espressione in cui si mescolavanotrionfo e orrore, disperazione e gioia.«Dice: Mene mene tekel upharsin. »

Clary si alzò barcollando. «Non èvero» sussurrò. «Dice: Apriti. »

Valentine incrociò il suo sguardo.«Clary…»

Lo stridore del metallo soffocò le

sue parole. La parete su cui Clary avevadisegnato, una parete fatta di lastre disolido acciaio, si flesse e tremò. Ibulloni si strapparono dai loroalloggiamenti e la sala fu invasa da gettidi acqua.

La ragazza sentì Valentine gridare,ma la sua voce fu soffocata dal rumoreassordante del metallo divelto da altrometallo, mentre ogni bullone, ogni vite eogni ribattino che teneva insiemel’enorme nave cominciava a strapparsidalla propria sede.

Provò a correre verso Jace e Simon,ma cadde in ginocchio, mentre un’altraondata di acqua si riversava dalla fallache si allargava nella parete. Questa

volta l’onda la travolse, l’acqua gelidala trascinò sotto. Da qualche parte Jacela chiamò, la voce alta e disperata al disopra del cigolio della nave. Clary gridòil suo nome prima di essere risucchiatafuori dalla falla sbrecciata della paratiaed essere trascinata nel fiume.

Si rigirò e scalciò nell’acqua nera.Fu invasa dal terrore, terrore delletenebre cieche e delle profondità delfiume, dei milioni di tonnellate diliquido che la circondavano e laschiacciavano, togliendole l’aria daipolmoni.

Non capiva dov’era il sopra edov’era il sotto e in che direzionenuotare.

Non poté più trattenere il fiato.Aspirò una boccata di acqua sporca, ilpetto che le scoppiava dal dolore, lestelle che le esplodevano dietro gliocchi.

Nelle sue orecchie il suono delleacque impetuose fu sostituito da un cantosonoro, dolce, incredibile. Sto morendo,pensò meravigliata. Due mani pallide siprotesero nell’acqua nera e la attiraronoa sé. Lunghi capelli le flut-tuaronointorno. Mamma, pensò Clary, ma primache potesse vedere con chiarezza il visodella madre, l’oscurità le chiuse gliocchi.

Quando Clary tornò in sé, c’eranovoci che le risuonavano intorno e luci

che le colpivano gli occhi. Era stesasupina sul metallo ondulato del pianaledel pick-up di Luke. Il cielo grigio-nerogalleggiava sopra di lei. Tutt’intornosentiva l’odore dell’acqua del fiume,mescolato a quello di fumo e sangue.Visi bianchi si libravano sopra di leicome palloncini appesi a fili.

Tremolarono, quando sbatté gliocchi, poi divennero distinti.

Luke. E Simon. La guardavanoentrambi dall’alto con aria ansiosa. Perun attimo pensò che i capelli di Lukefossero diventati bianchi; poi, sbattendole palpebre, si rese conto che eranopieni di cenere. In effetti, lo stessovaleva per l’aria, sapeva di cenere,

mentre i vestiti e la pelle erano striati disudiciume nerastro.

Tossì, sentendosi in bocca il saporedi cenere. «Dov’è Jace?»

«È…» Gli occhi di Simon cercaronoLuke, e Clary si sentì stringere il cuore.

«Sta bene, vero?» domandò. Si misea sedere a fatica e un dolore acuto letrafisse la testa. «Dov’è? Dov’è? »

«Ci sono.» Jace apparve nel suocampo visivo, il volto in ombra. Le siinginocchiò accanto. «Mi spiace. Avreidovuto essere qui, quando ti seisvegliata. È solo che…»

Gli si incrinò la voce.«È solo che cosa?» Lei lo fissò.

Illuminati dal chiarore lunare, i suoi

capelli apparivano più argentei chedorati, gli occhi privi di colore. Avevala pelle macchiata di grigio.

«Pensava che fossi morta anche tu»disse Luke alzandosi. Fissava il fiume,qualcosa che Clary non poteva vedere. Ilcielo era invaso da turbini di fumo neroe scarlatto, come fosse in fiamme.

«Anch’io? Chi altro…?» Siinterruppe, assalita da un dolore che lediede la nausea. Jace vide la suaespressione, si frugò nella tasca e tiròfuori lo stilo.

«Tieniti forte, Clary.» Clary sentì undolore bruciante all’avambraccio, poi lasua mente cominciò a schiarirsi. Si misea sedere e vide che si trovava su una

tavola bagnata spinta contro la parteposteriore dell’abitacolo del pick-up. Ilpianale era inondato da qualchecentimetro d’acqua melmosa mescolataa volute di cenere, che scendeva dalcielo in una fine pioggia ne-ra.

Si guardò la parte interna delbraccio, dove Jace le aveva tracciato unmarchio guaritore. La debolezza stavagià diminuendo, come se il fratello leavesse iniettato un fiotto di energia nellevene.

Jace fece scorrere le dita sull’ iratzeche le aveva disegnato sul braccio, poisi ritrasse. La sua mano era fredda ebagnata come la pelle di Clary.

Anche il resto era bagnato: i capelli

e gli abiti zuppi, appiccicati al corpo.Clary sentì un sapore acre in bocca,

come se avesse leccato il fondo di unportacenere. «Che è successo? C’è statoun incendio?»

Jace lanciò un’occhiata a Luke, chefissava il fiume nero-grigio che pal-pitava. L’acqua era disseminata dipiccole barche, ma della nave non c’eratraccia. «Sì» disse. «La nave diValentine è bruciata fino alla linea digalleggiamento. Non ne è rimasto nulla.»

«Dove sono finiti tutti quanti?»Clary spostò lo sguardo su Simon,l’unico di loro a essere asciutto. La suapelle solitamente già pallida aveva unalieve sfumatura verdastra, come se fosse

malato o febbricitante. «Dove so-noIsabelle e Alec?»

«Su una delle barche degliShadowhunters. Stanno bene.»

«E Magnus?» Clary si girò perguardare nell’abitacolo del pick-up, maera vuoto.

«L’hanno chiamato a prendersi curadei Cacciatori feriti più gravemente»rispose Luke.

«Ma stanno tutti bene? Alec,Isabelle, Maia… stanno tutti bene,vero?»

La voce di Clary risuonò sommessae fievole alle sue stesse orecchie.

«Isabelle è stata ferita» disse Luke.«E anche Robert Lightwood. Gli ci

vorrà un bel po’ di tempo per guarire.Molti altri Cacciatori, compresi Malik eImogen, sono morti. È stata una battagliaterribile, Clary, e non è finita bene pernoi. Valentine è sparito. Come la Spada.Il Conclave è a pezzi.

Non so…»Si interruppe. Clary lo fissò. C’era

qualcosa nella sua voce che laspaventava. «Mi dispiace» disse. «Èstata colpa mia. Se non avessi…»

«Se non avessi fatto quello che haifatto, Valentine avrebbe ucciso tuttiquelli che erano sulla nave» intervenneJace con irruenza. «È solo grazie a teche la battaglia non si è trasformata in unmassacro totale.»

Clary lo fissò. «Vuoi dire quello cheho fatto con la runa?»

«Hai mandato in frantumi la nave»disse Luke. «Ogni bullone, ogniribattino, qualunque cosa la tenesseinsieme, si è divelto di schianto. Tutta lanave ha tremato ed è andata in pezzi.Sono andati distrutti anche i serbatoi delcarburante. La maggior parte di noi haavuto a malapena il tempo di saltare inacqua prima che tutto cominciasse abruciare. Quello che hai fatto… Nessunoaveva mai visto niente del genere.»

«Ah» disse Clary sottovoce. «Cisono stati…? Ho ferito qualcuno?»

«Parecchi demoni sono annegati,quando la nave è affondata» rispose

Jace. «Ma nessun Cacciatore è rimastoferito, no.»

«Perché sanno nuotare?»«Perché sono stati salvati. Le ondine

ci hanno tirati tutti fuori dal fiume.»Clary ripensò alle mani protese

nell’acqua, al canto dolce e incredibileche l’aveva avviluppata. Allora non erastata sua madre. «Vuoi dire le fated’acqua?»

«La Regina della Corte Seelie èintervenuta a modo suo» disse Jace. «Ineffetti ci aveva promesso tutto l’aiutoche era in grado di darci.»

«Ma come…» Come l’ha saputo?stava per chiedere Clary, ma ripensòagli occhi saggi e astuti della Regina, e a

Jace che buttava in acqua il pezzo dicarta bianca, dalla spiaggia di RedHook, e preferì tacere.

«Le barche dei Cacciatoricominciano a muoversi» disse Simon,guardando il fiume. «Immagino cheabbiano recuperato tutti quelli che hannopotuto.»

«Già.» Luke raddrizzò le spalle. «Èora di andare.» Avanzò adagio versol’abitacolo… zoppicava, ma per il restoera completamente illeso.

Luke si sedette al posto delguidatore e in un attimo il motore ripresea brontolare. Decollarono sfiorandol’acqua, mentre le gocce sollevate dalleruote spruzzavano il grigio argenteo del

cielo che si andava schiarendo.«È così strano» osservò Simon.

«Continuo ad aspettarmi che il pick-upcominci ad affondare.»

«Non riesco a credere che tu, contutto quello che hai e che abbiamopassato, possa trovare strano questo»disse Jace, ma nel suo tono non c’eratraccia di malizia o irritazione.Sembrava solo molto, molto stanco.

«Cosa accadrà ai Lightwood?»chiese Clary. «Dopo tutto quel che èsuccesso… il Conclave…»

Jace scrollò le spalle. «Il Conclavefunziona in modi misteriosi. Non so cosadecideranno. Ma saranno moltointeressati a te. E a quello che sei

capace di fare.»Simon fece un verso. All’inizio

Clary pensò che fosse di protesta, maguardandolo meglio si accorse che erapiù verde che mai. «Che cosa c’è,Simon?»

«È il fiume. L’acqua corrente non vad’accordo con noi vampiri. È pura e…noi non lo siamo.»

«L’East River è tutto fuorché puro»disse Clary, ma in ogni caso allungò unamano e gli toccò delicatamente ilbraccio. Simon le sorrise. «Non seicaduto in acqua quando la nave si èdistrutta?»

«No. C’era un pezzo della nave chegalleggiava sul fiume e Jace mi ci ha

gettato sopra. Sono rimastoall’asciutto.»

Clary guardò Jace al di sopra dellaspalla. Ora lo vedeva un po’ piùchiaramente; l’oscurità si stavadissolvendo. «Grazie. Pensi…»

Jace sollevò le sopracciglia. «Pensocosa?»

«Che Valentine possa essereannegato?»

«Non credere mai che il cattivo siamorto prima di averne visto il corpo»

disse Simon. «Se vuoi evitareinfelicità e agguati a sorpresa.»

«Non hai tutti i torti» fece Jace.«Secondo me non è morto. Altrimentiavremmo trovato gli Strumenti Mortali.»

«Il Conclave può andare avantisenza di essi? Che Valentine sia morto omeno?» si chiese Clary.

«Il Conclave va sempre avanti»disse Jace. Girò il viso verso oriente.

«Sta sorgendo il sole.»Simon si irrigidì. Clary lo fissò per

un istante, prima in preda allo stupore,poi a un terribile spavento. Si girò perseguire lo sguardo di Jace. Avevaragione… l’orizzonte orientale era unachiazza rosso sangue che si irradiava daun disco dorato. Vide l’orlo del solemacchiare l’acqua attorno a loro disfumature ultraterrene di verde, scarlattoe oro.

« No! » sussurrò.

Jace la guardò stupito, e poi guardòSimon, che, seduto e immobile, fissavail sole che sorgeva come un topo intrappola fissa un gatto. Si alzò in fretta eandò verso l’abitacolo del pick-up.Parlò a bassa voce. Clary vide Lukegirarsi a guardare lei e Simon, poi dinuovo Jace, e scuotere la testa.

Il veicolo balzò in avanti. Lukedoveva aver spinto il piedesull’acceleratore. Clary si aggrappò allafiancata del pianale per mantenersi inequilibrio. Davanti, Jace gridava a Lukeche doveva esserci un modo per farandare più veloce quel dannato affare,ma Clary sapeva che non avrebbero maibattuto l’alba in velocità.

«Deve pur esserci qualcosa…»disse a Simon. Non poteva credere diessere passata dal sollievo all’orrore inmeno di cinque minuti. «Forse, se ticoprissimo con i nostri vestiti…»

Simon continuava a fissare il sole, ilviso cereo. «Un mucchio di stracci nonservirà a niente. Raphael mi haspiegato… ci vogliono dei muri perproteggerci dalla luce del sole. Bruceròattraverso i vestiti.»

«Ma deve pur esserci qualcosa…»«Clary.» Ora lo vedeva bene, alla

luce grigia che precede l’alba, gli occhigrandi e scuri nel viso bianco. Allungòle mani verso di lei. «Vieni qui.»

Gli cadde addosso cercando di

coprire quanto più possibile il suocorpo con il proprio. Sapeva che erainutile. Quando il sole lo avesse toccato,sarebbe andato in cenere.

Rimasero per un istanteperfettamente immobili, abbracciandosia vicenda. Clary sentiva il petto diSimon sollevarsi e abbassarsi -un’abitudine, rammentò a se stessa, nonuna necessità. Simon non respirava, no,ma ciò non impediva che potesse ancoramorire.

«Non ti lascerò morire» disse.«Non credo che tu abbia scelta.» Lo

sentì sorridere. «Non pensavo che sareiriuscito a rivedere il sole. A quanto paremi sbagliavo…»

«Simon…»Jace gridò qualcosa. Clary alzò gli

occhi. Il cielo era inondato di luce ro-sa,come fosse tinta versata nell’acqua.Simon si tese sotto di lei. «Ti amo.

Non ho mai amato altri che te.»Fili dorati guizzarono attraverso il

cielo rosa come venature dorate in unmarmo pregiato. L’acqua intorno a lorosfolgorò di luce e Simon si irrigidì, latesta si rovesciò all’indietro, gli occhiaperti si riempirono d’oro, come sedentro di lui stesse montando del liquidofuso. Sulla pelle gli comparvero lineenere come crepe in una statua distrutta.

« Simon! » gridò Clary. Allungò lamano verso di lui, ma a un tratto si sentì

tirare indietro; era Jace che l’avevaafferrata per le spalle. Cercò didivincolarsi ma lui la tenne più forte; lestava dicendo qualcosa all’orecchio, laripeteva all’infinito, e solo dopoqualche istante lei cominciò a capirlo:«Clary, guarda. Guarda. »

«No!» Clary si portò le mani al viso.Sentiva sui palmi il sapore dell’acquasalmastra che ricopriva il fondo delpianale. Era salata, come lacrime.

«Non voglio guardare. Nonvoglio…»

«Clary.» Le mani di Jace le strinseroi polsi, allontanandole le sue dal viso.La luce dell’alba le ferì gli occhi. «Guarda. »

Clary guardò. E sentì il respirosibilarle stridulo nei polmoni mentrerespirava affannosamente. In fondo alpick-up Simon si stava alzando a sedere,in una chiazza di luce, con la boccaaperta e lo sguardo abbassato su di sé. Ilsole danzava sull’acqua dietro di lui e lepunte dei suoi capelli scintillavanocome oro. Non si era ridotto in cenere,ma sedeva senza alcuna bruciatura nellaluce del sole, la pelle bianca del viso,delle braccia e delle mani priva disegni.

Fuori dall’Istituto stava calando lanotte. Il rosso pallido del tramontobrillava attraverso le finestre dellastanza di Jace, mentre lui guardava le

sue cose impilate sul letto. Il mucchioera molto più piccolo di quanto si eraaspettato. Sette lunghi anni di vita inquel posto e solo questo a testi-moniarlo: mezza sacca di vestiti, unmucchietto di libri e qualche arma.

Aveva riflettuto se al momento dipartire, quella notte, avrebbe dovutoportarsi dietro o meno le poche cosedella tenuta di campagna di Idris cheaveva conservato. Magnus gli avevarestituito l’anello d’argento del padre,che però Jace non si sentiva più diportare. Se l’era appeso a una cateninaintorno al collo. Alla fine aveva decisodi prendere tutto: non aveva sensolasciare qualcosa di sé in quel posto.

Stava sistemando i vestiti nellasacca, quando bussarono alla porta. An-dò ad aprire, aspettandosi di vedereAlec o Isabelle.

Era Maryse. Indossava un severoabito nero e aveva i capelli tiratiindietro con cura. Sembrava più vecchiadi quanto la ricordasse. Due profonderughe le andavano dagli angoli dellabocca al mento. Solo i suoi occhiavevano un qualche colore. «Jace, possoentrare?»

«Puoi fare quello che vuoi» disselui, tornando al letto. «Questa è casatua.» Agguantò una manciata di magliettee le ficcò nella sacca con più forza diquanta fosse necessaria.

«In realtà, è la casa del Conclave»lo corresse Maryse. «Noi ne siamo soloi guardiani.»

Jace ficcò i libri nella sacca. «Fa lostesso.»

«Cosa stai facendo?» Se non avessesaputo che era impossibile, Jaceavrebbe pensato che le tremavaleggermente la voce.

«Le valigie. È quello che fa di solitola gente quando se ne va di casa.»

Maryse impallidì. «Non te neandare. Se vuoi rimanere…»

«Non voglio rimanere. Il mio postonon è qui.»

«Dove andrai?»«Da Luke» rispose Jace, e la vide

indietreggiare. «Per un po’. Poi non loso. Magari a Idris.»

«E pensi che sia quello il tuoposto?» C’era una tristezza dolorosanella sua voce.

Jace smise per un momento di fare ibagagli e abbassò lo sguardo sullasacca. «Non lo so qual è il mio posto.»

«Con la tua famiglia.» Incerta,Maryse fece un passo avanti. «Con noi.»

« Voi mi avete buttato fuori.» Jacesentì l’asprezza della propria voce eprovò ad addolcirla. «Mi dispiace»disse voltandosi a guardarla. «Per tuttoquello che è successo. Ma non mi avetevoluto prima e non riesco a immaginareche mi vogliate adesso. Per qualche

tempo Robert sarà malato; do-vraiprenderti cura di lui. Io sarei solod’intralcio.»

«D’intralcio?» Maryse sembravaincredula. «Robert vuole vederti, Ja-ce…»

«Ne dubito.»«E Alec? Isabelle, Max… hanno

bisogno di te. Se non credi che io tivoglia qui - e in tal caso non possobiasimarti - sappi che loro ti vogliono.

Abbiamo passato un brutto momento,Jace. Non ferirli più di quanto non losiano già.»

«Questo non è giusto.»«Non ti biasimo se mi odi.» Le

tremava davvero la voce. Jace si girò a

guardarla sorpreso. «Ma quello che hofatto, trattarti come ti ho trattato, persinobuttarti fuori, era per proteggerti. Eperché avevo paura.»

«Paura di me?»Maryse annuì.«Be’, questo mi fa sentire molto

meglio.»Maryse fece un profondo respiro.

«Pensavo che mi avresti spezzato ilcuore come aveva fatto Valentine. Dopodi lui, tu sei stato la prima cosa che nonfosse sangue del mio sangue che hoamato. La prima creatura vi-va. Ed erisolo un bambino…»

«Pensavi che fossi qualcun altro.»«No. Ho sempre saputo chi eri. Fin

dalla prima volta che ti vidi scenderedalla nave che veniva da Idris, quandoavevi dieci anni… mi sei entrato nelcuore, proprio come i miei figli quandosono nati.» Maryse scrollò la testa.

«Non puoi capire. Non sei mai statogenitore. Non si ama nessuno come siama un figlio. E niente può renderti piùfurioso.»

«La parte furiosa l’ho notata,eccome» disse Jace dopo un brevesilenzio.

«Non mi aspetto che mi perdoni»disse Maryse. «Ma se rimanessi perIsabelle, Alec e Max, te ne sareigrata…»

Era la cosa sbagliata da dire. «Non

voglio la tua gratitudine» disse Jace, e sigirò di nuovo verso la sacca. Nonrimaneva più niente da infilarci.

Chiuse la zip.« A la claire fontane» fece Maryse «

m’en allant promener. »Si girò a guardarla. «Che cosa?»« Il y a longtemps que je t’aime.

Jamais je ne t’oublierai… è la canzoneche cantavo ad Alec e Isabelle. Quelladi cui mi hai chiesto.»

Ora nella stanza c’era pochissimaluce, e nell’oscurità Maryse glisembrava quasi come quando avevadieci anni, come se non fosse affattocambiata, nei sette anni passati.Sembrava severa e preoccupata,

ansiosa… e speranzosa. Sembraval’unica madre che avesse mai avuto.

«Sbagliavi a dire che non te l’ho maicantata» disse Maryse. «È solo che nonmi hai mai sentito.»

Jace non disse niente, ma allungò lamano e aprì la zip della sacca,rovesciando le sue cose sul letto.

epilogo« Clary! » La madre di Simon era

raggiante nel vedere la ragazza sullasoglia di casa. «Sono secoli che non tifai viva. Cominciavo a preoccuparmiche tu e Simon aveste litigato.»

«Oh, no» fece Clary. «È solo chesono stata poco bene, tutto qui.» Aquanto pare, anche quando si hanno

rune magiche di Guarigione, non si èinvulnerabili. Quando si era svegliata,la mattina dopo la battaglia, non erarimasta sorpresa nello scoprire di avereun mal di testa atroce e un po’ di febbre;aveva pensato di essersi presa unraffreddore (e chi non se lo sarebbepreso dopo essersi congelato per ore eore di notte, al largo, con i vestitifradici?), ma a sentire Magnus la cosapiù probabile era che si fosse strematanel creare la runa che aveva distrutto lanave di Valentine.

La madre di Simon fece schioccarela lingua con aria solidale. «Scommettoche era la stessa forma influenzale cheSimon ha avuto due settimane fa. Poteva

a malapena alzarsi dal letto.»«Ma adesso sta meglio, vero?»

domandò Clary. Sapeva che era vero,ma non le dispiaceva sentirselo dire dinuovo.

«Sta bene. Credo che sia nelgiardino sul retro. Vai, passa dalcancello.»

Sorrise. «Sarà felice di vederti.»Le case a schiera di mattoni rossi

della strada di Simon erano separate dagraziose recinzioni in ferro battutobianco, ognuna con un cancello checonduceva a un giardinetto sul retro. Ilcielo era di un azzurro chiaro e l’ariafredda, malgrado il sole. Clary vipercepiva l’odore caratteristico della

neve in arrivo.Si chiuse il cancelletto alle spalle e

andò a cercare Simon, che era effet-tivamente nel giardino sul retro, steso suuna sdraio di plastica con un fu-mettoaperto in grembo. Quando vide Clarymise da parte il libro, si alzò a sedere esorrise. «Ciao, piccola.»

« Piccola? » Lei gli si appollaiòaccanto sulla sdraio. «Mi stai prendendoin giro, vero?»

«Ci stavo provando. Meglio di no?»«No» disse lei in tono deciso, e si

chinò a baciarlo sulla bocca. Quando sitirò su, le dita di Simon le indugiaronosui capelli, ma i suoi occhi eranopensierosi.

«Sono contento che tu sia venuta.»«Anch’io. L’avrei fatto prima,

ma…»«Sei stata male, lo so.» Clary aveva

passato la settimana a mandarglimessaggi dal divano di Luke, dov’erastata stesa avvolta in una coperta aguardare le repliche di CSI. Eraconfortante passare il tempo in unmondo in cui a ogni mistero si potevatrovare una risposta scientifica.

«Ora sto meglio.» Si guardò intornoe rabbrividì, avvolgendosi piùstrettamente nel cardigan bianco.«Comunque, che ci fai qui fuori conquesto tempo? Non stai congelando?»

Simon scosse la testa. «In realtà non

sento più né il freddo né il caldo. Epoi» la sua bocca si curvò in un

sorriso «voglio passare più tempo cheposso al sole. Durante il giorno mi vieneancora sonnolenza, ma cerco diresistere.»

Clary gli sfiorò la guancia con ildorso della mano. Aveva il viso scalda-to dal sole, ma, sotto, la pelle erafredda. «Ma tutto il resto è sempre…

sempre uguale?»«Vuoi dire se sono ancora un

vampiro? Sì. Pare di sì. Ho ancoravoglia di bere sangue, il cuore continuaa non battere. Dovrò evitare il dottore,ma visto che i vampiri non siammalano…» Fece spallucce.

«E hai parlato con Raphael?Continua a non avere idea del perchépuoi stare al sole?»

«Nessuna. E mi sembra anchepiuttosto seccato.» Simon la guardòsbattendo gli occhi assonnato, come sefossero le due del mattino invece che delpomeriggio. «Credo che sconvolga lesue idee sul corretto andamento dellecose. Inoltre avrà un bel daffare acercare di farmi girare di notte, mentreio sono deciso a girare di giorno.»

«Avrei detto che sarebbe statoelettrizzato dalla cosa.»

«I vampiri non amano i cambiamenti.Sono molto tradizionalisti.» Le sorrise,e Clary pensò: Rimarrà sempre così. Io

avrò cinquanta o sessanta anni, e lui nedimostrerà sempre sedici. Non era unpensiero felice. «Comunque andrà beneper la mia carriera di musicista. Standoai libri di Anne Rice, i vampiri sonorockstar strepitose.»

«Non sono sicura che sia una notiziaaffidabile.»

Simon si stese di nuovo sulla sdraio.«Che cosa lo è? A parte te, si capisce.»

«Affidabile? È questo che pensi dime?» chiese Clary con falsa indigna-zione. «Non è molto romantico.»

Un’ombra attraversò il viso diSimon. «Clary…»

«Cosa? Che c’è?» Clary allungò lamano verso la sua e la strinse. «Stai

usando la tua voce delle brutte notizie.»Simon distolse lo sguardo da lei.

«Non so se sia o no una brutta notizia.»«Tutto può essere l’una o l’altra

cosa. Dimmi solo che stai bene.»«Sto bene. Ma… volevo dirti…

credo che non dovremmo vederci più.»Mancò poco che Clary cadesse dalla

sdraio. « Non vuoi più che siamoamici? »

«Clary…»«È per via dei demoni? Perché ti ho

fatto trasformare in vampiro?» La suavoce si faceva sempre più acuta. «Soche è stata una follia, ma posso tenertilontano da tutto questo. Posso…»

Simon fece una smorfia. «Strilli

tanto che stai cominciando a sembrareun delfino, sai? Smettila.»

Clary la smise.«Voglio ancora che siamo amici. È

dell’ altra faccenda che non sono tantosicuro.»

«Quale altra faccenda?»Simon cominciò ad arrossire. Clary

non sapeva che i vampiri ne fosserocapaci. Il rossore faceva impressionesulla pelle pallida. «La faccenda delragazzo-ragazza.»

Clary rimase in silenzio per un lungoistante, cercando le parole. Alla fi-nedisse: «Almeno non hai detto “lafaccenda dei baci”. Avevo paura che lachiamassi così.»

Simon abbassò lo sguardo sulle loromani intrecciate sulla plastica dellasdraio. Le dita di Clary erano piccolecontro le sue, ma per la prima volta lasua pelle aveva una sfumatura più scura.Le accarezzò distrattamente le nocchecon il pollice e disse: «Non l’avreichiamata così.»

«Pensavo che fosse quello chevolevi» disse Clary. «Mi pareva che tuavessi detto…»

Simon la guardò attraverso le cigliascure. «Che ti amavo? E ti amo. Ma nonè così semplice.»

«È per via di Maia?» Avevanocominciato a batterle i denti, solo inparte per il freddo. «Perché ti piace?»

Simon esitò. «No. Voglio dire, sì, mipiace, ma non come pensi tu. È so-lo chequando sono con lei… so che effetto faavere qualcuno a cui io piaccio davvero.E non è com’è con te.»

«Ma tu non la ami…»«Forse un giorno potrei.»«Forse un giorno anch’io potrei

amare te. »«Se mai lo farai» disse «vieni a

dirmelo. Sai dove trovarmi.»I denti di Clary batterono più forte.

«Non posso perderti, Simon. Non posso.»

«Non accadrà mai. Non ti stolasciando. Ma preferisco avere quelloche abbiamo, reale e autentico e

importante, anziché farti fingerequalcosa di diverso. Quando sono conte, voglio sapere che sono con la vera testessa, con la vera Clary.»

Clary appoggiò la testa contro lasua, chiudendo gli occhi. Le sembravasempre Simon, nonostante tutto; avevaancora il suo odore, come di sapone dabucato. «Forse non so chi sono.»

«Ma io sì.»Quando Clary lasciò la casa di

Simon, chiudendosi il cancello allespalle, trovò il pick-up nuovo di zeccadi Luke in folle, accanto al marciapiedi.

«Mi hai accompagnato. Non dovevianche venirmi a prendere» gli disseissandosi nell’abitacolo accanto a lui.

Era tipico di Luke sostituire il vecchiopick-up ormai distrutto con uno nuovoesattamente identico.

«Perdona l’ansia paterna» disseLuke porgendole un caffè in un bicchieredi plastica. Clary ne bevve un sorso:niente latte e un sacco di zucchero, comepiaceva a lei. «In questi giorni tendo astare un po’ sulle spine quando non seinel mio immediato campo visivo.»

«Ah, sì?» Clary tenne forte il caffèper impedire che si versasse mentreballonzolavano sulla strada piena dibuche. «Quanto pensi che durerà?»

Luke sembrò rifletterci su. «Nonmolto. Cinque, forse sei anni.»

«Luke!»

«Ho in mente di cominciare alasciarti uscire con qualcuno verso itrent’anni, se proprio vuoi saperlo.»

«Non sembra poi così male. In affettipotrei non essere pronta fino aitrent’anni.»

Luke la guardò di traverso. «Tu eSimon…?»

Clary agitò la mano libera. «Nonchiedermelo.»

«Capisco.» Probabilmente era vero.«Vuoi che ti lasci a casa?»

«Stai andando in ospedale, giusto?»Lo capiva dalla tensione nervosa che lesue battute nascondevano. «Vengo conte.»

Erano sul ponte, ormai, e Clary

guardò il fiume stringendo il suo caffècon aria pensierosa. Non si stancava maidi quella vista, lo stretto corso d’acquanel canyon formato da Manhattan eBrooklyn. Scintillava al sole come unfoglio di alluminio. Si chiese perché nonavesse mai provato a di-segnarlo. Siricordò che una volta aveva chiesto asua madre perché non l’avesse mai usatacome modella, perché non avesse mairitratto sua figlia.

“Disegnare qualcosa è provare acatturarlo per sempre” aveva dettoJocelyn, seduta sul pavimento con unpennello da cui le colava del blu cad-mio sui jeans. “Se ami davveroqualcosa, vedrai che non cercherai di

man-tenerlo per sempre così com’è.Devi lasciarlo libero di cambiare.”

Ma io odio i cambiamenti. Fece unprofondo respiro. «Luke. Valentine mi hadetto una cosa, quando ero sulla nave,una cosa su…»

«Mai niente di buono comincia conle parole “Valentine ha detto”» borbottòLuke.

«Può darsi. Ma era su te e miamadre. Ha detto che eri innamorato dilei.»

Silenzio. Erano bloccati nel trafficosul ponte. Clary sentì il rumore dellalinea Q della metropolitana che passavarombando. « Tu pensi che sia ve-ro?»domandò infine Luke.

«Be’…» Clary percepiva ilnervosismo nell’aria e cercò discegliere le parole con cura. «Non lo so.Voglio dire, l’aveva già detto prima el’avevo semplicemente liquidato comerancore o paranoia. Ma poi hocominciato a pensarci, e be’… èpiuttosto strano che tu ci sia semprestato, che mi abbia fatto da padre,d’estate praticamente vivevamo nellafattoria… e poi né tu né mia madre avetefrequentato altre persone. Così hopensato, forse…»

«Hai pensato forse che cosa?»«Forse siete stati insieme tutto

questo tempo e non avete volutodirmelo.

Forse avete creduto che fossi troppopiccola per capirlo. Forse avevate paurache poi avrei cominciato a fare domandesu mio padre. Ma non sono più troppopiccola per capirlo. Puoi dirmelo, ora. Èquesto che sto cercando di farti capire.Che puoi dirmi tutto.»

«Forse non tutto.» Ci fu un altrosilenzio mentre il pick-up avanzava apasso d’uomo nel traffico che procedevalento. Luke socchiuse gli occhi per ilsole tamburellando sul volante. Alla finedisse: «Hai ragione. Sono innamorato ditua madre.»

«Fantastico» disse Clary cercandodi incoraggiarlo, sebbene l’idea dipersone dell’età di sua madre e Luke

innamorate le suscitasse un vago rac-capriccio.

«Ma» concluse Luke «lei non lo sa.»«Non lo sa?» Clary fece un ampio

gesto con il braccio. Fortunatamente, latazza di caffè era vuota. «Come fa a nonsaperlo? Non gliel’hai detto?»

«A essere sincero» rispose Lukepremendo l’acceleratore e facendobalzare in avanti il pick-up «no.»

«Perché no?»Luke sospirò e si strofinò

stancamente il mento coperto di barbacorta e ispida. «Perché non sembravamai il momento giusto.»

«Questa è una scusa che non sta inpiedi, e tu lo sai.»

Luke riuscì a fare un verso a metà trauna risatina e un grugnito seccato.

«Può darsi, ma è la verità. La primavolta che capii che cosa provavo perJocelyn avevo la tua stessa età. Sedicianni. E avevamo appena incontratoValentine. Per lui non rappresentavo unrivale. Ero perfino un po’ contento che,se non era me che voleva, almenosarebbe stato qualcuno che la meri-tavaveramente.» La sua voce si indurì. «Miresi conto troppo tardi di quanto misbagliavo. Quando scappammo insiemeda Idris e lei era incinta di te, mi offriidi sposarla, di prendermi cura di lei.Dissi che non importava chi era il padredel nascituro, l’avrei allevato come se

fosse stato mio.Jocelyn pensò che lo facessi per

pietà. Non riuscii a convincerla che nonavrei potuto essere più egoista. Mi disseche non voleva essermi di peso, chesarebbe stato chiedere troppo, achiunque. Dopo che mi ebbe lasciato aParigi, tornai a Idris, ma ero inquieto,infelice. Mi mancava sempre quellaparte di me, la parte rappresentata daJocelyn. Sognavo che era chissà dove eaveva bisogno del mio aiuto, che miinvocava e io non potevo sentirla.

Alla fine andai a cercarla.»«Ricordo che fu contenta» disse

Clary a bassa voce. «Quando la trova-sti.»

«Lo era e non lo era. Era contenta divedermi, ma al tempo stesso ai suoiocchi rappresentavo il mondo da cui erafuggita e con cui non voleva avere piùniente a che fare. Acconsentì a farmirimanere solo dopo che promisi dirinunciare a ogni legame con il branco,con il Conclave, con Idris, con tutto ilpassato. Le avrei anche proposto ditrasferirmi con voi due, ma Jocelynpensava che sarebbe stato troppodifficile nasconderti le mie tra-sformazioni, e dovetti darle ragione.Comprai la libreria, assunsi un nuovonome e finsi che Lucian Graymark fossemorto. E lo è stato a tutti gli effetti.»

«Hai fatto davvero molto per la

mamma. Hai rinunciato a tutta una vita.»«Avrei fatto di più» disse Luke in

tono pratico. «Ma lei fu assolutamenteirremovibile sul non voler avere niente ache vedere con il Conclave o con ilMondo Invisibile. E per quanto io possafingere, rimango sempre un licantropo.Ero un ricordo vivente di tutto questo. Elei era assolutamente certa di non volereche tu venissi mai a saperne qualcosa.Sai, non ho mai approvato le visite aMagnus, l’alterazione dei tuoi ricordi odella tua vista, ma è quello che voleva, egliel’ho lasciato fare, perché, se avessiprovato a impedirglielo, mi avrebbemandato via. Ed è escluso,categoricamente escluso, che mi avrebbe

permesso di sposarla e di farti da padresenza dirti la verità sul mio conto. Equesto avrebbe rovinato tutto, tutti queifragili muri che aveva provato tantofaticosamente a erigere tra se stessa e ilMondo Invisibile. Non potevo farlequesto. Così sono stato zitto.»

«Vuoi dire che non le hai mai dettocosa provavi?»

«Tua madre non è stupida, Clary»disse Luke. Sembrava calmo, ma c’erauna certa tensione nella sua voce. «Losapeva. Mi sono offerto di sposarla.

Per quanto possano essere statigentili i suoi dinieghi, di una cosa sonosicuro: sa che cosa provo e nonricambia.»

Clary tacque.«Ma non c’è problema» continuò

Luke cercando di sdrammatizzare.«L’ho accettato tanto tempo fa.»Clary aveva i nervi a fior di pelle

per un’improvvisa inquietudine che nonattribuiva alla caffeina. Ricacciòindietro i pensieri sulla propria vita.

«Le hai offerto di sposarla. Ma lehai detto che lo facevi perché la amavi?

Non mi pare.»Luke tacque.«Credo che avresti dovuto dirle la

verità. Credo che ti sbagli sui suoisentimenti.»

«No, Clary.» La voce di Luke erarisoluta: Adesso basta.

«Ricordo che una volta le chiesiperché non vedeva nessuno» disseClary, ignorando il suo tono ammonitore.«Rispose che era perché aveva già datoil suo cuore a qualcuno. Credevo cheintendesse mio padre, ma adesso…adesso non ne sono più tanto sicura.»

Luke sembrava davvero sbalordito.«Ha detto questo?» Si controllò eaggiunse: «Probabilmente intendevaValentine, sai.»

«Non credo.» Clary lo sbirciò con lacoda dell’occhio. «E poi, non lo troviterribile? Non dire mai quello che proviveramente?»

Questa volta il silenzio si protrassefinché non ebbero superato il ponte e

non rombarono per Orchard Street,fiancheggiata da negozi e ristoranti conbelle insegne in tortuosi caratteri cinesirossi e dorati. «Sì, lo trovavo terribile.All’epoca pensavo che quanto avevocon te e tua madre fosse meglio diniente. Ma se non puoi dire la verità allepersone a cui tieni di più, alla fine nonriesci a dirla neanche a te stesso.»

Nelle orecchie di Clary risuonò unrumore come di acqua che scorreva.

Abbassando lo sguardo, vide cheaveva schiacciato la tazza di carta vuotache teneva in mano, riducendola a unapalla irriconoscibile.

«Portami all’Istituto. Per favore.»Luke la guardò sorpreso. «Pensavo

che volessi venire in ospedale.»«Ti raggiungerò quando avrò finito.

Prima c’è una cosa che devo fare.»Il pianterreno dell’Istituto era

inondato di luce del sole e di pallidigra-nellini di polvere. Clary corse lungolo stretto corridoio tra i banchi, siprecipitò verso l’ascensore e spinse ilpulsante. «Avanti, avanti» borbottò.

«Avan…»Le porte dorate si aprirono con un

cigolio. Nell’ascensore c’era Jace. Nelvederla spalancò gli occhi.

«…ti» terminò Clary, lasciandoricadere il braccio. «Oh. Ciao.»

Jace la fissò. «Clary?»«Ti sei tagliato i capelli» disse lei

senza pensarci. Era vero, le lungheciocche bionde non gli ricadevano piùsul viso, ma erano tagliate in manieraordinata e regolare. Lo facevanosembrare più garbato, perfino un po’

più grande. Era anche vestito consobria eleganza, maglione blu scuro ejeans. Qualcosa di argenteo gli brillavaal collo, appena sotto il bordo delmaglione.

Jace si portò una mano alla testa.«Ah, sì. Me li ha tagliati Maryse.»

Bloccò le porte dell’ascensore checominciavano a richiudersi. «Avevibisogno di salire all’Istituto?»

Clary fece segno di no. «Volevo soloparlarti.»

«Oh.» Jace sembrò un po’ sorpreso.Uscì dall’ascensore, lasciandosi ri-chiudere rumorosamente le porte allespalle. «Stavo giusto facendo un salto daTaki a prendere qualcosa da mangiare. Anessuno va di cucinare…»

«Capisco» disse Clary pentendosenesubito. Che i Lightwood avessero o novoglia di cucinare non era proprio affarsuo.

«Possiamo parlare là» disse Jace. Siavviò verso la porta, quindi si fermò e sigirò a guardarla. In piedi tra i duecandelabri accesi, la cui luce gli get-tava una pallida patina dorata sui capellie sulla pelle, sembrava il ritratto di unangelo. Clary ebbe una stretta al cuore.

«Vieni o no?» chiese Jace in tono bruscoe tutt’altro che angelico.

«Ah, giusto. Vengo.» Si affrettò araggiungerlo.

Mentre erano diretti da Taki, Clarycercò di tenere la conversazione lontanada argomenti legati a lei, a Jace, o a leie Jace. Gli chiese piuttosto comestavano Isabelle, Max e Alec.

Jace esitò. Stavano attraversando laFirst Avenue, spazzata da un ventogelido. Il cielo era di un azzurro senzanuvole… insomma, era una perfettagiornata autunnale a New York.

«Già, scusa.» Clary fece una smorfiaper la propria stupidità. «Devonosentirsi decisamente giù di corda. Con

tutte quelle persone uccise checonoscevano.»

«È diverso per noi Shadowhunters»disse Jace. «Siamo guerrieri. Ciaspettiamo la morte in maniera diversada voi…»

Clary non poté trattenere un sospiro.« Mondani. E questo che stavi per dire,non è vero?»

«Sì» ammise lui. «A volte è difficileanche per me distinguere che cosa seidavvero.»

Si erano fermati davanti al locale diTaki, con il tetto concavo al centro e lefinestre oscurate. L’ ifrit di guardiaall’entrata li squadrò dall’alto in bassocon sospettosi occhi rossi.

«Sono Clary.»Jace abbassò lo sguardo su di lei. Il

vento le mandava i capelli sul viso.Allungò la mano e poi la ritrasse, in

maniera quasi assente. «Lo so.»Dentro il ristorantino, trovarono un

séparé d’angolo e ci si infilarono. Illocale era quasi vuoto: Kaelie, lacameriera pixie, era appoggiata con ariaindolente al bancone sbattendopigramente le ali bianco-azzurre. Unavolta lei e Jace stavano assieme. Unpaio di lupi mannari occupavano unaltro séparé. Mangiavano stinchi diagnello crudi e discutevano su chiavrebbe avuto la meglio in uncombattimento: Albus Silente dei libri

di Harry Pot-ter o Magnus Bane?«Albus Silente vincerebbe a mani

basse» diceva il primo. «Ha l’Anatemache Uccide, e quello è tosto.»

Il secondo licantropo feceun’osservazione tagliente. «Ma Silentenon esiste.»

«Credo che neanche Magnus Baneesista» replicò il primo in tono bef-fardo. «Tu l’hai mai incontrato?»

«Che strano» disse Clary scivolandoal suo posto. «Li senti?»

«No. È da maleducati origliare.»Jace studiava il menu, il che diede aClary l’opportunità di studiare lui. Nonti guardo mai, gli aveva detto. Ed eravero. O almeno non lo guardava mai

come avrebbe voluto, con occhiod’artista, perché si sarebbe persa,distratta ogni volta da un dettaglio: lacurva dello zigomo, l’inclinazione delleciglia, la forma della bocca.

«Mi stai fissando» disse Jace senzaalzare gli occhi dal menu. «Perché mistai fissando? C’è qualcosa che nonva?»

L’arrivo di Kaelie al loro tavolo leevitò di rispondere. Come penna, notòClary, la cameriera aveva un ramoscelloargenteo di betulla. Rivolse a Clary unosguardo curioso con i suoi occhi blu.«Avete scelto?»

Presa alla sprovvista, Clary ordinòdelle portate a caso dal menu. Jace

chiese patatine fritte dolci e un certonumero di piatti da impacchettare eportare ai Lightwood. Kaelie se ne andò,lasciandosi dietro un lieve odore difiori.

«Di’ ad Alec che mi dispiace pertutto quello che è successo» disse Claryquando Kaelie non poteva sentirla. «Edi’ a Max che quando vuole lo porterò alPianeta Proibito.»

«Solo i mondani dicono “midispiace” quando quello che intendonoveramente è “condivido il tuo dolore”»osservò Jace. «Non hai colpa di nulla,Clary.» A un tratto i suoi occhi ebberoun lampo di odio. «La colpa è diValentine.»

«Se ho capito bene, non halasciato…»

«Tracce? No. Direi che si è nascostoda qualche parte per finire quello che hainiziato con la Spada. Dopodiché…»Jace fece spallucce.

«Dopodiché cosa?»«Non lo so. È pazzo. È difficile

prevedere le mosse di un pazzo.» Maevitò i suoi occhi, e Clary capì cosastava pensando: Sarà la guerra. Eraquello che voleva Valentine. La guerracontro gli Shadowhunters. E l’avrebbeavuta. Il dubbio era solo dove avrebbesferrato il primo colpo. «In ogni caso,dubito che sia di questo che sei venuta aparlarmi, giusto?»

«Sì.» Adesso che il momento eragiunto, Clary aveva difficoltà a trovarele parole. Si scorse riflessa sullasuperficie argentea del portatovagliolo.

Cardigan bianco, viso bianco,rossore febbrile sulle guance. In effetti,sembrava che avesse la febbre. Se lasentiva anche un po’. «Sono due giorniche voglio parlarti…»

«Ma va’!» La voce di Jace erainsolitamente acuta. «Tutte le volte che tiho chiamato, Luke ha detto che stavimale. Ho immaginato che mi stessievitando. Di nuovo.»

«Non era così.» Le sembrò che tra diloro si aprisse un enorme spazio vuoto,sebbene il séparé non fosse poi così

grande e non fossero seduti tanto lontanil’uno dall’altra. «Avevo una gran vogliadi parlarti. Ti ho pensato incontinuazione.»

Jace fece un verso di sorpresa eallungò le mani al di sopra del tavolo.

Lei le prese, mentre veniva travoltada un’ondata di sollievo. «Anch’io ti hopensato.»

La stretta sulle sue mani era calda,confortante, e Clary si ricordò di co-melo aveva abbracciato a Renwick mentresi dondolava avanti e indietro tenendo inmano il frammento di Portaleinsanguinato che era tutto ciò che glirimaneva dalla sua vecchia vita. «Stavodavvero male. Lo giuro. Sono quasi

morta sulla nave, lo sai.»Jace le lasciò la mano, ma la

fissava, quasi volesse imprimersi il suovi-so nella memoria. «Lo so. Ogni voltache tu stai per morire, sto per morireanch’io.»

Le sue parole le fecero sobbalzare ilcuore nel petto, come se avesse ingoiatouna sorsata di caffeina pura. «Jace. Sonovenuta a dirti che…»

«Aspetta. Lascia parlare me perprimo.» Sollevò le mani come perrespingere le parole che stava perpronunciare. «Prima che tu dicaqualcosa, volevo scusarmi con te.»

«Scusarti? Per cosa?»«Per non averti ascoltato.» Jace si

passò tutte e due le mani tra i capelli eClary notò una piccola cicatrice, unaminuscola linea argentea, sul lato dellagola. «Continuavi a dirmi che nonpotevo avere quello che volevo da te, eio continuavo a farti pressione, a fartipressione e a non darti retta. Volevosoltanto che io e te ce ne infischiassimodi quello che avrebbe detto chiunquealtro.»

A Clary si seccò di colpo la bocca,ma, prima che potesse dire qualcosa,Kaelie fu di ritorno con le patatine perJace e alcuni piatti per lei. Abbassò losguardo su quello che aveva ordinato: unfrappé verde, qualcosa che sembrava unhamburger crudo e un piatto di grilli

affogati nel cioccolato.Non che facesse differenza; aveva un

tale nodo allo stomaco che non potevaneanche prendere in considerazionel’idea di mangiare. «Jace» disse appenala cameriera se ne fu andata. «Tu non haifatto nulla di sbagliato.

Tu…»«No. Lasciami finire.» Jace aveva

gli occhi abbassati sulle patatine, co-mese contenessero i segreti dell’universo.«Clary, devo dirlo adesso o… o maipiù.» Le parole gli ruzzolarono fuori aprecipizio: «Pensavo di aver perso lamia famiglia. E non intendo Valentine.Intendo i Lightwood. Pensavo cheavessero chiuso con me. Pensavo che al

mondo non mi rimanesse altri che te.Io… io ero folle per questa perdita e mela sono presa con te. E

mi dispiace. Avevi ragione.»«No. Sono stata sciocca. Sono stata

crudele con te…»«Avevi tutto il diritto di esserlo.»

Jace alzò gli occhi per guardarla, e a untratto Clary si rammentò stranamente diquando aveva quattro anni ed era sullaspiaggia e s’era messa a piangerequando il vento si levò e fece volar viail castello di sabbia che aveva costruito.Sua madre le aveva detto che se neaveva voglia poteva farne un altro, maquesto non l’aveva fatta smettere dipiangere, perché ciò che aveva creduto

eterno, dopotutto, non lo era: era solofatto di sabbia che si dissolveva al toccodel vento o dell’acqua. «Quello chedicevi era vero. Non viviamo néamiamo nel vuoto. Intorno a noi ci sonopersone che ci vogliono bene e cheverrebbero ferite, o persino distrutte, seci concedessimo di sentire tutto quelloche vor-remmo sentire. Essere cosìsignificherebbe… essere comeValentine.»

Pronunciò il nome del padre con untono così definitivo che a Clary sembròdi sentirsi sbattere una porta in faccia.

«D’ora in poi per te sarò solo unfratello» continuò Jace, e intanto laguardava sperando di vederla contenta,

il che le fece venire voglia di gridareche le stava mandando in pezzi il cuore.«È quello che volevi, non è ve-ro?»

Clary impiegò un bel po’ arispondere, e quando lo fece la sua vocele sembrò un’eco che proveniva damolto lontano. «Sì» disse, e si sentìrisuo-nare le onde nelle orecchie, e gliocchi bruciarle, come per effetto dellasabbia o della schiuma salata. «È quelloche volevo.»

Clary saliva intontita i larghi scaliniche conducevano alle ampie ported’ingresso a vetri del Beth Israel. In uncerto senso era contenta di essere làpiuttosto che in qualsiasi altro posto.Quello che voleva più di ogni altra cosa

al mondo era di gettarsi tra le braccia disua madre e piangere, anche se nonavrebbe potuto spiegarle perchépiangeva. E dal momento che non potevafarlo, sedere accanto al letto dellamadre e piangere le sembrava lamigliore alternativa che le restava.

Da Taki aveva incassato piuttostobene. Aveva persino salutato Jace con unabbraccio al momento di andarsene. Nonaveva cominciato a piangere finché nonera salita sulla metro, e poi si eraritrovata a piangere su tutto quello su cuinon aveva ancora pianto, Jace e Simon eLuke e sua madre e perfino Valentine.Aveva pianto abbastanza forte perchél’uomo che le sedeva accanto le offrisse

un fazzoletto di carta. E lei gli avevagridato: Che cosa hai da guardare,idiota? , perché è così che si fa NewYork. Poi si era sentita un po’ meglio.

Mentre stava per arrivare in cimaalla scala, si rese conto che là soprac’era una donna. Indossava un lungomantello scuro sopra un vestito,decisamente non il genere di roba che sivedeva abitualmente a Manhattan. Ilmantello era di un tessuto vellutato scuroe aveva un ampio cappuccio che lenascondeva il viso. Guardandosiintorno, Clary vide che nessun altro, suigradini o accanto alle porte, sembravafare caso a quell’apparizione. Unincantesimo, dunque.

Raggiunta la cima della scala, sifermò, lo sguardo alzato sulla donna.

Continuava a non scorgerne il viso.Le disse: «Senti, se sei qui per vedereme, dimmi alla svelta che cosa vuoi.Adesso non sono proprio dell’umoregiusto per tutta questa magia e questisegreti.»

Notò che la gente intorno si fermavaa fissare quella ragazza matta cheparlava al vuoto. Represse l’impulso difare loro la linguaccia.

«Va bene.» La voce era gentile,stranamente familiare. La donna alzò lemani e tirò indietro il cappuccio. Unacascata di capelli grigi le si riversòsulle spalle. Era la donna da cui Clary si

era vista fissare nel cortile del CimiteroMonumentale, la stessa donna che liaveva salvati dal coltello di Malikdavanti all’Istituto. Da vicino, Claryvide che aveva il tipo di viso tuttospigoli, troppo a punta per esseregrazioso, ma gli occhi erano di un belcolor nocciola intenso. «Mi chiamoMadeleine. Madeleine Beliefleur.»

«E…?» fece Clary. «Che cosa vuoida me?»

La donna esitò. «Conoscevo tuamadre Jocelyn. Eravamo amiche, aIdris.»

«Non puoi vederla. Niente visite aparte i familiari, finché non siriprenderà.»

«Ma non si riprenderà.»A Clary sembrò che l’avesse

schiaffeggiata. « Che cosa? »«Mi dispiace» disse Madeleine.

«Non intendevo turbarti. È solo che ioso cosa c’è che non va in Jocelyn e oranon c’è nulla che un ospedale mondanopossa fare per lei. Quello che le èsuccesso… se l’è fatto da sola,Clarissa.»

«No. Non capisci. Valentine…»«Lo ha fatto prima che Valentine la

trovasse. Per questo non ha potutostrapparle alcuna informazione. Leiaveva progettato tutto. Era un segreto, unsegreto che ha condiviso solo conun’altra persona, e solo a un’altra

persona ha detto come poteva essereannullato l’incantesimo. Quella personasono io.»

«Vuoi dire…?»«Sì» disse Madeleine. «Voglio dire

che posso mostrarti come svegliare tuamadre.»

RINGRAZIAMENTILa stesura di questo libro non

sarebbe stata possibile senza il sostegnoe l’incoraggiamento del mio gruppo discrittura: Holly Black, Kelly Link, EllenKushner, Delia Sherman, Gavin Grant eSarah Smith. Non avrei potuto fare ameno neppure dell’NB Team: JustineLarbalestier, Maureen Jo-hnson,Margaret Crocker, Libba Bray, CecilCastellucci, Jaida Jones, DianaPeterfreund e Marissa Edelman. Ungrazie anche a Eve Sinaiko e a EmilyLauer per il loro aiuto (e i commentispietati) e a Sarah Rees Bren-nan, peravere amato Simon più di qualsiasi altroal mondo. La mia gratitudine va a tutto

lo staff di Simon&Schuster e WalkerBooks per aver creduto in questi libri.Un grazie speciale alla mia editor,Karen Wojtyla, per tutti i segni con lamatita rossa, a Sarah Payne, per averpermesso modifi-che ben oltre la data discadenza, a Bara MacNeill, per avertenuto d’occhio il nascondiglio dellearmi di Jace, e al mio agente BarryGoldblatt, per avermi detto che facevola stupida quando era il caso. E anchealla mia famiglia: a mia madre, a miopadre, a Kate Conner, a Jim Hill, a miazia Na-omi e a mia cugina Joyce per illoro incoraggiamento. E a Josh, che nonha ancora compiuto tre anni.

FINE