sfida tra classiche: ducati scrambler, moto guzzi...

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NUMERO 342 26 giugno 2018 N.147 PAGINE SUPERBIKE: DOPPIETTA DI REA A LAGUNA SECA Rea vince anche Gara2 del GP degli Stati Uniti WSBK 2018. Completano il podio Davies e Laverty SPECIALE 1968 "NON SAPEVAMO NIENTE" Nel 1968 tutto era diverso, anche per le moto. Si andava in giro senza casco, senza guanti, con piccole cilindrate NICO CEREGHINI: L’AUTOSTRADA È UNA GIUNGLA Torno sull’abbigliamento del motociclista: e questa volta sottolineo che in autostrada, senza i Tutor, i rischi sono tornati altissimi SFIDA TRA CLASSICHE: DUCATI SCRAMBLER, MOTO GUZZI V7, TRIUMPH BONNEVILLE, YAMAHA XSR Pagine 2-31 News: Moto Guzzi V7 III Limited. Beta gamma RR 2019. Ducati Supersport | Guide: Moto d’epoca e registri storici | Speciale 1968: storie di campioni, di chi ha vissuto quel periodo, le moto e l’intervista a Giacomo Agostini | MotoGP: approfondimenti sul GP di Barcellona e il nostro DopoGP | SBK: Speciale GP di Laguna Seca | MXGP: dopo il GP di Lombardia

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NUMERO 34226 giugno 2018N.147 PAGINE

SUPERBIKE: DOPPIETTA DI REA A LAGUNA SECARea vince anche Gara2 del GP degli Stati Uniti WSBK 2018. Completano il podio Davies e Laverty

SPECIALE 1968 "NON SAPEVAMO NIENTE"Nel 1968 tutto era diverso, anche per le moto. Si andava in giro senza casco, senza guanti, con piccole cilindrate

NICO CEREGHINI: L’AUTOSTRADA È UNA GIUNGLATorno sull’abbigliamento del motociclista: e questa volta sottolineo che in autostrada, senza i Tutor, i rischi sono tornati altissimi

SFIDA TRA CLASSICHE: DUCATI SCRAMBLER, MOTO GUZZI V7, TRIUMPH BONNEVILLE, YAMAHA XSRPagine 2-31

News: Moto Guzzi V7 III Limited. Beta gamma RR 2019. Ducati Supersport | Guide: Moto d’epoca e registri storici | Speciale 1968: storie di campioni, di chi ha vissuto quel periodo, le moto e l’intervista a Giacomo Agostini | MotoGP: approfondimenti sul GP di Barcellona e il nostro DopoGP | SBK: Speciale GP di Laguna Seca | MXGP: dopo il GP di Lombardia

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Moto.it Magazine N. 342 Confronti

SFIDA TRA CLASSICHE: DUCATI SCRAMBLER,

MOTO GUZZI V7, TRIUMPH BONNEVILLE, YAMAHA XSR

HANNO LINEE FUORI DAL TEMPO, NON INVECCHIANO MAI. E PRESTAZIONI FACILI, GRAZIE AI MOTORI SOTTO I MILLE CC CHE

CONSUMANO POCO. SONO LE PIÙ AMATE TRA LE MOTO CLASSICHE, COSTANO MENO DI 10.000 EURO. MA LE DIFFERENZE TRA DI LORO SONO ENORMI. LE HA PROVATE CON NOI IL CAMPIONE DI MTB DEL

TEAM BIANCHI, MARCO AURELIO FONTANA

Da nicchia del mercato sono diventate presto un segmento vitale e un au-tentico fenomeno, che su-pera i confini del mondo dei motociclisti duri e puri.

Le moto classiche piacciono ai motocicli-sti esperti, stanchi delle super potenze, ma anche a chi motociclista non è, e finalmen-te può scegliere mezzi eleganti, adatti un po’ a tutto. E che non invecchiano mai: è questa una delle virtù più apprezzate delle moto classiche.Abbiamo messo a confronto qui le più amate in Italia. Definirle "entry level" non

D ci pare rispettoso dei loro contenuti. Sono infatti moto per nulla povere nelle finiture e nelle dotazioni. Sono tutte sotto i mille cc e i 10.000 euro (anche abbondantemente), consumano poco e sono facilissime da con-durre in tutte le condizioni. Con noi le ha provate il campione olimpio-nico di mountain bike, Marco Aurelio Fon-tana (Team Bianchi). E’ un grande appassionato di moto (fa en-duro ed è pure velocissimo!), ma non è af-fatto insensibile allo stile e al buon gusto quando si sale in sella. Ecco cosa ne pensa il Pro Rider di queste classiche intramonta-bili (video sopra).

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DUCATI SCRAMBLER ICONQuando è nata ha diviso il popolo dei du-catisti. C’è stato chi ha protestato per le libertà tecniche che a Bologna si sono concessi (una Scrambler bicilindrica?!) e chi invece ha accolto a braccia aperte un modello più accessibile e modaiolo rispetto allo standard delle moto di Borgo Panigale. Ducati, non a caso, ha scelto di definire con Scrambler un vero e proprio brand a sè stante, più scanzonato e orientato ad un pubblico che con le Ducati dure e pure avrebbe potuto, o voluto, avere poco a che fare. Ed è stato un successo, perché la Land of Joy ha solleticato le corde di giovani e meno giovani in grande quantità.’ispirazione viene senza dubbio dalle Scrambler 250, 350 e 450 (e anche 125, nonostante pochi se le ricordino) nate nel 1962, con una sostanza però radicalmen-te diversa e nettamente più moderna, pur se profondamente legata alla storia Duca-ti. Se le sovrastrutture – serbatoio in pri-mis – richiamano l’estetica della Scrambler originale, il motore è quel Desmodue da 800 cc, leggermente rivisto, che ha spinto

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tutta una generazione di Monster raffred-data ad aria, e che affonda le sue radici in quella Pantah creata dall’Ingegner Taglio-ni. Scrambler 800 è spinto dal già citato bicilindrico a V di 90°, leggermente rivisto nelle finiture esterne e con distribuzione meno spinta, con gli 11° di incrocio valvo-le divenuti ormai un marchio di fabbrica Ducati. La potenza massima si attesta a 75 cv a 8.250 giri, e la coppia a 68 Nm a 5.750.Il comparto sospensioni conta su unità KYB ad escursione relativamente lunga – 150 mm – con una forcella a steli rovesciati da 41 mm e monoammortizzatore, privo di leveraggi progressivi, montato in posizio-ne asimmetrica e dotato di regolazione del

precarico. L’impianto frenante conta su un disco anteriore da 330 mm con pinza ra-diale a 4 pistoncini, e un’unità da 245 mm: il tutto naturalmente controllato dal siste-ma ABS. La gommatura conta su una for-nitura Pirelli MT60RS nelle misure 110/80 – 18” e 180/55 – 17”.La posizione di guida di Scrambler è un po’ strana, quasi sconcertante, e fedelissima a quella della Scrambler originale. Alta e larghissima di manubrio, con pedane relativamente avanzate e una sella bassa (790 mm) e comoda, è pensata per esse-re sfruttabile anche da chi non abbia trop-pa esperienza e consentire anche qualche escursione su sterrato. Pronta e reattiva, la Scrambler Icon è una

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moto che ha voglia di giocare.Bella e vivace l’erogazione, ha la cavalleria giusta per divertirsi senza troppi pensieri – state solo più lontano possibile dall’au-tostrada, perché la posizione di guida e la totale esposizione all’aria la rendono davvero faticosa nei lunghi trasferimenti a velocità costante. Per contro, vale la pena di segnalare come sia sparita praticamente del tutto la fastidiosa sensibilità dell’acce-leratore ride-by-wire, che rendeva (sulle prime versioni) praticamente impossibile la marcia a velocità costante: adesso giocare con i suoi 75 cv è sempre bello e godibi-le, anche perché sul misto si tengono ritmi davvero interessantissimi.

La ciclistica infatti è di quelle sane, come nelle migliori Ducati, ma molto facile sia nella guida disimpegnata che in quel-la sportiva. Buona la luce a terra, ottimo per una moto di questa categoria il fee-ling sull’avantreno, potente e progressivo l’impianto frenante e ben armonizzato il comportamento della ciclistica. Insomma, c’è tutto per divertirsi, e tan-to, fra le curve, a patto che il fondo non sia troppo sconnesso, perché la rigidità della sospensione posteriore, che sente la mancanza di leveraggio progressivo, la rende precisa e agile nella guida dinami-ca ma anche salterina quando l’asfalto si fa rovinato.

DUCATI SCRAMBLER ICON8.790 EURO

PESO IN ORDINE DI MARCIA 186 Kg CILINDRATA 803 ccTEMPI 4CILINDRI 2RAFFREDDAMENTO ad ariaAVVIAMENTO elettricoALIMENTAZIONE iniezioneFRIZIONE multidiscoPOTENZA 75 cv - 55 kw - 8.250 giri/minCOPPIA 7 kgm - 68 nm - 5.750 giri/minEMISSIONI Euro 4CAPACITÀ SERBATOIO 13,5 Lt ABS SìPNEUMATICO ANTERIORE 110/80 ZR18PNEUMATICO POSTERIORE 5,50" x 17"

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MOTO GUZZI V7 STONECom'è fatta? Come una V7, ovviamente. La Moto Guzzi è la più classica fra le classi-che: è quella che, solo a guardarla, richia-ma alla memoria la progenitrice. Perché l’estetica, volutamente, è rimasta quella, grazie a due icone di stile come il serbatoio da ben 21 litri, di fatto immu-tato nella (riuscitissima) sagoma rispetto a quello dell’antenata e – soprattutto – il bicilindrico a V trasversale, che da decen-ni è il simbolo delle Moto Guzzi in tutto il mondo. Già, perché la V7, in questo grup-po, è sicuramente la più fedele alla defini-zione di “classica”, perché a differenza di tanti altri modelli che degli antenati hanno mantenuto nome, ma non certo sostanza – o quantomeno una certa coerenza filo-logica e filosofica – se un possessore della prima, epocale Moto Guzzi V7 viaggiasse nel tempo e arrivasse nel 2018, riconosce-rebbe con pochissima fatica la V7-III come lo stesso modello, sia pure profondamente aggiornato. Ma andiamo con ordine. In questa terza re-visione, la V7 moderna ha ricevuto più di un aggiornamento nella sostanza. Partia-mo dal telaio, mutuato dalla V9, contraddi-stinto da nuove geometrie che cambiano la guida. Modifica che si porta con sè pedane – sia del pilota che del passeggero – diver-se nella collocazione, che quindi cambiano la posizione di guida rispetto alla V7-II.Il comparto sospensioni non riserva invece sorprese, con la forcella KYB dotata di steli da 40 mm e la coppia di ammortizzatori posteriori, tutti non regolabili. Il gruppo frenante conta su un disco singolo da 320 mm all’avantreno, e su un’unità da 260 mm al retrotreno, con pinze Brembo rispettivamente a quattro e due pistoncini, gestiti da un’ABS a due canali. I cerchi a razze calzano pneumatici da 100/90 – 18” all’avantreno e da 130/80 – 17” al retrotreno.Il motore è il già citato bicilindrico a V di 90° da 744 cc con distribuzione a due val-vole per cilindro e comando ad aste e bilan-

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cieri, immutato nello schema ma anch’esso aggiornato grazie al recepimento di diverse soluzioni introdotte con la V9. Aumenta un po’ la potenza, che sale a 52 cv a 6.200 giri, con 60 Nm di coppia a 4.900; valori resi più sfruttabili dall’adozione di una diversa rapportatura per prima e sesta. Rimane invariata, rispetto al modello pre-cedente, la dotazione elettronica, con Trac-tion Control MTC e la strumentazione inter-facciabile con la piattaforma MG-MP (Moto Guzzi Multimedia Platform) che consente di configurare e monitorare aspetti fin troppo dettagliati per una vera classica. Si sale – anzi, si scende – in sella e ci si trova in posizione comoda, rilassata, ma allo stesso tempo capace di garantire il giusto controllo sulla V7-III. Braccia e gambe “ca-dono” esattamente dove devono stare, po-sizionandosi su manubrio e pedane. La sella

larga, piatta e lunga accoglie davvero bene piloti di tutte le taglie, e solo la tradiziona-le sporgenza dei cilindri può determinare qualche scomodità per i più alti, che si tro-veranno a combattere… fastidiose interfe-renze con le ginocchia.Il motore gira pigro e sornione, ma ingan-na: sembra di andare piano e invece la sua natura maschera la giusta sostanza, come si constata rapidamente tenendo d’occhio il tachimetro. Aprendo il gas – la corsa lunga richiede un po’ di abitudine, così come lo stacco netto della frizione, che però migliora lavoran-do un po’ sul registro – si fa strada senza drammi, con una pastosità che rende deci-samente superflua la presenza del control-lo di trazione su fondi che non siano quelli viscidi e traditori degli ambienti urbani.Se c’è un aspetto che colpisce della V7-III è

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sicuramente l’armonia: motore e ciclistica lavorano in magica sintonia, definendo una guida rotonda e… classica. Si guida rilassati anche sfruttando bene le potenzialità offerte dalla Moto Guzzi, più elevate di quanto non sia lecito pretendere da un modello tanto marcatamente classi-co, avendo solo cura di non chiedere trop-po ai freni – la forcella protesta se si stac-ca forte – e di prendere prima le misure alla luce a terra. Fatto questo, ci si diverte come forse non ci si aspetterebbe. Ed è sicuramente la più comoda delle quattro per le passeggiate in coppia.

MOTO GUZZI V7 III STONE7.990 EURO

PESO IN ORDINE DI MARCIA 209 Kg CILINDRATA 744 ccTEMPI 4CILINDRI 2RAFFREDDAMENTO ad ariaAVVIAMENTO elettricoALIMENTAZIONE iniezioneFRIZIONE multidiscoPOTENZA 52 cv - 38 kw - 6.200 giri/minCOPPIA 6 kgm - 60 nm - 4.900 giri/minEMISSIONI Euro 4CAPACITÀ SERBATOIO 21 Lt ABS SìPNEUMATICO ANTERIORE 100/90/18"PNEUMATICO POSTERIORE 130/80/17"

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TRIUMPH STREET TWINSi chiama solo Street Twin, ufficialmente, ma è una Bonneville a tutti gli effetti. Solo più moderna e con un look più fresco, an-che se fedele alle linee classiche del mo-dello. Diventa più grintosa, la Street Twin, in primis grazie al bel motorone, il bicilin-drico (ora raffreddato a liquido) frontemar-cia da 900 cc, mica per niente ribattezzato Hi-Torque: la coppia di 80 Nm si scatena già a 3.200 giri, e anche se i cavalli non sono molti - 55 a 5.900 giri - lo spun-to, l'allungo e anche il rumore di scarico (anche l'orecchio vuole la sua parte!) sono piacevolmente corposi.Il profilo è quello classico degli Anni 60, ma sottopelle questa Bonnie, ci piace co-munque chiamarla così, ha una serie di chicche tecnologiche che la mettono un gradino sopra la concorrenza: c'è l'accele-

ratore Ride by Wire, il controllo di trazione (disinseribile trafficando con il computer di bordo, non c'è un tasto dedicato sul manu-brio), la frizione assistita e antisaltellamen-to. C'è anche la presa USB sotto la sella.Il telaio è un doppia culla in acciaio, le sospensioni sono semplici ma efficaci: ab-biamo una forcella tradizionale da 41 mm, irrinunciabilmente coperta dai soffietti in gomma, e un doppio ammortizzatore po-steriore, entrambi con 120 mm di escursio-ne. La frenata è affidata a un disco anterio-re da 310 mm e a uno posteriore da 255, ovviamente con ABS di serie.I cerchi in lega con finitura nera, 18 pollici davanti 17 dietro, calzano gli ottimi Pirel-li Phantom rispettivamente nelle misure 100/90 e 150/70.Il serbatoio da 12 litri garantisce una per-correnza di circa 350 chilometri, perché, se

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la si guida con la gentilezza che merita, la Street Twin arriva tranquillamente a per-correre 30 chilometri con un litro di carbu-rante. Se invece la strapazzate, come ab-biamo fatto noi, potete comunque contare su una buona autonomia e un consumo di 4 litri per 100 chilometri.Tutti i pro ve li abbiamo raccontati, ma questa modern classic ce lo avrà qualche difetto? Sì e no, a dire il vero, come ad esempio la sella: è molto bassa, perché a soli 75 centimetri da terra e quindi perfetta per chi comincia e per chi non ha gran-di stacchi di coscia, ma non per i più alti, che rischiano di trovarsi in una posizione di guida un pelo sacrificata e con le gambe troppo piegate.Poi c'è il peso: 198 chili a secco sono tanti, ma solo sulla scheda tecnica perché, come vedremo nella parte dinamica della prova, non si avvertono affatto durante la guida, grazie anche al baricentro molto basso. Ultima ma non ultima, la strumentazione:

chiara, leggibile, compatta e con tante in-formazioni, manca però del contagiri, e a noi motociclisti, si sa, piace vedere quella lancettina che sale col rombo del motore.Detto questo, mettiamo in moto la nostra bella Bonneville e vediamo come si com-porta, che c'è una sfida in ballo! Come precedentemente sottolineato, la sella della Street Twin è davvero bassa, il serbatoio piccolo, il manubrio stretto, e la posizione in sella risulta quindi molto rac-colta: comoda e piacevole se non superate il metro e ottanta, un po' rannicchiata se siete degli spilugoni.Buono lo spazio per il passeggero, la Bon-nie è perfetta per le gite in due, per go-dersi la strada e la guida senza esagerare: non particolarmente svelta nello stretto e con una frenata buona ma non da staccata ai cinquanta metri, va guidata esattamen-te per quello che è: una motina per bene, una vera inglesina.Il motore regala gran gusto: corposo, pie-

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no, dallo spunto sempre pronto, è godurioso a tutte le andature. La frizione di burro e il cambio preciso e per nulla rumoroso fan-no il resto ai fini di una guida spensiera-ta, insieme alle gomme Pirelli Phantom che trasmettono sempre un bel feeling, anche sul bagnato. Le sospensioni sono tarate per garantire comfort nella guida di tutti i gior-ni, e riescono perfettamente nel loro intento anche su pavé e buche, per questo la Sreet Twin risulta essere un'ottima compagna an-che per il casa-lavoro, dove non avrà alcun problema a divincolarsi tra le auto al pari di uno scooter. Nelle percorrenze un po' più lunghe e scor-revoli, invece, nessuna vibrazione e men che meno incertezza nella stabilità. Prote-zione dall'aria? Ovviamente non pervenuta, questa è una moto da vento in faccia!Ed è dunque questa Street Twin una vera Bonneville, nonostante le indispensabili in-novazioni ben mascherate dal look vintage? Sì. E non appena in sella, guardandosi nelle vetrine, ci si sente subito nel 1959...

TRIUMPH STREET TWIN 9008.900 EURO

PESO A SECCO 198 Kg CILINDRATA 900 ccTEMPI 4CILINDRI 2RAFFREDDAMENTO a liquidoAVVIAMENTO elettricoALIMENTAZIONE iniezioneFRIZIONE multidiscoPOTENZA 55 cv - 41 kw - 5.900 giri/minCOPPIA 8 kgm - 80 nm - 3.200 giri/minEMISSIONI Euro 4CAPACITÀ SERBATOIO 12 Lt ABS SìPNEUMATICO ANTERIORE 100/90-18"PNEUMATICO POSTERIORE 150/70 R17"

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YAMAHA XSR700Linea classica, meccanica super moder-na. La osservi e pensi che è proprio furba questa XSR700. Non è la moto da hipster e non è una moto in stile land of joy. È una Yamaha moderna, che richiama lo stile classico della Casa giapponese, rivi-sto sotto la lente del grande customizer Shinya Kimura. La XSR 700 condivide con la MT-07 il motore bicilindrico parallelo e la ciclistica. Estetica ed ergonomia in sella sono però una cosa a parte. La sella ha il rivestimento differenziato per pilota e pas-seggero e il telaietto posteriore è facilmen-te smontaibile per personalizzare la moto (come accade sulla ben più cara BMW R nineT). Il manubrione largo e arretrato ci fa stare belli dritti in sella, e questa dista solo 815 mm da terra. Si ha un controllo totale e sempre sicuro della moto, che pesa pure pochissimo: soltanto 186 chili con 14 litri di benzina nel serbatoio. Col pieno si fa an-che parecchia strada: basta davvero poco per superare i 27 km/l. I comandi sono leg-geri, burrosi e accentuano la facilità con cui la XSR si lascia condurre. Con lei si entra in sintonia dopo due chilo-metri. Si sta comodi da soli, un po’ meno

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col passeggero (soprattutto se chi guida è alto e arretra col sedere). La strumenta-zione è bella e si legge sempre bene; c’è anche l’indicazione della marcia (oltre a quelle su consumi, temperatura esterna e del motore, due trip e molto altro ancora). Altre cose positive? Le vibrazioni, nel senso che non ci sono proprio. Negative? Le so-spensioni sono un po’ sfrenate sugli avval-lamenti presi a buon ritmo (meglio ridurre la velocità quindi) e si avverte il calore ri-spetto alle rivali nelle soste al semaforo. Nulla di tragico, sia chiaro.Il bicilindrico parallelo è un piccolo gioiello. Ha 75 cavalli, ma non lo diresti mai, perché sembrano ben di più (la moto pesa pochis-simo). A 2.000 giri gira già bello regolare e fino ai 5.000 ti porta a spasso con una bel-la verve e un’erogazione impeccabile. Dai 6.000 giri cambia faccia e si scatena: tocca i 9.000 giri in un baleno, ma se insisti lui arriva presto su, fino a 11.000 giri.Il cambio è preciso e anche la frenata è promossa per potenza e modulabilità. La XSR è agile e facilissima in città, ma si di-

mostra "gajarda" anche fuori. Qui il tela-io la rende maneggevolissima, e le Pirelli Phantom tengono di brutto (al posteriore c’è una larghissima 180, entrambe le ruote misurano 17”). La Yamaha 700 corre velo-ce e sicura, invitando a moderare il ritmo solo sull’asfalto rovinato.

YAMAHA XSR 700 ABS7.690 EURO

PESO IN ORDINE DI MARCIA 186 Kg CILINDRATA 689 ccTEMPI 4CILINDRI 2RAFFREDDAMENTO a liquidoAVVIAMENTO elettricoALIMENTAZIONE iniezioneFRIZIONE multidiscoPOTENZA 75 cv - 55 kw - 9.000 giri/minCOPPIA 7 kgm - 68 nm - 6.500 giri/minEMISSIONI Euro 4CAPACITÀ SERBATOIO 14 Lt ABS SìPNEUMATICO ANTERIORE 120/70 ZR 17M/C(58V)PNEUMATICO POSTERIORE 180/55 ZR 17M/C(73V)

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ABBIGLIAMENTOANDREA PERFETTICasco Arai SZ-F RamGiubbotto Tucano UrbanoJeans Tucano UrbanoGuanti Tucano UrbanoScarpe TCX Boots

MARCO AURELIO FONTANACasco Tucano UrbanoGiubbotto Tucano UrbanoJeans Tucano UrbanoGuanti Tucano UrbanoScarpe TCX Boots

EDOARDO LICCIARDELLOCasco Caberg Jet FreerideGiacca Tucano Urbano Pel

PIÙ INFORMAZIONILuogo: VigolenoMeteo: sole, 28°Tester: Marco Aurelio Fontana, Cristina Bacchetti, Edoardo Licciardello, Andrea PerfettiRiprese di Antonio Mulas e Fabrizio PartelFoto di Fabio Principe

Pantaloni Ixon Owen FlashScarpe Alpinestars Oscar Twin Drystar

CRISTINA BACCHETTICasco LS2Giacca REV'IT! Bellecour LadyGuanti REV'IT! Monster LadyJeans Spidi LadyStivaletti TCX Boulevard

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NEWS

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Anticipo di 2019 per Duca-ti, con la SuperSport (di cui trovate la nostra prova qui) che per la nuova stagione cambia di vestito. Arriva infatti in gamma l'e-

legante livrea Titanium Grey opaco, con abbinamento cromatico associato a cerchi e telaio rossi. Una colorazione che farà fare un tuffo al cuore degli appassionati meno giovani,

perché nonostante Ducati insista sulla dif-ferente natura fra la SuperSport di oggi e la gloriosa SS degli anni 80 e 90, richiama forte alla mente il ricordo della 900SS Fi-nal Edition.L’arrivo della nuova livrea – che prevede anche coprisella in tinta e inserti valige la-terali pure in tinta – va a sostituire la Duca-ti Red, che non sarà più disponibile sul mo-dello standard. Invariata invece la proposta cromatica per la SuperSport S, che conti-

NUOVA COLORAZIONE PER LA DUCATI SUPERSPORT

DEBUTTA IL TITANIUM GREY NELLA GAMMA SUPERSPORT. ESCE DI PRODUZIONE LA DUCATI RED

A nua ad essere disponibile in Ducati Red e Star White Silk, con cerchi e telaio rossi.Il nuovo colore sarà disponibile a partire da luglio presso i Ducati Store. Invariati i prez-zi della gamma SuperSport, con la Super-Sport in Titanium Grey proposta a 13.190 euro, la SuperSport S in Ducati Red a 14.890, e nella colorazione Star White Silk a 15.090, sempre franco concessionario.Maggiori informazioni sono disponibili sul sito Ducati dedicato alla Supersport.

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Moto.it Magazine N. 342 News

Debutto a Biarritz, in occa-sione di Wheels and Waves, per l'ottavo allestimento del-la popolarissima Moto Guzzi V7-III. La new entry si chia-ma, giustamente, V7 III Limi-

ted, in onore alla sua natura di modello spe-ciale in serie limitata. Verrà infatti prodotta in soli 500 esemplari, con look e finiture che uniscono - a nostro giudizio in maniera piut-tosto azzeccata - il classico e il moderno, con una interessante commistione di cromature e materiali ben più moderni. Diversi i parti-colari cromati che richiamano il mondo clas-sico, partendo dal serbatoio completamente

cromato, abbracciato superiormente da una cinghia in cuoio nero e decorato ai lati con l'aquila Moto Guzzi a finitura brunita. Diversi i particolari in nero, con cerchi a razze e sella con cuciture effetto “old school”, oltre alla fibra di carbonio utilizzata per parafanghi e fianchetti. Il tappo del serbatoio è in allumi-nio ricavato dal pieno, così come i riser, sui quali è riportato il numero progressivo della serie limitata, con incisione al laser.Ricercato anche il look del motore, con pro-tezioni dei corpi farfallati in alluminio anodiz-zato in nero e teste cilindri con alette fresate. Moto Guzzi V7 III Limited è già disponibile al prezzo di 10.290 euro f.c.

MOTO GUZZI V7 III LIMITED, DEBUTTO A WHEELS & WAVESSERIE SPECIALE DELLA CLASSICA DI MANDELLO. SOLI 500 ESEMPLARI

NUMERATI PER UN'INTERESSANTE FUSIONE FRA CLASSICO E MODERNO

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Arrivano in questi giorni nelle concessionarie le Beta della serie RR Enduro in edizione 2019. Una buona notizia è che i prezzi non sono aumentati rispetto ai

modelli targati 2018, se si esclude un ritoc-co verso l’alto per la 125.Arriverà invece a ottobre l’inedita RR 200 2T, che completa la serie a due tempi. Una moto che eredita la ciclistica dell’ul-tima 125.Il telaio in acciaio al cromo molibdeno, con struttura a doppia culla sdoppiata sopra la luce di scarico, è stato progettato per le piccole cubature rivedendone le quote principali e garantendo un ottimale posi-zionamento del motore. Anche quest’ulti-mo deriva dalla base della sorella minore, ed è caratterizzato da un lay-out specifico e particolare, volto a ottimizzare la distri-buzione delle masse e la fluidodinamica. E’ munito di miscelatore automatico e di avviamento elettrico.Gli aggiornamenti su tutta la gamma esi-stente derivano dall’esperienza sui campi gara, dove Beta ha conquistato negli ultimi anni due titoli mondiali costruttori Endu-roGP, un titolo mondiale Enduro3 e uno

EnduroGP con Steve Holcombe, un titolo mondiale Enduro Junior con Brad Freeman e due affermazioni agli Assoluti d’Italia. Il lavoro si è concentrato sia sul motore che sulla ciclistica, con una particolare atten-zione al reparto sospensioni – tanto ante-riore quanto posteriore – che ora vanta una componentistica ZF di altissimo livello ed estremamente evoluta rispetto al passato.

LE CARATTERISTICHE DELLA RR 200 2TìIl vmotore presenta il pistone bifascia (ale-saggio 62 mm): un componente progettato per garantire elevata rigidezza ed affida-bilità;la scelta della doppia fascia è funzionale ad una migliore tenuta ai bassi e medi regimi, caratteristici dell’utilizzo Enduro. Le altre caratteristiche comprendono la Beta progressive valve, ovvero il sistema made in Beta caratterizzato da un partico-lare rapporto fra l’apertura del flap princi-pale e quella dei booster laterali: il ritardo nell’apertura dei booster permette al mo-tore un’ottima progressione della perfor-mance su tutto l’arco di utilizzo. E poi, albero motore con inserti in poliam-mide: mantiene alti valori di leggerezza e garantisce un ottimo riempimento del car-

BETA SERIE RR 2019. LA NUOVA RR 200 2T E LE ALTRE ENDURO

SONO IN VENDITA LE NUOVE ENDURO DI CASA BETA 2019, OTTO MODELLI DA 125 A 490 CC, CON MOTORI A DUE E A QUATTRO TEMPI.

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ter pompa, a tutto beneficio della presta-zione e dell’affidabilità. Il cilindro presenta un sistema di flangia di scarico come quel-le delle cilindrate superiori, che consente un migliore controllo del gioco frontale pistone-flap-cilindro. Mantenendo minimo tale valore è possibile ottenere un considerevole incremento del-le prestazioni ai bassi regimi, riducendo il trafilaggio dei gas.La testa scomponibile in alluminio è una soluzione rigida e leggera resa possibile grazie allo spostamento dell’attacco moto-re sul cilindro. La geometria della came-ra di combustione è studiata per garantire un’elevata efficienza del ciclo termodina-mico e per ottenere il miglior compromes-so tra la risposta ai regimi medio/bassi re-gimi e l'allungo. È inoltre facilitata la messa a punto e la sostituzione della camera di combustione.

I carter pressofusi in lega di alluminio han-no geometrie studiate secondo un lay-out innovativo, in quanto a posizione relativa degli organi e nell'ottica della massima ri-duzione di peso, senza compromettere la resistenza strutturale. Particolarmente curata la zona dei cusci-netti di banco, per garantire la corretta ri-gidezza delle pareti al fine di sopportare le sollecitazioni trasmesse dall'albero mo-tore. I coperchi carter pressofusi in lega di magnesio garantiscono un peso estrema-mente ridotto ed un’ottima finitura super-ficiale. È stato possibile adottare tale solu-zione anche per il coperchio interno della frizione, grazie all’isolamento della pompa dell’acqua dall'elemento stesso. Il pacco lamellare Vforce4 con gli stopper garantisce grande affidabilità senza com-promettere le prestazioni.LEGGI L'ELENCO DELLE CARATTERISTICHE

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MOTO D'EPOCA: COME CHIEDERE L'ISCRIZIONE AL

REGISTRO STORICO PER OTTENERE TUTTI I VANTAGGI

di Umberto Mongiardini

ASI O FMI, LA GUIDA PER ISCRIVERE LE PROPRIE MOTO D'EPOCA PER OTTENERE VANTAGGI SU BOLLO E ASSICURAZIONE

Moto d'Epoca, come iscri-verle al Registro Storico? Le moto d'epoca stan-no sempre più prenden-do piede nei garage degli appassionati, ecco quindi

una guida a come iscriverle al Registro Sto-rico FMI e all'ASI, in modo tale da ottenere i massimi vantaggi, sia in termini di bollo, che di assicurazione. Sempre più spesso ci si perde tra le scartoffie, cercando di ca-pire se ci sia convenienza nell'iscrivere la propria moto ad uno dei registri storici, tra i quali spiccano FMI ed ASI, oltre poi a agli altri registri storici di marchio. In questa guida ci limiteremo a descrivere, in maniera dettagliata, i procedimenti per iscrivere i propri mezzi ai primi due.

REGISTRO STORICO FMIQuali mezzi possono essere iscritti?Possono richiedere l’iscrizione al Registro Storico FMI tutti i motoveicoli che hanno compiuto i 20 anni di età.

I requisiti del proprietario?Il richiedente l’iscrizione al Registro Storico deve essere tesserato alla FMI per l’anno in corso ed essere il proprietario della moto di cui richiede l’iscrizione. Nel caso in cui sia una società a richiedere l’iscrizione al Registro Storico di motocicli di sua proprietà, la richiesta potrà essere accettata solo se sottoscritta dal proprio legale rappresentante, il quale dovrà co-munque essere in possesso di Tessera FMI.

I requisiti del mezzo?I motoveicoli ed i ciclomotori di cui si ri-chiede l’iscrizione dovranno avere raggiun-to i 20 anni dalla data di immatricolazione, essere privi di accessori anche se di serie e d’epoca e devono quindi essere conformi all'originale, in ottime condizioni di con-servazione o, in alternativa, restaurati se-guendo l'originale.

Come iscrivere la propria moto al Regi-stro Storico e ottenere il Certificato di Ri-

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levanza Storica e Collezionistica?Le modalità per ottenere il Certificato di Rilevanza Storica e Collezionistica sono due e possono essere essere portate avanti sia in forma cartacea, sia online. La prima procedura riguarda i motoveicoli muniti di regolare targa e libretto di cir-colazione, in regola con la circolazione e ha un costo di € 70 in modalità cartacea, mentre online costa € 60. La seconda modalità, invece, riguarda i motoveicoli muniti di targa e libretto di cir-colazione nazionale, ma radiati d’ufficio dal PRA, o a motoveicoli sprovvisti di regolare libretto di circolazione, radiati d’ufficio dal PRA o cancellati dal PRA per custodia in area privata, demoliti, nuovi mai immatri-colati, d’importazione estera e di origine sconosciuta; questa procedura è necessaria anche per quei motoveicoli muniti di rego-

lare libretto di circolazione nazionale, ma riportante dati errati. Il prezzo per questa procedura più complessa? In modalità car-tacea si paga € 120, online € 110.

Quali documenti sono richiesti per perfe-zionare la domanda?Il primo documento richiesto è la tessera FMI dell’anno in corso, ottenibile trami-te un Moto Club, oppure online sul sito di Federmoto e ha un costo di 70,00 euro. Necessaria anche la copia della ricevuta di pagamento. Successivamente servono 7 fotografie della moto, a colori e su fondo uniforme di co-lore neutro (lato destro, lato sinistro, vista anteriore, posteriore, ravvicinata e leggibile del numero di motore, numero di telaio e una del numero di telaio a distanza di un metro, in direzione della zona dove il nu-

mero di telaio è posizionato).Le foto dovranno poi essere stampate su carta fotografica in formato 10x15. La moto dovrà essere fotografata senza accessori, anche se coevi alla moto stessa.Oltre alle foto, servirà una copia fronte e retro del libretto di circolazione, copia del foglio complementare e certificato di proprietà. Nel caso di un ciclomotore non provvisto di libretto di circolazione con in-testazione, ma con certificato di conformi-tà, o privo anche di quest’ultimo, occorre allegare la dichiarazione di proprietà con copia di un documento d’identità.Bisognerà poi infine inviare tutta la docu-mentazione ad uno degli Esaminatori na-zionali presenti nell'elenco, consultabile sul sito federale. Per i motoveicoli delle specialità Regolarità e Trial, la richiesta va inoltrata esclusivamente all’Esaminatore di specialità.

ASIUn secondo percorso percorribile per ot-tenere agevolazioni per le vostre moto d'epoca, è quello dell'ASI, l’Automotoclub storico Italia.Quali mezzi possono essere iscritti? Possono richiedere l’iscrizione all'ASI tutti i motoveicoli che abbiano compiuto i 20 anni di età, come per la FMI.

Quali documenti rilascia l'ASI?L'ASI può rilasciare il Certificato di Identità del veicolo, il Certificato di Rilevanza Stori-ca e Collezionistica, la carta FIVA e la Carta di Storicità per Ciclomotori.

Come ci si iscrive all'ASI?Per potersi iscrivere all'ASI bisogna paga-re una quota associativa annua, che cor-risponde a € 41,32 , da versare obbligato-riamente tramite un Club Federato ASI; a

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questa cifra è necessario versare la quota del club, per un totale minimo di 100 euro. La quota comprende anche la spedizione della rivista dell’ASI “La Manovella”.

Quali documenti servono?A differenza della FMI, con ASI è solo di-sponibile la procedura di tipo cartaceo, ve-diamo quindi cosa serve avere per com-pletare la domanda ricordando che tutta la modulistica è disponibile presso tutti i Club Federati. Per compilare il modulo di richiesta di iscrizione, prima di tutto, oc-corre essere tesserati ad un Club Federato ASI, dopodiché dovrete compilare fornen-do copia dei vostri documenti di identità e documenti del mezzo. Sono inoltre richiesti in fase di compilazione tutti i dati tecni-ci riguardanti la moto che volete iscrivere procuratevi quindi con anticipo – anche da internet – una scheda tecnica del vostro mezzo. Un altro passaggio richiesto du-rante la compilazione è l'apposizione delle foto della moto (¾ anteriore, ¾ posteriore, punzonatura numero di telaio, punzonatura numero di motore) e, nel caso di moto re-

staurata, occorre allegare le foto preceden-ti al restauro e le foto durante i lavori. Non ultimo, infine, bisogna allegare la ricevuta di pagamento.

Quanto costa?Per ottenere il Certificato di Rilevanza Sto-ria, ASI richiede un versamento di 60 euro, ai quali devono essere aggiunti 10 euro nel caso in cui ci fosse la necessità di reimma-tricolare il mezzo. La ricevuta di pagamen-to andrà poi allegata alla documentazione da presentare al momento della richiesta di iscrizione del mezzo.La decisione di iscrivere il proprio mezzo ad uno dei registri storici rimane comunque a discrezione del proprietario ma, grazie ad alcune compagnie assicurative convenzio-nate, soprattutto per chi dovesse avere più moto d'epoca, al netto dei costi di tessera-mento annuale e dell'iscrizione delle moto al registro, i risparmi possono anche rag-giungere cifre notevoli. Il nostro consiglio è quello di fare due conti calcolando i costi e i benefici e poi valutare se iscrivervi o meno.

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SPECIALE 1968

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Si andava in moto senza casco, senza guanti, figu-rarsi i capi tecnici. Le protezioni neanche esi-stevano, il casco integrale di là da venire: negli States

girava il primissimo Bell Star ma da noi sol-tanto la scodella. E chi aveva soldi esibiva il Cromwell, men-tre io usavo un casco Everest grigio metal-lizzato che pareva plastica. Lo stesso Agostini, il campionissimo che compariva sui fotoromanzi e di lì a poco avrebbe girato il suo primo film (“Bolidi sull’asfalto, a tutta birra!” una commedia di Corbucci buona per le scene di gara) sareb-be passato al casco integrale solo tre anni

dopo, nel 1971.Le nostre moto erano piccole, le selle strette che dopo mezz’ora soffrivi. Io ave-vo una Morini Corsaro 125 comprata usata, i miei amici giravano con l’Aermacchi 250 Ala Verde o Wisconsin e il più benestante guidava tronfio la Honda CB450 bicilindrica bialbero, 43 cavalli per 185 chili, 180 all’ora dichiarati. Giusto allora cominciavano ad apparire le Ducati Scrambler 250 e 350, ma le moto più desiderate erano le inglesi: BSA Spitfi-re, Triumph Bonneville, Norton Atlas e la nuova Commando che arrivò a fine anno. Le prove di Motociclismo (a firma Patrigna-ni, Perelli, Colombo) io le imparavo a me-moria; ma ad avere nel box una moto del

SPECIALE 1968: "NON SAPEVAMO NIENTE"di Nico Cereghini

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C’ERA CHI VOLEVA LA RIVOLUZIONE, LE DONNE VOLEVANO LA PARITÀ. NEL 1968 TUTTO ERA DIVERSO, ANCHE PER LE MOTO. SI ANDAVA IN GIRO SENZA CASCO, SENZA GUANTI, CON PICCOLE CILINDRATE, SOPRA SELLE STRETTE. E ALLA FINE, CI RACCONTA UNO CHE C’ERA E CHE ANCORA OGGI È UN PUNTO DI RIFERIMENTO, SAREBBE CAMBIATO MOLTO IL COSTUME, QUASI NIENTE LA POLITICA

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genere erano pochi anche in una grande città come Milano: noi li conoscevamo uno per uno, sapevamo dove abitavano, cerca-vamo di incrociarli per chiacchierare con loro e capire cosa si provava alla guida di un bolide del genere. Non immaginavamo che tempo pochi anni le giapponesi si sarebbero mangiate quel-le mitiche britanniche; e che le due pri-me maximoto italiane, Guzzi V7 Special e Laverda 650 GT così goffe e pesanti, nei primi anni Settanta si sarebbero evolute in grandi star internazionali.A quell’epoca sulla Bellagio-Como semina-vo le Aermacchi, la mia Morini 125 mi dava delle belle soddisfazioni ma finì distrutta a luglio in un incolpevole frontale con una Lancia Fulvia. Uscito indenne dall’inciden-te e superata in qualche modo anche la maturità scientifica, comprai la mia prima auto: la Fiat 500 L con i sedili ribaltabili. Per firmare le cambiali ci volevano ventu-

no anni, io non li avevo e feci firmare una mia sorella più grande. Nessuno aveva una precisa consapevolezza dei rischi, in tutti i campi, dal casco alla finanza.

Il mio 1968 fu davvero un gran giro di boa: dal liceo all’Università Statale, iscritto a Scienze politiche; dalla moto provvisoria-mente all’auto; e soprattutto dalla passio-ne alla “professione”, perché a novembre diventai collaboratore di Motociclismo ini-ziando dai test dei cinquantini. Era stato appena lanciato il Ciao della Piaggio, subito di moda, e tra le prime moto da provare mi capitò la Guazzoni Matta 50 Regolarità: verde e gialla, conservo la foto che apriva il servizio, eskimo e casco jet nella neve. Lì cambiò la mia vita: presto avrei provato anche le moto medie e grosse, e la pri-mavera successiva avrei girato in pista per la prima volta, sulla junior di Monza con una Ducati Desmo 250, i jeans, un giubbi-

no di nylon e il casco Cromwell in prestito. E quell’anno cambiò anche la vita di molti giovani.C’era un gran fermento, nelle università. Il movimento studentesco era nato in Italia due anni prima, nel 66, con l’occupazione a Trento della facoltà di sociologia per prote-stare contro il piano di studi e uno statuto “antidemocratico”. Curiosamente, l’occupa-zione si concluse con l’alluvione di Firenze a novembre: molti studenti corsero là per aiutare, e da questo incontro spontaneo tra giovani provenienti da tutta Italia nacque in molti di noi lo spirito di appartenenza a una classe studentesca. E dico noi perché a Firenze c’ero anch’io, con un amico, un furgone e quattro o cinque piccole pompe a motore per tirare su dalle cantine acqua e fango. Il segno dell’Arno arrivava ai primi piani dei palazzi del centro, da non credere, fu una settimana massacrante e bellissima.Poi il 68 a Milano: la scintilla scoppiò alla Cattolica dove volevano raddoppiare le

tasse universitarie, e contemporaneamente anche a Torino dove era in ballo il trasferi-mento delle facoltà dal centro alla Mandria. Il 15 novembre le due occupazioni, subito i rispettivi sgombri ad opera della polizia.La rivolta era generazionale e arrivava da lontano. Dalla metà degli anni Sessanta si protestava negli Usa (Berkeley 1964, la pri-ma rivolta in un campus) contro la guerra del Vietnam e per i diritti civili; nel 1968 l’ondata arrivò in Europa fino all’apice del maggio francese. Nemici comuni erano l’autoritarismo, il si-stema scolastico obsoleto e i pregiudizi dei prof; questo nelle scuole, mentre nelle fab-briche nasceva il rifiuto dell’organizzazione del lavoro. Gli obiettivi erano l’uguaglianza, l’anticorruzione nella politica, la partecipa-zione di tutti alla gestione delle fabbriche e delle università, basta con l’oppressione sociale e la discriminazione razziale. Valori importanti, per chi non aveva mai alzato la voce.

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C’erano tanti ragazzi come me, senza una appartenenza politica ma pieni di una nuo-va energia, che volevano cambiare la so-cietà, e c’erano le ragazze che volevano il ruolo paritario della donna. Sarebbe cam-biato molto il costume, quasi niente la po-litica, e all’inizio si mossero tutti i giovani, a sinistra come a destra; poi negli anni suc-cessivi le forme di opposizione si sarebbero trasformate per alcuni in qualcosa di molto più estremo, fino al terrorismo. Ma nel 68 a muoverci era soltanto il nuovo spirito del tempo, controculturale e anticonformista. E si respirava una magnifica aria di libertà.

Ma il mio baricentro era la moto.Andavo pacificamente alle manifestazioni, leggevo seriosamente i testi politici, i nostri

modelli erano Mao e Fidel Castro, figurate-vi, non sapevamo niente. Dormivo con due poster sopra il letto, due meravigliosi sog-getti inglesi: la modella Jane Shrimpton e la BSA Spitfire MK II. Perché la mia vera bussola restava Moto-ciclismo, con le prove su strada e le cro-nache delle gare. Per seguire le corse non c’era mica la TV, l’unica gara trasmessa era il Gran Premio delle Nazioni di settembre a Monza con due o tre telecamere e la voce di Mario Poltronieri. Senza la Honda, fuori per concentrarsi sulla Formula 1, dominava-no le MV a tre cilindri (qui l'articolo sul Mo-torsport). Il campionato mondiale si disputò su dieci prove, saltò proprio il GP di Francia a Clermont Ferrand: sei giorni prima della data prevista (28 maggio) gli organizzato-

ri ricevettero un telegramma dal governo, “annullate la gara”. Perché proprio all’inizio di quel maggio ci furono i primi disordini alla Sorbona, una rivolta spontanea degli studenti contro la riforma dell’università, che da Parigi si allargò agli operai e poi a tutta la popolazione. «Contro il capita-lismo, l’imperialismo e soprattutto contro il potere gollista dominante». Lì in Francia facevano anche più sul serio che da noi. Lo sciopero generale di metà maggio paralizzò il Paese per molte settimane.Amavo la voce di Mina e di Patty Pravo, i pezzi dei Camaleonti e di Enzo Iannacci. I Beatles, fenomeno cosmico, cominciarono a disgregarsi, al festival di Sanremo trion-fava Sergio Endrigo davanti a una delle mie preferite, Marisa Sannia. Al cinema usciva-

no “2001, odissea nello spazio” e “Il piane-ta delle scimmie”, alla televisione ricordo il bellissimo sceneggiato “Odissea” con Irene Papas nel ruolo di Penelope. Ma la moto era sempre al centro dei miei pensieri e stava spuntando in me una gran voglia di correre in pista. Averne i mezzi…Seguivo Ago senza amarlo, il mio mito era Mike Hailwood: quell’anno Agostini avreb-be centrato la prima doppietta 350/500 della sua carriera, vincendo e segnando il giro veloce dappertutto. Mio padre diceva: «Per forza, gh’è dumà lù». C’era solo lui, nelle classi maggiori. Il mio Hailwood - che era pagato dalla Honda per stare fermo - volle fare la sua ultima gara a Monza, il 15 settembre. Pioveva, ricordo ogni dettaglio come fosse oggi. La MV, spinta dagli or-

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ganizzatori, aveva deciso di prestargli una 500 per le prove, poi forse Mike si rifiutò di fare il secondo a Mino e andò a cercare alla Benelli un muletto di Pasolini e il riminese accettò. Hailwood partì male, ma a Lesmo era già in testa superando nel curvone sia Agostini sia il Paso: sul bagnato una marcia in più, me lo avrebbe detto Renzo Pasolini in persona qualche anno dopo. Ma dopo un paio di giri Mike the bike cadde alla Para-bolica quando era in scia ad Ago: in frenata gli partì la ruota davanti, scivolò via a tutta velocità e non si fermava più. Finì sotto la tribuna, si rialzò tutto coperto di fango e noi lo applaudimmo a lungo.Nel 68 il motociclismo non subì particolari contraccolpi, del resto il mondo della moto è sempre stato piuttosto lento e refrattario

ai cambiamenti. Ma in altri sport fu diverso, e i grandi eventi mondiali diventarono una cassa di risonanza ideale per manifestazio-ni clamorose. Come ai giochi olimpici di Città del Mes-sico, quando sul podio dei 200 metri gli sprinter di colore alzarono il pugno chiuso nel guanto nero dei Black Power. Tommie Smith, medaglia d’oro in quella gara, dopo la premiazione dichiarò più o meno: «Se vinco dicono che ha vinto un americano, se perdo diranno che ha perso un negro. Noi siamo orgogliosi di essere neri e l’America nera oggi saprà che abbiamo fatto qualco-sa di grande». Furono banditi dal comitato olimpico statunitense, ma la loro protesta fece molta impressione e in tanti capirono. Era il mondo che cambiava.

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Senza la Honda, ritirata per concentrarsi sulla F1, domi-navano le MV a tre cilindri; ma proprio quell’anno ap-parvero due 500 artigianali italiane che affiancarono

la già nota Paton: la Cardani (pilota Jack Findlay, che però in gara usò sempre la Matchless e fu vice campione mondiale) e la Linto (di Lino Tonti, due cilindri Aer-macchi 250 appaiati e basamento nuovo, pilota Alberto Pagani). Ci illudemmo che potessero far bene, Pa-gani fece anche un secondo al Sachsen-ring (a un giro…), ma sarebbe sopravvis-suta soltanto la 500 di Giuseppe Pattoni. Il mondiale si disputò su dieci prove, saltò il GP di Francia a Clermont Ferrand per gli avvenimenti del maggio francese .Ago e Hailwood. Mike Hailwood - che era pagato dalla Honda per stare fermo - vol-le fare la sua ultima gara a Monza, il 15 settembre. La MV, pressata dagli organiz-zatori, gli aveva prestato una 500/4 per le

prove, poi però sembra che Mike si fosse rifiutato di fare il secondo a Mino e fosse andato a cercare una Benelli/4, un muletto di Pasolini. Con quella moto cadde alla Parabolica sotto l’acqua quando era in scia ad Ago, in frenata gli partì la ruota davanti, non si fermava più. Finì sotto la tribuna, si rialzò lentamente e lo applaudimmo a lungo.Quell’anno Mino avrebbe centrato la prima doppietta 350/500 della sua carriera, vin-cendo e segnando il giro veloce dappertut-to (leggete la sua intervista, sempre nello speciale 1968). Ancora più entusiasmanti le Yamaha 250 e 125, le favolose quattro cilindri a V di 70°, due tempi a disco rotan-te raffreddate a liquido; la piccola da 44 cavalli a 17.300 giri, 100 chili di peso, la 250 da 115 chili, 70 cavalli a 14.000 giri, 8 marce, 240 orari. I due titoli andarono a Read, ma vinceva di più Bill Ivy, che nel programma della Casa avrebbe dovuto prendersi la 250: con cin-que vittorie a cinque, il titolo fu assegnato

SPECIALE 1968: IL TEMPO DEGLI EROIdi Maurizio Tanca

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GIACOMO AGOSTINI E MIKE HAILWOOD, CERTO. GENTE CHE CORREVA IN PIÙ CATEGORIE DI MONDIALI E LI VINCEVA TUTTI, COME PHIL READ. E POI IL CROSS, IL SIDECAR: ECCO COSA SUCCESSE NELLE PISTE DEL MOTORSPORT NEL 1968

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solo nel congresso FIM d’autunno con la discriminante (inventata lì per lì) del minor tempo complessivo sui GP…Non so se sia vero, ma leggemmo che Bill al TT, subito dopo aver superato le 100 miglia orarie di media con la 125 (nuovo record), all’ultimo giro si fosse fermato per chiedere ad alcuni spettatori: «Chi è in te-sta?». Doveva vincere Read, e fu così che Read vinse la gara…Per quanto riguarda i “microbolidi” da 50 cc, nel ’68 il ritiro della Honda comprese anche le sue formidabili bicilindriche a 4 tempi ufficiali, e altrettanto fece la Suzuki,

che però affidò ugualmente la sua veloce “due tempi”, anch’essa bicilindrica, al forte campione tedesco Hans Georg Anscheidt, che dominò il campionato (che peraltro per le 50 cc durò solo 5 gare, contro le 10 delle altre classi) conquistando così il suo terzo titolo iridato consecutivo.Per quanto riguarda i sidecar - categoria allora parecchio seguita, specie all’estero, anche perché tutti gli equipaggi erano te-deschi - quell’anno si corsero 6 gare, e la coppia da battere era formata dal fortissi-mo tedesco Helmuth Fath e dal suo affia-tatissimo “passeggero” Wolfgang Kalauch,

ne vinsero 4, e relativo titolo iridato.Oltre alla velocità, il campione mondiale motocross fu Joel Robert con la CZ 250. 500 Paul Friedrichs, stessa moto. Nel trial il titolo andò al mitico Sammy Miller con la Bultaco Sherpa T, mentre la Zündapp spa-droneggiava nelle classi piccole di quella che si chiamava ancora “regolarità”, spe-cialità dove la Jawa dominava con le gros-se grazie al fuoriclasse ceco Masita. Ma, se non altro, quell’anno i piloti italiani vinsero il Vaso d’Argento alla Sei Giorni di San Pellegrino: Bonini, Arnaldo Farioli, Fo-resti e Signorelli.

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Siamo sul divano della ve-randa, vetrata che affaccia sul parco e sulla piscina. Scandisce bene: «Io ho vin-to pure 18 titoli italiani. Pu-re-di-ciot-to-ti-to-li-ita-lia-

ni. Uno anche di gare in salita». Oltre a tutto il resto, claro. Che sono solo 15 campionati mondiali. Scandiamo bene pure noi: quin-di-ci-cam-pio-na-ti-mon-dia-li. Va bene che il motociclismo è pane e salame, ma forse continua a sfuggirci qual-cosa quando parliamo di Giacomo Agostini e con Giacomo Agostini: che siamo davanti a una leggenda, davanti alla Storia: un’Ilia-de umana, un Napoleone senza Waterloo. Siamo davanti a qualcosa di imparagonabi-le. Tutti credono di essere i migliori. Lui lo è. Oggi e per sempre. Dicono che per anni non ha avuto avversa-ri, ma in realtà ha battuto tutti, tra gli al-tri anche campioni come: Phil Read, Jarno Saarinen, Kenny Roberts, Tarquinio Provini, Jim Redman, Mike Hailwood, uno che per farvi capire veniva chiamato The Bike. Alla

fine resteranno i record, i fatti, i risultati e forse, nel mondo dello sport, reggeranno il confronto solo Pelé (forse). Forse solo Mi-chael Jordan (forse).

Lo aspettiamo in una zona periferica del-la sua città, coi bambini che giocano nel parco, un bar di cinesi, L’Eco di Bergamo all’entrata, e lui poco dopo arriva in sco-oter, casco AGV in testa. Ci scorta a casa, una villa di 8mila mq, in garage motorini, una Yamaha XSR700 con 15 stelle, cinque MV Augusta e varie auto. Dentro, foto e premi e quadri e ritagli di riviste e giornali incorniciati ovunque, la MV Agusta 500 co-perta da un telo, c’è pure un suo cartona-to a dimensioni naturali. E fuori, la piscina ancora coperta. C’è chi si giustifica dicen-do: ah, se avessi avuto più testa, se avessi avuto un’altra moto… Agostini sorride, di quel sorriso appena accennato, e ogni vol-ta aggiunge qualcosa: «Ho vinto 10 Tourist Trophy, 123 gran premi e sono andato sul gradino più alto del podio 311 volte, cioè ho vinto 311 gare».

GIACOMO AGOSTINI «SONO STATO GRANDE»di Moreno Pisto

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15 MONDIALI, 18 TITOLI ITALIANI, 10 TOURIST TROPHY: NESSUNO COME GIACOMO AGOSTINI. DICONO CHE PER ANNI NON HA AVUTO AVVERSARI, MA ALLA FINE RESTERANNO I RECORD, I FATTI, I RISULTATI. NEL 68, 69 E 70 HA ADDIRITTURA VINTO TUTTE LE GARE. INTERVISTA ALL’UOMO PIÙ VINCENTE DELLA STORIA DEL MOTOCICLISMO CHE HA APPENA COMPIUTO 76 ANNI. SULLE GARE, SUL SENSO DELLA VITA, SU COME HA FATTO A VINCERE SEMPRE, A VINCERE COSÌ TANTO: «NON LO SO, HO SEMPRE DATO IL MEGLIO DI ME STESSO».

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Ecco ma quando correvi ti rendevi conto che stavi facendo qualcosa di unico?«Sì e no. Quando ho vinto il mio primo ti-tolo mondiale nel 66 sono tornato a casa e non ci credevo. Il giorno dopo mi sono emozionato vedendo i giornali, fino a pochi anni prima ero un cadetto, mi sembrava un sogno. Non so, ero un po’ confuso, capito? Poi ho cominciato a vincere, ho cominciato a battere i grandi campioni, ho cominciato a ripetermi, perché tutti abbiamo vinto del-le gare difficili, in molti abbiamo vinto un campionato del mondo, ma la difficoltà è restare, ripetersi, mantenersi».

Come si fa a essere la versione migliore di se stesso? «Be’ innanzitutto devi trovare la tua pas-

sione, il tuo talento. Se qualcosa non ti ossessiona, trova un’al-tra ossessione. Perché il talento non basta, poi ti devi dedicare, lo devi coltivare questo dono, devi stargli dietro, devi prepararti, devi allenarti, perché sai quante volte mi chiedevano: “Ti ero incollato, poi tu hai fatto la curva e io sono caduto, ma tu come fai?”. E io rispondevo: “Non lo so come faccio. So che do tutto di me stesso”».

Tu hai presente qual è stato il momento rivelatore di questa cosa?«Forse la prima gara, la Trento-Bondone. Ho comprato una moto, ho preso un mec-canico che poi era il panettiere del paese e ci sono andato».

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18 Luglio 1961. «Sì, su quarantatre piloti arrivo secon-do alle spalle del celebre Scoiattolo della montagna, al secolo Attilio Damiani, con una moto privata che avevo appena com-perato, che non aveva i freni Oldani, che aveva ancora il bauletto dei ferri. Quan-do ho vinto quella gara mi son detto: “Ehi, probabilmente so andare in moto”. Perché invece mio padre mi diceva: “Tu sei matto, è pericoloso, poi ci sono i grandi campioni, dove vai tu?”. Poi ho incontrato i campioni italiani juniores e li ho battuti tutti e subito, ho incontrato i campioni ita-liani senior e li ho battuti tutti e subito, i professionisti e li ho battuti tutti e subito».

Che rapporto avevi con tuo padre? «Un buon rapporto, ma lui non voleva che corressi in moto, e infatti io ho avuto un sacco di difficoltà per avere il permesso. Lui diceva sempre che non avrebbe firmato la morte di suo figlio. Ma poi un suo amico, un notaio, lo ha con-vinto. Solo che il notaio aveva capito che volessi correre in bici, non in moto. Si vede che era destino… Comunque adesso, pen-sandoci, mio padre aveva ragione. Ai miei tempi si moriva ogni domenica. D’altronde se volevi correre in moto era cosi. Diversa-mente non si poteva»

Che famiglia era la tua?«Mio padre aveva una falegnameria, ven-deva legnami e cose così, ha avuto anche un’azienda di trasporti perché la falegna-

meria in tempo di guerra venne bruciata, è stato anche sindaco di un paese»

Lui non andava in moto?«Aveva una macchina e una moto. Quando pioveva prendeva la macchina e io gli ru-bavo la moto, quando invece era una bella giornata e andava in moto io gli rubavo la macchina, quindi gliene combinavo di tutti i colori. E avevo solo otto anni».Qual è il primo ricordo legato alle moto?«Ah quando gli ho rubato il Galletto. Vado in piazza, vedo gli amici, ma non penso che non tocco per terra, cerco un appoggio col piede e vado giù… Una figura che ti puoi immaginare».

C’è mai stato un momento nella tua car-riera in cui hai avuto paura di non far-cela? «Be’ oddio, di non farcela tutte le gare, avevo sempre paura, madonna ora non vinco, madonna ora non riesco a finire la corsa, mi si rompe il motore, scivolo, quello lì va più forte. La preoccupazione di non vincere c’è sempre stata in ogni gara».

C’è una frase di Gian Paolo Montali, ex allenatore della nazionale italiana di pal-lavolo: «Io ho sempre vinto perché ho sempre avuto paura di perdere». Ti rico-nosci in questa frase?«Un po' sì, ma non la chiamerei paura, ma preoccupazione di non confermare le aspettative. Diciamo che la voglia di vince-re mi faceva stare attento».

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Ma come si fa a mantenere alte la fame e la determinazione?«È l’amore, l’amore che tu hai per il tuo sport che fa la differenza. Correre in moto era la cosa che desideravo più di tutte, quindi non c’era paragone tra i sacrifici che dovevo fare per vincere e la gioia che pro-vavo vincendo. La gioia era immensamen-te maggiore. Pensa che io, mentre tutti i miei amici partivano per la vacanza, un’e-state sono andato da solo all’Isola di Man in macchina per imparare ancora meglio il circuito del TT. Lì ho affittato una moto e tutti i giorni per quindici giorni mi alzavo al

mattino, guidavo, mi fermavo a mangiare, il pomeriggio giravo ancora e poi andavo a letto. Lì pioveva, la sera c’era la nebbia. Mi veniva una tristezza, un magone…».

Quando chiudi gli occhi ti capita di rivi-vere determinati momenti, di risentire il boato?«Sì, ogni tanto sì. Penso spesso a quando nel 66, anno del mio primo titolo, vinsi a Monza davanti a 130mila persone, con la gente che mi portava in braccio e io ero li-vido livido, perché pensavano di farmi del-le carezze invece mi davano certe manate

sulle spalle… Penso spesso proprio al Tourist Trophy, quando ho lottato con Mike Hailwood nel 67. Sai il Tourist Trophy è una gara di 360 km, contro i 120 km di oggi che fanno le Motogp, in mezzo a case, muri, piante. Un giro erano 60 km, tu immagina quanto ser-viva per impararlo, un giro di 60 km. Il TT era una gara durissima, toglievi i guanti e ti uscivano i pezzi di carne dalla mani, il sangue, era bestiale».

Quella gara l’hai persa…«Al TT battere Mike Hailwood era quasi im-

possibile, lui vinceva 50cc, 125, 250, 350 e 500. Quell’anno lui ha la Honda e io la MV Agusta, pronto e via, parto e prendo subito la testa. Pensa che su un giro di 60 km ci scambiavamo un secondo o due. L’ultimo giro ero in testa con 8 secondi e sognavo già la vittoria, ma si è rotta la ca-tena. Quando sono arrivato al traguardo, lui mi è venuto incontro, mi ha abbracciato e mi ha detto: “You are the winner”. Mi ha pure fatto salire sul podio. Avevamo le tute nere con le spalle bianche perché tutti e due sfioravamo i muretti bianchi delle case a 250 kmh».

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Ogni anno, in quegli anni, al TT morivano 3,4 piloti.«Però se volevi vincere il campionato del mondo ci dovevi correre, non avevi mol-ta scelta. Ho detto basta nel 73, quando è morto Parlotti, perché la sera prima mi aveva chiesto di portarlo a fare un giro per fargli conoscere meglio il circuito. Poi la mattina successiva lui correva in 125, prime di me, ebbe l’incidente e io chiedevo come stesse e tutti mi rispondevano: “We don’t know”, invece era già morto. E in qualche modo, col fatto che lo avevo portato in pista la sera prima, il suo inci-dente mi ha colpito di più. Quella sera ci dicevamo: “Vedrai che domani tu vinci la 125 e io la senior”».

Tu sei l’unico italiano ad aver vinto la duecento miglia di Daytona. Quella volta Kenny Roberts disse: «Non posso credere che Giacomo Agostini sia un essere umano».

«Quell’anno dovevo dimostrare che riusci-vo a vincere anche se non guidavo la MV e per quella gara mi ero preparato abbastan-za ma non a sufficienza perché non avevo pensato al caldo che c’era. Quando sono arrivato la General Motors mi ha dato una macchina, una Chevrolet bian-ca con su scritto: “Agostini 13 volte cam-pione del mondo”. Kenny Roberts quando l’ha vista ha rilasciato un’intervista dicen-do che il vero campione del mondo era lui perché “L’America era il mondo”. In prova ero quinto, ma pronti via, alla par-tenza, dopo il primo giro ero già primo. Alla fine della gara non ce la facevo più, ero disidratato, mi stavo quasi fermando, poi ho pensato a Kenny Roberts, agli amici che erano venuti dall’Italia, dall’Olanda, dal Belgio, dall’Inghilterra, è stata l’unica volta che Daytona si è riempita per le due ruote, l’unica volta. E quindi mi sono detto: “Son venuti tutti a vedermi e io adesso mi fermo perché non ce la faccio più fisicamente?”.

E lì probabilmente è arrivata quella cattive-ria, quell’orgoglio, ho superato questo at-timo e son arrivato fino in fondo. Ero così stremato che andavo a cercare il sudore sulle labbra e lo leccavo per bere qualcosa. Alla fine non stavo più in piedi, mi hanno dovuto fare una flebo. Dopo, mentre stavo andando sul podio, ho incontrato Kenny Roberts e gli ho detto: “Kenny I’m sorry, forse adesso hai capito chi è il campione del mondo”. È stata una cosa incredibile, poi sono salito sul podio con una figa della madonna lì».

Hai sempre avuto fama di playboy. Quan-te donne hai avuto? «Eeh il conto non l’ho mai fatto. Tante, ma mi sapevo regolare.».

Tu hai due figli giusto?«Sì. 28 e 23 anni. Ti racconto questa: non sapevo come chiamare la mia prima figlia. Nico Cereghini mi disse: “Con tutto quello

che hai vinto, chiamala Vittoria”. E così ho fatto. Quando stava arrivando il secondo ho chiesto sempre consiglio a Nico, e lui, scherzando, mi fa: “Adesso chiamalo Pre-suntuoso”. Be’ l’ho chiamato come me, alla fine gli ho dato retta lo stesso!».

Tu nel 68 hai vinto tutte le gare e hai fat-to tutti i giri veloci, nel 69 tutte le gare e tutti i giri veloci, nel 70 tutte le gare e tutti i giri veloci, per tre anni di fila. Incredibile. La prima volta che hai perso nel 71, cosa hai pensato? «A me perdere costava molto, perché ba-stava che arrivassi secondo e dicevano: “Agostini è finito”. Quindi mi toccavano l’orgoglio, capito? Ora quella cattiveria lì, quella fame, la rivedo in Marquez. Lui i suoi avversari non li vuole battere, li vuole umi-liare».

E a un certo punto…«Negli ultimi anni, troppi pre allarmi: grip-

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pavo, si rompeva il motore, allora mi sono detto: “Non sarà meglio fermarsi?”. Ave-vo perso troppi amici… Ma smettere è una cosa che mi e’ costata, perché io ho pianto per tre giorni».

Chi é che ti ha aiutato in quei tre giorni?«Io. Solo io. Mi ripetevo: “Cosa voglio di più? Cosa voglio di più? È stata dura eh. È stata durissima. Durissima perché lasci il mondo che ami, lasci la cosa che hai voluto di più nella tua vita, che sono le corse, e sai che non ci sarà più tutto questo grande amore, non ci sara’ più. Tu potrai fare quel che vuoi, potrai diventare Agnelli, Ferrari, il presidente degli Stati Uniti però non prove-rai mai più quelle stesse gioie».

Cosa ti ricordi del periodo 68? Riuscivi a viverlo quel vento di protesta o eri troppo

concentrato sul lato sportivo?«Mi interessavo poco di tutto. Pensavo solo alle moto, io ero concentrato lì e forse è anche per questo che io son riuscito a ot-tenere così tanto. Certo, avevo le donne, facevo i film, ma solo nei periodi in cui ero fermo. Noi avevamo 4 mesi di stop, non è come adesso che tranne due settimane si corre sempre».

Leggo un giornale dell’epoca: «Agostini era solito trascorrere i giorni precedenti alla gara in totale astinenza da rapporti sessuali e libagioni alcoliche». Quindi niente sesso e niente alcool. Sempre?«Sì, anche se una volta ho ceduto e ho vinto lo stesso. Nonostante questo, non mi sono detto: “Vedi che non importa?!”. Ho detto: “No! Ho sbagliato”».

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Credi in Dio?«Non posso dire di no. Tante volte prima della partenza facevo il segno della croce o dicevo: “Dio proteggimi, aiutami”. Però poi alla fine non sono tanto fedele, perché poi alla fine non credo che ci sia un’altra vita, non sono uno di quelli che dice: “Ma si, sono felice di morire perché so che di là ci sono altre vite, magari anche più belle”».

Preghi? «Ogni tanto, non sempre. Prima, quando ero più giovane, spesso. Ma sono contro il fatto che ai preti sia proi-bito avere una donna, perché è la natura, è dio che ti ha dato questo. È l’istinto».

Quando è stata l’ultima volta che hai fat-to l’amore? «Non te lo dico. È un segreto».

Mi dici il nome di un’attrice di cui non è mai stato rivelato un flirt con te?«Rinuncio. Sono segreti che mi porterò nella tomba».

L’ultima volta che hai pianto?«Ho pianto per un amico che è mancato, qualche mese fa».

Cos’è che ti commuove?«Mi commuovo tanto se vedo una mamma che sta piangendo perché ha perso un fi-glio. Credo che la perdita di un figlio non

sia paragonabile a nessun’altra cosa».

Se pensi alle tue gare qual è l’odore che più ti viene in mente? «L’odore dell’olio, poi all’inizio era quello dell’olio di ricino, mamma mia, era un profumo ragazzi. Cioè ti dava una carica l’odore dell’olio di ricino e questi motori che scaldavano l’olio e poi lo mettevano dentro».

Prima di addormentarti a cosa pensi?«Alle vittorie, alle gioie, alle donne che mi applaudivano e che poi venivano con me sul podio e mi davano i baci, sai. Ogni tanto sai, hai dei momenti che sei giù, c’è qualcuno che beve per dimenticare, io

invece penso alle cose belle che ho avuto nella vita. E che ho ancora. Pensa che una volta avevo un invito a Roma per Palaz-zo Chigi, dal presidente del Consiglio, mi avevano avvisato pochi giorni prima. Ma io avevo già una cena fissata da tempo con i miei amici, dovevo andare a mangiare le ossa di maiale in Val Camonica, e ho pre-ferito questa alla cena di Roma».

Qual è il senso della vita per Giacomo Agostini? «Essere innamorati».

Come vorresti morire?«Addormentandomi. Un po’ di tempo fa ho fatto un’operazione all’ernia, ho voluto l’a-

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Moto.it Magazine N. 342 Turismo

nestesia totale e quando me l’hanno data è stata talmente bello che trenta secondi prima di addormentarmi mi son detto: “Io vorrei morire cosi’”».

E sulla lapide cosa ci scriviamo? Giacomo Agostini virgola…«Sei stato grande».

Finita l’intervista, ci concentriamo sulle foto. In sala, al tavolo, la moglie spagnola risponde alle mail davanti al pc. Agostini schizza da una parte all’altra della casa, io fatico a stargli dietro. Gli chiedo: Giacomo, io ho 38 anni, non ho mai corso in moto, non ho mai vinto un Mondiale, eppure sono pieno di acciacchi, tu hai rischiato la morte più volte, hai vinto

tutto, adesso hai 76 anni, come stai? «Ahahah no, fortunatamente non ho nulla. Si, un po’ di mal di schiena ma non è do-vuto alla mia carriera, mi viene soprattutto quando sto molto fermo. L ’anno scorso quando ho avuto due, tre mesi di dolore e dovevo andare a fare una manifestazione in moto, ho detto: “Ma dove vai?”. Salito in moto invece, stavo da Dio, non perché sono io, ma perché è la posizione. Io andrei sempre in moto». A proposito, quando è stata l’ultima volta che hai impennato? Ci pensa, Agostini, come se dovesse recu-perare un ricordo chissà di quanto tempo lontano. Poi si illumina: «Settimana scorsa, quando mi hanno consegnato la Yamaha».

«PENSO SPESSO AL TOURIST TROPHY, QUANDO HO LOTTATO CON MIKE HAILWOOD, NEL 67. IL TOURIST TROPHY ERA UNA GARA DURISSIMA, TOGLIEVI I GUANTI E TI USCIVANO I PEZZI DI CARNE DALLA MANI, ERA BESTIALE»

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Ciao a tutti! La settimana scorsa, quan-do segnalavo l ’ incoscienza del motocicli-

sta fotografato sull’autostrada in maglietta e pantaloncini, non mi aspettavo tanta parte-cipazione. E’ una bella cosa, si vede che l’argomento sicu-rezza è sentito, ma adesso ci torno sopra per precisare che la mia intenzione era espressa fin dal titolo: volevo sempli-cemente mettere in guardia chi potrebbe non essere con-sapevole dei rischi che corre; ma aggiungo che all’obbliga-torietà dei capi tecnici proprio non ci pensavo e non ci pen-so. Siamo in un Paese libero, come hanno scritto giusta-mente molti di voi, e di ob-blighi ne abbiamo già anche troppi.Il casco e le luci sì, li racco-mando in tivù fin dal 1985

perché sono convinto che ci vogliano assolutamente e l’obbligo mi sta bene; ma tut-to il resto no. Questa la mia filosofia. Da un po’ chiudo le mie prove indicando le prote-zioni e il paraschiena. Ma an-che a me capita di prendere lo scooter al mare d’estate e di muovermi per qualche centi-naio di metri sotto il solleone senza bardature, e non vorrei essere costretto a indossare la giacca tecnica per forza. L’im-portante, lo sottolineo ancora una volta, è essere consape-voli delle possibili conseguen-ze. Poi, ben informato dei dolori e dei fastidi che dovrei sopportare in caso di caduta, posso liberamente decidere come comportarmi. E’ que-sto, del resto, il senso delle campagne di sensibilizzazione e prevenzione che si fanno in qualche Paese estero e che ci vorrebbero assolutamente anche in Italia. Dove anco-

ra si stenta a legarsi in auto con le cinture, a sistemare i bambini nei seggiolini, a non bere alcol quando ci si mette alla guida, a non smanetta-re sullo smartphone eccetera eccetera. Oltretutto hai voglia di introdurre degli obblighi, quando non sei in grado di esercitare i controlli! Meglio convincere, dissuadere, in-centivare. Sabato ero in moto sull’A1 col caldo estivo e ho affian-cato tanti motociclisti che viaggiavano a braccia nude. Di solito sulle Harley e a bas-sa velocità. Ho dei veri amici tra loro, ognuno vive la moto come crede, personalmente li critico soltanto per il rumore: il pernicioso baccano di molti loro scarichi in città mi distur-ba esattamente come certi T-Max, ma se vogliono guidare col gilet di pelle (alcuni hanno la giacca arancione e nera) sono naturalmente liberi di

NICO CEREGHINI " E L’AUTOSTRADA È UNA GIUNGLA"

TORNO SULL’ABBIGLIAMENTO DEL MOTOCICLISTA: INFORMAZIONE, ABITUDINI E OBBLIGHI. E QUESTA VOLTA SOTTOLINEO CHE IN AUTOSTRADA, SENZA I TUTOR, I RISCHI SONO TORNATI ALTISSIMI

C

farlo. Magari, aggiungo, sa-rebbe meglio che non stes-sero così vicini in formazio-ne due a due - vi ho visto, eravate una ventina - perché la distrazione e un eventua-le tamponamento sarebbero fatali, ma restano affari loro.Affar mio (e di tutti), sabato scorso era invece la guida da delinquenti di molti automo-bilisti. Una station wagon con coppia e bambini, due falsi svizzeri col Suv, una vecchia auto pronta per il demolitore, un tedesco autentico e l’E-space targata Francia di una

ANCHE A ME CAPITA DI PRENDERE LO SCOOTER AL MARE D’ESTATE E DI MUOVERMI PER QUALCHE CENTINAIO DI METRI SOTTO IL SOLLEONE SENZA

BARDATURE, E NON VORREI ESSERE COSTRETTO

A INDOSSARE LA GIACCA TECNICA PER FORZA

coppia anziana: tutti costo-ro, nonostante il gran traffi-co, allegramente oltre i limiti appena possibile, pressando l’auto davanti e zigzagando per farsi largo. Fretta, alcol, semplice incoscienza? Le pattuglie della Strada-le sono poche, i Tutor sono spenti e chissà se torneranno davvero in funzione entro la fine di luglio. Nel frattempo invito tutti voi alla massima attenzione: evitate l’autostrada tutte le volte che potete, perché è tornata una giungla.

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CHE FATICA IN MOTO2 (E MOTO3)Nel 2017 è iniziata l’inversione di tenden-za: la Spagna fatica un sacco nelle cilindra-te più piccole. Nel 2018 questa “crisi”, se così si può chiamare, è ancora più accen-tuata: dopo sette GP, non c’è stata ancora nessuna vittoria spagnola in Moto2. Nel 2017, a questo punto della stagio-ne, erano state due: Alex Márquez aveva trionfato in Spagna e in Catalunya. Non va troppo meglio in Moto3, dove il solo Jorge Martin è salito sul gradino più alto del po-dio: tre vittorie per lui. Insomma, il futuro spagnolo presenta qualche ombra.ZERO, COME LE VITTORIE SPAGNOLE IN MOTO2

UNA DISTRAZIONE INAMMISSIBILEA fine gara, dopo aver tagliato il traguar-do, Simone Corsi si è distratto guardando il mega schermo, centrando a fine rettilineo Miguel Oliveira che procedeva lentamente. L’impatto è stato violento, ma, fortunata-mente, senza conseguenze per entrambi: avrebbe potuto averne di terribili. Corsi è un pilota esperto – ha festeggiato poco fa i 250 GP disputati! -, non un ra-gazzino al debutto: il suo è stato un errore inaccettabile. Nel prossimo GP, in Olanda, dovrà scattare dal fondo dello schieramento: secondo me

andava punito ancora più severamente.VOTO UNO, A SIMONE CORSI

IN POCHI SONO COSTANTICuriosamente, in tutte e tre le categorie, solo due piloti per ciascuna classe hanno conquistato almeno un punto nei sette GP fino ad ora disputati: Viñales e Petrucci in MotoGP; Bagnaia e Oliveira in Moto2; Di Giannantonio e Kornfeil in Moto3.DUE, COME I PILOTI SEMPRE A PUNTI IN CIASCUNA CATEGORIA

FONDAMENTALE PARTIRE DAVANTIA Montmelò, in ogni categoria ha vinto chi scattava dalla pole position: Bastianini in Moto3; Quartararo in Moto2; Lorenzo in MotoGP. Nessuno dei tre piloti, però, ha sfruttato la sua posizione in partenza: nes-suno dei tre era al comando al termine del primo giro.TRE, COME LE VITTORIE DALLA POLE

LORENZO SCALA LE CLASSIFICHECon il secondo successo consecutivo, Jor-ge Lorenzo diventa il quarto pilota ad aver vinto più di un GP con la Ducati. Gli altri sono: Stoner (23 successi); Capirossi e Do-vizioso (7).QUATTRO, COME I PILOTI CAPACI DI VIN-CERE PIU’ DI UN GP CON LA DUCATI

GP DI CATALUNYA. DA ZERO A DIECI

NUMERI, STATISTICHE E VOTI SUL GP DI CATALUNYA, UN MODO PER RIPERCORRERE QUANTO ACCADUTO AL MONTMELÒ, NON SOLO IN

PISTA E NON SOLO IN MOTOGP

BARCELLONA E’ CASA SUASempre a proposito di Lorenzo, al Montme-lò ha vinto per la quinta volta nella sua carriera, quattro in MotoGP e una in 250. Impressionante il primato ottenuto in qualifica: conquistando la pole, domeni-ca Lorenzo è partito per la 14esima volta consecutiva dalla prima fila nel GP della Catalunya!CINQUE, COME LE VITTORIE AL MONTME-LO’ DI LORENZO

ERRORI E CADUTE, TANTI CAMBIAMENTIIl GP della Moto3 è stato caratterizzato da errori e cadute a ripetizione: per questo motivo ci sono stati tantissimi cambiamenti nelle prime posizioni. Ben sei piloti sono stati in testa per almeno un giro: Mar-tin (dal primo all’ottavo giro); Suzuki (dal

nono al decimo); Bastianini (11esimo, dal 14esimo al 15esimo, 21esimo); Bulega (dal 12esimo al 13esimo); Bezzecchi (dal 16esi-mo al 17esimo); McPhee (dal 18esimo al 20esimo).SEI, COME I PILOTI IN TESTA PER ALMENO UN GIRO IN MOTO3

IN QUALIFICA DIFFICILMENTE SBAGLIATra i tanti meriti di Marc Márquez, c’è an-che quello di non sbagliare (quasi) mai in qualifica: a Montmelò, nonostante sia stato costretto a passare dalla Q1, ha conquistato il secondo posto. Nei sette GP fino ad oggi disputati Márquez è sempre scattato dalla prima o dalla seconda fila, unico in MotoGP a esserci riuscito.SETTE, COME LE PARTENZE DALLA PRIMA O DALLA SECONDA FILA DI MÁRQUEZ

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DAVIDE CONTRO GOLIAFabio Quartararo (voto 10 e lode) ha con-quistato il suo primo successo iridato, ri-portando sul gradino più alto del podio la Speed UP di Luca Boscoscuro che non vin-ceva dal GP di Austin 2015. Boscoscuro merita un applauso per quello che sta facendo: la sua Speed UP è l’u-nica moto italiana in Moto2. Alla Speed UP lavorano 18 persone, il progetto e la realizzazione sono completamente italiani – con base a Vicenza – e si riesce a lotta-re – e qualche volta battere – contro co-lossi come KTM e Kalex, che dispongono

di mezzi tecnici ed economici decisamente superiori. Per la Speed UP è l’ottava vitto-ria nella sua storia: bravi tutti.OTTO, COME LE VITTORIE DELLA SPEEDUP

VELOCE, COSTANTE E CONVINCENTEMarco Bezzecchi sta disputando un campio-nato straordinario: il secondo posto conqui-stato di forza in Catalunya gli ha permesso di allungare in campionato a +19 su Di Gian-nantonio, +23 su Martin, +35 su Bastianini. Martin rimane il favorito, ma Bezzecchi può davvero giocarsela fino alla fine, perché è

veloce, costante, molto determinato. In-somma, un primatista convincente.VOTO NOVE, A MARCO BEZZECCHI

BEN TORNATA, "BESTIA"!Non vinceva da un anno e mezzo, dal GP del Giappone 2016. Ma a Montmelò, Enea Bastianini - nick name "Bestia" - ha dimostrato di essere fortissimo, non solo molto veloce, ma an-che perfetto tatticamente, come si è visto negli ultimi due giri. Se trova costanza, può puntare al titolo.VOTO DIECI, A ENEA BASTIANINI

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Lorenzo pareva irrecupera-bile a Le Mans, quando si dovette prendere una deci-sione, adesso sembra l’uo-mo da battere. Ducati ha sbagliato mosse?

Intanto – analizza Bernardelle - nelle ulti-me stagioni ha lavorato meglio di tutti per adattare il carattere della moto alle Miche-lin più che allo stile dei piloti. Lorenzo può vincere tanto e puntare al titolo? E perché Dovizioso ha sbagliato ancora? Zam ritiene che Andrea abbia ceduto alla tensione in una situazione nuova per lui.Non sbagliano Márquez (che si arrende al 99 e da leader qual'è porta a casa 20 pun-ti) e Valentino, che con il team deve aver trovato un assetto ideale per preservare le gomme. L’inesperienza rallenta Viñales e

anche Zarco. Cerchiamo di capire cosa ha sbagliato Michelin e cosa occorrerebbe per avere prestazioni meno altalenanti, perché la Suzuki sembra in crisi di accelerazione, perché l’Aprilia ancora non conferma la crescita assicurata da Albesiano. Con Iannone andrà meglio? Probabilmente sì.In Moto3, magnifica doppietta Bastianini/Bezzecchi, ma troppi incidenti pericolo-si eliminano senza colpa Bulega e Migno. Prima vittoria in Moto2 di Quartararo, con la veneta Speed-Up di Luca Boscoscuro, e Bagnaia penalizzato dalla gomma posterio-re Dunlop letteralmente distrutta. Prossima tappa GP d’Olanda ad Assen, dove Rossi ha colto l’ultima vittoria Yama-ha. E sarà interessante misurare Lorenzo e la reazione del Dovi…

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DOPO GP CON NICO E ZAMIL GP DI CATALUNYA

SETTIMA PROVA DELLA STAGIONE E BIS DI JORGE LORENZO DOPO IL MUGELLO; SI DIFENDE MÁRQUEZ, CADE IL DOVI, SUL PODIO UN

OTTIMO ROSSI SALVA LA YAMAHA. IL MERCATO ANTICIPATO SPIAZZA LA DUCATI. I PNEUMATICI ANTERIORI CONDIZIONANO LA GARA

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MOTO GP LE FOTO PIÙ BELLE

DEL GP DI CATALUNYA

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SUPERBIKE GP DI LAGUNA SECA

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Settima vittoria per Rea che domina gara1 a Laguna Seca. Dopo aver chiuso in testa tutti i turni di prova ed essersi qualificato al ter-zo posto in Superpole, il tre

volte campione del mondo è partito forte, ma ha trovato sulla sua strada un Davies molto determinato e galvanizzato dall’aver conquistato la pole position. Le speranze di vittoria di Chaz sono però crollate al settimo giro, quando la sua Pa-nigale ha sbandato all’ingresso della curva del cavatappi e Rea ha preso al volo l’op-portunità di balzare in testa alla gara e di imporre un ritmo al quale Davies non è poi riuscito a replicare. Quando Rea ha preso il comando seguito da Davies, gli altri erano ormai irrimediabil-mente staccati e costretti a lottare soltanto per il terzo gradino del podio. Nella lotta tra gli “umani” ha avuto la me-glio Alex Lowes che ha preceduto Eugene Laverty, autore di un’ottima gara con l’A-prilia del team Milwaukee.Inizialmente anche l’altra RSV4, quella di Lorenzo Savadori stazionava nelle prime

posizioni, ma al termine del secondo giro, nella curva che immette sul rettilineo d’ar-rivo, l’italiano scivolava ed in pratica la sua gara finiva lì Lorenzo risaliva in moto e ripartiva, ma pochi giri dopo scivolava per la seconda volta e per la seconda volta ri-entrava in gara per poi chiudere al quat-tordicesimo posto. Laverty invece non ha commesso errori ed ha terminato a due soli secondi da Lowes.Melandri ha ottenuto il quinto posto dopo una gara perlomeno strana. Partito dalla quarta fila, il ravennate era ottavo al ter-mine del primo giro, ma in seguito restava in settima posizione sino al diciassettesimo passaggio, quando riusciva a trasformare una gara anonima in una rimonta che lo portava a superare prima Sykes e poi Fo-res, per chiudere al quinto posto.Fores è stato autore di una buona pre-stazione, che pone la parola fine al suo momento buio. Buio che continua invece ad avvolgere Sykes, che dopo l caduta di Brno, torna da Laguna con un deludente settimo posto. Questa gara che ci ha mo-strato un Sykes vecchia maniera che dopo essere partito forte ed essere stato terzo

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REA VINCE GARA1 A LAGUNA SECA

di Carlo Baldi

GARA DOMINATA DA REA AL QUALE NEI GIRI INIZIALI SI È OPPOSTO IL SOLO DAVIES. TERZO POSTO PER LOWES DAVANTI A LAVERTY E

MELANDRI. SAVADORI CADE DUE VOLTE E TERMINA QUATTORDICESIMO

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alle spalle di Rea e Davies sino all’ottavo giro, ha poi iniziato a perdere irrimediabil-mente posizioni, fino a chiudere settimo.Deludente anche la gara di VdMark ottavo, che conferma anche in gara tutte le dif-ficoltà che l’olandese ha incontrato nelle prove e nelle qualifiche. Un generoso Torres porta la MV al nono posto, mentre almeno sulla pista di casa Gagne salva la faccia terminando in decima posizione.Non è andata altrettanto bene all’al-tro americano Jacobsen, caduto dopo un contatto con Mercado, il quale è andato in terra da solo poche curve dopo, forse deconcentrato da quanto era avvenuto con

l’americano del team TripleM.Oltre a Jacobsen e all’argentino non hanno tagliato il traguardo anche Camier e la wild card Herrin, costretti al ritiro per problemi tecnici, nonché il giovane Razgatlioglu. Nel percorrere la curva del cavatappi il tur-chino è stato vittima di un brutto high side, che si è concluso con una micro frattura ad un piede. Nulla di preoccupante, ma To-prak non potrà comunque prendere parte alla gara di domani. Baz ha chiuso in quin-dicesima ed ultima posizione. Caduto nel corso del terzo giro, il francese del team Althea è rientrato in pista per onor di firma è riuscito almeno a conquistare un puntici-no per la classifica.

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LA CLASSIFICA DI GARA 1

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DOPPIETTA DI REAA LAGUNA SECA

di Carlo Baldi

REA VINCE ANCHE GARA2 DEL GP DEGLI STATI UNITI WSBK 2018. COMPLETANO IL PODIO DAVIES E LAVERTY

Rea vince la sua sessanta-duesima gara in carriera e l’ottava di questo campio-nato 2018 (su sedici dispu-tate) e lo fa in maniera net-ta, con una prova di forza

addirittura superiore a quella di ieri. Se in gara1 Johnny aveva dominato, oggi ha ad-dirittura annichilito i suoi avversari. Su di una pista dove non è facile sorpas-sare, il tre volte campione del mondo è partito dalla terza fila ed ha impiegato set-te giri per arrivare alle spalle del fuggitivo Laverty per poi superarlo ed iniziare la sua cavalcata solitaria, verso una doppietta che dimostra come, anche se mancano ancora cinque round alla fine, Rea sia avviato alla conquista del suo quarto titolo mondiale consecutivo, un ennesimo record per que-sto incredibile pilota. La gara era iniziata con una fuga di Laverty che ci ha riportato indietro nel tempo, agli anni nei quali l’Aprilia RSV4 era la moto

da battere. Il pilota del team Milwaukee è restato al comando sino al settimo passag-gio quando il Cannibale lo ha raggiunto e mangiato in un sol boccone. Eugene però non si è demoralizzato, ma ha tenuto duro e ci ha creduto anche quando è arrivato anche Davies a superarlo. A quel punto mancavano solo nove giri alla fine e le due Yamaha di Lowes e VdMark si avvicinavano a grandi passi, ma Eugene ha spinto al massimo e non si è fatto raggiun-gere, portando a casa il primo podio del team Milwaukee in Superbike e riportando sul podio la RSV4, cosa che non succede-va dal 18 settembre 2016 quando Alex De Angelis sali sul secondo gradino del podio in gara 2 al Lausitzring.Davies si conferma l’unico pilota in grado non dico di contendere la vittoria a Rea, ma di reggere almeno in parte il suo furi-bondo ritmo. Partito a sua volta dalla terza fila, Chaz ha recuperato con meno furore agonistico rispetto al pilota della Kawasaki,

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ma in modo altrettanto determinato, pas-sando dall’ottavo posto del primo giro alla seconda posizione finale. Non riescono a salire sul podio le due Yamaha ufficiali, con Lowes che precede VdMark dopo una bella lotta in famiglia, che ha confermato la raggiunta competi-tività della R1 che è ormai veloce su tutte le piste. Alle spalle della coppia della casa dei tre diapason ecco una coppia tutta spa-gnola, composta da Fores e Torres. Il pilota del team Barni Racing è stato bravo a tenere un ritmo costante e a non com-mettere errori, mentre per Torres portare al traguardo la MV F4 in settima posizione si può definire una vera impresa.Ottava posizione per un irriconoscibile Sykes, che oltre a non aver mai trovato l’assetto giusto per la sua Ninja è apparso ancora sotto shock per quanto è successo a Brno.Davanti al suo pubblico Gagne conquista il suo miglior risultato da quando corre in Su-perbike, facendo meglio anche di Camier

che dopo una scivolata è rientrato in pista per poi chiudere in tredicesima posizione e portarsi a casa tre punti per la classifica. Grazie alla caduta che ieri ha messo fuori gioco Razgatlioglu (micro frattura al piede per il giovane pilota turco, costretto a dare forfait in gara2) e alle tre cadute odierne, vanno a punti anche il ceco Hanika e Yon-ny Hernandez rispettivamente con la Ya-maha del team Grillini e la Kawasaki del team Pedercini. Non va a punti la wild card locale Herrin che guida una Yamaha R1.La tre cadute alle quali abbiamo fatto ri-ferimento sono state quelle del padrone di casa Jacobsen e dei due italiani Melandri e Savadori. Il pilota della Ducati è sta-to una delle grandi delusioni di questo round a stelle e strisce così come lo è stato Lorenzo, che ha accumulato tre ca-dute in due gare. I due hanno però subito l’occasione di rifarsi visto che il prossimo round si disputerà al Misano World Ciruit ai primi di luglio.

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LA CLASSIFICA DI GARA 2

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CLASSIFICA MONDIALE

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Sono state due gare domi-nate da Jonathan Rea che ha fatto il bello ed il cattivo tempo, piazzando una dop-pietta che mette una pesan-te ipoteca sul titolo mondia-

le 2018. Smentendo chi ad inizio stagione riteneva che le nuove regole imposte dalla Dorna avessero tarpato le ali alla Kawasaki, Johnny è tornato a dominare il campiona-to come negli anni precedenti, a conferma che il “pacchetto” Rea, team KRT e Kawa-saki è al momento imbattibile. Le regole della Dorna hanno cercato di rallentare il loro lavoro e soprattutto di dare la possibi-lità alle altre case di recuperare il pesante gap, ma alla luce dei risultati sembra che solo il team Aruba Ducati e quello Pata Ya-maha, siano in grado di avvicinarsi al trio delle meraviglie.In Ducati non smettono di lavorare su una Panigale prossima alla pensione, ma ormai non ci credono più nemmeno loro di poter stare davanti a Rea. In Yamaha la R1 sem-bra arrivata ad un ottimo grado di competi-tività e tutto è quindi in mano ai due piloti, che però in California hanno raccolto solo un terzo posto in due.E’ stato certamente il weekend di Rea ma anche quello di Laverty e del team Milwaukee che sono riusciti a riportare sul podio la RSV4. Un giusto premio al grande

impegno (anche economico) della squadra inglese e del suo sponsor.Ma ecco i nostri voti ai protagonisti del weekend californiano

Jonathan Rea – voto 10 – Se non fosse sta-to per quei 77 millesimi di secondo che gli hanno impedito di conquistare la Superpo-le, Johnny avrebbe fatto bottino pieno. Su di una pista dove il pilota conta molto, il tre volte campione del mondo ha dimostrato di essere due panne sopra a tutti, non solo in pista, ma anche nel box, trovando una messa a punto perfetta per la sua Ninja. Sino ad ora abbiamo fatto finta che il cam-pionato fosse ancora aperto, ora non pos-siamo che arrenderci alla realtà.

Tom Sykes – voto 4,5 – Tom invece la mes-sa a punto non l’ha proprio trovata ed ha arrancato in entrambe le gare come un qualsiasi pilota privato. Dopo quanto è suc-cesso a Brno per lui l’aria nel box si è fatta pesante. Deve reagire e dimostrare al più presto di essere ancora un top rider. Am-messo lo sia.

Chaz Davies – voto 8,5 – Ha fatto il mas-simo che poteva: superpole e due secondi posti dietro all’alieno. In gara uno ha anche provato a stargli davanti, ma dopo pochi giri una sbandata in ingresso al cavatappi

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LE PAGELLE DEL GP DI LAGUNA SECA

di Carlo Baldi

I VOTI PIÙ ALTI A REA, LAVERTY E DAVIES, NIENTE SUFFICIENZA PER UN SYKES CHE ARRANCA

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gli ha fatto capire che, ancora una volta, si sarebbe dovuto accontentare della piaz-za d’onore. Mi è comunque sembrato più motivato e sereno rispetto alle gare pre-cedenti.

Marco Melandri – voto 5,5 – Alti e bassi per Marco che era partito bene in prova, ma poi in gara è sempre più affondato nella Laguna. In gara1 si è svegliato tardi, mentre nella seconda è caduto quasi subito. Non riesce a guidare sopra i problemi come in-vece fa il suo compagno di squadra.

Eugene Laverty – voto 9 – Eugene inve-ce sa certamente guidare sopra i problemi ed in gara2 conquista un podio che ricorda

ai disattenti che lui è un signor pilota. Un podio che era nell’aria, visti i suoi risultati recenti, e che premia la sua costanza ed il suo impegno. Meriterebbe un mezzo mi-gliore, ma intanto ottiene il massimo da una moto che andava forte quando lui era giovane.

Lorenzo Savadori – voto 5 – Tre cadute in due gare, mentre il suo compagno di squa-dra sale sul podio. Troppo brutto per es-sere vero. Lo attendiamo ad una rabbiosa reazione nel prossimo round casalingo di Misano.

Alex Lowes – voto 7,5 – Sta facendo di tut-to per mettere in imbarazzo la Yamaha che

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pensava di dargli il benservito, e se conti-nua così ci sta che resti dov’è. Sarebbero stati due podi se in gara2 non si avesse perso tempo per lottare con il suo com-pagno di squadra. Ma va bene anche così.

Michael van der Mark – voto 6,5 – Fatica moltissimo in prova, quando non riesce a trovare il set up adatto alla tortuosa pista californiana. Solo ottavo in gara1, l’olande-sino non molla e prima della seconda man-che trova il bandolo della matassa e chiude quinto. Dimostrazione di carattere.

Leon Camier – voto 5,5 – Certo non ha un compito facile, ma dove è finito il grintoso Leon di inizio stagione? Torna dalla Califor-nia con soli tre punti, ma soprattutto con le polveri bagnate. E’ certamente uno dei piloti più forti della Superbike e spero che torni a dimostrarlo al più presto.

Xavi Fores – voto 7 – Due buoni piazza-menti per lo spagnolo del team Barni, che esce brillantemente da un periodo buio. Proprio in tempo per Misano. E in classifica è a soli 14 punti da Melandri...

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MOTOCROSS

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Giuseppe Luongo ad Ot-tobiano ha comunicato in anteprima alcuni dettagli del calendario MXGP 2019: "Abbiamo dovuto respingere sette domande: venti GP è

il limite massimo per i team".Un terzo della serie si correrà in Asia! Il calendario provvisorio completo sarà di-sponibile "entro dieci giorni" (contrattual-mente deve essere rilasciato dalla FIM), ma inizierà nel Medio Oriente - non è ancora ufficialmente definito, ma sarà in Kuwait -, seguito da Argentina e da diversi GP in Europa, prima di due viaggi separati nel sud-est asiatico; poi Hong Kong e Cina e successivamente Indonesia.Sono sei i GP oltremare designati ufficial-mente, cinque dei quali in Asia, uno in Russia che, nonostante non sia dall'altra parte dell'oceano richiede comunque un bel viaggio in aereo, e poi c'è il GP turco, che si svolge dall'altra parte del Bosforo, quindi in Asia.Il boss di Youthstream ha evitato accura-tamente ogni riferimento agli Stati Uniti,

dove le sue ambizioni sembrano essere an-cora sepolte dopo il Nazioni a Red Buds di ottobre.Antonio Cairoli non vede l'ora che arrivi l'Indonesia dopo aver ridotto lo scarto con Jeffrey Herlings a 12 punti: "Questa gara di Ottobiano è stata una buona preparazione, dovrebbe far caldo in Indonesia!". E non solo la temperatura dovrebbe essere calda, con Herlings che dichiara online: "Dovrei tornare in moto il prossimo fine settimana, sarò in Indonesia!"Ci sono maggiori dettagli riguardo l'inci-dente di Herlings a Berghem, dove si è rot-to la clavicola destra per la terza volta in 36 mesi. La clavicola è fratturata alla fine di una placca che era stata inserita dal Dr. Claes per un precedente infortunio: quella placca era ancora nel corpo del pilota, vi-sto che si era rifiutato di prendersi qualche settimana di riposo a novembre per rimuo-verla.Dopo gli infortuni alla spalla nel 2010, 2013 e 2014, un femore rotto nel 2014 e un'anca fratturata nel 2015, oltre a una mano rotta all'inizio della scorsa stagione, la clavico-

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SVELATI I PRIMI DETTAGLI DEL CALENDARIO 2019,

ED HERLINGS RIENTRA IN INDONESIA

di Alex Hodgkinson

UN TERZO DEL CAMPIONATO SI CORRERÀ IN ASIA, E DAL PROSSIMO GP TORNA AD INFIAMMARSI LA LOTTA PER IL MONDIALE

la (sempre quella destra) è stata al centro dei suoi infortuni negli ultimi anni: la prima volta è stata a Teutschenthal, nel giugno del 2015, poi di nuovo nel 2016 e ora an-che anche a Berghem.Quanto a Jorge Prado, il giovane spagnolo è rimasto sorpreso quanto chiunque altro del suo ultimo successo: dodici mesi fa si era ritirato dalla seconda manche ad Ot-tobiano a causa di un'insolazione in Gara-1, ma quest'anno è arrivato fino alla fine. "L'anno scorso non è stato il massimo per me qui", ha ammesso timidamente.

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LE FOTO PIÙ BELLE

DEL GP DI OTTOBIANO

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CAPO REDATTORE: Edoardo Licciardello

REDAZIONEMaurizio Gissi Maurizio TancaCristina Bacchetti Marco Berti QuattriniAimone Dal Pozzo Umberto MongiardiniFrancesco Paolillo

COLLABORATORI Nico CereghiniGiovanni ZamagniCarlo BaldiMassimo ZanzaniPiero BatiniAntonio GolaEnrico De VitaAntonio PriviteraAlfonso RagoMassimo ClarkeMax MorriAndrea BuschiPietro AmbrosioniLuca FrigerioAlberto CapraAlex Hodgkinson

PROGETTO GRAFICO: Camilla Pellegatta

VIDEO: Luca Catasta, Fabrizio Partel, Antonio Mulas, Camilla Pellegatta

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